5. L`integrazione degli immigrati stranieri nel mercato del lavoro e le

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5. L`integrazione degli immigrati stranieri nel mercato del lavoro e le
5. L’integrazione degli immigrati stranieri
nel mercato del lavoro e le prospettive
di intervento dei servizi all’impiego
di Marcello Correra*
5.1. Il quadro emerso dalla ricerca: i lavoratori stranieri tra inclusione e discriminazione sul mercato del lavoro
Il tema dell’integrazione dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro è
uno degli argomenti oggi più dibattuti e fa ormai parte dell’agenda politica di
molte istituzioni e amministrazioni locali che si vedono attribuire un ruolo
primario nella governance dell’immigrazione sul proprio territorio.
È comune convincimento, del resto, che gli immigrati non comunitari sono
ormai una componente strutturale della popolazione residente nella nostra
provincia, così come del mercato del lavoro locale, e proprio per questo gli
aspetti dell’integrazione meritano un’attenzione non episodica bensì proiettata sul medio-lungo periodo. Una conferma del carattere strutturale dell’immigrazione ci viene anche presentata dal primo contributo di questo studio che
evidenzia la costante crescita della popolazione straniera residente ed il ruolo
giocato nel colmare le lacune aperte dai fattori demografici nella composizione della forza lavoro.
L’impatto della manodopera immigrata sul mercato occupazionale locale,
come evidenziato invece dal secondo contributo, è stato notevole sia nella sua
dimensione quantitativa (160.000 lavoratori stranieri avviati negli ultimi quattro anni) sia in quella qualitativa (per il ruolo complementare e a volte sostitutivo rispetto alla manodopera nazionale avuto in alcuni settori produttivi e in
alcune professioni).
Un impatto accresciuto in occasione della regolarizzazione del 2002 che
ha visto la legalizzazione di oltre 87.000 lavoratori immigrati nella sola provincia di Milano. L’immissione di un consistente contingente di stranieri
regolarizzati ha determinato un salto nel volume complessivo delle assunzioni
di lavoratori extracomunitari che, stando ai dati dei Centri per l’impiego, rad* Direttore Centrale Sviluppo economico, formazione e lavoro.
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doppia il suo valore e lo mantiene nel tempo. Le circa 30.000 assunzioni trimestrali di lavoratori immigrati costituiscono ormai un quarto delle assunzioni complessive effettuate dalle aziende milanesi.
Colpisce lo scarto tra l’imponenza del fenomeno e le modalità con cui si è,
di fatto, finora realizzato: l’inserimento lavorativo degli immigrati è avvenuto,
infatti, in maniera spontanea, silenziosa, residuale rispetto alle azioni delle
varie istituzioni ed attori del mercato del lavoro. Ciò ha permesso che il fenomeno risultasse fortemente plasmato dall’attività dei canali di tipo informale,
primi fra tutti le reti dei connazionali, che da una parte si sono mostrate
alquanto efficaci nell’incanalare i nuovi arrivati verso gli impieghi disponibili,
ma dall’altra hanno aggravato alcuni fenomeni negativi quali la segmentazione del mercato del lavoro, la specializzazione lavorativa su base etnica, la
segregazione occupazionale di intere categorie (colf e assistenti agli anziani),
il confinamento nelle occupazioni più dequalificate e gravose, la scarsa mobilità professionale verticale. Se questi meccanismi sono già da tempo denunciati dagli studiosi in campo migratorio, oggi è possibile osservarne l’esito su
larga scala direttamente dai dati ufficiali delle assunzioni che evidenziano
forti corrispondenze tra singole nazionalità e determinati settori produttivi.
La novità del quadro uscito dalla sanatoria del 2002 non si manifesta, tuttavia, nelle sole dimensioni quantitative e qualitative appena segnalate ma
riguarda anche il cambiamento avvenuto nella natura dei rapporti di impiego
instaurati dai lavoratori stranieri. L’immissione del nuovo contingente di
manodopera immigrata, infatti, sembra coincidere con un’intensa flessibilizzazione dei rapporti di lavoro che si manifesta tramite un diffuso ricorso a
contratti a breve termine (tempo determinato o interinale).
L’aspetto preoccupante di questa nuova caratteristica è il suo apparente
concentrarsi su una fascia determinata di lavoratori stranieri che passano ripetutamente da un lavoro all’altro, senza mostrare alcuna tendenza a stabilizzare
la loro collocazione lavorativa. Stante l’attuale normativa sul soggiorno degli
stranieri in Italia, questa potenziale fascia di lavoratori precari neo-regolarizzati è quanto mai a rischio di caduta in una condizione di irregolarità di ritorno. In questa prospettiva, un ruolo importante può essere effettivamente giocato dai servizi all’impiego nell’intercettare il fenomeno e nell’intervenire per
attenuarne le conseguenze che, come si può ben immaginare, non si limiterebbero a quelle occupazionali.
Anche per questi motivi è importante approfondire la conoscenza dei percorsi occupazionali seguiti dagli immigrati stranieri dopo l’ingresso sul mercato del lavoro locale e capire come si configurano le problematiche legate
alla stabilità lavorativa, alla disoccupazione, ai riflessi sulla regolarità amministrativa, alla possibilità di reinserimento lavorativo.
Da questo punto di vista, i risultati della ricerca-intervento illustrata nei
successivi capitoli del quaderno, mostrano un quadro complesso in cui affiorano punti di forza inaspettati da parte degli immigrati, ma anche elementi di
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grande criticità nei loro percorsi lavorativi e nelle risorse da loro spontaneamente messe in campo.
Dall’analisi svolta emerge come la debolezza sul mercato del lavoro di
molti lavoratori stranieri sia riconducibile a numerosi, ma ben definiti, fattori
che interagendo fra loro contribuiscono a delineare un quadro di insicurezza
(occupazionale, ma non solo) in cui anche l’esperienza della disoccupazione
assume contenuti inattesi. Più che di disoccupazione in senso tradizionale,
occorrerebbe parlare di una condizione di discontinuità occupazionale che
costringe i lavoratori stranieri in circuiti lavorativi caratterizzati da incertezza
e privi di un progetto di medio-lungo termine.
Lo scarto tra le potenzialità possedute ed il basso profilo delle occupazioni
comunemente loro accessibili sembra stare alla base di gran parte del disagio
occupazionale espresso dagli immigrati quando sono inseriti in un mercato
del lavoro tipicamente metropolitano. È un disagio che si esprime nella difficoltà a intraprendere percorsi lavorativi coerenti con la formazione e le competenze possedute, nella fatica a stabilizzare i rapporti di lavoro, nell’impedimento a seguire percorsi di crescita professionale compatibili con il proprio
progetto migratorio, nell’alternanza tra occasione lavorativa inadeguata (ma
necessaria) e periodi di disoccupazione.
La scarsa stabilità lavorativa appare coerente con l’impossibilità di sperimentare legami significativi con l’azienda che solitamente si creano attorno al
possesso e all’effettivo esercizio di skills e contenuti professionali specifici.
Del resto, gli attuali meccanismi informali di collocamento lavorativo, basati
non sulle capacità o sulle credenziali formative ma sui soli criteri di appartenenza e di considerazione goduta all’interno delle reti di connazionali, fanno
sì che le esperienze professionali maturate in Italia o nel paese di origine
abbiano modeste possibilità di essere riconosciute ed apprezzate ai fini di un
nuovo impiego. Per i lavoratori stranieri maggiormente istruiti, il riconoscimento legale dei titoli di studio e degli attestati formativi conseguiti all’estero
risulta irto di difficoltà normative, procedurali, linguistiche e persino economiche, visti gli alti costi degli iter amministrativi e burocratici. I dispositivi di
riconoscimento in vigore risultano così involontariamente discriminatori e
forniscono il loro contributo al processo di svalutazione delle credenziali formative possedute dagli immigrati.
È un vero e proprio circolo vizioso in cui l’instabilità lavorativa, l’elevata
mobilità intersettoriale e la continua emarginazione nell’area del lavoro
dequalificato inibiscono l’acquisizione e il consolidamento di skills maggiormente apprezzate, inducendo un effetto circolare di impedimento di un’autentica crescita professionale e di riduzione delle prospettive di stabilizzazione
lavorativa. A questa situazione di sviluppo professionale bloccato, i lavoratori
immigrati sembrano reagire privilegiando la ricerca ripetuta e costante di
alternative occupazionali che si sperano sempre migliorative sul piano della
qualificazione lavorativa o, in subordine, almeno su quello della retribuzione.
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Come è stato messo in evidenza dalla ricerca-intervento, il processo di
dequalificazione professionale cui i lavoratori immigrati sono soggetti viene
favorito da una serie di fattori che costituiscono un sistema unico di concause
sociali. Tra queste assumono particolare rilevanza fattori quali:
- le carenze nelle iniziative istituzionali e nelle politiche formative e del
lavoro rivolte agli immigrati;
- l’assenza di politiche di stabilizzazione e di consolidamento dello status
giuridico del lavoratore straniero;
- le costanti difficoltà che gli immigrati incontrano nel trovare condizioni di
stabilità materiale (accesso a un’abitazione decente, accesso ai servizi
sociosanitari e ai servizi in generale, ecc.)
- gli ostacoli di carattere cognitivo (autorappresentazione di sé ma anche
presenza nella cultura italiana di stereotipi che non contemplano per gli
immigrati una normale ascesa professionale) e di stress psico-sociale.
Tra le inadeguatezze istituzionali ed i limiti delle politiche pubbliche dell’immigrazione figurano principalmente l’assenza di canali percorribili per il
riconoscimento delle credenziali formative estere, la mancanza di meccanismi
accreditati di accertamento e certificazione delle competenze professionali, la
carenza di strumenti di riqualificazione professionale efficaci e realmente
accessibili al lavoratore straniero.
Un ulteriore elemento che spesso diventa preponderante nel determinare i
destini lavorativi è l’elevata vulnerabilità della condizione giuridica del lavoratore straniero. Nell’ansioso tentativo di mantenere lo status legale, l’immigrato è spinto ad accettare qualsiasi lavoro, sviluppando una particolare adattabilità a condizioni lavorative e contrattuali scadenti e tralasciando considerazioni sulla qualità del lavoro offerto. Le norme introdotte con la Legge n.
189 del 2002, la cosiddetta legge Bossi-Fini, esasperano il legame tra permanenza legale e stato occupazionale ed introducono forti restrizioni al soggiorno degli stranieri (permessi di soggiorno di durata più breve ed assoggettati a
ripetute richieste di rinnovo, periodo di tempo eccessivamente ridotto concesso ai disoccupati per la ricerca di un nuovo impiego, maggiore facilità di
espulsione) contribuendo così ad aggravare lo stato di precarietà dei lavoratori
immigrati che si vedono ostacolati nel processo di stabilizzazione ed integrazione nel nostro tessuto sociale.
Dalla ricerca sono emersi anche gli alti costi psicologici connessi all’esperienza del non lavoro, della ricerca di una nuova occupazione e dell’alta problematicità nella costruzione del proprio futuro professionale. Fortunatamente
non sempre gli esiti di questo stato di tensione si esprimono a livelli di drammaticità sociale visibile, tuttavia dalla condizione di stress può prendere facilmente corpo la perdita di fiducia nella riuscita del proprio compito di inserimento sociale e lavorativo.
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A questo proposito, occorre sottolineare che il problema non sembra risiedere tanto nell’assenza del lavoro, quanto nella condizione di insicurezza e di
incertezza lavorativa, di aleatorietà delle prospettive circa il proprio inserimento nella società ospite, di indefinizione dei progetti riguardanti la propria
collocazione sociale ed il proprio avanzamento socio-professionale.
Da qui l’importanza di intervenire per fornire supporti mirati e strumenti
efficaci che possano orientare l’immigrato nelle sue scelte, guidarlo nel definire una progettualità più forte, nel valorizzare e sviluppare le competenze
professionali e nell’individuare percorsi coerenti su di un mercato del lavoro
difficile e poco trasparente.
Il quadro in cui si delineano le difficoltà occupazionali dei lavoratori
immigrati presenta anche alcuni riflessi speculari sul versante dei datori di
lavoro che impiegano manodopera straniera. Pur non rientrando direttamente
nel presente studio, il tema visto dal lato imprenditoriale ha avuto numerose
conferme durante la realizzazione della ricerca-intervento. Il fenomeno di
skills mismatch che caratterizza il collocamento dei lavoratori stranieri presenta numerosi e importanti effetti: difficoltà degli imprenditori a reperire
forza-lavoro con un’adeguata qualificazione, difficoltà a riconoscere le competenze e le capacità dei lavoratori stranieri che intendono assumere, problematicità nell’attivare strumenti di sostegno allo sviluppo professionale dei
dipendenti stranieri in relazione alle modificazioni aziendali e nel garantirsi
una maggiore fidelizzazione all’impresa. Inoltre, anche per gli imprenditori è
emersa con forza la fatica a muoversi nella complessità e nella frammentarietà delle normative che regolano i rapporti di lavoro fra imprese e lavoratori
stranieri.
Ma i fenomeni di discriminazione dei lavoratori stranieri sul mercato del
lavoro, la loro segregazione in alcuni settori e professioni, lo spreco del capitale umano della componente più istruita, le barriere che di fatto ostacolano la
mobilità professionale, finiscono addirittura per incidere sull’equilibrio e sul
funzionamento stesso del mercato del lavoro, accrescendone la segmentazione ed i rischi di concorrenza con le fasce più deboli dell’offerta di lavoro
locale. Recenti studi hanno mostrato come è proprio il massiccio inserimento
in lavori di basso profilo, gravosi e poco remunerati a rappresentare il pericolo di una funzione sostitutiva svolta dalla manodopera straniera, che entrerebbe in competizione con la manodopera italiana meno qualificata, giudicata
meno flessibile e conveniente1. Viceversa, una funzione complementare sarebbe maggiormente rintracciabile nei profili con qualificazione intermedia o
medio-alta, ricercati in settori in cui la domanda manifesta elevate difficoltà
di reperimento di specifiche figure professionali, a causa di un mismatch tra
domanda e offerta di lavoro locale o di una reale scarsità di offerta in determinati settori di impiego.
Ciò testimonia come, al di là degli intenti solidaristici, un’azione che favorisse una più solida inclusione dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro
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locale risponderebbe ad una necessità più generale, contribuendo a realizzare
un più trasparente incontro tra domanda e offerta di lavoro, sostenendo le
imprese nel reclutamento della manodopera qualificata di cui abbisognano e
favorendo un migliore utilizzo da parte imprenditoriale delle professionalità
disponibili sul territorio.
Si delineano quindi alcuni spazi per un inserimento più qualificato della
manodopera immigrata e per azioni di sostegno che facciano leva sui molti
punti di forza individuati anche nella ricerca-intervento, primo fra tutti il capitale umano dei lavoratori stranieri, ma anche le loro aspirazioni e l’impegno
mostrato nelle azioni di ricerca del lavoro e di miglioramento professionale.
Occorrono interventi che favoriscano i comportamenti virtuosi, che creino
condizioni di maggiore certezza, che siano di aiuto nell’affrontare le situazioni di disagio psicologico e sociale, che individuino percorsi chiari in cui cercare opportunità di avanzamento professionale e di mobilità ascendente.
Si tratta anche di valorizzare i reciproci interessi messi in campo dai vari
attori che operano sul mercato del lavoro. Le imprese potrebbero partecipare,
insieme alle istituzioni, alla predisposizione di meccanismi condivisi di valutazione delle competenze professionali degli immigrati, avvantaggiandosene
contemporaneamente nella loro azione di ricerca e selezione di personale adeguatamente qualificato. Anche azioni di sostegno alle imprese per la formazione delle risorse umane straniere occupate o in corso di assunzione, fornirebbero una risposta concreta alla domanda di maggiore qualità nelle prestazioni lavorative e di maggiore aderenza ai programmi di sviluppo aziendale.
5.2. Politiche del lavoro e politiche di integrazione degli immigrati:
alcune linee propositive sul piano locale
Un dato largamente acquisito in questi ultimi anni è il carattere globale del
fenomeno migratorio che richiede più che mai l’adozione di politiche integrate, in grado di superare la settorialità e le frammentarietà delle risposte date ai
bisogni d’inserimento e d’integrazione. Lo stretto legame tra la dimensione
economico-professionale e quella più ampiamente sociale, culturale e amministrativa dei lavoratori immigrati impone un approccio comprensivo basato
su una coerenza generale tra le diverse policies e uno stretto coordinamento
operativo nell’attuazione degli interventi.
Per questo, anche lo sviluppo di politiche del lavoro e dell’occupazione in
campo migratorio deve necessariamente avvenire nell’ambito di politiche di
integrazione sociale complessive che la legge sostanzialmente affida agli enti
1. Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Complementare, sostitutivo,
discriminato? Il lavoro immigrato in Lombardia tra programmazione dei flussi e funzionamento del mercato del lavoro, Rapporto 2004.
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locali, quali principali soggetti attuatori di politiche di inclusione della popolazione immigrata residente sul territorio2. Un ruolo centrale che viene ancor
più rinforzato dall’ampliamento delle competenze oggi attribuite ai governi
locali, i quali agiscono non più solo in riferimento alle politiche redistributive
e di erogazione di servizi di welfare, ma anche come promotori dello sviluppo
economico e occupazionale del territorio.
In termini generali, il primo passo da seguire per una politica dell’inclusione è di estendere agli immigrati le misure di politica ordinaria normalmente rivolte ai nazionali, eliminando le discriminazioni e gli impedimenti formali ad un accesso paritario alle politiche abitative, all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ai servizi in generale. Risultano, nondimeno, necessari anche
interventi specificamente rivolti agli immigrati per intercettare la peculiarità
dei loro bisogni, rimuovere o almeno attenuare gli svantaggi creati dall’essere
cittadini stranieri in una società di nuova adozione e togliere gli impedimenti
ad una piena fruizione delle politiche generali.
La consapevolezza che la popolazione immigrata residente sul territorio è
ormai una componente stabile della nostra società impone un superamento
della logica di azione oggi prevalente, basata in gran parte sull’attuazione
d’interventi progettuali che, anche se spesso realizzati con un alto livello qualitativo, soffrono della temporaneità e della discontinuità della loro azione e
dei loro effetti3. Si avverte oggi la necessità di sviluppare una logica di intervento differente, maggiormente diretta verso risposte istituzionali strutturate,
di procedure e percorsi certi e praticabili, di servizi e meccanismi operativi
permanenti che consentano di dare continuità all’azione integrativa, di diffonderne la conoscenza tra la popolazione immigrata e aumentarne quindi la fruibilità, di consolidare relazioni positive con i nuovi cittadini offrendo loro
maggiore certezza e stabilità per il compimento dei tragitti di integrazione
sociale.
Si tratta di una logica sicuramente impegnativa ma lungimirante, che tende
a spostare l’accento verso iniziative di accompagnamento permanente a sostegno di un processo di integrazione che necessariamente si compie sul mediolungo periodo. È evidente che un approccio che privilegia l’integrazione delle
diverse politiche locali deve prevedere la costituzione di momenti di raccordo
strategico ma anche operativo tra i diversi attori pubblici e privati interessati
al tema dell’immigrazione ed attivi sul territorio al fine di definire linee di
intervento coerenti e prassi coordinate.
2. La Legge n. 40/1998, recepita dal Testo Unico D.Lgs. N. 286/98 anche nella versione
modificata dalla legge Bossi-Fini, impegna gli enti locali alla predisposizione di ogni forma di
attività volta a ridurre gli ostacoli che lo straniero incontra per una piena ed effettiva integrazione e istituisce a tal fine un Fondo nazionale per le politiche migratorie, destinato al finanziamento delle iniziative predisposte.
3. Si ricorda anche l’ampio ricorso a progetti, per altro validissimi, realizzati nell’ambito
dei programmi europei Equal, Urban, Rural-In e INTI.
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Da questo punto di vista i Consigli territoriali per l’immigrazione, istituiti
in base al Testo Unico n.286/98, rappresentano un tentativo di istituzionalizzare la governance locale dell’immigrazione, in quanto vengono concepiti come
“organismi di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare
a livello locale”. Tuttavia, l’esperienza finora condotta ha mostrato come questi organismi, salvo un loro rilancio su basi rinnovate, sono assai poco influenti sul piano delle concrete decisioni di policy. Da più parti si richiede invece di
“riconoscere in modo più diretto l’effettiva rilevanza delle amministrazioni
locali nelle politiche sull’immigrazione, non un attore tra gli altri, ma anello
centrale di un sistema di governace integrata, che può aggregare altri attori
pubblici e privati su progetti concreti, e non solo in funzione consultiva, quale
sembra essere sostanzialmente il caso dei Consigli territoriali”4.
Per la prospettiva di collaborazione inter-istituzionale che viene a delineare,
risulta particolarmente significativa la recente iniziativa della Provincia di
Milano che ha promosso un’intesa con la Questura e numerose Amministrazioni
comunali per l’attivazione di un servizio sperimentale volto facilitare la presentazione delle richieste ed il ritiro dei permessi di soggiorno5. Ugualmente si tratterà
di raccordarsi al costituendo Sportello unico per l’immigrazione che la Legge n.
189/2002 istituisce presso le Prefetture e che viene concepito come ufficio
responsabile dell’intero procedimento di assunzione dei lavoratori stranieri6.
Un approccio integrato andrebbe sviluppato anche all’interno dello stesso
ente provinciale riguardo alle attività condotte dai differenti settori sulle tematiche inerenti l’immigrazione. Di particolare utilità risulterebbe l’istituzione
di un gruppo di lavoro o nucleo di coordinamento, con il compito di monitorare, raccordare operativamente e sviluppare sinergie tra gli interventi e le
azioni in favore degli immigrati poste in essere dai vari settori dell’amministrazione.
Anche nel campo specifico delle politiche del lavoro è possibile distinguere politiche generali che si possono estendere agli immigrati e interventi specifici a loro prettamente destinati. Ricordiamo che riguardo alla parità di trat4. Centro Studi di Politica Internazionale, Governo locale e gestione dei flussi migratori in
Italia, Policy paper prodotto nell’ambito del progetto di ricerca realizzato per conto dell’ANCI,
maggio 2004.
5. Il protocollo di intesa, approvato con Delibera della Giunta Provinciale n. 381 dell’8 giugno 2005, prevede tra l’altro l’istituzione di una rete di sportelli comunali, coordinati dalla
Provincia, per le funzioni di front-office e l’attivazione di un servizio on-line per le prenotazioni e l’esito delle pratiche.
6. In effetti, stando alle recentissime e controverse disposizioni, sembrerebbe che allo
Sportello unico non faranno capo soltanto le procedure di ingresso in Italia per lavoro subordinato, ma anche una nutrita serie di competenze, adempimenti ed incombenze, in materia di
ingresso per lavoro autonomo o per motivi familiari, comunicazioni con le rappresentanze
diplomatiche e consolari italiane all’estero, variazioni del rapporto di lavoro successive all’ingresso, rinnovo del permesso di soggiorno, collocamento dei lavoratori stranieri disoccupati,
acquisizione del codice fiscale e sottoscrizione del contratto di soggiorno.
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tamento e di opportunità sul lavoro per gli immigrati esistono documenti istituzionali di riferimento e strumenti legislativi ormai ineludibili, quali le ben
note Convenzioni internazionali dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro e dell’ONU ratificate anche dall’Italia, i numerosi riferimenti normativi e le direttive dell’Unione europea7, nonché una nutrita produzione normativa nazionale e regionale. Di particolare interesse è la Comunicazione della
Commissione europea n.336 del 2003 che mette in relazione il tema dell’integrazione con la Strategia di Lisbona adottata nel 2000 dai paesi dell’Unione
Europea e più in generale con l’attuale crisi del mercato del lavoro europeo,
indebolito dall’invecchiamento della popolazione e dalla carenza di manodopera8. La Commissione riconosce la necessità di “una maggiore coerenza
politica complessiva e la presenza di sinergie a tutti i livelli e in tutte le discipline tra le politiche in materia di immigrazione, integrazione e occupazione.
La Commissione si impegna a promuovere il processo di armonizzazione
delle politiche nazionali e individua alcune priorità e orientamenti da perseguire tra cui figura l’inserimento del tema dell’integrazione nella SEO
(Strategia Europea per l’Occupazione).
In termini generali, sull’aspetto dei diritti formali di accesso alle politiche
attive del lavoro nel nostro paese non sembrano sussistere dubbi: gli immigrati stranieri possono usufruire di tutte le misure a carattere generale a sostegno
dell’occupazione e possono accedere a tutti i servizi per l’impiego al pari dei
lavoratori nazionali9.
Va tuttavia preso in considerazione un particolare punto di debolezza dei
lavoratori stranieri che condiziona gli esiti, se non addirittura la stessa possibilità di partecipazione agli interventi di politica attiva del lavoro: la vulnerabilità della loro condizione giuridica. Questa speciale fragilità diventa un
7. Per quanto riguarda le convenzioni internazionali si ricordano in particolare la
Convenzione OIL n. 143 del 1975 e la Convenzione ONU del 1990 sulla protezione dei diritti
dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Tra i principali riferimenti normativi
dell’Unione europea vanno sicuramente menzionati la Direttiva del Consiglio 2003/109/CE
relativa allo status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, la Proposta di direttiva COM (2001) 386 sulle condizioni di ingresso e residenza di cittadini di paesi terzi immigrati a scopo di lavoro, la Direttiva del Consiglio 2000/43/CE sulla parità di trattamento e contro le discriminazioni, la Direttiva del Consiglio 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale
per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Va inoltre
segnalato il “Libro Verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione
economica” presentato dalla Commissione delle Comunità Europee nel gennaio 2005.
8. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato
Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni su immigrazione, integrazione e
occupazione, COM (2003) 336.
9. Sono stati di recente rimossi a livello locale alcuni ostacoli formali residuali come le
limitazioni poste dalla legislazione nazionale agli stranieri per quanto riguarda la partecipazione ai tirocini aziendali. Su un piano diverso si pongono invece i limiti di accesso a quelle professioni per le quali è normalmente richiesta la cittadinanza italiana che rimangono ovviamente
in vigore.
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capestro quando l’immigrato cade nello stato di disoccupazione, lo svantaggia
nella possibilità di ritrovare un’occupazione regolare e giunge persino a sfavorirlo quando ritrova un lavoro. È una situazione che va ben oltre quelle criticità che abbiamo visto essere riconducibili a una profonda incongruenza tra
le regole che caratterizzano il mercato del lavoro attuale (sempre più dinamico e sempre più centrato sui rapporti di lavoro flessibili) e la normativa sul
soggiorno degli stranieri (improntata sul requisito della stabilità lavorativa).
Con le recenti normative, infatti, si aggiungono preoccupanti appesantimenti
a carico dei datori di lavoro, quali la verifica della disponibilità di un alloggio
adeguato e la copertura dei costi di rimpatrio, che non mancheranno di avere
un effetto scoraggiamento riguardo l’assunzione regolare di un immigrato10.
Le difficoltà incontrate sul piano operativo riflettono la contraddizione esistente fra un impianto normativo che concepisce la presenza del lavoratore
immigrato come forza-lavoro accessoria legata alle mutevoli esigenze del
mercato del lavoro nazionale e le politiche locali che, insieme ai rispettivi servizi, sono chiamate a confrontarsi con un fenomeno a carattere strutturale e
permanente e che conseguentemente richiede l’inclusione della nuova popolazione in tutte le politiche di integrazione e di promozione socio-economica.
Se la soluzione di questa incoerenza richiede il superamento delle norme
vigenti e per questo stesso motivo esula dal ruolo dei governi locali, sul piano
delle politiche locali si possono prevedere alcune importanti iniziative tendenti ad attenuarne gli effetti. Si potrebbe, ad esempio, sviluppare l’iniziativa
intrapresa sui permessi di soggiorno estendendo l’intesa oltre gli aspetti di
snellimento procedurale ed ampliando la collaborazione tra le istituzioni alle
tematiche riguardanti l’intreccio tra soggiorno, ricerca del lavoro e costituzione del rapporto di lavoro di cittadini stranieri. Sarebbe così possibile stabilire
alcune utili soluzioni operative, concordate nel rispetto delle reciproche competenze, riguardanti aspetti molto pragmatici quali la durata del permesso di
soggiorno in concomitanza con la partecipazione a percorsi di orientamento e
formazione professionale oppure le caratteristiche della documentazione rilasciata al momento della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (ricevuta e prenotazione) in modo che possa essere più facilmente accettata sia
dagli enti pubblici (Centri per l’impiego, Asl, Servizi comunali, ecc.) che dai
datori di lavoro per le assunzioni11.
10. In realtà il Testo Unico sull’immigrazione, così come modificato dalla legge Bossi-Fini,
sembra prevedere questi obblighi solo nel caso di autorizzazione del primo ingresso in Italia
del lavoratore straniero. L’estensione di questi nuovi oneri anche nel caso di lavoratori immigrati già residenti è inaspettatamente stata introdotta con le modifiche al Regolamento di attuazione (DPR n.334 del 18 ottobre 2004) e con la Circolare del Ministero del Lavoro n.9/2005
del 8/3/2005.
11. Ricordiamo che anche se l’assunzione con la sola ricevuta della domanda di rinnovo è
di fatto accettata, la mancanza di un permesso di soggiorno valido rappresenta un deterrente
per aziende e datori di lavoro che in questi casi più difficilmente si sentono di procedere nelle
pratiche di assunzione, a causa della non certezza della norma.
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Un secondo punto di attenzione generale riguarda le politiche di contrasto
all’economia sommersa e di emersione del lavoro irregolare. Come è noto,
questa é un’area del mercato del lavoro in cui trovano inserimento numerosi
lavoratori stranieri, non solo quelli irregolari ma anche gli immigrati dotati di
un titolo di soggiorno valido. Le Commissioni provinciali istituite con la
legge n. 448 del 1998 possono giocare un ruolo importante nel rilancio di
politiche mirate e nell’adozione di programmi concreti di intervento sul piano
locale. È di grande importanza che, nell’adozione di strategie e forme di intervento per ricondurre queste forme di lavoro nell’ambito della legalità, venga
prestata attenzione alla particolare debolezza del lavoratore immigrato, il
quale rischia di essere penalizzato ancor più del datore di lavoro. Una maggiore tutela dello status giuridico del lavoratore straniero può in questo caso
considerarsi una risorsa che tende a spezzare quella comunanza di interessi
tra datori e lavoratori stranieri e che spinge a rimanere nel sommerso.
Un terzo elemento è costituito dalla formazione professionale come chiave
di volta non solo per l’ingresso e il reingresso nel mercato del lavoro ma
anche come opportunità di consolidamento e permanenza all’interno del mercato stesso, nell’ambito di percorsi di crescita professionale. Anche in questo
caso però occorrono particolari attenzioni per far sì che gli attuali dispositivi
di carattere generale possano effettivamente incontrare le esigenze specifiche
degli immigrati. Qualsiasi ipotesi di qualificazione o riqualificazione professionale dell’immigrato nel mondo del lavoro deve, infatti, tenere in considerazione i vincoli che caratterizzano la condizione del lavoratore straniero che
sempre si ritrova a dover subordinare l’investimento formativo all’irrinunciabile impegno lavorativo. Per questo, oltre all’offerta dei corsi standard di qualifica (i quali dovrebbero comunque venire dotati di sostegni specifici di
mediazione linguistico-culturale) occorre adottare strumenti più flessibili
come quelli forniti dalla formazione permanente e continua che permettono
una maggiore articolazione fra lavoro e formazione. In questo senso, occorrerebbe stimolare un ruolo più attivo delle aziende e delle agenzie di somministrazione di lavoro che impiegano personale straniero e che beneficerebbero
della riqualificazione della propria manodopera.
Passando invece al piano dell’attivazione di interventi e servizi per il lavoro specificamente mirati ai lavoratori immigrati, essi dovrebbero in primo
luogo intervenire su quei bisogni e criticità che, come evidenziato anche dalla
nostra indagine, appaiono legati alla condizione di segregazione occupazionale, all’eccessiva dipendenza dei destini occupazionali dalle reti informali di
connazionali, alla precarietà dello status giuridico ed alla difficoltà di stabilizzare i rapporti di lavoro, alla svalutazione del capitale umano ed al processo
di dequalificazione lavorativa.
In tema di qualificazione professionale, un punto cruciale è costituito dal
riconoscimento della professionalità già acquisita dall’immigrato lavoratore
nel paese di origine o attraverso precedenti esperienze lavorative. È un pro142
blema che dovrebbe essere affrontato in senso universalistico e pertanto riportato nell’ambito del sistema di Certificazione Nazionale delle Competenze
che si sta predisponendo nel nostro Paese e su cui si sta lavorando per armonizzarsi con gli orientamenti comunitari12. Tuttavia, poiché il nuovo sistema
nazionale richiederà inevitabilmente tempi di implementazione non brevi,
rimane l’urgenza non più eludibile di fornire risposte istituzionali strutturate
intermedie. Il riconoscimento e la certificazione delle competenze assumono
infatti un ruolo centrale nello sviluppo del percorso professionale di ciascun
individuo e nel caso degli immigrati l’impossibilità di far valere le proprie
credenziali formative e professionali è un reale fattore di discriminazione che
sta già avendo conseguente negative. Per questo sono auspicabili iniziative
locali, anche sperimentali, che vadano verso la costruzione di un dispositivo
accreditato di riconoscimento delle competenze, basato su una metodologia
condivisa e riconosciuta dai diversi soggetti interessati (amministrazioni locali, imprenditori, parti sociali, operatori del settore). L’iniziativa, peraltro,
costituirebbe un valido apporto in previsione del varo del libretto formativo
regionale che il legislatore ha inteso introdurre quale strumento principe per
garantire a ogni cittadino la spendibilità delle competenze acquisite in modo
formale, non formale e informale13.
A parte i casi di particolare carenza istituzionale come quello appena esaminato, gli interventi specificamente mirati ai lavoratori immigrati dovrebbero essere il più possibile tesi ad annullare quel deficit conoscitivo e di opportunità che caratterizza la condizione di immigrato al fine di garantire un’inclusione imparziale dei lavoratori stranieri all’interno del sistema produttivo
ed occupazionale. Un punto di forza di questo approccio è che normalmente
non si ratta di costituire nuove strutture dedicate e riservate agli immigrati ma
di valorizzare la rete dei servizi già esistenti, ovviamente potenziandoli e qualificandoli per far fronte alle peculiarità di cui gli immigrati sono portatori.
12. Da molti anni l’Unione europea sta promuovendo l’adozione di modelli comuni di certificazione dell’apprendimento e delle competenze, finalizzato al miglioramento della coesione
sociale all’interno dell’Unione, allo sviluppo in ambito comunitario dell’apprendimento lungo
tutto l’arco della vita e, ultimamente, in appoggio alla Strategia di Lisbona adottata nel 2000
che prevede la costruzione di un’economia europea basata sulla conoscenza.
13. L’articolo 2 del Decreto Legislativo 276/03 “Attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30” definisce “il
‘libretto formativo del cittadino’: libretto personale del lavoratore definito, ai sensi dell’accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000, di concerto tra il Ministero del lavoro e delle Politiche
Sociali e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, previa intesa con la
Conferenza unificata Stato-Regioni e sentite le parti sociali, in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa e effettuata da soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze acquisite in modo
non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate”.
143
I servizi e le azioni dovrebbero, inoltre, seguire una logica generale che
tenda a superare la rigida separazione tra interventi rivolti alla occupabilità o
alla adattabilità del lavoratore. Andrebbe, in sostanza, considerato che lo
stato occupazionale dei lavoratori immigrati può mutare anche rapidamente
ed avere confini imprecisi, con ripetuti passaggi dalla disoccupazione all’occupazione più o meno precaria. Come abbiamo potuto osservare nell’esperienza pilota, per gli immigrati i due aspetti dell’occupabilità e dell’adattabilità sono quanto mai intrecciati e più che accrescere la loro capacità di trovare
lavoro, gli interventi dovrebbero tendere a rafforzare la loro posizione sul
mercato del lavoro creando ambiti di visibilità e riconoscimento delle competenze possedute, predisponendo percorsi di sviluppo professionale e fidelizzazione aziendale, istituendo sostegni concreti alle fragilità peculiari riferite alla
condizione di immigrato straniero, prime fra tutte quelle legate all’incertezza
dello status giuridico e alla debole conoscenza della società ospite. Le azioni
di contrasto della disoccupazione dovrebbero, quindi, il più possibile fare leva
su una migliore articolazione fra lavoro e formazione, offrendo concrete occasioni di empowerment ai lavoratori immigrati quando sono ancora occupati.
Un terzo aspetto che le politiche specifiche rivolte ai lavoratori immigrati
dovrebbero includere è lo sviluppo di solide partnership tra le istituzioni ed i
diversi soggetti che intervengono sul mercato del lavoro (imprenditori, associazioni sindacali, enti di formazione, agenzie del lavoro, ecc.) con il duplice
scopo di rendere più efficaci gli interventi e, su un piano di più ampio respiro,
di rendere più manifesto e socialmente apprezzato il lavoro degli immigrati
attraverso azioni concertate di inserimento nell’occupazione regolare. Nel
campo della formazione e dello sviluppo professionale, ad esempio, specifici
accordi tra aziende, centri per l’impiego ed enti di formazione per l’erogazione di percorsi formativi, potrebbero più facilmente strutturare interventi dotati
di modalità e tempi di erogazione compatibili con il lavoro. Inoltre sarebbe
possibile tenere conto di specifiche esigenze aziendali o di comparto, eventualmente da modulare entro l’acquisizione di nuove competenze ed il recupero e l’aggiornamento dell’esperienza professionale pregressa. Un ulteriore
beneficio da non sottovalutare nel promuovere azioni di empowerment nell’ambito di accordi con le aziende è il superamento delle frequenti resistenze
aziendali a riconoscere la nuova professionalità acquisita, con conseguenze
quali il sotto-inquadramento contrattuale e, in alcuni casi, l’interruzione della
collaborazione.
Con l’adozione di questo approccio, le politiche del lavoro specifiche per i
lavoratori immigrati potrebbero incentrarsi sui due principali strumenti di
policy oggi disponibili: i servizi all’impiego (con la loro funzione di orientamento e accompagnamento al lavoro e, dove attivata, di intermediazione
domanda/offerta) ed i servizi di formazione professionale (con la loro capacità di riconoscere e valutare le competenze professionali e di svilupparle
anche in funzione delle richieste del mercato). Nel prossimo paragrafo cer144
cheremo di fornire alcune indicazioni operative, delineando una possibile
tipologia di intervento dei servizi all’impiego in risposta a diverse fasce di
bisogno.
5.3. Alcune indicazioni operative: una tipologia di intervento dei
servizi all’impiego
Seguendo le linee guida appena illustrate, è possibile tracciare un’ipotesi
concreta di interventi che potrebbero progressivamente essere adottati dai servizi per l’impiego per supportare l’inserimento socio-professionale degli
immigrati stranieri. La proposta non esaurisce certo le possibilità degli interventi pubblici per il lavoro che in realtà si possono avvalere di numerosi altri
strumenti e raggiungere altre fasce di bisogno. Le indicazioni di seguito riportate saranno, pertanto, circoscritte ai bisogni finora rilevati dalla ricerca e riferite alle concrete possibilità operative realisticamente attivabili dagli attuali
servizi. Per consentire un’articolazione più operativa degli interventi, le debolezze e le criticità sperimentate dagli immigrati sul mercato del lavoro sono
state ordinate su tre fasce di bisogno.
La proposta si basa, inoltre, sulla distinzione tra due principali ambiti di
intervento corrispondenti ad altrettante categorie di problemi che l’immigrato
si trova ad affrontare e che impediscono una normale fruizione dei servizi a
carattere universalistico. Queste categorie di problemi sono strettamente correlate al livello di inserimento ed integrazione raggiunti dall’immigrato nella
società ospite e nel mercato del lavoro. Per essere efficace, l’intervento pubblico deve necessariamente differenziare i propri strumenti, riconoscendo che
l’utenza immigrata non è un gruppo sociale uniforme ma un insieme alquanto
eterogeneo di soggetti che richiedono una de-standardizzazione dei servizi di
aiuto.
Si possono così distinguere:
• Misure per la facilitazione dell’accesso: interventi che hanno lo scopo di
colmare le lacune conoscitive, le difficoltà di comprensione (linguistiche
e culturali), gli impedimenti sociali degli immigrati stranieri che, in
quanto nuovi arrivati, devono essere socializzati nei rapporti con le istituzioni, i servizi, le procedure. Sono interventi giustificati da svantaggi
obiettivi propri della popolazione immigrata e devono tendere a guidare
gli utenti verso un accesso autonomo ai servizi destinati all’intera collettività.
• Misure di accompagnamento: interventi che hanno lo scopo di sostenere e
guidare l’immigrato nei percorsi di inserimento lavorativo e nel consolidamento socio-professionale, rimuovendo tangibilmente le barriere e le
145
discriminazioni che impediscono il pieno inserimento paritario dell’immigrato nel mercato del lavoro.
Nella proposta che segue, per ciascun livello di bisogno vengono evidenziati i principali obiettivi operativi ed i relativi tipi di intervento ritenuti più
idonei a conseguirli.
1. Bisogni informativi di base e di relazione con i servizi.
Questo primo livello riguarda essenzialmente i bisogni basilari dovuti alla
condizione di immigrato straniero. Si tratta di bisogni di tipo conoscitivo
(legati all’informazione frammentata e incompleta e alla complessità della
normativa sull’immigrazione) e orientativo (legati a risposte inadeguate ricevute rispetto ai bisogni extralavorativi, a rinvii erronei e/o inefficaci verso i
vari servizi, alle difficoltà di accesso e di percorso nei servizi per l’impiego).
Rientra in questo livello anche il superamento di quegli ostacoli sociali presenti, spesso inconsapevolmente, nelle stesse modalità di funzionamento dei
servizi per garantire un’effettiva parità di trattamento e di opportunità nelle
procedure e negli strumenti tecnici utilizzati. Gli interventi dovrebbero
modellarsi intorno a tre principali obiettivi:
1.1. Diffondere informazioni in modo organico e aggiornato.
Si tratta di sviluppare azioni di tipo informativo specificamente dedicate
ai lavoratori stranieri, ma anche ai datori di lavoro che impiegano immigrati. Un esempio positivo è l’azione informativa da condurre (con l’eventuale aiuto delle istituzioni consolari e delle organizzazioni del privato-sociale) verso le comunità di immigrati presenti sul territorio tramite
la diffusione di materiale informativo in lingua e incontri ad hoc. Si
potrebbe inoltre predisporre un sito web dedicato, con caratteristiche di
visibilità, facilità di accesso, versione multilingue ma soprattutto con
garanzia di aggiornamento costante delle informazioni e con possibilità
di forte interattività. Al sito si potrebbe eventualmente affiancare una
linea telefonica dedicata tramite cui lavoratori stranieri o datori di lavoro
possono sottoporre i loro quesiti a personale competente e aggiornato.
1.2. Facilitare l’accesso ai servizi per l’impiego.
In base ai risultati dell’esperienza pilota condotta, questa funzione può
essere efficacemente svolta tramite l’istituzione in via permanente di un
Servizio di mediazione linguistico-culturale presso i Centri per l’impiego. Il servizio dovrebbe innanzitutto fornire agli immigrati che giungono
al Centro per l’impiego un primo orientamento all’utilizzo appropriato
dei servizi per il lavoro e dovrebbe provvedere a un’attenta informazione
per quei bisogni extralavorativi che richiedono un rinvio ad altri enti o
servizi. I mediatori linguistico-culturali potrebbero inoltre fornire, quando richiesto, un supporto specifico ai colloqui di accoglienza e orienta146
mento di base e affiancare gli operatori dei vari uffici del Centro per
l’impiego nei casi di utenza straniera con particolare difficoltà.
1.3. Migliorare metodi e strumenti dei servizi all’impiego rispetto alla specificità della nuova utenza.
Un primo aspetto riguarda la qualificazione delle risorse umane interne ai
diversi uffici dei Centri per l’impiego per consentire lo sviluppo di relazioni efficaci con l’utenza straniera. Si può così prevedere, come azione
di sistema, la realizzazione periodica di brevi corsi di aggiornamento
informativo/formativo centrati sulle tematiche migratorie, eventualmente
da estendere anche agli operatori dei servizi formativi e dei servizi specialistici di orientamento e accompagnamento al lavoro collegati ai
Centri per l’impiego.
Una seconda azione di sistema riguarda il monitoraggio costante, in chiave inclusiva e multiculturale, delle procedure, delle metodologie e degli
strumenti adottati dai servizi nello svolgimento delle loro funzioni ordinarie (da quelle amministrative a quelle di orientamento e pre-selezione).
Si tratta, in sostanza, di fornire una risposta organizzativa ad un problema
considerato inevitabile in un contesto di continue innovazioni (normative,
procedurali, tecnologiche, ecc.) costituito dal crearsi di nodi critici, non
intenzionali, di potenziale discriminazione.
Un ultimo aspetto riguarda l’esigenza di coordinamento interno delle
funzioni e delle attività finora descritte, in modo da garantire continuità e
sviluppo alle azioni, nonché impulso ad interventi innovativi. In questo
senso, andrebbe valutata l’opportunità di costituire un riferimento organizzativo interno che, oltre al coordinamento delle attività possa garantire
la raccolta e la diffusione di informazione aggiornata rivolta agli operatori dei servizi (dati territoriali, informazioni sul mercato del lavoro, normativa, procedure, progetti e iniziative dell’ente e di altri soggetti operanti sul territorio, ecc.).
2. Bisogni di orientamento al lavoro e sostegno sociale.
Il secondo livello comprende i bisogni più propriamente legati alla ricerca
del lavoro, all’inserimento sociale e alla stabilizzazione nella società ospite. Tra
le maggiori criticità figurano la dipendenza dalle reti informali di reclutamento
lavorativo (i network su base etnica), la mancanza di strumenti per collegare lo
sviluppo professionale al progetto migratorio, la vulnerabilità della condizione
giuridico-amministrativa. In questo caso, due sono gli obiettivi individuati:
2.1. Fornire un orientamento al lavoro coerente con il progetto migratorio
personale.
Poiché i bisogni variano da gruppo a gruppo, da individuo a individuo
nella varietà delle situazioni e si modulano con fattori quali l’età, il genere, la condizione occupazionale, lo status amministrativo, il progetto
migratorio, il capitale umano e le aspirazioni professionali, tenere conto
di questo principio basilare significa evitare modalità che, in nome della
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standardizzazione operativa, si rivelino da subito inefficaci. Le azioni di
orientamento dovrebbero perciò differenziarsi (per contenuti, metodi e
modalità organizzative) considerando le caratteristiche dell’utenza effettiva e orientandosi almeno su due livelli di moduli orientativi.
Si possono così prevedere moduli di orientamento per immigrati neoarrivati (tipicamente giunti in Italia a seguito di ricongiungimenti familiari o per matrimonio con cittadini italiani) finalizzati all’auto-valutazione
delle capacità personali e professionali, alla definizione di un progetto
professionale o formativo coerente con il proprio progetto migratorio,
alla conoscenza del contesto sociale/culturale/lavorativo locale, all’acquisizione delle metodologie di ricerca attiva del lavoro, alla informazione
sui luoghi e le strutture utili alla ricerca del lavoro.
Con caratteristiche diverse dovrebbero essere progettati i moduli di
orientamento al lavoro rivolti a chi è già inserito nella realtà sociale e
lavorativa italiana e non si trova necessariamente in uno stato di disoccupazione. Questi moduli dovrebbero essere organizzati con modalità flessibili e con durata variabile, possibilmente realizzati attraverso una partnership allargata che veda operare in sinergia i Centri per l’impiego, gli
enti di formazione professionale, le agenzie del lavoro e le aziende.
Per rendere realmente efficace l’orientamento ricevuto, soprattutto nel
caso di immigrati disoccupati particolarmente deboli, i moduli orientativi
dovrebbero essere seguiti da azioni di accompagnamento nella ricerca
attiva del lavoro condotte da orientatori dotati di formazione specifica in
campo migratorio, con il fine di individuare strategie personalizzate nella
ricerca del lavoro, definire un piano di azione concreto e fornire un aiuto
alla sua realizzazione e alla sua verifica.
2.2. Facilitare la permanenza nel percorso orientativo, sostenendo l’inserimento sociale ed il mantenimento della regolarità del soggiorno.
Per affrontare efficacemente la sfida posta da questo secondo obiettivo,
sarebbe di grande utilità l’introduzione della figura del tutor interculturale che potrebbe prendere in carico il lavoratore immigrato e costituire un
riferimento costante durante la fruizione dei servizi orientativi specialistici e nella risoluzione delle difficoltà incontrate. Questa funzione di tutoraggio individuale potrebbe essere fornito dall’evoluzione professionale
dell’attuale figura del mediatore linguistico-culturale e dovrebbe comprendere anche la funzione di accompagnamento riguardo alle principali
sfere di bisogno sociale extralavorativo (status amministrativo e pratiche
per il soggiorno regolare, abitazione, salute, aspetti educativi e formativi,
ecc.) assicurando un rinvio guidato ai servizi competenti.
3. Bisogni di sviluppo e promozione socio-professionale
Quest’ultimo livello riguarda il vero e proprio empowerment a sostegno
dell’occupabilità e dell’adattabilità dei lavoratori immigrati che mostrano una
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debolezza sul mercato del lavoro legata ad un’inadeguata progettualità professionale, a lacune nella professionalità, a processi di dequalificazione e ad una
mancata visibilità e/o riconoscimento delle competenze possedute. Anche per
questo livello gli obiettivi sono due:
3.1. Rafforzamento della posizione sul mercato del lavoro tramite il sostegno
alla progettualità personale, all’empowerment e allo sviluppo professionale.
Le azioni possono essere alquanto articolate e andrebbero concepite
come un insieme di servizi a struttura modulare da attivare secondo le
esigenze specifiche. Sono questi gli interventi che più richiedono una
vera partnership tra le istituzioni ed i diversi soggetti che intervengono
sul mercato del lavoro (imprenditori, associazioni sindacali, enti di formazione, agenzie del lavoro, ecc.) allo scopo di aumentare l’efficacia
degli interventi e di estendere l’apprezzamento sociale verso il lavoro
degli immigrati. In modo concertato tra i diversi soggetti, si possono prevedere:
- Azioni di bilancio di competenze particolarmente mirate ai lavoratori
immigrati occupati e in cerca di un’effettiva promozione socio professionale, in cui si vanno a individuare ed esplicitare le competenze professionali possedute dal lavoratore straniero.
- Accertamento delle competenze professionali tramite prove teoricopratiche curate dai centri di formazione professionale ed eventualmente
da altri enti di formazione convenzionati. L’accertamento può essere
previsto anche a seguito di bilanci di competenza o dei moduli di orientamento al lavoro previsti nel livello precedente. Occorre naturalmente
predisporre metodologie e strumenti di accertamento e di documentazione delle competenze che siano il più possibile riconosciuti e condivisi da una pluralità di soggetti, in modo da garantire l’effettiva spendibilità della certificazione rilasciata sul mercato del lavoro locale.
- Moduli brevi di integrazione formativa, curati dagli stessi enti di formazione professionale per sopperire alle lacune presenti nella professionalità espressa dagli utenti in sede di accertamento delle competenze
o in altri momenti del percorso. Tra i momenti formativi andrebbero
previsti anche corsi di lingua italiana in sinergia con enti locali, enti di
formazione professionale e terzo settore. La scarsa padronanza linguistica costituisce infatti un importante ostacolo allo sviluppo di carriera
e, soprattutto nel caso di professionalità elevate, l’insufficiente conoscenza dell’italiano o del linguaggio tecnico specialistico impedisce
l’effettivo esercizio delle competenze e delle capacità tecnico-professionali possedute.
- Azioni di informazione, orientamento e accompagnamento individuale
per la richiesta di riconoscimento legale dei titoli di studio e degli attestati formativi conseguiti all’estero.
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3.2. Facilitare la permanenza nel percorso di empowerment, fornendo sostegno all’inserimento sociale e al mantenimento della regolarità del soggiorno.
Questo obiettivo ripropone quanto già indicato nel livello precedente
riguardo al tutoraggio individuale. Infatti, anche in questo caso, vi è la
necessità di mitigare gli ostacoli che interferiscono sul lineare svolgimento dei percorsi. Per questo livello di intervento, inoltre, si aggiunge l’esigenza di strutturare un supporto di mediazione linguistico-culturale direttamente in appoggio alla predisposizione e alla realizzazione delle singole azioni: assistenza allo staff per identificare le corrispondenze dell’attestato professionale o del titolo studio estero, organizzazione delle prove
di accertamento, aiuto alla comprensione linguistica e interculturale tra
utente e staff, spiegazione dei criteri e dei parametri di valutazione, sostegno alla comprensione del materiale didattico dei corsi.
L’insieme delle azioni indicate all’interno di ciascuno dei tre livelli di
intervento costituiscono altrettanti set organici di attività che difficilmente
possono essere scorporate senza ricadute negative in termini di efficacia.
L’implementazione dei tre livelli, invece, può essere concepita con una modalità di estensione progressiva in relazione agli orientamenti dei decisori, alle
risorse disponibili e allo sviluppo delle capacità organizzative dei servizi.
In conclusione, attraverso la presentazione di questa ipotesi di intervento da
parte dei servizi all’impiego abbiamo inteso fornire un contributo, puntuale ma
anche flessibile, al confronto oggi in corso a livello di governo locale su quali
politiche del lavoro adottare per l’integrazione dei lavoratori immigrati nel
mercato del lavoro e per la loro promozione socio-professionale. L’inserimento
lavorativo è certamente solo uno degli aspetti dell’integrazione sociale e culturale della popolazione immigrata nella nostra società, ma ne rappresenta il
requisito fondamentale per un inserimento armonioso. Andare oltre i propositi
solidaristici nei confronti degli immigrati significa cogliere l’opportunità che
essi rappresentano per la nostra società e per il nostro mercato del lavoro, non
sprecare la risorsa costituita dal loro patrimonio intellettuale, culturale e tecnico, prepararci concretamente ad una società al plurale in cui convivere con
vicendevole rispetto, dignità e condizioni reciprocamente arricchenti.
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