Ai consoci della SPI e alle loro istituzioni

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Ai consoci della SPI e alle loro istituzioni
Supplemento al Bollettino della Società Paleontologica Italiana v.47 n.3
Poste Italiane S.p.A.- Sped.Abbon.Posale - D.L. 353/2003 (conv.in L.27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, DCB, Bologna CPO
Numero 19
Dicembre 2008
PaleoItalia
Newsletter della Società Paleontologica Italiana
SOCIETÀ PALEONTOLOGICA ITALIANA
MODENA
PALEOITALIA
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Numero 19
Lo scorso giugno si è svolto a Roma un interessante convegno sul
tema “I fossili come memoria della terra e della vita – Prospettive e
Problemi”, organizzato dalla S.P.I. e dell’Università di Roma “Sapienza”. Sono stati trattati i problemi collegati alla tutela e conservazione dei fossili da ottiche differenti. Visto il grande interesse dell’argomento, abbiamo deciso di dedicarvi ampio spazio in questo numero di PaleoItalia, pubblicando i riassunti di alcune relazioni.
Di conseguenza, per motivi di spazio, abbiamo dovuto sacrificare
le consuete rubriche che completano ogni fascicolo della rivista. Torneranno nel prossimo numero.
Buona lettura!
Carlo Corradini
IN COPERTINA
Orthoceras fluminese Meneghini, 1857
Riprodotto da: Meneghini G. (1857). Paléontologie de l’ile de Sardaigne ou
déscription des fossiles recueilli dans cette contrée par le général A. De La
Marmora. In La Marmora A., de, Voyage en Sardaigne, 3, 584 pp., Bocca
Imprimerie Royale, Torino.
Tav. C, fig. 3a.
La specie è oggi nota come Orthocycloceras fluminese (Meneghini, 1857).
L’immagine è ingrandita al 130%
Ai sensi dell’art. 8, commi 8.2 e 8.3 del Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica
(ICZN, 4a edizione), i nomi di taxa citati in PaleoItalia non hanno validità nomenclaturale.
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.
Un importante momento nella storia della vita
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“I FOSSILI COME MEMORIA DELLA TERRA E
DELLA VITA – PROSPETTIVE E PROBLEMI”
(ROMA, 6-7 GIUGNO 2008)
RUGGERO MATTEUCCI
Nei giorni 6 e 7 giugno 2008 è stato tenuto in Roma, presso il Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza Università di Roma il convegno: “I fossili come memoria della terra e della vita – Prospettive e Problemi”. Per l’organizzazione della SPI e dell’Università di Roma la Sapienza.
Il convegno si è svolto per relazioni invitate, una sessione poster e una
escursione con visita del sito paleontologico della “Polledrara di Cecanibbio”e
di alcune esposizione in cave della campagna romana, guidate rispettivamente dalla dr. Anna Paola Anzidei, responsabile scientifico del Museo
della “Polledrara” insieme alla prof. Maria Rita Palombo e dal prof. Salvatore Milli (ambedue del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza), che ringraziamo per la loro disponibilità e per l’efficacia e la piacevolezza della loro guida. Le relazioni invitate, dopo il saluto del direttore del
Dipartimento, prof. Vincenzo Ferrini, che ringraziamo per l’ospitalità e una
mia introduzione, dal titolo “I fossili come memoria della Terra e come
Un momento del
convegno.
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costituenti essenziali delle rocce sedimentarie”, si sono susseguite nel seguente ordine:
- dr. Anna Maria Zavattini (Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio) - “I reperti paleontologici: condizione giuridica, tutela e valorizzazione”;
- capitano Andrea Ilari ( Comandante del Nucleo Carabinieri per la T.P.C.
di Monza) - “La tutela dei beni paleontologici italiani. L’attività del Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale e aspetti normativi. Considerazioni e prospettive”;
- prof. Umberto Nicosia (Università di Roma La Sapienza) - “I fossili come
beni culturali: tutela e senso comune. Una possibile e più facile convivenza”;
- dr. Maria Rosaria Salvatore - rappresentata dalla dr. Francesca Duca (Istituto centrale per il Catalogo e la Documentazione; Ministero dei Beni e
delle Attività culturali) - “La catalogazione dei beni paleontologici”;
proff. Elena Corradini e Antonio Russo (Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico, Università di Modena e Reggio Emilia);
- dr. Anna Paola Anzidei (Soprintendenza di Roma) - “Problemi e prospettive di un sito protetto: il caso della Polledrara di Cecanibbio”.
I numerosi poster (una ventina) avevano per argomento siti paleontologici o collezioni di particolare interesse. Alcuni di essi, trasformati in lavori,
hanno trovato ospitalità sul fascicolo 2008 della rivista Geologica Romana.
In questo numero di Paleoitalia vengono pubblicate alcune delle relazioni del convegno; ritengo che esse rappresentino un elemento di interesse, di
cui tener conto per elaborazioni e proposte che possano costituire una
posizione della SPI da portare avanti.
La visita al sito
della“Polledrara”
di Cecanibbio.
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LA LEGISLAZIONE DI TUTELA DELLE “COSE”
DI NATURA PALEONTOLOGICA
VITO CICALE*
La Terra nel corso delle ere geologiche ha subito innumerevoli cambiamenti che hanno determinato la
sua lunga evoluzione che ha condotto alla formazione dell’ambiente in
cui attualmente viviamo. Come un
vecchio albero conserva nel tronco
gli anni della sua vita, la terra mantiene le “memorie” del passato scritte
nelle sue profondità e nella sua superficie, nelle rocce e nel paesaggio.
La scienza insegna che il passato
della terra non è meno importante
di quello dell’uomo e perciò ad
esempio chi esegue scavi in maniera non scientifica può produrre danni irreversibili ai siti d’interesse per
l’archeologia e la paleontologia. Nasce quindi l’esigenza di attuare politiche di geoconservazione in una visione di sviluppo sostenibile.
Tra i beni considerati oggetto di
tutela vi sono i siti geo-paleontologici e geo-archeologici, ovvero quei soli
siti in cui una valenza di tipo geologico fa da supporto ad un bene archeologico o paleontologico primario.
La legislazione nazionale
La normativa nazionale attualmente in vigore non fa riferimento,
nello specifico, alla tutela e gestione
dei “geotopi” o “geositi”, ma gli strumenti legislativi applicabili alla tutela
del patrimonio paleontologico sono da
ricercare nella più vasta categoria delle leggi di tutela del materiale archeologico. L’art. 1 della Legge del 1 giugno 1939, n. 10891, “Tutela delle
cose d’interesse artistico o storico”,
delineava il campo d’interesse della
tutela dei beni culturali nel modo seguente: “Sono soggette alla presente
legge le cose, immobili e mobili, che
presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi: a) le cose che interessano la
paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;…”. L’attuale D.Lgs. 22
gennaio 2004, n. 422, “Codice dei
Beni Culturali e del Paesaggio” all’art. 10, c. 1, definisce beni culturali: “…le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli
altri enti pubblici territoriali, nonché
ad ogni altro ente ed istituto pubblico
e a persone giuridiche private senza
fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, mentre al successivo comma 4, lett. a, indica che sono
comprese tra le cose indicate al comma 1, “le cose che interessano la pa* Carabinieri, Tutela Patrimonio Culturale,
Nucleo di Monza
1 Gazzetta Ufficiale 8 agosto 1939, n. 184.
2 Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 2004, n.
45 – S. O. n. 28.
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leontologia, la preistoria e le primitive civiltà”. Dalla prima legge di tutela del 1900 al Codice dei beni culturali del 2004 quindi i reperti di natura
paleontologica sono fatti oggetto di
tutela da parte dello Stato, tutela che
non ricade solamente sulla “cosa” in
quanto tale bensì si estende all’intero
geo-ambiente nella quale tali reperti
si sono formati. In tal senso infatti
l’art. 101 del D.Lgs. n. 42 del 2004
nel porre normativamente la definizione dei cosiddetti “istituti e luoghi
della cultura” indica tra questi: le
«aree archeologiche», ossia quei siti
caratterizzati dalla presenza di resti
di natura fossile o di manufatti o strutture preistoriche o di età antica; i «parchi archeologici», ossia quegli ambiti
territoriali caratterizzati da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzati come
musei all’aperto. Al comma 3 del
medesimo art. 101 si stabilisce che
quanto è stato definito come “istituti
e luoghi della cultura”, appartenendo
a soggetti pubblici sono destinati alla
pubblica fruizione ed espletano un
servizio pubblico.
Un tale assetto normativo detta
le basi per poter affrontare il problema della valorizzazione e fruizione
delle aree e dei parchi archeologici, e
quindi la tutela dei reperti di natura
paleontologica in sito.
La vigente disciplina di tutela ribadisce dunque quella nozione estesa di bene archeologico, comprensiva anche delle cose di interesse paleontologico, introdotta nell’ordinamento di settore dalla Legge Bottai
(n. 1089 del 1° giugno 1939) e mai
contraddetta. La “cosa” tutelata
quindi è il bene di “natura paleontologica” in quanto bene pubblico, destinato quindi alla pubblica fruizione, aspetto quest’ultimo inscindibile
dal concetto stesso della demanialità. La natura paleontologica del bene
è una qualità intrinseca della cosa,
che la caratterizza ab origine essendovi stata impressa dai modi del suo
venire all’esistenza3. Da tale natura
deriva il suo interesse paleontologico, ossia il suo interesse sotto il profilo scientifico, interesse che nasce
con la cosa ma che abbisogna di “ricognizione”, ossia di un atto amministrativo di riconoscimento, affinché alla cosa stessa possa essere pienamente applicato lo speciale regime di protezione e di tutela. Tuttavia, nel caso di cose di proprietà
pubblica - e, come sappiamo, i reperti fossili lo sono sin dal loro ritrovamento - la sottoposizione a tutela
persiste sul bene fino a che resta nella
proprietà statale. Ciò non esclude la
sdemanializzazione una volta espletato il procedimento di verifica, disciplinato dal citato art. 12 del Co-
3 A tal proposito appare interessante un recente pronunciamento della Suprema Corte di
Cassazione, (…Il possesso di un bene culturale, che appartiene allo Stato fin dal momento della scoperta, configura di per sè la condotta dell’impossessamento trattandosi di possesso illegittimo. Ai fini della prova della culturalità, secondo la giurisprudenza prevalente di questa sezione, non è necessario che il bene sia stato qualificato
come tale in un formale provvedimento dell’autorità amministrativa, essendo sufficiente che esso abbia un interesse culturale oggettivo, il quale interesse può essere
desunto o dalle caratteristiche della res ossia dalla tipologia, dalla localizzazione,
dalla rarità o da altri analoghi criteri). (Cass. pen. Sez. III, (ud. 28-06-2007) 21-092007, n. 35226).
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dice e finalizzato appunto alla verifica dell’interesse culturale, per quei
reperti verso i quali non è stato riscontrato l’interesse cosicché non
necessitano della sottoposizione a tutela e si stabilizza con idoneo atto
amministrativo il passaggio dalla proprietà pubblica dello Stato alla proprietà privata del cittadino; ad esempio l’eventuale proprietario del terreno nel quale è stato effettuato lo
scavo o altra figura cui spetta un premio di rinvenimento di diritto (art.
92 D.Lgs. n. 42/2004), premio che
il competente Ministero per i Beni e
le Attività Culturali può liberamente
scegliere di concedere anche consegnando parte dei beni rinvenuti, ipotesi, in verità, del tutto teorica in
quanto, in virtù di una prassi invalsa
ab origine e fondata su condivisibili
considerazioni di natura scientifica,
il premio di rinvenimento viene corrisposto esclusivamente in danaro.
Le disposizioni di tutela nessuna considerazione attribuiscono al valore
venale (o commerciale) della cosa
tutelata, se non nell’ipotesi di espropriazione per causa di pubblica utilità (articoli 95 e 99 del Codice dei
Beni Culturali). In ogni caso, il valore venale è assolutamente indipendente dal valore culturale dell’oggetto, senza per questo incidere negativamente sul valore scientifico. Negli anni addietro vi è stata una raccolta indiscriminata di reperti fossili
da parte di cittadini comuni che spesso gloriandosi di essere “conoscitori
della materia” effettuavano ricerche
o scavi invocando la “passione per i
fossili”, ai soli fini di collezionismo
e scambio. In seguito l’espansione
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del fenomeno ha portato alla nascita di veri e propri mercati e fiere di
settore, tra le quali alcune oggi di
importanza internazionale, all’interno delle quali recentemente alcuni
tipi di reperti fossili hanno raggiunto
cifre esorbitanti4. I consumatori di
simili mercati e fiere quasi sempre
sono persone che sono riusciti a fare
della loro passione un business, titolari di vere e proprie attività commerciali, perciò estranei alla cerchia
degli studiosi e alle istituzioni scientifiche di settore.
A causa dell’espansione del fenomeno relativo all’attività di ricerca
non autorizzata di reperti fossili, il Ministero dei Beni Culturali il 15 Febbraio 1999 ha emanato la circolare
ministeriale nr. 63/STRAP “Regolamentazione sulla raccolta e possesso dei reperti fossili”. Tale circolare
nasce quindi, come primo tentativo
di regolamentazione procedurale,
operato dal Ministero dei Beni Culturali, dalla necessità della ricognizione del patrimonio di natura paleontologica, scopo che non rappresenta il
limite della tutela bensì il punto di
partenza, poiché la semplice enumerazione, l’inventariazione e la catalogazione di reperti di natura paleontologica, al di là del loro reale interesse
scientifico, costituiscono la prima forma di conoscenza necessaria per consentire le successive azioni di tutela,
azione di tutela che ricordiamo è esercitata in via esclusiva dal Ministero
per i Beni e le Attività Culturali.
Con tale circolare il Ministero per
i Beni Culturali chiaramente non ha
inteso sostituire la norma bensì dare
delle indicazioni operative alle so-
4 Si vedano le recenti vendite all’asta effettuate negli Stati Uniti e in Francia.
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printendenze sparse sul territorio nazionale. In tal senso infatti la circolare contiene delle “raccomandazioni” circa la necessità di non provvedere sistematicamente al provvedimento amministrativo della “notifica” ma di limitare il lavoro delle competenti soprintendenze ai casi di reale interesse scientifico5. La dichiarazione di bene culturale è tuttavia
superflua per i beni italiani in quanto appartenenti allo Stato in via
esclusiva. Il Ministero quindi ha inteso ribadire l’efficacia della norma
di tutela (all’epoca riferita alla Legge 1089 del 1939) in ordine alla raccolta e al possesso di reperti di natura paleontologica, sia da parte di
privati che di quanti operano a qualsiasi titolo nel campo della paleontologia richiamando la necessità di
sottoporre alle competenti Soprintendenze Archeologiche sparse sul territorio nazionale l’elenco dei beni rinvenuti sotto la forma della denuncia, peraltro prevista dall’art. 90 del
D.Lgs. 42/2004, che impone l’obbligatorietà della denuncia, da parte
di chiunque, entro ventiquattro ore,
al Soprintendente o al Sindaco, o ad
altra autorità di pubblica sicurezza,
provvedendo alla conservazione
temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono
state rinvenute.
L’efficacia dell’azione di tutela
dei reperti di natura paleontologica
dipende dalla conoscenza dell’esistenza e della consistenza del patrimonio paleontologico posseduto.
Nel caso di reperti già rinvenuti siano essi singoli o in collezioni nonché dei siti di provenienza, il Ministero dei Beni Culturali ha predisposto il modulo di “Dichiarazione di
possesso di reperti fossili” allegato
alla stessa circolare nr. 63/STRAP
da compilarsi a cura di quanti Musei, Università, Associazioni e privati cittadini a qualsiasi titolo detengono resti fossili, al di la del loro
valore scientifico.
Essendo un fenomeno ancora
oggi assai comune la ricerca, la raccolta e il possesso di reperti di natura paleontologica è opportuno ribadire che le cose indicate nell’art. 10,
del D.Lgs. nr. 42 del 2004, da chiunque e in qualunque modo ritrovate
nel sottosuolo o sui fondali marini,
appartengono allo Stato essendo parte del demanio e/o del patrimonio
indisponibile statale, ai sensi degli articoli 822 e 826 del Codice civile.
5 In merito all’interesse scientifico bisogna comprendere che ciascun reperto paleontologico
rappresenta un elemento/evidenza della storia della vita e di conseguenza del paleoambiente
in cui la vita si è evoluta e ciò vale sia per i reperti italiani che per i reperti di provenienza e/
o origine estera atteso che “il fossile non ha il passaporto”. È chiaro quindi che teoricamente
per la scienza ogni fossile è importante ma ci si limita a studiarne solo alcuni esemplari
anche dove ne esistano in grande quantità. Ciò non toglie che da un punto di vista scientifico
la raccolta indiscriminata di tali reperti costituisce una perdita di informazioni scientifiche a
causa della decontestualizzazione dei reperti stessi ovunque questa avvenga, impedendone
comunque l’utilizzo ai fini di studio e di ricerca. In ordine alla definizione di “cosa di interesse
paleontologico” dell’Allegato 1 alla Circolare STRAP va chiarito che tale allegato è stato
redatto dalla Commissione istituita allora presso il Ministero, da Professori universitari,
Direttori di Musei e da Funzionari ministeriali, commissione oggi non più esistente. La
definizione è stata redatta al fini di permettere l’eventuale notifica dei reperti fossili da parte
degli uffici periferici del Ministero.
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I reperti fossili quindi sin dalla
loro localizzazione in sito sono parte integrante del demanio culturale,
di proprietà esclusiva dello Stato e
pertanto non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi previsti dalla legge (v. art. 53 D.Lgs. 42/
2004), pertanto l’alienazione non
conforme alla legge (e i conseguenti
atti) mancando delle indispensabili
autorizzazioni sono da considerarsi
nulle (art. 164 D.Lgs. n. 42/2004).
Spinosa è altresì la problematica
dell’esercizio dell’attività di cava: nel
caso il concessionario, come chiunque altro è assoggettato all’obbligo
di immediata denuncia dell’eventuale
rinvenimento, di cui all’art. 90 del
Codice, e, in caso di omissione, incorre nella contravvenzione prevista e punita dall’art. 175 del Codice
dei Beni Culturali. Ove poi la sua
attività provocasse la distruzione o
il danneggiamento di reperti fossili,
egli sarebbe passibile di denuncia all’Autorità Giudiziaria per il reato di
cui all’art. 635, 2° comma, n. 3, del
Codice penale.
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Le norme che regolano la
circolazione internazionale dei
beni culturali
Per quanto riguarda la circolazione ed il possesso di reperti di natura
paleontologica di provenienza estera si precisa che per la loro stessa
natura e tipologia insistendo sul territorio nazionale sono da ritenersi
sottoposti alla disciplina del Codice
dei Beni Culturali, tuttavia la loro
condizione giuridica potrà essere
svincolata dalle disposizioni di tutela sottoponendo il bene al regime
della temporanea importazione contemplata dall’art. 72 del medesimo
Codice, importazione certificata, a
domanda, dall’ufficio di esportazione. I certificati di avvenuta spedizione e di avvenuta importazione
sono rilasciati sulla base di documentazione idonea ad identificare la cosa
o il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato membro o del Paese terzo dai quali la
cosa o il bene medesimo sono stati,
rispettivamente spediti o importati6.
I certificati di avvenuta spedizione e di avvenuta importazione han-
6 L’art. 72, del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42 come integrato dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n.
62, stabilisce che per comprovare la legittima provenienza dall’estero delle cose d’arte per
le quali si richiede il rilascio dell’attestato di spedizione o di importazione temporanea, non è
ammessa la produzione, da parte degli interessati, di atti di notorietà o di dichiarazioni
sostitutive dei medesimi, e che quindi la regolare circolazione internazionale di oggetti d’arte
è uno di quei fatti a diretta conoscenza dell’interessato che, in eccezione all’ordinaria regola
di cui all’art. 47, comma 1, del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, deve essere provato con
adeguate documentazioni emesse dai Paesi di provenienza degli oggetti stessi (per
l’ammissibilità di siffatta eccezione v. il comma 3 dell’art. 47 D.P.R. cit.), ed è destinato a
contrastare comportamenti elusivi del principio di diritto internazionale in base al quale l’unica
circolazione legittima di un oggetto d’arte è quella che si svolge in conformità alla legislazione
del Paese dal quale l’oggetto medesimo proviene: per l’ambito infracomunitario, v. direttiva
93/7/CEE, art. 1, punto 2, prima linea; a livello più generale, v. gli analoghi principi contenuti
nelle convenzioni internazionali dell’UNESCO sulla illecita importazione, esportazione
e trasferimento dei beni culturali, adottata a Parigi il 14 novembre 1970 e ratificata con
legge 30 ottobre 1975, n. 873, e dell’UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni
culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995 e ratificata
con legge 7 giugno 1999, n. 213; (v., rispettivamente, art. 3 della Convenzione UNESCO e
Capitolo I, punto 1, lettera b, della Convenzione dell’UNIDROIT).
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no validità quinquennale e possono
essere prorogati su richiesta dell’interessato.
Quindi, ove si tratti di reperti di
provenienza estera, valgono le disposizioni generali: il loro ingresso nel territorio nazionale deve essere certificato dall’ufficio di esportazione, che
ne rilascia attestazione utile ai fini della
successiva, eventuale uscita (art. 72
del Codice dei Beni Culturali). In
mancanza di tale certificazione, o del
suo rinnovo alla scadenza quinquennale, se ne può denegare il permesso
di uscita, con conseguente avvio della procedura di dichiarazione dell’interesse culturale meglio conosciuta
come “notifica”, sempre che lo Stato di provenienza del bene denunciando il possessore, non ne reclami
la proprietà originaria provandone il
ritrovamento in Italia. Il D.Lgs. n. 22
gennaio 2004, n.42 e le successive
integrazioni correttive apportate dal
D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 627, detta
le direttive in materia di circolazione
internazionale di beni culturali e rimanda agli obblighi assunti dallo Stato Italiano in via pattizia con gli altri
Stati firmatari delle Convenzioni in-
ternazionali. Con gli articoli 64-bis,
87 e 87-bis del D.Lgs. 26 marzo
2008, n. 62, tenuto conto sia degli
obblighi derivanti dall’ordinamento
comunitario8 sia dei vincoli conseguenti all’adesione e alla ratifica di
alcune Convenzioni internazionali9, il
controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte
le sue componenti, così come individuate sia in base al Codice che alle
disposizioni previgenti. L’esercizio
della funzione di controllo sulla circolazione internazionale delle cose
d’arte effettuato in conformità ai principi fissati dal Codice medesimo, nonché agli obblighi assunti in sede comunitaria ed internazionale, sulla base
dei trattati e delle convenzioni sottoscritti dallo Stato Italiano, costituisce
funzione di preminente interesse nazionale. Si è in tal modo restituito alla
dimensione normativa un assunto già
contenuto nell’art. 11, comma 1, della Legge del 30 marzo 1998, n. 8810,
di recepimento della direttiva 93/7/
CEE, e di esecuzione delle disposizioni del regolamento CEE n. 3911/
9211, che attribuisce allo Stato mem-
7 Gazzetta Ufficiale 9 aprile 2008, n. 84.
8 Si vedano, segnatamente, la direttiva 93/7/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1993, e
successive modifiche, già recepita con legge 30 marzo 1998, n. 88, poi rifusa nel decreto
legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, recante il Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali; ed il regolamento CEE n. 3911/92 del Consiglio, del 9
dicembre 1992, e successive modificazioni, in attuazione del quale con la medesima l. n. 88/
1998, poi rifluita nel d.lgs. n. 490/1999, furono dettate disposizioni modificative della l. n.
1089 del 1939.
9 …intese a regolare la restituzione, fra gli Stati aderenti, degli oggetti d’arte illecitamente
circolanti sul mercato internazionale: si vedano la Convenzione UNESCO sulla illecita
importazione, esportazione e trasferimento dei beni culturali, adottata a Parigi il 14 novembre
1970 e ratificata con legge 30 ottobre 1975, n. 873, nonché la Convenzione dell’UNIDROIT
sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma
il 24 giugno 1995 e ratificata con legge 7 giugno 1999, n. 213.
10 Gazzetta Ufficiale 10 aprile 1988, n. 84.
11 Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 31 dicembre 1992, n. L395.
PALEOITALIA
bro della Comunità, e per esso ad
un’autorità centrale appositamente
individuata12, l’esercizio delle funzioni previste dagli atti comunitari sia in
materia di circolazione di cose d’arte
che della loro restituzione in caso di
circolazione illecita. Va precisato che
in riferimento al regime della circolazione internazionale i beni costituenti
il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci. Tale principio è stato sancito dall’art. 30 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, e successive modificazioni, secondo il quale le esigenze di “protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale” consentono di lasciare “impregiudicati”, nelle varie
legislazioni nazionali degli Stati membri, “i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al
transito” delle cose d’arte, per la cui
circolazione, pertanto, non opera
l’obbligo, statuito agli articoli 28 e 29
del Trattato, di eliminazione delle restrizioni quantitative, o di altre misure ad esse equivalenti, alla libera circolazione delle merci in ambito infracomunitario. La misura prevista dal
citato art. 30 del Trattato è da ritenersi dettata all’esclusivo fine di consentire la protezione delle sole cose
che, in ragione del loro peculiare interesse, valutato alla stregua della legislazione nazionale di settore dello
Stato interessato, siano ascrivibili al
patrimonio artistico, storico od archeologico di detto Stato; ed è, pertanto, di stretta interpretazione.
Esclusivamente in funzione de-
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gli impegni assunti in sede internazionale, rispondono anche gli artt.
87 e 87-bis (D.Lgs. 22 gennaio
2004, n.42 e successive integrazioni correttive apportate dal D.Lgs. 26
marzo 2008, n. 62) che sostanziano
la nuova Sezione V del Capo dedicato alla disciplina della circolazione internazionale delle cose d’arte.
Infatti, l’art. 87-bis chiarisce in modo
inequivoco che le tipologie di “beni
culturali” che la Legge n. 873 del
197513 (di recepimento della Convenzione UNESCO di Parigi del 14
novembre 1970) elenca come costitutive del patrimonio culturale dello
Stato (v. articoli 1 e 4 l. cit.) non
hanno valore assoluto, né esauriscono la gamma delle cose d’arte eventualmente tutelabili a termini di legge nazionale, ma semplicemente delimitano l’ambito degli oggetti rispetto ai quali sussiste l’obbligo, per lo
Stato, di adottare, fra l’altro, le “misure atte ad impedire e prevenire
l’importazione, l’esportazione e il
trasferimento di proprietà illecite
di beni culturali” fra gli Stati firmatari della Convenzione, prescritte dalla Convenzione medesima (v.,
ad es., gli articoli 5, 6, 7, 10 e 12,
dal quale è peraltro ripresa la formulazione normativa da ultimo riportata).
Le norme che regolano l’ingresso
in Italia di beni culturali di provenienza estera
Particolarmente importante è la
conoscenza delle norme doganali che
12 …la quale, per il nostro Paese, è rappresentata dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. (v. già art. 3, comma 1, della l. 88/1998, ed attualmente art. 76, comma 1, Codice
dei Beni Culturali).
13 Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 1976, n. 49 - S.O.
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regolano l’ingresso in Italia dei beni
paleontologici di origine e provenienza estera specie per chi si occupa di
commercio con l’estero. Le merci
in entrata nel Territorio comunitario
devono essere presentate in dogana
e formare oggetto di una dichiarazione che le vincoli ad una. destinazione doganale (importazione definitiva, transito esterno, perfezionamento attivo). Qualora alle merci
venga assegnata una destinazione
doganale il proprietario o un suo rappresentante deve presentare una dichiarazione scritta, utilizzando il
modello D.A.U., con la quale il dichiarante (la persona che fa la dichiarazione in dogana a nome proprio ovvero la persona in nome della quale è fatta una dichiarazione in
dogana) manifesta la volontà di conferire alle merci una destinazione
doganale. Nell’accettare la dichiarazione, la Dogana provvede anche ad
immettere i dati trascritti nella dichiarazione nel proprio sistema informatico ed, a contabilizzare i diritti doganali (dazio, IVA, altri diritti di competenza della Dogana). Dati obbligatori per la determinazione dei diritti doganali sono i seguenti: 1) Valore (prezzo della transazione); 2)
Elementi del valore (costo del trasporto se ancora da includere, commissioni, ecc.); 3) Voce doganale (in
relazione alla quale si rende applicabile l’aliquota dazio e l’aliquota IVA
per tale voce vigenti). II valore e gli
elementi del valore (trasporto per la
parte extra CE) costituiscono l’imponibile dazio. L’imponibile dazio,
più il dazio, più la quota del trasporto della parte CE, costituisce l’imponibile IVA. Con l’accettazione
della dichiarazione si determina il
momento nel quale devono intendersi sorte l’obbligazione tributaria doganale e quelle accessorie, salvo le
condizioni risolutive previste come:
il cambio di destinazione per le merci
dichiarate per l’importazione; la
mancata uscita dal territorio doganale comunitario per le merci in
esportazione; la perdita o la distruzione per caso fortuito, forza maggiore o colpa non grave, nonché i
cali naturali e tecnici per le merci
con destinazioni doganali intermedie.
Inoltre, con l’accettazione si determina la fissazione della data alla quale vanno calcolate le aliquote per la
determinazione delle imposte da pagare o da garantire per l’importazione e il transito. Nel caso in cui il
dichiarante si renda responsabile per
colpa o per dolo, di un’errata indicazione di un elemento della dichiarazione, tale da determinare una non
corretta contabilizzazione dei diritti
doganali, si renderanno applicabili le
seguenti sanzioni.
Con la Circolare n. 39/D del
30.09.2005 dell’Agenzia delle Dogane14 si ribadisce che il Legislatore, in relazione al diverso disvalore
delle violazioni poste in essere, differenzia l’illecito amministrativo previsto dall’art. 303 del Testo Unico
delle Leggi Doganali (D.P.R. n. 43/
197315) dal “Contrabbando”, contemplato dagli articoli 282 e seguenti del medesimo T.U.L.D. Il citato
14 Circolare n. 39/D 30 settembre 2005, Area Centrale Affari Giuridici e Contenzioso
della Direzione Generale dell’Agenzia delle Dogane di Roma
15 Gazzetta Ufficiale 28 marzo 1973, n. 80.
PALEOITALIA
art. 303 sanziona in via amministrativa: la dichiarazione risultata infedele per negligenza, ignoranza o
grossolana malizia nell’indicazione
della quantità, qualità e valore delle
merci (Cass. Pen., Sez. III, sent. N.
10478 del 3 dicembre 1983), ipotesi, cioè, in cui il soggetto tenuto al
pagamento dei diritti doganali indica
erroneamente qualità, quantità e valore delle merci per semplice ignoranza, negligenza o, comunque, in
modo grossolano e, quindi, facilmente verificabile in sede di controllo.
Diversa fattispecie di violazione è
quella prevista dagli articoli 282 e
seguenti del T.U.L.D., riferiti al
“contrabbando”. In generale, si osserva che il contrabbando consiste
nel comportamento di chi introduce
nel Territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di natura
doganale, merci che sono sottoposte ai diritti di confine. Inoltre, secondo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione penale, tale fattispecie va ad identificarsi con una sottrazione delle merci ai diritti di confine, con evasione
o elusione dei relativi controlli (Cass.
Sez, Un. Pen, sent. n. 119 del 29
ottobre 1997).
Il reato di contrabbando, sempre
secondo la costante giurisprudenza
della Corte di Cassazione, si configura, come “reato permanente”, nel
senso che le cose soggette ai diritti,
di frontiera, per cui non sia stato assolto l’obbligo tributario, sono “permanentemente nella illegittima condizione di evasione a tali diritti”
(Cass. Pen., Sez III, sent. n. 2108
del 27 novembre 1997).
In questo quadro, viene definito
“contrabbando semplice” quello pre-
13
visto negli articoli 282 e seguenti sino
alla norma di chiusura recata dall’art.
292, che, al di là dei casi specifici
previsti dal Legislatore, punisce ogni
caso di sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, a
prescindere dalle modalità con cui il
fatto sia avvenuto. Il successivo art.
295, invece, prevede alcune “Circostanze aggravanti del contrabbando”, fra le quali (lettera C del secondo comma) figura l’ipotesi in cui
“il fatto sia connesso con un altro
delitto contro la fede pubblica o contro la Pubblica amministrazione”.
Tale aggravante comporta un incremento di pena nei, casi in cui non
solo si sia realizzato il contrabbando
con conseguente danno all’Erario (e
prescindere dall’entità dell’evasione), ma siano stati posti in essere
ulteriori comportamenti, almeno potenzialmente lesivi di altri interessi
tutelati dall’ordinamento e che non
rientrano nella condotta che integra
il reato di contrabbando semplice,
possedendo, almeno parzialmente,
una loro autonomia da un punto di
vista sia fattuale sia. di capacità lesiva di beni giuridicamente protetti.
Secondo quanto sostenuto dalla
giurisprudenza della Cassazione penale, la connessione prevista dall’art.
295 in esame va inquadrata in quella di cui al l’art. 61 n. 2 del Codice
penale, che contempla non solo le
ipotesi di chi abbia commesso il reato per eseguire o per occultarne un
altro, ma anche per conseguire o
assicurare a se o ad altri il profitto o
il prodotto o il prezzo di un altro reato ovvero per assicurarsi l’impunità (Cass. Pen.., Sez. III, sent. n.
9554 del 31 ottobre 1984 e sent. n.
10637 del 27 novembre 1984). Per-
14
PALEOITALIA
tanto, la falsità ideologica del privato nella dichiarazione doganale (che
non rientri nella grossolana alterazione dì cui all’art. 303, punibile
come illecito amministrativo) configura una ipotesi dì contrabbando
aggravato, giacché il soggetto imporla
le merci attestando il falso in un atto
pubblico con indicazioni fraudolente non immediatamente verificabili,
in quanto tali, con conseguente danno all’attività della P.A. Invero, la
falsità delle dichiarazioni doganali,
anche se rappresenta un “reato mezzo” molto frequente in connessione
al delitto di contrabbando, non per
questo diviene parte della. condotta
che integra il reato di contrabbando
semplice al contrario, mantiene una
relativa autonomia ed aggrava, la
fattispecie ai sensi dell’art. 295 del
T.U.L.D. in parola.
Tutto ciò premesso, anche in
forza del predetto orientamento della
Corte di Cassazione in materia, alle
violazioni in parola sotto applicabili
le previsioni normative recate dall’art. 295 del TULD, con il conseguente obbligo dì inoltro della notizia di reato all’Autorità Giudiziaria
ai sensi dell’art. 347 c.p.p,. Il suesposto orientamento è stato condiviso dall’Avvocatura generale dello
Stato la quale ha tra l’altro precisato
che: “…la falsa dichiarazione… in
quanto reato che danneggia l’attività ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione è elemento
che sì aggiunge ed aggrava (art. 295
2° comma, lett. C, del D.P.R. 43/
73) il comportamento di chi introduce nel territorio merci sottoposte
a diritti di confine ed in tal modo
arreca danno all’Erario statale”16. È
evidente, infine, che la condotta illecita del contrabbando può avvenir
con diverse modalità, e quando tali
modalità configurano un delitto contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione costituisce circostanza aggravante.
Conclusione
È innegabile che nel tempo si sia
costituito, forte della più volte citata
minore conoscenza normativa e sensibilità culturale, un florido mercato
dei fossili che coinvolge centinaia di
individui tra studiosi, direttori e curatori di musei o raccolte museali, collezionisti e semplici appassionati. Basta consultare la rete Internet per accertare che le fonti di approvvigionamento sono sicuramente i mercati e
le fiere nazionali ed internazionali ma
sempre più frequente è la compravendita attraverso aste telematiche e
siti specificatamente dedicati. Il fenomeno ormai ha raggiunto proporzioni e volumi di scambio ragguardevoli. Il tutto si sviluppa in un ambito
ed un contesto di assoluta convinzione che detenere e commercializzare
un fossile sia assolutamente legittimo
e legale, non essendo la tutela dello
stesso comparabile a quella devoluta
ai reperti di natura archeologica.
In Italia qualsiasi attività inerente la paleontologia è vincolata al
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 22 gennaio 2004 (entrato in vigore il 1° maggio 2004),
che regolamenta e disciplina anche
l’attività archeologica e paleonto-
16 Cfr. Circolare n. 39/D 30 settembre 2005, Area Centrale Affari Giuridici e Contenzioso
della Direzione Generale dell’Agenzia delle Dogane di Roma
PALEOITALIA
logica vietando la ricerca e la raccolta a chiunque non dia serie e sufficienti garanzie. Per il privato è
perciò necessario, qualora intenda
svolgere tale attività, appoggiarsi a
qualche Museo, Istituto Scientifico
od Universitario o anche a qualche
Gruppo Naturalistico o Paleontologico riconosciuto. Ciò non solo sarà
garanzia di serietà per il dilettante
autodidatta, che potrà così ottenere
i permessi dalle Autorità competenti, ma gli potrà dare anche la possibilità di utilizzare esperienze, attrezzature e materiali altrimenti non disponibili.
I fossili di provenienza non italiana invece, non essendo vincolati
dalla suddetta legge, possono essere oggetto di libero scambio, vendita e manipolazione senza alcun problema, sempreché siano stati introdotti regolarmente nel nostro territorio.
In tutti i sistemi normativi dei principale Stati “produttori” di reperti di
natura paleontologica sono presenti
limiti e restrizioni all’esportazione di
beni paleontologici attagliate differentemente al singolo regime giuridico
in relazione al diverso significato dato
dalle Nazioni a ciò che viene considerato come “culturalmente tutelabile”. In molti Stati esistono poi normative di carattere fiscale-doganale
legate al pagamento di dazi per
l’esportazione (es. U.S.A.) ed in molti
anche per l’importazione (es. Italia).
Sono tempi questi che vedono
una sensibilità accresciuta rispetto alle
problematiche relative alla proprietà,
all’utilizzo ed alla valorizzazione dei
beni culturali; il collezionismo di stampo ottocentesco, sia privato che inserito in contesti museali o di raccol-
15
ta, talora “predatorio”, deve necessariamente cedere il passo ad una visione ampia e globalizzata, di livello
mondiale, nella consapevolezza che
il bene culturale si fruisce in modo
contestualizzato, anche via internet,
ma sempre nella certezza del diritto.
È evidente che l’aspetto giuridico
del bene investe direttamente anche
la persona titolare del diritto sul bene
pertanto la tutela giuridica del patrimonio culturale non può prescindere
da un adeguata conoscenza della
struttura normativa che ne regola le
forme di tutela.
La principale forma di protezione
del patrimonio culturale è quindi la
sua tutela giuridica che consente al
bene culturale di poggiare su delle
solide fondamenta per quanto concerne la sua proprietà, possesso, origine e provenienza, elementi questi
che permetterebbero altresì in maniera oggettiva di redigere una sorta di
“carta d’identità” del bene, molto utile
e altrettanto necessaria alla sua identificazione, se aggiunti all’interno delle
schede di catalogazione unitamente
agli elementi di interesse scientifico
di un bene di natura paleontologica.
La tutela quindi necessita sempre più
di una reale compartecipazione di tutti,
poggiando le sue fondamenta su tre
grandi pilastri: la scienza, il diritto e
la tecnologia.
Fonti normative di riferimento
- Legge 1 giugno 1939, n.1089 “Tutela delle cose d’interesse artistico o storico”.
- Convenzione europea per la protezione del
patrimonio archeologico, Londra, 6.5.1969
(Consiglio d’Europa) ratificata con legge
12.4.1973, n. 202.
- Convenzione concernente le misure da
prendere per vietare ed impedire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di
16
PALEOITALIA
proprietà illecite di beni culturali, Parigi,
14.11.1970 (Unesco) ratificata con legge
30.10.1975. n. 873 in vigore dal 2.1.1979.
- D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 “Testo
Unico della Legge Doganale”.
- Convenzione concernente la protezione del
patrimonio mondiale culturale e naturale,
Parigi, 16.11.1972 (Unesco) ratificata con
legge 6.4.1977, n. 184.
- Trattato istitutivo della Comunità Europea.
- Regolamento (CEE) n. 3911/1992 del consiglio del 9 dicembre 1992 relativo all’esportazione di beni culturali.
- Legge 30 marzo 1998, n. 88 “Norme sulla
circolazione dei beni culturali e restituzione dei beni culturali usciti illecitamente
dal territorio di uno stato membro dell’unione europea e recepimento della direttiva 93/7/cee del consiglio, del 15 marzo 1993”.
- Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490
“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge
8 ottobre, n. 352".
- D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 “Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa”.
- Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
“Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137”.
- Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156
“Disposizioni correttive ed integrative al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42, In relazione ai beni culturali”.
- Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157
“Disposizioni correttive ed integrative al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42, In relazione al paesaggio”.
- Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62
“Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, in relazione ai beni culturali”.
- Decreto legislativo 26 marzo 2008 n. 63
“Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, in relazione al paesaggio”.
PALEOITALIA
17
IL NUOVO STANDARD PER LA
CATALOGAZIONE DEI BENI
PALEONTOLOGICI: LA SCHEDA BCI
FRANCESCA DUCA*
Queste brevi note costituiscono
una sintesi di quanto presentato in
occasione del convegno “I Fossili
come Memoria della Terra e della
Vita”, tenutosi il 6 e7 giugno presso il
Dipartimento di Scienze della Terra
dell’Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”. Si ringrazia l’organizzazione per aver fornito una importante occasione di divulgazione del
lavoro.
In questi ultimi anni l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD), che all’interno del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), ha il compito di definire gli standard e gli strumenti per
la catalogazione e la documentazione del patrimonio culturale, ha sviluppato un sistematico lavoro di riflessione metodologica, per potere
corrispondere sempre meglio alle esigenze di conoscenza e valorizzazione del patrimonio culturale, che individuano nella catalogazione un momento fondamentale per ricostruire
l’identità e la valenza dei beni, ricollocandoli nel contesto delle relazioni
storiche, logiche e spaziali in cui hanno avuto origine e sono vissuti, fino
a pervenire allo stato attuale.
* Istituto Centrale per il Catalogo e la
Documentazione (MIBAC)
Poiché le schede di catalogo costituiscono il modello descrittivo delle
varie tipologie di beni, le attività di
ricerca si sono concentrate nella predisposizione e nella revisione dei tracciati catalografici, in funzione dell’integrazione e dell’omologazione
delle conoscenze.
Gli esiti di tali attività hanno comportato aggiornamenti e integrazioni, oramai consolidati, alla struttura
delle schede: sono state inserite specifiche sequenze informative che
permettono di migliorare le procedure e i contenuti delle attività di catalogazione e di porre in evidenza la
rete di rapporti che legano il beneoggetto di catalogo ad altri beni ed
al territorio, letto anch’esso come
bene.
A seguito dell’esplicito riconoscimento dell’importanza dei Beni Naturalistici a livello di legislazione italiana nel Codice dei Beni Culturali e
del Paesaggio del 2004, a partire dal
2005 si è proceduto all’integrazione
di questi settori disciplinari nel più
ampio quadro del patrimonio culturale nazionale, e di conseguenza alla
definizione di strumenti di rilevamento unitari ed omogenei finalizzati alla
conoscenza e alla catalogazione a livello nazionale elaborando specifiche schede catalografiche relative
alla Botanica, Zoologia, Mineralogia,
18
PALEOITALIA
Petrologia, Planetologia, sulla base
dell’iter procedurale consueto.
In Tale ambito è stata inserita in
seguito anche la scheda di catalogo
relativa i Beni Paleontologici (BNP
– Beni Naturalistici Paleontologia):
si tratta di uno standard del tutto
nuovo senza precedenti normativi
nel quadro degli standard nazionali
definiti con il coordinamento ICCD.
La procedura istituzionale per
l’elaborazione del tracciato catalografico e della relativa normativa ha
visto come primo punto la costituzione di un gruppo di lavoro misto a
cui hanno preso parte, oltre ai referenti ICCD, rappresentanti delle seguenti istituzioni:
• APAT
• Museo Friulano di Storia Naturale di Udine; Museo di Storia Naturale di Milano
• Regioni: Lombardia, Piemonte,
Sicilia, Friuli Venezia Giulia
• Società’ Paleontologica Italiana
• Universita’ degli Studi di Firenze,
Milano, Modena, Padova, Palermo
(per l’elenco dettagliato dei singoli referenti del gruppo di lavoro si rimanda
Struttura dati dei paragrafi relativi alla Sistematica paleontologica
PALEOITALIA
al sito www.iccd.beniculturali.it nello
specifico settore dedicato alle normative in corso di sperimentazione).
Si è quindi proceduto alla definizione dei contenuti: struttura dei dati,
norme di compilazione, vocabolari.
I dati sono organizzati in sezioni
informative omogenee, i paragrafi,
alcuni dei quali, i “paragrafi trasversali”, costituiscono quei nuclei informativi comuni a tutte le tipologie di
schede, mentre altri, i “paragrafi specifici”, rappresentano le sezioni specifiche per la tipologia di bene culturale in questione. In particolare si riporta di seguito la struttura dati dei
paragrafi relativi alla Sistematica paleontologica e all’Età geologica che
19
costituiscono le sezioni caratterizzanti
il tracciato. Qui vengono infatti registrate in modo sintetico le informazioni relative alla determinazione e
all’inquadramento sistematico del
bene oggetto della scheda e quelle
inerenti la cronostratigrafia, la geocronologia e la litostratigrafia del contesto in cui il bene si trovava prima
di essere raccolto.
Ai fini della necessaria sperimentazione che precede il rilascio ufficiale come standard nazionale, la nuova normativa è stata di recente resa
disponibile sul sito web dell’ICCD
www.iccd.beniculturali.it, nel settore dedicato alle normative in corso di
sperimentazione (accesso riservato
previa registrazione).
Struttura dati dei paragrafi relativi alla Età geologica.
20
PALEOITALIA
I FOSSILI COME BENI CULTURALI.
TUTELA E COMUNE SENTIRE: UNA POSSIBILE,
PIÙ FACILE CONVIVENZA
UMBERTO NICOSIA*
Ogni giorno studiosi e cultori della
materia ricercano, rinvengono, preparano, classificano e catalogano alcuni
esemplari di fossili che confluiscono
in musei e collezioni, e contemporaneamente, ogni giorno, milioni di fossili vanno irrimediabilmente perduti
poiché vengono bruciati per produrre
calce, macinati per fare mattoni o distrutti nelle cave di inerti e sepolti sotto il cemento o l’asfalto.
Come sappiamo, infatti, i fossili,
oltre ad essere i testimoni della storia
della biosfera, sono anche costituenti
quantitativamente rilevanti delle più
diffuse rocce sedimentarie e conseguentemente usati dall’uomo nelle sue
attività.
Ma questo non è il solo aspetto
variabile nella condizione di un fossile. In partenza, quando non ancora
scoperto, un fossile è un oggetto sconosciuto, quindi un bene potenziale.
Quando scoperto qualsiasi fossile diviene un “Bene Naturalistico” e soltanto successivamente può diventare
un “Bene Culturale”. Se in seguito
assume uno stato particolare (tipi e tipoidi, materiale studiato da personalità storiche ecc.) può diventare anche
un “Bene Storico–Documentale”.
Questa natura diversa e i continui
cambiamenti di “status” dei fossili
sono, probabilmente, le cause della
difficoltà nella tutela di questa importante parte del patrimonio culturale e
della difficoltà nel definire cosa sia un
“fossile da proteggere” nella formulazione della legge, cosa che attualmente rende, di fatto, la ricerca, la detenzione e lo scambio di fossili, un reato.
Il problema della tutela
Dal punto di vista della tutela, la
situazione italiana è, in complesso e
rispetto a gran parte di quella in essere negli altri paesi, ottimale, dato che
leggi entrate in vigore precocemente
(dal 1909 o dal 1939) hanno assicurato adeguata protezione al nostro Patrimonio Culturale che potrebbe rivelarsi la maggior ricchezza nazionale.
Purtroppo, data la formazione
classica del legislatore e la presenza
assolutamente prevalente del bene
storico e archeologico nel panorama
nazionale, la tutela dei fossili ha trovato posto, nella normativa, insieme
quella sui quadri, sulle statue e sui
beni culturali frutto dell’attività umana. Conseguentemente la tutela dei
fossili è stata affidata dalla norma alle
Soprintendenze archeologiche, benemerite per quello che riescono a fare,
* Dipartimento di Scienze della Terra “Sapienza” Università di Roma
PALEOITALIA
ma cronicamente travolte dall’enormità dei beni da proteggere, che mancano dei mezzi tecnici necessari a
fronteggiare nello specifico le varie
situazioni e, prive di personale con le
conoscenze scientifiche necessarie alla
corretta valutazione dei fossili.
Come se non bastasse, la stessa
definizione usata nella legislazione per
la protezione del bene paleontologico, “cose di interesse paleontologico”, è generica e imprecisa e ha dato,
e dà tuttora, adito alle interpretazioni
più diverse, originando infiniti problemi legali.
Nonostante questi problemi attuativi e sebbene il fossile sulla carta venga paragonato ad una statua o ad un
vaso di ceramica, bisogna tuttavia
sottolineare che la legislazione italiana sul patrimonio culturale è attualmente allo studio in molti paesi emergenti che stanno esaminando l’opportunità di mutuarne gli aspetti innovativi. Questo processo di assimilazione nel corpo legislativo da parte dei
paesi più accorti avviene filtrando il
modello delle leggi esistenti attraverso modifiche profonde suggerite da
esperti dei vari settori. In Argentina,
ad esempio, sono stati i paleontologi
dell’Università di Commodoro Rivadavia a riscrivere e curare le norme
che riguardano i fossili.
Una ulteriore difficoltà
La globalizzazione del mercato,
rapidamente estesa al mondo dei
fossili ha aggiunto altre difficoltà,
anche queste in parte derivanti dalla
complessità e dalle differenze tra le
leggi dei vari paesi. In questo spicca
la differenza tra la “common law”
dei paesi anglo-sassoni e le leggi regolate da codici.
21
La “landowner’s property” dei
paesi anglosassoni prevede la “Proprietà fino all’inferno” del padrone
del terreno mentre nella nostra legislazione i diritti sul sottosuolo sono
del demanio conseguentemente la
normativa di genesi anglosassone
comporta l’estensione del diritto di
proprietà al fossile e quindi la possibilità di vendere il bene (anche in
Italia). A questo proposito è doveroso sottolineare che questa posizione estremamente liberista si sta indebolendo in tutto il mondo e che le
leggi sulla protezione del patrimonio
vanno diffondendosi. Ad esempio,
come si può vedere nell’inciso qui
sotto, negli USA infuria la polemica
sul cambiamento che leggi di tutela
federali (la dottrina dell’interesse
pubblico) stanno imponendo a leggi
locali e a principi sanciti nella costituzione.
The U.S. federal government has taken
steps to protect fossil resources found on
private land. So, fossils found on private
land, even in the U.S., may not necessarily
be “the landowner’s property”. If a case
can be made that the fossil is unique, the
government can seize the fossil for the benefit of all citizens under a public trust theory. “The Doctrine of the Public Trust …
(omissis) ... was an aberration in American
law, and also took an act of Congress and
a presidential signature (Nixon’s) … (omissis) (but) current American law does not
clearly and unambiguously regard all fossils found on private property as the property of the landowner.
La situazione legale e la situazione reale in Italia
Non è qui il caso di parlare della
situazione in Italia, ben nota e già ricordata da altri; quello che riteniamo
opportuno sottolineare è l’ampiezza
22
PALEOITALIA
della forbice che si è aperta tra il sentire comune e la legge. Forbice legata
a quanto prima visto e alla inadeguatezza della legge. Quello che è certo
è che si verificano situazioni che possono arrivare al paradosso: ad esempio se un reperto, prima di essere
abbrustolito e ridotto a calce,viene
prelevato da un raccoglitore, da un
lato viene salvato dalla distruzione e
quindi tutelato di fatto, dall’altro si
creano i presupposti di un reato.
Nonostante le leggi, si organizzano mostre, si effettuano vendite via
rete, c’è molto collezionismo attivo e
un fiorente commercio nazionale e
internazionale. Ci sono negozi specializzati, e autorizzati dalle Camere
di commercio, e c’è un vasto commercio (legale) dall’estero. Tutto ciò
ha portato alla formazione di un vastissimo movimento e ad una quantità di scambi o di vendite tra collezionisti. Tutti quelli che operano nel campo sanno che ci sono moltissime collezioni private, parzialmente o totalmente illegali, e che una grande quantità dei dati scientifici rimane “sommersa”.
Le leggi un po’ datate, l’ignoranza delle stesse e la loro complessità,
la crescente divulgazione, l’interesse
popolare per le scienze e l’aumento
del collezionismo, hanno portato
quindi ad una situazione spiacevole.
Si è creata di fatto una divaricazione
tra il comune sentire degli amatori e
il dovere di chi è preposto alla tutela.
Lo stato d’animo risultante è stata
condizione di insoddisfazione e di
malessere individuale e, nei collezionisti, la sensazione di essere soggetti
a persecuzione. Un problema ulteriore è derivato dal fatto che la collaborazione tra ricercatori e collezionisti
è sempre stata formalmente impossibile (illegale). Inoltre, più in generale, il fatto che una legge venga disattesa ha contribuito a generare una
condizione di illegalità diffusa, che è
uno dei problemi del nostro paese.
Prendendo atto di questa situazione, nel 1999 una commissione nominata dal Ministero BBCC e dalla
SPI arrivò alla stesura di un regolamento, emanato come circolare (la
cosiddetta Circolare STRAP), che
aveva lo scopo evidente, di sanare
tale situazione e di fare emergere il
patrimonio di dati e di reperti paleontologici, ancora ignoti alla scienza.
La circolare aveva come punto di
novità il concetto di distinguere tra
un fossile “sic et simpliciter” e “il fossile di interesse scientifico”, arrivando in questo modo ad una soluzione
che di fatto avrebbe risolto un problema centrale della tutela. Quello
cioè che generalmente viene espresso dalla frase “per salvare tutto non
si salva niente”. Purtroppo l’effetto
della circolare, vuoi per la complessità della burocrazia, vuoi per la sfiducia dei collezionisti che di fatto
avrebbero dovuto autodenunciarsi
alla cieca, non è stato quello atteso.
In ogni caso la circolare STRAP rimane a tutt’oggi l’unico tentativo di
giungere ad una soluzione armonica
e razionale del problema.
La successiva emanazione del
Testo Unico (n° 42 del 2004), sostanzialmente non ha modificato la
situazione e i problemi rimangono
quelli prima elencati, con l’aggravio
che anche la Circolare STRAP risulta superata.
Nel 2007, per la pressione di collezionisti e di associazioni di amato-
PALEOITALIA
23
ri si è arrivati alla stesura di un nuovo progetto di legge. La proposta di
legge (a nome Naccarato), presentata nel luglio del 2007, non è mai
arrivata in discussione per la fine
della legislatura. L’analisi di tale legge è comunque di interesse perché
palesemente suggerita da associazioni di collezionisti e comunque ripresentabile. Questa proposta di legge
è un po’ ...”confusa” ... ma merita
di essere esaminata perché, per la
prima volta, tende a definire i fossili
e a separarli dai reperti archeologici
o artistici e perchè mette in discussione il concetto di proprietà dei reperti. Riportiamo qui gli articoli 1, 2
e 7 per le parti che più direttamente
possono essere qui descritte e discusse.
ART. 7. (Diritto di proprietà).
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, i ricercatori presentano alla commissione scientifica competente ... (omissis) ... una relazione complessiva sul materiale rinvenuto sul territorio nazionale e in loro possesso.
2. Entro sei mesi alla presentazione della relazione ... (omissis) ... la commissione scientifica competente comunica ai ricercatori
l’elenco dei reperti di particolare interesse scientifico ... (omissis) ... che i medesimi ricercatori sono obbligati a consegnare
alla commissione, secondo le modalità previste dalla comunicazione stessa.
3. Dopo un anno dalla data di presentazione
della relazione ... (omissis) ... se non è stata
inviata la comunicazione ivi prevista sul particolare interesse scientifico dei reperti ritrovati, il ritrovatore dei minerali e dei fossili acquista la proprietà dei medesimi reperti.
ART. 1. (Finalità).
1. La presente legge ha la finalità di disciplinare l’attività di ricerca, di estrazione e di
raccolta di campioni di rocce, minerali e fossili
nonché di tutelare il patrimonio mineralogico, paleontologico, paletnologico, speleologico e carsico nel territorio nazionale.
2. Le regioni, riconoscendo il valore scientifico, didattico e culturale delle rocce e dei
minerali in esse contenuti, nonché dei fossili,
… (omissis) … possono disciplinare la ricerca e la raccolta di campioni di minerali e
di fossili, a scopo collezionistico, scientifico
e didattico, prevedendo comunque il divieto
di danneggiamento di tale patrimonio per
scopi diversi.
Vediamo alcuni punti della proposta, più dirompenti rispetto all’attuale situazione normativa, e più facilmente comprensibili.
Dall’analisi dell’articolo 1 emerge la presunzione, palesemente incredibile, che in sei mesi una struttura complessa e a livello nazionale
come quella delineata nella norma
possa essere attivata e operativa. A
margine si può notare un oscuro riferimento (incomprensibile e inaccettabile in quel contesto) alla paletnologia, riferimento che potrebbe
essere foriero di futuri problemi.
L’articolo 7 che è quello centrale
della proposta è quello che lascia più
stupefatti. Il comma 1 prevede che i
ricercatori presentino, all’istituendo
organo di controllo, una relazione complessiva sul materiale in loro possesso. Ma la norma in esame non prevedere contestualmente la modifica delle leggi precedenti le quali statuivano
l’illegittimità del possesso in quanto
ART. 2. (Minerali, fossili, grotte e ambienti
carsici).
1. (omissis) … sono considerati minerali i
corpi omogenei presenti nelle rocce, originati da processi inorganici ... (omissis) ...
2. (omissis) … sono considerati fossili tutti i
resti e le tracce di organismi animali e vegetali vissuti in epoca anteriore all’epoca attuale e che si rinvengono nelle rocce ...
(omissis) .
24
PALEOITALIA
bene di illecita provenienza. Da ciò ne
discende che il detentore andrebbe ad
autodenunciarsi con l’inevitabile conseguenza di dover soggiacere alle sanzioni stabilite dalla precedente normativa. Tale omissione costituisce un deterrente psicologico che di fatto dissuaderebbe i detentori di fossili dal rendere la dichiarazione prevista.
In questo la proposta ricalca uno
dei punti di maggior debolezza della
vecchia circolare STRAP (in pratica
l’autodenuncia del collezionista senza
alcuna controassicurazione).
Il comma 2 immagina che sia possibile e credibile la selezione da parte
di esperti di materiale di particolare interesse scientifico sulla base di una
relazione sul suddetto materiale presentata dal detentore, spesso privo dei
requisiti scientifici per definire il fossile e il suo interesse e comunque non
tenuto ad averli. Questa procedura si
configurerebbe come una vera e propria abdicazione al controllo.
Il comma 3 prevede che, ad un
privato sia assicurata la proprietà di
un reperto in base alla norma del silenzio-assenso. Non sembra possibile
né opportuno che, senza un atto positivo, la Stato rinunci alla proprietà di
un bene indisponibile.
Si potrebbe semmai ipotizzare il
contrario; cioè che, attraverso una manifestazione espressa in forme appositamente predisposte, come una “dichiarazione di non interesse” lo Stato
rinunci a questa sua prerogativa.
In pratica potrebbe trattarsi di un
certificato che dovrebbe accompagnare per sempre il reperto (dopo analisi
diretta del pezzo). In sua presenza, un
reperto potrebbe essere dichiarato in
possesso legale (o di proprietà a seconda del valore scientifico) del raccoglitore ed essere scambiato (o venduto) liberamente. In nessun caso è
possibile che lo stato rinunci passivamente alle proprie prerogative ma è
improponibile permanere in questo
stato di confusione e incertezza.
Tali funzioni (accertamento e dichiarazione) potrebbe essere delegate
a specifiche commissioni territoriali di
esperti (Musei civici o università ove
negli enti preposti non siano presenti
specifiche figure, come già avviene in
alcune Regioni a Statuto Speciale).
Da quanto visto è chiaro che per
far emergere il patrimonio scientifico
nascosto (per determinazione o per
ignoranza dai collezionisti), per realizzare la necessaria tutela dei fossili e
per consentire un legittimo svolgersi
dell’attività del paleontologo amatoriale
occorre una nuova legge.
Sarebbe opportuno in proposito
istituire di nuovo, come fu fatto in occasione della emanazione della Circolare STRAP, una commissione che
coinvolga gli interessati (tecnici ministero BCA, Soprintendenze, SPI - inclusi professionisti e dilettanti- e CC
NTPC) per suggerire cambiamenti
armonici alla attuale normativa. La
nuova legge dovrebbe dare un incentivo alla regolarizzazione delle collezioni degli amatori e dovrebbe far
emergere il sommerso, senza abdicare al potere di tutela di una parte importante del patrimonio culturale nazionale. I cambiamenti dovrebbero
essere concordati tra gli operatori del
settore, e non dovrebbero stravolgere
la possibilità di tutela.
PALEOITALIA
25
FOSSILI, CHE PASSIONE!
JORDI ORSO*
Il mistero che da sempre circonda i fossili esercita uno speciale fascino su grandi e piccoli. Accade che
un’esperienza emozionante in giovane età diventi fondamentale nella
scelta degli studi universitari, e quindi
della professione. Molte volte, invece, i fossili entrano nella vita di una
persona quando diventare un paleontologo professionista ormai è troppo tardi, ma non mancano comunque altre possibilità per coltivare
questo interesse. Da un primo approccio al mondo dei fossili determinato dalla semplice curiosità si
sviluppa presto un vero bisogno di
saperne di più, di capire meglio, ed
ecco che l’iniziale interesse si è trasformato in vera passione. Le passioni, si sa, per definizione non conoscono limiti. L’apprendista che
cerca di andare a fondo di un qualsiasi problema paleontologico si accorge ben presto che dovrà fare i
conti con numerose altre discipline,
a cominciare dalla geologia e le sue
“sorelle”: sedimentologia, stratigrafia, petrologia, tettonica, ma anche
con la mineralogia, la biologia e quindi con la zoologia e la botanica, senza però trascurare importanti aspetti di altre materie scientifiche quali
la fisica e la chimica, la biochimica,
la genetica, e anche la matematica,
* Ente Nazionale Germanico per il Turismo
che si rivela utile in molte occasioni.
Un campo troppo vasto e quindi scoraggiante? Per niente, anzi! Se confrontarsi con questa moltitudine di
discipline fa venire le vertigini, ci si
può sempre specializzare. Molti paleontofili sono diventati dei veri
esperti nel proprio campo, quasi
sempre studiando da autodidatti,
procurandosi con fatica testi e cataloghi, condividendo le proprie esperienze con pochi amici. E quando
scoprono l’esistenza della Società
Paleontologica Italiana (SPI) il desiderio di farne parte sembra una logica conseguenza. Ma cosa si aspetta un socio amatoriale, o meglio un
paleontofilo, dalla SPI?
Le ragioni per aderire alla SPI
sono molteplici. QueIla più importante è senz’altro il desiderio di ampliare e approfondire le proprie conoscenze paleontologiche. Le pubblicazioni della SPI, il Bollettino Paleontologico (in inglese) e PaleoItalia, possono soddisfare in parte questo bisogno. La partecipazione alle
Giornate di Paleontologia, organizzate dalla SPI ormai da 7 anni, invece, offre ai soci amatoriali un’occasione di esperienza diretta attraverso gli interventi scientifici e le
manifestazioni ad essi collegate. In
più le “PaleoGiornate” si prestano
perfettamente come piattaforma per
26
PALEOITALIA
uno scambio di idee con gli altri soci,
e per stabilire contatti personali,
spesso preziosi, con il mondo professionale accademico. Non bisogna
sottovalutare l’importanza dell’interazione tra i due mondi, quello accademico e quello paleontofilo. Anche i paleontofili, nel loro piccolo,
danno il loro contributo alla scienza. A parte le loro pubblicazioni e
iniziative scientifiche di tutto rispetto, è nota la quantità di segnalazioni
e di donazioni di reperti, anche importanti, custoditi nei vari istituti e
musei di scienze naturali.
La grande importanza dell’aspetto didattico è dimostrata dalla partecipazione dei soci amatoriali alle
escursioni paleontologiche, un’iniziativa paleontofila realizzata grazie alla
preziosa e generosa collaborazione
di diversi soci accademici. Le nostre escursioni sono un’ottima occasione per conoscere i fossili, e contemporaneamente sono delle autentiche lezioni di paleontologia e geologia in loco:
· il Dr. Bassi di Ferrara ci tiene un
seminario e ci insegna, o almeno
ci prova, l’approccio scientifico alla
determinazione dei fossili
· il Prof. Tintori di Milano ci introduce a Bolca non solo alla pesca
nel mare dell’Eocene, ma anche al
fenomeno degli olistoliti
· la Prof.ssa Violante di Torino dimostra che “piccolo è bello” e ci
apre le porte del mondo dei foraminiferi
· il Dr. Dal Sasso invece ci presenta
il mondo degli ittiosauri giganteschi
· il Prof. Raffi ci insegna come leggere le sequenze dei sedimenti e
l’importanza delle variazioni eusta-
tiche, e ammonisce: “il fossile in
vetrina sarà bello ma muto, cioè
privo di valore scientifico, perché
tolto dal suo ambiente non lo si può
più “interrogare” e cercare di ricostruire il suo habitat.
· con il prof. Coccioni di Urbino tocchiamo con mano non solo delle
belle ammoniti, ma anche la testimonianza di un importante evento
di estinzione: l’evento Bonarelli
· il Dr. Martinetto di Torino ci presenta le Mummie del Torrente Stura di Lanzo, tronchi mummificati
di una foresta del Pleistocene
· il Prof. Conti di Modena ci spiega
il mondo dei vulcani di fango e delle
comunità chemiosintetiche ad essi
legate.
Questi non sono che alcuni esempi. Le escursioni regalano bellissime
emozioni, soprattutto quando il ritrovamento di un fossile ci permette
di decifrare e ricostruire un pezzetto, anche piccolissimo, della storia
di quello stesso fossile e quindi del
nostro pianeta. Imparare emozionandosi! Come si fa a non appassionarsi sempre di più?
Ecco come si fa: ci ha pensato il
legislatore, dichiarando fuorilegge
tutti coloro che raccolgono un qualsiasi fossile, per quanto insignificante, per tenerselo: tutela a tutto campo del patrimonio paleontologico
senza distinguere tra vandali, mercanti e paleontofili.
Il divieto assoluto di raccogliere
e collezionare fossili non è un problema esclusivo degli appassionati.
La SPI stessa ne subisce le conseguenze. Di fronte ad una competiti-
PALEOITALIA
vità per le risorse sempre più spietata, la SPI può contare solo sul proprio prestigio. Nel nostro mondo
dominato dai mass media il prestigio è diventato quasi sinonimo di visibilità. Se la SPI vuole mantenere
o accrescere il proprio prestigio, deve
farsi conoscere di più, e dovrà attirare nuovi soci. Con l’attuale legge
sulla tutela del patrimonio archeologico, di cui fa parte anche la paleontologia, non è un’impresa facile,
anzi! Mi viene in mente l’esempio
di un circolo letterario senza libri da
poter leggere o una discoteca dove
ballare è proibito. Assurdo? Se la
materia prima, cioè i fossili, è “tabù”,
non sembra forse altrettanto assur-
27
do cercare di suscitare l’interesse
verso la ricerca paleontologica, amatoriale o no?
Il popolo dei paleontofili è un
popolo di ottimisti. Noi ogni anno
rinnoviamo al Presidente della SPI
l’appello di trovare, insieme alle dovute istituzioni, un modo efficace per
tutelare il patrimonio paleontologico
da scempi e vandalismi, lasciando
però spazio alla raccolta e collezione di fossili per la ricerca privata.
Trovare una soluzione soddisfacente sia per chi deve tutelare sia per
chi ama e cerca di capire i fossili
giova soprattutto alla stessa SPI.
28
PALEOITALIA
RESOCONTI DI CONVEGNI
Siena, 9-13 settembre 2008
GIORNATE DI PALEONTOLOGIA 2008
ROBERTO MAZZEI, ROBERTO FONDI, LUCA FORESI, LORENZO ROOK
Dal 9 al 11 settembre si è tenuta
a Siena, presso l’Accademia dei Fisiocritici, l’VIII Edizione delle “Giornate di Paleontologia” annualmente
organizzate dalla Società Paleontologica Italiana. Per la città toscana
si è trattato di un evento scientifico
e culturale particolarmente importante, non soltanto in quanto era la
prima volta che essa ospitava un
convegno della SPI, ma anche perché il medesimo cadeva in concomitanza sia con il secondo centenario della morte dell’accademico fisiocritico Ambrogio Bardo Maria
Soldani (1736-1808), pioniere della
Micropaleontologia, sia con il cinquantenario del rinvenimento nella
miniera lignitifera di Baccinello
(Scansano, Grosseto), da parte del
La Prof.ssa S. Ferri Il Prof. R. Matteucci
salutano i convenuti all’apertura del
Convegno
paleontologo svizzero Johannes Hürzeler (1908-1995), dello scheletro in
connessione anatomica della scimmia tardo-miocenica Oreopithecus
bambolii.
Il Simposio si è aperto con i saluti della prima Presidente donna
dell’Accademia dei Fisiocritici
Prof.sa Sara Ferri e del Presidente
della SPI, Prof. Ruggero Matteucci, cui sono seguiti quelli delle autorità accademiche (Prof. Donato Donati, Preside della Facoltà di Scienze e rappresentante del Magnifico
Rettore dell’Università degli Studi di
Siena) e delle Amministrazioni locali (Prof. Flores D’Arcais, Assessore
alla cultura del Comune di Siena e
Dr Antonio De Martinis in rappresentanza del Presidente della Provincia di Siena.
Dopo i saluti sono iniziati i lavori
del Convegno, raggruppati in sessioni intitolate: “Pre-Neogene” (Chairmen Prof. Giulio Pavia e Prof.sa
Isabella Premoli Silva), “Miocene”
(Chairmen Prof. Silvia Iaccarino e
Dr. Fabrizio Lirer), “Miocene Superiore-Pliocene” (Chairman Prof.
Anastassios Kotsakis), “PliocenePleistocene” (Chairman Prof. Antonio Russo), “Pleistocene” (Chairman
Prof. Federico Masini) e “Recente”
(Chairman Prof. Nevio Pugliese).
Complessivamente sono state pre-
PALEOITALIA
sentate e discusse 38 comunicazioni orali (16 hanno interessato i microfossili, 12 i vertebrati, 6 gli invertebrati e 4 l’argomento teoresi,
didattica e museologia paleontologica), nonché esposti 42 poster. I contenuti dei poster e delle comunicazioni sono stati riassunti nelle 152
pagine di un volume illustrato suddividendoli secondo i seguenti argomenti: “Microfossili, nannofossili,
microfacies”; “Fossili vegetali”;
“Macrofossili invertebrati”; “Macrofossili vertebrati”; “Teoresi, didattica e museologia”; “Workshop sui
Primati fossili europei”.
Alla fine della mattinata i partecipanti al Convegno sono stati ospitati nella Sede senese del Museo
Nazionale dell’Antartide dove il Direttore, Prof. Carlo Alberto Ricci, ha
presentato le peculiarità del Museo
e le problematiche nelle quali attualmente si dibatte la ricerca italiana in
Antartide.
Nel tardo pomeriggio si è svolta
la commemorazione della morte del
grande scienziato casentinese Ambrogio Soldani, padre della Micropaleontologia, il quale dedicò la vita
Accademia dei Fisiocritici di Siena - La
Corte.
29
Il ricevimento di benvenuto nei giardini
dell’Orto Botanico.
agli studi naturalistici e alla carriera
ecclesiastica dirigendo per oltre 25
anni quel monastero camaldolese di
S. Mustiola che dal 1814 ospita la
sede dell’Accademia dei Fisiocritici
di Siena. In questo contesto Il Prof.
Roberto Fondi (Università di Siena)
ha presentato una breve biografia
dello studioso; il Dr. Mario De Gregorio (Università di Siena) ha effettuato una visitazione critica della vita
e delle opere, inquadrandole nel contesto storico-culturale del tempo; il
Dr. Luigi Folco (Museo Nazionale
dell’Antartide – Sede di Siena) ha
messo in evidenza l’importanza dell’approccio scientifico di Soldani rispetto al fenomeno della caduta di
meteoriti verificatosi nel territorio
senese nel 1794; la Prof.ssa Isabella Premoli Silva (Università di Milano) ha tracciato in termini storicoscientifici il percorso e lo sviluppo
della Micropaleontologia, soffermandosi in particolare sullo studio
dei Foraminiferi che costituirono il
principale oggetto di attenzione da
parte di Soldani.
Della vita e delle opere dell’abate camaldolese si rilevano, inoltre,
alcuni tratti significativi.
30
PALEOITALIA
Dopo la scoperta, fatta al microscopio
dal bolognese Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766), che le “sabbie gialle” delle
colline emiliane contenevano, accanto ai
granuli di minerali, miriadi di conchigliette
fossili ravvoltolate e concamerate come tanti minuscoli nautiloidi e ammonoidi, e quindi attribuite a piccolissimi molluschi cefalopodi, Soldani pubblicò a Siena nel 1780 la
sua prima trattazione ed illustrazione di tali
microfossili: il Saggio Orittografico, ovvero osservazioni sopra le terre nautilitiche ed ammonitiche della Toscana. Rispettivamente dopo 9 e 18 anni, quale frutto
di attività di laboratorio e di osservazioni al
microscopio – eseguite presso la suddetta
accademia senese, della quale fu segretario – su sedimenti attuali e passati di località prevalentemente toscane, Soldani diede
alle stampe il primo e il secondo tomo della
sua opera più monumentale, la Testaceographiae ac Zoophytographiae parvae
et microscopicae, ricca di notevoli illustrazioni da incisioni su rame. Nel condurre le
sue ricerche, Soldani aveva spesso incontrato fossili di organismi “testacei” (cioè
dotati di conchiglia, guscio o parti mineralizzate) non aventi riscontro tra le forme viventi. Convinto che tali organismi dovessero ancora vivere da qualche parte e che
si trattasse soltanto di scoprirli – com’era
stato fatto anche dall’abate riminese Giovanni Bianchi (1623-1775) per molti testacei adriatici nell’opera De conchis minus
notis –, egli si era dunque prefisso di rintracciare quegli stessi organismi nei depositi marini attuali della Toscana e di studiarne le condizioni di vita, onde ricavarne informazioni e deduzioni da applicare allo studio e all’interpretazione dei sedimenti fossiliferi. Il primo tomo dell’opera, composto di due volumi, descriveva in effetti i testacei attuali con riferimento ai particolari
habitat in cui essi vivevano, mentre il secondo illustrava i testacei fossili e cercava
di ricondurli ai primi.
Nel 1794 Soldani pubblicò il suo terzo
scritto più importante, Sopra una pioggetta di sassi accaduta nella sera dé 16 Giugno del 1794 in Lucignan d’Asso nel sa-
Ambrogio Soldani, 1736-1808.
nese, che studiava una celebre caduta di
meteoriti la quale destò nel pubblico grande meraviglia e terrore. Alcune di tali meteoriti furono consegnate a Soldani e questi, dopo averle studiate, ne concluse che
non appartenevano ad alcuna roccia da lui
conosciuta e ne ipotizzò l’origine dalla condensazione dei vapori della “bolide” che
aveva attraversato il cielo. La sua opinione
suscitò molte perplessità fra i suoi contemporanei – fra gli altri Giorgio Santi (17461822), Lazzaro Spallanzani (1729-1799),
Ottaviano Targioni-Tozzetti (1775-1826) e
Angelo Fabroni (1732-1823) – tanto che
ne nacque una polemica, cui Soldani ritenne doveroso non sottrarsi tornando sul tema
con tre ulteriori scritti che ribadivano il suo
pensiero originario.
Dopo la morte dell’abate casentinese,
affinché la raccolta di testacei di quest’ultimo non andasse perduta, Napoleone Bonaparte inviò a Siena una commissione
scientifica presieduta dal grande Georges
Dagobert de Cuvier (1769-1832), la quale stabilì di riunirla in un apposito contenitore e di affidarla all’Accademia dei Fisiocritici. Assieme all’unico ritratto esistente di
Soldani e all’unica meteorite superstite di
Lucignano d’Asso rimasta a Siena (molte
altre sono andate disperse in vari musei
d’Europa), la raccolta può essere osser-
PALEOITALIA
vata da tutti i visitatori del museo di storia
naturale di tale accademia e consiste di oltre 300 piccoli vasi di vetro e di numerosi
preparati da microscopia (ossia vetrini appaiati ed incollati su celletta di cartone in
modo da renderne visibile il contenuto da
entrambe le parti), tutti numerati e con i
numeri corrispondenti a quelli delle descrizioni fattane nelle Testaceographiae.
Ai partecipanti al Convegno è stato fatto omaggio di un CD contenente la riproduzione fotografica di
tutte le opere principali di Soldani.
Nel pomeriggio del secondo giorno, si è tenuta una “tavola rotonda”
in cui sono intervenuti, come relatori, i professori R. Fondi , S.M. Iaccarino (Parma), A. Kotsakis (Roma),
R. Matteucci (Roma), N. Pugliese
(Trieste), A. Russo (Modena) e F.
Russo (Messina). Il tema dell’iniziativa, “Dove va la Paleontologia?”, è
quanto mai attuale data anche la cronica e progressiva carenza di fondi
per la ricerca paleontologica e la precaria condizione di salute del nostro
intero sistema educativo (Fondi). Dal
nutrito dibattito è emersa piena unanimità sul fatto che: a) le scienze
paleontologiche sono giunte ad un
Un momento della Tavola Rotonda “Dove va la Paleontologia?”.
31
punto tale (per Matteucci addirittura “esaltante”) di maturità e di raffinatezza da costituire un bene culturale preziosissimo; b) poiché questo
bene risulta sempre più esposto al
rischio di finire in degrado, occorre
impegnarsi nella sua difesa con forza e piena convinzione.. Tra le vie
che possono essere percorse dai paleontologi sono state evidenziate le
seguenti. Una è quella di dare alla
“Paleobiologia”, intesa nel suo senso più ampio e totalizzante (Masini), una maggiore visibilità al pubblico, che per parte sua ha sempre
rivelato interesse nei confronti di
essa, al fine di “conquistarlo”. Questa maggiore visibilità e comunicatività, nella quale la Paleontologia italiana ha fino ad oggi sicuramente
mancato, può essere ottenuta lavorando in stretta sinergia con i musei
civici a carattere naturalistico – magari organizzandovi esposizioni a
pagamento su temi che appassionano il pubblico quali l’evoluzione e le
estinzioni in massa (A. Russo) – ma
soprattutto impegnandosi nell’attività
di divulgazione culturale (Kotzakis).
E’ doveroso, inoltre, scuotersi dall’inerzia legata alla mentalità secondo cui la propria disciplina è l’unica
al mondo e procedere senz’altro ad
interfacciarsi con le altre, magari facendo uso delle numerosissime e
svariate reti comunicative locali (Pugliese), nonché ribadire il valore culturale della Paleontologia all’interno
stesso dei corsi di laurea (Iaccarino), soprattutto di fronte alle proposte invasive dei colleghi “applicativi”.
Il quarto giorno del convegno è
stato dedicato ad un’escursione all’Isola di Pianosa, vera e propria
32
PALEOITALIA
Il gruppo degli escursionisti sulla
Motonave “Laura Prima, durante la
circumnavigazione di Pianosa.
“perla neogenica dell’Arcipelago
Toscano”, a bordo della motonave
Laura Prima di Castiglione della
Pescaia. Purtroppo le non favore-
voli condizioni meteo-marine hanno obbligato a modificare il programma, che prevedeva l’ormeggio al
pontile di attracco, il raggiungimento di due siti di affioramento di particolare interesse paleontologico – i
Calcari bioclastici di Cala del Bruciato, nell’Unità superiore della Formazione di Pianosa, e la “Panchina” tirreniana di Cala dei Turchi con
le sue differenti litofacies – e la circumnavigazione dell’isola. Si è invece dovuto iniziare con quest’ultima e, dopo un attracco alquanto laborioso, limitare la visita al primo
dei siti summenzionati. Per un’adeguata “lettura” della successioni stratigrafiche, gli escursionisti hanno
comunque avuto a disposizione sia
Alcuni partecipanti all’escursione di Pianosa in visita agli affioramenti di “Cala del
Bruciato” osservano il “tappeto” di rodoliti.
PALEOITALIA
33
Escursione a Pianosa. Discesa verso
l’affioramento di
Cala del Bruciato.
le competenze del Prof. L.M. Foresi (Università di Siena), sia la guida
pubblicata dal medesimo (con la collaborazione di M. Aldinucci, F. Sandrelli e G. Cornamusini) nell’ultimo
numero di Etrurianatura (periodico scientifico-divulgativo dell’Accademia dei Fisiocritici) offerto a tutti
i partecipanti al Convegno..
Per quanto riguarda il cinquantenario della scoperta di “Sandrone”,
cioè l’individuo di Oreopiteco il cui
scheletro è conservato nel Museo di
Paleontologia di Firenze, è stata
l’occasione per organizzare un
workshop sui primati fossili europei.
L’iniziativa – del tutto nuova, trattandosi del primo incontro scientifico specificamente dedicato ai primati
fossili europei – ha visto la partecipazione di oltre 30 specialisti provenienti da Paesi diversi (Austria, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra,
Italia, Spagna e USA).
Nel pomeriggio del terzo giorno,
conclusesi le esposizioni e le discus-
sioni relative alle altre tematiche di
ricerca, si sono tenute le comunicazioni ad invito che hanno presentato lo “stato dell’arte” della documentazione fossile dei primati. M. Godinot (Parigi) ha riassunto conoscenze sui primati del Paleogene, mentre D. Alba (Barcellona) ha illustrato i recenti ritrovamenti dei primati
miocenici della Spagna. Successivamente, tre ulteriori interventi hanno
introdotto i temi delle comunicazioni libere della giornata successiva:
R.L. Bernor (Washington DC) ha
discusso il contesto paleobiogeografico della documentazione dei primati neogenici del Vecchio Mondo;
P. O’Higgins (York) ha presentato
alcuni dei nuovi fronti di indagine di
morfologia funzionale e biomeccanica consentiti da tecniche analitiche
d’avanguardia; R. Macchiarelli (Poitiers) ha illustrato le ultime novità
nello studio degli elementi dentari di
Oreopithecus bambolii, ottenute
grazie all’utilizzo di microTAC ad alta
34
PALEOITALIA
Quinto giorno - i partecipanti all’Escursione di Baccinello.
risoluzione effettuate presso
l’“European Synchrotron Radiation
Facility” di Grenoble.
Nel quarto giorno il workshop si
è traferito a Grosseto presso la sala
conferenze del Museo di Storia Naturale della Maremma, dove le comunicazioni libere sono state organizzate in diverse sessioni sui seguenti temi: “Cercopitecoidi”, “Ominoidi: cronologia e tafonomia”, e “Ominoidi e Ominidi: paleobiologia, tassonomia e anatomia”. Nel pomeriggio i partecipanti al workshop hanno potuto visitare i nuovi allestimenti
del Museo di Grosseto (non ancora
aperti al pubblico) dove è stata preparato un diorama in grandezza na-
turale di Oreopithecus bambolii nel
suo ambiente naturale.
Nel quinto giorno, a conclusione
dei lavori, si è svolta un’escursione
nell’area del bacino di BaccinelloCinigiano per visitarvi gli affioramenti del Miocene Superiore che
hanno restituito le faune a mammiferi associate all’Oreopiteco. Le infelici condizioni atmosferiche (un
fortissimo temporale ha “bagnato”
il pranzo offerto ai partecipanti dal
Comune di Scansano) hanno solo in
parte guastato l’escursione, che nel
suo complesso si è rivelata come
occasione di proficue discussioni e
di piacevoli momenti conviviali.
PALEOITALIA
35
FOSSILI ... CHE MITO!
ANTONELLA CINZIA MARRA
Al quarto articolo della serie dedicata alla interpretazione mitologica,
leggendaria o magica dei fossili, si approda su un’isola del mediterraneo,
dove ai naviganti non è concesso ristoro, ma è riservato l’incontro con un
temibile gigante con un unico occhio: Polyphemus.
Polyphemus: furia cieca
Nel 1371 circa, il poeta e scrittore
Giovanni Boccaccio assiste al
recupero di un grande scheletro da
una grotta della Sicilia. Mentre gran
parte dello scheletro si polverizza, i
denti, il cranio e il femore rimangono
integri, suggerendo a Boccaccio che
si possa trattare dei resti di Polifemo
(Mayor, 2000). Nel 1742, Mongitore
riferisce il rinvenimento di diverse
ossa, che attribuisce a giganti vissuti
nel passato in Sicilia (Burgio, 1989).
La più grande isola del Mediterraneo è stata a lungo ritenuta la
patria di mostruosi giganti appartenenti ad un lontano passato,
probabilmente a causa dei rilevanti
ritrovamenti di ossa fossili di grandi
dimensioni, spesso nelle grotte. Il
mito più consolidato riguarda il
violento scontro tra Ulisse e
Polifemo nella Terra dei Ciclopi, la
cui precisa ubicazione non è
espressamente indicata da Omero
(IX-VIII secolo a.C). Sembra che,
molto tempo dopo la stesura
dell’Odissea, sia stato lo storico
Tucidide (454-411 a.C.) ad indicare
per primo la Sicilia come la Terra
dei Ciclopi e dei giganti Lestrigoni.
Nello stesso periodo, Euripide (484406 a. C.) ambienta il proprio lavoro
teatrale, il Ciclope, ai piedi dell’Etna.
Il Ciclope è, nella mitologia della
Grecia antica, un gigante monocolo,
d’aspetto antropomorfico. Letteralmente, Ciclope significa “che ha un
occhio rotondo”. Per i Greci, è
un’entità brutale e primitiva,
correlata al mito dei vulcani, sulla
quale può prevalere soltanto Apollo,
divinità solare. I Ciclopi, figli di Gaia
e Urano, sono fabbri al servizio di
Zeus e di Efesto, per i quali
fabbricano le saette. Tuttavia, nella
mitologia greca sono noti altri
Ciclopi, nati dall’unione di
Poseidone con la ninfa Toosa:
giganti mostruosi e selvaggi, dediti
alla caccia e soliti abitare in caverne.
Nella mitologia del periodo
Classico, i Ciclopi hanno avuto un
ruolo nel mito olimpico della
creazione (Graves, 1955). Gaia, la
Terra, emersa dal Caos, genera
Urano. Il dio produce la pioggia, che
36
PALEOITALIA
insemina Gaia, da cui nascono la
Flora e la Fauna. L’acqua, scorrendo,
crea i fiumi e i mari. Gaia genera prima
tre giganti con cento braccia e poi tre
giganti con un occhio solo, i Ciclopi,
fabbri e costruttori di possenti mura.
Secondo l’ipotesi di Graves
(1955) i Ciclopi erano uomini
appartenenti ad una corporazione di
fabbri, non creature fantastiche.
Nella società elladica primitiva,
questi fabbri avrebbero il cerchio
come simbolo del dio del sole, da
cui avevano avuto il fuoco, e come
base geometrica della loro arte.
Inoltre, sarebbero stati soliti coprire
un occhio con una benda per
proteggersi durante il lavoro.
Secondo Graves (1955), la memoria
di questa corporazione si sarebbe
perduta nel tempo ed i mitografi
successivi avrebbero inventato i
fabbri giganti che che lavoravano
nelle profondità del vulcano Etna,
per spiegare il fuoco ed il fumo
prodotti dal vulcano.
Per la mitologia di epoca più
tarda, i Ciclopi sono giganti monocoli
nati da Gaia: Bronte, il tuono,
Sterope, il lampo, e Arge, la luce
(Graves, 1955). Ai giganti tocca una
triste sorte: Zeus uccide il figlio di
Apollo con le sue saette e il dio del
sole si vendica uccidendo i Ciclopi e
condannando le loro ombre a vagare
nelle grotte dell’Etna.
Nell’Odissea di Omero (IX-VIII
secolo a.C.; Valgimilgli, 2005), i
Ciclopi sono descritti come feroci
giganti monocoli, dediti ad una vita
pastorale e primitiva su un’isola
boscosa e del tutto liberi da ogni
legge o forma di civilizzazione. Essi
sono i discendenti di una stirpe di
fabbri al servizio degli dèi olimpici.
Raffigurazione del Ciclope Polifemo in
un antico mosaico.
Ulisse, approdato nella Terra dei
Ciclopi con dodici compagni,
comincia ad esplorarla. Trovata una
caverna con un fuoco acceso ed un
gregge, Ulisse e i suoi uccidono e
mangiano due capre. La caverna,
però, è abitata da Polifemo, Ciclope
figlio di Poseidone e della ninfa
Toosa, che al suo rientro cattura i
navigatori. Nonostante i tentativi di
Ulisse per convincere il Ciclope a
liberarlo insieme ai suoi, Polifemo
divora alcuni dei greci. Ulisse incita
il gigante a bere molto vino e, quando
è ubriaco, lo acceca colpendo il suo
unico occhio con un tronco
appuntito. Tuttavia, la caverna è
chiusa da un masso ed i prigionieri
non possono uscirne. Al mattino il
Ciclope accecato fa uscire il gregge
carezzando la groppa di ogni
animale, per assicurarsi che i Greci
PALEOITALIA
non scappino, ma Ulisse ed i suoi
uomini riescono a fuggire aggrappati
al ventre delle pecore.
Ferito così atrocemente, il gigante
chiede aiuto, urlando che Oudeis lo
aveva colpito. Ma anche questa era
una trappola, infatti Ulisse, in greco
Odysseus (¼äõóóåýò [Odysseus]),
aveva riferito al Ciclope il suo nome
storpiato in Oudeis (Ουδειò
[Oudeis], che significa “nessuno”.
Così il Ciclope si trova ad urlare che
Oudeis, Nessuno, lo aveva ferito.
Una volta in salvo, Ulisse può
rispondere: “Non Oudeis (Nessuno),
ma Odysseus (Ulisse) ti ha colpito!”
Il Ciclope, ferito ed offeso,
invoca vendetta presso il padre
Poseidone, che rende il viaggio di
Ulisse lungo e pieno di pericoli.
Ulisse viene così a rappresentare la
Grecia moderna ed intraprendente
che affronta i pericoli per soddisfare
la sete di conoscenza, mentre il
Ciclope rappresenta il passato di
società pastorale (Valgimilgli, 2005).
La storia di Ulisse e Polifemo è
stata successivamente ambientata ai
piedi dell’Etna e drammatizzata con
stile comico nel “Ciclope” da
Euripide (V secolo aC.), l’unico
dramma satiresco greco conservatosi
fino ai giorni nostri (Setti, 2005).
Dopo il ruolo epico in Omero e
quello parodistico in Euripide, la
figura di Polifemo cambia nella
letteratura successiva, in cui il
Ciclope ha spesso un ruolo di
innamorato respinto dalla bella ninfa
Galatea (Codino, 2005). Teocrito,
nel III secolo a. C. circa, scrive un
idillio dove Polifemo è una sorta di
mostro romantico che canta il suo
amore respinto per la bella ninfa
Galatea. Altri poeti provvedono poi
37
a dare un epilogo tragico alla storia,
facendo del Ciclope un assassino che
uccide il suo rivale in amore, Aci,
colpendolo con un masso (Codino,
2005).
Nella letteratura latina, la storia
di Polifemo diventa un motivo
narrativo legato alla tradizione
bucolica, accogliendo talvolta nuovi
elementi dalle narrazioni popolari
(Codino, 2005). Nei racconti
popolari dell’Europa e del Caucaso,
Polifemo viene rappresentato come
un orco con un occhio solo, figlio di
una strega (Graves, 1955).
Riportando il mito alla scienza, i
resti attribuiti ai ciclopi erano
probabilmente scheletri fossili di
mammiferi, in particolare di elefante,
particolarmente abbondanti nelle
grotte della Sicilia. Il cranio
dell’elefante ha un grande foro
appena sotto la fronte, che serve per
gli apparati della proboscide, ma può
essere visto come un unico grande
occhio, considerato che le vere cavità
orbitali sono piccole ed in posizione
bassa e laterale. In Sicilia sono state
trovate due specie di elefanti,
caratterizzate da nanismo indotto
dall’insularità: Elephas falconeri
(vissuto da circa 750.000 a 500.000
anni fa), alto circa 1m, e Elephas
mnaidriensis (vissuto da circa
400.00 a 40.000 anni fa), alto circa
1,80m (Marra, 2005).
Tuttavia, anche i paleontologi
hanno inseguito un mito, riportando
per lungo tempo nelle loro
pubblicazioni quanto sostenuto da
Abel (1914) e Ley (1948), e cioè
che i fossili di grandi mammiferi
erano stati identificati come resti di
Ciclopi prima da Empedocle, nel V
sec. a. C., e successivamente da
38
PALEOITALIA
Boccaccio, che aveva riferito e
confermato le asserzioni dell’illustre
greco. In realtà, tali asserzioni non
esistono negli scritti di Empedocle,
mentre Boccaccio aveva sì creduto
di trovare lo scheletro di Polifemo,
ma non aveva citato l’illustre greco
(Mayor, 2000).
Gli antichi Greci e Romani spesso
avevano rinvenuto ossa fossili,
attribuendole a uomini giganti, le cui
gesta erano narrate nella mitologia
(Mayor, 2000). Secondo Mayor
(2000), esiste una buona concordanza tra l’ubicazione geografica di
eventi mitologici e il rinvenimento
di siti ricchi di fossili di vertebrati.
La studiosa ritiene che i ritrovamenti
di ossa fossili possano avere
originato i miti.
Caratteri del cranio di elefante, in vista laterale (sopra) e frontale (sotto), rilevanti
per il mito dei ciclopi.
PALEOITALIA
39
Le due specie di elefanti nani della Sicilia (dal più piccolo al più grande: Elephas
falconeri ed Elephas mnaidriensis) a confronto con il grande Elefante Antico della terraferma, nella ricostruzione di Adams (1870, modificata).
Quindi, il mito dei Ciclopi sarebbe
nato in seguito al ritrovamento delle
ossa di mammiferi, in particolare di
elefanti, in Sicilia. Tuttavia, il mito
dei Ciclopi è molto antico e
complesso ed ha subito rielaborazioni nel corso del tempo, in una
mistura di mitologia, religione e
credenze popolari. Creature
monocole sono presenti in religioni
più antiche e più moderne rispetto
alla mitologia greca, a simboleggiare
le forze oscure della natura. Forse i
ritrovamenti dei fossili sono stati
considerati le prove di un evento
mitologico, sentito con spirito
religioso presso i Greci, ed hanno
consentito l’ubicazione della Terra
dei Ciclopi in Sicilia, in un periodo
di tempo posteriore alla nascita del
mito dei Ciclopi e dell’elaborazione
dell’Odissea (Marra, 2007). Il mito
omerico, preesistente, potrebbe
essersi arricchito con racconti
provenienti dalle colonie,
specialmente dalla Sicilia (da VIII
40
PALEOITALIA
sec. a. C.), dove le ossa di giganti
venivano ritrovate abbastanza di
frequente nelle grotte (Marra, 2007).
Bibliografia
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Adams A. L. 1870. Notes of a Naturalist in
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Sgarbi, E. (ed.), Dizionario Bompiani delle
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(ed.), Dizionario Bompiani delle Opere e
dei Personaggi di tutti i tempi e di tutte le
letterature. Bompiani, Milano, 6, 62516254.
PALEOITALIA
41
SCOPERTA NUOVA VERTEBRA DELLA
BALENOTTERA DELLE SABBIE PLIOCENICHE
DI VALMONTASCA (VIGLIANO D’ASTI)
1959 - 1961 - 1970 - 2008
LUCA ODDONE
Marzo 1959, Valmontasca
La primavera è ormai alle porte
sulle colline astigiane e il mite tepore del sole lentamente risveglia
la natura. Dopo il freddo inverno,
nei campi e nelle vigne, i contadini riprendono le loro attività e con
l’arrivo della bella stagione il Comune di Vigliano predispone uno
scavo per la posa di una conduttura dell’acqua nella frazione di Valmontasca. Qui, durante i lavori,
alcuni operai si accorgono della
presenza di alcuni frammenti ossei
che prontamente vengono segnalati ai loro superiori e successivamente al sindaco, G. Battista CONTI, che personalmente avvisa la
Soprintendenza alle Antichità del
Piemonte.
In questo panorama di colline in fiore, grazie all’avvedutezza di tutti, il
23 marzo 1959 il prof. Carlo Carducci, Soprintendente alle Antichità
del Piemonte e alcuni esperti inviati
dall’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Torino, effettuarono i primi sopralluoghi, accertando la notevole importanza
scientifica del ritrovamento che gia-
ceva in posizione orizzontale a circa
70 cm dalla superficie.
Le attività per il recupero dello scheletro della “Balenottera di Valmontasca” perdurarono circa 26 giorni,
tra il mese di marzo e quello di aprile 1959, impegnando giornalmente
un certo numero di operai, reclutati
sul posto.
Le operazioni per il consolidamento
dello scheletro, che misurava complessivamente circa 8 m e il cranio,
con la mandibole, circa 2 m, si resero difficili dalle non perfette condizioni di conservazione.
Il fascino di un antico mare che ricopriva le loro familiari colline, generò negli abitanti e soprattutto nei
più piccoli, immaginari quasi surreali, facendo di quelle zolle spesso
imperlate di sudore, lo scenario di
vita per creature che in ere lontane
popolavano la baia astigiana! La notizia di questo straordinario ritrovamento fece in breve il giro di settimanali e quotidiani, e nei mesi successivi anche solo la semplice curiosità, portò sul luogo centinaia di
persone e di bambini. Furono organizzate gite scolastiche e vennero
pubblicati opuscoli fotografici che
42
PALEOITALIA
vennero distribuiti in gran numero.
Nessuno voleva perdersi l’occasione di poter dire:”Io l’ho vista di persona!”. Una volta recuperata, la ba-
lenottera venne sistemata nel museo
di Palazzo Carignano a Torino, dove
iniziò la complessa opera di restauro delle varie parti scheletriche.
IL GAMPS ANCHE IN PIEMONTE
Ecco la storia della Balenottera
Ogni reperto fossile ha una storia il cui inizio si
perde nella notte dei tempi, molto spesso i
ritrovamenti di queste lontane creature avvengono
setacciando i sedimenti fossiliferi delle varie ere
geologiche, ma non è sempre così! Pur appartenendo
allo stesso esemplare, a volte le scoperte sono diluite nel tempo e, ogni
tanto, la pura casualità lascia emergere inaspettate tracce di un lontano
passato.
Il Gruppo AVIS Mineralogia Paleontologia Scandicci, meglio conosciuto
come G.A.M.P.S., da molti anni svolge ricerche paleontologiche sul
territorio toscano e, grazie ad un monitoraggio costante dei sedimenti di
origine marina, si è distinto per le scoperte dei cetacei fossili risalenti al
periodo geologico denominato Pliocene.
L’eco della nostra attività ha toccato molte regioni d’Italia ed è per questo
che sono arrivate alcune iscrizioni anche dal Piemonte.
Il Biologo Luca Oddone, neoiscritto al G.A.M.P.S., ma residente nella
provincia di Asti, seguendo la scia del Gruppo toscano, non si è fatto
attendere ed ha realizzato una scoperta molto interessante sul territorio
astigiano.
Anche se la cosa potrà sembrare inusuale, per puro caso una nuova parte
anatomica riporta alle cronache un’importante scoperta avvenuta in
Piemonte 49 anni fa.
Dopo il ritrovamento avvenuto nel 1959 da parte di alcuni operai in
località Valmontasca (Vigliano d’Asti) e successivamente consolidato con
altri ritrovamenti effettuati nel 1961 e nel 1970, un altro importantissimo
reperto si unisce allo scheletro della Balenottera astigiana.
Una vertebra caudale in ottimo stato di conservazione è stata recuperata
dal nostro socio che, seguendo lo spirito del Gruppo, ha prontamente
segnalato il fossile mettendolo a disposizione delle autorità competenti: il
reperto verrà esposto presso il Museo della Riserva Speciale fossilifera di
Valle Andona, Valle Botto e Val Grande.
Un piccolo reperto fossile che servirà non solo a dare maggiore
completezza ad una maestosa Balenottera del passato, ma anche a ricordare
Luca Oddone fra coloro che hanno contribuito a salvare una creatura vissuta
nelle valli astigiane oltre 35.000 secoli fa.
Simone Casati
Presidente G.A.M.P.S.
PALEOITALIA
Ma la storia continua...
Due anni più tardi, nel 1961,
P.G.Caretto durante una serie di saggi sul terreno nei pressi del luogo ove
era avvenuto il primo ritrovamento,
portò alla luce i resti dell’arto anteriore destro, e nel 1970, eseguendo
ulteriori ricerche, poté recuperare
anche parte dell’arto sinistro.
Lo scheletro della Balenottera di
Valmontasca, che si può tutt’oggi
annoverare tra i più completi cetacei fossili ritrovati sul territorio nazionale ed europeo, è conservato
presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, così come
molti altri resti di misticeti (cetacei
con fanoni) e odontoceti (cetacei
con i denti). Non ultimi i resti di un
Physeter (capodoglio) e di alcuni
delfinidi, che hanno reso famosa la
frazione di Valmontasca, per la paleontologia dei vertebrati marini del
Pliocene medio-superiore (3-1,8
milioni di anni fa).
Lo scheletro della balenottera
comprende il cranio completo di
mandibole e mascelle (Foto 2), l’arto destro con scapola, omero, radio
e ulna, e frammenti delle ossa carpali, mentre per l’arto sinistro furono ritrovati solo pochi frammenti.
Sono poi presenti tutte le vertebre
cervicali (7), le vertebre dorsali (12)
e relative costole, le vertebre lombari (11) di cui tre più o meno fortemente danneggiate, e 10 vertebre
caudali su, presumibilmente 18, caratteristiche di questa specie, con
una certa variabilità individuale. Lo
studio morfologico di questo misticete permise a P.G. Caretto di raggiungere alcuni risultati di interesse
sistematico. Infatti, a seguito di confronti approfonditi, egli ritenne
43
l’esemplare pliocenico strutturalmente e morfologicamente analogo agli
individui della attuale Balenoptera
acutorostrata, Lacepede. Inoltre,
questo fossile si dimostrò sempre
secondo Caretto, completamente
uguale a diversi esemplari pliocenici
ritrovati fin dall’inizio del 1800, conservati in vari musei e attribuiti a
generi e specie differenti. La valutazione di questi dati portò Caretto a
ritenere che i misticeti pliocenici considerati e gli individui della B. acutorostrata attuale appartenessero ad
un’unica specie cronologica, protrattasi dal Pliocene all’Attuale. In realtà oggi nuovi studi sono stati fatti, e
in particolare quelli del dott. Michelangelo Bisconti e di Tom Deméré
del San Diego Natural History Museum criticando le analisi di Caretto
portano ad ipotizzare che nel Pliocene italiano esistevano in realtà
molti generi e specie differenti di
misticeti.
Gennaio 2008
A distanza di 38 anni dagli ultimi
resti recuperati da P.G. Caretto, un
appassionato di paleontologia, il biologo mongardinese Luca Oddone,
neoiscritto al Gruppo A.V.I.S. Mineralogia e Paleontologia Scandicci, cercando di approfondire le sue
conoscenze sui cetacei fossili recuperati nella località di Valmontasca,
a pochi Km dalla sua abitazione, ha
avuto modo di riportare alle cronache la balenottera in questione. La
storia potrebbe sembrare anomala,
ma non per l’occhio attento di un
appassionato di fossili pliocenici.
Girando nei meandri della memoria storica degli abitanti della frazione piemontese, il nostro socio ha
44
PALEOITALIA
avuto modo di scavare nel passato
senza trovare fossili, bensì un signore che aveva in qualche modo collaborato al recupero nel 1959.
Affascinato dalla scoperta, e vista la disponibilità del sessantenne,
Luca approfittò della gentilezza e
chiese alla persona di attivare la
macchina del tempo per essere trasportato nel lontano 1959.
L’uomo non si fece pregare, e
come se niente fosse, attivò la memoria materializzandosi davanti a
quello scavo contornato dalla meraviglia e lo stupore degli abitanti della
zona.
I minuti passarono e la storia del
recupero si fece sempre più interessante: niente fu lasciato al caso.
Con dovizia di particolari, il racconto si articolò senza tralasciare
ogni minimo dettaglio.
La storia poteva finire con il ricordo di quelle giornate indimenticabili, ma l’incontro con l’esuberante
passione di Luca fece accendere in
quel signore il dubbio su una cosa
raccolta durante lo scavo. Il ragazzo, al tempo mosso dall’incoscienza di un adolescente, o forse penalizzato dal fatto di non avere molte
conoscenze sull’anatomia scheletrica dei mammiferi marini, dallo scavo raccolse uno strano sasso a memoria dello straordinario evento.
Ed è così che, dopo 50 anni, l’incontro casuale con Luca fece trapelare la notizia che l’oggetto riposava ancora nella sua cantina tra le
botti e le bottiglie di Barbera d’Asti.
Luca sobbalzò dalla sedia e in seguito, mosso dall’irrefrenabile curiosità del paleontologo in erba, chiese
a quel signore di mostrargli la cosa.
Oddone notò immediatamente l’im-
portanza di quella che identificò essere una vertebra caudale di cetaceo.
Per la completezza del corpo vertebrale, e per l’importanza scientifica della balenottera scoperta nel
1959, avendone avuto l’occasione,
il reperto verrà messo a disposizione della Soprintendenza per i Beni
Archeologici per il Piemonte e, successivamente, avrà modo di essere
esposto presso il Museo della Riserva Speciale fossilifera di Valle Andona, Valle Botto e Val Grande: non
per essere dimenticato, ma per far
conoscere alle scolaresche del territorio e a tutti i visitatori, una creatura che solcava le calde acque tropicali del Piemonte e della baia astigiana circa 3 milioni di anni fa.
Le vertebre caudali della
“balenottera di valmontasca”
Le prime tre vertebre caudali
della balenottera, recuperate nel
1959, sono le più lunghe e massicce, con processi spinosi meno rilevati e zigapofisi ancora evidenti.
Nella 1a e nella 2a vertebra i processi trasversi mantengono essenzialmente la forma di quelli delle ultime
lombari, con dimensioni ed espansione distale minore nella 2a. Nella
3a sono molto corti e nella 4a si riducono ad una cresta orizzontale moderatamente rilevata. I processi spinosi di queste vertebre e le relative
zigapofisi sono più brevi e tendono
a ridursi.
La 4a caudale è la prima vertebra con processi laterali perforati.
Nella 5a vertebra i processi laterali
si riducono ad un modesto rilievo
del corpo vertebrale, che va scomparendo a cominciare dalla 6a cau-
PALEOITALIA
dale. I processi spinosi, gli archi
neurali e le zigapofisi vanno gradualmente rimpicciolendo. La 7a presenta faccette articolari per chevron
marcati e sporgenti centralmente, il
corpo presenta chiari angoli laterali.
L’8a presenta zigapofisi strette, rilevate e convesse dorsalmente. Nella
9a vertebra (39a), la spina neurale
viene sostituita da una sottile concavità longitudinale.
La vertebra recuperata
Presenta nel complesso un buono stato di conservazione tale da
consentire una descrizione dettagliata
e alcune comparazioni. Dalla morfologia e dalla struttura si può affermare che si tratta di una vertebra
caudale. Sono presenti alcune aree
in cui l’assenza dello strato esterno
del periostio mette in vista la struttura interna della matrice ossea spugnosa, comunque perfettamente fossilizzata e compatta. Si riconoscono
sulla superficie alcune aree arrossate da un processo di ossidazione.
Si può osservare un arco neurale dotato di processo neurale rotto
alla base, di cui rimangono solamente due creste sporgenti alcuni millimetri. (Norma dorsale)
Anche dei processi trasversi rimangono solo delle creste sporgenti, che lasciano intendere che le di-
Misure della nuova vertebra della
balenottera di Valmontasca.
45
mensioni originarie non superavano
comunque i pochi centimetri. (Norma laterale destra e sinistra).
La vertebra presenta intatti la
maggior parte dei canali deputati al
passaggio di nervi e vasi sanguigni.
In particolare si può osservare come
dall’arco neurale parta un lieve solco superficiale che si biforca simmetricamente in prossimità del bordo anteriore. I due solchi che si formano discendendo obliquamente sui
fianchi del corpo vertebrale fino al
bordo d’entrata del primo canale
(Norma dorsale).
Si tratta di un canale dal perimetro ellittico, con l’asse maggiore anteroposteriore e quello minore laterolaterale, che attraversa quasi verticalmente la vertebra attraversando
il processo trasverso laterale, per tanto definito “perforato”.
Questo canale sbocca alla base
del processo trasverso da dove partono altri due solchi superficiali e un
secondo canale (Norma laterale destra e sinistra). Il primo solco, meno
marcato, si porta sotto al processo
Confronto tra la vertebra e le altre trovate nel 1959.
46
PALEOITALIA
trasverso, il secondo solco invece
discende verso la faccetta articolare
anteriore per chevron, sino al bordo
anteriore della vertebra.
Il secondo canale, dalla sezione
circolare, diparte dall’uscita del primo canale alla base del processo trasverso e sbocca in prossimità del
La nuova vertebra della balenottera di Valmontasca. a. norma dorsale; b. norma
ventrale; c. norma anteriore; d. norma posteriore; e. norma laterale destra; f. norma
laterale sinistra.
PALEOITALIA
bordo ventrale, a ugual distanza dal
bordo anteriore e da quello posteriore attraversando le faccette articolari deputate al legame con chevron. La superficie ventrale presenta una concavità ellittica presumibilmente dell’arteria caudale (Norma
ventrale). Dal centro di questa regione parte un piccolo canale che
attraversa la vertebra dorso-ventralmente, verosimilmente fino al canale neurale. Delle superfici articolari
per chevron solo quelle di destra si
sono conservate. Quelle di sinistra
mancando lasciano esposto il secondo canale precedentemente descritto.
Su tutto il corpo vertebrale sono
presenti diversi piccoli tubercoli deputati all’inserzione dei legamenti.
Le epifisi vertebrali sono tendenzialmente ellittiche, con diametro maggiore dorsoventrale, sia per l’epifisi
anteriore che per quella posteriore
(Norma anteriore e posteriore).
I diametri delle epifisi vertebrali
sono riportati in Tabella 1 insieme
alle altre misure prese sul reperto.
In Tabella 2 sono riportati i dati misurati da P.G. Caretto sulle vertebre
caudali da lui descritte, confrontati
con quelli della vertebra ritrovata.
Conclusioni
G.P. Caretto nel suo lavoro “La
balenottera delle sabbie plioceniche
di Valmontasca (Vigliano d’Asti)” segnala come le dimensioni delle vertebre caudali si mantengono notevoli nelle prime tre e diminuiscono
gradatamente nelle altre, con una più
decisa riduzione nella 9a e nella 10a.
Dalle analisi e misurazioni effettuate, l’undicesima vertebra ritrovata
da Luca Oddone sembra collocarsi
47
proprio tra l’ottava e la nona vertebra recuperate nel 1959.
In tabella 2, per la vertebra ritrovata è riportato tra parentesi il range
dell’ipotetico valore in vivo.
Ringraziamenti
L’autore desidera ringraziare per la
collaborazione alla stesura del seguente
articolo e per la sua travolgente e contagiosa
passione per la paleontologia, Simone Casati,
Presidente del Gruppo AVIS Mineralogia e
Paleontologia Scandicci (G.A.M.P.S.), il dott.
Michelangelo Bisconti (Dipartimento di
Scienze della Terra, Università di Pisa) per
la consulenza scientifica e il dott. Piero
Damarco (Responsabile scientifico della
Riserva speciale fossilifera di Valle Andona,
Valle Botto e Val Grande - Ente Parchi
Astigiani) per la collaborazione e la
disponibilità.
Bibliografia
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sabbie plioceniche di Valmontasca
(Vigliano d’Asti). Bollettino della Società
Paleontologica Italiana, 9 (1): 3-75.
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PALEOITALIA
48
STUDIO PRELIMINARE SULL’ITTIOFAUNA
MIOCENICA DELLA MARMILLA
(SARDEGNA CENTRALE)
LUIGI SANCIU
Introduzione
I primi ritrovamenti di ittioliti in
Sardegna (squame attribuite a Clupea (Meletta) crenata Heckel), avvennero ad opera di Alberto Lamarmora (1857) nelle marne nei dintorni
di Ales. Successivamente, esemplari
attribuiti al genere Clupea vennero
studiati da Bassani (1900 a,b,c). Il
lavoro più recente, corredato da tavole fotografiche dei campioni, fu
realizzato da Ida Comaschi Caria
(1973) con la descrizione di resti provenienti dai dintorni di Cagliari, Sassari e Capo Frasca. Tali resti sono
Ubizione dell’area di studio.
costituiti in prevalenza da denti e più
raramente vertebre, porzioni di pinne e squame. In particolare, sono
piuttosto abbondanti gli ittiodontoliti
appartenenti a lamniformi dei generi
Carcharodon, Isurus e Odontaspis.
Per quanto riguarda i teleostei, sono
stati segnalati resti del genere Sparus, un cranio incompleto di Dentex
sp., una mandibola, frammenti di
ossa craniche e una vertebra di Scomberomorus bottii e lo scheletro incompleto di Microcen-trum melitense (cf. lista in Comaschi Caria 1973).
Il presente lavoro costituisce,
pertanto, il primo studio delle ittiofaune rinvenute nell’alta Marmilla
(Sardegna centrale), precisamente
nel territorio circostante il comune
di Las Plassas (Cagliari).
Las Plassas
Le rocce affioranti nell’area, sono
ascrivibili alla Formazione delle Marne di Gesturi (Cherchi, 1974). Tale
unità litostratigrafica é costituita da
un’alternanza di marne, marne arenitiche e siltose, talora interessate da
sottili intercalazioni di piroclastiti
acide ricche in biotite ed areniti tufitiche color beige chiaro. Il contenuto macrofaunistico è rappresentato
da bivalvi, livelli ittiolitici con fru-
PALEOITALIA
49
?Boops sp. Resti parzialmente disarticolati.
stoli carboniosi nella parte basale e
da pteropodi nella parte sommitale.
In particolare, la parte medio-inferiore di questa formazione, si caratterizza per la presenza di bancate
di areniti tufitiche grigio-nocciola,
spesso bioturbate e ricche in frammenti conchigliari, alternate alle marne arenitiche siltose beige chiaro.
La presenza di controimpronte
basali (flute casts), di grossi ciottoli,
di frammenti conchigliari e di intraclasti marnosi, permettono di prospettare, per la parte inferiore dei depositi vulcanoclastici, una genesi legata a ricorrenti processi di risedimentazione (correnti di torbida).
L’età della Formazione delle Marne
di Gesturi è riferita al Burdigaliano
medio-superiore - Langhiano (Cherchi, 1974, 1985).
Nell’area rilevata, affiora una
successione di arenarie tufacee e
marne, sormontate a tetto da calciruditi bioclatiche, calcari compatti e calcari leggermente marnosi. Il livello
fossilifero a pesci, si trova nei corpi
arenaceo/tufacei, e sono in alternanza con marne siltitiche bruno–verdastre molto alterate. La giacitura di
tutti gli strati affioranti è suborizzontale, e non sono stati osservati eventuali contatti tettonici. La presenza di
banchi arenacei entro le marne emipelagiche ne evidenzia il carattere di
sequenze torbiditiche. La composizione di questi ultimi depositi è caratterizzata dalla componente vulcanoclastica, alla quale associano frequenti resti vegetali carboniosi, che
contrad-distinguono i livelli ittiolitici
Analisi tafonomica e ricostruzioni paleoambientali
Nell’analisi dei processi di fossilizzazione, è emerso che circa 70%
50
PALEOITALIA
dei resti vegetali che formano il livello ittiolitico mostrano segni di carbonificazione, mentre il restante
30% mostra evidenti strutture indicanti una combustione che, ha preceduto il loro arrivo nel bacino sedimentario. L’ittiofauna appare generalmente conservata in maniera eccezionale; i resti sono pressoché
completi e si osservano anche i dettagli più minuti delle diverse parti del
corpo. Un altro aspetto che deve
essere evidenziato concerne la possibilità o meno di un’eventuale risedimentazione dei depositi, che hanno successivamente dato origine ai
corpi arenacei vulcanoclastici analizzati. I resti organici vegetali, inglobati in un primo momento in un
sedimento inconsolidato (in ambiente continentale), potrebbero essere
stati rimobilizzati e andare a costituire la frazione leggera, che decanta
dopo la caduta della maggior parte
del materiale vulcanoclastico all’interno del bacino.
Appare improbabile che i pesci
abbiano subito un rimaneggiamento. I campioni rinvenuti, mostrano
che la quasi totalità dei pesci non
presentano grosse disarticolazioni,
quindi difficilmente si può ipotizzare un trasporto successivo al primo
seppellimento. Infatti, i processi di
necrolisi avrebbero reso assai fragili
e disarticolabili i resti dei pesci.
L’unica possibilità é che il tempo intercorso tra il primo evento di seppellimento, la rimobilizzazione e l’inglobamento definitivo, sia dell’ordine di poche ore o giorni.. Riteniamo
più verosimile che la morte dell’ ittiofauna si stata causata da importanti eventi di degrado ambientale,
per esempio dovuti a torbidità estrema della colonna d’acqua e/o inquinamento da prodotti vulcanoclastici
associati alle frequenti eruzioni e alla
forte instabilità tettonica, che andavano a favorire imponenti scivolamenti gravitativi (debris flows e correnti di torbida).
Per quanto riguarda la diversità
tassonomica dell’ittiofauna, questa
sembra indicare una fauna pelagica,
costituita da mictofidi, gadiformi,
sparidi (teleostei) e sciliorinidi (squaliformi). Per quanto riguarda quest’ultimi, è stato ritrovato parte del
tratto caudale con le vertebre tutte
Lampanyctus sp. Nella foto si
possono osservare i resti
vegetali carbonificati (più
chiari) e carbonizzati (più
scuri).
PALEOITALIA
51
Resti incompleti
di un gadoide.
in connessione anatomica e la membrana con le squame perfettamente
conservate. Ciò ha permesso un’analisi comparativa con le squame del
genere vivente Scyliorhinus mostrando una straordinaria rassomiglianza. Gli sparidi sono rappresentati dal genere ?Boops sp.; i gadiformi da un gadoide e i mictofidi da
due esemplari attribuibili al genere
?Lampanyctus sp.
Ringraziamenti
Un ringraziamento doveroso va al Dott.
Giorgio Carnevale del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa, per quanto riguarda lo
studio sistematico del’ ittiofauna rinvenuta.
Bibliografia
Bassani F.(1900). Avanzi di Clupea (Meletta) crenata nelle Marne di Ales. Ren-
diconti Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, fascicolo
5 –7 Maggio – Luglio 1900: 4 pp.
Cherchi A. (1974). Appunti biostratigrafici
sul Miocene della Sardegna (Italia). V
Congres du Neogène Mediterranee, Lyon
1971: 20 pp.
Cherchi A., Corradini D., D’Onofrio S., Iaccarino S., Martini E., Murru M., Russo
A. (1985). Sardara-Villanovaforru Section. In Cherchi A. (Ed.) (1985). Micropaleontological researches in Sardinia.
19th European Micro-paleontological Colloquium, Sardegna 1-10 ottobre 1985: 234248.
Comaschi Caria I. (1973). I pesci del Miocene della Sardegna.Istituto di Geologia
e Paleontologia, Università di Cagliari,
39 pp. S.T.E.F., Cagliari
Lamarmora A. (1857) . Voyage en Sardaigne. Troisiéme partie Description géologique. 706 pp., Turin.
52
PALEOITALIA
RESOCONTI DI CONVEGNI
Roma, 20-21 febbraio 2000
LA RICERCA SUGLI OSTRACODI IN ITALIA
SECONDO MEETING DEL GRUPPO OSTRACODOLOGI ITALIANI
ILARIA MAZZINI & FRANCESCO GROSSI
Gli ostracodi sono piccoli
crostacei che vivono in tutti gli
ambienti acquatici, dalle fosse
oceaniche ai laghi alpini, incluso
l’ambiente interstiziale, le sorgenti
termali ed anche alcuni ambienti
terrestri molto umidi. Essendo
metazoi, sono molto selettivi rispetto
all’ambiente ospitante ed alle
caratteristiche chimiche dell’acqua in
cui vivono. Inoltre, il loro corpo è
racchiuso in due valve calcaree che
si fossilizzano e che rappresentano
un’utile sorgente d’informazioni per
i paleontologi sia per il loro range
stratigrafico (gli ostracodi più antichi
risalgono al Cambriano) sia per la
loro valenza come indicatori
paleoambientali e paleoecologici.
Per queste ragioni, il Gruppo
Il divertente logo del Meeting romano.
Ostracodologi Italiani (GOI) è
composto sia da biologi che da
paleontologi. Il secondo Meeting del
GOI si è tenuto il 20 e il 21 Febbraio
a Roma, presso il dipartimento di
Scienze Geologiche dell’Università
di Roma Tre. I partecipanti
all’incontro provenivano dalle
università di Trieste, Torino, Parma,
Pisa, Roma, Napoli e Cosenza. Il
20 Febbraio sono state presentate 16
comunicazioni orali mentre il 21
Febbraio sono stati presentati 5
poster prima di avviare la discussione
scientifica e la riunione del GOI.
Infatti, l’incontro aveva lo scopo di
riunire tutti i ricercatori italiani
interessati all’argomento per
aggiornarsi sui rispettivi progetti di
ricerca, per scambiarsi dati ma anche
dare il via a progetti di ricerca
comuni.
Il gruppo di lavoro di Parma,
composto da biologi italiani e
stranieri (Giampaolo Rossetti,
Valentina Pieri, Joao Martins), ha
presentato un aggiornamento sul
progetto europeo denominato
“SexAsex” che indaga sui
meccanismi di riproduzione sessuata
e asessuata in alcune specie di
ostracodi. Lo stesso gruppo ha anche
presentato una check-list aggiornata
degli ostracodi non marini recenti in
PALEOITALIA
53
Un momento della discussione conclusiva.
Italia. Nonostante siano state
campionate solo 11 regioni su 20,
l’Italia è risultata essere la nazione
con l’ostracofauna maggiormente
diversificata in Europa. Il gruppo di
lavoro di Trieste (Nevio Pugliese e
Maria Eugenia Montenegro) ha
presentato una ricostruzione
paleoambientale di un sito
archeologico del Friuli Venezia Giulia
ed una ricostruzione paleoclimatica
effettuata attraverso l’analisi
geochimica di ostracodi prelevati da
due carote estratte dal Lago Titicaca
in Perù. Il gruppo di lavoro di Pisa
(Alessandro Bossio e Simone Da
Prato) ha presentato uno studio sugli
ostracodi del Messiniano superiore
provenienti dalla sezione spagnola di
Cuevas del Almanzora, un
aggiornamento sulla presenza di
ostracodi nelle successioni tardo
neogenico-quaternarie del sottosuolo
di Livorno ed infine un monitoraggio
ambientale condotto nel Lago di
Massaciuccoli. Il gruppo di lavoro
di Napoli (Giuliano Ciampo,
Giuseppe Aiello) ha presentato una
nuova metodologia per la
ricostruzione delle paleobatimetrie
tra il Pleistocene superiore e
l’Olocene ed ha segnalato la
presenza di un livello fossilifero con
ostracodi e foraminiferi nelle
vulcaniti del Pleistocene superiore
dell’isola di Procida. Il gruppo di
lavoro di Roma, giocando in casa,
era il più numeroso (Elsa Gliozzi,
54
PALEOITALIA
Costanza Faranda, Maria Chiara
Medici, Silvia Ligios, Francesco
Grossi e Ilaria Mazzini). Le
comunicazioni hanno riguardato il
trasporto passivo degli ostracodi
come mezzo per comprenderne i
pattern
di
distribuzione,
l’ostracofauna della successione pliopleistocenica di Monte Mario
(Roma) e quella rinvenuta nel
Pliocene Inferiore della Val di Pesa.
Inoltre, è stata presentata la
ricostruzione paleoambientale
dell’intervallo lago-mare del tardo
Messiniano nel Mediterraneo
centrale e orientale e il rinvenimento
di una nuova specie di Darwinulidae
nel Neogene dell’Italia, di Creta e
della Serbia. Infine, Carmen
Romano dell’Università della
Calabria ha presentato i dati
preliminari che riguardano
l’ostracofauna rinvenuta nel
Miocene Superiore della Calabria
meridionale in depositi relativi a
complessi di scogliera. La giornata
si è conclusa in una osteria romana
affacciata sul Colosseo ed è proprio
il caso di dirlo, “a tarallucci e vino”.
Una piacevole serata, in cui solo il
maltempo è riuscito a fermare i
Sagmatocythere variesculpta (ostracode
marino).
nostri ostracodologi, negando loro
una passeggiata in una delle location
più belle del mondo!
Il 21 Febbraio la sessione poster
è stata animata da Simone Da Prato
che ha presentato gli ostracodi
dell’area marina compresa tra il
porto di Livorno e le secche della
Meloria e da Stefania Trenkwalder
(CNR IGG Torino) che ha introdotto
i primi dati sull’ostracofauna
pliocenica di Moncucco Torinese. La
riunione che è seguita è stata
moderata da Nevio Pugliese e da
Giampaolo Rossetti. In particolare,
è stata messa in evidenza la difficoltà
di far conoscere ai non addetti ai
lavori le potenzialità dello studio degli
ostracodi. Quest’ultimi, infatti, sono
un potente strumento di indagine
paleoecologica e paleoambientale
che potrebbe anche integrare, ad
esempio, le ricerche archeologiche.
A questo proposito, anche partendo
da ricerche piuttosto differenziate
per temi e finalità, ci si è riproposti
di collaborare in maniera fattiva sia
per quanto riguarda gli aspetti
divulgativo-didattici, sia per fornire
strumenti utili ad altre discipline di
ricerca. Il dibattito è proseguito con
la proposta di organizzare il
convegno internazionale degli
ostracodologi nel 2013, in Italia. Ci
siamo un po’ spaventati quando,
facendo dei semplici conti, ci siamo
resi conto che in quella data, se non
cambiano le cose, tra precari e
pensionabili ci saranno solo 4
strutturati in tutta Italia che si
occupano di ostracodi. La decisione
è stata quindi rimandata… alla
prossima riunione del GOI, nel
Febbraio 2009, a Parma!
PALEOITALIA
CONVEGNO
55
ED ESCURSIONE IN OCCASIONE DEL BICENTENARIO DARWINIANO
L’INGREDIENTE DIMENTICATO
STEFANO DOMINICI & ELISABETTA CIOPPI
I manuali scolastici ed universitari di biologia, nell’esporre i principi fondanti della teoria della selezione naturale introdotta da Charles
Darwin nel 1859, fanno uso di concetti quali variabilità, sopravvivenza
del più adatto, successo riproduttivo, ereditarietà, frequenza all’interno di popolazioni. Spesso lasciano
in secondo piano un ingrediente senza il quale non si ha ‘origine delle
specie per selezione naturale’. Tale
fattore dell’evoluzione fu conosciuto in modo graduale durante la seconda metà del 18° secolo e negli
anni della formazione naturalistica di
Darwin. Alla scoperta si giunse per
opera di più generazioni di filosofi
naturali, attraverso un processo conoscitivo anche sofferto che cambiò radicalmente il modo con cui gli
scienziati si rapportavano alla storia
della Terra e con questo al modo di
interpretare le verità rivelate dai libri della Bibbia. La scoperta per una
volta non fu fatta grazie a nuove tecnologie come il cannocchiale o il
microscopio, essendo disponibili da
tempi remoti gli strumenti necessari. Questi strumenti sono le rocce e i
fossili e il fattore dell’evoluzione
necessario a Darwin per rendere
operativa la selezione naturale, il
tempo. Il senso di smarrimento con
cui ognuno si affaccia su quello che
è stato definito “oscuro abisso” del
tempo geologico, ci spinge a guardare con maggiore riverenza al naturalista più importante della storia,
di cui giustamente festeggiamo nel
2009 il bicentenario della nascita. Chi
lavorò prima di Darwin a realizzare
la rivoluzionaria scoperta della storia della Terra? Da quale esperienza
proveniva? Quali argomenti utilizzò
per convincere il suo pubblico?
Per i filosofi naturali del 17° secolo il tempo a disposizione per pensare la Geostoria era di pochissime
migliaia di anni, una misura accessibile quando l’uomo era la misura di
tutte le cose. Poi il tempo così concepito divenne insufficiente a spiegare lo spessore e la complessità
degli strati e la progressiva estraneità delle forme organiche fossili rispetto alle viventi.
Tra i protagonisti della rivoluzione: il pensiero geometrico di Stenone applicato al territorio toscano e
le geoteorie visionarie di Athanasius
Kircher e Thomas Burnet; le collezioni di John Woodward e i dilemmi
sulle origini di Newton e Leibniz; il
tempo ciclico ed infinito di Hutton e
quello ordinato e finito di Buffon; le
montagne venete di Giovanni Arduino e le colline toscane riscoperte da
Brocchi e Brongniart; le carte di
Smith e gli spaccati geologici di Web-
56
PALEOITALIA
ster; l’agenda di Saussure e quella
di Cuvier; il ruolo del diluvio per
Buckland e quello del ghiaccio per
Agassiz. In altre parole, la nascita
della geologia, che attraverso un intreccio sorprendente di pensatori,
osservazioni, scritti e contingenze
aprì la strada a Darwin, permettendo a quelli della sua generazione,
Lyell in testa, di concepire un’età
della terra misurabile in milioni di
anni. Fondamenta senza le quali non
avremmo potuto concepire una teoria dell’evoluzione per selezione naturale.
Partendo da Stenone e l’Accademia del Cimento nella Firenze del
Granduca Ferdinando II de’ Medici, il percorso proposto conduce al
viaggio del Beagle e alle pubblicazioni del giovane geologo. Filo conduttore la geologia: rocce e fossili
IL TEMPO PROFONDO
da Stenone a Darwin
Firenze, 6 febbraio 2009
Aula Magna dell’Università degli
Studi
Programma del convegno
Ore 9.00 – 13.00
Introduzione e saluti
Paolo Rossi (Professore emerito,
Università di Firenze) - L’oscuro
abisso del tempo
Alan Cutler (Smithsonian Institution,
Washington DC, USA) - The seashell
on the mountaintop: how Nicolaus
Steno solved an ancient mystery and
created a science of the Earth
Stefano Dominici (Museo di Storia Naturale, Università di Firenze) - Dalla
Toscana di Stenone all’Europa di Cuvier e ritorno
ore 14.30 – 18.00
Niles Eldredge (American Museum of Natural History, New York, USA) Darwin: the vertical component in the tree of life
Emiliano Mutti (Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Parma) Il tempo negli eventi deposizionali
Discussione
Al convegno seguirà escursione geo-paleontologica in Aprile
PALEOITALIA
come unica e preziosa chiave per ricostruire la storia profonda. Dove
la storia della scienza non appassiona meno della realtà geostorica che
si viene dischiudendo nel frattempo, entrambe piene di eventi che non
cessano di appassionare e di coinvolgere la nostra stessa generazione.
“From being accostumed to look at
the world under a geological point
57
of view [...] I view [...] the whole
existing Fauna & Flora as a mere
fragment”
Charles Darwin a Hewett Cottrell
Watson, 26 Agosto 1855
“I think geologists are more
converted than simple naturalists
because more accustomed to
reasoning”
Charles Darwin a Alfred Russel
Wallace, 18 Maggio 1860
58
DA PARTE DELLA
PALEOITALIA
RIVISTA ITALIANA
DI
PALEONTOLOGIA
E
STRATIGRAFIA
Ai consoci della SPI e alle loro istituzioni
Lo spazio, come si dice, è tiranno. E questo vale anche per la Rivista
Italiana di Paleontologia e Stratigrafia (RIPS). Dovendo ridurre le giacenze
dei numeri arretrati, proponiamo ai Soci e alle Biblioteche universitarie e
dei Musei di ricevere numeri arretrati della RIPS, con il solo costo delle
spese di spedizione.
Che cos’è la Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia?
E‘ la più antica rivista italiana del settore, essendo stata fondata a Perugia
nel lontano 1895. Infatti sta ora uscendo il volume 114/3. La sua storia è
complessa e anche curiosa- Fondata come un giornale in cui venivano
recensiti articoli di paleontologia, ben presto iniziò ad accogliere anche
articoli originali. Intorno al 1920 la proprietà della testata venne acquistata
dal prof. Vinassa de Regny, eminente paleontologo, e la sua sede divenne
Pavia. Nel 1942, Ardito Desio (quello del K2 per intenderci) ne acquistò a
titolo personale la proprietà, che alla sua andata in pensione venne donata
all’Università degli Studi di Milano, attuale proprietaria.
Da oltre10 anni la RIPS è entrata a far parte delle riviste di rango
internazionale, indicizzata dall’ISI di Philadephia, USA, con Fattore d’Impatto
e inclusione nel Current Contents. Questo rango prestigioso (in Italia è l’unica
del settore) comporta che tutti gli articoli siano in inglese e che esca con
molta puntualità, come di fatto avviene.
Se si vuole avere un’idea di quanto sia stato pubblicato negli ultimi anni,
si può andare sul sito della RIPS http://users.unimi.it/rips dove vi sono i
riassunti degli articoli pubblicati. Stiamo provvedendo a rendere disponibile
la RIPS anche on line, per gli abbonati.
La proposta.
Chi fosse interessato a singoli o più fascicoli arretrati, delle annate
tra il 1970 ed il 2005 può riceverli al costo delle sole spese di spedizione.
Solo per alcuni fascicoli entro questo intervallo di tempo non abbiamo la
disponibilità di arretrati, ma sono davvero pochi.
Come fare a sapere quali fascicoli possono interessare? Per gli anni dal
1997 in poi, sul sito web si trovano titolo e riassunti degli articoli pubblicati.
PALEOITALIA
59
Dal 1981 al 1996, sul sito web vi sono gli indici dei fascicoli e per prima del
1980 gli indici sono riportati su di un fascicoletto che possiamo inviare a
richiesta.
Penso che soprattutto le biblioteche possano essere interessate a
verificare eventuali buchi nelle annate già in loro possesso o ad estendere la
loro collezione, qualora mancassero annate entro questo intervallo di tempo.
Come pagare le spese di spedizione?
L’amministrazione della RIPS è fatta dall’Università, che ne è proprietaria.
Quindi le istituzioni pubbliche dovranno richiedere una fattura. Ma se fosse
possibile, la soluzione più semplice è quella di ricevere direttamente
l’equivalente in francobolli, così evitiamo le lungaggini della gestione centrale
Universitaria. Se invece volete venire direttamente a Milano, Via Mangiagalli
34, a ritirare quanto vi interessa, fatecelo sapere prima e lo avrete senza
spese.
E l’abbonamento?
La RIPS vive grazie agli abbonamenti. L’Università di Milano paga lo
stipendio della Redattrice e ci ospita nei locali del Dipartimento di Scienze
della Terra. Per cui siamo sempre interessati a nuovi abbonati. L’abbonamento
annuale INDIVIDUALE costa 60 Euro, per circa 500 pagine stampate ogni
anno, in tre fascicoli, mentre quello per le Istituzioni e’ di 200 Euro all’anno.
Chi fosse interessato all’abbonamento, ce lo faccia sapere e l’Università
manderà la fattura con le indicazioni per il pagamento.
Spero che questa iniziativa possa interessare tutta la comunità
paleontologica italiana
Con i più cordiali saluti,
Maurizio Gaetani
Direttore della RIPS
Indirizzi utili:
[email protected] tel. 02 5031 5520
[email protected] Redattrice, tel. 02 5031 5511
Per entrambi fax 02 5031 5494
PALEOITALIA
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Agenda
Convegni e Congressi
Il tempo profondo
Subcommision on Silurian Stratigraphy
da Stenone a Darwin
Time and Life in the Silurian:
a multidisciplinary approach
9 febbraio 2009
Firenze
Vedere l’articolo a pag. 55
4-11 giugno 2009
Sardegna
http://www.unica.it/silurian2009
e-mail: [email protected]
Vedere la finestra a pag. 62
Società Paleontologica Italiana
Giornate di Paleontologia 2009
International Fossil Algae Association
6th regional symposium
28-31 maggio 2009
Apricena (FG)
http://www.paleoday2009.unito.it
1-5 luglio 2009
Milano
Per informazioni: [email protected]
Vedere la finestra a pag. 62
Società Italiana di Astrobiologia
Subcommission on Neogene Stratigraphy
The living universe
Earth System Evolution and
the Meditherranean area from
23Ma to present
28-30 maggio 2009
Bologna
Per informazioni: [email protected]
2-6 settembre 2009
Napoli
http://www.geomare.na.cnr.it/
RCMNS.html
PALEOITALIA
Federazione Italiana di Scienze della Terra
Geoitalia 2009
VII Forum italiano di
Scienze della Terra
9-11 settembre 2009
Rimini
61
Università di Bologna
Museo Giovanni Capellini
Diplodocus carnigei
a Bologna 1909-2009
28-29 settembre 2009
Bologna
http://www.museocapellini.org
Per informazioni: www.geoitalia.it
Università di Cagliari
Università di Modena e Reggio Emilia
International Subcommission on Silurian Stratigraphy
“Time and Life in the Silurian: a multidisciplinary approach”
Le sessioni scientifiche si terranno a Villasimius (Cagliari) dal 5 al 7 giugno 2009 e riguarderanno ogni aspetto della paleontologia e della stratigrafia
del Siluriano. Esse saranno seguite da una escursione di quattro giorni nella Sardegna meridionale in cui saranno visitate le principali località di interesse scientifico per il Siluriano dell’isola.
Iscrizioni entro il 15 febbraio 2009
Per informazioni: http://www.unica.it/silurian2009
e-mail: [email protected]
PALEOITALIA
62
Le alghe calcaree sono estremamente diffuse sulla maggior parte delle piattaforme continentali attuali e nel registro fossile.
La loro abbondanza le rende un
importante elemento nel bilancio
globale del carbonio e, nello scenario di cambiamento globale
(aumento della CO 2, aumento
della temperatura, previsto aumento del livello del mare, acidificazione
degli oceani), si rende necessaria una più precisa quantificazione del loro
ruolo. Una sessione speciale del simposio è quindi dedicata a questo tema.
Non mancherà lo spazio per tutte le altre ricerche sulle alghe fossili e
microbialiti: biomineralizzazione e sedimentazione indotta da attività
microbica; stromatoliti; sistematica e tassonomia; evoluzione; biogeografia
e paleoclimatologia; ecologia e paleoecologia; biostratigrafia; tafonomia
e diagenesi; alghe nei depositi naturali di idrocarburi e in altre risorse minerali. Il convegno, tenuto in lingua inglese, prevede alcune relazioni
introduttive ad invito. Oltre al volume dei riassunti, è prevista la pubblicazione dei lavori in un numero speciale di una rivista internazionale.
Per ulteriori informazioni e per le pre-iscrizioni contattare:
[email protected]
Pagina web: http://www.geo.unimib.it/ifaa/
GLI INDIRIZZI ELETTRONICI DELLA S.P.I.
Bollettino della Società Paleontologica Italiana
Editor
Segretario di redazione
PaleoItalia
Biblioteca
Tesoreria
Segretario
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... E QUELLI DEI CURATORI DELLE RUBRICHE DI PALEOITALIA
Notizie Italiane [email protected]
PaleoNews
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PaleoLibri
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PaleoLex
Paleoweb
Agenda
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PALEOITALIA
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LA SOCIETÀ PALEONTOLOGICA ITALIANA
La Società Paleontologica Italiana è stata fondata nel 1948 con lo scopo di promuovere la ricerca scientifica paleontologica. L’associazione è aperta sia alle istituzioni, sia ai
singoli interessati alla paleontologia, sia a livello professionale che amatoriale. Per l’anno
2009, le quote associative sono le seguenti:
Socio Ordinario (paesi europei)
35 €
Socio Ordinario (extra U.E.)
45 €
Socio junior (under 30)
21 €
Istituzioni
100 €
Fin dal 1960 la S.P.I. pubblica il Bollettino della Società Paleontologica Italiana,
che è una rivista scientifica a valore internazionale, rivolta prevalentemente al mondo
accademico e, conseguentemente, scritta quasi interamente in lingua inglese.
Dal 2000 il Bollettino viene affiancato da un supplemento semestrale in italiano,
PaleoItalia, diretto a tutti gli appassionati e cultori della paleontologia.
PALEOITALIA
Supplemento al Bollettino della Società Paleontologica Italiana, v.48, n.1, 2009
Direttore Responsabile: Enrico Serpagli
Segretario di Redazione: Carlo Corradini
Indirizzo della Redazione: Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico,
Università di Modena e Reggio Emilia, via Università 4, 41100 Modena. Tel. 059-2056523.
Stampa: Tipografia Moderna, via dei Lapidari 1/2, Bologna.
Autorizzazione Tribunale di Modena n. 616 del 16-09-1978
HANNO COLLABORATO
A QUESTO NUMERO
Antonella Cinzia Marra, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Messina,
Salita Sperone 31, 98166 Messina-Sant’Agata; [email protected]
Elisabetta Cioppi, Museo di Storia Naturale - Sez. Geol. e Paleont., via G. La Pira 4,
50121 Firenze; [email protected]
Stefano Dominici, Museo di Storia Naturale - Sez. Geol. e Paleont., via G. La Pira 4,
50121 Firenze; [email protected].
Roberto Fondi, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena, via Lsterina 8,
53100 Siena
Luca Foresi, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena, via Lsterina 8,
53100 Siena; foresi.unisi.it
Roberto Mazzei, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Siena, via Lsterina
8, 53100 Siena
Luca Oddone, Dipartimento Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Torino.
Lorenzo Rook, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze, via La Pira 4,
50121 Firenze; [email protected]
Luigi Sanciu, via Carpaccio 13, 09121 Cagliari; [email protected]
64
PALEOITALIA
INDICE
Numero 19, Carlo Corradini
“I fossili come memoria della Terra e della vita - prospettive
e problemi” (Roma, 6-7 giugno 2008), Ruggero Matteucci
La legislazione di tutela delle “cose” di natura paleontologica.
Vito Cicale
Il nuovo standard per la catalogazione dei beni paleontologici:
la scheda BCI, Francesca Duca
I fossili come beni culturali. Tutela e comune sentire: una possibile,
più facile convivenza, Umberto Nicosia
Fossili, che passione!, Jordi Orso
Giornate di Paleontologia 2008, Roberto Mazzei, Roberto Fondi,
Luca Foresi, Lorenzo Rook
Fossili, che mito!, Antonella Cinzia Marra
Scoperta nuova vertebra della balenottera delle sabbioe Plioceniche
di Valmontasca (Vigliano d’Asti), Luca Oddone
Studio preliminare sull’ittiofauna miocenica della Marmilla
(Sardegna centrale), Luigi Sanciu
La ricerca sugli ostracodi in Italia, Ilaria Mazzini, Francesca Grossi
L’ingrediente dimenticato, Stefano Dominici, Elisabetta Cioppi
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NOTE PER GLI AUTORI
Gli articoli non devono superare le tre pagine dattiloscritte.
Gli autori possono fornire, se lo ritengono utile, alcune note bibliografiche,
uniformandosi allo stile del Bollettino della Società Paleontologica Italiana.
È gradito un corredo iconografico (fotografie, disegni, grafici, …); tutte
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autori non saranno forniti estratti degli articoli; dopo la pubblicazione possono richiedere un file PDF del loro lavori.