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via Beato Pellegrino, 1 padova It a l o C a l v in o La speculazione edilizia (19 57 ) La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera. (…) A***, la città di Quinto, un tempo circondata da giardini ombrosi d’eucalipti e magnolie (…) ora le scavatrici ribaltavano il terreno fatto morbido dalle foglie marcite o granuloso dalle ghiaie dei vialetti, e il piccone diroccava le villette a due piani, e la scure abbatteva in uno scroscio cartaceo i ventagli delle palme di Washingtonia, dal cielo dove si sarebbero affacciate le future soleggiate-tricamere-servizi. Quando Quinto saliva alla sua villa (…) ora più nulla non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri. Alzare gli occhi dal libro (leggeva sempre, in treno) e ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio – il muro, il fico, la noria, la scogliera – le cose viste da sempre di cui soltanto ora, per esserne stato lontano, s’accorgeva: questo era il modo in cui tutte le volte che vi tornava, Quinto riprendeva contatto col suo paese, la Riviera. (…) Però ogni volta c’era qualcosa che gli interrompeva il piacere di quest’esercizio e lo faceva tornare alle righe del libro, un fastidio che non sapeva bene neanche lui. Erano le case: tutti questi nuovi fabbricati che tiravano su, casamenti cittadini di sei, otto piani, a biancheggiare massicci (…) affacciando più finestre che potevano verso il mare. La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera. (…) A***, la città di Quinto, un tempo circondata da giardini ombrosi d’eucalipti e magnolie (…) ora le scavatrici ribaltavano il terreno fatto morbido dalle foglie marcite o granuloso dalle ghiaie dei vialetti, e il piccone diroccava le villette a due piani, e la scure abbatteva in uno scroscio cartaceo i ventagli delle palme di Washingtonia, dal cielo dove si sarebbero affacciate le future soleggiate-tricamere-servizi. Quando Quinto saliva alla sua villa (…) ora più nulla non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri. Quinto reagiva sempre buttandosi dall’altra parte, abbracciando tutto quel che era nuovo, in contrasto, tutto quel che faceva violenza, e anche adesso lì, a scoprire l’avvento d’una classe nuova del dopoguerra, d’imprenditori improvvisati e senza scrupoli, egli si sentiva preso da qualcosa che somigliava ora a un interesse scientifico (“assistiamo a un importante fenomeno sociologico, mio caro..”) ora a un contraddittorio compiacimento estetico. La squallida invasione del cemento aveva il volto camuso e informe dell’uomo nuovo Caisotti. It a l o C a l v in o le citta’ invisibili (19 72) La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra le lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentrificio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate e vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. (…) Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, so sovrastano, si mescolano. Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe finalmente monde. Un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. P a ol o v ol p on i le mosche del capitale (19 89 ) Saraccini guarda dall’alto della collina la grande città industriale che si estende nella pianura, spianata dalla notte oltre se stessa fino a sparire tra i riflessi del fiume e le fumate dei campi. Egli è sereno e gode soddisfatto quella vista e del generale silenzio. “E sì, è proprio un altro grande generale, il silenzio”, confida a se stesso e all’universo. Tutto lo spazio intorno, con il fiato trattenuto e cauto ad ogni tonfo, sembra capirlo e ubbidirgli, riconoscergli con premura di essere quasi ricco, quasi innamorato, ancora giovane e forte, il primo nella sua città esemplare e anche nella regione; il più intelligente, equilibrato e capace dei direttori della sua gloriosa Azienda. La grande città industriale riempie la notte di febbraio senza luna, tre ore prima dell’alba. Dormono tutti o quasi, e anche coloro che sono svegli giacciono smemorati e persi: fermi uomini animali edifici; perfino le vie dei quartieri i prati in fondo, le ultime periferie ancora fuori della città, i campi agricoli intorno ai fossati e alle sponde del fiume; anche il fiume da quella parte è invisibile, coperto dalla notte se non dal sonno. Buie anche le grandi antenne delle radiocomunicazioni e dei radar della collina. È un rumore del sonno quello di un tram notturno che striscia tra gli edifici del centro. Gli uomini le famiglie i custodi i soldati le guardie gli ufficiali gli studenti dormono, ma dormono anche gli operai: e non si sentono nemmeno quelli dei turni di notte, nemmeno quelli dei turni di guardia di ronda tra le schiere dei reparti o sotto le volte dei magazzini. Quasi tutti dormono sotto l’effetto del Valium, del Tavor e del Roipnol. Ma dormono anche gli impianti, i forni, le condutture, dormono i nastri trasportatori della scale mobili che depositano le posizioni chimiche nelle vasche della verniciatura o nei lavelli delle tempere. Dorme la stazione ferroviaria, dormono anche le farmacie notturne, le porte e le anticamere del pronto soccorso, dormono le banche: gli sportelli le scrivanie i cassetti le poste pneumatiche le grandi casseforti i locali blindati; dormono l’oro l’argento i titoli industriali: dormono le cambiali i certificati mobiliari i buoni del tesoro. Dormono i garzoni con le mani sul grembiule o dentro i sacchi di segatura. Dormono le prostitute i ladri gli sfruttatori le bande organizzate, i sardi e i calabresi; dormono i preti i poeti gli editori i giornalisti, dormono gli intellettuali; quanto caffè, alcool, fumo tra quelle ore. E mentre tutti dormono il valore aumenta, si accumula secondo per secondo all’aperto o dentro gli edifici. Dormono i calcolatori, ma non perdono il conto nei loro programmi. È un problema di ordine, efficienza, produzione. Saraccini confida negli psicofarmaci e nei calcolatori. Capiranno i giornali, i finanzieri, i direttori, i tecnici, i giovani specializzati, i consigli d’amministrazione, i contabili, i sindacalisti di fabbrica, quelli provinciali e nazionali, poi i sindaci, i politici, e poi i vertici della confindustria, dell’IRI, e poi i ministri e gli editori. Tutti dovranno capire il primato sociale, culturale, scientifico dell’industria: e lo stesso capitale dovrà sottomettersi e seguirne le ragioni. Il capitale verrà rinnovato e regolato dall’industria. Il midollo spinale dei nastri crepita, memoria e calcolo, come nel sonno il sangue circola, l’inconscio dilaga, il sogno si versa, il cervello si alimenta di nuovi scatti per i pensieri di domani. Già al primo risveglio sul lavandino sulla tazza o ancora prima sul sapore del cuscino, cresce spinto dalla vita di tutto e di tutti, il corpo e il valore del capitale. Mai un istante, anche nelle più cupe notti, cessa di crescere e prevalere; si sposta si assesta recupera forze distribuisce risorse immagina e progetta nuove strategie delinea nuovi organi e nuove facoltà. Il sonno si spande senza alcuna innocenza, e non per fisico gravame, ma come ulteriore dato e calcolo delle compatibilità favorevoli al capitale. Tutta la città gli è sottoposta; così ciascun dormiente, ciascuno nel suo posto e letto, nel proprio sonno come in quello più grande e generale che si svuota di vapori. Il calcolatore guida e controlla, concede rincorre codifica assume imprime. Dormono anche i padroni e i custodi del calcolatore, dorme la loro coscienza vigilata da infiniti sistemi d’allarme, elettronici quanto morali, sociali politici biochimici. Ronza nel grande sonno il palazzo degli uffici, anch’esso in riposo, staccato isolato da novantotto delle sue cento correnti: restano le guardie, i ronzii dei commutatori, le bocche dei revolvers, le garitte dei turni, i quadranti degli orologi, quelli di rappresentanza del grande salone d’ingresso e delle sale d’attesa. Ogni cinque minuti scatta il calcolo degli interessi, ogni dieci quello del tasso d’inflazione, ogni mezz’ora, avendo intanto percorso il giro del mondo, l’indice di costo delle principali materie prime, ogni tre ore l’indice del valore del dollaro e del marco svizzero, seguito dopo venti minuti da quello di tutte le altre monete del mondo. […] Saraccini guarda, ma non commenta: tramortito dalla potenza dell’avvenimento che lo investirà all’apertura della giornata, già prossima alla sua alba. n ic ol a l a g ioia riportando tutto a casa (2009 ) Se conoscesse la geografia cittadina, se solo non avesse passato tutta l’infanzia in un incubatoio fatto di abitazioni signorili e associazioni filantropiche, concluderebbe che lo Sghigno imbocca il lungomare verso San Giorgio oppure si muove in direzione di Japigia. Invece pensa solo: Per di qua o per di là. Così, camminando sotto il sole di maggio, scopre che il suo mondo rappresenta un’infinitesima porzione di quell’aperta vastità cittadina che è Bari negli anni ottanta. Chi l’avrebbe mai detto? Solo spostandosi di qualche chilometro a est, le boutique scompaiono del tutto, i palazzi pieni di stucchi cedono il posto all’imponente architettura del Ventennio che a sua volta si disperde sui primi marciapiedi in stato di rovina e sull’asfalto maculato di fili verdi e gialli. Mezz’ora fa era un asfalto servizievole, adesso è un ribollente e selvaggio manto nero che si dilata in ogni direzione sotto un sole che picchia in verticale sulla testa. Ecco, pensa Vincenzo – questo paesaggio desolato gli assomiglia. Senza più il bisogno di inseguire il profilo della station wagon, inizia a farsi trascinare dalla deriva di panchine divelte, lampioni fulminati, strade interrotte, grandi dune fatte di buste d’immondizia. Si muove con diffidenza tra reticolati di metallo messi a protezione di un giacimento aureo di pratoline. Costeggia montagne di mattoni abbandonati a bordo strada e costruzioni solitarie con la porta sbarrata da due assi di legno. Non pensa più: dove sono capitato? perché la perdita d’orientamento per così dire orizzontale è meno vertiginosa rispetto a questo andare giù sempre più morbido e più lento. don de l il l o underworld (19 9 7 ) Costruivamo piramidi di rifiuti sopra e sotto la terra. Quanto più erano pericolosi, tanto più a fondo cercavamo di inabissarli. La parola plutonio veniva da Plutone, dio dei morti e signore degli inferi. […] Uso questa parola (Weltanschauug) perché da qualche parte delle sue profondità c’è un sussurro di contemplazione mistica che sembra assolutamente appropriato al tema dei rifiuti. […] Perché i rifiuti sono la storia segreta, la sottostoria, il modo in cui gli archeologi dissotterrano la storia delle culture precedenti, ogni mucchio d’ossa e strumento rotto, letteralmente da sotto la terra. don de l il l o l’uomo che cade (2008) Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche, Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili. Nell’aria c’era ancora il boato. Il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti sovrannaturali nel sudario del mattino. (…) Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. c orma c m a c c a r t h y la strada ( 2 006 ) Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche, Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili. Nell’aria c’era ancora il boato. Il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti sovrannaturali nel sudario del mattino. (…) Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. suggerimenti bibliografici G. Amendola, La città postmoderna. Magie e paure nella metropoli contemporanea, Laterza, 1997 Marc Augé, Tra i confini. Città, luoghi, interazioni, Bruno Mondadori, 2008 Id., Un Etnologo nel metrò, Eleuthera. 2007 Id., Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, 2005. Franco La Cecla, Perdersi, l’uomo senza ambiente, Laterza, 2002 Antony Vilder, Il perturbante dell’architettura. Saggi sul disagio nell’età contemporanea, Einaudi. 2002. J. Baudrillard e Jean Nouvel, Architettura e nulla. Oggetti singolari, Electa. 2003. n o n p e r d e t e v i a n che g l i a l tri a p p un ta m en ti di i n f r a s c r i t t ure da l 15 a l 17 m a g g i o: 15 maggio Ore 18.30 - Centro Universitario, via Zabarella 82 La caduta - Genesi e Apocalisse all’alba del Terzo Millennio con Giovanni Cocco e Giulio Mozzi Ore 20.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Proiezione con l’autore di Piran/Pirano e del corto Mio figlio, maniaco del sesso di Goran Vojnović 16 MAGGIO Ore 15.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Maša Kolanović e la città in transizione nella prosa croata contemporanea - a cura di Maja Cvjetičanin e Neira Merčep, con Maša Kolanović Ore 16.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Goran Vojnović e le identità frastagliate della Lubiana di oggi - a cura di Polona Liberšar e Neira Merčep, con Goran Vojnović Ore 17.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Petra Hůlová e gli scenari dell’immigrazione nel contesto urbano praghese - a cura di Leontyna Bratankova con Petra Hůlová Ore 20.30 - Enoteca il Gottino, via delle Piazze 16 Serata Letteraria: letture con gli autori ospiti e premiazione del Contest Letterario: Infrascritture, racconta la città - con Luca Lunardi, reading di Emanuele Piovene e musica di Pietro Berselli 17 MAGGIO Ore 15.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Matteo Marchesini: Atti mancati - Trent’anni a Bologna con Matteo Marchesini (candidato Premio Strega 2013), Antonio Lauriola e Isacco Tognon Ore 16.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Periferie culturali a Nordest: marginalità e degrado intellettuali nel Triveneto - Tavola rotonda con Stefano Allievi, Romolo Bugaro e Francesco Maino. Moderatori dell’incontro Alice Campagnaro e Tommaso De Beni Ore 17.00 - Centro Universitario, via Zabarella 82 Dorin Mureşan, un “traumista” transilvano sulla via della redenzione - a cura di Raluca Lazarovici-Vereş (GE-Associazione Nube, Ratio et Revelatio, Oradea) con Dorin Mureşan