Le maledizioni sono armi a doppio taglio che

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Le maledizioni sono armi a doppio taglio che
Le maledizioni sono armi a doppio taglio
che ricadono sul capo di colui che le ha scagliate
Francesco Lamendola
È un giorno afoso di agosto, verso l’una del pomeriggio, e per la strada non si
vede anima viva quando l’autobus accosta alla fermata, davanti ai portici, e ne scende
una giovane donna dall’aria stanca e preoccupata.
Sta tornando dall’ospedale cittadino, dove si è recata a trovare, come ogni
giorno, il marito seriamente ammalato e ricoverato già da alcuni mesi; a casa,
l’aspettano due bambini con i quali si è finora sforzata, con successo, di non far pesare
la difficile situazione familiare e di tenerli lontani dalle ansie che lei, invece, sta
vivendo.
Ed ecco che una zingara, improvvisamente, come sbucata fuori dal nulla, le si
avvicina con fare aggressivo e comincia a stringerla, quasi spintonandola, per strapparle
del denaro con la scusa di una elemosina per una famiglia indigente. La giovane madre,
di animo sensibile e abituata a fare generosamente l’elemosina ai poveri, in quel
momento, presa così in contropiede e ancora con il cuore stretto dalla preoccupazione
per la salute del marito, non trova la prontezza di liberarsene con qualche spicciolo e,
sempre più stretta d’assedio, piomba in un autentico smarrimento, tanto più che la
zingara non esita a spaventarla, proferendo le più terribili minacce e invocando contro
di lei le peggiori maledizioni.
Le cose stanno ormai per precipitare, il pianto e la disperazione le fanno groppo
in gola e la zingara già pregusta un ricco bottino, estorto quasi con la violenza fisica,
allorché, quasi miracolosamente, compare un passante, il quale intuisce subito la
situazione e interviene con molta decisione, scacciando in malo modo l’intimidatrice
che, da parte sua, non cessa di vomitare i peggiori insulti e le più sconce imprecazioni…
Non è la scena di un racconto di fantasia, ma un fatto realmente accaduto a
qualcuno che ci è molto vicino e che, del resto, si è verificata chissà quante volte e a
danno di chissà quante persone; persone che hanno cercato di dimenticare, di scacciare
dalla memoria quel sinistro ricordo, con più o meno successo; persone che, forse, hanno
collegato le maledizioni subite a quel modo con qualche lutto o qualche altro fatto
drammatico accaduto loro qualche tempo dopo. E come avrebbero potuto non farlo, pur
dubitando, magari, fra sé e sé, che si sia trattato di una pura e semplice coincidenza?
La maledizione scagliata da una zingara cui non si è voluto o potuto consegnare
del denaro o aprire la porta di casa per farla entrare, è una esperienza che migliaia di
persone hanno certamente fatto, nel corso della loro vita.
Ma che cos’è una maledizione? Si tratta realmente di una azione soprannaturale,
capace di produrre effetti concreti a danno di un essere umano, né più né meno di un
sacrilego rito di magia nera ispirato dalla pura malvagità e dall’odio verso qualcuno?
Scagliare una maledizione non è una cosa da nulla; è un gesto carico di valenze
negative, per chi lo subisce ma anche, potenzialmente, per chi lo compie.
Maledire qualcuno significa abbandonarlo in potere di energie distruttive che,
secondo le diverse scuole di pensiero esistenti in materia, possono venire sia dall’interno
dell’individuo stesso, sia dall’esterno.
In passato, quando i vincoli parentali erano molto forti all’interno della famiglia
patriarcale, la maledizione lanciata da un genitore al proprio figlio era assai temuta,
perché la si riteneva capace di fungere da catalizzatore una forza soprannaturale di
origine divina. Analogamente, il figlio chiedeva frequentemente la benedizione del
padre o della madre, quasi con la stessa fiducia e con lo stesso timore reverenziale che
se si fosse rivolto ad un sacerdote.
Naturalmente, esistono da sempre, per così dire, gli “specialisti” delle
benedizioni e delle maledizioni. La benedizione, nella società occidentale moderna e
secolarizzata, si è conservata ormai soltanto nell’ambito del sacro ed è impartita dai
ministri del culto, tanto nei confronti delle persone quanto nei confronti delle case di
abitazione e, più raramente, degli attrezzi di lavoro e dei mezzi di trasporto
(benedizione delle automobili). Fino a qualche decennio fa, prima della scomparsa della
civiltà contadina, era molto sentita la cerimonia della benedizione della terra e degli
animali da allevamento.
La maledizione è, ed è sempre stata, appannaggio dei cultori della magia nera e
della
stregoneria,
specialmente
in
ambito
contadino
e
popolare,
variamente
accompagnandosi alla fattura e al maleficio. Già negli autori classici, come Orazio e
Virgilio, vi sono ampie testimonianze in proposito; e si sa quale ossessione abbia
costituito l’insieme di tali pratiche nei secoli XVI e XVII, sia in Europa sia, un poco più
tardi, in America, fino alla caccia alle streghe nella città di Salem, divenuta famosa per i
processi che si svolsero nella locale comunità puritana.
Gli Zingari sono frammentati in gruppi marginali i quali, per le loro caratteristiche
di nomadismo e per la difficoltà di convivenza con le popolazioni sedentarie presso le
quali si sono stabiliti nel corso del tempo, hanno coltivato pratiche magiche o semimagiche, come la predizione del destino mediante i Tarocchi, la lettura della mano, la
preparazione di filtri d’amore e simili e anche, sarebbe ipocrisia negarlo, la facoltà di
scagliare maledizioni, o minacciare di scagliarle, al fine di spaventare gli estranei e di
ottenere somme di denaro, integrando quelle spontaneamente ottenute chiedendo
l’elemosina (sovente simulando vistose infermità), nonché quelle sottratte mediante la
diffusa pratica del furto, non di rado utilizzando bambini appositamente addestrati.
Non vogliamo dire assolutamente che gli zingari, nel corso della loro lunga storia,
si siano dedicati soltanto a simili attività: è noto che sono sempre stati degli eccellenti
violinisti e degli abili ammaestratori di orsi, oltre che artigiani particolarmente
apprezzati in alcuni settori, specialmente quello del rame; e possiamo senz’altro
ammettere che non tutti i furti verificatisi in presenza di un loro accampamento sono da
attribuire ad essi. Lo stesso dicasi per la scomparsa di bambini, anche se è un dato di
fatto che, in passato, il rapimento di bambini costituiva una pratica abbastanza
frequente: bambini che, come si è detto, venivano appositamente istruiti nell’arte del
furto e in quella di chiedere l’elemosina.
Tuttavia, l’aspetto sopra accennato sicuramente esiste e ha da sempre
caratterizzato i rapporti degli Zingari, spesso non facili, con le popolazioni residenti.
Può darsi che la pratica di utilizzare la maledizione nei confronti degli estranei
alla propria comunità sia caratteristica dei gruppi minoritari che si differenziano,
specialmente sul piano culturale e religioso, dal resto della società; sappiamo, ad
esempio, che le maledizioni dei rabbini sono un’arma tuttora adoperata, ed
estremamente temuta, nell’ambito del giudaismo, e specialmente la “pulsa danura”, la
maledizione di morte che si ritiene infallibile entro lo scadere dell’anno e che è
considerata da alcuni all’origine, come abbiamo detto in un precedente articolo, della
tragica sorte toccata a personaggi come Ytzhak Rabin ed Ariel Sharon.
Sia come sia, questa componente fa parte della cultura rom e l’episodio ricordato
all’inizio non è che uno dei tanti che si verificano oggi e si sono verificati in passato;
anche se, ripetiamo, non sarebbe giusto ridurre tale cultura a questo solo aspetto.
Nel suo libro autobiografico «Memorie di un veggente» (titolo originale:
«Confidences d’un Voyant», Paris, Hachette, 1971; traduzione italiana di Jacopo Comin,
Roma, Edizioni Mediterranee, 1972, pp. 70-72), il celebre sensitivo francese Mario De
Sabato ha raccontato questo singolare episodio, da lui stesso, peraltro, misteriosamente
presentito con largo anticipo, anche se non con tutti i particolari:
«Il 22 luglio, andammo a vedere gli zingari a Sacramento, un villaggio vicino a
Granata, in cui tutte le sere davano spettacolo di danze tipiche, al ritmo del flamenco,
in case di stile ispano.-arabo, accuratamente messe su a scopi turistici. Uscendo, fummo
assaliti da un nugolo di zingari che ci chiedevano soldi. Distribuii tutti i miei spiccioli ed
anche qualche biglietto, così in franchi che in pesetas. Accadde che una donna non ebbe
nulla perché era arrivata troppo tardi. Ne fu molto malcontenta, se la prese con me con
veemenza e mi disse in spagnolo:
“Sei un mascalzone. Ti auguro di morire, visto che non vuoi darmi niente per il
mio bambino che ha fame. Guardalo! Povero disgraziato! Domani vedrai la morte!”
E continuò nel suo strano linguaggio dialettale, a invocare tutti i diavoli per farmi
subire tutte le pene dell’inferno. Il suo bambino, io l’avevo veduto. Tutti lo conoscevano
perché le donne della tribù se lo passavano l’una all’altra per chiedere l’elemosina,
tanto quel piccolo, con la sua cattiva cera, poteva ispirare pietà! L’avevano scelto per
questo, e dovevano dargli poco da mangiare perché conservasse quell’aria misera e
triste. Povero piccolo, pensavo: ma che potevo fare? Avevo già dato molto e, in ogni
modo, era tutta una famiglia.
Lascia Sacramento col cuore stretto, pur sapendo che si trattava solo di una
commedia per tirar fuori del denaro dalle tasche dei turisti. Ma i sentimenti del cuore
sono sempre spontanei.
L’indomani lasciammo Granata con l’intenzione di andare a dormire a Murcia.
Faceva orribilmente caldo. a mezzogiorno, ossia alle due, secondo la moda spagnola,
avevamo fato “alt” sulla strada e avevamo pranzato nell’affascinante ambiente di un
albergo andaluso. Ma io non ero per nulla allegro. Non volevo ripensare alle parole della
zingara, ma ero lo stesso inquieto.
Ripresi il volante senza entusiasmo. Traversammo, nella provincia d’Almeria, zone
desertiche in cui, per un centinaio di chilometri, non vedemmo praticamente nessuna
traccia umana. Andavamo a un’andatura moderata, senza parlare, tutti e due
sprofondati nei nostri pensieri.
Verso le 20 decisi di chiudere il tetto della macchina, dicendo: “Non si sa mai, se
cadessimo in un fosso…”, e il mio amico continuò: “Se cadessimo in un fosso, come dici,
credo che rischieremmo di restarci per un pezzo, perché non ci sarebbe nessuno per
tirarci fuori! -. Infatti, ci trovavamo in montagna, in un paesaggio lunare e triste. La
terra bruciata, di color ocra,, non aveva vegetazione. La strada, a tratti piena di buche
e quasi senza scarpata, si confondeva con la terra di cui aveva assunto il colore. Il sole
che declinava all’orizzonte mi impediva di veder bene. Non andavo veloce, avevo paura.
Ad un tratto sbagliai una curva e feci una brusca sterzata al principio di un ponte
che passava sopra un ruscello secco. Fu il dramma. L’automobile piombò nel fosso e
compì una discesa vertiginosa cappottando continuamente, rimbalzando in tutti i sensi e
sollevando una nuvola di polvere. A metà della corsa, il mio amico, per il colpo, fu
proiettato fuori delle portiere aperte, come tutto ciò che l’auto conteneva, valigie,
sedili, etc. Il bagagliaio era squarciato. Quanto a me, che mi ero aggrappato al volante,
non ero uscito dall’auto. Nella discesa avevo avuto il pensiero riflesso di spegnere il
contato. È atroce sentire ad ogni secondo, ad ogni capitombolo che si corre il rischio di
restarci. Si pensa: “Se si fermasse fino a che sono ancora vivo!”. Ma la caduta a picco
continua. Non si vede nulla, non ci si può attaccare a nulla. I secondi sembrano minuti,
ma il ritmo delle funzioni cerebrali è decuplicato. Pensai a Dio. Mi affidai a lui, all’idea
che me ne facevo, al suo potere d’intervento. L’auto di colpo si immobilizzò. Era finita.
Non avevo capito molto bene quello che era accaduto. Mi sentivo come ubriaco e voli
cominciare a raccogliere la roba, ma il mio amico? Lo ritrovai seduto per terra, piegato
in due, coperto di polvere, che si lamentava di dolori da tutte le parti. Lui era stato
fermato nella caduta prima di me ed aveva avuto il tempo di rendersi conto di quel che
erra successo!»
Ad ogni modo, lo scagliare una maledizione di morte è un atto estremamente
grave, tanto più se fatto per pura malvagità e in assenza di alcuna giustificazione,
oppure per motivi estremamente meschini, come nel caso riportato da De Sabato, ossia
per vendicare un torto immaginario.
Presso gli aborigeni australiani, la maledizione di morte si esercita mediante
l’atto di “puntare l‘osso” e siamo a conoscenza di diversi casi stupefacenti, che
mostrano come le vittime siano state infallibilmente raggiunte da essa, per quanto
lontano avessero cercato di fuggire. La stessa cosa si può dire per le vittime delle
maledizioni di morte degli stregoni africani o degli sciamani asiatici.
Qualunque principiante di arti magiche sa, tuttavia, che una maledizione di morte
scagliata in piena consapevolezza e con l’intento deliberato di sbarazzarsi di un nemico
personale, mette in gioco delle energie potenti ed estremamente temibili, le quali, se
non riescono a raggiungere la vittima designata - come può accadere, ad esempio, se
questa si è premunita ricorrendo a una contro-magia, in prima persona o con l’aiuto di
uno stregone - finiscono per ritorcersi immancabilmente a danno di colui dal quale essa
è partita.
Stiano bene attenti, dunque, coloro i quali si incamminano spavaldamente sul
sentiero rosseggiante della Mano Sinistra. In principio essi saranno in grado di acquisire
certi poteri, perché non si tratta che di tecniche da padroneggiare e da eseguire
correttamente; ma, come ha riferito anche Milarepa, si tratta di una strada molto
pericolosa che può causare seri danni materiali e, più ancora, destinata ad inquinare
fatalmente le sorgenti della vita spirituale.
Il mago nero finisce per trovarsi risucchiato in un vortice distruttivo, al termine
del quale altro non c’è che la follia o la morte.
È piuttosto nota, ad esempio, la fosca vicenda di Leonarda Cianciulli, meglio nota
come “la saponificatrice di Correggio”, la quale, nel 1939-40, uccideva le sue vittime
facendole poi bollire nei pentoloni e ricavandone saponette e “ingredienti” per torte e
dolciumi. Perseguitata dalla maledizione di sua madre, che le appariva in sogno
minacciandola di farle morire i figli, la donna accumulava orrendi delitti con la mente
sconvolta dal fantasma della madre. Sarebbe poi morta in carcere, dopo trent’anni di
reclusione, senza che il mistero del movente dei suoi crimini venisse interamente
chiarito, poiché impossessarsi dei beni delle vittime non sembra essere stato il solo. Chi
può dire quanto abbiano inciso le maledizioni di sua madre nel sospingerla verso il suo
tragico destino di assassina seriale?
Le persone spiritualmente evolute sanno che i poteri supernormali possono essere
acquisiti praticamente da chiunque, ma possono essere saggiamente controllati ed,
eventualmente, utilizzati, solo da quei pochi i quali non cercano alcun vantaggio
personale ed egoistico, ma soltanto un bene di ordine superiore.
Esiste una legge universale, seconda la quale ogni azione malvagia finisce per
ricadere sul capo di colui che l’ha compiuta; così come, del resto, ogni azione virtuosa
finisce per premiare chi ne è stato l’autore.
Chi ha abusato dei poteri magici insiti nell’atto di lanciare una maledizione,
presto o tardi avrà modo di pentirsene amaramente; anche perché quei poteri non
vengono dal nulla, ma da Qualcuno o Qualcosa che non li elargisce spontaneamente e
gratuitamente, ma si rivelerà un padrone esigente e spietato, al momento di riscuotere
il prezzo convenuto.
Fonte originale : http://www.ariannaeditrice.it/
Composizione PDF a cura di : www.TerraSantaLibera.org