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Tableaux vivants contemporanei. Breve storia dell'immagine in movimento
dalle origini a Omer Fast
di Camilla Toschi
«E poi fu il movimento soggettivo…». Da questo vorremmo partire, dal grande passo stilistico,
nonché concettuale, che la MDP1 ha apportato nella storia della creatività collettiva con l'avvento
dell'inquadratura soggettivabile. Se prima l'artista si limitava a cogliere un attimo, a dare voce e
respiro all'immagine nella sua fugacità, in poche parole a fermare un momento con una pennellata,
con la nascita della pellicola – e di tutte le sue derivazioni – egli si trova a poter “non scegliere”, o
meglio a poter allargare la propria scelta a una lunga sequenza di fermi immagine senza l’obbligo
della selezione. Nel corso del Novecento la tecnica si è molto affinata, fino ad arrivare all'uso del
primo piano anche nell'arte concettuale; una sorta di ritorno alle origini, una versione digitale dei
tanti ritratti che hanno fatto la storia dell'arte antica e moderna. Come siamo arrivati a questo
punto?
Se agli albori il Cinema era considerato un semplice strumento d’intrattenimento, un
divertissement, nel corso dei decenni è diventato un potentissimo canale di ricerca, di denuncia, e
soprattutto di informazione e coinvolgimento delle masse; sicuramente però il grande salto è
avvenuto con l'arrivo della scatola magica, la televisione,2 oggetto immancabile nelle case di quasi
tutto il mondo.
Potremmo forse dire che la televisione, e, nello specifico, i format d’informazione sono l'apoteosi
della cornice, sembra quasi che il giornalista intento a leggere dal suo tavolo le notizie dal mondo, o
i salotti dei talk show, ormai onnipresenti in TV, siano la versione animata dei ritratti di famiglia,
o meglio, dei tableaux vivants3 che animavano le serate nei “salotti bene” dei secoli passati. Peccato
però che le buone maniere, che nella maggior parte dei casi erano doverose in certi ambienti, siano
state completamente surclassate da aggressività, volgarità e povertà di contenuti. Ma andiamo per
ordine.
Il tubo catodico è arrivato rapidamente quasi in tutte le case, fino a divenire il primo strumento
d’informazione al mondo capace di accompagnare la vita delle persone in ogni momento della loro
giornata. Nel corso di pochi decenni il salto è stato sconcertante, ancora oggi il processo è in
continua evoluzione con l’indiscussa conquista di tutte le fasce di età e discipline da parte
dell’immagine in movimento.
Particolarmente interessante, a questo proposito, risulta essere la riflessione dell'artista israeliano,
di adozione americana ma residente a Berlino, Omer Fast:4 egli si è infatti concentrato sin da subito
sul ruolo e sul valore dell'immagine nella nostra società, nonché sul rapporto, molto interessante,
tra immagine di informazione e memoria, sfruttando due media di uso comune: la televisione e il
documentario. Con “documentario” intendiamo la documentazione video oggettiva; nel lavoro di
Fast non è prevista la soggettivizzazione, ma la pura e semplice documentazione, non si è
interessati all'interpretazione, anche se quest’ultima appare inevitabile almeno per uno spettatore
attento e sensibile.
Le sue “installazioni visuali” si basano appunto sulla documentazione del racconto narrativo; un
lavoro complesso volto a ricostruire storie attraverso schermate simultanee, proponendo allo
spettatore una sperimentazione sopra i limiti della realtà: nella sua opera egli utilizza, di fatto,
principalmente il montaggio di primi piani, partendo dalla tecnica del campo – controcampo5 per
poi intervenire anche con insert in stop-motion.6 E' importante ricordare che si tratta di opere per
musei e spazi espositivi, che sfruttano quindi la cornice in cui sono allestite, cioè la relazione tra il
carattere bidimensionale dell’immagine elettronica e la tridimensionalità dell’installazione nella
quale sono inserite.
Particolarmente significativo, ai fini del nostro tema di discussione, risulta essere il lavoro del 2007
intitolato The Casting [fig. 1],7 dove Fast introduce per la prima volta l'uso dei tableaux vivants..
Due sono le possibili ragioni alla base di questa scelta: la prima deriva dal rischio di scadere nel
melodramma, rischio intuito dall'artista nella ripresa naturalistica di drammatiche storie belliche;
il mettere in scena un tableau risolve sicuramente questo tipo di problema, rendendo il pathos
parte di una performance fisica in cui lo stare immobili, piuttosto che apparire reali, costituisce il
criterio fondamentale di giudizio della stessa. La seconda ragione è invece riscontrabile nel fatto
che, per costruire ogni singola scena, egli era partito da un amalgama d’immagini scaricate da
Google, e quindi l’uso dei tableaux garantiva all’opera il facile riconoscimento delle sue radici
fotografiche.. Fast, come molti altri artisti contemporanei, usa quindi l'immagine in movimento
come strumento di riflessione socio-antropologica, giocando proprio sul medium televisivo che
maggiormente influenza oggi le masse. Rispetto ad altri, però, egli porta oltre la sua riflessione,
tralasciando il giudizio morale e insistendo invece sul processo di trasformazione a cui il flusso di
immagini, quindi di dati, è obbligatoriamente sottoposto. Non gli interessa l’aspetto etico della
questione, ma l’analisi attenta delle modalità attraverso cui è possibile tale metamorfosi, centrando
la propria attenzione sulle conseguenze nell'individuo.
Nel caso dell'opera Nostalgia8 [fig. 2] invece, il confine tra documentario e fiction, che nei lavori di
Fast è ben specificato, risulta invece molto labile; si tratta infatti di un interessante documentario
drammatizzato con una descrizione narrativa, nel quale le configurazioni si rapportano alla realtà
attraverso costruzioni narrative filmiche. Diversamente da altri suoi lavori si percepisce
chiaramente la sceneggiatura, potremmo dire che si nota “la cornice”. In questo caso la scelta della
fiction diventa elemento di denuncia, si sceglie una cornice consueta, a cui lo spettatore è ormai
assuefatto, per denunciare la discriminazione e informare il pubblico sul problema della
migrazione e dei clandestini.
In Talk Show, video che verrà presentato a fine novembre in occasione de Lo Schermo dell'Arte a
Firenze, l'artista sceglie ancora un'altra cornice. Il lavoro nasce come performance live per poi
diventare un progetto video: siamo nel 2009 a New York, per la Biennale Performa, Fast organizza
tre serate, durante le quali mette in scena il lavoro Talk Show [fig. 3]; davanti a un numeroso
pubblico, posiziona sul palco ospiti diversi, scelti da lui come in un vero talk show, che cominciano
a raccontare
alcuni episodi della loro vita. Gli ospiti dividono il palco con degli attori
professionisti: sia gli attori che il pubblico non hanno idea di quale sia la storia che stanno per
sentire, né ovviamente di chi sia la persona che hanno davanti. Ogni attore ascolta la storia narrata,
e la ri-racconta a memoria al nuovo attore salito accanto a lui sul palco. Si crea quindi, fin da
subito, un rapporto di “familiarità” con il pubblico, che in questo modo può vedere come la storia
cambi di volta in volta a seconda delle singole interpretazioni. Dopo l'esperienza newyorkese, Fast
decide di mettere in scena, questa volta dentro la “cornice” di un finto studio televisivo, le stesse
persone riprese da telecamere e affiancate da attori professionisti. Il risultato è sorprendentemente
naturale. Sia le persone invitate, che gli attori, ma ancora di più il finto pubblico nel controcampo,
sono più naturali ed efficaci che nelle prime rappresentazioni. Rispetto all'istallazione di The
Casting e alla tripartizione video di Nostalgia qui Fast celebra l'unità narrativa, sceglie un unico
palco di rappresentazione e punta sul testo scegliendo di farlo reinterpretare da soggetti diversi;
diversamente però dal progetto Nostalgia punta sull'improvvisazione. Non conta più il significato
della storia narrata, ma la cornice in cui viene raccontata grazie alle interpretazioni dei singoli
attori. A conclusione di questo processo di manipolazione della verità, Fast decide di far ricoprire
un nuovo ruolo anche all'unica figura che interpretava veramente se stessa, raccontando la propria
storia: la donna che per prima era salita sul palco per descrivere quello che realmente aveva vissuto
chiude infatti il ciclo di racconti vestendo i panni di qualcun'altro, trasformandosi a sua volta in
un'attrice. La macchina da presa, la cornice contemporanea, spietata osservatrice, riprende tutto e
lascia spazio a libere interpretazioni.
Macchina da presa.
Possiamo far risalire la nascita della televisione al 25 marzo del 1925, quando l’ingegnere scozzese John Logie Baird ne
diede la prima dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra.
3 I tableaux vivants sono scene di genere o ricostruzioni storiche con intenti didattici o edificanti, ma talvolta anche
erotici, realizzate mettendo in posa modelli e comparse. La fotografia è in questo molto vicina al teatro, che ne aveva fatto
uso sia nel teatro liturgico che in quello profano. I tableaux sono cosa diversa dal mettere in posa un soggetto per il
tempo necessario a riprenderlo, chiedendogli di assumere posture o atteggiamenti: in essi infatti i soggetti, spesso in
costume, interpretano una parte, secondo una sorta di sceneggiatura. Il più celebre pittore di tableaux fu Oscar
Rejlander, svedese emigrato in Gran Bretagna, che si appassionò al genere dopo aver studiato a Roma, in cui poté entrare
in contatto e approfondire la fotografia di vedute. Nel 1857, combinando trentadue negativi diversi, creò The Two Ways
of Life, un ampio pannello in cui cerca di illustrare la differenza tra il vizio e la virtù.
4 Omer Fast nasce a Gerusalemme nel 1972. Si trasferisce subito negli Stati Uniti e, dopo aver studiato arte all’Università
di Tufos, comincia a insegnare all’Hunter College; decide quindi di trasferirsi a Berlino, dove vive tuttora e dove lavora
come artista. Il suo interesse per le videoinstallazioni nasce dalla sua capacità di esprimere contenuti complessi e
interagire con lo spettatore. Omer Fast con l'opera the Casting vince nel 2008 il Bucksbaum Award, alla Whitney
Biennial.
5 Il “campo-controcampo” è una tecnica utilizzata durante la fase di montaggio di un film, articolata in due distinte
inquadrature speculari. Di solito viene usato nei dialoghi e mostra alternativamente il primo e il secondo soggetto
mentre parlano, o scambiano gesti e sguardi: al “botta e risposta” corrispondono le inquadrature dell'uno o dell'altro. Il
punto di vista può essere soggettivo (come se vedessimo con gli occhi del personaggio) o semi-soggettivo (con la
macchina da presa posta in un punto dietro il personaggio, in modo da vedere sia lui sia ciò che gli sta davanti), con un
punto di vista coerente per altezza e inclinazione. Ad esempio, se un personaggio sta parlando da una terrazza con un
altro, si alterneranno inquadrature dal basso (verso la persona sul balcone) e dall'alto (verso la persona in strada),
mantenendo all'incirca il punto di vista dei personaggi.
6 Tecnica che nasce per l’animazione tradizionale di pupazzi di stoffa, inanimati, dei quali si fotografa ogni singola
posizione. La proiezione in sequenza di queste immagini dà l’illusione del movimento sullo schermo. L’animazione
realizzata con questa tecnica prevede ventiquattro fotografie/fotogrammi al secondo e viene spesso utilizzata anche in
film con animazione digitale per uno studio preliminare dei personaggi. La Stop Motion è nata con il cinema stesso:
George Méliès la utilizzò nelle sue produzioni; ma i due veri iniziatori furono Willis O'Brien e George Pal che la
perfezionarono e ne fecero la base del loro lavoro.
7 Omer Fast con l'opera the Casting vince nel 2008 il Bucksbaum Award, alla Whitney Biennial. L'opera è una
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videoinstallazione su quattro canali, della durata di quattordici minuti. Il video ricostruisce una conversazione tra Fast e
un militare dell’esercito americano che sta per andare in Iraq nel 2006. Durante questa conversazione l’ufficiale racconta
due storie, intercalate da immagini che rappresentano i ricordi del soldato, relative a un incontro con una donna
avvenuto in Baviera e a uno scontro a fuoco con un civile a un check-point in Iraq. La storia viene raccontata su due
schermate: in una Fast mette la storia del sergente, nell’altra la preparazione dei copioni degli attori.
8 La videoinstallazione Nostalgia fu coprodotta nel 2009 da South London Gallery, University of California, Berkeley Art
Museum, e Pacific Film Archive, nonché dall’associazione Verein der Freunde der Nationalgalerie di Berlino. Il Centro di
Rifugio per Migranti e il Consiglio dei Rifugiati di Londra ha riconosciuto all’artista la profondità e la sensibilità con la
quale ha trattato il tema della migrazione.
IMMAGINI
1. Omer Fast, The Casting, 2008
2. Omer Fast, Nostalgia, 2009
3. Omer Fast, Talk Show, 2009