il retail italiano all`estero: franchising o reti dirette?

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il retail italiano all`estero: franchising o reti dirette?
IL RETAIL ITALIANO ALL’ESTERO:
FRANCHISING O RETI DIRETTE?
Ricerca di approfondimento sull’internazionalizzazione delle catene retail italiane
25 Ottobre 2013
Sommario
Premessa.………………………………………………………………..…….…………………………….4
Introduzione ..…………………………………………………………………....……………………….…5
1. Gli obiettivi della ricerca………………………………………………………………………………. 6
2. La metodologia utilizzata e il campione analizzato ……………..……………..…….…………...6
2.1 Il campione dei retailer già presenti all'estero..………………………………………………………6
2.2 Il campione dei retailer non presenti all'estero ……………………………………………..............8
3. Il punto di vista dei Retailer già presenti all'estero ...………………………………...................9
3.1 Media dei punti vendita per azienda in Italia e all'estero…….……………………………………...9
3.2 L'incidenza del fatturato all'estero sui ricavi totali della rete di punti vendita ………………...…10
3.3 I Continenti in cui i retailer sono già presenti ……………………...……..……………...…………10
3.4 Altre modalità con cui i retailer sono già presenti all'estero……………………………………….11
3.5 Le motivazioni dell'utilizzo della formula franchising all'estero …………………………….……..11
3.6 Le motivazioni dello sviluppo di una rete diretta all'estero…... …………………………….……..12
3.7 Le previsioni della performance aziendale per il triennio 2013-2015 ……….............................12
3.8 Lo sviluppo internazionale: quale priorità strategica per il triennio 2013-2015? ..………………13
3.9 I Continenti verso cui è indirizzato lo sviluppo delle reti …………………………..…..…………..13
3.10 I Paesi di maggiore interesse per lo sviluppo nel triennio 2013-2015 ………..………………..14
3.11 I fattori determinanti per la scelta dei Paesi esteri in cui sviluppare la rete di punti vendita …15
2
4. Il punto di vista dei Retailer non presenti all'estero …...……………….……………………....16
4.1 Media del numero di punti vendita per azienda in Italia ……………….…………..……………...16
4.2 La performance attesa in Italia per il triennio 2013-2015 ……………….……………………...…16
4.3 Il sentiment dei retailer sull'adeguatezza della propria struttura organizzativa.………………...17
4.4 Le previsioni di aperture all'estero per il triennio 2013-2015 ………...…………………………...17
4.5 Il livello di priorità strategica per lo sviluppo all’estero nel triennio 2013-1015 …………………18
4.6 I Continenti prioritari per lo sviluppo delle reti………………………………….. ………………….18
4.7 I Paesi di maggiore interesse per lo sviluppo nel triennio 2013-2015 ……………...……………19
4.8 I fattori determinanti per la scelta dei Paesi di destinazione………………………………..……..20
4.9 La formula commerciale preferita per lo sviluppo all'estero ……………..…..……………………21
4.10 Le motivazioni dei retailer non interessati allo sviluppo all’estero ……………..……………….21
Conclusioni ..………………………………………………………………………………………………22
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Premessa
Questo lavoro di ricerca nasce dall’esigenza di approfondire – partendo dall’esperienza
concreta degli operatori – le motivazioni che spingono le aziende retail ad internazionalizzarsi e
analizzare le ragioni delle scelte strategiche sulla formula da adottare (rete diretta, franchising o
mista).
E’ con soddisfazione che Confimprese e BeTheBoss.it presentano oggi i risultati di questo
sondaggio effettuato nei mesi di agosto e settembre 2013 su un campione di circa 150 franchisor,
di cui il 60% non è ancora presente sui mercati internazionali, ma manifesta nella maggior parte
dei casi l’esigenza di aprire nuovi punti vendita, mentre il 60% circa è già sbarcato all’estero per lo
più tra i 3 e i 10 anni fa.
E’ innegabile che l’internazionalizzazione della rete non sia più una scelta ma una
necessità per tutti i retailer italiani che vogliono continuare a crescere, sia perché a fronte della
crisi in cui versa il mercato interno è necessario trovare nuovi mercati di sbocco sia perché con la
penetrazione sul mercato domestico di retailer esteri prima e con l’avvento dell’e-commerce poi la
competizione è ormai diventata globale. Resta da capire quindi verso quali mercati rivolgersi e con
che strategia.
Il franchising è sicuramente una formula distributiva valida e innovativa, le cui potenzialità in
termini di crescita economica per il sistema Paese sono ancora poco sfruttate dagli operatori e
ancor meno conosciute dagli interlocutori istituzionali. Sembra banale aggiungere che deve il suo
successo alla rapidità con cui le reti riescono a svilupparsi e a godere di economie di scala
precluse al dettaglio tradizionale, eppure la chiave è proprio nella capacità di fare sistema e
nell’ottimizzazione di capitali e risorse.
E mentre in Italia ci si sta ancora affannando per fare riconoscere ufficialmente il
franchising dalle istituzioni preposte, le nostre imprese continuano ad utilizzare questo strumento
per espandersi all’estero. Si tratta infatti della formula distributiva più diffusa per
l’internazionalizzazione del commercio al dettaglio, perché permette di far conoscere il proprio
brand su nuovi mercati con investimenti contenuti, creando una sinergia tra il know how
consolidato dal franchisor rispetto al suo business di riferimento e la conoscenza del mercato che i
partner locali possono garantire. Gli stessi retailer interpellati tramite il sondaggio hanno
confermato la sua rilevanza strategica sia in Italia sia sui mercati internazionali, a discapito delle
reti dirette.
Il lavoro congiunto di Confimprese con BeTheBoss.it, giunto al suo secondo appuntamento
annuale, si propone proprio di continuare a mantenere alta l’attenzione di operatori, stampa e
istituzioni sul franchising, con l’intento di contribuire ad individuare quale supporto dare al settore.
Francesco Montuolo
Executive Vice President Confimprese
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Introduzione
Il processo di internazionalizzazione del retail italiano è iniziato qualche anno fa con risultati
di un certo rilievo. Ai tradizionali retailer italiani dell’abbigliamento, pelletteria e accessori si sono
poi aggiunti più recentemente i programmi di espansione dei franchisor italiani.
Nel 2005 i punti vendita in franchising all’estero erano 4.750, mentre il corrispondente dato
del 2012 è salito a 7.713 punti vendita (dati Assofranchising Italia). E’ opportuno tenere presente
che questi dati non comprendono i punti vendita gestiti direttamente dalle aziende franchisor.
Già da alcuni anni il franchising italiano si è proiettato verso l’estero anche con altri prodotti
tipicamente italiani, quali il caffè, la pasta e il cibo nelle sue più varie espressioni. Gli analisti del
settore sostengono poi che il fenomeno della presenza del made in Italy all’estero è tuttora in una
fase sostenuta nonostante la crisi finanziaria innescata nel 2007 dai mutui subprime negli Stati
Uniti. Questa crisi ha avuto gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei
paesi sviluppati.
Il settore del commercio ha continuato a crescere soprattutto nei mercati emergenti e quasi
quotidianamente leggiamo articoli e notizie del progresso economico dei paesi BRICS (Brasile,
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e dell’ASEAN (Paesi del sud-est asiatico), progresso
sostenuto dall’aumento del potere di acquisto delle popolazioni in generale ma, soprattutto, dei
cittadini a più alto reddito.
La dimostrazione di quanto sopra detto è confermata dai risultati emersi dal recente
sondaggio lanciato da BeTheBoss.it e Confimprese.
Vorrei aggiungere che il futuro dei retailer e franchisor italiani dipende dalla velocità con cui
sapranno proiettarsi all’estero con investimenti e risorse umane adeguati. In primo luogo, il
mercato globale è sempre più ”vicino” sia per le comunicazioni più veloci sia per le possibilità di
vendita assicurate dalle nuove tecniche informatiche (leggi e-commerce).
In secondo luogo, il mercato europeo è sempre di più un “home market”, che permette
quindi di trasferire risorse umane e capitali per la globalizzazione dei brand italiani nel mondo.
Gli imprenditori italiani sono consapevoli di disporre di prodotti e servizi attraenti per
consumatori in ogni angolo della terra e siamo certi che sapranno cogliere queste nuove e grandi
opportunità per i loro brand.
Giuseppe Bonani
Consigliere BeTheBoss.it
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1. Gli obiettivi della ricerca
La presente ricerca, di tipo qualitativo, ha tre obiettivi prioritari:
• valutare il grado di sviluppo delle reti italiane di franchising all’estero;
• comprendere il livello di priorità strategica dei mercati esteri per i retailer italiani;
• evidenziare le motivazioni delle scelte strategiche degli operatori in termini di formule
commerciali utilizzate per l’internazionalizzazione.
2. La metodologia utilizzata e il campione analizzato
La strumento più rapido per raggiungere gli obiettivi appena sopra accennati è stato giudicato il
“sondaggio online”. Nei mesi di agosto e settembre 2013 è stato inviato un questionario
compilabile online ai database di BeTheBoss.it e Confimprese. I retailer rispondenti sono stati circa
150, di cui il 60% sono operatori non ancora presenti all’estero e il 40% già presenti sui mercati
internazionali.
2.1 Il campione dei retailer già presenti all’estero
•
Il settore merceologico
6
•
L’investimento iniziale richiesto per aprire un punto vendita dai retailer già
presenti all’estero
•
L’anzianità della rete di vendita dei retailer già presenti all’estero
Il campione è costituito da Ristorazione rapida/Pizzerie (18,75%), Gdo/Alimentari,
Gelaterie/Yogurterie (entrambi circa il 12%), Abbigliamento uomo-donna/Ristorazione a tema/Pub
(entrambi circa il 6%), Abbigliamento bambino, Alberghi, Calzature/Pelletteria, Centri
estetici/Benessere/Palestre, Intimo, Mobili, Servizi postali/Stampa (tutti circa il 3%).
Diversamente dai retailer non ancora sbarcati oltreconfine, la maggior parte di quelli già presenti
all’estero, pari al 31,25%, prevede un investimento iniziale per il franchisee compreso tra i
150.000€ e i 500.000€. In termini di anzianità delle reti quasi il 44% del campione dichiara di aver
avviato lo sviluppo sui mercati internazionali tra i 3 e i 10 anni fa. Un buon livello, dunque, di
anzianità che riflette già una buona esperienza di gestione della rete in territorio straniero.
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2.2 Il campione dei retailer non presenti all’estero
•
Il settore merceologico
•
L’anzianità della rete di vendita dei retailer non presenti all’estero
8
•
L’investimento iniziale richiesto per aprire un punto vendita dai retailer non
presenti all’estero
Anche in questo caso il campione analizzato presenta un marcato sbilanciamento verso la
Ristorazione rapida con l’11,11% e Gdo/food con l’8,89%. Ciò rispecchia la situazione reale,
perché proprio il food è il settore del made in Italy più presente oltreconfine. Seguono
Calzature/pelletteria e Centri estetici/benessere ai quali appartiene circa il 6,67% dei rispondenti.
Abbigliamento uomo-donna, Asili/ludoteche, Informatica, Internet contano circa il 4%.
Per quanto riguarda l’investimento inziale richiesto per aprire un punto vendita, oltre la metà dei
franchisor partano da una base inferiore ai 50.000 €. Si tratta inoltre di reti relativamente giovani; il
33,33% dichiara infatti di aver iniziato ad aprire punti vendita in Italia tra i 3 e i 10 anni fa.
In buona sostanza, a parte il settore di provenienza, i due campioni – retailer già all’ estero e non
ancora all’estero - divergono sia per anzianità della rete che per investimento richiesto, entrambi
più elevati per i retailer già internazionalizzatisi. Questo ci conferma la buona prassi di aprire
negozi all’estero solo dopo aver ben consolidato il proprio business in Italia.
3. Il punto di vista dei Retailer già presenti all’estero
3.1 Media dei punti vendita per azienda in Italia e all’estero
I retailer già presenti all'estero hanno mediamente circa 70 punti vendita in franchising in Italia e
circa 30 all'estero. E' comunque evidente, anche per l'espansione fuori dai confini nazionali, la
preferenza per la formula del franchising rispetto all'apertura di punti diretti.
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3.2 L’incidenza del fatturato all’estero sui ricavi totali della rete di punti vendita
Per quasi il 35% del campione il fatturato realizzato all’estero incide per oltre il 50% sul totale
ricavi. Troviamo con la stessa percentuale un campione di rispondenti che dichiara un fatturato
estero che pesa tra il 10 e il 30%.
3.3 I Continenti in cui i retailer sono già presenti
Tutti i retailer del campione intervistato sono presenti in maniera ‘rilevante’ in Europa, all’appello
non manca nessuno: la penetrazione geografica è pari a oltre il 90%. L’Asia pesa per il 47,62%,
l’America del Nord per il 45%. Molto distaccati seguono Africa (17,39%), America del Sud
(16,66%), Oceania (9%), che risulta anche il Paese dove quasi il 60% degli intervistati dichiara di
non essere ancora presente e quasi il 32% di esserci con una presenza ‘poco significativa’.
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3.4 Altre modalità con cui i retailer sono già presenti all’estero
È la filiale diretta la formula più utilizzata al momento per il 34,38% degli interpellati, seguita da
agenti di vendita (21,88%) e distributori (18,75%). L’e-commerce, che è in pole position come
modalità per i retailer non ancora presenti all’estero, scivola invece nelle ultime posizioni con il
9,38%. Cambiano, dunque, modalità e approcci commerciali nel momento in cui l’azienda si è già
internazionalizzata, perché a cambiare sono le strategie in loco.
3.5 Le motivazioni dell’utilizzo della formula franchising all’estero
È la rapidità di sviluppo garantita dal franchising il motivo primo che spinge i retailer ad utilizzare
questa formula anche per espandersi all’estero. Ne è più che convinto il 60% del campione che,
attraverso il concetto di catena in franchising, riesce ad attuare soluzioni più dinamiche di
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internazionalizzazione, alimentando nuove opportunità di business e ottimizzando il rapporto costi
di gestione rete/numero affiliati oltre al più generale rapporto risultati/investimenti. Il 45% degli
operatori, poi, punta sul franchising perché dichiara che lo sviluppo della rete diretta è troppo
oneroso. Il 45% di chi è andato all’estero afferma che può già anche contare su una rete di partner
con relazioni istituzionali consolidate, il che costituisce un valido punto di partenza per individuare
partner locali solidi e affidabili.
3.6 Le motivazioni dello sviluppo di una rete diretta all’estero
Alla domanda sulle motivazioni che portano ad aprire punti vendita diretti all’estero, la ricerca
evidenzia una parità percentuale (76,92%) declinata su due diverse motivazioni: maggior
presidio/controllo della rete, maggiore conoscenza del mercato locale/tentativo di testare la formula
commerciale. A un atteggiamento di prudente controllo del territorio e della catena si affianca,
però, anche la volontà di diversificare il rischio d’impresa, sposata dal 45% dei rispondenti.
3.7 Le previsioni della performance aziendale per il triennio 2013-2015
Sulle previsioni delle performance aziendali per il prossimo triennio, emerge che una percentuale
altissima, pari al 78% dei rispondenti, confida in un futuro commerciale prospero, decisamente in
crescita più all’estero che in Italia, dove invece tale percentuale si dimezza al 40,63%. Previsioni di
stabilità sia in Italia sia all’estero rispettivamente dal 31% e da quasi il 22% del campione.
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3.8 Lo sviluppo internazionale: quale priorità strategica per il triennio 2013-2015?
Sommando le percentuali di chi ritiene ‘molto rilevante’ e ‘abbastanza rilevante’ sviluppare il
business sui mercati internazionali nel triennio a venire si arriva ad un 80% degli intervistati, che
ritengono l’internazionalizzazione non solo un’opportunità ma anche una necessità vista la
situazione di crisi in cui versa il mercato nazionale.
3.9 I Continenti verso cui è indirizzato lo sviluppo delle reti
Con una differenza percentuale importante, 91,30% vs 78,57%, l’Europa batte l’Asia nelle priorità
strategiche di sviluppo del business da parte dei retailer. Seguono Stati Uniti (64,70%) e America
del Sud (62,50%). Il distacco maggiore si ha con Africa (50%) e Oceania (33,33%). Quest’ultima
rappresenta una priorità ‘poco rilevante’ per quasi il 54% del totale rispondenti. Si tratta di scelte di
campo nette da parte degli operatori che concentrano le proprie attenzioni solo su Continenti e
Paesi che presentano un quadro politico-economico più stabile.
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3.10 I Paesi di maggiore interesse per lo sviluppo nel triennio 2013-2015
Sui Paesi di maggiore appeal commerciale il campione non ha dubbi: la Francia è la prima nel
ranking delle priorità con il 50% delle risposte favorevoli, seguita dalla Gran Bretagna con il
37,50%. La Russia si aggiudica il 37,50% delle preferenze dei retailer. In area europea segue la
Germania con il 33,33%, ma con la stessa percentuale sono indicati anche Cina ed Emirati Arabi.
Tra le altre destinazioni, gli Stati Uniti registrano il 33,3% delle preferenze, l’India il 25% e il Brasile
il 20,8%. La saturazione degli spazi di sviluppo del retail in Europa occidentale costituisce senza
dubbio un forte incentivo per chi vuole investire in Oriente, dove i mercati retail locali hanno un
bacino di consumatori in grande crescita. Inoltre, stanno aumentando i livelli salariali e di
conseguenza la domanda di beni di consumo, soprattutto quelli prodotti dai brand occidentali.
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3.11 I fattori determinanti per la scelta dei Paesi esteri in cui sviluppare la rete di punti
vendita
La motivazione principale che ha spinto il 62,50% del campione alla scelta di determinati Paesi in
cui sviluppare la rete è chiara: consumi in crescita e classe media emergente. A grande distanza
segue il livello di rischio del Paese, indicato dal 33%, mentre prossimità geografica e bassa
complessità delle normative sono al 29,17%.
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4. Il punto di vista dei Retailer non presenti all’estero
4.1 Media del numero di punti vendita per azienda in Italia
Per tale tipologia di operatori la priorità è lo sviluppo in franchising, con un netto sbilanciamento
pari al oltre il 60%, verso tale formula di business. Il totale dei rispondenti conta, infatti, su 2.643
punti vendita in affiliazione contro 586 diretti.
4.2 La performance attesa in Italia per il triennio 2013-2015
L’80% del campione interpellato si è espresso in modo positivo sulle previsioni per il prossimo
triennio. Quasi il 18% prevede poi una situazione sostanzialmente stabile e solo il 2,22% dei
retailer pensa che le performance future siano negative.
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4.3 Il sentiment dei retailer sull’adeguatezza della propria struttura organizzativa
La somma in percentuale di chi pensa di essere ‘molto’ o ‘abbastanza pronto’ dal punto di vista
organizzativo per sbarcare all’estero si attesta a quasi il 67%. Il 28,89% dei rispondenti è poco
convinto di avere una struttura organizzativamente pronta per fare il salto.
4.4 Le previsioni di aperture all’estero per il triennio 2013-2015
La percentuale dei retailer intenzionati a sbarcare sui mercati internazionali nei prossimi tre anni
sfiora il 90%. Un dato decisamente positivo che evidenzia, da un lato, l’avvenuto consolidamento
di tali reti in Italia, e dall’altro la convinzione, sostenuta evidentemente da buoni capitali di base,
che sia giunto il momento per compiere il salto. Un numero esiguo, pari all’11% ritiene, invece, non
adatto il momento per orientarsi verso un progetto che, comunque, si presenta a tutti gli effetti
oneroso e impegnativo.
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4.5 Il livello di priorità strategica per lo sviluppo all’estero nel triennio 2013-1015
Su questo punto il campione dei rispondenti è fortemente motivato e determinato. Accorpando
infatti la percentuale di chi ritiene ‘molto rilevante’ e ‘abbastanza rilevante’ il grado di priorità
strategica per lo sbarco all’estero, si ottiene un rilevante 85,71% contro un 8,57% per cui tale salto
è poco rilevante. Si tratta, in pratica, della quasi totalità dei rispondenti che, privi attualmente di una
rete di vendita all’estero, ritiene fondamentale potersi espandere oltre i confini italiani.
4.6 I Continenti prioritari per lo sviluppo delle reti
È ancora il Vecchio Continente quello dove si concentra l’attenzione del 91% del totale rispondenti,
che lo ritengono molto rilevante per lo sviluppo delle proprie reti. Seguono le due Americhe con
rispettivamente oltre il 65% delle preferenze quella del Nord e il 64% quella del Sud. A breve
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distanza l’Asia con il 54%. In netto distacco Africa (33,34%) e Oceania (27,78%), evidentemente
percepite come continenti ancora in via di sviluppo dal punto di vista commerciale e quindi non
ancora particolarmente strategici.
4.7 I Paesi di maggiore interesse per lo sviluppo nel triennio 2013-2015
La Germania con il 54,29% delle preferenze si aggiudica la palma del Paese dove i retailer
vorrebbero iniziare a lanciare il proprio business. Del resto la nazione tedesca con 960 franchise
brand è la seconda in Europa dopo la Francia per numero di esercizi commerciali. Si può, dunque,
ben capire come i retailer manifestino chiara l’intenzione di sbarcare in un Paese politicamente ed
economicamente solido, dove l’indice di fiducia è salito a 107,7 punti dopo la rielezione della
Merkel e che può di conseguenza offrire maggiori garanzie anche in termini commerciali. La
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Francia si piazza al secondo posto nel ranking internazionale con quasi il 47% delle preferenze.
Da notare che si tratta anche dei due Paesi che secondo le rilevazioni EFF sono anche i primi per
numero di franchise brand. Inghilterra e Spagna sono a pari merito con il 40% di preferenze.
Segue la Russia con il 37,1% delle preferenze e la Repubblica Ceca con il 20%. Oltreoceano gli
Stati Uniti fanno sempre la loro parte e sono indicati da oltre il 34% del campione, a pari merito con
il Brasile. Ricordiamo, del resto, che il Paese a stelle e strisce è la culla del franchising ed è
culturalmente un terreno fertile per lo sviluppo di catene con questa formula; basti pensare che
negli USA c’è un negozio in franchising ogni 389 abitanti contro l’uno ogni 1.125 abitanti dell’Italia.
A grandissima distanza percentuale troviamo poi Bulgaria ed Emirati Arabi, entrambi indicati dal
14,29% del campione interpellato. Una nota di merito va, infine, alla Turchia che, pur non facendo
parte dell’Europa a 27, sfoggia ben 1.640 franchise brand e viene indicata dall’11,43% dei
rispondenti.
4.8 I fattori determinanti per la scelta dei Paesi di destinazione
Può sembrare scontato, ma il motore che spinge i retailer a scegliere un Paese piuttosto che un
altro è nel 68,57% dei casi determinato dalla crescita dei consumi dovuta principalmente allo
svilupparsi di una classe media nel Paese prescelto. Il secondo fattore determinante è costituito
per il 40% dei rispondenti, come è nella logica delle imprese soprattutto quelle italiane soffocate da
una burocrazia asfissiante, dalla bassa complessità delle normative del Paese di destinazione. Di
poco meno rilevanti sono considerati dagli operatori il livello di rischio del Paese e il livello degli
investimenti da sostenere per l’avvio di una nuova attività commerciale: entrambe le voci sono
state flaggate dal 37,14% degli interpellati. Anche la vicinanza geografica ha un peso rilevante per
il 34% circa del campione.
4.9 La formula commerciale preferita per lo sviluppo all’estero
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Il 60% del campione indica il franchising come formula commerciale privilegiata per sbarcare sui
mercati internazionali contro il 34,29% che si dichiara a favore della composizione mista (diretti e
franchising) e il 5,71% pro punti vendita diretti.
4.10 Le motivazioni dei retailer non interessati allo sviluppo all’estero
È una motivazione dettata dalla prudenza e dal momento storico-economico che le imprese stanno
attraversando quella che spinge l’80% del campione, di chi si dichiara non interessato ad
internazionalizzarsi, a una scelta di campo senza mezzi termini: chi non va all’estero lo fa
essenzialmente per consolidare il proprio business in Italia, per capitalizzare il know how e
metterlo a disposizione degli affiliati su tutto il territorio nazionale o comunque nelle città che
meglio si adeguano al tipo di prodotto/servizio commercializzato.
Il 20% ritiene di non avere una struttura adeguata, una risposta, anche questa, che evidenzia la
prudenza degli operatori e la cautela con cui si muovono. C’è, infine, un altro 20% che annovera
tra le motivazioni anche la mancanza di risorse finanziarie adeguate. Qui si potrebbe aprire una
riflessione sul mondo del credito e sulla difficoltà da parte delle imprese nell’accesso ai
finanziamenti. È auspicabile che qualcosa si muova in questo senso e che le banche riaprano i
cordoni della borsa, perlomeno per le imprese più meritevoli, al fine di sostenere anche lo sviluppo
oltreconfine.
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Conclusioni
La ricerca conferma la tendenza degli operatori italiani a concentrarsi – vista la situazione
di crisi dei consumi in cui versa il mercato interno – sullo sviluppo all’estero, forti della
consapevolezza che il retail, rispetto all’industria produttiva, ha il vantaggio di poter dialogare
direttamente con il consumatore finale sui diversi mercati di riferimento e fidelizzarlo al proprio
brand.
Una prima evidenza interessante che emerge dalla ricerca è che il 90% dei retailer
intervistati e non ancora presenti all’estero sono intenzionati a sbarcare su nuovi mercati nei
prossimi tre anni. Un dato decisamente positivo che evidenzia, da un lato, l’avvenuto
consolidamento di tali reti in Italia e dall’altro la convinzione che sia giunto il momento per
compiere il salto. Ma anche un numero altissimo di retailer già presenti all’estero, pari al 78% dei
rispondenti, confida per il prossimo triennio in un futuro commerciale prospero, decisamente in
crescita più all’estero che in Italia, dove invece tale percentuale si dimezza al 40,63%.
E il franchising sembra confermarsi come una potente leva per accelerare il processo di
internazionalizzazione dei sistemi commerciali, senza rinunciare alla creazione di un sistema
integrato e controllabile dei partner locali; la formula è particolarmente apprezzata dagli operatori
anche perché, come ben sappiamo, permette di contenere gli investimenti legati allo sviluppo della
rete.
Merita un’ulteriore riflessione l’evidenza che emerge sui Paesi di destinazione su cui i
retailer dicono di volersi concentrare per il prossimo triennio. Non stupisce l’interesse per alcuni
Paesi in crescita quali Cina, Emirati Arabi e Russia; più sorprendente forse il forte interesse che si
riscontra per Paesi europei quali U.K., Germania e Francia, in un momento in cui tutta l’attenzione
dei media e delle istituzioni competenti sembra incentrata su destinazioni più lontane.
L’elemento che accomuna tutti i Paesi di destinazione, più che l’area geografica di
appartenenza, è che si tratta di mercati grandi in cui il rischio politico ed economico è ridotto e la
domanda da parte della classe media consistente o comunque in crescita. La scelta è facilmente
comprensibile se si pensa che, a differenza di quanto avviene per il lusso dove si tratta di aprire
pochi negozi monomarca in prime location, per le grandi catene distributive di fascia media –
quelle che utilizzano prevalentemente la formula franchising – l’investimento è decisamente più
impegnativo e l’obiettivo è la capillarità della rete sul territorio.
L’auspicio è che anche il retail made in Italy possa contare su un supporto concreto e
strumenti dedicati per internazionalizzarsi, proprio come lo è stato ed è ancora oggi per l’industria
produttiva italiana. Con i giusti presupposti, il franchising sarà un valido aiuto per portare più
rapidamente i brand italiani nel mondo, prima che altri riempiano gli spazi di mercato ancora
disponibili.
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