storia delle Confraternite

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storia delle Confraternite
Cenni storici sulle Confraternite
Sorte alla fine del Quattrocento le confraternite sono associazioni spontanee di persone per lo più
laiche che si uniscono, sotto la guida di regole precise, per condurre in comune la loro vita
religiosa. Sebbene fossero fondate per preparare all’esistenza ultraterrena, furono coinvolte nelle
attività sociali, politiche e culturali delle comunità svolgendo un ruolo d’estrema importanza, spesso
sottovalutato dagli storici: organizzavano scuole domenicali e funerali, gestivano ospedali e
orfanotrofi, patrocinavano le arti e la musica, davano asilo e perseguitavano gli eretici, fornivano
doti e accompagnavano al patibolo i condannati, alternando la cura materiale del corpo
all’interesse, certamente preminente, per l’anima. Generalmente le varie confraternite, a seconda
del tipo e degli scopi statutari, vengono divise dagli storici in Laudesi, Disciplinanti, confraternite
eucaristiche e le confraternite legate alle corporazioni delle arti, che si svilupparono
soprattutto nel nord Italia e a Venezia in particolare.
La storia delle Confraternite in Europa affonda le sue radici nell’Alto Medioevo, in Francia, ove si trovano testimonianze risalenti al VII-VIII
secolo, mentre nel nostro Paese arrivarono soltanto dopo l’anno Mille. Durante gli anni buii del Medioevo, ricchi di eresie, sette più o meno
segrete, crociate ed inquisizioni, la cultura rimase per secoli confinata nei monasteri e soggetta ad una accurata censura e gli scambi culturali
vennero ridotti al minimo. In questo periodo, tuttavia, i conventi e le curie videro fiorire una cristianità nuova, foriera di una nuova componente
spirituale, ben più elevata dei fasti bizantini. Tra le cause di questa svolta è possibile annoverare la diffusione, soprattutto negli ambienti cittadini, dei
vari movimenti pauperistici, che chiedevano con forza un ritorno alla Chiesa degli antichi valori evangelici, lontana dalle ricchezze e dal potere che
molti esponenti del Clero avevano raggiunto: in questo contesto Valdesi[1], Catari[2] e Apostolici[3], guidati da figure carismatiche, seppero trovare
vasto consenso nelle genti del tempo.
Non tutti i nuovi movimenti d’ispirazione pauperistica sfociarono nell’eresia[4], anche se il loro dialogo con le istituzioni ecclesiastiche fu spesso
interrotto da drammatici momenti di conflittualità. Significativo, da questo punto di vista, fu il caso di san Francesco d’Assisi e di san Domenico
di Guzmàn, che agli inizi del secolo XIII fondarono dei nuovi ordini votati alla povertà e alla predicazione. Dopo una prima fase caratterizzata
dal sospetto, gli ordini dei «minori» e dei «predicatori » furono riconosciuti legittimi, e, anzi, iniziarono a svolgere un’opera preziosissima nel
contenimento e nella repressione dei movimenti religiosi più radicali; la regola francescana e domenicana superarono in gran pare l’antica regola
benedettina dell’ora et labora, disponendo che fosse compito dei frati stare in mezzo alla gente a predicare il Vangelo. In contemporanea alla nascita
di questi nuovi ordini monastici, si svilupparono anche movimenti laici che giravano di città in città per predicare la penitenza e la conversione[5].
Questi erano chiamati, a seconda dei casi, Flagellanti, Disciplinati [6], Battuti, per il loro uso di privarsi delle vesti e di flagellarsi nelle pubbliche
vie per dimostrare che ci si doveva mortificare per espiare i peccati e raggiungere la salvezza in una adesione senza riserve alla Passione di Cristo in
tutti i suoi aspetti più concreti e reali.
Un nuovo impulso allo sviluppo delle Confraternite venne dal Giubileo del 1400, indetto da
Bonifacio IX; il cosiddetto movimento laicale dei Bianchi, uomini e donne in cappa bianca, con
il volto incappucciato, provenienti dalla Provenza, attraversò la nostra penisola diretto a Roma
in pellegrinaggio[7]. Gli annali dell’epoca dedicano ampio spazio al passaggio dei Bianchi e
registrano la guarigione di uno zoppo, la liberazione di una schiava o il caso del bambino che dopo
tre ore in cui giaceva come morto ritornò alla vita. Quando i movimento itineranti si esaurirono,
sorsero numerose compagnie o confraternite di disciplinati, che contribuirono non poco alla
pacificazione degli animi ed al rinnovamento della vita cristiana. I laici associati permisero alla
Chiesa di essere presente in tutti gli ambienti, costituendo un vero e proprio tessuto connettivo di
fronte al quale l'eresia non aveva la possibilità di attecchire.
Con il passare del tempo, i disciplinanti diventano più moderati nei comportamenti e nel vestire e le Confraternite cominciano ad essere
intitolate ai Santi legati alle città con cui si intrattenevano rapporti economici. Infatti, spesso, i confratelli appartenevano ad una stessa classe
sociale o svolgevano lo stesso mestiere; per questo le Confraternite cominciano ad assumere il ruolo di "Arti" che forniscono un appoggio sociale.
Nell’Alto Medioevo si evidenzia la differenza tra il fenomeno confraternale in area urbana dove si constata la presenza di numerosi organismi, e in
area rurale, dove la confraternita di norma è una sola ed è chiamata a svolgere anche funzioni di solidarietà sociale oltre che di veicolo di
partecipazione alla vita devozionale e sacramentale sotto la guida del clero diocesano che spesso ne aveva determinato la nascita. In ambito
cittadino le confraternite tendono a differenziarsi sia per quanto riguarda ceti sociali ai quali ognuna si rivolge sia per le forme e le modalità della
devozione che per le varie manifestazioni di assistenza ai malati, ai moribondi, di onoranze ai morti.
Se all'inizio cercarono l'appoggio e la protezione della Chiesa, con il XV secolo le Confraternite
cercano di affrancarsi rivendicando una loro autonomia; nel corso di un secolo infatti esse
acquistano un peso consistente all’interno delle comunità, assumendo la gestione delle attività
assistenziali e dilatando via via le loro prerogative, sino a trasformarsi in veri e propri centri di
potere svincolati dalla giurisdizione ecclesiastica. Divenute economicamente autosufficienti, le
confraternite più ricche[8] costruirono anche sedi proprie, gli Oratori e, ben presto alle
Confraternite titolari si aggregano nello stesso Oratorio altri gruppi innescando un processo che
porterà alla costituzione delle cosiddette Casacce[9] che assunsero spesso il nome del santo a cui
era dedicata la Confraternita o del luogo in cui essa era ubicata[10].
Alle varie attività le confraternita facevano fronte con le quote dei loro membri, con offerte di
privati, con lasciti loro pervenuti, con il reddito di beni immobili di proprietà. Per facilitare, poi, il
matrimonio di fanciulle povere, elargivano somme di denaro, dette "doti", attingendo al reddito di
particolari lasciti a tale fine. La scomparsa fisica dei confratelli per le varie epidemie o morti
naturali, grazie ad un enorme numero di lasciti testamentari, genera inoltre per le confraternite
l’accumulo di una ingente massa di ricchezze patrimoniali.
In una organica connessione con la conformazione stessa di un legame associativo, la solidarietà espressa nelle confraternite aveva compreso al suo
interno una doppia valenza: la prima legata alle concrete necessità dell’esistenza umana, l’altra del legame che stringeva nello stesso
tempo i vivi e i morti. Negli statuti non mancano mai disposizioni relative all’assistenza ai moribondi, alla sepoltura e alle esequie per i morti, al
suffragio per i defunti.
Fin dai primi secoli le Confraternite ebbero infatti come scopi principali l’edificazione religiosa dei vivi e la preghiera dei morti. Questo
rispondeva al desiderio diffuso nel popolo di sentirsi accompagnato al giudizio dopo la morte dal conforto di una vita vissuta cristianamente e dalla
preghiera dei propri cari. Vennero quindi istituite successivamente manifestazioni religiose come processioni o periodi di preghiera, in occasione di
ricorrenze quali il giorno dedicato al Santo Patrono o ad altri eventi significativi, per la vita della comunità cristiana.
Parallelamente a queste funzioni prettamente spirituali, le Confraternite rivestirono anche un importante ruolo sociale, intervenendo in questioni più
terrene ed immanenti. In questo ambito fu particolarmente importante la loro funzione di “società di mutuo soccorso” ante litteram. Il
moltiplicarsi delle intitolazioni delle confraternite al Suffragio, agli Agonizzanti, alle Anime del Purgatorio dà il conto di una centralità cultuale
che ha ormai un profilo predominante, se non addirittura esclusivo, nella religiosità, spesso barocca, del Seicento. Oltre ai numerosi esempi attestanti
il crescente specializzarsi della devozione funeraria, la maggiore evidenza del comune denominatore è data dalla accurata disposizione di simboli
mortuari in tutte le sedi associative. Saranno le disposizioni francesi, relative alle sepolture all’esterno dei centri abitati, confermate o
riprese nella legislazione degli stati italiani, a favorire una modifica profonda e radicale di questo aspetto della pietà popolare. Ogniqualvolta
nella famiglia di un confratello si verificava un decesso o una malattia particolarmente grave, gli altri confratelli si incaricavano di portare avanti il
lavoro anche per chi non ne aveva più la possibilità. In questo caso tutti quelli che ne avevano la facoltà, mettevano a disposizione degli altri parte
del proprio tempo e lavoro, che impiegavano, nelle campagne a curare gli animali e a mantenere i campi in buone condizioni, finché il proprietario
non fosse stato nuovamente in grado di portare avanti da solo il suo lavoro. In questo modo, anche se in una famiglia veniva improvvisamente a
mancare “l’uomo”, la vedova veniva aiutata finché i figli non fossero abbastanza cresciuti per sostentarsi da soli.
La Confraternita aveva inoltre un’altra importante funzione sociale: occuparsi della sepoltura dei morti[11]. Oggi questa può sembrare cosa di
poco conto, essendo uso comune essere assistiti dalle strutture pubbliche e da un certo numero di aziende private nell’adempimento di questo
pietoso ufficio, ma queste organizzazioni sono nate solo in tempi relativamente recenti. Il problema era di notevole importanza ogni volta che si
verificava una epidemia o una carestia: allora era veramente necessaria una organizzazione che si facesse carico di questo lavoro, poiché in tali tristi
occasioni, che si sono ripetute abbastanza di frequente negli ultimi secoli, il numero di decessi diventava troppo grande per poter essere gestito dalle
singole famigli. Nelle campagne questo ufficio assumeva una valenza ancora maggiore, per la presenza di cascine isolate, lontane dalla Chiesa ove
doveva essere celebrato l’ufficio funebre. Non esisteva ancora nessun servizio pubblico che provvedesse alla sepoltura dei cadaveri; il triste compito
era assolto in genere dalle confraternite o dai familiari del defunto. Per coloro che non appartenevano ad alcun sodalizio e per le famiglie a cui la
miseria non permetteva il trasporto della salma, provvedeva la pubblica carità non organizzata; qualche volonteroso raccoglieva le offerte dai
passanti e, raggiunta una somma sufficiente, incaricava due facchini di portare il cadavere, steso su di una tavola, al cimitero per la sepoltura.
L’uso del cappuccio, che successivamente avrebbe assunto la funzione di mantenere la
segretezza nelle riunioni e nelle processioni, è sicuramente stato introdotto in origine come
protezione dalle malattie. A tale scopo vennero anche utilizzati cappucci muniti di un filtro a
forma di becco, che, nell’intenzione di chi lo portava, doveva servire a minimizzare il rischio di
contagio. Se la vita religiosa, liturgica e cultuale si esprime in questo periodo in prevalenza
attraverso le confraternite, profonde differenze intercorrono tra i centri urbani e i piccoli
agglomerati sparsi nel territorio. In questi ultimi, l’intera popolazione di solito fa capo ad un’unica
confraternita, in titolata spesso al Santissimo Sacramento e localizzata nella chiesa principale,
cui si aggiunge una confraternita mariana nella versione legata a!la recita del Rosario,
polarizzando in questo modo una ripartizione maschile, che rivendica a sé la gestione dei beni
ecclesiastici, e dall’altro canto offre uno sbocco istituzionale alla religiosità femminile. Infatti, la
natura prevalentemente maschile di questo tipo di associazionismo non è tuttavia esclusiva; a
volte era permesso l’accesso alle donne, alle quali però erano vietate le cariche
istituzionali. Successivamente questa specie di divieto decade e vengono a costituirsi anche
confraternite di sole donne. Questo risulta essere molto importante perché veniva offerta loro la
possibilità di aggregazione sociale e di partecipazione al di fuori dei confini della famiglia: per le
donne nel Cinquecento questa era una opportunità rarissima.
Con la metà del Quattrocento le confraternite avvertono gli influssi delle nuove correnti spirituali all’interno del mondo cattolico e, come attestano
le riforme degli statuti di quel periodo, appaiono più impegnate nel campo dell’educazione e della formazione religiosa e dell’assistenza ai
bisognosi. I primi progetti di riforma disciplinare e religiosa della metà del Cinquecento non fanno esplicito riferimento alle confraternite se non per
richiamare la necessità che esse rientrino sotto il controllo dei parroci e dei vescovi così da offrire il loro contributo al progettato rilancio della
religiosità nell’ottica di Roma. Dopo il Concilio di Trento saranno numerosi i vescovi che sollecitano la creazione della Confraternita della
Dottrina cristiana per arginare la diffusione delle dottrine protestanti e di quella del Santissimo Sacramento per allargare la devozione
eucaristica: così, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, vediamo sorgere confraternite di questo tipo in tutte le parrocchie più importanti.
Con la metà del Quattrocento le confraternite avvertono gli influssi delle nuove correnti spirituali
all’interno del mondo cattolico e, come attestano le riforme degli statuti di quel periodo, appaiono
più impegnate nel campo dell’educazione e della formazione religiosa e dell’assistenza ai
bisognosi. I primi progetti di riforma disciplinare e religiosa della metà del Cinquecento non fanno
esplicito riferimento alle confraternite se non per richiamare la necessità che esse rientrino sotto il
controllo dei parroci e dei vescovi così da offrire il loro contributo al progettato rilancio della
religiosità nell’ottica di Roma. Dopo il Concilio di Trento saranno numerosi i vescovi che sollecitano
la creazione della Confraternita della Dottrina cristiana per arginare la diffusione delle
dottrine protestanti e di quella del Santissimo Sacramento per allargare la devozione eucaristica:
così, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, vediamo sorgere confraternite di questo tipo
in tutte le parrocchie più importanti.
Quasi nello stesso periodo si avvia un processo più deciso di disciplina dei modelli della devozione e della pratica assistenziale delle confraternite
attraverso la creazione a Roma delle arciconfraterntite, organismi dotati di ampi privilegi e di numerose indulgenze: ad esse saranno
sollecitate ad aggregarsi tutte le confraternite presenti nelle diocesi e la conseguenza sarà che sempre più spesso si andrà imponendo localmente il
modello di vita devozionale mutuato da Roma. La sua caratteristica specifica consiste, in sostanza, nell’essere dotata di ampi privilegi e di numerose
indulgenze da parte dei pontefici e di poterle trasferire ad altre analoghe associazioni devote, grazie al meccanismo dell’aggregazione. Clemente
VIII (1592-1605) dispose che per ottenere l’aggregazione si presentassero gli statuti e una lettera del vescovo attestante l’erezione
canonica; venne stabilito inoltre che non potesse aggregarsi alla stessa Arciconfraternita più di una Confraternita per luogo. L’aggregazione delle
confraternite italiane, alle omologhe arciconfraternite romane, ha una viva impennata con l’assimilazione nella intitolazione stessa,
nell’adeguamento delle norme statutarie e, persino, negli specifici orientamenti devozionali. Loro massima aspirazione era l'aggregazione a
qualche arciconfraternita di Roma, perché i loro membri potessero lucrare le numerose indulgenze concesse da vari pontefici. Ulteriore indizio di una
trasformazione dei referenti per la pietà religiosa dei laici nel Seicento è il graduale affiancarsi al cumulo dei privilegi indulgenziali del ben più corposo
accumulo di reliquie di ogni genere, di cui ci è lasciata traccia negli inventari delle confraternite Nel corso del XVI secolo, anche in seguito alla vittoria della lega Santa nella battaglia di Lepanto contro i turchi (1571), associata, secondo Pio
V all’intercessione della Vergine, si diffusero le Confraternite Mariane. La devozione mariana tocca punte altissime proprio in questo secolo,
infatti, la figura di questa donna, investita di funzioni celesti, suscita l’emotività più larga della gente. Entra, con grado quasi pari, nel cerchio divino
della Trinità, e vi rappresenta il polo complementare a quello dì Cristo, permettendo alla sensibilità del devoto di riversare le sue effusioni su un piano
immediato per la sua accessibile umanità. Nell’universo delle confraternite si riflettono gli influssi delle nuove correnti spirituali atti ve nella vita
religiosa, a cominciare dalla modificazione della pietà eucaristica e ancora di più dalla innovazione della recita del Rosario, destinata a
modificare a tutti i livelli la fisionomia della pietà mariana. La recita del Rosario, non più in formi individuale, costituisce senza dubbio l’unica
devozione comune che la Controriforma abbia elaborato a livello di pietà popolare, favorita dalla tradizione legata all’intercessione della Vergine per
la vittoria della flotta cristiana nella battaglia di Lepanto contro i Turchi nel 1571. 1 domenicani sono tra i maggiori sostenitori di questa pratica
devozionale che raggiunge una diffusione di massa tanto da arrivare alla costituzione di vere e proprie confraternite del Rosario. Inoltre, in questi
decenni si rievoca la passione di Cristo in maniera del tutto realistica ed in forma quasi teatrale.
Nei secoli XVI e XVII, affievolitosi lo spirito dei flagellanti, le confraternite accentuano lo spirito più prettamente liturgico e, con il passare del
tempo acquistano anche una certa autonomia economica, ed a volte anche una certa prosperità attraverso lasciti e donazioni e restano
profondamente radicate nel territorio o nel quartiere, ecco allora nascere rivalità, antagonismi e campanilismi; questa competitività si esprime
anche con i crocifissi processionali, sempre più grandi e maestosi, soprattutto in Liguria e nelle diocesi limitrofe, ed in certi momenti le
Autorità componenti cercano di mettere freno a certi sfarzi. Una particolare usanza ligure merita a questo proposito una segnalazione: quella di
portare l’immagine di Cristo rivolta all’indietro. Sembra che questo risalga ad un privilegio concesso ai genovesi come premio al valore
dimostrato nella liberazione del Santo Sepolcro. La storia racconta che i Genovesi entrarono per primi in Gerusalemme, guidati dal loro
comandante Guglielmo Embriaco “Testa di Maglio”; pare infatti che i crociati di Genova portassero in battaglia il crocifisso rivolto
all’indietro, in modo che gli infedeli non potessero vederne il volto. Un’altra versione,invece, racconta che il privilegio di portare il Cristo
rivolto verso il portatore risalga alla battaglia di Lepanto. I genovesi, guidati dal Doria, che combattevano con il Cristo innalzato come
vessillo, vedendo avanzare i Turchi, voltarono dalla propria parte l’immagine di Cristo, per attingere coraggio ed ottenere la di Lui
benedizione e perché i Turchi non erano degni di guardarlo. In memoria di questo fatto, il Papa concesse ai Genovesi che nelle processioni
tenessero l’immagine del Cristo voltata verso colui che lo portava. La tradizione, come spesso accade, tuttavia si ricollegava con la praticità;
infatti i pesanti e maestosi crocifissi, risultavano impossibili da portare, per evidenti problemi di equilibrio, rivolti in avanti e quindi il privilegio
genovese venne utilizzato anche da altre confraternite non genovesi.
Durante i primi anni del 600 proseguì il tentativo dell’autorità vescovile di tenere sotto controllo le Confraternite e non poche di esse acconsentirono
alla revisione dei loro statuti[14]. Con la bolla Quaecumque di Clemente VIII del 7 dicembre 1604 si escludeva l’iniziativa laica delle nuove
aggregazioni. Accanto a questo primo fattore significativo di disciplina e di controllo sulla vita delle confraternite, per tutto il Seicento non se ne
aggiungeranno altri. La proliferazione di confraternite mariane e di altre dalle titolazioni e finalità più diverse appare anzi come il segno più sicuro
della inefficace presenza dell’ordinamento parrocchiale ai fini di una più generalizzata attuazione della riforma tridentina. Alla fine del secolo XVIII le
Confraternite trovarono tuttavia come avversari i principi riformatori del tempo e ne fu inceppata l’attività di beneficenza, usurpandone il patrimonio a
vantaggio dello stato.
Con il Settecento quel progetto di instaurazione di un organico e disciplinato ordinamento basato sulla centralità della parrocchia comincia a
diventare realtà, traendo il massimo profitto da un progressivo indebolimento delle confraternite che ha tra le sue cause l’ingresso sempre più
significativo dei poteri pubblici nel campo dell’assistenza e dell’istruzione, l’erosione delle proprietà che assicuravano alle confraternite
rendite consistenti, l’attenuarsi dell’impulso associativo per fini devozionali. Quando la struttura parrocchiale è ormai dominante e l’organizzazione
pastorale della chiesa e l’attuazione del Concilio di Trento può giungere fino all’estrema periferia, sarà il turbine della politica riformatrice degli stati e
poi l’esperienza rivoluzionaria e l’egemonia francese sull’Europa nel primo decennio dell’Ottocento a mutare radicalmente anche il volto e le
funzioni delle confraternite che, quando troveranno le forze per rinascere nell’età della Restaurazione, saranno istituzioni totalmente subordinate
alla parrocchia, con compiti limitati in ambito devozionale e con un seguito tra la popolazione dei fedeli sempre meno significativo. I provvedimenti
dei primi governi rivoluzionari, come quello della rinata Repubblica Romana del 18 giugno 1798 che soppresse tutte le confraternite
destinandone i beni all’amministrazione ospedaliera, non fecero altro che estendere l’area di applicazione nel restituire i beni delle confraternite a
favore della società civile, Il decreto napoleonico del 26 maggio 1807 non estese la normativa repressiva in maniera uniforme per tutto il territorio
italiano, ma lasciò sussistere solo le confraternite del Santissimo Sacramento assoggettandole in ogni caso ad uno stretto controllo da parte
dei parroci. Si rendeva definitivo in questo modo un accentramento della dinamica delle istituzioni ecclesiastiche sottoposte alle parrocchie, come era
negli intenti del riformismo religioso del Settecento. Questa politica ecclesiastica non venne peraltro contraddetta negli stati italiani durante la
Restaurazione. Solo al centro della penisola, nel cuore dello Stato Pontificio, i provvedimenti napoleonici assunsero il carattere di una
perturbazione limitata nel tempo, cui seguì una rapida e pressoché integrale ricostituzione di confraternite, anche in virtù di una
nuova ondata di missioni popolari che ne percorse le campagne a spazzare via ogni minima traccia del passaggio degli eserciti
francesi. Per quanto concerne lo Stato Italiano, uno dei primi atti legislativi[15] fu la legge del 3 agosto 1862 n° 753,; che distinse le
Confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto da quelle aventi scopo esclusivo o prevalente di beneficenza; queste ultime
vennero assoggettate alla tutela dell’autorità governativa analogamente alle opere pie.
Se la legge del 15 agosto 1867 n° 3848, sulla soppressione degli enti ecclesiastici, esentò le Confraternite in quanto considerate enti laicali, la
successiva[16] legge 17 luglio 1890 n° 6972 dispose la trasformazione delle Confraternite aventi scopo esclusivo di culto in enti di beneficenza e
ne confiscò i beni produttivi di reddito, lasciando loro soltanto quelli improduttivi come chiese ed oratori.
Il Regio Decreto n° 1276 del 28 giugno 1934 conferiva poi la Personalità Giuridica alle Confraternite, sancita poi sulla Gazzetta Ufficiale
del Regno d’Italia n° 187 del 10 agosto 1934.
Enrico Ivaldi
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[1] I Valdesi, nati intorno alla figura di Pietro Valdo di Lione tra XII e XIII secolo, che predicavano la povertà, il rifiuto del potere e la non violenza e
che furono definiti eretici per aver disobbedito al divieto di esercitare la libera predicazione. Questo movimento sopravvisse alle persecuzioni
confluendo nella Riforma protestante del XVI secolo.
[2] I Catari, cioè "i puri", sviluppatisi verso la fine del XII sec. nel sud della Francia, che vivevano nel rifiuto totale dell’autorità del clero, non
accettavano alcun sacramento e contestavano molti elementi basilari della dottrina cattolica. Nel 1208 fu condotta contro di loro una crociata che
terminò con il massacro di molti eretici, denominati Albigesi dalla cittadina di Albi, il cuore dell’eresia, e provocò l’estinzione del movimento, che
aveva fatto proseliti anche nella zona del lago di Garda.
[3] Gli Apostolici, riuniti intorno alla predicazione di Gerardo Segalelli prima, e, dopo la sua morte sul rogo, di Frà Dolcino, diffusi nel Parmense, in
Trentino e in Piemonte; rifacendosi al profetismo millenaristico di Gioachino da Fiore e alla predicazione pauperistica di francescana memoria,
proponevano una società di eguali libera da gerarchie ecclesiastiche. Furono sconfitti definitivamente dalla crociata promossa contro di loro da papa
Clemente V che si concluse con la battaglia del Monte Rubello presso Trivero.
[4] Il termine eresia deriva dal greco “airesis”, che significa "scelta" in contrapposizione con la "ortodoxa", cioè l’interpretazione ufficiale della parola
di Dio elaborata dai Padri della Chiesa. Fiorisce, in età medievale, tra la metà del XII sec. e il XIII secolo ed ha carattere di massa, spesso urbano,
nella forma dei movimenti pauperistici, impostati sulla pratica e la predicazione del principio di povertà.
[5] L'associazionismo laicale fu una esigenza che i cristiani sentirono fin da subito, per realizzare la fratellanza e l'amore di Cristo secondo il principio
evangelico "se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome io sono in mezzo a loro" (Mt.XVIII,20).
[6] Nel 1260, l'eremìta Raniero Fasani da San Sepolcro (Perugia), diede inizio al movimento dei disciplinati (o disciplinanti). Questi penitenti itineranti
predicavano la mortificazione del corpo mediante l' autoflagellazione e si battevano con una "disciplina" e cioè con un mazzo di cordicelle
(generalmente cinque, in ricordo delle piaghe di Cristo) munite di nodi o di palline di legno. A tale scopo, il saio o sacco indossato dai penitenti, era
munito, sulle spalle o sul dorso, di apposita apertura o finestrella.
[7] S. Macchiavello, Sintomi di crisi e annunci di riforma (1321-1520), in Il cammino della Chiesa genovese, a cura di D. Punchu, Arcidiocesi di
Genova, Genova 1999.
[8] Esistevano anche confraternite che assumevano un prete per i singoli servizi, quando ne avevano bisogno, lo pagavano praticamente a cottimo, e
non lo accettavano come membro.
[9] Due sono le teorie sull'origine del termine "Casacce": una secondo la quale i confratelli si radunavano in baracche di legno che il popolo
denominava appunto grosse case o casasse (V. Patrone Crevari e la sua storia 1988), l'altra per cui deriverebbe da " far casaccia ", cioè accomunarsi
sotto il casato o la "Casata" del Santo Protettore.
[10] Soltanto successivamente il termine casaccia assunse il significato di Processione.
[11] In questo contesto nascevano quindi le cosiddette “Confraternite della Morte”, addette alla pietosa pratica del trasporto dei defunti e alle
preghiere per le loro anime. Nei libri dell’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte di Roma si narra che: “nell’anno del signore 1538 alcuni
devoti cristiani, vedendo che molti poveri, li quali o per la loro povertà, overo per la lontananza del luogo dove morivano, il più delle volte non erano
sepolti in luogo sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibo di animali, mossi da zelo di carità e pietà instituirono in Roma una compagnia
sotto il titolo della Morte, la quale per particolare instituto facesse quest’ opera di misericordia ". Il titolo dell’Orazione venne spesso aggiunto in
seguito perché oltre a seppellire i cadaveri, vi era l’uso di pregare per la loro anima e di esporre il Sacramento sotto forma di Quarant’ore ogni terza
Domenica del mese.
[12] Queste Confraternite promuovevano la frequenza alla Messa e alla comunione con la pratica di accompagnare il Santissimo Sacramento nelle
processioni teoforiche.
[13] L. Alfonso, Casacce e Confraternite tra Senato e Chiesa.
[14] già ad uno degli animatori del Concilio di Trento, San Carlo Borromeo, si deve un primo tentativo di uniformare gli statuti delle Confraternite.
[15] E. A. Bagnasco, La Confraternita di Nostra Signora del Gonfalone in Voltaggio, in proprio, Gavi (AL) 1995.
[16] Legge Crispi.