La produzione di cannamele nel castello

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La produzione di cannamele nel castello
LA PRODUZIONE DI CANNAMELE NEL CASTELLO DI MAREDOLCE
INTRODUZIONE
Il Liceo scientifico “E.Basile”, da alcuni anni, si è proposto come soggetto che
non si limita a rivisitare di continuo la propria memoria storica in vista di
un'acquisizione sempre più solida e fondata della propria identità, ma anche ad
interrogare la storia del più vasto territorio in cui è situato, assumendo, nei suoi
confronti un punto di vista che non può non destare l'interesse del lettore.
Secondo una prospettiva meramente cronachistica - che si è diffusa, in particolare
dopo l'assassinio del Beato Don Giuseppe Puglisi - di Brancaccio sono stati
evidenziati, in modo martellante, i punti deboli, le situazioni di degrado umano e
ambientale che oggettivamente ne caratterizzano il territorio, dimenticando, però, che
concentrarsi in modo esclusivo su tali situazioni, fa perdere di vista la tensione
progettuale e la ricchezza di valori, di cui si nutre la vita quotidiana di molti dei suoi
abitanti.
In tempi più recenti, l'individuazione di tali punti di forza si è rivolta alle stagioni
più remote della storia di quest'area della citta', concentrandosi sul castello di
Maredolce non solo come esempio architettonicamente rilevante del medioevo
normanno, ma anche come luogo di fioritura economica, che dal basso medioevo e
dagli inizi dell'età moderna si sviluppa grazie alla coltivazione della canna da
zucchero nelle zone limitrofe e alla produzione della cannamele – lo zucchero da
essa derivante – entro le mura del castello.
Come risulta dalle testimonianze di seguito menzionate, tale produzione era così
fiorente da incrementare una fitta rete di relazioni commerciali con la città,
preservando un territorio geograficamente periferico come quello di Brancaccio, dal
rischio di una marginalità economica e sociale, rischio ancora oggi sempre attuale
per le aree marginali dell'intero pianeta, al punto da costituire, ai giorni nostri,
oggetto di attenzione continua e privilegiata da parte di molti studiosi (economisti,
sociologi, antropologi, opinionisti in genere....).
E' a partire dalla considerazione di tali punti di forza, risvegliandone la memoria
storica piu' remota e, di continuo rievocandola per preservarla dal rischio sempre
attuale dell'oblio, che un territorio puo' ritrovare in modo autentico la forza di
riproporsi come soggetto della propria storia e, di conseguenza, di interagire, in
modo consapevole con altri soggetti, contribuendo, in tal modo, all'edificazione della
città.
In queste pagine, tenteremo di mostrare come ciò sia avvenuto nel contesto
considerato e come può avvenire ai nostri giorni.
Anna Maria Vultaggio
CAPITOLO PRIMO
IL CASTELLO DI MAREDOLCE, LA STORIA
In tempi molto recenti (2011/2012), il Castello di Maredolce è stato oggetto di
scavi guidati dagli archeologi della Sovrintendenza ai monumenti di Palermo, al fine
di individuare le diverse fasi della sua storia e il significato che possono avere per la
comprensione della sua attuale fisionomia e di quella del territorio in cui esso è
situato
Se gli studiosi ce lo rendono noto come una delle residenze estive del re
normanno Guglielmo II – insieme alla Cuba e alla Zisa – la sua edificazione
originaria risale a tempi molto piu' remoti e, nelle diverse fasi , è stata interessata da
usi differenti: -“Nell’area interna al portico è stata messa in luce una struttura
muraria che testimonia la presenza, in età ellenistica (intorno al III-II sec. a.C.),
di un insediamento a carattere rurale;
- tra l’età romano-imperiale (I sec. d.C.) e la fine dell’età bizantina (prima metà del
IX sec. d.C.) non vi è alcuna traccia di insediamenti nell’area del
castello di Maredolce;
- in età islamica, viene costruito un grande recinto
fortificato a pianta quadrangolare (ribat? Kasr?) ... L'ubicazione dell’edificio è
determinata da chiare esigenze strategico-difensive ed è
strettamente connessa alla viabilità che, provenendo
da Sud-Est, da accesso alla città di Balarm
(Palermo).”(1)
Non è difficile cogliere come la presenza araba in questi territori, oltre a proporsi
come creatrice di civiltà, abbia , sin dall'inizio, una connotazione militare, seppur
ancora di tipo difensivo, di cui il castello di Maredolce è testimone. Pertanto, se,da
un lato, gli arabi introducono in Sicilia le loro tecniche agricole e la coltivazione di
nuovi prodotti, trasformando profondamente dall'interno l'agricoltura dell'isola; se
contribuiscono con le loro maestranze a modificare l'assetto urbanistico delle città ed
intessono, in entrambi i casi, relazioni economiche e culturali significative con i loro
abitanti ; dall'altro, mostrano, fin dall'inizio, la loro fisionomia di potenza militare,
che prevarrà sempre più nei tempi successivi, e fino ai nostri giorni, nei territori
dell'Europa mediterranea da essi conquistati e dominati.
Si deve agli Arabi, comunque, l'avere introdotto in Sicilia la coltivazione della
canna da zucchero, importandola dall'India, - dove era pervenuta dalla Nuova Guinea
- e dove più adatte erano le condizioni climatiche per la sua produzione. Tale coltura
si diffonderà, tuttavia, nell'isola in tempi successivi.
. “In questa fase, l'area del castello in seguito
occupata dal bacino artificiale è interessata da una
serie di canalizzazioni irrigue che convogliano le
acque provenienti dalle sorgenti di S. Ciro.
In età normanna (1061-1250), il Castello di Maredolce
viene interamente ristrutturato, con importanti
lavori che trasformano il complesso in un “sollazzo”,
simile ad altri grandi palazzi sorti nello stesso periodo,
alla periferia di Palermo, come la Zisa e la Cuba. Esso
... rappresenta uno dei più suggestivi tasselli
della ben nota architettura cosiddetta "arabo-normanna"
di Palermo. È in questa fase che viene
realizzato il grande bacino artificiale, il “mare dolce”
con l’isola artificiale.”(2).
Segni, questi, del fatto che le condizioni per la coltivazione della canna vengono
preparate molto gradualmente, secondo un metodo di coltivazione lento, ma efficace
e duraturo, che era stato introdotto in Sicilia proprio dagli Arabi e che si era
tramandato nei secoli successivi. L'area circostante del castello, infatti, e' destinata
alla coltivazione della canna tra il XIV e il XV secolo, dopo la dominazione
normanna. “Il complesso viene utilizzato come
opificio per la lavorazione della cannamela = canna
miele. In questo periodo sono in uso quattro forni in
mattoni che hanno tagliato il pavimento del portico,
innestandosi tra i pilastri. E' questo il momento, in
cui le splendide strutture del palazzo, ancora in piedi,vengono in parte stravolte da
attività artigianali,
connesse principalmente con la lavorazione della canna
da zucchero”. (3)
Nello stesso periodo, la lavorazione della canna zucchero, oltre ad interessare il
Castello di Maredolce e le aree limitrofe, come la zona di Falsomiele, si diffonde in
numerose e vaste aree della Sicilia, in particolare lungo la costa tirrenica e in qualche
area dell'entroterra palermitano, dando luogo ad un significativo sviluppo di
un'attività protoindustriale di rilevanza internazionale.
“La produzione della cannamela avviene mediante un procedimento complesso,
che attraverso l'estrazione del succo dalle fibre della canna da zucchero, prevede la cottura dello stesso sino all'addensamento e la successiva colatura
entro vasi. (4)
Ma per una più precisa e dettagliata comprensione delle diverse fasi della
lavorazione della canna da zucchero nel castello di Maredolce, consideriamo come si
sviluppa, nello stesso periodo, il lavoro nella piantagione di Galbonogara, in
prossimità di Collesano (Pa), secondo la ricostruzione che ne dà il Termotto. Si
ritiene, infatti, che tale riferimento sia utile per ricostruire il processo di coltivazione
della canna in qualsiasi piantagione e quello della sua lavorazione in qualsiasi
frantoio.
I tempi verbali, nelle citazioni, sono sempre usati al presente storico, al fine di
rispettare la sincronia con il testo di chi scrive.
1) Giuseppina Battaglia - Emanuele Canzoneri - Stefano Vassallo
La campagna di scavi 2011/2012 e il progetto didattico “A scuola di Catalogazione:
il Castello di
Maredolce”, www.arcadeisuoni.org, p.2;
2)Ibidem;
3)Ivi, p.3;
4) Cfr. www.macchinetecnologiaromane.blogspot.i
CAPITOLO SECONDO
IL CASTELLO DI MAREDOLCE: LA LAVORAZIONE DELLA CANNA COME PUNTO DI
FORZA DELL'ECONOMIA CITTADINA DEL TEMPO.
Agli inizi dell’età moderna, la lavorazione della canna è diffusa in diversi luoghi
della Sicilia (Capo d'Orlando, Torrenova, S.Agata di Militello, Acquedolci, Trabia,
Ficarazzi, Carini, Partinico, Trappeto, Marsala...), avviene secondo le stesse modalità
e costitusce una preziosa fonte di produzione della ricchezza, per il fatto che soddisfa
le esigenze emergenti dal territorio e alimenta, ad un tempo, un settore significativo
del commercio, attraverso le esportazioni che si dirigono, in particolare, verso
Venezia, fucina degli scambi commerciali nell'Italia dell'epoca, la pianura padana, i
maggiori scali commerciali europei.
“La canna da zucchero è una pianta originaria della Nuova Guinea. Viene
introdotta in Europa dagli Arabi, prima in Spagna (700 d.C.) e poi in Sicilia (900
d.C.);…la sua coltivazione è, in seguito potenziata da Federico II.e nel XV secolo,
con Alfonso il Magnanimo, raggiunge il primato in
Europa….I Conquistadores spagnoli la diffondono in tutte le Indie
occidentali dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo.
Oggi la canna da zucchero è coltivata in quasi tutti i paesi dell’Asia, dell’America,
in Africa e Australia. In Europa la coltivazione è limitata alla sola Spagna nella zona
tra Malaga e Motrilin, in Andalusia".(5)
Fig. 1: Originariamente chiamata Saccharum officinarum la canna da
zucchero “...è una pianta tropicale perenne, a portamento cespuglioso, che
raggiunge in media i 4-5 metri d'altezza, anche se alcune specie superano i 6
metri. La pianta presenta un rizoma duro ed angoloso, dal quale spuntano
numerosi steli legnosi intervallati da nodi. Più che di fusti, nella canna da
zucchero si parla di culmi, tipicamente cavi, paragonabili a quelli del bambù:
ogni pianta è costituita da un fusto principale ramificato in numerosi culmi
aerei. Il culmo presenta un diametro variabile dai 3 ai 5 centimetri, in grado di
raggiungere – od oltrepassare – anche i 10 chili di peso. Il colore, variabile a
seconda della specie e della varietà, può essere giallo, violaceo, verde o
rossiccio (6).
Fig. 2: Gli steli sono rivestiti da foglie molto lunghe e verdi, lanceolate ed
incastrate su nodi con una guaina che avvolge il culmo. I fiori, molto simili a
quelli di avena e frumento, sono riuniti in infiorescenze chiamate pannocchie,
che possono raggiungere anche dimensioni piuttosto consistenti (90 cm). Lo
zucchero è ricavato da un fluido sciropposo preso all'interno del fusto (7).
Fig.3: “La riproduzione della pianta avviene generalmente per talee, prelevate
dalla sommità dei fusti, quasi contemporaneamente al raccolto e messe a
dimora in buche distanti tra loro circa un metro e mezzo per facilitare la
sarchiatura. Il trapianto deve avvenire a metà primavera e necessita
un'abbondante quantità idrica cosicché, nei mesi successivi, si possa
accumulare una cospicua quantità di zucchero all'interno della linfa. È
doveroso puntualizzare che, al momento della raccolta per la successiva
estrazione dello zucchero, il culmo non dev'essere strappato, ma reciso in
basso, lasciando indenne la radice: in questo modo, il fusto è in grado
nuovamente di crescere e di svilupparsi e, l'anno successivo, è pronto per
una nuova raccolta.” (9)
.
Più in particolare,“La coltivazione della canna si diffonde intorno a
Palermo, nel trapanese e sulla costa ionica etnea in aree prossime al mare
dove il clima è mite, con ampia disponibilità d’acqua, dove ci sia
abbondanza di concime animale e di manodopera a basso costo... La
lavorazione della canna da zucchero richiede inoltre la realizzazione, in
prossimità delle aree di produzione, di veri e propri stabilimenti di
produzione chiamati trappeti di cannamele, un toponimo molto diffuso
ancora oggi in Sicilia a dimostrazione di quanto fosse diffusa sul territorio
isolano questa remunerativa attività economica”.(10 )
Non è difficile immaginare, pertanto, come questa fiorenissima attività
industriale si sviluppasse in due distinte e complementari direzioni: quella
della fabbricazione dei trappeti e quella della lavorazione della canna,
determinando così un notevole ampliamento della domanda di
manodopera differenziata.
“Dopo una iniziale fase familiare-artigianale, in cui la canna da zucchero, a
Palermo, viene coltivata in appezzamenti di ridotta estensione in promiscuità con
altre colture orticole e trasformata in piccoli trappeti, anche dentro le mura cittadine,
negli ultimi decenni del Trecento coltivazione e trasformazione della
canna si spostano progressivamente verso le zone costiere pianeggianti “(11). Il
castello di Maredolce si colloca proprio in una di queste, alla periferia sud est della
citta', non lontano dal monte Grifone, circondato da estese zone boschive, che
verranno sfruttate per il reperimento della legna da ardere per la cottura della canna,
la cui produzione subisce – proprio in queste aree periferiche – un incremento molto
significativo nel Quattrocento. Nello stesso periodo entro le mura cittadine restano
attive e spesso vengono potenziate solo le raffinerie. Questo aspetto è di vitale
importanza per comprendere l'evoluzione del rapporto città-campagna a Palermo nel
1400. Le periferie agrarie a sud della città, diffusamente coltivate a canna da
zucchero, infatti, lungi dal costituire, all'epoca, delle aree marginali, tagliate fuori,
cioè, dal circuito degli scambi commerciali, intessono con le raffinerie cittadine
relazioni capaci di creare, in modo assai significativo, produzione e circolazione
della ricchezza. Tale aspetto non può non considerarsi un punto di forza
inequivocabile dell'economia palermitana del tempo, e quindi anche del castello di
Maredolce, oltre che un vero modello di riferimento per la creazione di rapporti
economici produttivi tra città e campagna nelle epoche che seguono, fino ai nostri
giorni, come tenterò di mostrare piu' avanti, in questo percorso, la diffusione delle
piantagioni di canna fuori dalle mura cittadine e la creazione, in un territorio più
vasto e non urbanizzato, di numerosi frantoi rendono più agevole il reperimento di
tonnellate di legna da ardere attraverso la deforestazione dei monti piu' prossimi alla
città (12), come avviene, presumibilmente, per il monte Grifone e per le sue falde, a
proposito del castello di Maredolce.
Lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio e la fase agricola della
lavorazione della canna – quella cioè che coincide con la piantagione, la
coltivazione e la raccolta - determinano già l'impiego di una notevole quantita' di
manodopera variamente articolata, a seconda della qualifica. Seppure scarsamente
retribuita nella maggior parte dei casi come risulta dal lavoro del Termotto, non è
difficile immaginare quanto la produzione e la lavorazione della canna abbiano
contribuito, a suo tempo, ad un notevole incremento dell'occupazione, sottraendo a
situazioni di estrema povertà e miseria strati consistenti della popolazione.
Solitamente, all'interno di un'azienda per la produzione dello zucchero, “il cuore
delle attività è costituito dalla macina e dal torchio, dalla sala che accoglie le caldaie
con i forni, dai magazzini e dai locali di servizio”(13).
Le caldaie di ogni azienda, quindi anche quelle di Maredolce “...che ribollono
notte e giorno, restituiscono veramente l'immagine efficace, proposta dal bolognese
Leandro Alberti quando, visitando la Sicilia nel '500, riferisce dei trappeti locali
come di fucine di vulcano nelle quali 'huomini s'affaticano, sì affumicati, lordi, sudici
et arsicci, che somigliano demoni anzi che uomini'”(14).
I torchi e gli arredi sono gli altri elementi importanti del trappeto; tra questi
ultimi vanno ricordati i colatori, utilizzati per colare il succo della canna dopo essere
stato portato ad ebollizione e i cantarelli, in cui veniva versato lo zucchero per la
conservazione.
Gli animali, solitamente buoi, successivamente muli, venivano utilizzati sia per
l'aratura, sia per il traino dei mezzi di trasporto (della legna per alimentare il fuoco,
delle canne dalla piantagione al trappeto), sia per azionare il torchio.
Queste, dunque, le fasi della lavorazione della canna da zucchero anche nel
castello di Maredolce:
• Predisposizione di vaste aree limitrofe alla coltivazione della canna attraverso
l'aratura e, prima ancora, se necessario, al disboscamento;
• Raccolta e utilizzo dell'acqua sia per l'irrigazione delle canne, che per il
funzionamento del frantoio;
• Piantata delle canne;
• Arrotolamento delle piantine;
• Dopo un periodo che va dagli otto ai dodici mesi, taglio delle canne ormai mature,
estirpazione dei ceppi e liberazione delle foglie;
• Trasporto delle canne e dei ceppi al trappeto;
• Pulitura delle canne (mondanatura);
• Taglio delle canne e loro preparazione per la macina e il torchio;
• Schiacciamento con la macina degli spezzoni di canna e ottenimento del primo
sugo;
• Versamento della poltiglia ricavata in sacchi per essere pressata col torchio;
• Cottura del sugo ricavato in grandi caldaie di rame;
• Defecazione dei sughi mediante un sapone a base di olio di oliva;
• Versamento del sugo portato ad ebollizione e purificato in contenitori (colatori)
dotati di una punta rivolta verso il basso, in cui si depositano le rimanenti parti spurie
del prodotto;
• Versamento del sugo ormai libero dalle scorie in contenitori di terracotta
(cantarelli);
• Conservazione dei cantarelli in apposite scaffe situate in magazzini di cui è dotato
il frantoio;
• I mellusi, ossia i contenitori cosi sigillati e conservati, sono pronti per la
conservazione interna al castello, ma più ancora per la vendita nei mercati cittadini.
• Non si esclude che, come avviene per molti frantoi della Sicilia dell'epoca, anche lo
zucchero prodotto a Maredolce sia stato esportato fuori dall'isola, prendendo in
particolare la via di Venezia, in cui, dopo essere stato sottoposto ad un'ultima
raffinazione, alimenta il mercato italiano ed europeo del settore.
Molto elevato risulta il prezzo dell'olio di oliva, utilizzato sia come additivo nel
processo di lavorazione, sia per la purificazione del prodotto; col salario medio di
una giornata è possibile, infatti, acquistare appena un litro di olio.
“Uno dei momenti più delicati della fase industriale è quello del “fuoco”, che
richiede personale con notevole specializzazione, cui è demandato un compito
decisivo, senza che possa avvalersi di particolare strumentazione se non la propria
esperienza. Il compito di accendere e alimentare la legna da ardere, governando
ininterrottamente giorno e notte, alla giusta temperatura, la combustione fino al
termine della cottura, spetta, infatti, al fucaloro”(15).
Oltre al fuoco, anche la cottura viene costantemente controllata da operai
specializzati e perciò, come il fucaloro, meglio retribuiti (sucalori, xiroppaturi).
Non è difficile cogliere come nella fase della cottura del liquido si richiede la
manodopera piu' specializzata, di cui è espressione piu' significativa il “...magister
zuccararius, vero e proprio direttore tecnico dello stabilimento, che decide quando è
giunto il momento di levare lo sciroppo dal fuoco per versarlo nei contenitori e
quindi confezionare i pani di zucchero di una cotta e governare i sottoprodotti.” (16)
Fig.4: La più antica immagine che riproduce le fasi piu’ importanti della lavorazione
della canna in un tappeto.
Il reposteri ha il compito di badare agli attrezzi e al prodotto finito
Nel frantoio, inoltre, viene impiegata una parte di manodopera priva di una qualifica
specifica col compito di sostituire eventuali operai assenti, al fine di assicurare la
continuità del processo produttivo. Si anticipa, in tal modo, la pianificazione della
produzione che, in età industriale avverrà con l'introduzione della catena di
montaggio, teorizzata per la prima volta da Taylor (17) e applicata sia all'industria
leggera che all'industria pesante.
E' in questa fase della lavorazione industriale che viene impiegata maggiormente
la
manodopera minorile col compito di vigilare sulla combustione della legna, lavoro
molto faticoso, per il quale viene percepita una retribuzione davvero insignificante.
Si presume che “l’incidenza dei lavori di manutenzione dell’acquedotto sui costi di
gestione
dell’arbitrio è piuttosto alta, ed è anche frequente, se non proprio annuale...
L’estate è, per il trappeto, tempo di manutenzione e di rinnovo dei macchinari e
delle attrezzature lignee “(18), così come verosimilmente sarà stata alta “...la spesa
per il combustibile nell'economia dell'azienda zuccheriera, soprattuto a causa dei
grandi quantitativi necessari”(19).
Non è poi così difficile immaginare come, per far fronte agli elevati ed obbligatori
costi della produzione, l'unica variabile interna su cui e’ possibile intervenire per il
contenimento della spesa e’ quella della manodopera, anche minorile, retribuita, nella
maggior parte dei casi, con salari molto bassi e utilizzata per periodi di tempo
limitati, dando così origine a situazioni di vero e proprio sfruttamento disumano, le
cui caratteristiche anticipano quello che sara' operato nelle società industriali, a
partire dagli ultimi decenni del 1700 e, in molte aree del pianeta, ancora ai nostri
giorni.
La variabile esterna e’ quella della possibilità di collocare il prodotto sui mercati
dell'epoca economicamente più dinamici.Non si esclude, infatti, che lo zucchero
prodotto a Maredolce, oltre ad alimentare il mercato cittadino, molto fiorente, fino
alla fine del '400, sia stato esportato, come avviene per molti frantoi della Sicilia,
fuori dai confini dell'isola, prendendo in particolare la via di Venezia, in cui, dopo
essere stato sottoposto ad un'ultima raffinazione, alimenta il mercato italiano ed
europeo del settore.
Gli elevati ed inevitabili costi della produzione (fornitura della legna, del
concime e della creta per i vasi, spese per la manutenzione permanente del frantoio,
costo – seppur modesto – della manodopera) e la contrazione della domanda dei
mercati, via via che all'uso dello zucchero di canna si sostituirà quello di
barbabietola, contribuiranno, come vedremo, a determinare gradualmente la
scomparsa della coltura della canna in Sicilia e il suo spostamento fuori dall'Europa.
5) it.wikipedia.org/wiki/Saccarum_officinarum;
6)Ivi;
7) Ivi;
8) Ivi;
9) Ivi;
10) www.verdeinsiemeweb.com/.../saccarum-officinarum-o-cannamele _28.ht,28
dic.2013.
11) ROSARIO TERMOTTO,Una industria zuccheriera del
cinquecento:Galbonogara, p.1 (www.collesanocultura.it), pubblicato in
“Mediterranea”, Ricerche storiche, 3 aprile 2005., pp.45-74;
12)Cfr.Ibidem;
13)Ivi, p.7;
14)Ivi, p.8;
15)Ivi, p.20;
16)Ibidem;
17)Nel 1911, Frederick Winslow Taylor, negli Stati Uniti, nell’opera
“L'organizzazione scientifica del lavoro” teorizza la razionalizzazione del lavoro
nella fabbrica, secondo la quale per ottenere un pieno impiego della manodopera,
evitando ogni sua dispersione , ciascun operaio svolge sempre lo stesso compito, in
modo meccanico L'esito più significativo di tale teoria è l'introduzione della catena
di montaggio nelle aziende industriali
18) R.TERMOTTO, Op.cit.,p.13;
19) Ivi, p.16.
Molto utile risulta la biblioografia fornita dal Termotto per eventuali
approfondimenti
dell'argomento:
Sulla coltivazione e trasformazione della canna da zucchero in Sicilia sono
fondamentali:
• C. Trasselli, La canna da zucchero nell’agro palermitano nel sec. .XV, «Annali
della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di zucchero nell’agro
palermitano nel sec. .XV, «Annali della Facoltà di Economia e Commercio
dell’Università di Palermo», VIII, (1953).
• Id., Produzione e commercio dello zucchero in Sicilia dal XIII al XIX secolo,
«Economia e
Storia», (1955); Id., Lineamenti di una storia dello zucchero siciliano,
«Archivio Storico per
la Sicilia orientale”
(1973);
• Id., Storia dello zucchero siciliano, introduzione di Orazio Cancila, Sciascia,
Caltanissetta-Roma, 1982;.
• G..Rebora, Un’impresa zuccheriera del Cinquecento, «Annali di storia
economica e sociale», 1968, ora anche in
• Imprese industriali in Sicilia (secc. XV-XVI), a cura di A. Giuffrida, Sciascia,
Caltanissetta-Roma, 1996;
• Giuffrida, La produzione dello zucchero in un opificio della piana di Carini
nella seconda metà del sec. XV, «La
cultura materiale in Sicilia, Quaderni del Circolo semiologico siciliano», n.12-13,
1980, ora anche in
• Imprese
industriali .
CAPITOLO TERZO
L'IMPIEGO DELLO ZUCCHERO DI CANNA NELLA PRIMA FASE DELLA SUA
PRODUZIONE
Agli inizi della sua produzione in Sicilia, lo zucchero di canna e'
considerato un vero esotismo e le piccole quantità di cristalli ottenute
attraverso spremitura dei culmi vengono vendute nelle farmacie, utilizzate
per edulcorare il gusto terribile delle medicine dell’epoca”(20) .
Il suo uso come dolcificante è ancora molto raro e, per ciò stesso elitario,
non tanto per una sua mancata disponibilità, quanto piuttosto per il fatto
che il suo prezzo elevato lo rende accessibile solo ai ceti più abbienti, i quali
se ne servono per edulcorare i cibi prelibati di cui sono ricche le loro
mense. La stragrande maggioranza della popolazione, quindi, rimane
esclusa dall'accesso a questo prodotto, sia per il suo costo elevato, sia per il
fatto che, disponendo di un'alimentazione molto povera, non sa che
farsene.
Fig.5: un esempio di canna da zucchero all’ultimo stadio di raffinazione.
L'elevato prezzo dello zucchero – allora detto “cannamele”(=dolce come
il miele) - è dovuto al fatto che la sua estrazione dalla canna è molto costos
“ Dal 1300 e per circa duecento anni – infatti - in Sicilia la coltivazione
della canna da zucchero diventa un’importante coltura da reddito grazie
alle forti richieste dei mercanti genovesi e veneziani che ne
commercializzano lo zucchero per la produzione del marzapane”(21),
dolce, anche questo, molto pregiato ancora ai nostri giorni.
Fig.6: un assortimento di marzapane.
Fig. 7: un’esposizione contemporanea di frutta esotica, tra cui la canna da
zucchero.
“La coltivazione della canna si diffonde intorno a Palermo, nel trapanese
e sulla costa ionica etnea in aree prossime al mare dove il clima è mite, con
ampia disponibilità d’acqua, dove ci sia abbondanza di concime animale e
di manodopera a basso costo... La lavorazione della canna da zucchero
Richiede, inoltre, – come si è visto - la realizzazione, in prossimità delle
aree di produzione, di veri e propri stabilimenti chiamati trappeti di
cannamele, un toponimo molto diffuso ancora oggi in Sicilia a
dimostrazione di quanto fosse diffusa sul territorio isolano questa
remunerativa attività economica”(22 ), in cui attività agricola,
preindustriale e commerciale costituiscono un continuum capace di creare
una piu diffusa produzione e circolazione della ricchezza, contribuendo così
a migliorare per un periodo di ben due secoli, la situazione economica
globale dell'isola, che se in alcuni periodi è stata segnata da profonde
depressioni dovute a fasi di stagnazione, in altri, come questo, è stata molto
fiorente e, per ciò stesso, capace di generare significativi processi di crescita
economica e sociale.
20) www.verdeinsiemeweb.com/.../saccharum-officinarun-o-cannamele)
dic.2013
21)Ibidem;.
22) Ibidem.
CAPITOLO QUARTO
LE PRINCIPALI RAGIONI DELLA CRISI DELLA PRODUZIONE
ZUCCHERIERA IN SICILIA
E', a dir poco, necessario guardarsi dal rischio di compiere una lettura
semplicistica delle ragioni che determinano, a partire dalla II metà del '500, un
processo di crisi irreversibile della produzione di zucchero di canna in Sicilia.
La sua progressiva scomparsa interessa, prima di tutto, proprio le aree periferiche
della zona sud di Palermo, dove si trova anche il castello di Maredolce, travolto,
quindi,molto verosimilmente, dalla medesima crisi. In essa, per una sua adeguata
comprensione, è utile distinguere tra quella che si può chiamare una microcrisi, per
il fatto che riguarda ancora delle aree molto circoscritte – quelle periferiche della
città di Palermo, appunto – e un'altra che chiamiamo macrocrisi, per il fatto che, in
tempi successivi, fino agli inizi del '700, riguarda aree sempre più estese dell'isola.
Lo storico castelbuonese Orazio Cancila, di cui si dispongono diversi testi
scientifici sulla storia economica della Sicilia moderna, riguardo alla scomparsa della
produzione zuccheriera nelle periferie meridionali di Palermo, individua quattro
cause fondamentali, una delle quali va riletta e interpretata, quella cioè, della
diminuzione della disponibilità della legna per alimentare il fuoco dei calderoni
all'interno dei trappeti. In realtà, nel periodo in questione – siamo agli inizi del 1500
– la disponibilità di legna nelle periferie meridionali di Palermo e’ notevole, basti
pensare a quella fornita dai boschi del monte Grifone, solo per fare l'esempio più
significativo; a variare, rispetto alle altre zone dell'isola, non e’ pertanto il
quantitativo di legna disponibile, quanto piuttosto il suo prezzo, che si presume più
elevato a motivo dell'elevata domanda del prodotto dovuta al fatto che in questa zona
i trappeti sono molto fiorenti e diffusi.
Nella II metà del '400, inoltre, la città è interessata da un notevole aumento
demografico, che fa avvertire l'esigenza di espandere nelle aree periferiche la
coltivazione della vite e degli orti, sottraendo, in tal modo, vasti territori alla
coltivazione della canna.
Un ruolo significativo nella crisi della produzione zuccheriera ha anche la siccità,
che interessa diverse zone dell'isola nell'ultimo decennio del 1400 , per un quarto di
secolo, danneggiando anche gli altri settori dell'agricoltura.
“... come ha ben documentato Carmelo Trasselli,… essa è una delle diverse cause,
che si intreccia con altre e ne moltiplica gli effetti. Sue conseguenze sono certamente
la perdita dei raccolti e la moria del bestiame. La siccità brucia e devasta i campi di
grano, i vigneti, gli oliveti, i pascoli, le piantagioni di canna da zucchero e forse
influenza anche il regolare corso dei tonni”(23).
Ma, più in generale, molti storici ritengono che i fattori climatici, nel loro
complesso, non soltanto la siccità, abbiano inciso in modo significativo sulla crisi
della coltivazione della canna.
Nei secoli successivi, fino al XVII secolo, infatti,“la canna da zucchero in
Sicilia vive al suo limite ecologico settentrionale, ...e pertanto un lieve
abbassamento della temperatura minima invernale può ucciderla, o un abbassamento
della media annuale diminuirne la produttività, o un eccesso di umidità dare al succo
un eccesso d’acqua”;(24) e si fa notare come molti segni indicano che durante il
XVII secolo, vi sia stato effettivamente un raffreddamento del clima.
Il succo comincia a risultare meno ricco di sostanze zuccherine e in minore
percentuale arrivava allo stato solido con la prima cottura.(25) Viene ad essere più
difficile così, per il produttore, dato che il trappeto non dà più che 1/3 o ¼ di
zucchero solido, recuperare tutto il capitale investito: non contando che il prezzo
precipita a causa della cattiva qualità del prodotto.(26)
Non è difficile immaginare come tale situazione alterasse notevolmente il bilanci
consuntivi – oggi si direbbe i fatturati - delle aziende zuccheriere, facendo lievitare le
uscite rispetto alle entrate e determinando, in tal modo, una notevole contrazione del
guadagno netto. Le alterazioni climatiche e l'espansione, oltre le mura cittadine, dei
vigneti e degli orti, a motivo dell'incremento demografico, contribuiscono, dunque,
in modo significativo alla crisi della produzione della canna, ma non sono ancora la
causa determinante; essi alimentano quella che ho chiamato la microcrisi, ma non
ancora la macrocrisi.
Non manca, nel testo del Cancila, il riferimento puntuale alla politica fiscale del
governo palermitano agli inizi del '500, quando sui mercati siciliani comincia ad
essere venduto lo zucchero americano. I governi comprendono bene che è in tale
concorrenza che si deve individuare la causa più profonda della crisi in atto, - quella
che qui chiamo macrocrisi - , ma, forse per non alienarsi eccessivamente il consenso
della popolazione, mostrano di ritenere che tale crisi sia facilmente arginabile, se si
introduce una politica economica che preveda l'aumento del dazio sullo zucchero
straniero in entrata e la diminuzione di quello sullo zucchero locale in uscita,
dimenticando, osserva acutamente il Cancila, che tale provvedimento era già stato
preso nel secolo precedente ('400), quando la produzione dello zucchero in Sicilia
era ancora nel pieno della sua fioritura. (27).
Il governo, dunque, pur avendo individuato la causa più profonda della crisi – la
concorrenza dello zucchero americano – non riesce a predisporre una politica
economica capace di risolverla
al punto che, nonostante l'aumento dei dazi, lo zucchero americano riesce
ugualmente a imporsi sul mercato europeo e perfino su quello siciliano.
Due sono le ragioni per le quali lo zucchero americano si impone in maniera
incontestabile sui mercati europei:
• In primo luogo, il Brasile offre le condizioni climatiche più favorevoli alla
coltivazione della canna da zucchero che, proprio per questo, viene prodotta e
lavorata nei suoi vastissimi territori e, in particolare, nelle aree a clima tropicale.
• In secondo luogo, nei trappeti siciliani, la manodopera, seppur retribuita con salari
contenuti, risulta, comunque, molto più costosa di quella impiegata nelle piantagioni
brasiliane, dove viene sistematicamente operata la tratta degli schiavi neri, ai quali si
assicura solo la sussistenza fisica.
E' la concorrenza dello zucchero americano, dunque, la causa storicamente
individuabile che determina la macrocrisi nella produzione zuccheriera della Sicilia
moderna; rispetto ad essa, tutte le altre risultano concause; esse cioè hanno
contribuito, in maniera più o meno significativa alla crisi della produzione
zuccheriera in Sicilia, ma mai in modo decisivo.
Sarebbe stato possibile evitare la macrocrisi? Forse, se il governo avesse perseguito
una politica economica piu' vigorosa; magari sovvenzionando con lauti contributi la
produzione zuccheriera in Sicilia, la crisi si sarebbe potuta, in qualche modo,
arginare. Ma il governo non possiede le risorse per tale tipo di intervento, per il
quale, peraltro, i tempi non sono ancora storicamente maturi.
23) O.CANCILA, L’economia siciliana nella prima metà del Cinquecento.
(www.cdlstoria.unina.it/storia/dipartimentostoriaold).
24) www.archinebros.wordpress.com/.../sul-trappeto-degli-zuccari-di-malvicino.
25) Ibidem;
26) Ibidem;
27) O.CANCILA, op.cit.
CAPITOLO QUINTO
LA COMUNITA' EUROPEA INTERROGA LE PERIFERIE DI PALERMO
E' ormai quotidiano, sia attraverso i contributi della ricerca scientifica che
attraverso i mezzi di comunicazione, il dibattito sul recupero delle periferie urbane,
soprattutto quelle delle città mediterranee, che non sono state ancora ricostruite dopo
il secondo dopoguerra, o che sono state invase, in modo dilagante e senza alcun
progetto di politica urbanistica, dalla speculazione edilizia. Essa, infatti, ne ha
gravemente alterato l'assetto originario, sacrificando sia il precedente sistema
abitativo, spesso segnato al suo interno da testimonianze storico-artistiche di
particolare rilievo, sia le aree adibite a diverse colture, un tempo preziosa risorsa per
l'economia della città.
La sovrapposizione agli antichi, bimillenari, equilibri di una caotica utilizzazione
del suolo, ha avuto un effetto a dir poco corrosivo nei confronti della memoria
storica e, per ciò stesso dell'identità di molte periferie urbane in genere e di quelle di
Palermo, di cui mi sto occupando, in particolare.
Un territorio, che ha smarrito progressivamente la propria identità, diventando
cosi incapace di proporsi in modo significativo dal punto di vista socio-economico e
culturale, e perdendo per ciò stesso i suoi interlocutori, non può non offrire l'humus,
ormai degenerato, all'affermazione di fenomeni dilaganti di disagio e di devianza in
tutte le loro possibili espressioni.
“In qualche modo si può dire che quando si perde la
memoria ci si disorienta fino ad impazzire, cosi il
territorio che perde i propri riferimenti storici,
culturali e ambientali rischia di degradarsi fino
ad impazzire nella congestione o nel disordine
degli insediamenti e nella perdita delle regole.” (28)
Il rischio che si corre, per quanti si ritrovano vittime consapevoli o inconsapevoli
del problema, è quello di subirlo in modo fatalistico, un modo che genera passività,
inerzia,rassegnazione, diffidenza, chiusura; ed è proprio in questi casi che urge, come
avviene sempre più spesso ai nostri giorni , una riconsiderazione attenta dei luoghi in
cui il problema è attecchito, guardando sempre al di là di esso, al fine di riscoprire le
radici storiche più remote che hanno contribuito, in modo più significativo, a
conferire ad un determinato territorio la propria peculiare identità. La
riappropriazione della memoria storica di un territorio, in tutto ciò che ha di positivo,
è, pertanto, la condizione indispensabile per neutralizzare e risolvere i problemi e gli
effetti corrosivi da essi generati, avviando, in tal modo, un processo di bonifica di un
intero contesto.
“Se il paragone non fosse troppo azzardato, si
potrebbe sostenere che lo statuto dei luoghi
equivale al nostro Dna
Individuare la "storia" del territorio equivale ad
identificare la sua cultura. La storia, in questo
caso, diventa "futuro”(29).
Individuando i fatti e i processi storici che hanno generato, in un particolare
territorio, degli effetti positivi di lunga durata, e' possibile, cioè, radicare il presente
nel passato, facendolo in tal modo rivivere e individuando al suo interno gli elementi
per una nuova tensione progettuale verso il futuro. Solo così un territorio può
ridiventare soggetto della propria storia e rendersi nuovamente interlocutore
significativo di altri soggetti, in vista dell'elaborazione e della realizzazione di
percorsi nuovi e condivisi..
Le attuali teorizzazioni della “società liquida”(30) intorno alla storia, se da un
lato rispecchiano un modo di sentire e di vivere sempre più diffuso nelle società
occidentali del nostro tempo, in cui, cioè, le esistenze sono spesso costituite dalla
sovrapposizione di attimi fuggenti privi di una loro strutturale relazione, potrebbero
risultare nocive ad una adeguata autocomprensione della storia di un individuo o di
un gruppo, il cui significato deriva proprio dalla continuità del suo dispiegarsi nel
tempo, scandito, come affermava Agostino, (31) dalla memoria del passato,
dall'attenzione per il presente e dall'attesa del futuro.
Pertanto, la rivalutazione delle aree marginali, sempre più diffusa ed efficace ai
nostri giorni, non deriva dall'esigenza utilitaristica di sfruttarne le risorse, quanto,
piuttosto da quella di tornare a interrogare questi luoghi, lasciando parlare la storia
che in essi si è sviluppata e che continua ad essere carica di significato ai nostri
giorni, “…una sperimentazione sul territorio
attraverso cui una città rilegge la sua
storia, rivisita le sue ferite, recupera quel
che è sopravvissuto ai cambiamenti
tumultuosi che l'hanno investita.
Al tempo stesso un'ipotesi per il futuro,
il disegno di quel che la città vuol essere
nei decenni a venire e le opportunità per
quanti
sul territorio vivono e lavorano”. (32)
E' in questa prospettiva che “la CIA, forte delle
esperienze già realizzate in
proposito... ha
presentato alla Commissione
dell'UE un proprio progetto nel quadro del programma
Life '94 - denominato
'Modello di gestione agricola
in una zona periurbana di
Palermo'...La zona di localizzazione del
'Progetto' - 800 ettari della
Conca d'Oro di Palermo coltivati
quasi esclusivame nte a mandarini
- registrava, infatti, già da
qualche anno, un forte fenomeno
di abbandono dei terreni
agricoli, in particolare lungo
la fascia pedemontana terrazzata.(33).
Il programma Life, rivolto al risanamento mirato e circoscritto di una particolare
area della periferia sud di Palermo – quella di Ciaculli -, costituisce un valido
esempio di possibile intervento su altri territori in cui sono stati alterati gli equilibri
originari e che possono essere restituiti alla loro peculiare fisionomia.
“La città – infatti -può diventare veramente amica
dell'uomo solo se è capace di far
vivere in modo sano le sue
periferie”(34), se si considera che, il più delle volte, è proprio da queste che si
originano le diverse forme di disagio, che hanno le loro ripercussioni sul tessuto
cittadino.
“ Il valore dei "Progetto" sta
proprio in questo fatto:
essere riuscito a dimostrare, in un
ambiente così difficile, che
legalità, coerenza
e impegno per cambiare
le cose possono rimuovere
ostacoli sociali pesanti
e vanificare attività criminose
presenti in forme varie sul
territorio”(35).
Ciò è stato reso possibile, in particolare dal fatto “…che, per tutti
gli interventi agronomici ed
agroforestali preventivati nel
‘Progetto’, è stata utilizzata una cooperativa locale con la
quale è stato formalizzato un
affidamento d'incarico per
i lavori applicando le tariffe
sindacali ufficiali… Affidare
l'incarico a lavoratori della
zona ha garantito… due
condizioni essenziali: una più
consapevole e affidabile
partecipazione all'esecuzione
dei lavori; la gestione corretta
di tutte le iniziative connesse
alla nuova realtà”(36).
Tale tipo di intervento è la dimostrazione concreta del fatto che il lavoro,
correttamente eseguito e giustamente retribuito, costituisce il primo passo per la
rinascita di un territorio, che deve trovare in una sana economia il necessario
presupposto su cui fondare ulteriori livelli di crescita
“Una realtà ben ordinata ed
efficiente, che assicura
a tutti attività e redditi
sufficienti, blocca e respinge - infatti fenomeni di violenza e di
malavita organizzata” (37).
L’intervento, menzionato all’inizio di questo lavoro, della Sovrintendenza ai
monumenti di Palermo proprio nei confronti del castello di Maredolce,si colloca in
questa stessa prospettiva, nella misura in cui riscopre gli elementi che testimoniano
la fioritura, al suo interno, di attività economiche in tempi ormai remoti, in
particolare, la produzione di cannamele, che faceva del castello non solo un punto di
forza dell’economia di questa’area periferica della città, ma, più ancora, un
interlocutore significativo della metropoli di allora, con cui intesseva scambi
commerciali dotati di una notevole rilevanza culturale.
Il commercio, infatti, in ogni luogo in cui si è sviluppato e in ogni sua
espressione, è sempre stato crocevia di relazioni significative non solo da un punto di
vista economico, ma anche da quello, oggi si direbbe, interculturale. Tali, costruttive,
relazioni si possono instaurare, tuttavia, solo tra identità ben definite. Pertanto, un
quartiere, come Brancaccio, oggi sempre più impegnato nella riscoperta e nella
riappropriazione delle sue radici storiche più remote, mostra di possedere il
potenziale necessario per tornare a rendersi interlocutore significativo della città. Ciò
che è avvenuto in tempi remoti può avvenire, dunque, ai nostri giorni a condizione
che quanti vi abitano vengano in vario modo sollecitati a ritrovare la volontà e il
coraggio di dialogare con quegli aspetti delle loro tradizioni attraverso i quali si è
espressa in modo privilegiato la ricchezza della loro umanità.
La storia del castello di Maredolce,in particolare nei suoi momenti di maggiore
fioritura come quello della produzione di cannamele, può costituire un vero
paradigma in questo cammino di rinascita.
Solo in questo modo sarà possibile – si ripete ancora - neutralizzare in modo
efficace e duraturo i focolai di disagio che in vario modo hanno contaminato e
deturpato, in tempi più recenti, questi luoghi, laddove sono rimasti abbandonati a se
stessi, privati, pertanto, di relazioni significative con la cultura e con la vita.
28) P.CERVELLATI, Un parco agricolo in cui stupirsi e istruirsi, in Il progetto Life
per il parco agricolo di Palermo, p.12.
29) Ibidem;
30) Teorizzata con maggiore autorevolezza da Bauman, la società liquida è il
risultato di tante esistenze liquide, che si dispiegano, cioè, prescindendo da qualsiasi
relazione con punti stabili di riferimento, attraverso il susseguirsi di momenti spesso
privi di un significato che li connetta strutturalmente; la visione della storia che ne
deriva è, pertanto, frammentaria; in essa si è smarrita la consapevolezza della
connessione tra gli eventi.
31) Circa la visione agostiniana del tempo, cfr. AGOSTINO, Le Confessioni;
32) L.ORLANDO, La memoria e il futuro, in Op.cit.,p.4;
33) G..AVOLIO, Una strategia agricola tra città e campagna, in Op.cit.,p.6;
34) Ibidem;
35) Ivi, p.8;
36) Ibidem;
37) Ibidem.
ANNA MARIA VULTAGGIO
PALERMO, Liceo Scientifico “E.Basile”, Settembre 2014.
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