KENDO E ZEN di Kuroki Yoshitake Kyoshi 7° Dan Buonasera a tutti

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KENDO E ZEN di Kuroki Yoshitake Kyoshi 7° Dan Buonasera a tutti
KENDO E ZEN
di Kuroki Yoshitake
Kyoshi 7° Dan
Buonasera a tutti, oggi ho l’intenzione di parlarvi del rapporto fra Kendo e Zen. Nonostante la
difficoltà del tema trattato cercheremo di farlo.
La cosa che ho qua si chiama Shakuhachi, un flauto di bambù ed è uno strumento molto antico. Non
è solamente uno strumento musicale ma la sua origine è legata allo Zen ai monaci Zen che ne
facevano uso per regolare la respirazione, calmare la respirazione ed imparare attraverso lo studio
del flauto cose al di la della musica. L’esecuzione è molto difficile (è molto difficile far suonare lo
strumento); al giorno d’oggi, in Giappone, non ci sono molte persone che sanno suonare questo tipo
di flauto. Provo a fare una piccola...
(segue un’esecuzione dal vivo)
Ha un bel suono questo flauto, non credete? Era appunto lo strumento dei monaci Zen.
Ho portato dal Giappone questo strumento perché ha un legame con lo Zen non solo a livello
musicale. Dopo vi spiegherò meglio.
Probabilmente la maggior parte di voi dico “Zen” capisce la parola ma non mette bene a fuoco il
concetto. Nell’arcipelago giapponese la maggior parte della cultura è buddista (usiamo la parola
cultura per non usare la parola religione). Conosciamo tutti la storia del buddismo che origina in
India con l’illuminato Budda che “fonda” questa religione. In Giappone il buddismo è entrato
attraverso la Cina nell’epoca Nara, per cui sono molti secoli che pervade la vita del paese. Dal suo
ingresso si è assistito subito a varie ramificazioni di cui lo Zen è una di queste. All’inizio del 1200
lo Zen ha avuto una forte presa sulla casta Bushi (Samurai) ed in pochissimo tempo la ha
influenzata tutta. Lo Zen ha avuto sin da quella data una fortissima influenza su tutta la società, non
solo sui guerrieri: il modo di pensare, l’atteggiamento del cuore su quello che chiamiamo Shugyo,
ovvero la via del perfezionamento umano, qualsiasi sia la ricerca. Quindi lo Zen ha dato un
fortissimo contributo alla formazione del carattere tipicamente Giapponese.
Il suo significato è molto difficile perché la traduzione di Zen (Zazen) è solamente quello di star
seduti. E’ quello che facciamo anche noi all’inizio ed alla fine di ogni pratica (del Kendo): Seiza,
Mokusô, cerchiamo di meditare, una cosa molto semplice ma in realtà complessa. La formazione
dello Zen consiste quindi semplicemente nello star seduti ma per un numero consistente di tempo:
Seiza con postura corretta, con la schiena stesa, gli occhi chiusi a metà (come facciamo tutti noi),
controllare la respirazione e calmare il cuore il più possibile. Si tratta quindi di stare così per ore ed
ore. Si tratta quindi di una continua ricerca interna che non ha a che vedere col mondo esterno.
Cercare di afferrare non il fatto che siamo vivi ma il fatto che “ci lasciano vivere”, “ci è permesso
vivere”. Quando nello Zen si parla del rapporto fra vita e morte: andare profondamente dentro di se
per capire che ci è concesso vivere, non che siamo vivi e basta. Quindi tutte le persone come noi
che fanno Kendo naturalmente fanno Shugyo, una ricerca di questo tipo. E’ necessaria una
comprensione profonda di questo concetto: è come se non fosse la nostra vita ma come una vita che
ci è stata data, donata. Quindi noi siamo tenutari, depositari di questa vita e ne va tenuto conto. Però
non dobbiamo pensare a difendere questa nostra vita come se fosse una proprietà ma come se fosse
una cosa cara ed importante che ci è stata affidata. Quindi bisogna protteggerla come parte di tutta
la natura di tutto l’universo.
Anche in Giappone lo Zen non è argomento di discussione quotidiana. Il Kendo contemporaneo è il
risultato di una grande influenza dello Zen: il rapporto fra Kendo e Zen è molto stretto. All’inizio
del periodo Edo (1600-1868) in una famosa famiglia samurai, il più importante esponente chiamato
Yagyu Munenori, ebbe un rapporto stretto con il monaco Takuan (1573-1645) e ne fu influenzato
moltissimo lasciando diversi scritti. La sua scuola continua a tutt’oggi ed una di quelle dove il
rapporto fra Kendo e Zen è più forte. Anche Musashi Myamoto, il famoso autore del “Libro dei
cinque anelli” ha studiato lo Zen e quest’influenza è visibile nelle sue opere. Non è possibile fare
una lista di tutti i grandi maestri di spada che sono stati influenzati dallo Zen perché sarebbe troppo
lunga. Io ho conosciuto uno di questi Kenshi, Shimada che veniva considerato come un santo, un
miracolato, un illuminato del Kendo. Questo anche perchè i suoi scritti, che qui riporto, li ha
composti a 21 anni.
“Che cosa è il Kendo? Non è colpire una persona ma è colpire il cuore di una persona.”
Il concetto alla base del Kendo di Shimada era non quello di tagliare la testa del suo avversario ma
quello di fare una fortissima pressione (Semé) ed obbligare l’altro ad agire. Anche a me, come a voi,
è capitato di esercitare una pressione tale da costringere l’altro a muoversi. Col tempo, così facendo
ed accumulando esperienza, quest’azione si sviluppa naturalmente ed è l’altro ad attaccare.
“Kendo significa formare un cuore corretto (correggere il proprio cuore)”
Ne consegue che se io parto dal presupposto di un cuore corretto, anche la spada sarà corretta. La
cosa più importante è quindi come formare un cuore corretto. Non si deve pensare di attaccare il
proprio avversario sempre e solo con le braccia basandosi sull’idea di volontà ma cercare di
smuovere qualcosa nel proprio cuore di praticare appunto con un cuore corretto. Questo è Kendo.
Prima di tutto bisogna avere una corretta etichetta (Reigi), questa è la base. Ad ogni modo anche
Reigi appartiene alla sfera del cuore.
Un’altra persona importante nel mondo dello Zen e del Kendo vissuta a cavallo fra la fine
dell’epoca Edo e l’epoca Meiji è Yamaoka Tesshu: questa persona è stata fortissimamente
influenzata dallo Zen, era un fortissimo combattente di Kendo e dopo essere stato illuminato
(Satori) ha ripreso a fare Kendo in maniera ancora più forte. Il maestro Y. T. diceva di “non
sfoderare la spada ma di usare il cuore” in un’epoca in cui ancora si portava la spada e si stava
smettendo. Uno dei tratti più famosi di Y.T. è che non ha mai ucciso una persona in un’epoca in cui
le uccisioni erano all’ordine del giorno (n.d.tr.). Diceva “colpite con il cuore!”. Y.T. ha quindi
vissuto in un’epoca veramente turbolenta ed è grazie a persone come lui che si è passati dall’epoca
Edo a quella Meiji e nonostante questo è possibile definirlo come un pacifista, un uomo che cercava
il colloquio da cuore a cuore senza usare la spada. Diceva “non usate la spada” ma cercate il vero
contatto con le altre persone.
La base tecnica del Kendo è quella di uccidere un’altra persona con una Katana ma il discorso di
Y.T. è molto attuale, è proprio un discorso di pace. Le origini del Kendo appartengono ad un’altra
epoca (questo lo diceva nel 1868!): oggigiorno non si tratta più di tagliare la testa degli avversari
(anche se quella è la base) ma di una pratica di Kendo moderno in cui vi è un colloquio da cuore a
cuore. Semplificando quindi, il Kendo è una via in cui si purifica il cuore ed il corpo, si cerca una
corretta etichetta e si persegue una via di armonia e di pace universale. Il messaggio che vi voglio
fortemente trasmettere è che il Kendo è una via di formazione interiore in cui si lavora su noi stessi;
il tramite può essere quello di colpire un’altra persona ma lo scopo, che non vai mai perso di vista,
non è mai la sopraffazione dell’altro ma il lavoro interiore su me stesso. L’altro è solo un tramite e
non si deve scordare mai l’obbiettivo del Kendo.
Proseguendo in ordine cronologico incontriamo Sawaki Kōdō (1880-1965), altro grande maestro
Zen legato al Kendo, che ha vissuto fino a pochi anni fa.
Il principio di questo maestro era di tralasciare il concetto vittoria/sconfitta e di concentrarsi invece
attraverso la Via (di cui sopra) sul dare tutto noi stessi (un altro dei temi ricorrenti del Kendo). Vi è
quindi l’importanza di buttare tutta la propria vita, la propria esperienza, in un colpo solo
tralasciando vittoria/sconfitta. Per trovare un’illuminazione dentro di noi, bisogna conoscersi:
facciamo Kendo per questo motivo, per un introspezione personale, per conoscersi, non per colpire
solamente l’altro. Anche se un po’ difficile, penso che sia l’interpretazione più corretta del Kendo.
Probabilmente conoscete il monaco Dogen: è stato quello che ha importato lo Zen in Giappone
all’inizio del 1200 (1227 circa). Ho trovato un arrangiamento ad uno dei suoi motti che era:”la via
del buddismo è la via di conoscenza di se stessi”. Io l’ho applicata al Kendo: si passa attraverso il
confronto con l’altro per conoscere se stessi. Quando diciamo “conoscere se stessi” (e qui
intendiamo un livello molto profondo) si parla di passare attraverso un livello chiamato “Mushin”:
questi è un livello mentale che viene descritto come “non-mente” o “mente vuota” ; è un livello che
si raggiunge quando abbiamo ottenuto l’unione con l’altro, con l’annullamento dell’ego. Quando
penso “io voglio colpire, io faccio questa tecnica” è sempre un ego prepotente che si esprime. Se
invece mi unisco all’altro, qualcosa uscirà spontaneamente, non importa in fondo da che parte (io o
lui). Questo è possibile solo se c’è Mushin da parte di uno o di entrambi e se si è compiuto il lungo
lavoro di abbandono dell’ego.
Sia Kendo che Zen portano alla ricerca di Mushin. A parole sembra un lavoro facile ma cancellare
l’ego non è proprio cosa facile.
Vorrei farvi un ultimo regalo:
“Le farfalle si posano sul fiore senza pensiero.
I fiori, senza pensiero accolgono le farfalle.
Quando il fiore si apre le farfalle entrano nel fiore.
Le farfalle entrano nel fiore quando il fiore si apre.”
Questa poesia di Ryokan (monaco Zen del periodo Edo fra i miei preferiti) esprime la naturalezza
delle cose, il non forzare della natura. La farfalla non pensa, è in uno stato di Mushin e stessa cosa
per il fiore. Nonostante questo qualcosa succede. Sono concetti difficili..
Il Kendo è una via umana, materiale: tutte le persone crescono ed invecchiano. Io adesso ho 72 anni
e le mie gambe e le mie anche sono molto indebolite: anche volendo non riuscirei ad esplodere e
volare come quando avevo 20 anni. Questo del corpo è un declino naturale. Quindi la mia
attenzione non è più rivolta al corpo ed alla tecnica ma più al cuore, allo spirito.
Grazie mille.
Firenze, 12 febbraio 2012
Traduzione di Leonardo Brivio
Trascrizione di Bernardo Cipollaro