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scheda tecnica
durata: 110 minuti
nazionalità: USA
anno: 2004
regia: MICHAEL MOORE
soggetto: MICHAEL MOORE
sceneggiatura: MICHAEL MOORE
produzione: MICHAEL MOORE PER DOG EAT DOG PRODUCTION E MIRAMAX
FILMS
distribuzione: BIM DISTRIBUZIONE
fotografia: MIKE DESJARLAIS
montaggio: KURT ENGFEHR, T. WOODY RICHMAN, CHRISTOPHER SEWARD
musiche: JEFF GIBBS
MICHAEL MOORE
Biografia
Nasce il 23/4/1954 a FLINT, Michigan (USA).
Destinato ad un futuro da impiegato nella General
Motors, a 22 anni decide di tentare la via del
giornalismo e fonda il 'Flint Voice', un quotidiano
locale che dirige per dieci anni. Alla fine degli anni
'80 inizia l'attività di documentarista con Roger
and Me (una curiosità: per trovare i fondi per la
realizzazione della pellicola organizza a casa sua
delle giocate a Bingo) un film assai apprezzato
dall'opinione pubblica americana, con il quale il
regista lancia un feroce atto d'accusa nei confronti
del presidente della General Motors, Roger Smith,
e ritrae il disagio sociale dei numerosi operai
espulsi dal mercato del lavoro in seguito alla
chiusura di una fabbrica della società nel
Michigan. Il successo commerciale gli permette di
fondare la 'Dog Eat Dog', una casa di produzione
con cui realizza le serie televisive al vetriolo TV
Nation (1994/95) e The Awful Truth (1999), da
lui anche condotte. Nel 1995 dirige il primo
lungometraggio
a
soggetto,
Operazione
Canadian Bacon (uscito postumo, è l'ultima
apparizione sul grande schermo dell'attore John
Candy). Il successo internazionale arriva nel 2002
con il pluripremiato Bowling a Columbine
vincitore, tra gli altri, dell'Oscar 2002 come miglior
film documentario. Durante la cerimonia della
consegna dei premi, non ha smentito la sua fama
di 'personaggio scomodo' e nel suo discorso di
ringraziamento ha duramente attaccato il
presidente degli Stati Uniti George W. Bush
dichiarando: "A nome anche di tutti gli altri
candidati a questo premio, vorrei dire che
purtroppo viviamo in tempi fittizi, in momenti in cui
c'è un presidente fittizio, un uomo che ci manda e
ci porta in guerra per ragioni fittizie. Se la realtà è
fittizia, noi siamo contrari a questa guerra.
Vergogna, vergogna, anche il Papa è contro,
Bush sei finito!". Al suo attivo ha anche i libri
Downsize This! Random Threats from an
Unarmed American, Adventures in a Tv Nation
scritto insieme alla produttrice Kathleen Glynn e
Stupid White Man...and Other Sorry Excuses for
the State of the Nation.
Filmografia
ROGER AND ME - regia, soggetto, sceneggiatura
e attore –1989
CHIEDIAMOLO AGLI ESPERTI - regia –1992
BESTIOLE DA COCCOLE O DA MACELLO:
IL RITORNO DI FLINT - regia, sceneggiatura –
1992
OPERAZIONE CANADIAN BACON FLINT regia, soggetto, sceneggiatura –1995
THE AWFUL TRUTH - regia e attore –1999
MAGIC NUMBERS - attore –2000
BOWLING A COLUMBINE
- regia, soggetto,
sceneggiatura e attore –2002
FAHRENHEIT
9/11
-
regia,
soggetto,
sceneggiatura e attore –2004
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Fahrenheit 9/11. Storia del documentario più visto di tutti i tempi
da www.feltrinelli.it
Prima della guerra in Iraq pensavo di fare un film sui rapporti tra Bush e bin Laden, poi con
la guerra anche il mio film è cambiato e posso anticipare che almeno metà è sul conflitto,
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Bush e sconfessare le bugie raccontate dal "presidente fittizio", Fahrenheit 9/11 è
diventato una denuncia esplicita della scellerata guerra in Iraq.
Al centro del film è infatti il contrasto tra il dolore reale provato dalle persone che vivono la
guerra sulla propria pelle e il sorriso patinato dei politici che adducono scuse inesistenti
per giustificare una guerra combattuta solo per difendere interessi corporativi. Per questo
non meraviglia che un film del genere abbia incontrato numerosi ostacoli nel corso della
sua realizzazione. Il documentario, la cui veridicità è stata controllata da èquipe
specializzate, è stato prodotto dalla Disney che ha versato regolarmente le cifre pattuite a
Moore, salvo poi dichiarare che non avrebbe distribuito il film, obbligando la Miramax,
società consociata, a fare altrettanto. A detta di Michael Eisner, amministratore delegato
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pubblico di famiglie. Moore ritiene, invece, che Eisner temesse di perdere quelle
agevolazioni fiscali garantite ai parchi Disney di Orlando dal governatore della Florida, Jeb
Bush (fratello di George W.), che nel film viene accusato di aver manipolato il conteggio
dei voti nel suo stato. E così, senza un distributore negli Stati Uniti, il documentario di
Moore è approdato al festival di Cannes, accolto da una standing ovation di venti minuti.
La pellicola ha entusiasmato da subito e ha convinto la giuria, guidata dal regista Quentin
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ore di Pulp Fiction ha difeso strenuamente la sua scelta nella conferenza stampa –
indetta per la prima volta dopo la consegna del premio –dichiarando: Di Fahrenheit 9/11
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scena in cui il soldato americano mette il braccio intorno al collo del prigioniero iracheno
incappucciato mi ha sconvolto, è un pezzo di cinema memorabile.
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dalla Disney e creato la Fellowship Adventures, una cordata di distributori "temerari"
composta da loro stessi, dai Lions Gate Films e dal gruppo Ifc Entertainments. Questa
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commenti che sicuramente rallegrano di più il regista sono quelli che piovono sul suo sito
da parte di "repubblicani pentiti" che, dopo la visione del film, dichiarano che non
voteranno più per Bush. Nelle sale il film è uscito il 25 giugno e nel giro di un mese ha
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ottenere simili risultati. Ha battuto tutti i record e inaugurato un nuovo modo di fare cinema.
Michael scatenato: colloquio con Michael Moore
di Javier del Pino, tratto da "L'espresso", n.31 2004
Michael Moore è enorme. Nella stanza in cui mi riceve, la poltrona su cui siede sembra sul
punto di cedere e la distanza tra le quattro pareti appare ridotta dal volume della sua
massa corporea. Beve Coca-Cola. È vestito da perfetto americano, "di quelli che vanno in
giro per il mondo parlando ad alta voce e dicendo sciocchezze", sostiene senza mai
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togliersi il berretto da baseball che lui trasforma in una dichiarazione di principio. 'Made in
Canada', si legge a grandi lettere. Faccia a faccia, bisogna avere del coraggio per
dichiararsi nemici di un uomo di tale stazza. Faccia a faccia, nessuno lo fa. Nessuno vuole
discutere con lui. Il suo dominio del populismo e la convinzione di essere nel giusto
trasformano Moore in un fenomeno cinematografico, mediatico e letterario singolare. Tutti
fuggono da Moore: i suoi nemici, per puro disprezzo, e i suoi amici per paura di
contaminarsi con le posizione estreme del cineasta.
"È stato solo un sogno?", chiede Moore agli spettatori nella sequenza che apre il suo
ultimo film, Fahrenheit 9/11. Le immagini, scelte con precisione da stratega politico,
mostrano lo svolgimento di una festa che sembra davvero tratta da un sogno trasformatosi
in incubo: Al Gore celebra su un palcoscenico la sua vittoria elettorale in Florida. Il mondo
intero, compreso Al Gore, aveva ricevuto la notizia della vittoria democratica in quello
Stato durante le ultime elezioni presidenziali. Le televisioni avevano appena detto al
mondo intero e ad Al Gore che George W. Bush aveva perso le elezioni.
Il sogno durò pochi minuti, prima che alcuni mezzi di comunicazione riconoscessero di
aver commesso uno degli errori più vergognosi in una storia che ne contava già tanti.
Fahrenheit 9/11 era nato come denuncia contro il riconteggio dei voti della Florida (che
Moore riteneva fraudolento) e contro la decisione della Corte Suprema (arbitraria e
illegale, secondo il regista) di dichiarare vincitore Bush.
L'11 settembre ha cambiato il senso del film. Dell'idea iniziale, rimane solo la prima
sequenza. Questo è un film pieno di errori, alcuni riportati nelle immagini e altri, secondo
quanto dicono quelli che odiano Moore, commessi apposta dal regista stesso. Moore,
infatti, è molto odiato nel suo paese, tanto che il suo cognome figura al primo posto nella
lista degli American-haters, i cittadini che commettono il peccato sacrilego di criticare il
loro paese (e per di più in tempo di guerra!), come ricorda insistentemente il governo di
Bush. Ora la sinistra ha la sua 'Passione di Cristo', un prodotto cinematografico verso il
quale gli elettori democratici mettono in atto un pellegrinaggio di massa. Non sappiamo se
i repubblicani si affaccino nelle sale a vedere un film che, in definitiva, dimostra la loro
stupidità come elettori per aver votato questo presidente.
Si esce dal cinema obbligatoriamente indignati, alcuni per ciò che si dice, e altri per come
si dice. Il metodo cinematografico di Moore è apertamente demagogico, quasi
manipolatore, ma reclama il suo diritto a raccontare la storia attraverso la sua visione
ideologica. E la dice lunga il fatto che i suoi critici dedichino più tempo a scovare le bugie
di Moore di quanto ne dedicarono a indagare sulle altre bugie, quelle di cui il film ci parla.
Attualmente, Michael Moore è un animale pubblicitario tutto preso da una missione che lui
stesso si è assegnato: fare il possibile perché Bush perda le prossime elezioni.
Nessuno avrebbe potuto usare con più abilità una successione di immagini che erano per
lo più già a disposizione di chi avesse voluto metterle in sequenza. Ma lui, da una parte
taglia, dall'altra aggiunge, si infiltra, fa ridere e fa piangere: tutto è ben confezionato in
modo che Bush, alla fine del film, sia ritratto come Moore ritiene che sia: un perfetto
imbecille.
È solo un sogno? Aveva mai sognato di apparire sulla copertina di 'Time'?
Mai. Non ci avevo mai pensato. Sono ancora in uno stato confusionale.
A Cannes sembrava sincero. Che davvero non si aspettasse di vincere la Palma d'Oro.
Non solo non me lo aspettavo: mi avevano riferito che non me l'avrebbero data.
Quelli della Miramax mi avevano perfino detto che me ne potevo andare.
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E così, se ne è andato.
Sì. Sono andato alla cerimonia di laurea di mia figlia. E proprio mentre stavo lì con
lei, suona il telefono e mi dicono: 'Devi tornare. Ti daranno un premio'. Ma mi
spiegarono che era uno dei premi minori, non la Palma d'Oro.
Nemmeno quando è arrivato ha scoperto che sarebbe stata la Palma d'Oro?
Assolutamente no. Quando mi dissero che mi avrebbero dato la Palma d'Oro mi
ricordai che due anni fa, quando ero lì con Bowling for Columbine, chiamarono
Ken Louch dicendogli di tornare di corsa perché gli avrebbero dato la Palma d'Oro.
Poi non gliela diedero e lui rimase lì seduto. Così, pensai: Dio mio, sarò come Ken
Louch (ride). E quando Tarantino ha detto: Fahrenheit 9/11, ho dovuto ripeterlo
varie volte nella mia testa e chiedermi: sei sicuro che abbia detto Fahrenheit 9/11?
Non è possibile".
Che discorso ha preparato per quando le daranno l'Oscar, l'anno prossimo?
Lei crede davvero che mi faranno salire di nuovo su quel palcoscenico?.
Beh, lei ha dato spettacolo l'anno scorso...
Non credo che sia il tipo di spettacolo che gli piace (e ride).
Dopo quel discorso contro Bush e la guerra in Iraq trasmesso in diretta televisiva, ha più
potuto passeggiare per strada e tornare alla vita di sempre?
No. Tutti i giorni, assolutamente tutti, mi insultavano per strada. Mi dicevano di tutto.
La gente, per strada, mi sputava addosso.
Quando parlo con gente del partito repubblicano o di quello democratico o con uomini
dello staff della campagna elettorale di Bush e Kerry, nessuno vuole darmi un'opinione sul
suo film. È chiaro che i repubblicani vogliono ignorarlo e che i democratici non vogliono
trovarsi vincolati a Fahrenheit 9/11 forse perché lo considerano troppo estremista.
Lei ha ragione, ma mi permetta di dirle che tanto i repubblicani che i democratici
sbagliano a comportarsi così. La Casa Bianca non avrebbe dovuto ignorare questo
film perché adesso è diventato una valanga di neve che scende dalla montagna e
che non possono più fermare. Avrebbero dovuto preparare una riposta invece di
pensare che l'effetto di questo film svanirà con il tempo. Questo non avverrà.
E i democratici? Non si sente deluso dal fatto che non tentino nemmeno di approfittare
dello strumento politico che lei gli ha regalato?
Non sono deluso, ma nemmeno sorpreso. È quello che fa sempre il partito
democratico: non prende mai una posizione concreta su una cosa. Non ha il
coraggio né la forza per reagire. Non fu nemmeno capace di lottare per rivendicare
il risultato delle elezioni che aveva vinto. Il partito democratico è così, è patetico.
Non mi dirà che con questo film non gli fa un favore.
Credo che questo film può servire per salvare il partito democratico dai suoi difetti.
Come vede, io sto facendo il lavoro che toccava a loro in questi tre anni e mezzo.
Per loro, questo film deve essere imbarazzante. Che diranno adesso? (Fa la voce
da scemo) Eeeeh. mi sembra che forse non avremmo dovuto votare a favore di
quella guerra. Eeeeh. mi sembra che forse non avremmo dovuto votare a favore del
Patriot Act (le leggi che limitano la privacy dei cittadini, ndr).
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Ma al suo debutto a Washington era circondato da uomini del Congresso e senatori
democratici.
La metà dei senatori democratici è venuta alla prima e alla fine del film tutti si sono
alzati ad applaudirlo.
Anche Tom Daschle, che nel film fa una pessima figura per aver appoggiato Bush nella
guerra.
Anche Tom Daschle. E non solo è venuto alla prima, ma poi mi ha anche
abbracciato. In fondo, è una brava persona, ma ha bisogno...
Che qualcuno gli dia una spinta?
Esatto. Ha bisogno di una spinta.
Anche John Kerry?
John Kerry è una brava persona. L'ho sempre ammirato fin dai tempi del suo
attivismo contro la guerra del Vietnam. Ma succede anche a lui quello che succede
agli altri democratici: è nervoso e ha paura. Per questo ha votato a favore della
guerra e del Patriot Act. Come può difendere adesso un film che dimostra che quel
voto fu un errore? Ma non mi importa. Glielo dico sinceramente. Quando cominciai
a lavorare a questo film, John Kerry non esisteva. Non è un film contro Bush e pro
Kerry. Parla di cose più importanti: il nostro paese, il resto del mondo....
Fece bene Al Gore ad accettare la sconfitta elettorale quando la Corte Suprema si
espresse a favore di Bush?
Assolutamente no. Avrebbe dovuto chiedere agli americani di scendere in strada a
manifestare senza violenza. Avrebbe dovuto bloccare il paese finché il governo non
fosse stato restituito alla maggioranza. E la maggioranza non ha votato per George
W. Bush.
Crede che gli elettori abbiano imparato la lezione che tutti i voti contano?
Spero che tutti abbiano capito che il proprio voto non è solo un voto in più, ma un
voto che conta molto (nel 2000 Moore votò per il 'verde' Ralph Nader, ndr).
Ci sono pagine e pagine, e immagino anche libri stampati, che cercano di dimostrare che
alcuni dei fatti che lei dà per certi sono falsi. Chi l'aiuterà a dimostrare il contrario?
Ho assunto tre équipe di documentazione e ricerca e tre avvocati. E ho assunto gli
archivisti della rivista 'New Yorker', che ha il dipartimento di documentazione più
rispettato degli Stati Uniti.
Li ha assunti prima o dopo l'uscita del film?
Prima, prima. E quando finii di montarlo, dissi loro : 'Fatelo a pezzi. Trovatemi
qualcosa che sia falso'. E, in molti casi, quello che i miei aiutanti hanno fatto è stato
di darmi ulteriori informazioni di cui non ero a conoscenza sui fatti raccontati dal
film. Tutto quello che dico nel mio film è irrefutabile.
Ci sono, però, dei suggerimenti scorretti. Ci sono cose che lei non dice, ma insinua e lì sta
il trucco.
Mi dica che cosa.
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Lei suggerisce che a un gruppo di potenti cittadini dell'Arabia Saudita, tra cui vari membri
della famiglia Bin Laden, fu permesso di lasciare gli Stati Uniti quando lo spazio aereo era
ancora chiuso. Questo non è vero, partirono quando lo spazio aereo era stato riaperto.
No. Il 13 settembre si organizzò un volo privato da Tampa a Lexington. Il quotidiano
'St. Pettersburg Times' lo ha scritto. Di fatto, la Commissione sull'11 settembre ha
riaperto le sue indagini quando ha saputo che questo aereo volò con il permesso
della Casa Bianca nonostante lo spazio aereo fosse chiuso.
Ma così come lei lo racconta nel suo film sembra che i 142 cittadini sauditi uscirono dagli
Stati Uniti quando lo spazio aereo era chiuso, mentre si trattò solo di un aereo privato e di
un volo nazionale.
Sì, ma quando cominciò a riaprirsi lo spazio aereo permisero subito ai sauditi di
spostarsi in aerei privati per tutto il paese. E quando venne finalmente aperto ai voli
internazionali, erano i primi in fila. I primi avrebbero dovuto essere gli stranieri che
erano qui da nove giorni con i loro biglietti in mano senza poter partire. I sauditi e i
Bin Laden non avevano biglietti. Vivevano qui. Andavano a scuola e lavoravano in
questo paese. Perché li fecero passare per primi? È legittimo chiedersi perché i
sauditi e i Bin Laden vennero messi al primo posto quando erano stati i sauditi e i
Bin Laden ad uccidere 3 mila persone.
Ha cercato la versione del governo saudita?
Non dicono niente. Che devono dire? Che non hanno dato 1.400 milioni di dollari
alla famiglia Bush in investimenti industriali, ai Bush e ai loro amici, nel corso degli
ultimi trent'anni? Possiamo dimostrare che hanno dato fino all'ultimo centesimo di
questa somma, fino all'ultimo centesimo.
Mentre avanzavano i preparativi della guerra contro l'Iraq, lei crede che si sarebbe potuta
evitare l'invasione?
Oh, era inevitabile. Quella decisione era stata presa ancor prima di vincere le
elezioni. Ah, scusi, non vinsero le elezioni, gliele regalò la Corte Suprema. La
guerra in Iraq era pianificata da molto tempo. Per questo, l'11 settembre, Bush dice
a Richard Clark, il capo dell'antiterrorismo della Casa Bianca: 'Che facciamo con
l'Iraq? Andiamo a prenderci l'Iraq!'. E gli dissero: 'Ma che c'entra l'Iraq con tutto
questo?'. E Bush: 'Che me ne importa. Andiamo a prenderci l'Iraq!'. Avevano una
scusa e in quel momento l'opinione pubblica glielo avrebbe lasciato fare.
Quando cominciò la guerra, i mezzi di comunicazione degli Stati Uniti adottarono una
posizione tanto asettica nelle immagini e tanto patriottica nella narrazione che era difficile
sapere davvero ciò che stava succedendo. Erano a favore della guerra anche loro?
I media fanno parte del mondo imprenditoriale. E il loro compito è esaltare chi
comanda.
Il loro compito è anche quello di informare gli elettori o gli spettatori sul numero di vittime
civili nelle guerre.
E dove sono queste informazioni? Non sono mai state pubblicate. Per questo la
gente piange durante il mio film quando vede bambini iracheni morti, quando vede
quella donna anziana che piange tra le rovine della sua casa bombardata. La gente
negli Stati Uniti rabbrividisce quando vede queste cose perché non le ha mai viste.
Dove poteva vederle? Quando si accusa il mio film di scorrettezza, mi dica che
cosa c'è di corretto rispetto a quella donna tra le rovine della sua casa. Mi sto forse
inventando qualcosa? Ma non si azzardano a venire da me per dirmi che cosa c'è
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che non va nel mio film, perché se lo facessero perderebbero, perderebbero lo
scontro morale. Per questo non vogliono discutere. Dicono solo: 'I sauditi non se ne
sono andati prima che riaprisse lo spazio aereo'. Questo è tutto quello che fanno;
criticano qualcosa che non si dice nel film e fuggono dal vero dibattito.
La sua fama è enormemente cresciuta dopo 'Bowling for Columbine' e il suo discorso alla
cerimonia degli Oscar. Questo le ha facilitato o le ha complicato il lavoro in questo film?
È stato tutto più difficile. Ho dovuto cercare altri modi per ottenere le immagini.
Pagando?
A volte pagando.
Come si ottiene un video in cui il numero due del Pentagono, Paul Wolfowitz, lecca un
pettine per tenersi la frangetta e poi si aggiusta la pettinatura con la saliva?
Lo aveva una delle grandi reti americane e me l'hanno dato. C'è tanta brava gente
nei network, gente delusa dal lavoro che fa in quelle reti o dal lavoro che non si fa.
Sa che molti la chiamano 'il comico Michael Moore'? Lei fa della commedia?
Non sono mai stato un comico, anche se a scuola mi diedero il premio come alunno
più comico. Immagino di avere un buon senso dello humour date le mie origini
irlandesi. Ma non è la mia specialità.
Spesso l'accusano di essere egocentrico. Lei si fa vedere molto nei suoi film, anche se in
Fahrenheit 9/11 appare di meno.
Il fatto è che Bush è insuperabile come commediante. Bush appare molto più di me
perché è molto più divertente.
Si nota un certo sarcasmo.
Infatti lo dico con sarcasmo.
Fino a che punto ha pensato agli spettatori europei o stranieri quando ha cominciato a
scrivere questo film?
Con un film come questo, penso e spero che gli europei capiscano che gli Stati
Uniti non sono completamente impazziti, che ci sono milioni di persone che
pensano e credono nelle cose in cui credo io. E, come dimostrano le cifre del mio
film, negli Stati Uniti ci sono milioni di persone che vogliono vedere e sapere la
verità. Non vogliono accettare le stesse stronzate che il governo Bush propina con i
mezzi di comunicazione ogni sera. Spero che quando gli europei vedranno il film
capiranno che c'è una piccola speranza, che forse alcuni americani metteranno fine
a tutto ciò nelle urne.
Ha deciso quale sarà il suo prossimo film?
Ancora non ne sono sicuro. Ho riflettuto un po' su alcune idee: il sistema sanitario
del mio paese, il conflitto tra israeliani e palestinesi, il fatto che sta finendo il
petrolio.
Chi glielo produrrà?
Grazie ai milioni di americani che sono andati a vedere Fahrenheit 9/11 non dovrò
più preoccuparmi di chi mi finanzierà.
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Ha guadagnato tanto da poter pagare di tasca sua?
Sì, se necessario adesso posso farlo.
E non la preoccupa il fatto che questa posizione economica la possa allontanare dalla
società?
No. I soldi mi danno la libertà di fare quello che voglio. È quello che ho fatto
sempre, ma adesso non devo andare in giro a mendicare.
Fahrenheit 9/11 - Intervista a Michael Moore
di Samuel Douhaire, Libération
traduzione di Lucia Cervone per Nuovi Mondi Media
Spero di incitare la gente, e in modo particolare gli americani, a riflettere su questo:
perché, dopo il formidabile slancio di simpatia del mondo nei confronti degli Stati
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Perché nei suoi film, che trattano di temi piuttosto gravi, utilizza elementi comici?
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questo sia importante per convincere le masse. Ha forse rinunciato a conquistare
l'elettorato?
Fahrenheit 9/11 è destinato a ostacolare la rielezione di George W. Bush?
Non mi dispiacerebbe se questo film potesse fare in modo che il nostro Paese
possa essere di nuovo in mano al popolo. Ma se avessi voluto solamente
promuovere un discorso politico, mi sarei candidato alle elezioni. Faccio un film
perché amo il cinema, per divertire gli spettatori e, se possibile, provocare dei
dibattiti. Spero di incitare la gente, e in modo particolare gli americani, a riflettere su
questo: durante questi ultimi quattro anni qualcuno ha mentito al popolo americano.
E perché, dopo il formidabile slancio di simpatia del mondo nei confronti degli Stati
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della terra? Come tutto ciò è potuto avvenire così in fretta?
Lei appare molto meno sullo schermo in questo film rispetto a Bowling for Colombine.
Dio sia lodato!
Perché questa discrezione?
Le immagini degli archivi, per la maggior parte mai diffuse sulle grandi reti televisive
americane, devono restare al centro del film. Ma sentirete sempre la mia voce, nel
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senso fisico e spirituale del termine (ride). Ho sempre voluto realizzare un film in cui
io sarei rimasto dietro la telecamera. Le persone che mi conoscono sanno bene che
sono un timidone. Non mi piace vedermi su uno schermo. Ma per una giusta causa
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Perché non mostra gli aerei che si schiantano sul World Trade Center?
Anche se il cinema è considerato come un medium visivo, credo che in un film il
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Michael Moore mostrasse dei corpi cadere. Perché non fare il contrario?
Confrontarsi con uno schermo nero per un minuto e dieci secondi, è molto strano, o
meglio inedito in un film americano: volevo che gli spettatori utilizzassero la loro
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terrificante, visto che, a forza di averle viste e riviste, siamo forse stati
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News. Utilizzo le loro stesse armi, ma contro di loro.
Lei filma il dolore della madre di una famiglia patriota che perde suo figlio in Irak. La
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avevo previsto di ritornare a Flint per Bowling for Colombine: ci sono andato
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ucciso una compagna di classe). Per quanto riguarda Fahrenheit 9/11, ho scoperto
che un numero incredibilmente elevato di soldati morti in Irak era originaria di Flint.
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Dopo quattro anni di presidenza Bush, è ancora fiero di essere americano?
Non amo la parola fierezza: assomiglia a uno slogan che puzza di fascismo. Sono
molto contento di essere un americano, amo i miei cari compatrioti. Ma in fondo ho
veramente la possibilità di scegliere? Lei ha gli occhi scuri. Ne è fiero? Non si è mai
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[email protected]
10
Michael Moore: Vive la France!
da kataweb.it
Sul palco del 'Palais des festivals', accanto a Charlize Theron (che gli ha consegnato la
Palma d'Oro per il documentario anti-Bush Fahrenheit 9/11) era commosso. Ha dedicato
il premio alla figlia, Nathalie Rose, ai ragazzi in America e in Iraq e a tutti quelli che
soffrono per le azioni degli Stati Uniti.
In conferenza stampa, asciugate le lacrime, Michael Moore è andato a ruota libera,
parlando a lungo del film e delle convinzioni che lo hanno fatto nascere. E, subito, si è
sentito in dovere di difendere la Francia che lo ha premiato: il regista non vuole che si parli
di una Palma condizionata dal presunto anti-americanismo degli europei e dei francesi in
particolare.
Questa giuria è composta da nove membri di cui uno solo è francese mentre
quattro su nove, quindi la metà, sono di origine americana. Spero che i giornalisti
americani riportino questo, perché non è un premio solo francese. La sala, durante
la prima proiezione, era piena di spettatori americani. Sono stanco e annoiato da
persone che criticano i francesi e propagano un atteggiamento bigotto i francesi
sono nostri amici, senza di loro non esisterebbero neppure gli Stati Uniti, ci hanno
aiutato nella nostra rivoluzione e ci hanno regalato la Statua della Libertà come
dono per celebrare la ritrovata indipendenza.
Lo scorso anno - ha precisato Moore - i francesi, ma anche i canadesi, gli irlandesi, i
tedeschi, si sono comportati da veri amici, dicendoci in faccia la verità: che avevamo
imboccato una pessima direzione. Ma noi americani non li abbiamo ascoltati.
Quindi una domanda su Bush: cosa avrà pensato del suo premio?
Ma se non sa neanche cos'è la Palma d'Oro! Che ore sono ora a Washington? Le
tre del pomeriggio... Cosa fa al sabato? Probabilmente è a Camp David e si sta
ciucciando un salatino - ha scherzato il regista, riferendosi al famoso episodio del
'pretzel' che due anni fa andò di traverso al presidente e rischiò di soffocarlo - Spero
che nessuno gli dica che ho vinto questo premio mentre ha un salatino in bocca!
Ma come è nata l'idea di 'Fahrenheit 9/11'?
Ho iniziato il documentario con una domanda: perché otto settimane dopo l'11
settembre la Casa Bianca ha autorizzato alcuni voli per la famiglia di Bin Laden?
Era un paragrafo che avevo letto sul 'New Yorker', l'ho trovato molto strano e ho
voluto indagare".
Quindi l'affondo del cinesta militante:
Quando abbiamo lasciato rubare le elezioni a Bush, prendere qualcosa che non gli
spettava, la sua squadra ha pensato che potevano fare qualunque cosa. Alla
domanda 'Cosa possiamo fare dell'Iraq?', qualcuno ha risposto: 'ma l'Iraq non ha
niente a che fare con l'11 settembre'. 'Beh, bombardiamolo lo stesso'. Noi americani
siamo tutti responsabili per averglielo lasciato fare".
E' la prima volta che Cannes premia un documentario. Se l'aspettava il riconoscimento
supremo?
No, non avrei mai immaginato di vincere la Palma d'Oro semplicemente perché
avevamo fatto un documentario e lo presentavamo ad un festival che per tradizione
premia i film di fiction. Siamo arrivati senza aspettative. Siamo stati onorati due anni
fa di essere invitati con Bowling a columbine, il primo documentario in concorso in
[email protected]
11
40 anni di festival. Siamo stati molto felici di essere invitati nuovamente quest' anno.
Poi rivela un retroscena:
Quando è venuto sul palco, Quentin Tarantino mi ha sussurato all'orecchio:
vogliamo che tu sappia che gli elementi politici del tuo film non hanno nulla a che
vedere con il premio. In questa giuria abbiamo diverse opinioni politiche ma tu hai
ricevuto il premio perché hai fatto un grande film. Vogliamo che tu lo sappia... da
regista a regista.
E se gliel'ha detto il presidente Quentin...
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trovano conferma alcuni fatti fondamentali mostrati in Fahrenheit 9/11. Ecco alcuni
passaggi estratti dal film, seguiti dalle conclusioni cui è giunta la Commissione:
1. Le istruzioni di Ashcroft
Fahrenheit 9/11: "Uno dei primi atti di John Ashcroft, in qualità di ministro della Giustizia, è
stato quello di dire al direttore ad i
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briefing sulla questione delle minacce terroristiche (a maggio e al
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"Ashcroft gli ha detto che non avrebbe voluto sapere più niente di quelle minacce".
Il Rapporto afferma anche che Ashcroft ha negato questa accusa e che Pickard ha detto
ad Ashcroft di "non potergli assicurare che non ci sarebbero stati attacchi negli Stati Uniti,
benché le minacce riportate fossero riferite a obiettivi stranieri. Ashcroft ha replicato che
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breve: gli enti governativi non si sono mai mobilitati in risposta alle minacce. Mancavano di
direttive e di un piano da attuare.
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Trade Center, già colpito da un attentato terroristico otto anni prima, il signor Bush decise
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Bush che la nazione era stata attaccata. Non sapendo cosa fare, e non essendoci
nessuno a suggerirglielo, né i servizi segreti pronti a precipitarsi per portarlo al sicuro, il
signor Bush restò lì seduto a leggere il racconto La mia capretta con i bambini. Passarono
quasi sette minuti senza che nessuno facesse niente".
[email protected]
12
Rapporto della Commissione, p. 35: "Il capo dello staff della Casa Bianca, Andrew Card, ci
ha detto che si trovava fuori della classe insieme a Bush quando il consigliere personale
del presidente, Karl Rove, li informò la prima volta che un piccolo bimotore si era andato a
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classe, il presidente parlò con il consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleeza Rice,
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un aereo di linea –, aggiungendo:‘
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sette minuti, mentre i bambini continuavano a leggere".
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Fahrenheit 9/11: "Mentre Bush si tratteneva nella scuola della Florida, si stava chiedendo
se forse avrebbe fatto meglio a presentarsi al lavoro più spesso? E se non fosse stato il
caso di indire almeno una riunione –da quando era entrato in carica –con il capo
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mo [Richard Clarke] per discutere della minaccia terroristica?".
Rapporto della Commissione, p. 201: "Nei giorni immediatamente successivi
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indicare le questioni sulle quali ritenevano più opportuno discutere o intervenire, il 25
gennaio 2001 Clarke presentò un accurato memorandum, cui allegò il suo Delenda Plan
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posto dalla rete di al Qida [sic], scrisse Clarke. Non ci fu alcuna replica diretta del
consigliere per la Sicurezza al memorandum di Clarke, e il Principals Committee non fu
convocato per discutere di al Qaeda fino al 4 settembre 2001 (benché si fosse riunito più
volte per altre questioni, quali il processo di pace in Medio Oriente, la Russia e il Golfo
Persico)".
4. Nessuna reazione di Bush al briefing sulla sicurezza
Fahrenheit 9/11: "Probabilmente bastava che il presidente Bush leggesse la relazione
sulla sicurezza consegnatagli il 6 agosto 2001, secondo la quale Osama bin Laden stava
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[Il direttore della Cia] Tenet non ricorda altri colloqui con il presidente a proposito di tale
minaccia tra il 17 agosto – data della visita di Tenet a Bush, a Crawford – e il 10
settembre".
5. La tempistica dei voli sauditi
Fahrenheit 9/11: "Almeno sei jet privati e circa una ventina di aerei commerciali portarono
via dagli Stati Uniti i sauditi e i bin Laden dopo il 13 settembre. In tutto, 142 sauditi,
compresi 24 membri della famiglia bin Laden, furono autorizzati a lasciare il paese".
Rapporto della Commissione, p. 556, n. 25: "Dopo la riapertura dello spazio aereo, nove
voli privati, per un totale di 160 passeggeri, prevalentemente di nazionalità saudita,
partirono dagli Stati Uniti tra il 14 e il 24 settembre".
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Confermato dal Rapporto della Commissione a p. 557, n. 28: "Il volo dei bin Laden e altri
voli da noi presi in esame furono controllati in conformità con procedure stabilite dalla
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7. La Casa Bianca approvò i voli
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apparso sul "New York Times" il 3 settembre 2003, intitolato La Casa Bianca approvò la
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impedito il decollo. È quanto ha dichiarato oggi un ex consigliere della Casa Bianca,
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Rapporto della Commissione, p. 329: "Richard Clarke approvò questi voli".
[email protected]
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indipendente, istituita alla fine del 2002 su mandato del Congresso degli Usa e composta
da dieci membri, cinque democratici e cinque repubblicani.
Recensioni
FilmChips (27/8/2004) - Iolanda Siracusano
Un film da Pulitzer. Partiamo dal presupposto che quanto viene raccontato e abilmente montato sia
vero, come si fa a dare la Palma d'Oro a Cannes senza dargli come minimo il premio giornalistico
più ambito del Pianeta? Sì, perché, sempre partendo dal presupposto che la sceneggiatura di
Fahrenheit 9/11 si sia sc
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momenti più salienti della presidenza Bush e dato un tocco di sana ironia agli eventi pre e post 11
settembre, Fahrenheit 9/11,diciamocelo pure, non è un film. E' un'inchiesta appassionata che
incastra senza indugio e senza temere le conseguenze, l'uomo più potente del mondo. E non solo.
Incastra anche quel manipolo di uomini che la storia la scrivono ogni giorno, e non perché eroi. La
fanno perché decidono di farla, per non soccombere. Per non rinunciare a status e privilegi che
solo soldi e potere possono assicurare. Uomini e donne che per non perdere ciò che
tranquillamente sprecano perché in eccesso, non disdegnano di sacrificare vite umane, i figli degli
altri, ragazzi anche adolescenti reclutati tra studenti e disoccupati in famiglie che non hanno nulla
da perdere. Perché? Perché non hanno nulla. Il conflitto diventa così un'occasione da non perdere,
una via d'uscita dallo squallore e dalla miseria delle periferie. La guerra diventa un gioco dove ci si
esalta non appena si avvista il nemico. Basta spararsi musica a tutto volume nelle orecchie e
sparare, sparare, sparare, come in un videogame. Basta poco insomma per trasformare perfetti
sconosciuti innocenti nel peggior nemico. Basta poco, un fucile, una canzone. E poi, dato che la
statistica non è un'opinione, qualcuno di questi eroi bambini ci rimane. Così che quel brano che ha
incitato all'odio diventa anche la colonna sonora della propria morte. L'odio, d'altronde, non può
che portare lì, alla morte. Una pellicola insomma che definire coraggiosa e incosciente è poco. Un
atto di accusa contro un uomo, l'attuale presidente degli Stati Uniti, che in realtà è un sistema,
ineliminabile perché invisibile. E l'invisibile si sa è inesistente. Grazie Michael Moore. Grazie per il
pugno nello stomaco. Per una che quando al Tg danno i servizi di guerra cambia canale è stata
dura resistere tutta la proiezione. Ma ne valeva la pena. Non ne vale la pena quando i servizi sono
confezionati con aggettivi studiati appositamente per risultare strazianti e fare audience senza
spessore. Fahrenheit 9/11 apre gli occhi su una realtà difficile da immaginare e da digerire, fa
entrare nel ruolo non solo della vittima ma anche del connivente. Concludiamo ricordando che tutti
noi siamo vittime di persone senza ideali e senza idee. C'è una cosa però che possiamo fare ed è
informarci. Un modo è leggere. L'altro è andare al cinema per ascoltare una voce fuori dal coro:
quella di Michael Moore. (Iolanda Siracusano e Valeria Venturin)
l'Unità (26/8/2004) - Silvia Colombo
Spero che nessuno rida guardando Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, nonostante il susseguirsi di
gag, di battute, di trovate apparentemente comiche in questo film che non lascia neppure un
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contro le involontarie risate che farete guardandolo, Fahrenheit è un film tragico, percorso da una
profonda tristezza e da un filo, appena un filo di speranza. Quello che vedete vi sembrerà una
presa in giro di George Bush, un uomo disorientato e incapace - ma sostenuto da amici potenti che v
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raramente completa (se non legge) una frase, raramente pronuncia giusto un nome o una parola
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torre, quella di sud-ovest. Infatti vediamo che il presidente degli Stati Uniti viene avvertito con la
frase «signor presidente, il Paese è sotto attacco». Sono le 9,06, le 9,07, le 9,10 (leggiamo lo
scandire dei minuti in basso a sinistra) e Bush - che ha smesso di leggere la fiaba - non si muove e
guarda in modo interrogativo verso la camera. Quel viaggio per visitare bambini e scuole in uno
Stato governato dal fratello Jeb evidentemente non prevedeva la presenza di un consigliere
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viene a prendere Bush. «Non mi convince, nessuno è così stupido», ha detto Norman Mailer, lo
scrittore americano, intervistato dal figlio sul «New York Magazine» del 9 agosto. Nessuno ha
smentito Moore. Il film di Michael Moore non è stato investito o fermato in alcuna smentita. Non
nella parte iniziale, in cui si racconta (e si vedono alcune scene esemplari) che il neo eletto George
Bush ha speso il 42% del suo primo anno di presidenza in vacanze nel suo ranch. Non nei giorni
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visiva dei riguardi usati verso la potente famiglia saudita Bin Laden (la famiglia a cui appartiene il
terrorista Osama) a cui viene messo a disposizione l
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nelle armi chimiche, nervine, infettive, atomiche. Mostrano una immensa e riuscita mobilitazione
dei media, che stanno al gioco in perfetta sintonia. È il gioco sanguinoso del patriottismo cieco,
uno slancio di fede che esime dal discutere e chiede di ubbidire. Questa è la prima parte, logica e
lucida, di un appassionato argomento di opposizione tanto più efficace quanto più implacabilmente
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conto, mentre vede i corpi straziati, mentre la camera entra e sosta in retrovie colme di sangue, di
donne e bambini che nessuno aveva mai mostrato prima, che il sangue vero è il frutto di una
enorme messa in scena, di una folle rappresentazione artificiale e finta, per combattere niente, per
infliggere colpi immensamente potenti nel vuoto. Abbiamo assistito a una vasta operazione
pubblicitaria che ha piegato evidenza, consapevolezza, conoscenza, esperienza, buon senso. E
dove di vero, spaventosamente vero, ci sono solo i cadaveri. Qui il montaggio è cambiato, è lento,
con lunghe sequenze che non risparmiano nulla. Qui la voce si fa più rada e benché il commento
(la voce di Michael Moore) continui a essere fattuale (luoghi, dati, cifre) nella tradizione americana,
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cui la falsa propaganda diventa morte. Il disagio che provi è nella disturbante somiglianza di
questo film-verità con la pura invenzione cinematografica. E, anzi, con richiami fortissimi a celebri
denunce (fotografie, disegni, tavole illustrate, tremende caricature) della prima guerra mondiale. Il
disagio che provi è nel sapere che è tutto vero, ai nostri giorni, in piena epoca di presunto
progresso e civiltà. Ma il viaggio di Michael Moore continua con la sua desolata esplorazione nel
territorio delle vittime e dei soldati, ovvero sul versante del terribile prezzo americano. Siamo sui
carri armati in cui i soldati si chiudono prima di correre lungo strade devastate e ostili riempiendosi
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dalla povertà, dalla noia, dal vuoto. Siamo nei cimiteri americani dove arrivano i corpi dei soldati
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guerra non si deve parlare. E la camera di Moore può solo fermarsi sulla solitudine immensa di
padri e di madri per la morte dei figli di cui nessuno deve sapere, in un isolamento da fantascienza
in cui ogni morte è una sola morte, legata a nulla, seguita da nulla, dolore e silenzio. Siamo in un
Paese che Bush ha isolato dal mondo, che porta il peso sanguinoso di una guerra che non finisce,
un Paese che venera la verità ed è spinto a combattere da una catena di bugie, che ama se stesso
e vede la sua immagine deformata dal mare di ostilità che lo circonda, che è orgoglioso della sua
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film racconta in un intervallo di profonda tristezza e di stordimento, come i soldati che corrono fra le
strade distrutte da Kirkuk e Najaf con la musica rock che martella dentro il casco, e il rischio
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Corriere della Sera (18 maggio 2004) - Tullio Kezich,
Di fronte a 'Fahrenheit 9/11', che imposta una tematica esorbitante dai confini della critica
cinematografica, vorrei limitarmi a giudicarlo come film. Si tratta di un pamphlet mirato senza mezzi
termini a silurare la rielezione di Bush. Due ore traboccanti di scoperte, denunce e magari colpi
bassi. Il povero George è presentato come un figlio di papà dal dubbio passato militare, socio in
sfortunate imprese petrolifere con la famiglia di Bin Laden, eletto grazie a un broglio in Florida,
insediato fra i fischi, sempre in ferie nei primi tempi della presidenza e dopo l'11 settembre
creatore e propagatore di un culto della paura per giustificare il suo attacco in forze contro l'Iraq
accusato senza prove di preparare armi letali. Moore denuncia che il cosiddetto Patriot Act,
limitativo delle libertà individuali, è stato votato dal Senato senza leggerlo, deplora che la carne da
cannone per la guerra Oltremare provenga dalla circonvenzione della povera gente, provoca i
senatori chiedendogli di mandare in guerra i loro figli e ci fa sapere che, mentre i reduci e i mutilati
sono trattati malissimo, intorno al conflitto si è creata una grossa rete di affari. 'Spero che quel
cretino non venga più eletto' si legge nell'ultima lettera di un caduto. In un film così ci sono
aggressività e demagogia, ma ci sono parecchie cose su cui riflettere; e c'è, soprattutto, un uso
sapiente della macchina cinema. Per cui si potrebbe dire, rovesciando Machiavelli, che per
Michael Moore il mezzo giustifica il fine.
Il Messaggero (18 maggio 2004) - Il Messaggero
La posta è immensa, le accuse gravissime. C'è da provare che Bush e il suo staff sapevano o
potevano sapere molte cose ben prima dell'11 settembre; che la guerra in Iraq è stata pianificata a
freddo; che l'America vive nel terrore per un calcolo politico. Ideologia, dietrologia, diranno i
detrattori. Ma Moore, da vero bulldozer, fa nomi e cifre, collega fatti, intervista testimoni chiave. E
se non ottiene prove giudiziarie, assesta all'immagine del presidente-affarista un colpo mortale.
Trovando perfino il modo di strappare risate. (...) Naturalmente, l'autore di 'Bowling a Columbine' è
sempre lui, e accanto all'inchiesta imbastisce una serie di provocazioni esilaranti malgrado lo
sfondo tragico. Come quando spigola fra gli spot dei prodotti lanciati sul mercato Usa dopo l'11
settembre. Oppure gira per Washington col megafono per diffondere il famigerato Patriot Act , visto
che i politici lo hanno approvato ma non letto. E per finire chiede ai deputati che vanno al lavoro
perché non mandano i figli a difendere la patria in Iraq, distribuendo anche dépliant dei marines.
L'ultima parte del film, che comprende anche una puntata in Iraq, è la più scivolosa e già datata.
Ma non dimenticheremo facilmente quei carristi-ragazzini che raccontano come scelgono le
canzoni da mettere in cuffia prima di andare all'attacco. Né l'ultima raffica di cifre, i soldati reclutati
nelle zone più povere degli Usa, gli autisti della 'Halliburton' di stanza in Iraq (la ditta già di Dick
Cheney) che guadagnano il triplo dei militari, Bush che come ciliegina tenta di tagliare stipendi e
sussidi ai soldati e alle loro famiglie. 'God Bless America' insomma, Dio benedica l'America. Ne ha
proprio bisogno.
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