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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
2007/2
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E
POLITICHE PER LA FAMIGLIA
AFFIDAMENTO E
MANTENIMENTO DEI
FIGLI NATURALI. PROFILI
PROCESSUALI
ADOZIONE
INTERNAZIONALE
WWW.AIAF-AVVOCATI.IT
Anno XII-no 2, maggio-settembre 2007
Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95.
Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. dell’Artigianato, Viterbo
SOMMARIO
Editoriale_
4 L’AIAF: esperienza passata e proposte per il futuro
Marina Marino
Nuove realtà familiari e politiche per la famiglia_
8 L’assetto giuridico delle nuove realtà familiari alla luce della legge sull’affido condiviso
Maria Grazia Scacchetti
25 Nel nome del padre e della madre: la vexata questio del cognome dei figli
Giovanna Fava
30 Realtà dei bisogni delle persone e della famiglia e le politiche per la famiglia del Governo
Prodi
Milena Pini
37 Documenti della Conferenza Nazionale della Famiglia, Firenze, 24-26 maggio 2007:
* Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
* Intervento del Ministro delle Politiche per la Famiglia On. Rosy Bindi
* Dichiarazione e comunicato stampa del Ministro On. Bindi sulla ripartizione del fondo nazionale per le politiche
della famiglia (27 giugno 2007)
* Dettaglio delle sessioni e dei gruppi di lavoro della Conferenza Nazionale della Famiglia
* Le relazioni dei rapporteur delle sessioni tematiche della Conferenza Nazionale della Famiglia
Affidamento e mantenimento dei figli naturali. Profili processuali_
67 La competenza sull’affidamento e il mantenimento dei figli naturali dopo l’ordinanza della
Cassazione n. 8362 del 3.4.2007
Maria Grazia Domanico
74 I giudizi relativi ai figli dei genitori non coniugati dinanzi al tribunale per i minorenni, alla
luce dell’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 3.4.2007
Anno XII - n° 2
Maggio - Settembre 2007
nuova serie quadrimestrale
Adozione internazionale_
80 Il protocollo sottoscritto tra l’Italia e la Bielorussia in materia di adozione di minori
Direttore responsabile
Mariarosaria Gerbino
Enrico Bet
84 Documenti
Il nuovo Regolamento recante “Composizione e compiti della Commissione per le adozioni internazionali di cui
all’articolo 38, comma 1 della Legge 4 maggio 1983, n. 184”.
Ministro delle politiche per la famiglia. Relazione illustrativa del DPR CAI 6 marzo 2007.
AIAF - Congresso Nazionale 2007_
89 L’attività di formazione specialistica e di aggiornamento professionale dell’AIAF
Milena Pini
98 Lo statuto dell’AIAF approvato dal Congresso Nazionale
Roma 26 maggio 2007
Milena Pini
Redazione
Galleria Buenos Aires 1,
20124 Milano
tel. e fax 02.29535945
email: [email protected]
web: www.aiaf-avvocati.it
Stampa
Tipografia Quatrini A. & figli snc
v. dell’Artigianato snc, Viterbo
AIAF AIAF
RIVISTA
RIVISTA 2007/2
EDITORIALE
EDITORIALE
EDITORIALE
N
el 1993, si è costituita la nostra associazione con lo scopo di dare vita ad una
vivace attività di tipo culturale connotata da convegni e seminari di approfondimento, e di agevolare gli associati che operavano nel
campo del diritto di famiglia e minorile se non
in via esclusiva almeno prevalente, creando tra
di loro un legame basato sullo scambio delle
idee ed informazioni, sul confronto di esperienze e prassi giudiziarie al fine di affinare, ove
non acquisire, una conoscenza specialistica ed
approfondita della materia di cui si occupavano
L’AIAF: ESPERIENZA
PASSATA
E PROPOSTE
PER IL FUTURO
MARINA MARINO*_
nella loro vita professionale.
Contemporaneamente l’attenzione dell’associazione si appuntava sull’esame delle proposte di legge e sul relativo iter parlamentare. In
numerose occasioni infatti l’AIAF è stata sentita sia dalle commissioni giustizia ed infanzia della Camera dei deputati che del Senato,
sia dagli uffici di presidenza delle stesse. In
questo ambito, frequente e positivo è stato il
confronto di idee tra i diversi operatori del
settore quali magistrati, psicologi, mediatori
familiari e neuropsichiatri.
Il congresso del 1998 ha fatto fare un ulteriore
passo in avanti all’associazione, laddove si è
dato impulso e sviluppo all’impegno in tema di
formazione continua e specializzazione dell’avvocato, ed in tal senso si è sviluppato l’originario progetto di fornire ai colleghi uno strumento
culturale: in quella occasione infatti l’associazione si è data strumenti ed obiettivi che miravano
alla istituzionalizzazione dei compiti di formazione continua e di specializzazione.
Dal 1998 al congresso del 2001 l’attività
dell’AIAF si è caratterizzata non solo per l’im-
2
pegno nell’organizzazione di corsi, seminari
ma anche per l’affinamento delle tecniche dei
docenti. Solo così l’associazione è riuscita ad
affrontare l’impegno di corsi di lunga durata
e di attività che prevedevano confronti stabili
con i magistrati e con gli altri operatori del
settore.
In tutto questo periodo l’AIAF ha continuato a
diffondere, sulla scorta della propria esperienza
professionale, arricchita dal confronto con gli
altri operatori, le proprie idee, rappresentando sia al legislatore che alla magistratura, quali
fossero le soluzioni più idonee, ha individuato
le linee guida di una serie di interventi legislativi che riteneva utili e necessari ed ha auspicato
l’intervento del legislatore sollecitandolo in tal
senso a modificare la separazione ed il divorzio anche sotto il profilo dell’unificazione del
rito delle stesse, che malauguratamente le leggi 80/05 e 54/06 hanno raccolto solo in minima
parte.
Da molti anni e tutt’oggi, l’AIAF denuncia con
forza la gravissima compressione delle garanzie del diritto di difesa dei cittadini nei procedimenti in materia minorile caratterizzati dal rito
camerale ed in particolar modo dalla interpretazione ed applicazione che dello stesso viene
fatta dinanzi ai Tribunali per i Minorenni.
Dal maggio 2002 vi è stata altresì la rifondazione totale e la riorganizzazione della nostra
Rivista che da essere un bollettino informativo
che usciva con una periodicità molto approssimativa e con scarsi contenuti è divenuta dal
maggio 2002 una rivista con cadenze di pubblicazione rispettate, di qualità assai elevata, ottimo strumento di aggiornamento professionale
grazie alle sue rubriche (legislazione italiana,
straniera, giurisprudenza) alla quale collaborano autori di primaria importanza, ed a questa si aggiungono annualmente due quaderni,
contenenti approfondimenti di diversi aspetti
del diritto di famiglia ed un compact che oltre a
raccogliere tutte le annate della rivista dal 1999
in avanti è un utile strumento di lavoro per chi
si occupa di questa materia. In questi anni l’impegno editoriale dell’associazione si è arricchito dal gennaio 2005 anche dell’apporto di una
Newsletter con cadenza quindicinale che viene
inviata, su richiesta nel pieno rispetto della normativa sulla privacy, oltre che a tutti i soci anche
ad un vastissimo numero di persone, associazioni ed istituzioni.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
Nel Congresso del 2004 abbiamo fatto la scelta
dell’autonomia regionale perché ritenevamo che
avrebbe potuto consentire non solo lo sviluppo
dell’associazione, ma anche la massima incisività della stessa. I fatti ci hanno dato ragione se,
grazie al lavoro delle regioni, nel 2004 eravamo
885, nel 2005 siamo diventati 996 e nel 2006 1232
con un trend in crescita indiscutibile.
L’associazione è divenuta non solo una presenza
effettiva sul territorio nazionale, ma anche una
fattiva presenza sia nel rapporto con le istituzioni che nel rapporto con le associazioni forensi.
Con questa intensa e capillare attività l’associazione ha sviluppato rapporti di collaborazione con magistrati, docenti universitari ed
esperti in discipline psico-sociali, nonché con
le altre associazioni forensi e con gli ordini
forensi locali.
In relazione al rapporto con le Istituzioni va sottolineata l’attività di collaborazione avviata con
il CSM nel 2003 proseguita poi nel 2005 con il
lavoro che ha dato luogo alla pubblicazione di
un volume di grande interesse per tutti quegli
avvocati che si occupano di diritto della famiglia e dei minori nel quale si fa il punto delle
prassi in questa materia. Da questa collaborazione sono scaturite una serie di iniziative comuni organizzate dagli uffici per la formazione
decentrata del CSM e dalle AIAF locali che si
sono succedute con grande successo in Lombardia, nel Lazio, in Puglia.
Il confronto con le diverse associazioni della
magistratura è, dobbiamo dirlo, meno riuscito, ma come è noto l’AIAF è una associazione
determinata a cercare occasioni di confronto, e
speriamo in futuro di raccogliere maggiori successi, salvo che la risposta continui ad essere negativa, nel qual caso non rimarrà che prendere
atto persino dell’impossibilità di confronto tra
magistratura ed avvocatura.
Il confronto tra l’associazione ed i Ministeri della Famiglia, della Giustizia, avviato con il primo con maggiore consistenza, risente spesso
di difficoltà organizzative, che non sono però
dell’associazione, come si potrebbe pensare,
ma dei Ministeri che ci auguriamo in futuro riescano a comprendere che, se si vuole ottenere
un punto di vista complessivo e generale delle
diverse problematiche, anziché basarsi solo ed
esclusivamente sui suggerimenti che vengono
loro dai magistrati, che assai numerosi sono
stati chiamati a fare parte degli uffici legislativi,
EDITORIALE
il Ministro ed i sottosegretari dovranno ascoltare anche il parere dell’avvocatura specializzata
in merito anziché considerarla, laddove essa
esprima pareri contrari a quelli dei magistrati
componenti degli uffici legislativi, un intralcio
al manovratore.
Noi siamo avvocati che si occupano di famiglia e di minori, ma siamo consapevoli fino
in fondo di essere parte importante dell’avvocatura che oggi vive un momento particolare, la sfida che ci si pone davanti è quella
di utilizzare e leggere l’esperienza passata
alla luce delle esigenze che ci vengono proposte con la necessaria riforma dell’Ordinamento
forense da un lato e con la scoperta da parte
delle istituzioni della importanza fondamentale della formazione continua e più ancora della
specializzazione.
A questo riguardo le battaglie fondamentali
sono
1. l’adozione, su proposta delle associazioni
forensi, di un regolamento della “specializzazione forense”;
2. l’integrazione dell’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense, consentendo, conformemente a quanto previsto dall’art. 2 del
c.d. “Decreto Bersani”, la spendita di “titoli
specialistici” conseguiti con le modalità previste nel sopra indicato regolamento della
“specializzazione forense”;
3. la modificazione del Codice Deontologico
Forense prevedendo quale illecito disciplinare l’utilizzo del titolo di “specialista”, “specializzato” o simili in assenza del percorso
formativo specialistico indicato nel suddetto
regolamento;
4. la modificazione del Codice Deontologico
Forense e del regolamento sulla “Formazione continua”, subordinando la facoltà di indicazione di un settore di attività prevalente
all’osservanza del regolamento sopra richiamato;
5. l’integrazione degli artt. 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” riconoscendo espressamente ed autonomamente la rilevanza, quale fonte di crediti formativi, degli
eventi e delle attività formative organizzate
dalle associazioni forensi, previo loro stabile
accreditamento secondo criteri definiti;
6. l’indicazione e specificazione dei criteri cui
il C.N.F. ed i Consigli dell’Ordine saranno
tenuti ad adeguarsi nel concedere o meno il
3
EDITORIALE
richiesto accreditamento ad altri enti, istituzioni, organismi pubblici o privati,
L’esperienza degli ultimi tempi è sicuramente
positiva per quel che attiene la collaborazione
con le altre associazioni forensi quali l’Unione
delle Camere Penali, L’Associazione Giuslavoristi Italiani, L’Associazione degli avvocati Tributaristi, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura, l’Associazione Nazionale Forense, l’ Unione
delle Camere Civili, con alcune delle quali si è
avviato - con altre la collaborazione era già in
atto - un positivo confronto ed una collaborazione intensa che ha registrato un importante
risultato: l’unità dell’associazionismo forense, e
tutti siamo consapevoli di quanto difficile sia il
raggiungimento di questo traguardo.
A mio giudizio è un patrimonio di conoscenza,
relazioni, collaborazioni, confronti che ci arricchisce tutti e che non dobbiamo disperdere
proprio perché, visto che la nostra professione
è chiamata ad affrontare cambiamenti, non vi è
dubbio che questa abitudine al confronto, alla
collaborazione volti al raggiungimento di una
unità di intenti si dimostrerà utilissima anche
nel futuro. In tal senso e per raggiungere questo obiettivo stabilmente si dovrà continuare
questa attività anche nel futuro sia perché non
sono state risolte, anzi meglio neppure affrontate le diverse questioni che vedono interessata l’avvocatura, sia perché è fondamentale non
disperdere questo patrimonio che risulterà di
particolare aiuto specialmente nelle realtà locali. Un’ opera comune e coordinata delle diverse associazioni non sta infatti a significare né
limitazioni, né tantomeno vincoli all’attività di
ogni singola associazione nel proprio specifico,
ma renderà senza dubbio maggiormente incisiva l’azione di ognuna rispetto ai temi ed alle
questioni che concernono i problemi generali
dell’Avvocatura.
Dobbiamo quindi continuare il lavoro con le
altre associazioni così potremo permetterci di
porre in cantiere un obiettivo di grande impegno per tutti: la rivalutazione del ruolo dell’avvocato perché sia per noi possibile svolgere
quel compito che la nostra carta costituzionale
ci riconosce, garantendo al cittadino che deve
difendere i propri diritti, la migliore difesa possibile, sia sotto il profilo tecnico, che sotto quello
della lealtà e probità. Chi meglio delle associazioni forensi potrà battersi per la riqualificazione dell’avvocato e per la conseguente rivalu-
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AIAF RIVISTA 2007/2
tazione del suo ruolo come dato essenziale di
una giustizia che dobbiamo pretendere rapida
e giusta.
L’AIAF quindi si sta misurando su obiettivi di
grande rilevanza:
1. È divenuta una associazione non più solo
culturale ma di rappresentanza di quanti operino se non esclusivamente almeno
prevalentemente e con continuità nel diritto di famiglia e minorile, e quindi è presente e fa sentire, assieme alle altre associazioni, la propria voce su tutte le proposte di
legge o iniziative che intervengano nei confronti della avvocatura e ciò perché da un
lato sia rispettata la funzione dell’avvocato,
e dall’altro perché sa garantita al cittadino il
diritto non solo ad essere difeso, ma che il
cittadino abbia la migliore difesa possibile e
la possibilità, qualora lo ritenga, di scegliere un avvocato specializzato nella materia
che in quel momento lo riguarda, essendo
sicuro che questa specializzazione forense
sia effettiva, e la migliore possibile;
2. Svolge
una
attività
di
formazione e aggiornamento professionale realizzando corsi di lunga durata, seminari,
giornate di approfondimento ed aggiornamento professionale rivolte oltre che ai soci
anche ai giovani ed ai colleghi interessati;
3. È presente per esprimere il proprio parere e le proprie valutazioni sulle iniziative
parlamentari e non relative a tutte le numerose iniziative legislative in essere. Per
fare questo è richiesta alla associazione una
presenza ed una attenzione continua, perché solo essendoci realmente nel dibattito
sia parlamentare che dei mezzi di comunicazione potrà sperare di riuscire ad evitare
che siano ancora varate norme che anziché
semplificare la vita dei cittadini garantendo
i diritti fondamentali, la complichino come
ad esempio è avvenuto con la questione relativa al regolamento di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni
che la Cassazione ha temporaneamente e
malamente risolto.
4. Ulteriore impegno della associazione che
deve vedere impegnati tutti gli associati è
quello di fare in modo che l’orientamento
giurisprudenziale non sia solo ed esclusivamente frutto di questo o quel magistrato che
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
a seconda dei casi è maggiormente illuminato o obnubilato, ma deve riappropriarsi di
questa ineludibile funzione dell’avvocato:
essere colui che determina la formazione di
un orientamento giurisprudenziale.
Tutti questi obiettivi richiedono - in un momento in cui “le famiglie” sembrano essere divenute
la preoccupazione primaria della politica - un
impegno di elaborazione scientifica seria ed approfondita: nella nostra associazione possiamo
fare conto su persone di livello assai elevato che
dovranno impegnarsi a fondo in questa attività,
il che sarà una occasione di crescita scientifica
EDITORIALE
di tutta l’associazione nel suo complesso. Non
è certo sufficiente essere iscritti all’associazione
per ritenersi di per sé avvocati specializzati: siamo tutti tenuti all’impegno di crescere, confrontarci ed aggiornarci.
La nostra associazione dovrà ancor più arricchirsi della capacità, dell’impegno e della partecipazione fattiva degli iscritti, ed in primo luogo
di tutti i componenti degli organismi associativi, che dovranno sempre più sentirsi parte di un
insieme e vivere l’associazione come propria.
* PRESIDENTE AIAF
5
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
EDITORIALE
C
on l’espressione famiglie ricomposte1 - oggi
invalsa nel lessico dottrinale sul tema - vengono indicate le nuove unioni, formate
da coniugi o da conviventi, di cui almeno uno
proveniente da precedenti esperienze di vita familiare comune e dalla eventuale presenza di
figli dell’uno e/o dell’altro coniuge o convivente, sorte successivamente alla morte di uno dei
coniugi o conviventi ovvero alla separazione o
al divorzio oppure in seguito alla rottura di una
convivenza more uxorio.
Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica in
L’ASSETTO
GIURIDICO DELLE
NUOVE REALTÀ
FAMILIARI ALLA
LUCE DELLA LEGGE
SULL’AFFIDO
CONDIVISO
MARIA GRAZIA SCACCHETTI*_
Relazione presentata all’incontro di studio organizzato dal C.S.M. sul tema: “L’affidamento condiviso” - Roma, 15-17 gennaio 2007
6
AIAF RIVISTA 2007/2
Italia le famiglie ricostituite nel 2002/2003 ammontavano a circa 1.500.000 e costituivano il
4,8% delle coppie contro il 4,1% della media
del 1994/1995. A questi dati è sicuramente da
aggiungere un numero oscuro considerevole
di famiglie ricostituite di fatto e quindi difficilmente censibile.
È pertanto evidente come anche nel nostro paese la famiglia ricostituita sia un fenomeno talmente diffuso, ed in via di ulteriore espansione,
che né il legislatore né gli operatori del diritto
possono continuare ad ignorarla.
Nel nostro ordinamento la famiglia ricomposta è
considerata lecita e non contraria all’ordine pubblico (alla stregua delle altre formazioni sociali
tutelate dall’art. 2 della Costituzione) ma non è
stata né espressamente riconosciuta come istituto di diritto familiare né tantomeno regolata.
Al fine di individuare correttamente il complesso di norme e di istituti giuridici applicabili a
tali unioni è opportuno fare una prima, fondamentale, distinzione tra famiglie ricomposte legittime (ovvero fondate sul matrimonio) e famiglie ricomposte di fatto (ovvero fondate su una
convivenza more uxorio stabile e duratura).
I. LA FAMIGLIA RICOMPOSTA LEGITTIMA
1. RAPPORTI TRA I NUOVI CONIUGI
I
n limine occorre individuare quali siano i rapporti che si instaurano tra i nuovi coniugi (e
tra questi e l’ex partner).
Ai sensi del nuovo articolo 155 quater c.c., chi
si risposa perde ipso iure il diritto di godimento
alla casa coniugale se ne era assegnatario2.
1
Il sintagma è mutuato dal linguaggio delle scienze psico-sociologiche come rileva DELL’UTRI in Famiglie ricomposte e
genitori di “ fatto”, in Familia 2005, 2, 281 ss., al quale rinvio per una ampia disamina dell’aspetto terminologico.
2
Nell’ art. 155 quater c.c. troviamo, malcelata, una delle reali rationes dell’affidamento condiviso imposto per legge: vale a
dire la abolizione dell’assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario. Cancellato il secondo, nell’intenzione dei
firmatari delle proposte di modifica, si sarebbe dovuto cancellare ipso iure anche la prima!
Da anni i “padri separati” protestavano per la assegnazione della casa coniugale alle madri e, ancor più, per l’assegnazione
della stessa alle mogli non affidatarie. Ora hanno individuato le chiavi tecnico-giuridiche per ridurre “signorilmente” questo
rischio economico: l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale dei figli alle madri (le quali, ovviamente, anche senza
titolo, se non quello di genitore collocatario, saranno quelle che, di fatto, continueranno a provvedere in via esclusiva o
comunque prevalente alla cura e custodia quotidiane dei figli) e, di conseguenza, l’assegnabilità della casa in presenza di
prole minorenne o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente! L’odierno art. 155 quater c.c. è il pessimo risultato
della mediazione tra i desiderata dei padri separati o separandi e le battaglie fatte dal Forum, dall’AIAF, dalle Camere Minorili,
etc… per salvaguardare il diritto dei figli alla conservazione dell’habitat domestico.
Il vecchio art. 155 c.c., introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, prevedeva, al 4° comma, che
«l’abitazione familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli». L’art. 6, 6° comma,
della legge 1.12.1970 n. 898, modificato dall’art. 11 della legge 6.3.1987 n. 74, ha sancito che «l’abitazione nella casa
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
Non si possono non rilevare la contraddittorietà interna e la illegittimità costituzionale della
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
norma in esame, per contrasto con gli artt. 3 e
29 della Costituzione3.
familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età
(…).L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.». Quest’ ultima norma
ha dunque esteso l’assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con il figlio maggiorenne ed ha ammesso la
possibilità della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare e l’opponibilità ai terzi ai sensi dell’art.
1599 c.c. Il nuovo art. 155 quater, 1° comma c.c., dispone che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo
prioritariamente conto dell’interesse dei figli».
Dal raffronto di tali disposizioni emerge con evidenza che il tenore letterale della normativa riformata potrebbe prestare il
fianco ad una interpretazione giurisprudenziale che sostenga:
1) che è sparito il “diritto” o, se vogliamo, la legittima aspettativa del coniuge affidatario, o coaffidatario ma di fatto collocatario,
alla assegnazione della casa familiare, e, di conseguenza, è venuto meno anche il diritto dei figli minori e maggiori che
continuano a convivere con il genitore a conservare l’habitat domestico;
2) che la conservazione dell’habitat domestico per la prole è stata derubricata da diritto (o legittima aspettativa) a mero
interesse, interesse che parrebbe non avere più la valenza giuridica di una situazione meritevole di tutela, ma la mera
funzione di uno dei criteri di cui il giudice deve tenere conto nell’attribuzione non più dell’ «abitazione nella casa familiare»
[locuzione ricorrente in entrambe le vecchie norme e che inevitabilmente porta il pensiero al diritto di abitazione] ma del
mero «godimento» della stessa.
A fronte del vivace dibattito esistente in dottrina [cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 2005, il quale ha affermato
che la natura del diritto acquistato in virtù dell’assegnazione è di natura reale o personale a seconda del corrispondente diritto
già vantato dall’altro coniuge anteriormente all’assegnazione] ed in giurisprudenza sulla natura reale [sostengono la realità
del diritto di abitazione: GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1975,167;
TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1978, 277; CANTELMO, La situazione del coniuge
superstite, in Rass. dir. civ., 1980, I, 52 ss.; AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in
Rass. dir. civ., 1980, I, 17; DI NARDO, L’assegnazione della casa familiare: evoluzione legislativa e attuali orientamenti
giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, 358; C.M. BIANCA, Diritto civile, op. cit., 197 s. In giurisprudenza
cfr. Trib. Catania 11.7.1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 339 ss. con nota di GIUSTI; Pret. Monza 8.6.1985, in
Foro it., 1986, I, 1317 con nota di JANNARELLI], personale [secondo alcuni autori il diritto di abitazione nella casa familiare
è assimilabile al comodato: cfr. A. FINOCCHIARO, in A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Divorzio,
Milano, 1988, 495. In giurisprudenza, v., Cass. 2.4.1992, n. 4016, in Mass. Giur. It., 1992. Per altri, invece, lo stesso è
assimilabile ad un rapporto di locazione: cfr. FRALLACIARDI, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale
e nel divorzio: quale diritto per l’assegnatario?, in Studi Capozzi, Milano, 1992, I, 1, 609 ss., ed, in giurisprudenza, Cass.
6.5.1999, n. 4529, in Giust. civ., 1999, I, 2305 ss., in Foro it., 1999, I, 2215 ss., con nota di PIOMBO; in Nuova giur. civ.
comm., 2000, I, 103 ss., con nota di E. QUADRI, Trascrizione e opponibilità dell’assegnazione della casa familiare, in. Dir.
Fam. pers., 1999, 554, con nota di PADOVINI, Sull’opponibilità ai terzi di assegnazioni non trascritte della casa familiare], o
mista [ZATTI, La separazione personale, in Tratt. Rescigno, 1982, 262; TRABUCCHI, L’abitazione della casa coniugale dopo
il divorzio, in Giust. civ., 1978, I, 2103; BRECCIA, Il diritto di abitazione, Milano, 1980, 337; COCCIA, La casa familiare:
qualificazione giuridica e diritti del coniuge, in Dir. Fam. pers., 1985, 1102; MANTOVANI, La separazione personale tra
coniugi - aspetti sostanziali, in Enc. giur., XXVII, Roma, 1992, 27; F. FINOCCHIARO, Il matrimonio, in Comm. Scialoja
-Branca, Bologna-Roma, 1993, 415; DOGLIOTTI, La separazione personale tra coniugi ed il divorzio, in Separazione e
divorzio, Torino, 1995, 90; JANNARELLI, L’assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi, in
Foro it., 1981, I, 1389. In giurisprudenza, è considerato diritto personale di godimento atipico da: Cass. S.U. 26.7.2002, n.
11096, in Foro it., 2003, I, 183; Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603, in Foro it., 2005, 443)] del “diritto di abitazione nella
casa coniugale” [sulla natura del diritto di assegnazione della casa familiare v., di recente, SCARANO, Coabitazione e casa
familiare, in Giust. civ., suppl. al n. 12, 2005, 51-56 e TULLIO, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel
divorzio, in Fam. pers. succ., 2, 2005, 119-123], la modifica lessicale operata dal legislatore con l’introduzione del meno
pregnante termine “godimento” è quanto mai inopportuna ed insidiosa.
Ed il dato appare ancor più emblematico se si tiene presente che sia la Corte Costituzionale, con le sentenze nn.166/1998
e 394/2005 - redatte entrambe dal Giudice Fernanda Contri -, e n. 454/1989 (pronuncia, quest’ultima, che ha operato
l’estensione alla separazione della trascrivibilità ex art. 1599 c.c.), sia la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze
nn. 2494/1982, 11297/1995, 11096/2002 (Giudice relatore di quest’ultima Gabriella Luccioli), nell’affrontare il tema della
trascrivibilità dell’assegnazione della casa coniugale, hanno fondato le loro pronunce sul “diritto” del minore a mantenere
l’habitat domestico in cui ha sempre vissuto, diritto che trova la propria fonte nel principio generale della responsabilità
genitoriale di cui all’art. 30 della Costituzione e all’art. 147 c.c. il quale individua, quale primo obbligo genitoriale, quello
di mantenimento della prole, il cui contenuto comprende in primis «il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse
inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e
segnatamente fra queste [...] la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di
affetti, di interessi e di consuetudini di vita (Corte Cost. 13.5.1998, n. 166, in Cons. Stato, 1998, II, 736; ed in Giur. cost,.
1998, 1419).
Pertanto, se l’ obbligo di mantenimento si traduce anche nell’assicurare ai figli un’idonea dimora, intesa come luogo di
formazione della loro personalità, la concreta attuazione dello stesso non può incontrare differenziazioni in ragione della
natura del vincolo che lega i genitori » (Corte Cost. 12-21 ottobre 2005 n. 394, in D & G, 40,2005, con nota di DOSI).
L’auspicio è pertanto che i Giudici, nell’interpretare l’ambigua formulazione del nuovo art. 155 quater, c.c., tenendo
pregiudizialmente conto che il legislatore del 2006 non ha abolito e neppure modificato né l’art. 30 Cost. né gli art. 147 e
261 c.c., e ricordando che ad ogni obbligo corrisponde un diritto, concludano che, in base ai principi generali del nostro
ordinamento, la conservazione dell’habitat domestico è ancora un diritto della prole e non un mero criterio di valutazione.
L’altro aspetto critico della disposizione in esame è il riferimento all’interesse dei figli tout court: il legislatore cioè non ha
precisato se il criterio vale solo per i figli minori o se è esteso anche ai figli maggiorenni conviventi.
La lacuna potrebbe dare adito ad interpretazioni restrittive, incoraggiate dalla considerazione che il legislatore del 2006
ha introdotto una macroscopica disparità di trattamento tra i figli minori e i figli maggiorenni per di più regolando il loro
mantenimento in modo differenziato ed in articoli separati.
7
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
L’incipit del primo comma proclama che «il
godimento della casa familiare è attribuito tenendo
prioritariamente conto dell’interesse dei figli».
In modo del tutto incoerente la disposizione
prosegue prevedendo che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo
matrimonio» senza fare più alcun riferimento
all’interesse del minore, interesse che continua
certamente ad essere quello di conservare il
proprio habitat domestico indipendentemente
dalle scelte del genitore biologico con il quale
convive ed, anzi, a maggior ragione, nel caso in
cui, a seguito di tali scelte, egli debba adattarsi a
condividerlo con un “terzo genitore” che certamente non ha scelto e, forse, neppure voluto!
Traspare qui, con maggior nitore che altrove,
l’intento punitivo dei “mariti separati associati” nei confronti delle mogli “che si rifanno una
famiglia”.
Il secondo comma, inoltre, prevede che «nel caso
in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento
interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati,
ivi compresi quelli economici».
Il combinato disposto di questi due commi porta, nella pratica, alle seguenti ricadute: in caso
di nuove nozze (o di convivenza), perso ipso
iure il diritto di godimento sulla casa familiare
8
AIAF RIVISTA 2007/2
ed avvenuto, di conseguenza, il cambio obbligato di residenza o di domicilio, l’ex coniuge (o
l’ex convivente) è ulteriormente penalizzato dal
diritto dell’altro genitore biologico di chiedere
la riduzione - diritto oggi, a differenza di ieri,
espressamente previsto - dell’assegno di mantenimento nonché la modifica delle modalità di
affidamento4.
È pertanto evidente come con la nuova norma
venga penalizzata sensibilmente la posizione
del genitore che si risposa o che inizia a convivere e, in prospettiva, si finisca con il sanzionare
la composizione di nuove famiglie, in evidente violazione del diritto di libertà costituzionalmente garantito ed in aperto contrasto con
l’insegnamento della Suprema Corte, secondo
cui dalle istanze della realtà sociale emerge con
sempre maggiore vigore “l’esigenza di rinsaldare
la formazione di nuove famiglie, già dotate di figli per
lo più minori, nati da un precedente matrimonio”5
D’altra parte il Giudice dei Giudici ha sempre
dato prova di una sollecitudine nel cogliere i
mutamenti del costume sociale e le correlate
esigenze di tutela molto più sensibile e solerte
di quella del nostro legislatore che, viceversa,
pare privilegiare l’imposizione di nuovi modelli familiari ad una collettività che non li ha fatti
spontaneamente propri.
Emblematica conferma dell’assunto è data da
una recente sentenza, la n. 21919 del 12.10.066,
3
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater, c.c., è già stata sollevata dal Tribunale di Firenze con
ordinanza 13.12.06. Il Giudice rimettente ha opportunamente rilevato che «…Tale disposto crea… una assoluta disparità
di trattamento irragionevole, tra figli di genitori separati/divorziati a seconda che il proprio genitore intraprenda o
meno una stabile convivenza con un nuovo partner, in un ordinamento nel quale la legittimità del divorzio (e di
conseguenza la legittimità di un secondo matrimonio) risale agli anni settanta. In tal senso si crea contrasto coll’art. 3,II°
comma Cost. ovverosia col principio di uguaglianza sostanziale che impone che sia data identica tutela a situazioni
identiche: nel caso di specie il figlio di genitore separato o divorziato ha sempre il medesimo interesse al mantenimento
della propria abitazione familiare a prescindere dalle vicende successive e dalle scelte di vita del genitore col quale
convive… Appare pertanto irragionevole privilegiare il diritto di proprietà del genitore non domiciliatario di prole
solo nel caso di nuovo matrimonio o nuova convivenza del genitore domiciliatario… in ulteriore contrasto coll’ art.
29 Cost. che riconosce la libertà di matrimonio, libertà che potrebbe venire compressa da valutazioni relative alla
perdita dell’abitazione familiare. Gli abusi che sicuramente sono rinvenibili nella pratica, relativi al mantenimento
della assegnazione laddove in concreto non ve ne sia la necessità per le più varie ragioni che possono presentarsi
nella pratica, potrebbero trovare adeguata soluzione nella previsione di un potere discrezionale del Giudice della
separazione o del divorzio, nel disporre la revoca della assegnazione, e non nella imposizione come ora previsto di
una automatica revoca conseguente alla oggettività della convivenza ».
4
Il tentativo di “salvare” la norma (cfr. COTTONE, Via libera all’affido condiviso, in Il sole 24 ore, 25.1.2006) adducendo
che il venir meno del diritto di godimento sulla casa non è automatico ma subordinato ad una richiesta in tal senso da
parte dell’altro coniuge e ad una valutazione, demandata al giudice, dell’interesse del minore, a che l’assegnatario non
abbandoni la casa coniugale, è privo di ogni fondamento testuale: l’articolo infatti prevede “il venir meno del diritto al
godimento della casa familiare” non subordinandolo, come invece esplicitamente fa il terzo comma, ad una richiesta
giudiziale proposta dall’altro coniuge.
5
Così la pluriedita Cass., 14 gennaio 1999, n. 354, in: Giust. Civ. Mass. 1999, 80; Giust. Civ. 1999, I, 380; Fam. e dir.
1999, 113, con nota di ROSSI CARLEO; Foro it. 1999, I, 1926; Giur. It. 1999, 1803 ss., con nota di MATERA; Studium
Juris 1999, 1085 ss., con nota di NERI.
6
In www.affidamentocondiviso.it.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
con la quale la Cassazione ha affrontato la questione della rilevanza da attribuire alla formazione di una nuova famiglia da parte dell’ex
coniuge obbligato al pagamento dell’assegno
divorzile, stabilendo “che, allorquando il coniuge
divorziato si sia formato una nuova famiglia, nei cui
confronti è pur sempre legato da impegni riconosciuti dalla legge, occorre temperare la misura dell’assegno di divorzio a favore dei membri della prima
famiglia nei limiti…in cui questo temperamento non
si risolva in una situazione deteriore rispetto a quella
goduta dai componenti della seconda famiglia”.
Come ha rilevato Padalino7, la Suprema Corte,
da un lato, ha valorizzato la costituzione di una
nuova famiglia quale fondamentale momento
di realizzazione della persona umana, dall’altro
lato, ha considerato “tale circostanza idonea ad incidere, in modo significativo, sulle risorse economiche a disposizione del coniuge onerato”8.
Ne consegue “che… secondo i giudici di legittimità,
tra gli oneri economici che possono gravare su uno
dei coniugi e che devono essere tenuti in considerazione ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, va incluso anche l’obbligo di mantenimento dei
figli naturali avuti da un’altra unione; in tal senso,
vedi Cass. 16 maggio 2005, n. 10197, in Foro It.,
Rep., 2005, voce Separazione dei coniugi, n. 14;
nonché Cass. 16 dicembre 2005, n. 27879, ined9.”.
Tornando all’assetto normativo è a dire che l’ex
coniuge che contrae nuove nozze perde ipso
iure il diritto all’assegno divorzile (art. 5 legge
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
1.12.1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, d’ora in poi citata come l.div.),
con conseguente perdita del diritto al 40% del
TFR (ex art. 12 bis l.div.), del diritto alla pensione
di reversibilità o ad una quota di essa (ex art. 9,
3° comma, l.div.), nonché ad un assegno periodico a carico dell’eredità (ex art. 9 bis l.div.).
2. RAPPORTI TRA I NUOVI CONIUGI ED I FIGLI
NATI DA PRECEDENTE UNIONE
Il matrimonio tra il genitore biologico ed il nuovo partner determina il sorgere di un vincolo di
affinità (ai sensi dell’art. 78, 1° comma, c.c.) tra il
nuovo coniuge ed il figlio del primo10.
Le conseguenze giuridiche principali di tale legame sono gli impedimenti matrimoniali di cui
all’art. 87 n. 4) e n. 5) c.c., e la legittimazione a proporre l’istanza di interdizione e di inabilitazione
(art. 417 c.c.), nonché quella per la istituzione di
un amministratore di sostegno (art. 406 c.c.).
Se dal nuovo matrimonio nascono dei figli, questi, a seconda delle circostanze, diventano fratelli uterini o consanguinei dei figli nati dalla
precedente unione. La distinzione non è solo
nominalistica11: l’art. 570 c.c. prevede infatti che,
in caso di successione legittima tra fratelli (e
cioè in assenza di prole, genitori od altri ascendenti), questi succedano in parti uguali ma che
ai fratelli ed alle sorelle unilaterali spetti la metà
della quota che conseguono i fratelli germani.
7
Nel commento alla sentenza in esame parimenti pubblicato in www.affidamentocondiviso.it.
8
In senso conforme, DE MARZO, Osservazioni (n.d.a.: a Cass. 22.11.2000, n. 15065), in Fam. e dir., 2001, 35.
9
Così PADALINO, op. loc. cit.
10 Qualora a contrarre matrimonio siano i genitori, il figlio naturale diviene automaticamente figlio legittimato (art. 283
c.c.). Affinché ricorra tale forma di legittimazione è necessario che il figlio sia stato riconosciuto da entrambi i genitori,
oppure nei confronti di entrambi sia stata dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale, e che i medesimi
abbiano contratto matrimonio successivamente alla nascita del figlio. Se sussistono questi due requisiti, la legittimazione
avviene come effetto automatico del matrimonio, a prescindere dalla volontà o dall’accordo dei genitori di legittimare
il figlio. Quanto agli effetti ed alla decorrenza della legittimazione, l’art. 283 c.c. dispone che i figli legittimati per
susseguente matrimonio, acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se il figlio naturale era già
stato riconosciuto da entrambi i genitori prima del matrimonio, o all’atto del matrimonio, oppure dal giorno del
riconoscimento, se questo è avvenuto dopo il matrimonio. Tuttavia il minore si troverà sempre esposto alla possibilità
di una eventuale azione di disconoscimento di paternità da parte del genitore biologico.
11 Va comunque sottolineato che la disuguaglianza nominalistica non è di minore importanza. In altri paesi della Comunità
Europea, presso i quali vi era la medesima distinzione definitoria tra figli legittimi e non, la questione è già stata superata.
La Germania, con la legge del 25 settembre 1997, ha provveduto a riscrivere il IV libro del BGB disegnando un nuovo
diritto di filiazione che disciplina unitariamente lo status di figlio indipendentemente dalla nascita dello stesso fuori o nel
matrimonio. La Francia, con la legge n. 305 del 4 marzo 2002, ha eliminato la distinzione anche terminologica tra figli
legittimi e non sostituendo all’art. 9 l’espressione “filiazione legittima” con quella di “filiazione legalmente stabilita”, e
disponendo che “tutti i bambini la cui filiazione è stata legalmente stabilita hanno i medesimi diritti e doveri nei rapporti
con i genitori”. Sul punto v. MARINO, Per una disciplina unitaria del rapporto di filiazione, in La filiazione verso un
unico status, Quaderno AIAF 2/2006, 28.
9
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
È pertanto indiscutibile che il vincolo di affinità
non rappresenti affatto una adeguata forma di
riconoscimento legale né del legame di fatto che
sorge tra il figlio di prime nozze ed il genitore
sociale acquisito tramite le seconde nozze del
genitore biologico, né di quello che si instaura
tra il primo ed i di lui fratelli nati nella famiglia
ricostituita in cui egli stesso è inserito.
3. ADOZIONE
Il codice civile, mette conto ricordare, contempla e disciplina, all’art. 252 c.c., l’inserimento
del figlio naturale nella famiglia legittima del
genitore che l’ha riconosciuto.
Come emerge dal testo12, la norma in questione
si limita però a regolare i presupposti dell’inserimento del figlio naturale nella famiglia
legittima ricostituita ma nulla dice né sul rapporto “di fatto” che si viene così ad instaurare
tra il figlio acquisito e l’adulto “terzo genitore” né sull’eventuale acquisizione, da parte di
quest’ultimo13, di poteri connessi con la potestà
parentale.
L’istituto dell’adozione rappresenta pertanto, attualmente, il solo strumento idoneo a legalizzare
la relazione affettiva e la comunanza di vita tra il
figlio di un coniuge ed il genitore acquisito.
AIAF RIVISTA 2007/2
Il nostro ordinamento prevede infatti a favore
del genitore acquisito tramite matrimonio la
possibilità di procedere all’adozione sia del figlio minore sia del figlio maggiorenne dell’altro
coniuge14.
Quali sono gli effetti di questo tipo di adozione?
Prendiamo le mosse dalla rassegna dei tratti comuni tra l’adozione del minore in casi particolari e l’adozione di maggiorenne.
Secondo il combinato disposto degli articoli
300 c.c. e 55 l. 184/1983 (“Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, riformata dalla
l. 149/2001 emblematicamente titolata “Diritto
del minore ad una famiglia”, d’ora in poi citata
come l. ad.), l’adottato non acquista lo status di
figlio legittimo dell’adottante, sia che l’adottato
sia minorenne sia che sia maggiorenne, e l’adozione non induce alcun rapporto di parentela
tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra
l’adottato ed i parenti dell’adottante (salve le
eccezioni previste per gli impedimenti matrimoniali).
All’adottato spettano tutti i diritti propri del
rapporto di filiazione e, quindi, innanzitutto, il
diritto al mantenimento nonché all’educazione e
all’istruzione sanciti dall’art. 147 c.c. ed espressamente richiamati dall’art. 48, 2° comma, l. ad.
Inoltre, con l’adozione non cessano i rapporti
12 L’art. 252 c.c. prevede che “qualora il figlio naturale di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il
giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all’affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela
del suo interesse morale e materiale.
L’eventuale inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice
[ 38 att.] qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge e dei figli
legittimi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi [ 30 comma 3 Cost.], nonché dell’altro
genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento [ 317 bis]. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che
il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l’altro genitore.
Qualora il figlio naturale sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia legittima
è subordinato al consenso dell’altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all’atto del
matrimonio o l’altro coniuge conoscesse l’esistenza del figlio naturale.
È altresì richiesto il consenso dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento [317 bis comma 2]”.
13 Sul tema v., funditus, DELL’UTRI, Famiglie ricomposte, cit., 286 ss.
14 Ad esclusione dei figli naturali non riconosciuti di uno dei coniugi. Vige, infatti, il divieto di cui all’art. 293 c.c.,
richiamato dall’art. 55 l. 184/1983 per l’ adozione di minore, secondo cui «i figli nati fuori dal matrimonio non possono
essere adottati dai loro genitori». Anche se «tale limitazione, peraltro non contemplata dalla norma, non tiene conto
dell’effettivo interesse del minore di crescere nel proprio ambiente familiare, interesse che può restare attuale anche
in assenza di un pregresso riconoscimento» così ZINI, in ALPA-ZATTI, Dell’adozione in casi particolari, articoli 4450, in Commentario breve al codice civile. Leggi complementari, I, Torino 1999,146. Non sarebbe possibile ricorrere
all’istituto dell’adozione nemmeno per i figli incestuosi dei quali l’art. 253 c.c. vieta il riconoscimento, creando così
un’ingiustificata discriminazione in contrasto con la finalità di tutela del minore proclamata dall’art. 1 della legge
184/1983. Alcuni autori (ROSSI CARLEO, L’affidamento e le adozioni, in Trattato Rescigno, IV, Persone e famiglia,
III, Torino 1997, 462; TOMMASINI, Adozione in casi particolari e tutela dei minori, in Scritti in onore di Falzea,
II, 2, Milano 1991, 488; BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia e le successioni, Milano 2005, 399) hanno ritenuto
«sufficiente, in presenza del divieto di riconoscimento, che la qualità di figlio venga accertata attraverso l’effettiva
realizzazione del diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito ed educato a prescindere dall’ulteriore problema della
spettanza al genitore naturale del diritto alla potestà»; contra DOGLIOTTI, L’adozione in casi particolari, in Codice dei
minori, a cura di DOGLIOTTI, FIGONE, MAZZA, GALANTI, Torino 1999, 354.
10
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
dell’adottato con la famiglia d’origine, e quindi
tantomeno quelli con il genitore biologico.
Quanto ai diritti successori, l’art. 55 l. ad. rinvia
all’art. 304 c.c. il quale esclude ogni reciprocità
sul piano successorio tra adottante e adottato
ed attribuisce soltanto all’adottato la qualità di
erede dell’adottante con specifico riguardo, tra
l’altro, alla successione necessaria ed a quella
legittima.
Tali diritti successori si sommano a quelli che
l’adottato continua a mantenere nei confronti
dei propri parenti biologici15.
Quanto alla rappresentazione, la dottrina prevalente esclude che, in caso di adozioni non legittimanti - quali sono, appunto, l’adozione di
maggiori di età e quella di minori in casi particolari - sorga un diritto di rappresentazione in
capo all’adottato non nascendo alcun rapporto
di parentela tra questi ed i parenti in linea retta
collaterale dell’adottante16.
Questi i tratti in comune tra l’adozione di minore e quella del maggiorenne. Passiamo ad esaminare le differenze tra i due istituti.
3A. L’ADOZIONE PARTICOLARE DEL FIGLIO MINORE EX ART.
44, PRIMO COMMA, LETT. B) L. AD.
L’adozione particolare del figlio minore del proprio coniuge [art. 44, 1° comma, lett. b) l. ad.], a
differenza di quella del maggiore di età (art. 291
ss. c.c.)17, è consentita anche in presenza di figli
legittimi dell’adottante.
I presupposti per procedere a questa forma
di adozione sono la minore età del figlio ed il
matrimonio del genitore, anche adottivo, con
l’adottante; prevale l’interpretazione restrittiva
secondo la quale l’adozione è consentita solo
al coniuge del genitore affidatario convivente
con il figlio poiché la convivenza confermerebbe l’esistenza di un valido rapporto affettivo tra
l’adottando e l’adottante18.
E qui si apre tutta una serie di problemi esegetici indotti dalla novella.
Se sino al gennaio 2006 non c’erano molti dubbi
circa l’individuazione, all’interno della coppia
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
genitoriale, del “genitore affidatario convivente”, oggi questi termini non hanno più un contenuto univocamente interpretabile.
Dopo l’entrata in vigore della l. n. 54/2006, infatti, possono configurarsi diverse declinazioni di
“genitore affidatario”:
1. genitore affidatario con esercizio congiunto
della potestà su tutte le questioni relative al
minore, sia di straordinaria sia di ordinaria
amministrazione;
2. genitore affidatario con esercizio della potestà congiunto sulle questioni di straordinaria amministrazione e disgiunto su quelle di
ordinaria;
3. genitore affidatario con esercizio della potestà esclusivo per singole sfere di competenza concordate dalle parti o indicate dal
Giudice;
4. genitore affidatario con esercizio della potestà esclusivo su tutte le questioni, sia di straordinaria sia di ordinaria amministrazione.
Parimenti priva di attualità e di certezza è la
locuzione “genitore convivente”, emblematicamente pretermessa dal legislatore del 2006 che,
per contro, ha introdotto il concetto di “tempi di
permanenza”.
Pare pertanto più rispondente al riformato contesto normativo parlare non più di genitore
convivente ma di genitore collocatario, precisando che, anche sotto questo profilo, occorrerà
chiarire se si tratti di collocamento esclusivo,
prevalente o paritemporale.
Altro presupposto imprescindibile è rappresentato dal consenso dell’adottante e dell’adottando
che abbia compiuto il quattordicesimo anno di
età ai sensi dell’art. 45, 1° comma, l.ad., il quale
stabilisce che l’adottando «se dodicenne deve essere personalmente sentito, se di età inferiore deve
essere sentito in considerazione della sua capacità
di discernimento, se infraquattordicenne l’adozione
deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo
legale rappresentante».
Ne consegue che, in caso di minore in affido
condiviso, deve essere sentito anche l’altro geni-
15 DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, in Trattato CICU-MESSINEO, VI, 3, Milano 1990, 326.
16 Sull’argomento vedi amplius TERENGHI, Rappresentazione e adozione,in Famiglia, Persone e Successioni, 3, 2006,
241 ss.
17 Pur con i temperamenti apportati dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione che saranno illustrati infra nel testo.
18 Cfr. COLLURA L’adozione in casi particolari, in Tratt. Zatti,II, Filiazione, Milano 2002,754.
11
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
tore biologico. Ma il ruolo di quest’ultimo non
si esaurisce qui.
Ai fini dell’adozione in casi particolari è richiesto infatti, quale presupposto necessario, anche
l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando qualora l’adottando, se pure minore, sia già
sposato (art. 46, 1° comma, l. ad.).
Il diniego dell’assenso da parte dei genitori
esercenti la potestà, o del coniuge convivente
con l’adottando, preclude l’adozione.
Quid iuris nel caso di diniego del genitore non
affidatario?
Sino ad ora la dottrina maggioritaria aveva ritenuto che, nel caso di affidamento esclusivo, il
dissenso del genitore non affidatario, e quindi
non esercente la potestà, quantunque non col-
AIAF RIVISTA 2007/2
pito da provvedimento di decadenza dalla stessa, non avesse valore ostativo19, in quanto, in
base al combinato disposto del vecchio art. 155,
3°comma c.c.20, dell’art. 317 bis c.c.21 e dell’art.
46, 2°comma, l. ad., tale dissenso poteva essere
superato dall’autorizzazione giudiziale quando
l’adozione risultava essere rispondente agli interessi del minore22.
L’odierno legislatore, però, non ha chiarito il
rapporto tra affidamento ed esercizio della potestà23, né ha regolato il contenuto dell’affido
esclusivo24, istituto che pure non ha abolito.
E l’omissione è ancora più grave se si pensa che,
in tutto il complesso delle norme non riformate
ma relative a questi temi, continuano a ricorrere
lemmi la cui accezione oggi non è più certa.
19 Cfr. ex pluribus ROSSI CARLEO, Adozione dei minori, in Enc.dir., Aggiornamento, I, Milano 1997, 4 ss. secondo
l’autrice infatti «il minore di cui alla lett. b) ha un solo genitore esercente la potestà ed è quello il cui coniuge, nel pieno
rispetto dell’accordo di uno dei momenti più rilevanti della vita famigliare, chiede l’adozione».
20 Laddove precisava che « Il coniuge cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi».
21 Il quale, in tema di filiazione naturale, prevedeva che «se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al
genitore con il quale il figlio convive».Allo stato non è dato capire se l’art. 317 bis c.c. sia da considerarsi tacitamente
abrogato dall’art. 4, 2° comma, della legge 8.2.2006, n. 54.
22 V. Cass. 26.11.1992 n. 11604, in Giur.it., 1993, I, 1, 2150, che così motiva:«solo la comunanza di vita e la conseguente
conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono rilevante il dissenso».
23 DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e divorzio, 9,
Relazione presentata al Convegno ANM di Roma del 29 maggio 2006, ritiene che l’esercizio della potestà sia sempre
attribuito ad entrambi i genitori, anche nel caso in cui l’affidamento dei figli sia disposto ad uno solo di essi.
Più difficile è ricondurre a sintesi l’articolata disamina delle possibili soluzioni esegetiche elaborata da SESTA, Le
nuove norme sull’affido condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. e Dir., 4/2006, 377 ss. e in part. 382 ss. L’Autore,
infatti, ben rispecchiando la difficoltà per l’odierno operatore del diritto di interpretare le nuove norme utilizzando
termini il cui contenuto è divenuto labile - quali, ad es., potestà, esercizio della potestà ed affidamento - mentre
utilizza le key words “affidamento” ed “esercizio della potestà” per definire l’istituto dell’affidamento condiviso, con
riferimento all’affidamento ad uno solo dei genitori utilizza il diverso parametro lessicale della “titolarità della potestà”,
precisando che il contenuto di quest’ultima deve essere determinato dal Giudice, “in base ai criteri enunciati in passato
dall’abrogato art. 155, comma 3, c.c.”.
L’Autore tenta anche di colmare la omissione del legislatore rispetto alla distinzione tra l’ “affidamento condiviso” ed il
preesistente “affidamento congiunto”; mentre il primo sarebbe da intendersi come “ripartito” tra i genitori, il secondo
vedrebbe questi ultimi esercitare il loro ruolo assieme, “a mani unite”. L’immagine è suggestiva, ma forse troppo vaga
per inquadrare, sul piano concreto, la differenza tra i due istituti, ed ancor più, il contenuto e la realizzabilità dell’affido
condiviso. Sulla effettiva realizzabilità dell’affidamento condiviso concordo pienamente con le perplessità avanzate da
GRAZIOSI, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul c.d. Affidamento condiviso dei figli, 1-3 ss., in www.judicium.
it ed in corso di pubblicazione in Dir.Fam e Pers., n. 4/2006.
Tornando alla relazione tra affidamento ed esercizio della potestà, nessuna delle due soluzioni sopra prospettate mi pare
condivincente. Il legislatore del 1975 ha introdotto una differenza di regime tra “le decisioni di maggiore interesse per
i figli” e le altre decisioni; tale diversità di regime è stata ribadita dal legislatore del 2006, il quale, per di più, da un
lato ha espressamente previsto la possibilità di limitare l’esercizio congiunto della potestà alle decisioni di straordinaria
amministrazione e, dall’altro, ha mantenuto l’istituto dell’affidamento monogenitoriale senza definirne il contenuto.
Reputo pertanto che, a fronte di un assetto normativo che prevede così tante variabili e che è viziato da simili lacune,
non sia più possibile rispondere al quesito con una soluzione semplicistica, in termini di mera coincidenza o non
coincidenza tra la titolarità e l’esercizio della potestà genitoriale, e che, viceversa, d’ora in poi, i giudici, gli avvocati
e la dottrina dovranno precisare, di volta in volta, lo status del genitore cui fanno riferimento specificando la sua
condizione rispetto alla residenza anagrafica del minore, alla titolarità della potestà ed all’esercizio di quest’ ultima, alla
responsabilità genitoriale, ed ai tempi di presenza del minore presso di lui.
24 Su questo punto aderisco alla soluzione di SESTA, op. cit., 379 ss., secondo il quale la lacuna del legislatore deve essere
colmata ridando vigore, in via interpretativa, allo statuto previsto dal previgente art. 155 c.c., comma 3, c.c.
Di diverso avviso è DOSI, op. ult. cit., 15: partendo dall’assunto che la riforma non avrebbe introdotto alcuna correlazione
tra affidamento esclusivo ed esercizio della potestà, l’Autore opina che, anche in caso di affidamento esclusivo dei figli
ad un solo genitore, l’altro continuerà ad esercitare la potestà pienamente, salve le limitazioni che il giudice o le parti
dovessero indicare.
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MAGGIO - SETTEMBRE 2007
A fronte di tali vuoti normativi è senz’altro opportuno ed auspicabile che, d’ora in poi, i provvedimenti giudiziali resi nei processi di famiglia, precisino:
a) a chi è affidato il figlio (se ad entrambi i genitori o ad uno solo);
b) a chi, e per quali questioni, è attribuito l’esercizio della potestà genitoriale;
c) a chi, e per quali questioni, è attribuita la responsabilità genitoriale;
d) la residenza anagrafica del minore25;
e) il collocamento (esclusivo, prevalente, o paritemporale) del minore presso ciascun genitore.
In assenza di tali dati le soluzioni potrebbero
essere diverse a seconda dell’interpretazione
che si dà al nuovo istituto dell’affido condiviso
Se si ritiene che, pure in caso di affido esclusivo
ad uno dei due genitori, la potestà genitoriale
debba continuare ad essere esercitata da entrambi per le questioni di maggiore importanza
quale, appunto, è quella in esame, allora si deve
concludere che anche il dissenso del genitore
biologico non affidatario, non decaduto, precluda l’adozione.
Se a ciò si aggiunge che l’affido condiviso parrebbe comportare sempre l’esercizio congiunto
della potestà, quanto meno sulle questioni straordinarie, risulta evidente come la “legalizzazione” del rapporto di fatto costituitosi nella famiglia ricomposta tra il minore nato da una pre-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
cedente unione ed il cosiddetto terzo genitore
sia da considerarsi oggi subordinata all’assenso
dell’altro genitore biologico nella quasi totalità
dei casi stante il carattere “eccezionale” conferito dal legislatore del 2006 all’affido esclusivo.
Ed anche sotto questo profilo la novella finisce
con l’ostacolare l’esigenza, sempre più sparsa,
del riconoscimento delle nuove realtà familiari.
3B. L’ADOZIONE DI MAGGIORE DI ETÀ
Per l’adozione di maggiore di età l’art. 291 c.c.
recita «l’adozione è permessa alle persone che non
hanno discendenti legittimi o legittimati», rispecchiando la risalente funzione della adozione,
configuratasi sin dall’età tardo-classica romana
come rimedio alla sterilità e come strumento di
trasmissione del nome e del patrimonio26.
La Corte Costituzionale, più volte investita
della questione di legittimità della norma, ha
sancito che l’adozione è consentita anche in presenza di figli legittimi o legittimati maggiorenni
dell’adottante, purché consenzienti27 - anche se
con lui non conviventi28- ed anche in presenza
di figli naturali riconosciuti dell’adottante «minorenni o se maggiorenni non consenzienti»29.
Anche la Corte Suprema è intervenuta a più
riprese sul tema, ogni volta ammettendo l’adozione in casi nei quali la stessa sarebbe stata
impedita da una rigida applicazione del tenore
letterale dell’art. 291 c.c., e motivando la propria
interpretazione estensiva con la necessità di ri-
25 La residenza anagrafica ha infatti significative ricadute pratiche con riferimento, ad esempio, alla scelta dell’istituto
scolastico, del medico base etc.., nonché alla titolarità del diritto agli assegni familiari.
26 Sull’evolversi della funzione dell’adoptio nel diritto romano v., amplius, DALLA-LAMBERTINI, Istituzioni di diritto
romano³, Torino 2006, 117 ss.
27 Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 557, in Vita not., 1988, 639.
28 La dottrina è infatti unanime nel ritenere che l’assenso della prole legittima maggiorenne sia vincolante sempre e senza
eccezioni. A differenza di quanto è previsto per l’assenso dato dal coniuge - che, ai sensi dell’art. 297 c.c., può essere
più o meno decisivo a seconda della effettiva convivenza -, quello dei figli legittimi si risolve infatti sempre in un potere
di veto non essendo questo condizionato dalla esistenza della convivenza ma connesso alla pura e semplice qualità di
discendente (legittimo o legittimato) maggiorenne.
Ne consegue che il rifiuto di assenso opposto dalla prole legittima costituisce un ostacolo assolutamente impeditivo
della pronuncia di adozione, ostacolo che non può in alcun modo essere superato dal Tribunale ex art. 297, 2° comma,
c.c., con un giudizio vertente sulla giustificazione del rifiuto o sulla sua conformità all’interesse dell’adottando (in tal
senso DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, cit., 361; DOGLIOTTI, L’adozione di maggiorenni, in Trattato di diritto
privato, diretto da BESSONE, vol. IV, tomo 3, Il diritto di Famiglia, Torino, 1999, p. 442; PROCIDA MIRABELLI DI
LAURO, Dell’adozione di persone maggiori di età, in Commentario del codice civile SCIALOJA-BRANCA, BolognaRoma 1995,479; GIUSTI, L’adozione di persone maggiori d’età,in Tratt. Bonilini-Cattaneo, III, Torino 1997, 478 s.;
COLLURA, L’adozione dei maggiorenni cit., 886).
29 Corte Cost. 20 luglio 2004, n. 245 (in Foro it. 2005, I, 664;in Dir. famiglia 2005, 9 con nota di BALLARANI; in Familia
2005, 557 con nota di RENDA), sentenza che tuttavia, per allargare il campo di applicabilità dell’istituto, ha introdotto
una nuova disparità di trattamento tra figli naturali riconosciuti e figli legittimi o legittimati.
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NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
conoscere e tutelare rapporti affettivi consolidatisi nell’ambito di famiglie ricomposte.
Con la sopra citata sentenza n. 354/99 la Corte
di Cassazione ha ritenuto che il giudice, previo
attento esame della circostanza del caso concreto [consistente nel fatto che l’adottando maggiorenne era orfano dell’altro genitore, aveva un
fratello germano minorenne, adottabile ai sensi
dell’art. 44, 1° comma, lett.b), l. ad., ed era stabilmente inserito, insieme a tale fratello, e ad altri
due fratelli consanguinei minori, nella famiglia
costituita dal padre e dall’adottante] può accordare una ragionevole riduzione della differenza
minima di età di 18 anni tra adottante e adottando, sempre che tale divario rientri nell’ambito
dell’imitatio naturae, in tal modo riconoscendo
ammissibile l’adozione, pur in presenza di una
differenza di età tra adottante ed adottando inferiore a quella stabilita dall’articolo 291 c.c.
Nella medesima pronuncia la Corte ha altresì
giudicato non ostativa la contestuale presenza
di figli legittimi minorenni dell’adottante, osservando che questi ultimi «beneficeranno dei riflessi
morali, sociali ed affettivi dell’intervenuto vincolo
personale tra la loro madre e gli altri figli dello stesso padre in quanto i rapporti derivanti dall’adozione
sono da porsi ad ogni effetto sullo stesso piano delle
relazioni della famiglia biologica ove hanno importanza prominente solo i vincoli personali e affettivi».
Tale principio è stato anche recentemente ribadito dalla Corte di legittimità con la sentenza
3 febbraio 2006, n. 2426, con la quale ha statuito che la presenza di figli minori (legittimi,
legittimati o naturali) dell’adottante, come tali
incapaci di esprimere un valido consenso, non
costituisce un impedimento alla richiesta di
adozione qualora questa riguardi un soggetto
maggiorenne, figlio del coniuge dell’adottante e
che già appartenga, insieme al proprio genitore
naturale ed ai fratelli minorenni ex uno latere, al
contesto affettivo della famiglia di accoglienza
AIAF RIVISTA 2007/2
dell’adottante30. Quello che qui interessa è soprattutto la motivazione della pronuncia che appalesa come, in aggiunta alla tradizionale funzione svolta dall’adozione di persone maggiori
di età, questa assolve oggi anche alla ratio del
consolidamento dell’unità familiare attraverso
la formalizzazione di un rapporto di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto.
In definitiva la Cassazione, con queste sentenze,
ha riconosciuto il valore della famiglia ricostituita, ed ha dato veste giuridica ad una unità
familiare già realizzatasi in fatto.
Non solo: a ben vedere la Suprema Corte ha anche introdotto, di fatto, un nuovo tipo di adozione: l’adozione di maggiorenne nel caso particolare di famiglia legittima ricostituita31.
Come per l’adozione del minore, anche per
quella del maggiore di età è richiesto, oltre al
consenso di adottante ed adottato, anche l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando
(art. 296 c.c.).
Le conseguenze del diniego dell’assenso dei
genitori dell’adottando non sono però ostative
dell’adozione: l’art. 297, 2° comma, c.c. infatti prevede che il Tribunale possa pronunciare
ugualmente l’adozione ove ritenga il loro rifiuto
ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando: e la differenza (a ben vedere soltanto apparente) di disciplina sul punto rispetto a quanto previsto per l’ipotesi di adozione speciale
di minore, non è che la logica conseguenza del
fatto che, in questo caso, stante la maggiore età
dell’adottando, non ci sono genitori esercenti la
potestà32.
3C. LA POTESTÀ SUL MINORE ADOTTATO
In caso di adozione di minore regolata dall’art.
44,1° comma, lett. b) l. ad., la mancanza di una
disciplina specifica della famiglia ricomposta
pone delicati problemi riguardo ai ruoli spettanti, rispettivamente, ai genitori genetici ed al
30 Fermo restando il potere-dovere del giudice di merito di procedere all’audizione personale dei figli minorenni e del
loro curatore speciale ai fini della formulazione del complessivo giudizio di convenienza dell’adozione nell’interesse
dell’adottando ai sensi dell’art. 312, primo comma, n. 2, c.c.
31 Testualmente nella succitata sentenza n. 2426/06 si legge: «l’adottanda maggiorenne è non solo figlia del coniuge
dell’adottante ma parte integrante del nucleo familiare (…) ove è stata inserita, sin da quando l’adottante e la di lei
madre si sono uniti in matrimonio. In un caso siffatto l’adozione ordinaria viene chiamata a svolgere quella stessa
funzione espressamente prevista (…) dall’art. 44,comma1,lettera b della legge 184/1983».
32 Dopo la l. n. 184 del 1983, l’inciso di cui al 2° comma dell’art. 297 c.c. (“salvo che si tratti dell’assenso dei genitori
esercenti la potestà”), deve ritenersi tacitamente abrogato (GIUSTI, op.cit., 489; COLLURA, L’adozione dei maggiorenni,
cit., 886).
14
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
nuovo coniuge con riferimento alla potestà ed
all’esercizio della stessa.
L’art. 48 l. ad. dispone che «se il minore è adottato (…) dal coniuge di uno dei genitori, la potestà
sull’adottato ed il relativo esercizio spettano ad entrambi», senza precisare se l’altro genitore genetico debba considerarsi decaduto dalla potestà,
o se ne perda soltanto l’esercizio, oppure se lo
mantenga immutato, o, infine, se e quali limitazioni ne subisca.
Non mi pare condivisibile la tesi interpretativa
secondo cui l’adozione comporta la decadenza
dalla potestà, posto che l’art. 330 c.c. prevede che
essa possa pronunziarsi solo quando il genitore
viola o trascura i doveri che la caratterizzano o
abusa dei relativi poteri, con grave pregiudizio
del minore.
Secondo alcuni autori l’adozione disciplinata
dall’art. 44,1°comma, lett. b) l. ad., comporta
soltanto la perdita dell’esercizio della potestà, come si ricaverebbe dall’art. 50 l. ad., che
contempla la possibilità, in caso di cessazione
dell’esercizio della potestà da parte dell’adottante, che il Tribunale per i minorenni disponga
che detto esercizio venga ripreso dai genitori
biologici33.
Aderendo a questa tesi si potrebbe ritenere che,
nell’ipotesi di cui all’art. 44, 1°comma, lett. b), l.
ad., in caso di minore di età soggetto all’esercizio esclusivo della potestà del genitore coniugato con l’adottante, il genitore affidatario perda il
diritto di essere coinvolto nella adozione delle
decisioni di maggiore interesse di cui al vecchio
art.155, 3° comma, c.c., a vantaggio del genitore sociale adottivo in affidamento esclusivo, il
genitore non affidatario perda l’esercizio della
potestà a vantaggio del genitore sociale adotti-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
vo (il che rafforzerebbe l’unità della nuova famiglia) e conservi un mero potere di vigilanza
sull’esercizio della potestà da parte della nuova
coppia - con il relativo potere di adire il giudice
in caso di decisioni pregiudizievoli per il minore - ed il potere di intrattenere rapporti con il
figlio34. Si è obiettato che, accogliendo questa
interpretazione, si determina, di fatto, la rottura
del rapporto tra il minore ed il genitore biologico non affidatario cui si riconoscono «un misero
diritto di visita e generici poteri di vigilanza», e che
sia preferibile ritenere che le decisioni relative
alla vita quotidiana spettino, disgiuntamente, al
genitore affidatario ed a quello adottivo, mentre
quelle più importanti debbano essere assunte
di comune accordo, anche con la partecipazione del genitore non affidatario, demandando
al giudice la risoluzione di eventuali contrasti
insorti35.
L’individuazione di una soluzione corretta e
completa è poi oggi ulteriormente complicata
dal fatto che, come già detto, la nuova legge
sull’affido condiviso non chiarisce se titolarità
ed esercizio della potestà coincidano.
Sia che si ritenga che coincidano, sia che si ritenga che non coincidano ma che, comunque,
anche in caso di affidamento monogenitoriale,
l’esercizio della potestà spetti in modo condiviso ad entrambi i genitori, allora, in virtù del
combinato disposto dell’art. 48, 1° comma, l.
ad. e del nuovo art. 155, 3°comma, c.c., da un
lato risulterebbe il diritto del minore alla trigenitorialità e dall’altro il diritto dei tre genitori
ad una “multipotestà pro indiviso sul minore da
esercitarsi congiuntamente a tre e per la quota
di 1/3 ciascuno” sia sull’ordinaria che sulla straordinaria amministrazione. La titolarità della
33 MARICONDA, Dell’adozione in casi particolari, in Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149,
a cura di Autorino - Stanzione, Milano 2001, 356, ritiene, invece, che ai genitori dell’adottato «non rimane affatto
la titolarità della potestà» ed anzi proprio dall’art. 50 l. ad., «si evince un sistema per il quale cessando l’esercizio
della potestà da parte dell’adottante o degli adottanti, il Tribunale per i minorenni, (…) può emettere i provvedimenti
opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se
ritiene conveniente che l’esercizio della potestà sia ripreso dai genitori».
34 A meno che gravi ragioni lo impediscano: v. App. Perugia, 25 maggio 1992, in Dir. fam. pers., 1994, 154.
35 Si realizzerebbe in questo modo, nel “rapporto interno della potestà”, una sorta di cogestione tra genitore di sangue non
affidatario ed adottante. Così AULETTA, La famiglia rinnovata:problemi e prospettive, in Bianca, Malagoli Togliatti, Micci
(a cura di), Interventi di sostegno della genitorialità nelle famiglie ricomposte. Giuristi e psicologici a confronto,Milano
2005, 48 ss. In giurisprudenza v. Trib. minori Torino, 3 agosto 1993, in Dir. fam. pers. 1994, 655 (in relazione ad
un caso di adozione di una minore da parte del marito della madre naturale premorta): tale pronuncia ha distinto tra
“lato esterno della potestà” che si estrinseca nella rappresentanza del minore per gli atti civili e per l’amministrazione
del patrimonio e “lato interno della potestà”, includente il dovere di cura e di educazione, che non si estingue in capo
al genitore naturale (salvo il caso di abbandono, incapacità e decadenza dalla potestà) e va coordinato con la potestà
dell’adottante attraverso un’attività di guida e controllo.
15
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
potestà, così come il suo esercizio, spetterebbero, infatti, a madre e padre biologici ed, in aggiunta, al genitore adottivo36.
E se è ingestibile l’affidamento condiviso tra
genitori biologici separati e/o divorziati, figuriamoci come possa essere in concreto attuato
l’esercizio della potestà a tre!
Qualora invece si ritenesse che titolarità ed esercizio della potestà non coincidano, ci si dovrebbe innanzitutto domandare quale sia il contenuto dell’affidamento esclusivo visto che l’istituto
continua ad essere previsto pur se l’odierno legislatore si è ben guardato dal disciplinarlo.
Se la giurisprudenza colmasse la lacuna rifacendosi al testo previgente dell’art. 155 c.c., allora
si potrebbe concludere che l’amministrazione straordinaria del minore adottato in affido
esclusivo spetta a tutti e tre, mentre l’ordinaria
amministrazione compete congiuntamente solo
al genitore in seconde nozze ed all’adottante.
Nella stessa situazione ci si troverebbe nel caso
in cui il giudice (o i coniugi), in sede di separazione o di divorzio, avessero previsto un affidamento condiviso ma con l’esercizio esclusivo
della potestà al coniuge collocatario del minore
per le decisioni di ordinaria amministrazione.
Per concludere è poi doveroso annotare che
se anche l’altro genitore biologico decidesse di
risposarsi, il suo nuovo coniuge non potrebbe
adottare il figlio nato in prime nozze che sia già
stato adottato dal coniuge dell’altro genitore biologico: ciò comporterebbe senz’altro una grave
disparità di trattamento dal punto di vista legale, disparità che sarebbe, tuttavia, ampiamente
giustificata, in linea di fatto, dalla necessità di
evitare le “impossibili” ricadute giuridiche e
pratiche di una duplice adozione.
AIAF RIVISTA 2007/2
3D. AMMINISTRAZIONE DEI BENI DEL MINORE ADOTTATO ED
USUFRUTTO LEGALE SUGLI STESSI
L’art. 48, 3° comma, l. ad., prevede che «se l’adottato ha beni propri, l’amministrazione di essi durante la minore età dell’adottato stesso, spetta all’adottante, il quale non ne ha l’usufrutto legale ma può
impiegarne le rendite per le spese di mantenimento,
istruzione ed educazione del minore con l’obbligo di
investirne l’eccedenza in modo fruttifero. Si applicano le disposizioni dell’art. 382 del c.c.»37.
In relazione ai genitori biologici il nuovo art.
155 c.c., a differenza di quello previgente38,
nulla prevede riguardo all’amministrazione ed
all’usufrutto sui beni dei figli.
In presenza di questo vuoto normativo si potrebbe arrivare al paradosso per cui tutto il potere di amministrazione dei beni del minore
spetta in via esclusiva al solo genitore sociale
adottivo mentre l’usufrutto legale sugli stessi
non spetta ad alcuno.
Per colmare la lacuna ci si potrebbe rifare alle
disposizioni del previgente art. 155, 5° comma,
c.c., e ritenere pertanto che i genitori biologici
devono attenersi alle decisioni del giudice della
separazione o del divorzio circa l’amministrazione ed hanno il godimento dell’usufrutto legale per quote stabilite anch’esse dal giudice.
Ma come conciliare queste disposizioni con i
poteri conferiti all’adottante?
Il ricorso all’art. 324 c.c., che prevede che i genitori esercenti la potestà abbiano in comune
l’usufrutto dei beni del figlio e che «i frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e
all’istruzione ed educazione dei figli», non pare corretto posto che la fattispecie dallo stesso normata
è quella dei genitori in costanza di convivenza.
Si potrebbero richiamare gli articoli 327 e 328
del c.c. i quali offrono però una soluzione che
era stata approntata dal legislatore del 1975 per
36 Fatta eccezione, ovviamente, per il caso in cui l’altro genitore biologico sia decaduto dalla potestà ex art. 330 c.c.
37 Il richiamo all’art. 382 c.c. contenuto nell’art. 48, 3° comma, c.c. comporta che l’adottante deve amministrare il
patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia ed è responsabile di ogni danno a lui cagionato se
viola i propri doveri. Sull’adottante grava poi l’onere di predisporre l’inventario dei beni del minore adottato ex art. 49 l.
ad. Dato il rinvio contenuto nella norma alle disposizioni codicistiche relative all’esercizio della tutela, si è paragonata
la posizione dell’adottante a quella del tutore pur sottolineando come «l’assimilazione (…) debba considerarsi limitata al
solo obbligo di inventario dei beni del minore» stante la profonda e radicale differenza tra la posizione del tutore e quella
del genitore adottivo: così A. FINOCCHIARO, in A. e M. FINOCCHIARO, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento
dei minori, Milano, 1983, 475 ss..
38 Il vecchio art. 155 c.c., al 5° comma, opportunamente recitava: «Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione
dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i genitori, il concorso degli stessi al
godimento dell’usufrutto legale».
Identico precipitato era contenuto nell’art. 6, 7° comma, l. div.
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MAGGIO - SETTEMBRE 2007
il solo caso -oggi residuale- di esercizio esclusivo della potestà, prevedendo, il primo, che “Il
genitore che esercita in modo esclusivo la potestà è
il solo titolare dell’usufrutto legale” ed il secondo
che “Il genitore che passa a nuove nozze conserva
l’usufrutto legale, con l’obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l’istruzione e
l’educazione di quest’ultimo”.
Come possono essere coinnestate tutte queste
norme, e soprattutto, quid iuris in caso di adozione di minore in affido condiviso ai genitori
biologici, o comunque soggetto all’esercizio congiunto della potestà da parte dei medesimi?
Una coamministrazione congiunta “a tre” dei
beni del minore con uguali poteri in capo ai due
genitori biologici ed a quello adottivo?
Un diritto di usufrutto legale spettante esclusivamente e congiuntamente ai genitori biologici
ma limitato sia dall’obbligo, a carico esclusivo
del genitore che si risposa, di utilizzare i frutti per le necessità del figlio e di accantonare in
suo favore l’eccedenza, sia dall’analogo obbligo
gravante sul genitore adottivo e non titolare
dell’usufrutto?
L’impraticabilità di tali soluzioni - che pure paiono essere le uniche inferibili dal complesso di
regole vigenti - è di solare evidenza.
È inoltre da rilevare, ai fini che qui interessano, che i poteri del genitore adottivo e quelli
del genitore biologico passato a nuove nozze
sono più limitati rispetto a quelli del genitore
biologico non risposatosi e non collocatario del
figlio. All’adottante non è attribuito l’usufrutto
legale, ma solo la possibilità di impiegarne le
rendite per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore, con l’obbligo di
investire l’eccedenza in modo fruttifero. Il genitore coniugato conserva la contitolarità del
diritto di usufrutto ma, rispetto all’utilizzo dei
frutti, è soggetto agli stessi limiti dell’adottante.
Se ne potrebbe allora dedurre il paradosso che
il genitore biologico non risposatosi possa impiegare le rendite dei beni del figlio con lui non
convivente anche per capitoli di spesa non ri-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
guardanti il minore, mentre la nuova coppia genitoriale non possa destinare i frutti medesimi
al mantenimento della nuova famiglia, all’educazione e all’istruzione degli altri figli39, fratelli,
anche se “solo” ex uno latere, dell’adottato.
È vero che la ratio dell’art. 48, 3° comma, l. ad.
risiede nella volontà del legislatore (condivisa
dalla dottrina40) di impedire l’instaurarsi di rapporti adottivi non disinteressati, ed è altrettanto
vero che questa disposizione si coordina con
l’assenza dell’obbligo, a carico dell’adottato, di
contribuzione alla vita familiare con il reddito
proprio e le proprie sostanze (non trova infatti
applicazione, a suo carico, l’art. 315 c.c.).
È tuttavia evidente come le ricadute del combinato disposto dall’art. 48, 3° comma, l. ad. e
dell’art. 328 c.c. finiscano, in concreto, con il penalizzare la ricostituzione di una nuova famiglia
a favore non solo del minore inseritovi (il che
potrebbe anche essere equo) ma anche dell’altro
genitore biologico con lui non più convivente
(il che, invece, sarebbe del tutto contrario a qualunque criterio di giustizia).
La necessità di una diversa disciplina normativa
è evidente, vieppiù in considerazione del fatto
che una regolamentazione meramente contrattuale tra i genitori legalmente coinvolti e spesso
di fatto affiancati dal genitore sociale coniugato
o convivente con il genitore biologico presso il
quale il minore non convive più, seppure auspicabile, quanto meno con riferimento ai figli
legittimi, potrebbe, in teoria, essere considerata invalida per violazione del principio fondamentale di indisponibilità dei diritti nascenti
dal matrimonio (art. 160 c.c.) e, in concreto, pare
difficilmente realizzabile.
Mette conto sottolineare, ancora una volta, la
necessità che, a fronte di tali vuoti normativi,
i provvedimenti relativi in senso lato ai figli
emessi nei procedimenti - consensuali e/o giudiziali - di famiglia, prevedano altresì regole
chiare e perspicue circa l’amministrazione dei
beni del minore nonché il godimento del relativo diritto di usufrutto.
E tale necessità è resa ancora più impellente
39 GIUSTI, L’adozione dei minori in casi particolari, in Trattato Bonilini-Cattaneo, III, Torino 1997, 463; ZINI, op.cit., 154.
40 DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, cit., 330; TOMMASINI, op. cit., 488; ROSSI CARLEO, op. cit., 417; A.
FINOCCHIARO, op.cit., 475 ss. Anche la Corte Cost., 24 gennaio 1991, n. 27, [in Cons. Stato 1991, II, 61; in Giust.
civ. 1991, I, 1403; in Giur. it., 1991, I,1,615; in Dir. fam. e pers., in Giur. cost., 1991, 1751], ha ritenuto legittima la
limitazione, sottolineando che l’adozione deve essere scevra da interessi di natura economica.
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NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
dalla circostanza che - stante i sempre più frequenti fallimenti delle famiglie (tanto legali
quanto di fatto), sempre più numerosi sono i
casi di disposizioni patrimoniali (inter vivos e/o
mortis causa) sia da parte dei nonni in favore,
direttamente, dei nipoti, sia da parte dei genitori in favore dei figli, direttamente in sede di
separazione e/o divorzio, ed anche a titolo di
contributo al mantenimento di questi ultimi.
3E. EFFETTI PATRIMONIALI DELL’ADOZIONE
Dal punto di vista patrimoniale, l’obbligo di
mantenimento e quello di prestare gli alimenti gravano sia sul genitore adottante (ex articoli
48, II° comma, l. ad. e 147 c.c.) sia sui genitori
biologici.
Tuttavia la Corte di Cassazione41, in merito ad
un caso di adozione di un minore [ex art. 44,
1°comma, lett. b) l. ad.] figlio di genitori divorziati ed affidato in via esclusiva alla madre, ha
statuito che l’adottante assume in via primaria
l’obbligo del mantenimento del minore, con
conseguente venir meno di tale obbligo per il
genitore naturale. Ciò deriva dal fatto che «la
potestà sull’adottato, ed il connesso obbligo di mantenimento, giusto disposto degli art. 147 c.c., 48 e 50
l. n. 183 del 1984, spetta, ormai, in via principale,
al genitore adottivo ed al di lui coniuge, pur non rivestendo la cessazione dell’obbligo di mantenimento
da parte del padre biologico carattere incondizionato
ed assoluto, in quanto tale dovere (…) sussidiario è
potenzialmente idoneo a riacquistare attualità nella
ipotesi di cessazione dell’esercizio della potestà da
parte dell’adottante, ovvero in correlazione con la
eventuale insufficienza di mezzi del predetto e del
suo coniuge» per il fatto che non si interrompono
i rapporti con la famiglia di origine e l’adottato
mantiene di essa tutti i diritti e gli obblighi, salve le eccezioni previste dalla legge. «Ne consegue
la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per il figlio minore - obbligo
stabilito, in sede di pronuncia di divorzio, a carico
del padre non affidatario - qualora il nuovo coniuge della ex moglie (passata a seconde nozze) abbia
AIAF RIVISTA 2007/2
adottato il minore stesso, e qualora manchi la prova
di una situazione di carenza economica della nuova
famiglia tale da comportare la reviviscenza, in capo
al genitore biologico, dell’obbligo di mantenimento,
“in parte qua”, del minore adottato».
La dottrina, per parte sua, ha tentato di fissare
dei parametri che potrebbero essere d’aiuto ai
giudici qualora si tratti di determinare la ripartizione dell’obbligo di mantenimento tra genitori biologici e genitore sociale. A tale proposito
occorrerebbe considerare le risorse del debitore,
ovvero del genitore obbligato al mantenimento,
ed i bisogni del minore. In relazione al primo
parametro, occorrerà verificare se e fino a che
punto le nuove nozze (per esempio della madre
con un soggetto benestante) possano influire
sull’assegno di mantenimento dovuto dall’altro coniuge non affidatario del figlio. Infatti,
se è vero che le migliori condizioni di uno dei
genitori non accrescono di per se stesse il suo
reddito, d’ altra parte è anche vero che, magari,
ne diminuiscono le spese e quindi, in sostanza,
determinano un miglioramento della sua situazione patrimoniale con un vantaggio (almeno
indiretto) a favore del figlio. Quanto ai bisogni
del minore, scartata la possibilità che gli stessi
siano standardizzati o standardizzabili, sorge
l’interrogativo se, in considerazione di un principio di uguaglianza tra i figli, i genitori abbiano
il dovere di garantire ai figli delle due famiglie
lo stesso livello di benessere materiale. Escluso
che si possa esigere dal genitore biologico tenuto al mantenimento, di condividere una spesa
per lui non sostenibile, il punto di equilibrio dovrebbe trovarsi in una condivisione proporzionale così come previsto per i genitori biologici
dall’art. 148 c.c. 42
Per l’adozione del maggiorenne è espressamente previsto solo un obbligo alimentare a
carico dell’adottante (art. 433, n. 3, c.c.) anche
se, secondo l’art. 147 c.c., l’obbligo di mantenere
l’adottato maggiorenne permane finché l’adottato non sia in grado di realizzare un’effettiva
indipendenza economica43.
41 Cass. 30.1.1998, n. 978, in Giust.civ., 1998, I, 1955, con nota di DI GAETANO, L’adozione del minore da parte del
coniuge del genitore. La fortuna (o il dramma) di avere tre genitori.
42 MARCHIO, Famiglie ricomposte e responsabilità per il mantenimento dei minori, in Interventi di sostegno alla
genitorialità nella famiglie ricomposte, cit., 45 ss.
43 Tale assunto è fatto proprio dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie. Per la giurisprudenza più risalente vedi,
tra le altre, Cass., 17 gennaio 1977, n. 210, in Giust. civ., 1977, I, 1604 con nota adesiva di DOGLIOTTI, Ancora
18
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
Va inoltre rammentato che il legislatore, con la
legge 154/2001 recante “Misure contro la violenza
nelle relazioni familiari”, ha introdotto una nuova
misura di carattere patrimoniale.
Infatti il nuovo art. 282 bis, 3° comma, c.c., dispone che, qualora il convivente o coniuge sia
allontanato dalla casa familiare ai fini della protezione morale e fisica dei conviventi, il giudice
possa porre a carico del responsabile della violenza il pagamento periodico di un assegno a
favore delle persone conviventi che, per effetto
della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati con eventuale obbligo di
pagamento diretto a carico del datore di lavoro
dell’obbligato.
Per ciò che qui interessa, è da rilevare che l’ingiunzione di questa misura patrimoniale non
richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto di coniugio, essendo sufficiente la convivenza more uxorio, e prescinde dalla maggiore o
minore età della persona offesa.
Perciò, qualora, in costanza di matrimonio o di
convivenza, il genitore biologico o quello sociale tenuti al mantenimento subissero un ordine
di allontanamento dalla casa familiare, saranno
obbligati a corrispondere per tale causale un assegno periodico a favore del figlio, minorenne o
maggiorenne, inserito nel nucleo familiare oggetto di protezione.
Quanto ai diritti successori, sia per il maggiore
che per il minore di età, dato il richiamo contenuto nell’art. 55 l. ad., trovano applicazione gli
articoli 300 e 304 c.c.
Ai sensi dell’art. 300 c.c. «l’adottato conserva tutti
i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine(…)
l’adozione non induce alcun rapporto civile tra
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
l’adottante e i parenti dell’adottante salve le eccezioni stabilite dalla legge».
L’art. 304 c.c. prevede invece che «l’adozione non
attribuisce all’adottante alcun diritto di successione».
3F. IL COGNOME DELL’ADOTTATO
Un effetto specifico dell’adozione non legittimante riguarda, infine, la disciplina del cognome dell’adottato.
Ai sensi dell’art. 299 c.c. l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio.
Tale norma si applica anche all’adozione in casi
particolari in forza dell’art. 55 l. ad.
Ne consegue che sia il figlio maggiorenne sia
quello minorenne adottati dal nuovo coniuge
del genitore biologico assumono il cognome
dell’adottante e lo antepongono al proprio.
4. IL COGNOME DEL FIGLIO NON ADOTTATO
MA INSERITO DI FATTO NELLA FAMIGLIA
RICOMPOSTA
Circa il cognome è a dire che, con molteplici
interventi, la Corte Costituzionale, il Consiglio
di Stato, la giurisprudenza di legittimità e di
merito hanno ricondotto il diritto al cognome
alla tutela dell’identità personale sottolineando come il cognome sia segno distintivo della
persona nella sua complessità, ribadendo che la
funzione del cognome, quale “strumento identificativo della persona”, è prevalente su quella
di “segno identificativo della discendenza familiare”, e dichiarando che l’interesse pubblico
alla “certa e costante identificazione delle persone” non impone la necessaria coincidenza tra
il cognome e lo status di figlio44.
sull’obbligo del genitore al mantenimento del figlio maggiorenne; Cass., 7 novembre 1981, n. 5874, in Giust.civ.,
1981, I, 2837. Più recentemente: Cass. 23 gennaio 1996, n. 496 in Giust. civ., 1996, I, 954, in Vita not., 1996, 862 ed
in Fam. e dir. 1996, 364; Cass. 7 maggio 1998, n. 4616, in Giur. it., 1999, 252, con nota di AMATO; Cass. 16 febbraio
2001, n. 2289, in Fam. e dir., 2001, 3, 275. In dottrina: LANDOLFI, Prorogabilità dell’obbligo di mantenimento dei
figli? in Riv. dir. matr., 1961, 277; DE CUPIS, Brevi osservazioni sulla durata dell’obbligo di mantenimento del figlio,
in Riv. dir. civ., 1967, II, 67; BESSONE, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e direttive dell’art. 30, comma
1, Costituzione, in Giur. it., 1975, I, 2, 621.
44 Emblematica in tal senso, è la recente sentenza n. 1890/06 del Tribunale di Bologna, pubblicata in Fam. e min., 1/07,
71 ss. Con tale pronuncia il citato Tribunale, ha segnato un significativo passo in avanti all’interno della evoluzione
giurisprudenziale in tema di cognome.
Le tappe principali di tale evoluzione - volta a svincolare il cognome dallo status di figlio ed a considerarlo un
tratto essenziale ed irrinunciabile della identità personale nonché un segno distintivo della persona nella sua vita di
relazione - sono state segnate da quattro interventi: 1) Corte Costituzionale 24 giugno 2002, n. 268, che ha ammesso
la conservazione del cognome d’origine in caso di adozione in casi particolari; 2) Corte Costituzionale 23 luglio 1996,
n. 297, che ha ammesso la conservazione del cognome attribuito alla nascita in un caso di secondo riconoscimento
effettuato dal padre molti anni dopo quello della madre; 3) Corte Costituzionale 3 febbraio 1994, n. 13, che ha ammesso
la conservazione del cognome in un caso in cui il padre legale non corrisponde a quello biologico; 4) Cassazione 26
maggio 2006, n. 12641, che ha ammesso la conservazione del cognome in caso di secondo riconoscimento, nell’ipotesi
in cui l’acquisizione del cognome del padre avrebbe comportato dei danni per il figlio.
19
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Ciò premesso, laddove l’adozione non sia possibile, o non sia voluta, la tutela, ed ancor più
il riconoscimento sociale della famiglia ricostituita e delle relazioni affettive che legano i suoi
componenti, può avvenire anche attraverso la
sostituzione o l’aggiunta al proprio cognome
del cognome del genitore acquisito45.
Il Consiglio di Stato, che da anni ha recepito e
fatto propria la nuova funzione del cognome,
già con sentenza n. 1049/93, aveva statuito che
è ammissibile e fondata la richiesta avanzata da
due coniugi con prole e diretta ad ottenere che
il figlio naturale della donna, nato prima del
matrimonio da partner diverso dal marito e solo
dalla madre riconosciuto, possa aggiungere al
proprio cognome originario il cognome del marito della madre, se il minore figlio naturale è da
lungo tempo felicemente inserito nella famiglia
legittima della madre, anche ai sensi ed ai fini
di cui all’art. 252 c.c., e conosciuto col cognome
maritale di quest’ultima assai più di quanto
non lo sia con il proprio cognome d’origine, sottolineando come, da un lato, l’aggiunta (e non
la sostituzione) a quest’ultimo del cognome coniugale della genitrice evita certamente confusione di “status”, e dall’altro, sussistono indubbi, strettissimi legami di sangue e di affetto tra
il figlio naturale ed i fratelli uterini, e concludendo che l’aggiunta del cognome, conforme
peraltro ad un “tractatus” e ad una “fama” certi
AIAF RIVISTA 2007/2
e consolidati, evitano in vero al minore un non
lieve pregiudizio d’ordine psicosociale, senza
peraltro alcuna contropartita negativa d’ordine
individuale, familiare e comunitario considerando prioritario il diritto all’identità personale
tutelato dall’art. 2 Cost. rispetto alla funzione,
che il cognome ha, di identificare la discendenza familiare46.
II. LA FAMIGLIA RICOMPOSTA DI FATTO
P
oiché la convivenza more uxorio non fa sorgere alcun diritto tra i partners in quanto tali,
l’ex convivente che forma una nuova famiglia di
fatto non perde alcun diritto iure proprio, a meno
che non fosse assegnatario della casa uxoriale
in quanto affidatario del figlio minore (o convivente con il figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente): in quest’ultima
ipotesi egli perde il diritto al godimento ex art.
155 quater c.c.
L’ ex coniuge che inizia una convivenza more
uxorio perde ipso iure il diritto al godimento della casa coniugale se ne era assegnatario (ex art.
155 quater c.c.) e può inoltre subire la perdita o
la riduzione dell’assegno di separazione o di divorzio47. Vale sul punto quanto già detto supra,
pagg. 5 ss.
Diverso è invece l’orientamento della giuri-
Radicando la propria decisione su questi precedenti il Tribunale di Bologna ha sentenziato che non vi è contraddizione
tra l’accoglimento dell’azione di status volta a contestare la sussistenza di un rapporto padre-figlio e la conservazione
da parte di quest’ultimo del cognome ricevuto da chi non era il padre biologico, in tal modo elevando il cognome a
«strumento di identificazione della persona al di là (e anzi contro) i riferimenti della discendenza familiare».
Per un esame del processo giurisprudenziale svoltosi sul tema della relazione tra identità e nome v. FAVA, Il diritto
all’identità, in Atti del Convegno Il minore tra malacura e giustizia, Parma 16-17 giugno 2000, Parma 2002, 55 ss.
45 L’art. 84 del D.p.r. 3.11.2000, n. 396 (ordinamento stato civile) consente, a chiunque voglia cambiare il cognome od
aggiungere al proprio un altro cognome, di fare richiesta in tal senso al Ministero dell’Interno esponendo le ragioni della
domanda con presentazione della richiesta al Prefetto della provincia in cui il richiedente ha la residenza. Se la richiesta
è meritevole il richiedente è autorizzato a fare affiggere (per trenta giorni consecutivi) all’albo pretorio del comune di
nascita e del comune di sua residenza un avviso contenente il sunto della domanda.
Chiunque crede di avervi interesse può fare opposizione non oltre trenta giorni dalla data dell’ultima affissione/
notificazione. Al fine dell’emanazione del decreto il richiedente, trascorso il termine senza che sia stata fatta opposizione,
presenta alla Prefettura un esemplare dell’avviso con la relazione che attesta la eseguita affissione e la sua durata e la
prova delle eseguite notificazioni quando prescritte.
46 In tal senso v. Corte Cost., 3 febbraio 1994 n. 13 [in Cons. Stato 1994, II, 137; in Dir. famiglia 1994, 526; in Giur.
cost., 1994, 95 con nota di PACE; in Giust. civ.,1994, I, 867, 2435 con nota di BONAMORE; in Foro it. 1994, I, 1668;
in Fam. e dir., 1994, 135 con nota di SERVELLO]: “Una volta certi i rapporti di famiglia della persona non assume
rilevanza al fine dell’interesse pubblico che questi mantenga il nome precedentemente portato al pari di qualsiasi
omonimo. Del resto l’eventualità che il cognome possa essere diverso dalla paternità accertata non è un’ipotesi estranea
all’ordinamento: essa è già prevista dall’art. 262 c.c. il quale consente al figlio tardivamente riconosciuto dal padre di
scegliere se conservare o meno il cognome originario, nonostante il riconoscimento sia rispondente a verità; con ciò
tutelando proprio il diritto del soggetto all’identità personale fino a quel momento posseduta”.
47 Ex pluribus, Cass. 11 aprile 1996 n. 2569; Cass. 4 aprile 1998, n. 3503 e Cass. 24 novembre 1999, n. 13053. Per
fortuna non ha trovato sequela la sentenza 10 aprile 2003 del Tribunale di Brescia, in Fam. Dir., 2003, n. 5, 476,
20
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
sprudenza di legittimità in tema di contributo
al mantenimento dei figli nati da precedente
matrimonio ed affidati al genitore che instaura
una convivenza more-uxorio.
La Suprema Corte, infatti, con la sentenza n.
4203 del 24.2.0648, ha opportunamente chiarito
che “la prestazione di assistenza di tipo coniugale
da parte di un convivente more uxorio di uno dei
coniugi può assumere rilievo solo per escludere oppure ridurre lo stato di bisogno dell’altro coniuge;
e, quindi, in ordine all’esistenza ed alla consistenza
del diritto all’assegno di mantenimento o divorzile,
da parte di quest’ultimo (Cass. 5027/1997). Ma non
può incidere sull’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli che in base al disposto dell’art. 147
c.c., grava esclusivamente su ciascuno dei genitori;
ed è rivolto a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma
estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale.” con la conseguenza che “il coniuge
obbligato a versare l’assegno di mantenimento, per il
carattere esclusivo e non sostituibile della propria obbligazione, non può giovarsi di eventuali condizioni
di favore esistenti fra il coniuge affidatario ed il convivente (o terzi), anche tenuto conto della precarietà
di tali eventuali rapporti favorevoli, che sono privi
di tutela giuridica (Cass. 6074/2004; 2196/2003;
3974/2002)”.
Il convivente non può procedere all’adozione
particolare del figlio minorenne del proprio partner poiché essa, ex art. 44, 1° comma, lett. b, l. ad.,
è riservata al titolare dello status di coniuge.
Il convivente può, invece, procedere all’adozione del figlio maggiorenne del convivente, posto
che l’ art. 291 c.c. e ss., non riserva l’istituto al
coniuge ma lo consente anche ai singles.
In mancanza di adozione il figlio del convivente
potrà chiedere di aggiungere o sostituire il proprio cognome originario a quello del genitore
sociale acquisito soltanto di fatto.
Qualora il nuovo partner del genitore di sangue
lo desideri, potrà riconoscere come proprio il
figlio altrui non riconosciuto, attraverso quello
che nella prassi si definisce “riconoscimento di
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
compiacenza”. Tale riconoscimento crea esclusivamente un rapporto di filiazione naturale
che, seppur costituzionalmente equiparata alla
filiazione legittima, non ne ha, nella realtà, tutti
i crismi poiché, ad esempio, non crea legami di
parentela nei confronti degli altri parenti. Ovviamente il minore, in questo caso, si troverebbe
sempre esposto alla possibilità di una eventuale
azione di disconoscimento della paternità da parte del genitore naturale “compiacente” ed egualmente, nei confronti di quest’ultimo, potrebbe
essere promossa azione di disconoscimento di
paternità da parte del genitore biologico.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Quello della famiglia ricomposta è un tema singolarmente complesso e di difficile soluzione.
Dall’excursus che precede emerge la estrema difficoltà di definire e contemperare i diritti-doveri
delle figure genitoriali nella stessa coinvolte e,
ancor più, di tutelare in modo adeguato gli interessi del minore che vi è inserito.
Le petizioni di principio che si potrebbero fare a
chiusura del presente contributo, (quali la indiscutibile opportunità di riconoscere legalmente il ruolo del genitore sociale e la necessità di
salvaguardare il diritto del minore a conservare
un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore biologico e sociale, nonché con
gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale, sia biologico che sociale), sono sin
troppo ovvie.
Volendo evitarle, due conclusioni meno scontate mi sembra invece si possano trarre dall’analisi svolta.
Contrariamente a quanto auspicava BIANCA49,
l’avvento dell’affidamento condiviso e delle
nuove disposizioni in materia di separazione,
divorzio e rottura della convivenza more uxorio
- causa le gravi lacune della legge e le ricadute
concrete dell’esercizio congiunto della potestà
- non agevola, anzi, ostacola e penalizza sia il
secondo la quale «la stabile convivenza more uxorio del coniuge separato con altra persona comporta di per sé la
quiescenza dell’obbligo di mantenimento da parte dell’altro coniuge nei suoi confronti anche in considerazione della
sostanziale omogeneità tra il livello reddituale del convivente e quello del marito».
48 Pubblicata in Fam. e Dir., 6/06, 599 ss., con commento di LONGO.
49 In Interventi di sostegno alla genitorialità, cit., 10.
21
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
genitore affidatario che va a comporre un nuovo nucleo familiare, sia gli altri componenti di
quest’ultimo.
Da un legislatore che non vuole e/o non è in
grado di dare rango giuridico alla famiglia di
fatto è irragionevole aspettarsi attenzione alla
famiglia ricomposta.
È pertanto necessario che la giurisprudenza,
di merito e di legittimità, continui a darle riconoscimento e tutela così come ha già iniziato a
fare, cogliendo le istanze emergenti da una realtà sociale e familiare in continua evoluzione.
* PROFESSORE ASSOCIATO DI DIRITTO ROMANO, UNIVERSITÀ DI
MODENA E REGGIO EMILIA. AVVOCATO DEL FORO DI MODENA
22
AIAF RIVISTA 2007/2
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
D
i nuovo si parla1, e speriamo sia la volta
buona, di regole nuove, rispettose dei diritti e della pari dignità dei genitori, nei
criteri che devono presiedere all’attribuzione
del nome e del cognome da dare ai figli.
Il cognome da trasmettere ai figli tocca corde
troppo profonde perché lo si possa definire un
problema formale.
Esprimono il disagio per l’incongruità del sistema la stessa difficoltà ad individuarne la fonte, al confine tra norma2 e consuetudine3, palesemente in contrasto con i principi di parità
ed uguaglianza sanciti dagli articoli 2, 3, 29 e
30 della nostra Costituzione, i tanti progetti di
legge, depositati nelle precedenti legislature, il
chiaro monito della Corte Costituzionale, ed i
molti indignati inviti, variamente motivati, a lasciar perdere4.
Problema da taluno ritenuto inesistente, quando non superato o addirittura contrario ai principi del nostro ordinamento5. Posizione che non
condividiamo perché sul piano simbolico, come
tutte le argomentazioni a contrariis attestano, il
nomen ha una rilevanza strategica: serve a proiettarci e a identificarci nel mondo come provenienti da, irrinunciabile elemento costitutivo
dell’identità personale.
Si svela così che le regole che presiedono alla
attribuzione del nome (inteso come prenome
e cognome) finiscono per trasformarsi in cartina di tornasole della misura di parità ed eguaglianza giuridica, esistente nel nostro Paese tra
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
uomo e donna. Non a caso il tema è oggetto da
tempo, di Convenzioni internazionali ratificate
dall’Italia e di Raccomandazioni internazionali
e comunitarie6.
Ancora una volta a scandire i tempi del legislatore italiano, è stata la Corte Costituzionale7 la
quale, rilevando la propria impossibilità a supplire alle carenze del legislatore, ne ha rimarcato il ritardo richiamando l’impegno, assunto dal
nostro Paese con la ratifica della Convenzione
di New York, e il vincolo alle raccomandazioni
NEL NOME DEL
PADRE E DELLA
MADRE: LA VEXATA
QUESTIO DEL
COGNOME
DEL FIGLIO
_GIOVANNA FAVA*
1
Nota della Redazione
Questo articolo è stato scritto mentre era in discussione all’Aula del Senato, relatore Salvi, un testo di legge avente ad
oggetto Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli, elaborato in Commissione e che raccoglie tre disegni di legge in materia: n. 19 - Vittoria FRANCO ed altri - Modifiche al codice civile in materia di cognome
dei coniugi e dei figli, n. 26 - MANZIONE - Modifiche al codice civile in materia di cognome della moglie, n. 580
CAPRILI - Modifiche al codice civile in materia di cognome dei figli.
Successivamente, il 30 maggio 07, a conclusione della discussione generale svoltasi in Assemblea, il relatore Salvi
(Ulivo) ha preso atto che dal dibattito sono emersi dissensi sulla soluzione data dal testo proposto dalla Commissione
giustizia all’esigenza di riformare la materia, e ha proposto il rinvio del provvedimento in Commissione Giustizia per
verificare la possibilità di una soluzione maggiormente condivisa. La proposta è stata accolta dall’Assemblea.
Nel corso della seduta della Commissione Giustizia del 10 luglio 07 il Sen. Salvi ha comunicato di aver predisposto un
nuovo testo, che tra l’altro prevede una attribuzione ex lege dei due cognomi, dando la priorità, nell’ordine, a quello
del padre, salvo diversa decisione dei genitori, i quali possono stabilire un ordine diverso con dichiarazione concorde
resa all’ufficiale dello Stato civile all’atto del matrimonio o, in mancanza, all’atto di registrazione della nascita del primo
figlio. La Commissione dovrà pertanto ora pronunciarsi su questa nuova proposta legislativa.
2
L’attribuzione del cognome del padre ai figli nati in costanza di matrimonio, non è principio espressamente enunciato
nel nostro ordinamento. A sostegno della legittimità dell’attribuzione vengono richiamate le norme dell’ordinamento
di stato civile, non modificate sul punto dal DPR n.396 del 3 novembre 2000, operativo dal 30 marzo 2001, ed in
specie gli articoli 29, 34 e 237 c.c., ma nessuno di loro prevede espressamente tale attribuzione. Per questo la Corte
di Cassazione, con propria ordinanza 17 luglio 2004, riteneva gli articoli 143 bis, 236, 237, 262 e 199 cc. le norme
dell’ordinamento di stato civile in contrasto con gli artt.2,3 e 29 Costituzione.
3
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 61/2006, pur evidenziando che l’intervento invocato richiede un’operazione
manipolativa esorbitante dai poteri della Corte, ha escluso che la trasmissione del cognome avvenga in forza di norma
23
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
del Consiglio d’Europa.
Pur dichiarando la questione inammissibile la
Corte Costituzionale, relatore Alfio Finocchiaro, non ha risparmiato severe critiche alla legislazione vigente definendo il nostro sistema di
attribuzione del cognome “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda
le sue radici nel diritto di famiglia romanistica, e di
una tramontata potestà maritale, non più coerente
con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
Un’attenzione ai valori costituzionali che, evidentemente, non è propria del nostro legislatore
posto che, anche in occasione della discussione
della legge sull’affido condiviso, sedicente por-
AIAF RIVISTA 2007/2
tatrice del cosiddetto principio della bigenitorialità, del cognome dei figli se ne parlò solo incidentalmente e per effetto dell’emendamento
Cossutta. Emendamento che ricevette molti voti,
ma non sufficienti per la sua approvazione.
La discussione in Commissione Giustizia ha
portato ora all’adozione a maggioranza, di un
testo che stabilisce che al momento del matrimonio ciascun coniuge conservi il proprio cognome e che ai figli venga attribuito il cognome
del padre o quello della madre, secondo la volontà dei genitori, oppure entrambi i cognomi
nell’ordine deciso dai genitori stessi.
È una norma liberal, tipica dei paesi anglosassoni8.
consuetudinaria, perché se così fosse ne avrebbe dovuto dichiarare l’incostituzionalità in quanto contra legem., ma
espressione di una norma desumibile dal sistema…
24
4
Anna Finocchiaro, ministro Pari Opportunità durante il I° governo Prodi -18.5.1996/21 ottobre 1998- presentò un progetto per il doppio cognome ai figli e fu coperta di insulti: sul quotidiano La Repubblica Luciano de Crescenzo scrisse
che alle Pari Opportunità c’era sostanzialmente una cretina che non capiva come funzionasse il sistema informatico e
che la sua proposta avrebbe bloccato tutti i sistemi d’anagrafe.
5
Francamente sconvolge leggere nei verbali della discussione tenutasi al Senato il 30 maggio 2007 le dichiarazioni del
sen.MARCONI (UDC) che esprimendo la sua contrarietà al disegno di legge così argomenta: “In nome infatti di un richiamo all’identità della persona si cancella una tradizione millenaria fondata sull’autorevolezza del ruolo paterno e si
rimette al libero arbitrio la scelta del cognome con ciò scardinando l’appartenenza ad un gruppo familiare. “ Come se
il ruolo paterno stia tutto nel nome e, soprattutto, possa essere cancellato da un principio di parità.
O ancora le dichiarazioni del sen. MONACELLI (UDC) secondo il quale è “un provvedimento che mina l’assetto stesso
della famiglia modificando una tradizione millenaria risalente al diritto romano”. Certo viene da chiedersi quale famiglia
-pre-costituzione- si abbia in mente.
E il Sen. MUGNAI (AN) per inviare nuovamente il progetto in Commissione così argomenta: “la riforma inoltre comporta
alti costi, nell’ordine di centinaia di milioni di euro, soltanto per l’adeguamento degli uffici dell’anagrafe, aspetto peraltro non sufficientemente valutato nella relazione e nel dibattito. La soluzione adottata per la trasmissione dei cognomi
rischia inoltre di determinare in pochi passaggi generazionali la perdita delle tradizioni insite nei cognomi, mettendo a
repentaglio la sopravvivenza di cognomi illustri. “ Colpisce che a così argomentare sia un esponente di Alleanza Nazionale, a prescindere dalla valutazione, che è indubbiamente soggettiva, di quali siano i cognomi illustri, l’argomentazione non regge in quanto il cognome illustre può essere portato anche dall’unica figlia femmina, e sono a tutti note,
perché pubblicamente raccontate, le difficoltà incontrate da Alessandra Mussolini per trasmettere il proprio cognome ai
figli…
Che dire poi delle argomentazioni portate dal Sen. NOVI (FI) secondo cui il progetto è da respingere perché “Il modello
familiare sotteso al testo in esame esprime la visione del mondo… che esalta gli antagonismi nel rapporto tra uomo e natura, nei rapporti sociali di produzione e perfino nei rapporti familiari. Ciò ha risvolti paradossali perché la cultura della
disgregazione, che ritiene flessibile ogni aspetto dell’esistenza e temporaneo qualsiasi legame, asseconda precisamente
le tendenze conflittuali e sradicanti della globalizzazione. La distruzione di identità e di legami comunitari dà corpo
all’incubo della cosiddetta società liquida, antropologicamente insostenibile.
6
Il riferimento è all’art. 16 lettera G della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, e ratificata dall’Italia con legge 14 marzo
1985 n.132Le raccomandazioni n.1271 /1995 e n.1362/1998 con cui il Consiglio d’Europa ha affermato che il mantenimento di
previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio
di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso. Il Consiglio ha raccomandato agli Stati inadempienti di realizzare la piena
eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome ai loro figli, eliminando ogni discriminazione tra figli nati
nel e fuori dal matrimonio.
7
La strada di molte riforme in materia familiare, e di parità tra uomo e donna, è segnata, nel nostro Paese, dagli interventi
della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 61/2006 ha affermato la necessità di eliminare ogni discriminazione
basata sul sesso nella scelta del cognome familiare. Sul punto anche MIMMA MORETTI, Modifiche dello status di figlio
e conseguenza sul cognome, in Quaderni AIAF, 2006/2.
8
In Gran Bretagna vi è grande libertà sulla scelta del cognome: i coniugi possono adottare il cognome dell’uno, dell’altro
o di entrambi e così pure liberamente scegliere quale cognome dare ai figli. In caso di divorzio dei genitori è pur ammesso il cambio di cognome dei figli.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
La scelta operata, a seconda del pensiero cui si
aderisce, può essere criticata, da un lato per non
essere sufficientemente precettiva, come sarebbe avvenuto se fosse stato indicato l’obbligo dei
due cognomi, dall’altro perché si teme una eccessiva frammentazione e perdita dell’identità
famiglia9.
Consensi sono invece stati espressi da esponenti
del femminismo storico, che riconoscono valore proprio alla libertà di scelta, ritenendo che le
donne debbano/possano contrattare all’interno
della coppia la scelta del cognome da trasmettere, e non sia necessaria una norma precettiva a
tutela della trasmissione del loro cognome10.
A chi avrebbe preferito la scelta di un cognome per la famiglia si può validamente opporre
l’esperienza tedesca.
La scelta di un cognome per la famiglia è infatti tipica di tale ordinamento dove la disciplina
fu introdotta inizialmente nella Repubblica Democratica Tedesca poi, nel 1976, anche nella Repubblica Federale Tedesca, permanendo immutata sino al 1991, quando il BVerGne ne dichiarò
l’incostituzionalità.
Con la legge 16 dicembre 1993, Familiennamensrecht-gesetz11, il Parlamento tedesco ha
adeguato la propria legislazione ai principi di
parità ed uguaglianza stabilendo che i coniugi
determinino un comune nome familiare, nome
che rimarrà anche in caso di morte del coniuge
e di divorzio. In caso di mancata scelta del cognome familiare i coniugi continuano a portare
il proprio cognome anche dopo il matrimonio.
Per quanto concerne i figli rimane ferma la regola secondo cui il figlio legittimo acquista, come
cognome di nascita, il nome coniugale dei suoi
genitori (§1616 comma 1 BGB); nel caso in cui i
coniugi non abbiano scelto un cognome comune per la famiglia essi dovranno determinare,
al momento della nascita, il cognome del figlio
scegliendo quello della madre o quello del padre (§1616 comma 1 BGB).
9
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Il cognome attribuito al primo figlio varrà anche per i successivi figli della coppia per evitare che ai figli della stessa coppia vengano
imposti cognomi diversi.
Se entro un mese dalla nascita del figlio i genitori non compiono la scelta il Tribunale trasferisce il diritto di scelta a uno dei genitori (§1616,
comma 3). Se entro il termine fissato dal Tribunale il diritto di scelta non è stato esercitato il figlio acquisterà il cognome del genitore al quale
il diritto di scelta è stato trasferito.
Il figlio nato fuori dal matrimonio acquista il
nome di famiglia della madre.
Questa riforma ha fatto si che la determinazione
di un cognome familiare non sia più indispensabile e ha, di fatto, sancito la fine dell’istituto.
Per la Germania si è trattato di una vera e propria rivoluzione.
L’adeguamento della nostra legislazione sul
nome, ai principi di parità ed eguaglianza,
come attesta l’esperienza francese, è inevitabile,
e proprio alla legislazione francese pare ispirarsi il testo di legge in discussione al Senato.
Anche in Francia vigeva il patronimico assoluto, ma già nel 1985 il parlamento francese è intervenuto a mitigarne il principio, consentendo
ai genitori di rendere visibile la provenienza del
figlio da entrambi i genitori permettendo l’aggiunta del cognome materno à titre d’usage.
Con la legge 8 febbraio 2001 il Parlamento
Francese ha abolito la legge 6 Fruttidoro dell’anno II, 1793, e ha previsto per la coppia tre possibilità:
1. trasmettere ai figli il solo cognome paterno;
2. trasmettere ai figli il solo cognome materno;
3. trasmettere ai figli entrambi i cognomi.
La nuova disciplina prevede che, in caso di disaccordo o di mancata scelta del cognome da
attribuire, siano trasmessi al figlio entrambi i
cognomi in ordine alfabetico. Il figlio sceglierà
poi quale cognome trasmettere alla generazione
successiva.
Il ministro Bindi avrebbe preferito una norma piu’ precettiva, per evitare che, in forza della consuetudine, appunto, non
ci sia vera scelta e che si finisca per continuare a dare ai figli il cognome paterno. Gli esponenti di UDC, AN e Forza
Italia hanno espresso critiche perché, a loro avviso si sconvolge la tradizione e si favorisce una disgregazione della
famiglia.
10 In questo senso La libreria delle Donne di Milano, subito dopo l’approvazione del testo in Commissione.
11 La legge per la riforma del diritto relativo al nome familiare, Familiennamensrecht-gesetz, è entrata in vigore il 1’ aprile
1994
25
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
La possibilità di scelta può essere esercitata dai
genitori solo con il primo figlio, infatti l’unico
obbligo contenuto nella legge è che i figli della
stessa coppia debbano avere lo stesso cognome.
Similmente a quanto avviene in Germania ed in
Francia, anche da noi forte è la preoccupazione
che ai figli degli stessi genitori sia attribuito il
medesimo cognome. Nel testo in discussione
al Senato si prevede infatti, all’ultimo comma
dell’art.262 c.c., che “Ai figli successivi al primo,
riconosciuti dai medesimi genitori, è attribuito
lo stesso cognome del primo figlio”.
Il punto di maggiore criticità del testo pare essere la decisione da adottare in ordine alla mancata scelta e nel caso di disaccordo tra i genitori
sul cognome da adottare.
Il disegno di legge prevede, all’art.143 bis, comma 3, che in tali casi al figlio siano attribuiti i cognomi di entrambi i genitori, limitatamente al
primo cognome di ognuno, in ordine alfabetico,
come appunto avviene in Francia.
L’ordine alfabetico, si sa, viene usato frequentemente nelle nostre amministrazioni a voler
sancire un ordine “neutro” e “terzo”, ma si
presta a “favorire” d’ufficio le prime lettere
dell’alfabeto, per questo motivo è da alcuni è
criticato.
Dal raffronto delle scelte e del percorso legislativo avvenuto in materia negli altri Paesi, pare
che l’ordinamento sin dall’inizio più rispettoso
dei principi di parità e di eguaglianza tra i genitori, oltre che della libertà di scelta da parte dei
figli, sia il sistema della trasmissione del doppio
cognome tipico della Spagna e dei Paesi latinoamericani,.
La disciplina tradizionale spagnola attribuisce
di regola al figlio il cognome di entrambi i genitori.
Questa regola vale sia per i figli legittimi che
per quelli naturali, quando la filiazione è legal-
AIAF RIVISTA 2007/2
mente accertata nei confronti di entrambi.
Se il figlio è riconosciuto dal solo padre acquisirà entrambi i cognomi del padre nel medesimo
ordine, se riconosciuto dalla sola madre avrà i
primi due cognomi di lei, nell’ordine che questa
preferisce.
Poiché solo il primo cognome viene trasmesso
ai figli, anche l’ordine dei cognomi diventa rilevante.
Per questo motivo la Spagna, con la legge 11
del 13 maggio 1981 ha stabilito che “il figlio, al
raggiungimento della maggiore età, potrà richiedere che si muti l’ordine dei suoi cognomi”. Questo
permette di collocare al primo posto il cognome
ricevuto dalla propria madre e di trasmetterlo
ai figli. Secondo gli interpreti la possibilità di
scelta può essere esercitata una sola volta dopo
aver raggiunto la maggiore età.
La Corte Costituzionale è ripetutamente intervenuta ad affermare l’autonomia del nomen
rispetto allo status, sicché da tempo, eventuali
modifiche del secondo, non comportano automaticamente la perdita del primo12.
Va poi ricordato che nel nostro ordinamento la
diversa previsione di trasmissione del cognome
riservata ai figli legittimi e naturali ha di fatto
comportato, per questi ultimi, una possibilità di
scelta non consentita per il figlio nato in costanza di matrimonio.
L’art.262 c.c. come è noto, stabilisce che il figlio
assuma il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo e che il secondo riconoscimento possa avvenire solo con il consenso del
primo genitore o per ordine del giudice, con la
conseguenza che il cognome del padre può essere aggiunto o sostituito a quello della madre.
Procedimento nel quale i genitori sono parti necessarie, non potendo, il provvedimento di attribuzione del cognome al figlio naturale, essere
considerato mero atto amministrativo, in quanto incide sull’identità personale che è diritto
soggettivo perfetto13. Procedura e possibilità di
12 Sul punto la Corte Cost. 3 febbraio 1994, dopo aver affermato che a seguito di dichiarazione di falsità parziale dell’atto
di nascita l’atto stesso debba essere rettificato indicando l’esatto rapporto di filiazione, ha contemporaneamente affermato il diritto del soggetto a mantenere il cognome, falsamente attribuito, in quanto caratteristica precisa e personalissima
della sua identità; e ancora Corte Cost. 23 luglio 1996, n.297, ha affermato il diritto del figlio naturale, riconosciuto a
distanza di anni, a conservare il cognome di fantasia attribuitogli dall’Ufficiale di Stato Civile, perché segno distintivo
della sua identità personale.
13 Cass. civ. 7 giugno 2006, n.13281, a conferma Corte App. Roma sez. min. 10 luglio 2006, in Fam. e dir., n.6/2007.
26
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
doppio cognome non prevista per il figlio nato
in costanza di matrimonio14.
Si può quindi dire che proprio nelle regole fissate dal nostro ordinamento per la filiazione
naturale sono già espressi i principi di parità ed
uguaglianza dei genitori, e da quei principi si
potrebbe partire anche per la regola sull’ordine
dei cognomi, da attribuire in caso di disaccordo tra coniugi, privilegiando il cognome della
madre15, similmente a quanto avviene in Inghilterra e Germania per i figli nati fuori dal matrimonio.
Sarebbe inoltre auspicabile che fosse data ai
figli, una volta divenuti maggiorenni, la possibilità di scegliere quale cognome trasmettere, come previsto dagli ordinamenti francese e
spagnolo.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
sione del cognome nel nostro ordinamento si
scontra con tale valore e, ripetutamente, si è
reso necessario l’intervento giudiziario per affermare il diritto del cittadino straniero a mantenere il cognome così come acquisito nel proprio Stato16.
Il diritto a mantenere e trasmettere il proprio
cognome, indipendentemente dallo status, è
principio di civiltà, oltre che doveroso rispetto
delle Convenzioni Internazionali17, ed il nostro
ordinamento è chiamato a rispondere a esigenze nuove di una società multietnica dove individui, sempre più in movimento, si aggregano
e si lasciano in contesti e Stati diversi.
* AVVOCATO DEL FORO DI REGGIO EMILIA, PRESIDENTE DEL
FORUM-ASSOCIAZIONE DONNE GIURISTE
Né va dimenticato il fatto che l’identità personale è valore assoluto, ed in quanto tale non ha
confini. Dovranno quindi essere eliminate dal
nostro ordinamento di Stato Civile quelle norme che impongono la trasformazione dei cognomi stranieri.
La presenza sempre più numerosa nel nostro
territorio di famiglie migranti, così come di
matrimoni misti, rappresenta una realtà ineludibile. L’acquisizione del cognome come regolata nel proprio stato di origine non potrà
subire condizionamenti da parte del nostro ordinamento, proprio per salvaguardare il diritto
all’identità acquisito.
La vetustà delle norme stabilite per la trasmis14 Sul punto Cass. 14 luglio 2006, n.16093, secondo cui non può essere accolta neppure la domanda congiunta dei
genitori esercenti la potestà sul figlio nel senso di imporre il cognome materno in luogo di quello paterno in quanto il
quadro normativo relativo alla disciplina del cognome del figlio legittimo, diversamente da quella relativa al figlio naturale, adotta un meccanismo di automatica attribuzione che non può essere derogata neppure dalla manifesta concorde
volontà dei coniugi, in Fam. e dir., n.5/2006.
15 Senatrice CAPPELLI lamenta la mancata approvazione dell’emendamento proposto dalla senatrice Boccia, che privilegiava il cognome della madre, scelta che risolveva in nuce la questione del cognome dei bambini nati fuori dal matrimonio, e sottolineava la circostanza che si nasce da donna.-Atti della seduta della Commissione Giustizia 17 gennaio
2007. Per l’attribuzione del solo cognome materno era il progetto di legge Pisapia n.2155 presentato alla Camera dei
deputati il 9 agosto 1996.
16 Ripetutamente la giurisprudenza ha dovuto intervenire per evitare nomi internazionalmente claudicanti. Con una recente pronuncia inedita il Tribunale di Reggio Emilia, rel. Scati, ha accolto il ricorso della madre ucraina avverso il
provvedimento dell’ufficiale di Stato Civile che a seguito dell’acquisita cittadinanza italiana della figlia aveva trascritto
l’atto di nascita attribuendole il cognome paterno in luogo di quello materno scelto dalla madre e portato dalla figlia.
Trib. Reggio Emilia, decreto 28 maggio 2007.
17 La Convenzione di Monaco 5 settembre 1980, ratificata dall’Italia con legge n.950/1984, stabilisce che i cognomi ed i
nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui la stessa è cittadina, mentre la legge 218/1995
di diritto internazionale privato fa riferimento alla legge applicabile ai diritti della personalità, che non sempre coincide
con la legge nazionale, determinando così uno sfasamento normativo. Importante ruolo è svolto dalla CIEC, Commissione Internazionale dello Stato Civile, nata nel 1949 con lo scopo di armonizzare gli ordinamenti statali nelle materie
relative alla condizione delle persone, famiglie e cittadinanze.
27
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
C
onclusesi le kermesse del Family Day (Roma,
12 maggio 07, manifestazione organizzata da
Più Famiglia, il progetto promosso dal Forum delle associazioni familiari con i movimenti, le associazioni e le nuove realtà ecclesiali) e
della Conferenza Nazionale della Famiglia (2426 maggio 2007, promossa dal Governo con lo
slogan “Cresce la famiglia, cresce l’Italia”), è
necessario soffermarsi a riflettere sul dibattito che si è aperto sulle “politiche per la
famiglia”, che si richiama non tanto e non
solo alle politiche di welfare, ma soprattutto
REALTÀ DEI
BISOGNI DELLE
PERSONE E
DELLA FAMIGLIA
E POLITICHE PER
LA FAMIGLIA DEL
GOVERNO PRODI
MILENA PINI*_
a due storiche tesi politico-giuridico-sociali,
che fino ad oggi erano l’una all’altra opposte, e cioè il riconoscimento da un lato dei
“diritti della famiglia”, e dall’altro dei “diritti delle persone”, come singoli componenti
della famiglia.
Sin dagli interventi introduttivi della Conferenza Nazionale della Famiglia, tenuti dal
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dall’On.le Rosy Bindi, Ministro delle Politiche per la Famiglia, è emerso il primo
obiettivo politico di questa iniziativa del Governo Prodi: dare riconoscimento ai diritti della
famiglia, intesa come soggetto giuridico e persino politico, come gestore delle “politiche per
28
AIAF RIVISTA 2007/2
la famiglia”, in applicazione del principio di
sussidiarietà orizzontale.
Il Ministro Bindi nella sua relazione è stata
chiara ed esplicita: “… Non c’è contrapposizione tra diritti della famiglia e diritti dei singoli.
Nella prassi politica c’è sempre stata una diffusa
timidezza nell’attuazione di questo articolo (art.
29 Cost., ndr), forse dettata dalla preoccupazione,
costituzionalmente infondata, che il riconoscimento
dei diritti della famiglia potesse legittimare situazioni normative in contrasto con i diritti inviolabili della persona.”.
Anche il Presidente della Repubblica ha tenuto a
sottolineare che “c’è ampio spazio per un confronto
costruttivo, per una schietta emulazione, anche sul
piano delle analisi e delle proposte, e in definitiva per
una ricerca di risposte che non dividano il Paese, che
non scivolino sul piano inclinato di un’artificiosa e
perniciosa contrapposizione tra cattolici e laici.”.
In effetti, nell’attuale momento politico, e nella spasmodica ricerca di una unità nazionale,
sembra che la maggioranza governativa aderisca favorevolmente al richiamo del rispetto dei
principi più conservatori della dottrina cattolica, tanto da far ritenere molto simili le proposte
politiche dei promotori del Family Day e quelle
del Governo di centro sinistra.
Le relazioni introduttive delle sessioni di lavoro
della Conferenza di Firenze e le relazioni conclusive dei rapporteur al termine dei lavori di
gruppo, contengono infatti affermazioni e proposte che destano una viva preoccupazione in
chi crede nella laicità dello Stato, al di là dei
programmi di sinistra o di destra, e nell’esigenza che lo Stato salvaguardi in modo effettivo e
concreto i diritti e le libertà dei cittadini.
Il programma illustrato dal Ministro Bindi prevede peraltro interventi concreti, apprezzabili
e condivisibili, e non c’era necessità di insistere
su premesse ideologiche sulle quali è difficile
convergere.
Il piano di interventi proposto dal Governo prevede un nuovo welfare a misura di famiglia,
imperniato sulla rete dei servizi per le famiglie
(scuola, servizio sanitario, asili nido, servizi
all’infanzia, consultori).
“In una parola” - ha detto il Ministro Bindi - “c’è
bisogno di applicare la Legge 328, che in questi ultimi anni è stata dimenticata. Bisogna ripartire dalla
definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali, LIVEAS, per garantire prestazioni omogenee in
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
tutto il paese. Ed inoltre, anche come una modalità
applicativa e non necessariamente come un livello
ulteriore e aggiuntivo di prestazioni, vanno individuati i LEF, i livelli essenziali per la famiglia. Bisogna interrogarsi sull’equità nell’accesso e sul costo
dei servizi, modificando l’ISEE e tenendo conto, nella
tariffazione dei servizi pubblici, della composizione
del nucleo familiare. I servizi alla famiglia vanno
comunque concepiti come un’offerta plurale, quanto
più possibile personalizzata e a misura di famiglia.
Una rete territoriale qualificata, frutto di incontro
tra pubblico e privato e tra pubblico e privato sociale,
in grado di rispondere a varie tipologie di famiglia e
ai bisogni che cambiano nelle diverse stagioni della
vita. Un’offerta entro cui la famiglia possa esercitare
una libera scelta.
Investire sui servizi all’infanzia e sugli asili nido è
oggi una nostra priorità.
Il consultorio può diventare un punto di riferimento,
una struttura vicina, amica, con diverse figure professionali, dagli psicologi agli educatori, al mediatore
familiare all’assistente sociale.
C’è bisogno di un’équipe in grado di aiutare i genitori nel percorso di crescita e formazione dei figli, per
affrontare assieme a loro i conflitti generazionali e le
crisi di coppia, per promuovere la capacità di essere
coniugi e di essere genitori.”.
Il dibattito che si è svolto nelle Sessioni e nei
gruppi di lavoro non si è però conseguenzialmente incentrato sugli strumenti e le risorse
del settore “pubblico” per attuare il programma di Governo, bensì sull’esigenza di riconoscere la famiglia come soggetto giuridico, titolare di diritti che prevalgono sui diritti dei
singoli suoi componenti, e sull’ipotesi privilegiata di attuare il programma del “nuovo welfare per le famiglie” tramite la delega all’associazionismo familiare.
Il lavoro svolto dalla sessione FAMIGLIA E
DIRITTI - che secondo il comunicato stampa
degli organizzatori della Conferenza aveva
come tema centrale la valorizzazione della
piena soggettività della famiglia, gli strumenti
della partecipazione e il riconoscimento attivo
dell’associazionismo familiare, e quindi l’ipotesi di istituire un Tribunale della famiglia - è
esemplare nel farci comprendere quale direzione ha imboccato questo Governo.
La sessione FAMIGLIA E DIRITTI ha preso
l’avvio dalla relazione di Francesco Paolo Casavola, storico del Diritto romano, Presidente
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Emerito della Corte Costituzionale, e Presidente
del Comitato Nazionale per la Bioetica dal 2006,
dove continua a distinguersi per le sue posizioni aderenti alle tesi espresse dalla Conferenza
Episcopale Italiana.
La scelta del relatore di questa sessione - forse
la più importante della Conferenza in quanto
comprendeva le tematiche etico-giuridiche su
cui si fonda la famiglia e da cui dipendono le
politiche per la famiglia - non è stata casuale,
dovendo approfondire le premesse e le linee
direttrici della “politica per la famiglia” dell’attuale Governo di centro-sinistra.
Tuttavia la relazione del Presidente Casavola
esprime tesi e proposte di assoluta osservanza
del più retrivo pensiero cattolico. Il perno del
suo intervento è stato il riconoscimento del soggetto giuridico “famiglia”, titolare di diritti e
doveri, e l’annullamento del soggetto “persona/
individuo”, i cui diritti di libertà devono essere
sacrificati di fronte al primato della famiglia.
Questi i punti principali della sua relazione:
La famiglia come persona giuridica a sé stante,
distinta e sovraordinata ai suoi componenti.
“….il sintagma dell’art. 29 «La Repubblica riconosce
i diritti della famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio», va letto e interpretato nella sua interezza. Diritti della famiglia viene comunemente
letto come diritti nella famiglia, vale a dire diritti
di coloro che nell’ambito familiare hanno lo status di
coniuge, genitore, figlio. Si tratterebbe di diritti cui
corrispondono doveri nelle relazioni interpersonali
familiari. Ma questa lettura, nella sua radicale portata individualistica, finisce con il dimenticare che il
riconoscimento della Repubblica ha per oggetto una
comunità originaria, non individui singoli.”
I diritti della famiglia e la negazione della rilevanza delle formazioni sociali ex art. 2 Cost.
“I diritti della famiglia dell’art. 29 della Costituzione non sono riconducibili ai diritti individuali e delle formazioni sociali dell’art. 2.
Nessuna formazione sociale include l’esperienza della persona così totalitariamente, dalla
nascita alla morte, come la famiglia.”
Il diritto all’unità della famiglia, come condizione per la realizzazione dei compiti di ogni
componente.
“Coniugalità, genitorialità, filialità sono modalità
29
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
naturali delle relazioni intrafamiliari, non dettate
dunque da un ordinamento originario e autonomo
del gruppo ai suoi componenti sudditi di una entità
sovraindividuale. Esse incarnano istanze convergenti verso l’unità della famiglia, senza la quale nessuno dei componenti realizza la propria
umanizzazione nella diversità dei compiti e dei
fini peculiari ad ogni status. La traduzione di codeste esigenze etiche dalla naturalità alla giuridicità
produce i diritti della famiglia, dato che questa rivendica dinanzi all’ordinamento come primo diritto quello all’unità. Non a caso il II comma dell’art.
29 completa la definizione del I comma, spiegando:
«Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge
a garanzia dell’unità familiare». “
Il matrimonio come mezzo per realizzare
l’eguaglianza dei cittadini.
“Il modello di famiglia riconosciuto in Costituzione
rifiuta la tradizione civilistica della superiorità del
marito sulla moglie, residuo della concezione romana
del totale assorbimento della famiglia nella figura del
pater. La Costituzione accoglie la valutazione della
coscienza sociale, che non tollera la disuguaglianza
in base alla distinzione di sesso. Il principio generale
di eguaglianza, enunciato all’art. 3, richiama infatti
la pari dignità sociale, cui segue in un’endiadi concettuale la eguaglianza dinanzi alla legge. Nell’art.
29 si ha una specificazione dell’eguaglianza di
tutti i cittadini dinanzi alla legge… Con il matrimonio i coniugi hanno inteso fondare una
famiglia e l’intento comune li fa moralmente
eguali… È il matrimonio «ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità
familiare», il fondamento della famiglia, che ha
come suo predicato l’unità.”
I diritti della famiglia: l’eguaglianza dei coniugi deve essere subordinata alla conservazione dell’unità della famiglia.
“Il principio è l’unità della famiglia, di fronte alla
quale perfino la equiordinazione dei coniugi può
essere ricondotta dalla legge a subordinarsi per
la conservazione dell’unità della famiglia. E
basterebbe questa proposizione del dettato costituzionale a persuadere che la famiglia ha diritti, a cominciare da quello riflessivo a conservarsi come gruppo unito, che non si esauriscono
in quelli individuali dei suoi membri.”
30
AIAF RIVISTA 2007/2
I compiti genitoriali sono realizzabili solo
nell’unità della famiglia.
“Anche se apparentemente tautologico, definire la
famiglia come luogo di unità vale a riconoscere che
ciascuno dei diritti individuali dei componenti la famiglia ha come causa finale il diritto alla famiglia.
L’art. 30, I comma («È dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori dal matrimonio») segnala nell’intreccio di dovere e diritto la soggiacente naturalità della relazione di affetto, altruistico e egoistico insieme. Come
naturalmente i genitori tendono ad adempiere i tre
compiti di mantenere, istruire, educare, altrettanto
naturalmente essi tendono a rivendicarli gelosamente come propri diritti. In un tale circuito il naturale e
il giuridico si identificano, producendo ancora un’altra manifestazione della famiglia come unità.
L’obbligo dei tre compiti è imposto ad ambedue
i coniugi dal matrimonio «tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli» (art. 147 cod.civ.). Le condizioni poste sono realizzabili solo nell’unità
della famiglia, nella forma più concreta in cui
essa si esprime, che è la convivenza dei coniugi
genitori con i propri figli.”
Il primato della famiglia limita l’ambito di libertà dei comportamenti individuali: titolare
dei diritti-doveri ex art. 143 c.c. è la famiglia.
“Dal matrimonio derivano non solo l’obbligo alla
fedeltà reciproca, all’assistenza morale e materiale,
ma anche «alla collaborazione nell’interesse della
famiglia» e alla coabitazione. Così come l’obbligo di
entrambi i coniugi, in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo,
«a contribuire ai bisogni della famiglia» (art. 143
cod.civ.), rende evidente che titolare di quei bisogni e del sistema di diritti-doveri apprestato
a soddisfarli è la famiglia. Se si tratta di fissare
la residenza della famiglia, i coniugi devono tener
conto non solo delle esigenze di entrambi, ma anche di «quelle preminenti della famiglia stessa» (art.
144 cod.civ.). La famiglia è guidata dall’accordo tra
i coniugi. In caso di disaccordo, ciascun d’essi, senza formalità, può rivolgersi al giudice, il quale fissa
la residenza o decide su affari essenziali adottando
«la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze
dell’unità e della vita della famiglia» (art. 145 cod.
civ.). Il coniuge che si allontana senza giusta causa
dalla residenza familiare vede sospeso il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’art. 143
cod.civ. Anche in questa sanzione è palese il prima-
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
to della famiglia, che limita l’ambito di libertà
dei comportamenti individuali.”
Il disagio della coscienza sociale di fronte alla
“mera convivenza”, relazione privata, revocabile e non necessariamente esclusiva.
“Il sistema «diritti della famiglia» ha dunque come
sua fonte il matrimonio. In assenza del matrimonio
quel sistema non si costituisce. Le famiglie non matrimoniali sono riconducibili alle formazioni sociali,
di cui all’art. 2 Cost., non al modello costituzionale
della famiglia matrimoniale dell’art. 29. L’ordinamento rispetta la libertà di scelta delle persone tra
un vincolo pubblico, permanente ed esclusivo, qual
è il legame matrimoniale, e quello di una relazione
privata, revocabile, non necessariamente esclusiva, qual è la convivenza.
La identica naturalità biologica tra le due situazioni, della famiglia matrimoniale e di
quella non matrimoniale, è insufficiente a superare la radicale diversità etica tra un atto di
libertà che si autolimita una volta per sempre
e un atto di libertà che vuole rinnovarsi quotidianamente. Le persone singole e la società sono
poste, nell’un caso e nell’altro, in un tale divario, che
è irragionevole interpretare la scelta non matrimoniale come contestazione sociale, cioè generale, di
quella matrimoniale. Né si attenuerebbe tale pseudocontestazione introducendo legislativamente una famiglia non matrimoniale di rango inferiore a quella
costituzionale.
… Non si può tuttavia tacere che l’esclusività del
modello costituzionale, se da un canto è manifestazione di rispetto della libertà delle persone, dall’altro
non ha forza di confinare nella irrilevanza giuridica
la mera convivenza. Il disagio che ne viene alla
coscienza sociale riguarda soprattutto la relazione genitori-figli, la genitorialità adottiva, il
gruppo monoparentale…“
Il primato dell’etica sul diritto.
“È doveroso riflettere sulla dislocazione di tutta la
problematica della famiglia sulla linea di frontiera
tra diritto ed etica. Non si può chiedere al diritto
quel che deve previamente essere prodotto da
una matura ed alta coscienza etica della società. Il diritto ha bisogno di essere eticamente
fondato per non funzionare come arrendevole
ratifica di tendenze congiunturali della società.
La storia sociale insegna che alla ricerca di assetti
stabili le comunità umane non si dispongono sempre
su itinerari di progresso. La desocializzazione, che
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
sembra minare la cultura occidentale, trova causa
anche nella non accettazione della generosa ed
onerosa solidarietà, richiesta dal corrispondersi di diritti e doveri nella famiglia fondata sul
matrimonio.
Tutto ciò che valga a frenare i processi di desocializzazione è utilmente sperimentabile. Ma priorità
va data a politiche di sostegno alla famiglia
stabilita in Costituzione. E va promossa una
educazione alla famiglia, per salvarla, non con
leggi e sentenze, ma con una libera e critica rivoluzione culturale da insidiosi e potenti cattivi maestri.”
È possibile convergere su queste analisi e proposte?
Forse sarebbe possibile non scivolare “sul piano
inclinato di un’artificiosa e perniciosa contrapposizione tra cattolici e laici”, secondo l’invito del
Presidente Napolitano, se le tesi sostenute da
Casavola e da certa dottrina cattolica non annullassero cinquant’anni di percorso democratico del nostro Paese.
Ben diverso era stato l’intervento introduttivo
del Presidente Napolitano alla Conferenza di
Firenze, quando ha ricordato che la “formulazione sulla famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio”… “già nel dibattito in Costituente
si prestò a diverse interpretazioni. Uno dei maggiori
protagonisti del dibattito, l’on. Aldo Moro sostenne
con la sua inconfondibile finezza e misura, che non
si trattava di una definizione ma di una norma volta a segnare ‘la sfera di competenza dello Stato nei
confronti di una delle formazioni sociali alle quali la
persona umana dà liberamente vita’. Si intese cioè
soprattutto fissare i limiti dell’intervento dello
Stato, alla luce di un’esperienza di invadenze
e costrizioni come quella vissuta nell’era della
dittatura fascista.
…In pari tempo bisogna sempre guardare al dettato
della Costituzione repubblicana in tutte le sue articolazioni. I ‘principi fondamentali’ con cui si apre la
Carta Costituzionale rappresentano naturalmente il
più comprensivo quadro di riferimento: a cominciare
dall’articolo 2 in cui si sanciscono ‘i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità’ e nello stesso
tempo li si vincola all’‘adempimento di doveri inderogabili di solidarietà’; e dall’articolo 3 in cui si afferma la ‘pari dignità sociale di tutti i cittadini’.
Poi, nella specifica determinazione dell’articolo 29,
31
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
il matrimonio, di cui peraltro l’Assemblea non volle sancire l’indissolubilità, viene posto come fondamento giuridico privilegiato di una unione che poggi
sull’eguaglianza dei coniugi e possa assolvere missioni come quella di ‘mantenere, istruire ed educare
i figli’, contando su un impegno di promozione e di
sostegno da parte della Repubblica.
Per collocare l’elaborazione della Costituzione nel
suo contesto storico, è molto importante ricordare
come l’analisi da cui si partì nelle prime relazioni in
Commissione si fosse concentrata sulle lacerazioni
provocate nella famiglia dalla guerra allora appena
conclusa, sui fattori di crisi dell’unità famigliare,
sulla necessità di rafforzare quel ‘nucleo primordiale’ di operosa solidarietà per ricostruire il paese. Ma
si posero con forza, nello stesso tempo, esigenze di
profondo rinnovamento della famiglia anche e soprattutto dal punto di vista della posizione e della
condizione della donna. Si iniziò così un cammino
molto lungo. I principi - in primo luogo quello
dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi - indicati nella Costituzione sarebbero stati
compiutamente attuati solo trent’anni dopo,
nell’aprile del 1975, con la grande conquista
della riforma del diritto di famiglia”.
Il Presidente della Repubblica ha quindi sottolineato nel suo intervento che oggi occorre
guardare alla “famiglia reale, quale si è venuta
configurando negli ultimi tempi in Italia…”,
perché “è già in piena evidenza la portata di
certi dati e di certe tendenze. Si è dinanzi a
forme famigliari nuove mai tanto presenti nel
nostro paese: coppie non unite in matrimonio,
coppie senza figli, madri e padri single, coppie
anziane - fenomeni che, tutti, riflettono non
solo cambiamenti nel costume ma mutazioni
profonde nella struttura demografica e tensioni molteplici nella società. Pesano le difficoltà
che le donne incontrano nel combinare lavoro e
cura della famiglia, pesano le condizioni economiche delle famiglie più povere o meno abbienti.
C’è da adottare un insieme di politiche per incentivare la formazione della famiglia - come già
disse la Costituzione - per sostenere il desiderio
di paternità e di maternità, per elevare il tasso
di occupazione femminile e rendere possibile la
combinazione tra vita lavorativa e vita famigliare in una parità ed eguaglianza di doveri e
di impegni tra i coniugi; c’è da sostenere i genitori nella crescita, nella cura e nell’educazione
32
AIAF RIVISTA 2007/2
dei figli, c’è da assistere in special modo le famiglie che vivono conflitti e gravi disagi.”
L’esito del dibattito nei gruppi di lavoro evidenzia tuttavia che le parole del Presidente Napolitano, che richiamavano la realtà dei bisogni delle persone e della famiglia, sono state interpretate per motivare soprattutto tesi ideologiche.
Così dall’intervento del Presidente Casavola ha
preso le mosse il dibattito dei gruppi di lavoro
della sessione FAMIGLIA E DIRITTI, al termine del quale il Prof. Renato Balduzzi (Ordinario di Diritto costituzionale, Presidente del
MEIC - Movimento ecclesiale di impegno culturale, e dal maggio 2006 consigliere giuridico
del Ministro delle politiche per la famiglia) ha
redatto una relazione in cui emergono questi
punti:
• ammettere i diritti della famiglia comporta precisarne la natura e in particolare la
struttura: in tale direzione va individuata la
ricerca dei LEF - livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti della famiglia;
• va individuata la priorità delle politiche
promozionali di tali diritti: gli interventi sul
tema dell’abitazione, dei servizi per la prima
infanzia, il sostegno economico anche attraverso la politica fiscale, le iniziative per contribuire a contrastare la non autosufficienza;
si tratta, in applicazione del principio di
sussidiarietà specialmente orizzontale, di
realizzare politiche per la famiglia che siano, altresì, politiche con la famiglia; va conseguentemente valorizzata la soggettività
familiare, il suo carattere di gruppo unitario
di comunità che si accompagna alla valorizzazione dell’associazionismo familiare;
• si deve avviare una evoluzione dei servizi
consultoriali in veri e propri centri per la
famiglia, primo tassello organizzativo dei
livelli essenziali (LEF);
• occorre prevenire le “patologie dell’organismo familiare”, ed in tale prospettiva i centri
per la famiglia andranno strutturati in modalità e forme tali da valorizzare e costituire
un momento forte, ad esempio, potenziando
i servizi di tipo psico-sociale e quelli di consulenza legale;
• indifferibile è apparsa la istituzione di un unico giudice specializzato per la famiglia, che,
oltre alla razionalizzazione ed al riordino di
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
competenze attualmente disperse, recuperi la
peculiarità della giurisdizione della persona e
della famiglia come giurisdizione dell’ascolto, come giudice prossimo ed amico.
Lo stesso filo conduttore ideologico è emerso
nella sessione LA FAMIGLIA CHE ACCOGLIE, laddove la relatrice Dott.ssa Giulia De
Marco, Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, ha affermato che “…Una risposta
alla pluralità di bisogni può essere offerta anche da
una pluralità di famiglie riunite in cooperative
o in associazioni. Esse infatti si presentano ai Servizi come una risorsa polifunzionale e strutturata, costituita da famiglie con caratteristiche di accoglienza diversificate, fornita anche di propri esperti,
organizzata in termini di tempo e di servizi così da
garantire autonomamente la piena realizzazione del
progetto. Una rete di famiglie che trae dall’essere
parte di un’associazione la forza, la consapevolezza e
il sostegno necessari ad affrontare anche affidi particolarmente complessi. All’interno di queste “Centrali per l’affidamento” come un associazione ha
amato definirsi potrebbero trovare posto anche servizi come il semiconvitto, servizi di baby parking, aiuto domiciliare, educativo assistenziale, residenzialità
temporanea o di sollievo. L’associazione, grazie alla
sua organizzazione e alla sua struttura composita,
si presta particolarmente a prendere in carico anche
famiglie di origine particolarmente problematiche da
accompagnare nel superamento delle difficoltà.
Da alcuni si è suggerito di riconoscere alle
Associazioni non il ruolo di mediatori fra
Servizi e famiglie affidatarie ma quello di
soggetti sociali che assumono in proprio la
responsabilità e la gestione degli affidamenti. Il
minore sarebbe quindi affidato all’associazione
che ne risponde tanto nei confronti della
famiglia di origine quanto nei confronti dei
Servizi. Si è anche sostenuto che un simile ruolo
attivo e in prima persona potrebbe essere assunto dalle
Associazioni limitatamente ai casi di affidamenti
consensuali, quando cioè non ci sia una pronuncia
del giudice limitativa della potestà ma un’auto
limitazione da parte dei genitori. Questa ipotesi
merita indubbiamente attenzione anche perché,
le reti di famiglie che si prestano all’accoglienza
costituiscono “quella soluzione originale che pone
un ponte reale tra l’affido familiare e la comunità di
accoglienza classica”.
Esistono tuttavia dei nodi critici, certamente
superabili ma che meritano di essere
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
evidenziati.
Se l’Associazione si pone come interlocutore
diretto dei Servizi, quale spazio avranno i
Servizi nella scelta della famiglia cui affidare
il bambino? Chi deciderà se l’affidamento
deve essere prorogato? Chi deciderà in caso
di contrasti fra la famiglia e l’Associazione
nella valutazione dell’interesse del minore?
È legittimata l’Associazione a decidere
autonomamente la sostituzione della famiglia
affidataria?…”
Analogo orientamento ideologico ha assunto il dibattito su altre tematiche trattate dalle
sessioni FAMIGLIA E RESPONSABILITÀ
EDUCATIVE (dove si è sottolineato che la
famiglia è una risorsa pubblica, che deve diventare interlocutore privilegiato delle altre
agenzie educative del Paese, in grado di esprimere le proprie responsabilità e le proprie attese…. l’educazione alla genitorialità deve partire
dalle esigenze formative della famiglia, dalla
funzione educativa della famiglia… c’è un diffuso bisogno di momenti di socializzazione
interfamiliare e di formazione degli adulti), e
dalla sessione FAMIGLIA E WELFARE (si è
detto che occorre “valorizzare la dimensione familiare del welfare”, “mettere a fuoco, in relazione
alle domande e ai bisogni della famiglia, le risposte
più adeguate nel campo dei servizi all’infanzia e alla
famiglia, fino ad oggi assolte in modo insufficiente
dai consultori familiari.”).
Quanto alla risposta al fenomeno crescente dei
maltrattamenti in famiglia, soprattutto contro
i soggetti deboli, minori e donne, che sfociano
sempre più spesso in gravi fatti di sangue, i lavori della sessione FAMIGLIA, VIOLENZA E
RIPARAZIONE sono stati orientati a indagare
non solo e non tanto le dimensioni e la tipologia
della violenza che si consuma tra le mura domestiche quanto la possibilità che la famiglia
possa diventare luogo di prevenzione e riparazione, con il sostegno di una rete di servizi, che
i gruppi di lavoro hanno individuato in primo
luogo nei centri per la famiglia.
I lavori e le conclusioni della Conferenza Nazionale della Famiglia fanno ben comprendere
le ragioni e le cause che impediscono in questo Paese di adottare delle riforme legislative
che tutelino i diritti delle persone, che in altri
33
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Paesi europei già sono sanciti da decenni.
Ricordo solo alcune questioni che da tempo
sono all’esame del Parlamento e delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato: famiglia di fatto, cognome dei figli, fecondazione
assistita, testamento biologico.
Come non ricordare poi l’esigenza di una riforma sostanziale e processuale della separazione
e del divorzio, prevedendone la scelta alternativa in casi particolari, l’abbreviazione dei termini
del divorzio, la modifica della normativa sulla
comunione legale dei beni; l’esigenza di un giudice unico specializzato per i procedimenti di
famiglia e minorili, che da sempre l’AIAF identifica con le sezioni specializzate da istituirsi
presso il tribunale ordinario, e non certo in un
altro tribunale speciale (il “tribunale per la famiglia”) che si propone di essere un “amico”!
Questioni da anni irrisolte che corrispondono a reali esigenze delle persone e della famiglia… ma le “politiche per la famiglia” del Governo Prodi sembrano aver imboccato un’altra
strada…
* MEMBRO GIUNTA ESECUTIVA AIAF
34
AIAF RIVISTA 2007/2
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
CONFERENZA
NAZIONALE DELLA FAMIGLIA
DOCUMENTI
DELLA
FIRENZE, 24-26 MAGGIO 2007
MATERIALE STAMPA PUBBLICATO SUL SITO WWW.CONFERENZANAZIONALESULLAFAMIGLIA.IT
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
GIORGIO NAPOLITANO
FIRENZE, 24 MAGGIO 2007
H
o accolto volentieri il cordiale invito del
ministro Bindi, perché vedo in questa
Conferenza una iniziativa di interesse
generale e di rilievo istituzionale: l’occasione
non solo per illustrare orientamenti e obbiettivi
dell’azione di governo ma per chiamare tutte le
componenti della società italiana a un impegno
che oggi ancor più di ieri appare ineludibile.
Parlo dell’impegno a favorire e sostenere la piena affermazione dei valori, delle risorse, delle
missioni della famiglia.
È, come sapete, un impegno già sancito, sessant’anni or sono, nella Costituzione repubblicana, in quella sua prima parte che non è stata
mai messa in questione da nessuno schieramento politico, che può dunque ritenersi sempre condivisa, e che di certo gli italiani hanno
mostrato, nel referendum dello scorso anno, di
voler mettere al riparo da ogni rischio di manipolazione insieme con gli equilibri istituzionali
su cui si regge l’ordinamento della Repubblica.
Il richiamo alla stagione dell’Assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946, in uno con la
scelta tra monarchia e repubblica, rappresenta
più che mai una fonte preziosa di ispirazione
e riflessione, in quanto richiamo a un esempio
ineguagliato di sintesi politica sostenuta da un
profondo retroterra di riferimenti culturali e di
analisi sociali. È quel che conferma anche il rinvio alla gestazione degli articoli sulla famiglia.
Si confrontarono allora diverse scuole di pensiero, anche e in particolare storico-giuridico,
che confluirono, non senza contrasti e riserve,
in quella formulazione sulla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, che già
nel dibattito in Costituente si prestò a diverse
interpretazioni. Uno dei maggiori protagonisti
del dibattito, l’on. Aldo Moro, sostenne con la
sua inconfondibile finezza e misura, che non
si trattava di una definizione ma di una norma
volta a segnare “la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni
sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita”. Si intese cioè soprattutto fissare
i limiti dell’intervento dello Stato, alla luce di
un’esperienza di invadenze e costrizioni come
quella vissuta nell’era della dittatura fascista. E
lo stesso Moro volle chiarire che con la formula
“società naturale” non si voleva affermare che
“la famiglia fosse una società creata al di fuori
di ogni vincolo razionale ed etico”, né escludere
che essa avesse “un suo processo di formazione
storica”.
La discussione che ebbe luogo nella Costituente può apparire datata solo se si sia incapaci di
collocarla nel suo tempo storico; essa rimane
illuminante per non cadere in interpretazioni
parziali di ogni singola formulazione costituzionale. In pari tempo bisogna sempre guardare al dettato della Costituzione repubblicana in
tutte le sue articolazioni.
I “principi fondamentali” con cui si apre la Carta Costituzionale rappresentano naturalmente il più comprensivo quadro di riferimento: a
cominciare dall’articolo 2 in cui si sanciscono “i
diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e nello stesso tempo li si vincola all’
“adempimento di doveri inderogabili di solidarietà”; e dall’articolo 3 in cui si afferma la “pari
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NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
dignità sociale di tutti i cittadini”.
Poi, nella specifica determinazione dell’articolo
29, il matrimonio, di cui peraltro l’Assemblea
non volle sancire l’indissolubilità, viene posto
come fondamento giuridico privilegiato di una
unione che poggi sull’eguaglianza dei coniugi e
possa assolvere missioni come quella di “mantenere, istruire ed educare i figli”, contando su
un impegno di promozione e di sostegno da
parte della Repubblica.
Per collocare l’elaborazione della Costituzione
nel suo contesto storico, è molto importante ricordare come l’analisi da cui si partì nelle prime relazioni in Commissione si fosse concentrata sulle lacerazioni provocate nella famiglia
dalla guerra allora appena conclusa, sui fattori
di crisi dell’unità famigliare, sulla necessità di
rafforzare quel “nucleo primordiale” di operosa solidarietà per ricostruire il paese. Ma si posero con forza, nello stesso tempo, esigenze di
profondo rinnovamento della famiglia anche e
soprattutto dal punto di vista della posizione e
della condizione della donna.
Si iniziò così un cammino molto lungo. I principi - in primo luogo quello dell’eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi - indicati nella
Costituzione sarebbero stati compiutamente attuati solo trent’anni dopo, nell’aprile del 1975,
con la grande conquista della riforma del diritto
di famiglia. Fu una riforma per cui non a caso
lavorarono insieme negli anni, contribuendo a
costruire un largo consenso finale, figure femminili e parlamentari di alto livello, portatrici
di diverse tradizioni culturali, come Nilde Iotti
e Maria Eletta Martini. Disse significativamente
la Martini che con la riforma ci si adeguò alla
Costituzione e insieme ai tempi nuovi. Tempi
scanditi dai mutamenti intervenuti nella coscienza popolare, in modo particolare nella coscienza delle donne, nella concezione del rapporto tra i coniugi e del rapporto tra genitori
e figli, associando agli stessi diritti i figli nati
nel matrimonio e fuori del matrimonio. Tempi
nuovi anche nel senso - sottolineò la Iotti - del
crescere di un bisogno di solidarietà: quella solidarietà, in primo luogo, che nella unione famigliare si esprime e realizza.
Negli stessi anni, furono egualmente frutto di
un processo di trasformazione prodottosi nella
società e nella stessa famiglia italiana, le leggi
sul divorzio e sull’aborto. Ebbene, continuo a
ritenere che prendendo come quadro di riferi-
36
AIAF RIVISTA 2007/2
mento principi e valori della Carta Costituzionale, rivisitati nei loro presupposti ideali e culturali, nei loro rapporti con l’epoca in cui vennero definiti, e nella loro complessiva coerenza,
si possa giungere oggi a soluzioni condivise - a
soluzioni comunque non rese più difficili da impropri spartiacque ideologici e politici, di fede o
di opposta convinzione - per i problemi attuali
della famiglia.
Della famiglia reale, quale si è venuta configurando negli ultimi tempi in Italia. Se ne puntualizzerà l’analisi in questa Conferenza, ma è
già in piena evidenza la portata di certi dati e di
certe tendenze. Si è dinanzi a forme famigliari
nuove mai tanto presenti nel nostro paese: coppie non unite in matrimonio, coppie senza figli,
madri e padri single, coppie anziane - fenomeni
che, tutti, riflettono non solo cambiamenti nel
costume ma mutazioni profonde nella struttura
demografica e tensioni molteplici nella società.
Pesano le difficoltà che le donne incontrano nel
combinare lavoro e cura della famiglia, pesano
le condizioni economiche delle famiglie più povere o meno abbienti. Troppe famiglie sono poste nell’impossibilità di crescere e di assolvere
funzioni essenziali. In particolare, di fronte al
travaglio che esprimono le generazioni più giovani e al manifestarsi di tendenze inquietanti
sul piano del costume e della convivenza democratica, si avverte oggi un assoluto bisogno
della famiglia come centro di educazione civile.
Ma occorre a tal fine che si elevi la condizione
materiale e morale della famiglia italiana, e che,
naturalmente, si favorisca la creazione di sempre nuove famiglie.
Non si può fare affidamento solo sulla natalità
delle famiglie di immigrati, che pure è importantissimo integrare effettivamente nel nostro
sistema di diritti e di responsabilità. C’è da
adottare un insieme di politiche per incentivare la formazione della famiglia - come già disse
la Costituzione - per sostenere il desiderio di
paternità e di maternità, per elevare il tasso di
occupazione femminile e rendere possibile la
combinazione tra vita lavorativa e vita famigliare in una parità ed eguaglianza di doveri e di
impegni tra i coniugi; c’è da sostenere i genitori
nella crescita, nella cura e nell’educazione dei
figli, c’è da assistere in special modo le famiglie
che vivono conflitti e gravi disagi.
L’impegno per un deciso balzo in avanti nello
sviluppo delle politiche pubbliche rivolte alla
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
famiglia, non nasce con questa Conferenza. Un
inventario di temi e un indirizzo concreto di
azione furono già illustrati dal ministro Bindi in
Parlamento nel luglio dello scorso anno.
Uno sforzo notevole di riflessione e di proposta
è stato compiuto dalla Commissione Affari Sociali della Camera, in uno spirito di condivisione maggiore di quel che abbiano mostrato i distinguo finali sull’approvazione del documento
conclusivo. E ora, il ricco programma di sessioni
tematiche previsto per questa Conferenza, sulla
base della relazione che sarà di qui a poco svolta dal Ministro della Famiglia, disegna uno scenario largamente rappresentativo dei problemi
da affrontare e delle scelte da compiere.
C’è ampio spazio per un confronto costruttivo,
per una schietta emulazione, anche, sul piano
delle analisi e delle proposte, e in definitiva
per una ricerca di risposte che non dividano il
paese, che non scivolino sul piano inclinato di
un’artificiosa e perniciosa contrapposizione tra
cattolici e laici. La ricerca deve vedere impegnati
il Parlamento, le istituzioni rappresentative dello Stato democratico nel pieno e sereno esercizio dell’autonomia sancita dalla Costituzione e
nell’attento e serio ascolto delle preoccupazioni
e dei contributi di pensiero che possono venire
dalla Chiesa e dalle organizzazioni cattoliche,
come da ogni altra componente della società
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
civile.
È solo parte del discorso pubblico sulla famiglia, la soluzione - che comunque non può essere elusa - dei problemi per quanto delicati di un
riconoscimento formale dei diritti e dei doveri
di unioni che non sono confondibili o equiparabili rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, ma che vanno concretamente assunte
come destinatarie dei principi fondativi della
Costituzione senza alcuna discriminazione.
Ben comprendendo come tutte le solidarietà e le
corresponsabilità che nascano da stabili rapporti di affetto e di reciproco rispetto, costituiscano
una realtà da considerare significativa sotto il
profilo della convivenza civile e della coesione
sociale.
È in questo spirito che indirizzo un caldo, amichevole apprezzamento al ministro Bindi per lo
scrupolo e la limpidezza di cui è testimonianza
questa Conferenza, e a voi tutti il più sincero
augurio di successo per i lavori cui vi accingete. Fin dall’inizio del mio mandato, ho ritenuto
che fosse mio preciso compito e dovere istituzionale, mettere l’accento su quel che dovrebbe
e che può unire il paese. Non dubito che tale
sia la prospettiva dell’impegno pubblico per
la famiglia, attento alla realtà del nostro paese
e all’evoluzione del sistema comunitario e del
processo di costruzione dell’Europa unita.
INTERVENTO DEL MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIA
ON. ROSY BINDI
FIRENZE, 24 MAGGIO 2007
S
ignor Presidente, autorità, signore e signori, mi consenta Presidente di esprimere la
mia gratitudine personale, del Governo e di
tutti i presenti. Il mio saluto è rivolto a Lei, alla
Sua presenza che rappresenta l’unità del nostro
Paese e nello stesso tempo è il segno concreto di
una nuova e particolare attenzione alla vita delle famiglie italiane. Nella Sua persona le salutiamo tutte. Ma voglio, altresì, ringraziare per tutti
il Sindaco di Firenze, questa meravigliosa città,
questa regione, che ci accolgono con l’ospitalità
che è di sempre.
Un grazie particolare anche al Cardinale Antonelli, Pastore della Chiesa fiorentina, per la sua
presenza, per l’attenzione che ha voluto riserva-
re a questa iniziativa sulla famiglia che il Governo italiano ha organizzato con tanta attenzione,
ma anche con tante speranze.
1 - LA FAMIGLIA UNISCE E NON DIVIDE
Questa Conferenza nazionale è stata voluta dal
Governo con l’obiettivo di predisporre il Piano
nazionale per la famiglia, affinché la politica e le
politiche pongano al centro le famiglie italiane
con i loro problemi ma soprattutto con la loro
capacità di essere una risorsa per l’intero paese.
Per la prima volta nel governo è stato inserito un
ministro delegato esclusivamente alle politiche
per la famiglia, dove il “per” esprime non sol-
37
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
tanto l’oggetto materiale delle sue competenze,
ma soprattutto le finalità della sua attività: promuovere la famiglia, secondo le indicazioni costituzionali, racchiuse negli articoli 29, 30 e 31.
Questo è il nostro orizzonte comune, che tanto bene ci è stato ora ricordato dal Presidente,
da qui noi prendiamo le mosse, perché esso ci
permette di superare le discussioni paralizzanti
sul significato e sul contenuto etico e giuridico
della parola famiglia.
Questo terreno condiviso sta alla base della nostra Conferenza: la famiglia è una comunità,
una unità di persone che è chiamata a essere
luogo di formazione, nella mutualità e nella reciprocità, della personalità di ciascuno. Nucleo
fondamentale della società, la famiglia a cui ci
riferiamo è quella dell’articolo 29 della Costituzione, frutto del pensiero e del lavoro dei nostri
costituenti, i quali - pur così diversi per cultura
e concezione del mondo- seppero trovare una
sintesi felice. La formulazione letterale dell’art.
29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, non implica alcuna contrapposizione tra
diritti della famiglia e diritti dei singoli.
Nella prassi politica c’è sempre stata una diffusa timidezza nell’attuazione di questo articolo,
forse dettata dalla preoccupazione, costituzionalmente infondata, che il riconoscimento dei
diritti della famiglia potesse legittimare situazioni normative in contrasto con i diritti inviolabili della persona.
In realtà non c’è ragione, né culturale né politica né costituzionale di continuare ad avanzare
pregiudizi verso i diritti del gruppo familiare
che anzi, anche alla luce dell’art. 2 della Costituzione e del principio personalistico a cui si
ispira, appaiono funzionali alla tutela dei diritti
della persona.
E se concordano orientamento costituzionale,
senso comune, riflessione etica e poesia, penso per tutti al Cantico dei cantici che è appena
stato interpretato per noi, forse possiamo essere
tutti meno timidi nel fare nostra questa opzione
antropologica.
È ora di liberare il dibattito dalle contrapposizioni politiche e dalle strumentalizzazioni reciproche. Perché è proprio nella realtà vera e vissuta
delle famiglie italiane, nei loro bisogni dichiarati
e nelle loro difficoltà inespresse, nei mutamenti
culturali che la rendono sempre più complessa,
che vogliamo individuare le nostre politiche.
38
AIAF RIVISTA 2007/2
Servire - come chiede ogni responsabilità politica e di Governo - le famiglie italiane, tutte le famiglie nella multiforme realtà della loro esistenza quotidiana - presuppone tuttavia che questo
valore non abbia un confine labile e incerto.
La famiglia non è un concetto liquido, adattabile
a qualunque situazione. Qualunque sia l’immagine che ciascuno di noi porta con sé, la famiglia
resta un bene essenziale e insostituibile per la
persona e la società. È il luogo privilegiato dove
convivono, nella reciprocità, affetti, progetti,
sensibilità, debolezze e potenzialità. Anche il
gran parlare di crisi o meglio di trasformazione
della famiglia indica, non tanto il venir meno
delle ‘ragioni’ della famiglia quanto, l’esigenza
di rimotivare e rilanciare il bisogno di famiglia
della nostra comunità.
Si fa unità e si unisce il paese se nella consapevolezza del pluralismo presente nella società sapremo affermare insieme al primato della
persona, la soggettività della famiglia.
Credo che passi anche di qui la sfida dell’autentica laicità, che non è assenza di valori, non è indifferenza di fronte alle grandi questioni etiche
che attraversano la nostra società e la coscienza
delle persone, non è contrapposizione tra visioni pluraliste della vita e complessità della realtà, ma è ricerca infaticabile di sintesi attraverso
il dialogo e il confronto.
È con questa consapevolezza che il governo ha
presentato alcuni mesi fa il disegno di legge sui
diritti e i doveri individuali delle persone stabilmente conviventi. Quel disegno di legge, ora affidato alle Camere, riconosce ai conviventi alcuni diritti e doveri personalissimi, con lo scopo di
valorizzare i vincoli di solidarietà e di tutelare
la parte più debole. Il Governo non ha mai voluto intaccare il plusvalore della famiglia fondata
sul matrimonio, ma al tempo stesso non ha voluto discriminare i diritti delle persone in base
alle scelte di vita, né creare una nuova situazione giuridica paragonabile ad un matrimonio di
serie B.
Non siamo comunque sordi alle preoccupazioni e anche al dissenso che si è manifestato verso
questa proposta.
Due sono le intenzioni che non possono essere
rimosse: il riconoscimento dei diritti dei conviventi, che nessuno mi pare vuole negare, e la
salvaguardia della famiglia così come la Costituzione la disegna. Se vi è la condivisione di
queste intenzioni, io credo che gli strumenti si
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
possono trovare attraverso il confronto e il dialogo, in vista di una sintesi originale che possa
fare il bene delle persone e della nostra comunità civile.
Ma questa Conferenza che ha a cuore il bene
della famiglia, e se tutti la poniamo veramente
al centro del nostro impegno, ebbene, proprio
per questo, dobbiamo cercare le cause vere e
profonde che mettono a rischio la tenuta della
famiglia.
2 - LA REALTÀ DELLE FAMIGLIE
Guardiamoci attorno, dunque, con più libertà
e lucidità di giudizio, e cerchiamo di leggere i
mutamenti che attraversano la famiglia e di coglierne le cause.
Non presenterò una fotografia dettagliata della situazione demografica del paese né intendo
soffermarmi in un’analisi sociologica delle trasformazioni in atto.
Troverete un ampio materiale - dati e dossier,
curati per questa occasione dall’Istat e dal Censis che ringrazio - che offriamo a tutti come una
solida base di conoscenza da cui partire nei lavori delle sessioni e dei gruppi. Mi limito a tracciare per sommi capi le linee di tendenza.
La specificità italiana ormai non è tanto la “bassa
fecondità” ma la “persistente bassa fecondità”
che va avanti da vent’anni. Nonostante il recente aumento delle nascite, continuiamo ad essere
uno dei paesi che fa meno figli. Il numero medio
di figli per donna è attualmente pari a 1,35.
Eppure tutte le indagini dicono che in media le
coppie italiane desiderano più di due figli. Nei
prossimi decenni, ed è questa la conseguenza
demografica più evidente, si avrà uno crollo
della popolazione in età lavorativa maggiore
rispetto agli altri paesi. Da qui al 2040, in particolare, avremo 7 milioni di anziani in più e 7
milioni di persone in età lavorativa in meno.
La popolazione invecchia, aumenteranno ancor
di più i grandi vecchi. Gli anziani con oltre 80
anni, che sono già due milioni e mezzo, sono
destinati a triplicarsi entro il 2050 e una parte
molto rilevante non sarà in condizione di autosufficienza.
Tra questi due estremi c’è la famiglia italiana.
Sempre più piccola sempre più anziana. Si forma sempre più tardi, fa pochi figli e li trattiene a
casa anche quando diventano adulti. Ha poche
donne che lavorano e grande difficoltà a conci-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
liare i tempi del lavoro e degli affetti.
Sono primati infelici che ci accompagnano da
poco tempo, che frenano la crescita del Paese e
non ci mettono al passo con il resto dell’Europa.
Sappiamo, inoltre, che i ragazzi che tentano di
uscire di casa per affrontare una vita autonoma e una vita di coppia, spesso sono costretti a
tornare dai genitori respinti dalla instabilità del
lavoro, e dagli affitti esorbitanti.
Sappiamo che l’instabilità coniugale è in forte
aumento. Ci si sposa sempre di meno, aumentano le convivenze prematrimoniali e non, mentre crescono separazioni e divorzi.
Ma, sia chiaro, noi non sosteniamo la fine della famiglia. Vorremmo piuttosto capire in che
modo, salvaguardando lo spazio inviolabile
delle scelte più intime e personali, la politica
può sostenere e promuovere la famiglia.
Quanti giovani convivono perché hanno fatto
una scelta di libertà e quanti invece aspettano e
rinviano il matrimonio per ragioni economiche
o di organizzazione del lavoro? Quante famiglie si fermano al primo figlio perché va bene
così e quante rinunciano al secondo o al terzo
perchè non hanno abbastanza soldi e non gli si
può chiedere di affrontare da sole nuovi sacrifici e nuove rinunce? E quante coppie si separano con una decisione libera e meditata e quante
perché la durezza della vita, le sofferenze e le
inquietudini personali li hanno colte indifese e
impreparate? So bene che si tratta di una materia molto delicata, che va maneggiata con cura e
pudore, ma sentiamo il dovere di rispondere a
queste domande.
Solo così potremo indicare i sostegni più opportuni, gli strumenti più efficaci e una politica
per la famiglia all’altezza delle sfide del nostro
tempo.
Siamo infatti convinti che, nonostante tutto, le
famiglie italiane siano la dorsale viva di questo paese, lo straordinario capitale sociale di
energie, fiducia, lealtà, stabilità, socialità che
alimentano e rigenerano il legame sociale e la
coesione del paese.
Voglio per questo, ringraziare anche a nome di
tutti, le famiglie italiane.
Quelle famiglie di ieri e di oggi che in mille modi
si sono fatte e si fanno carico di rendere più vivibile e solidale la nostra società: si dedicano
all’educazione dei figli, danno conforto e curano
anziani e malati, e fanno la ricchezza del Paese.
39
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Ringrazio in particolare le famiglie che accolgono in affidamento e in adozione bambini e bambine in difficoltà o abbandonati.
Ma anche e soprattutto vorrei far sentire la vicinanza del Governo alle tante, troppe, famiglie
fragili e a quelle povere.
Infine questa Conferenza saluta le famiglie italiane nel mondo, che hanno dovuto lasciare il
nostro paese. La loro esperienza ci è preziosa
per ricordare il dramma dell’emigrazione e per
farci riconoscere una storia simile nelle persone
e nelle famiglie immigrate che arrivano oggi nel
nostro paese e che noi consideriamo una grande risorsa..
Tutte queste famiglie affrontano un mondo che
in pochi decenni è cambiato più di quanto abbia
fatto nel corso dei due secoli precedenti. Si misurano con la potenza della globalizzazione, le
incertezze e la flessibilità del lavoro e della produzione, con l’invasività dei mezzi di comunicazione di massa, con gli sviluppi della medicina e
della scienza che hanno influenza sull’etica, con
le tecnologie sempre più avanzate che rischiano
di lasciare indietro i più deboli e i più anziani.
E come accade spesso, la politica appare in ritardo.
Finora le politiche hanno sempre considerato
separatamente i vari “comparti del vivere” e le
“diverse fasi della vita”. La ricomposizione di
un equilibrio (spesso incerto) è stato ed è tuttora demandato alla famiglia stessa e ai suoi
componenti, con i genitori costretti a conciliare
le esigenze produttive (il tempo del lavoro) con
quelle riproduttive (il tempo della cura dei figli)
e talvolta con quelle assistenziali (il tempo delle
malattie, della vecchiaia,).
Eppure abbiamo una buona tutela della maternità, buone leggi sull’infanzia, sui diritti delle
donne e dei lavoratori. Il sistema di garanzie
sociali: la scuola, la sanità, la previdenza, assicurano prestazioni competitive con il resto
dell’Europa.
Ma raramente la famiglia, in quanto tale, appare come soggetto di diritti ed è messa in circolo
come risorsa. Anzi ha finito in tutti questi anni
per giocare un ruolo di supplenza in molte responsabilità pubbliche. Con creatività e generosità ha colmato i vuoti e ricucito le smagliature
che via via si sono aperti nel nostro sistema di
welfare, sotto l’effetto combinato di nuovi modelli di organizzazione del lavoro e dei nuovi
squilibri demografici.
È stato detto molte volte, è un’espressione che
40
AIAF RIVISTA 2007/2
non mi piace, ma c’è poco da fare: la famiglia è
stata ed è il più efficace ammortizzatore sociale,
la più capillare rete di sicurezza sociale, di cui
dispone l’Italia.
Questo è un compito che non può più essere affidato solo alla pazienza, alla fantasia e allo spirito di sacrificio di milioni di famiglie italiane.
3 - LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLE SFIDE DI
OGGI
Tanto più che oggi le famiglie sono al crocevia
di tre grandi questioni culturali e sociali.
Penso in particolare alla responsabilità educativa del mondo adulto verso le nuove generazioni, alla solidarietà tra le generazioni, alla sfida
della società multiculturale.
Credo che queste tre responsabilità qualificano,
più di altre, i compiti della famiglia nel nostro
tempo. E più di altre segnalano le nuove difficoltà ma anche grandi potenzialità delle nostre
famiglie.
La responsabilità educativa
Non vi è dubbio che oggi ci sia una generale esigenza di riflettere e di ridefinire cosa significhi
esercitare il ruolo educativo degli adulti. Non
voglio parlare di una resa delle responsabilità
genitoriali, né condivido l’enfasi e la drammatizzazione che accompagna i casi di devianza,
di bullismo e violenza minorile. Non sfugge a
nessuno l’emergenza educativa, la solitudine di
tante famiglie, la fatica di genitori e insegnati.
Ma c’è da chiedersi se oggi siamo di fronte ad
una nuova “questione giovanile” o non piuttosto ad una inedita “questione adulta”.
Il classico conflitto genitori-figli sembra scomparso e i genitori appaiono figure amiche, alla
pari, spesso complici nella competizione negli
stili di vita e nei consumi con i propri figli. Troppe incertezze e troppe ansie, assediano mamme
e papà in questo compito, davvero delicato e
inestimabile.
Ansia rispetto alle proprie aspettative, ansia di
essere genitori perfetti, ansia sulle performance
dei propri figli e soprattutto per i rischi che possono correre nel mondo esterno.
I tempi della crescita sono stravolti, si anticipano bisogni e richieste ed è sempre più faticoso
dire di no, dettare le regole, imporre dei limiti.
Registro la fatica di tante famiglie nell’accompagnare con più autorevolezza e naturalezza, la
crescita e la maturazione dei figli.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
Chiediamoci allora, come sostenere la normalità della relazione tra genitori e figli. Credo che
sia arrivato il momento di un nuovo patto educativo tra scuola e famiglia, ma è anche necessario che i genitori abbiano più tempo per stare
con i figli e tutta la cultura compresa quella dei
mezzi di comunicazione di massa sia disposta
ad accompagnare questa sfida.
Solidarietà tra le generazioni
Di fronte ai cambiamenti che abbiamo delineato, il nostro modello di welfare, elaborato su
una struttura demografica diversa, si è trovato
impreparato. Pensiamo soltanto al fatto che ieri
un nonno aveva cinque nipoti mentre oggi un
nipote ha cinque nonni! È chiaro che questo Governo non intende fare delle politiche miopi che
mettano i padri contro i figli. Nostro obbiettivo
è quello e di creare le condizioni per tessere unità tra le generazioni, varare delle riforme coraggiose e ridistribuire risorse. Ed è necessario che
tutto questo abbia come interlocutore la famiglia, luogo di incontro reale tra le generazioni.
Dobbiamo valorizzare ogni generazione, in
modo particolare quella degli anziani, non soltanto perché sono utili in quanto restano nel
mondo produttivo, ma perché assumono un
ruolo significativo nella cura dei bambini piccoli, dei nipoti adolescenti, di compagnia per altri
anziani, di appoggio per la coppia genitoriale.
Queste sono funzioni preziose che dovrebbero
essere in qualche modo riconosciute e valorizzate socialmente. Una società “smemorata”, in
cui si scolora lo scambio tra generazioni, è una
società più povera e più esposta al cinismo.
Altra nostra preoccupazione riguarda la generazione che sta in mezzo e si deve occupare sia
dei giovani che degli anziani.
Le chiamano famiglie sandwich e sono sempre
più numerose. Famiglie che devono dividere le
proprie risorse psichiche e materiali tra l’assistenza di un genitore spesso non più autonomo
e l’aiuto a figli che invece stentano a rendersi
autonomi.
Società interculturale
È una sfida per le famiglie di oggi. Ormai viviamo in una società interculturale.
L’Italia ha una grande opportunità, forse perché
arrivando più tardi a questa grande sfida che
riguarda il mondo intero, può evitare errori già
compiuti altrove. Riteniamo che nel nostro Paese sia un segnale positivo il numero crescente di
famiglie immigrate che si va naturalmente inte-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
grando e sta migliorando anche il trend demografico. Non vi è solo l’incidenza delle nascite di
bambini stranieri sul totale dei nati, ma anche il
fatto che le famiglie giovani di immigrati hanno
spesso un livello di istruzione media o alta, che
può rappresentare una risorsa.
Penso che proprio la famiglia sia il luogo dove è
possibile l’integrazione di modelli culturali diversi. Il rapporto tra un cinese ed un italiano,
tra un italiano e un magrebino può anche costituire una sfida; ma il rapporto tra una famiglia
cinese e una italiana, o tra una famiglia italiana ed una magrebina mette in gioco possibilità
più ricche di incontro e di scambio. Per questo
motivo, come Governo, abbiamo puntato alla
modifica della precedente legislazione, partendo dai ricongiungimenti familiari che riteniamo
importanti per dare stabilità e qualità alla vita
delle famiglie immigrate agevolando l’intera
rete delle relazioni sociali, anche attraverso l’inserimento dei bambini nelle nostre scuole e tra i
gruppi di coetanei nelle associazioni.
Nella famiglia e tra le famiglie passa, dunque,
la possibilità di delineare un modello di convivenza multietnica e multiculturale nell’Italia
degli anni Duemila.
Non possiamo nasconderci, però, che la multiculturalità ci pone anche problemi di sicurezza,
molto avvertiti in tutte le fasce sociali della popolazione, soprattutto in quelle più deboli Ma è
proprio l’integrazione la principale politica per
la sicurezza.
Responsabilità educative, solidarietà tra generazioni e multiculturalità, abbiamo detto. Queste
sono le tre grandi sfide che incrociano la famiglia del futuro. sfide che o rappresentano un’occasione favorevole per far emergere le potenzialità e le risorse che la famiglia custodisce in sé o
forse l’intero paese non riuscirà a cogliere.
Per questo abbiamo scelto come slogan della
nostra Conferenza nazionale “Cresce la famiglia, Cresce l’Italia”.
La famiglia cresce e cresce l’Italia se tornano a
nascere tutti i bambini che sono desiderati.
La famiglia cresce e cresce l’Italia se si ricostruisce il patto di solidarietà tra le generazioni.
La famiglia cresce e cresce l’Italia se si accorciamo le distanze tra Nord e Sud del Paese. Se
le ragazze e i ragazzi del nostro Mezzogiorno
potranno contare su un lavoro stabile, adeguato
alla loro formazione, se non saranno costretti a
trasferirsi all’estero.
41
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
La famiglia cresce e cresce l’Italia se si rafforzata la rete dei servizi pubblici- asili nido, scuole,
infrastrutture sociali. Se il tempo degli affetti,
della cura reciproca, della festa e del riposo si
combina in modo più equilibrato e libero con
i tempi del mercato e con l’ organizzazione del
lavoro, con i ritmi, gli spazi, la vivibilità dei nostri quartieri e delle nostre città con la qualità
dell’ambiente.
La famiglia cresce e cresce l’Italia se la legalità
e la sicurezza si affermano come il risultato di
un’azione di prevenzione diffusa della cultura
della violenza, in particolare di quella sui bambini e le donne, di contrasto e repressione della tante forme di criminalità, più o meno organizzata.
Tutto questo significa anche lavorare per una
buona crescita dell’Italia: buona perché non si
accontenta di misurare le percentuali del Pil ma
è anche capace di promuovere uno sviluppo
attento della persona umana, più giusto nella
distribuzione delle risorse, aperto al futuro e
all’innovazione.
Tutto questo richiede risorse e un forte impegno
da parte delle nostre istituzioni.
Ma anche qui serve un radicale cambiamento di
mentalità e cultura, insieme a una nuova attenzione pubblica.
4 - L’AZIONE DI GOVERNO
Penso di poter dire che abbiamo fiducia. C’è nel
Paese una più diffusa e matura consapevolezza
della posta in gioco.
Credo si debba riconoscere a questo Governo
una nuova determinazione.
È vero però che i nostri tassi di spesa sociale e di
trasferimento del PIL alle famiglie sono largamente al di sotto della media europea.
Il confronto di questo pomeriggio permetterà di
sviluppare meglio questo aspetto, mi limito qui
a chiedere a tutti di guardare a modelli di altri
paesi senza dividerci su di essi.
Ciascun paese ha sviluppato una propria politica familiare.
Ma per entrare in Europa non serve copiare
esperienze sviluppate altrove Vogliamo colmare le distanze ma abbiamo anche l’ambizione di
farlo individuando un nostro originale modello
di politiche per la famiglia Un paese come l’Italia, attraversato da profondi squilibri geografici
e sociali, deve imparare a usare molte leve e fare
appello ad un mix di interventi - trasferimenti
42
AIAF RIVISTA 2007/2
monetari, servizi per la famiglia, fisco, strumenti di conciliazione tra vita e lavoro - capaci di intercettare la pluralità di bisogni ed esigenze, individuando alcune priorità Con queste priorità
e questa consapevolezza vorremmo mettere in
atto politiche in grado di perseguire l’obiettivo
di “diventare” “essere” “restare” famiglia.
5 - DIVENTARE FAMIGLIA
Diventare famiglia significa investire in primo
luogo sui giovani e sulle donne.
Dovremmo ricordare che siamo la prima generazione, dal secondo dopoguerra, che non è
riuscita a trasmettere ai propri figli la sensazione - non dico la certezza - di avere un futuro
migliore dei padri.
Lavoro per i giovani
La precarietà del lavoro e l’immobilismo sociale
del paese, sono i due grandi problemi che condizionano il futuro delle nuove generazioni.
Dobbiamo intervenire, con una politica economica e sociale che favorisca la buona occupazione.
La proliferazione di rapporti contrattuali brevi
e saltuari e il lavoro intermittenti, non consentono di raggiungere redditi adeguati mentre i
prezzi di affitto o di acquisto di un’abitazione
sono proibitivi. Anche questo determina quella
condizione di insicurezza che spinge a rinviare
la scelta di mettere su famiglia.
La Finanziaria 2007 contiene prime importanti
misure per la stabilizzazione del lavoro precario e altre che incentivano - soprattutto al Sud
- il lavoro delle donne.
Ma non basta, sono convinta che una parte delle risorse dell’extragettito debbano andare a
sostenere l’occupazione giovanile e a realizzare
la riforma degli ammortizzatori sociali a cui sta
lavorando il Ministro Damiano.
La casa
Ma oggi esiste anche una “questione casa” che
dobbiamo affrontare con politiche nuove e con
significative risorse.
Il governo ha attivato con le parti sociali un
tavolo istituzionale dal quale nei giorni scorsi sono emerse priorità e obiettivi per uscire
dall’emergenza. Oggi la povertà è determinata
anche dall’abitare in una casa in affitto.
È indispensabile rivedere la legge che regolamenta gli affitti facendo emergere il giusto contrasto d’interesse tra locatore e locatario proprio
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
per sconfiggere quell’enorme sommerso che c’è.
Bisogna rendere deducibili dal reddito i canoni
di affitto prestando particolare attenzione agli
effetti sugli inquilini incapienti che rischierebbero di non usufruire dei benefici fiscali.
La riduzione dell’Ici è obiettivo reale di questo
governo, ma avendo ben presente che bisogna
trovare un’intesa con i Comuni e sapendo che
la riduzione deve rispondere a precisi criteri di
equità: riforma del catasto come strumento di
lotta all’evasione, reddito, numero dei componenti del nucleo familiare.
In vista del Dpef i nostri obiettivi devono essere
quelli di far ripartire l’edilizia residenziale sociale, recuperare il patrimonio abitativo pubblico inutilizzato, aumentare nel breve periodo
la dotazione di alloggi sociali nelle aree metropolitane e nel mezzogiorno, facilitando le categorie sociali più deboli, famiglie monoreddito,
giovani coppie, anziani e immigrati a trovare
un’abitazione a costi sostenibili
6 - ESSERE FAMIGLIA
Essere famiglia significa assicurare una vita libera e dignitosa alle famiglie con figli.
La famiglia ha bisogno di sicurezze e di sostegni
non episodici né effimeri; deve poter contare su
una rete integrata di servizi e di aiuti economici
diretti e certi.
Assegni al nucleo familiare
Con la Finanziaria 2007 abbiamo operato un primo significativo intervento a favore delle famiglie con figli attraverso la riforma degli assegni
per il nucleo familiare e il passaggio dalle deduzioni alle detrazioni. Sono state gettate le basi
per sviluppare presto una più organica riforma
del sostegno ai redditi familiari.
Pensiamo sia ormai maturo l’obiettivo di arrivare a un unico istituto di sostegno del reddito per le
famiglie con figli, che riunifichi detrazioni e assegni al nucleo familiare: il nuovo istituto deve
riguardare la presenza di figli, indipendentemente dallo status lavorativo dei genitori. È
essenziale che esso sia fruito per intero anche
dagli “incapienti”. Va, altresì esteso, in prospettiva, anche ai lavoratori autonomi che oggi usufruiscono delle detrazioni ma non degli assegni
al nucleo familiare.
La strategia che il Governo intende realizzare è dunque quella di un sostegno attivo delle
responsabilità familiari. Naturalmente questa
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
linea passa per la combinazione di un adeguato sostegno monetario, accompagnato da una
politica di equità nell’accesso ai servizi, anche
attraverso una revisione sostanziale dell’ISEE,
per assicurare condizioni di pari opportunità a
tutti i bambini e i ragazzi indipendentemente
dalla situazione economica della famiglia.
Sappiamo che la proposta del Governo diverge
dal cosiddetto “quoziente familiare”.
La differenza essenziale rispetto alla linea su
cui si orienta il Governo sta in questo: il quoziente familiare implica che la presenza di un
figlio abbia per una famiglia di reddito alto un
valore, in termini di risparmio d’imposta, superiore a quello che ha per una famiglia di reddito
basso o di reddito medio; lo strumento individuato dal Governo risponde invece all’obiettivo
di avvicinare condizioni di pari opportunità per
i figli e quindi punta a sostenere le famiglie in
funzione delle necessità di assicurare ai loro figli una vita dignitosa e un’educazione adeguata. Perciò la scelta del Governo è di concentrare
prima di tutto le risorse al sostegno delle famiglie con redditi bassi e medi, che sono la grande
maggioranza delle famiglie italiane, estendendo nei limiti del possibile il sostegno anche alle
famiglie di reddito medio-alto.
Un problema che trova risposte davvero efficaci solo se affrontato con la presa in carico della
famiglia, è quello della povertà.
Ci presentiamo con una proposta in modo trasparente, la offriamo alla discussione della Conferenza (un gruppo è dedicato appositamente
alle politiche fiscali) ben sapendo che molte associazioni sostengono la validità del quoziente
familiare e che in Parlamento esponenti dell’opposizione e della maggioranza hanno presentato disegni di legge per introdurlo. Nel ricordare che il quoziente familiare non è previsto
nel programma di governo, ribadiamo la nostra
disponibilità al confronto sugli strumenti, alla
valutazione del loro costo e dei loro effetti nella
vita delle famiglie italiane.
Povertà e famiglia
La povertà è un problema che trova risposte
davvero efficaci solo se affrontato con la presa
in carico della famiglia.
Nelle società avanzate è un fenomeno che tende a sfuggire alla percezione collettiva, tuttavia
coinvolge ampie fasce di popolazione che, per
diverse cause, non possono sviluppare appieno
il loro potenziale umano e condurre una vita
43
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
dignitosa.
Le famiglie in condizione di povertà, secondo le
più recenti stime Istat, in Italia superano i due
milioni e mezzo, con un’incidenza dell’11%, superiore a quella riscontrata nei principali paesi
europei. In una società in cui i modelli di vita
e le modifiche profonde della struttura produttiva assottigliano le reti di protezione tradizionali, una larghissima fascia di famiglie risulta
esposta al rischio di povertà.
Sono coinvolte le famiglie in condizioni di esclusione sociale profonda, ma anche le famiglie
monoreddito che affrontano un serio disagio
economico perché non dispongono di risorse
adeguate alle responsabilità a cui devono fare
fronte. Penso alle famiglie numerose (la presenza del terzo figlio più che raddoppia il rischio
di povertà) e le famiglie che si trovano a gestire
diverse forme di fragilità, come la non autosufficienza di un anziano.
Il costo sociale della povertà è tanto più elevato quanto più sono coinvolti i bambini. La
povertà delle famiglie di origine limita fortemente le chance di istruzione e di affermazione
dei giovani.
Una strategia di contrasto complessiva della povertà non potrà ignorare gli squilibri nei diversi
gradi di sviluppo economico del paese: al Sud
l’incidenza del fenomeno è cinque volte più elevata che al Nord.
Non basta rafforzare il nostro sistema di trasferimenti monetari, occorre anche ripensare e rilanciare un sostegno specifico, come il Reddito
Minimo di Inserimento, risolvendo le criticità
emerse nella lunga fase di sperimentazione.
Infine, va posta attenzione alla questione delle
tariffe di servizi universali introducendo fasce
sociali, come stiamo sostenendo nell’ambito
della revisione delle tariffe elettriche e come
previsto dalla finanziaria a sostegno di sperimentazioni in favore delle famiglie numerose.
Il lavoro delle donne e la conciliazione
Quando parliamo di famiglia e reddito, la questione più seria riguarda la difficoltà per le donne, non solo a trovare un impiego ma soprattutto a conservarlo. L’Italia è uno dei pochi paesi
europei in cui le donne continuano a lasciare il
lavoro dopo il matrimonio e quando hanno dei
figli. I tassi di occupazione femminile, non solo
tra le giovani, sono ancora troppo bassi. Eppure
è dimostrato che se la madre lavora, il rischio di
povertà tra i minori si riduce a un terzo.
44
AIAF RIVISTA 2007/2
Non possiamo ignorare che in alcune zone
dell’Italia sono quasi quotidiane le testimonianze di una discriminazione di genere che
colpisce, in primo luogo, proprio la maternità.
È necessario un intervento straordinario sull’occupazione femminile, in particolare nel Mezzogiorno: va potenziato il part time e le forme
innovative di lavoro che posso favorire l’autonomia delle donne. Alcune misure contenute
nella Finanziaria 2007 (dagli sgravi fiscali per
chi assume donne nel Sud agli interventi per
la stabilizzazione del lavoro precario) vanno in
questa direzione.
Nella famiglia sono le donne, con la loro straordinaria capacità di tenere insieme tante cose
diverse, le più pronte e capaci a rispondere ai
cambiamenti ma anche quelle che pagano il
prezzo più alto. Alle donne si chiede di essere
madri, mogli e lavoratrici; di governare i bilanci
familiari, crescere, educare i bambini, accudire
i genitori anziani, aiutare i nipoti e i figli più
grandi.
E una donna con figli, prima o poi, si troverà di
fronte a un conflitto tra lavoro e famiglia. Forse è impossibile eliminare radicalmente questo
conflitto, ma certo occorre dispiegare una strategia di lungo respiro per ridurne la portata. La
cultura del lavoro deve fare un salto di qualità
e cominciare a considerare il lavoro femminile
nella sua specificità, eliminando non solo le barriere iniziali, ma anche tutte quelle penalizzazioni, altrettanto gravi e umilianti, nei percorsi
di carriera e di affermazione professionale. Le
donne non devono più essere costretta a scegliere tra lavoro e figli, ma neanche tra carriera
e figli.
Un uso più flessibile dei tempi aiuterà tutti: le
donne e i datori di lavori se è vero, come è vero,
che nei paesi del Nord Europa si rileva contestualmente un’alta occupazione femminile, un
alto tasso di natalità e un gran numero di donne
che arrivano a posti di responsabilità.
Nella famiglia occorre la condivisione dei ruoli e delle responsabilità familiari tra donne e
uomini.
La legge 53 sui congedi parentali, una buona
legge, è stata l’ultima grande legge fordista,
pensata per il lavoro stabile, regolare, senza timori che venga portato via. Occorre eliminare
alcune rigidità per lasciare che il lavoratore e la
lavoratrice “spendano” i congedi parentali in
maniera più flessibile nell’arco del tempo, se-
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
condo le loro reali esigenze.
Dobbiamo procedere con Regioni ed Enti locali per rendere questo strumento più aderente alle esigenze della famiglia, soprattutto nel
Mezzogiorno. Un punto mi pare irrinunciabile:
incentivare le esperienze di conciliazione nelle
imprese private di piccola e media dimensione,
facendo in modo che maternità e paternità non
siano percepiti come un handicap, ma piuttosto
come un’opportunità per migliorare il rapporto
con i propri dipendenti.
Se vogliamo favorire realmente la condivisione
e il coinvolgimento nelle responsabilità familiari
bisogna incoraggiare i padri. Il nostro motto sarà
più madri al lavoro, più padri in famiglia”.
Dobbiamo ridurre al minimo i possibili alibi,
dietro i quali si cela la rigidità dei ruoli e la
mancata condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne.
Qualcosa sta cambiando nelle giovani famiglie,
ma molto occorre ancora fare.
La rete dei servizi: LIVEAS, LEF, asili nido
E soprattutto con la rete dei servizi che dovrà decollare un nuovo welfare a misura di famiglia.
Le famiglie hanno bisogno di una buona scuola,
di un servizio sanitario di qualità e accessibile, di
asili nido, servizi all’infanzia, consultori.
In una parola c’è bisogno di applicare Legge 328,
che in questi ultimi anni è stata dimenticata.
Bisogna ripartire dalla definizione dei Livelli
essenziali delle prestazioni sociali, LIVEAS, per
garantire prestazioni omogenee in tutto il paese.
Ed inoltre, anche come una modalità applicativa
e non necessariamente come un livello ulteriore
e aggiuntivo di prestazioni, vanno individuati i
LEF, i livelli essenziali per la famiglia.
Bisogna interrogarsi sull’equità nell’accesso e
sul costo dei servizi, modificando l’ISEE e tenendo conto, nella tariffazione dei servizi pubblici, della composizione del nucleo familiare.
I servizi alla famiglia vanno comunque concepiti come un’offerta plurale, quanto più possibile
personalizzata e a misura di famiglia.
Una rete territoriale qualificata, frutto di incontro tra pubblico e privato e tra pubblico e privato sociale, in grado di rispondere a varie tipologie di famiglia e ai bisogni che cambiano nelle
diverse stagioni della vita.
Un’offerta entro cui la famiglia possa esercitare
una libera scelta.
Investire sui servizi all’infanzia e sugli asili nido
è oggi una nostra priorità.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Per gli asili, l’utenza potenziale è di un milione
e 645 mila bambini; la capacità attuale è di 160
mila posti, cioè quasi il 10 per cento, realizzati in 35 anni. Nei prossimi tre anni intendiamo
aumentare i posti in asilo per raggiungere una
media nazionale di oltre il 15 per cento. Con i
trecento milioni di euro previsti nella Finanziaria vogliamo attivare una serie di accordi con
gli enti locali per realizzare 90 mila nuovi posti entro il 2009. Non è ancora l’obiettivo fissato
dall’Agenda di Lisbona, ma nel nostro Paese,
soprattutto nel centro-nord, alcune regioni sono
vicine a questa dotazione, mentre la situazione
è molto più difficile al Sud.
Si tratta anche qui di unire il Paese. Ma si tratta
anche di capire che gli asili nido sono un servizio che va reso più flessibile.
Gli asili nido sono prima di tutto un servizio per
i bambini. Rappresentano un grande strumento
di socializzazione che può aiutare a superare
eventuali difficoltà dell’ambiente familiare, ed è
dimostrato che chi frequenta un asilo sarà facilitato nel percorso scolastico.
Per molte famiglie la vera risorsa mancante è
proprio il tempo. Tra lavoro esterno e in casa,
il tempo per la cura di se stessi o per lo svago
rimane un miraggio. E questo crea spesso frustrazioni e malessere. Oltre che per aumentare
la recettività degli asili, il Governo punta ad
una maggiore flessibilità in grado di andare incontro alle reali esigenze delle famiglie. Più in
generale penso che la conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro metta in gioco l’organizzazione
complessiva della vita delle città: dalle scuole
ai trasporti, dagli spazi per i bambini e per il
tempo libero, agli orari dei negozi. C’è ancora
molto da lavorare per semplificare il rapporto
tra famiglia e i servizi forniti dalle pubbliche
amministrazioni. Mi sembra però che i segnali
importanti non manchino.
Anzi: ci sono progetti decisamente innovativi
già avviati in alcune città e province che vanno
ulteriormente elaborati, sperimentati e diffusi
sul territorio. Ma siamo ancora lontani da un
vero salto di qualità.
Infine, le nostre città e i nostri paesi debbono
diventare sempre più a misura di bambino, in
modo che i piccoli possano spostarsi da soli in
bici, a piedi o nei mezzi pubblici. Per regalare
tempo alle coppie con bambini, possono essere
molto più utili una pista ciclabile sicura e protetta, o il servizio comunale di pedi-bus quotidia-
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NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
no fra casa e scuola, piuttosto di servizi costosi,
spesso fruibili solo da pochi fortunati. Mi piace,
a tale proposito, parlare di welfare comunitario.
Vorrei che - come avveniva un tempo nei paesi
e anche nei rioni delle grandi città - i bambini
siano un po’ i figli di tutti, in modo che i genitori
siano meno oppressi e meno soli nel sostenere
la responsabilità dei loro figli.
Anziani non autosufficienti
Essere famiglia significa ormai condividere un
lungo tratto della vita con i propri genitori anziani, spesso malati e non autosufficienti.
In Italia sono oltre due milioni di persone.
Una condizione assai difficile, densa di dolore
e fatica, in cui le famiglie spesso avvertono una
profonda solitudine. L’attuale sistema di assistenza domiciliare non è in grado di far fronte
a questa emergenza. Nei paesi del nord Europa
l’assistenza domiciliare raggiunge e supera il
20 per cento, mentre si attesta intorno al 10 in
Germania e al 7 in Francia. I tagli operati dal
precedente governo nei trasferimenti ai comuni
e alla sanità, la mancata applicazione della legge 328 per l’integrazione socio-sanitaria hanno
reso questa situazione ormai insostenibile.
L’offerta di servizi pubblici adeguati, dalle residenze sanitarie assistite alle case di riposo,
all’assistenza domiciliare, è ancora molto frammentata e diseguale. E persino le regioni che
hanno realizzato di più non riescono a coprire
un bisogno sociale che investe 20 famiglie su
100, per lo più costrette a organizzarsi in proprio, con costi economici e psicologici notevoli.
Altre migliaia di famiglie gestiscono problemi di
salute grave, malattie croniche, disabilità mentale. È un vissuto familiare di acuta sofferenza
ma anche di grande coraggio e solidarietà.
So bene che il passo compiuto con la Finanziaria 2007, che ha previsto il primo concreto
finanziamento del Fondo nazionale per le non
autosufficienze appare a molti inadeguato. Ma
intanto il Fondo ora c’è.
Dopo tanta attesa è finalmente partito e servirà
a finanziare e co-finanziare, con Regioni ed Enti
Locali, una rete integrata di servizi domiciliari
di carattere sociale e assistenziale indispensabili per alleggerire il carico della famiglie.
Un Fondo aggiuntivo che andrà ad affiancarsi
al Fondo sociale e al Fondo sanitario nazionale.
46
AIAF RIVISTA 2007/2
7 - RESTARE FAMIGLIA
Anche la famiglia più serena può entrare in crisi. Per motivi esterni o dinamiche interne.
Nelle difficoltà, le famiglie possono essere
uguali, o almeno simili, non sarà mai uguale il
modo di affrontare la crisi e il dolore che ne viene fuori.
Crisi e separazioni
Nella famiglia si riflettono tensioni e problemi
sociali che a volte è difficile gestire. Se le coppie
non sono attrezzate ad affrontare in modo positivo le inevitabili difficoltà della convivenza e i
cambiamenti che intervengono nel corso della
vita, se sono lasciate sole di fronte a scelte complesse, le crisi coniugali molte volte, forse, sono
inevitabili.
Sono convinta che la politica debba, in queste
situazioni, agire con molta prudenza, in punta
di piedi. Con la discrezione necessaria quando
si affrontano temi delicati che coinvolgono la
sfera privata.
Ma il diritto, e la politica più in generale, devono anche trovare almeno le soluzioni più idonee
a non aggiungere al dramma personale di una
separazione o di un divorzio, anche quello della
gestione concreta della vita quotidiana, soprattutto quando sono coinvolti bambini e ragazzi.
L’attenzione ai minori e alla famiglia passa
anche attraverso un sistema che sia, al tempo
stesso, capace di tutelare e di promuovere i diritti della famiglia e dei suoi componenti, con
particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti. Il nostro Paese dispone già di uno strumento importante, il Tribunale per i Minorenni.
Ma forse è maturo il tempo per fare un passo
in più. Il governo sta lavorando in particolare
all’istituzione di un giudice unico specializzato
per tutto il nucleo familiare, un Tribunale per la
famiglia che sia in grado di affrontare sia le crisi
della famiglia che di gestire - anche all’interno
di una vita familiare regolare - i passaggi che
richiedono un intervento giudiziario.
Violenza e riparazione
Credo anche che tra gli interventi più urgenti ci
sia quello di togliere la famiglia dall’isolamento, cercando di inserirla in un tessuto di relazioni che attutiscano la sofferenza, intuiscano
l’emergenza e aiutino a trovare di volta in volta
le soluzioni possibili.
Purtroppo in famiglia si verifica il maggior numero di soprusi psicologici, di percosse e di
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
molestie, di abusi sessuali su donne, vecchi e
bambini.
Non voglio essere fraintesa. Ho già detto che
la famiglia è, nella maggior parte dei casi, un
organismo sano e vitale, composto di donne e
uomini che si amano e decidono di condividere
un progetto di vita.
Ma vanno anche aperti gli occhi sul degrado
materiale e morale che spesso si annida all’interno di nuclei familiari insospettabili.
È indispensabile un rinnovato impegno a rendere culturalmente insopportabile ciò che è ancora, in parte, giustificato o minimizzato.
Proviamo a circondare la famiglia di attenzione
sociale, attraverso una rete, se necessario rinnovata, di servizi qualificati, di centri di ascolto, di
supporti solidali. Proviamo a non lasciarla sola
nei momenti di rottura e di difficoltà, ma anche
in quei passaggi fisiologici, come la nascita di
un figlio, che può rompere gli equilibri e innescare la crisi anche nella famiglia più serena. In
questa sala sono presenti molti operatori sociali
che conoscono queste realtà e hanno esperienza
di molte situazioni drammatiche.
Il consultorio può diventare un punto di riferimento, una struttura vicina, amica, con diverse
figure professionali, dagli psicologi agli educatori, al mediatore famigliare all’assistente sociale.
C’è bisogno di un’équipe in grado di aiutare i genitori nel percorso di crescita e formazione dei
figli, per affrontare assieme a loro i conflitti generazionali e le crisi di coppia, per promuovere la
capacità di essere coniugi e di essere genitori.
Dovremo imparare a vigilare con una nuova attenzione, senza intrusioni e senza violare l’intimità delle relazioni.
Aiutando la famiglia a riparare i suoi errori e incoraggiandola a trovare gli strumenti per diventare, là dove è possibile, la risorsa di se stessa.
CONCLUSIONI
Queste sono riflessioni, alcune in forma di domanda, che consegno a tutti voi, ai lavori delle
dieci sessioni e dei gruppi di lavoro. Ringrazio
tutti, gli studiosi e i ricercatori che metteranno a
disposizione i loro saperi.
Ringrazio gli amministratori locali, le regioni
che ci permettono di non partire da zero. Vorrei che facessimo tesoro della rete delle buone
pratiche che in questi anni Comuni, Province e
Regioni hanno messo in atto e che proprio in
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
questi giorni hanno trovato una sintesi in un
documento che è stato consegnato al Governo.
Inizia da qui la politica dei servizi, a partire da
queste buone pratiche dobbiamo disegnare il
Piano nazionale.
Ringrazio il Parlamento e in modo particolare la
Commissione Affari sociali della Camera ed il
suo Presidente Lucà per l’indagine conoscitiva
sulla condizione sociale delle famiglie.
Ringrazio tutte le forze politiche per la presentazione delle numerose proposte di legge sulla
famiglia.
E ugualmente ringrazio tutto il mondo dell’associazionismo e del volontariato familiare. Che
abbiamo coinvolto fin dall’inizio dei lavori preparatori di questa conferenza.
Sappiamo che chiede di essere riconosciuto come
soggetto sociale, protagonista del cambiamento.
Ringrazio tutti gli operatori che saranno fortemente interpellati, nella loro professionalità e disponibilità, dalle domande di questa Conferenza.
Ringrazio le parti sociali, i sindacati, le imprese
che saranno sollecitati, vorrei dire provocati, a
un grande cambiamento di prospettiva. Anche
per Voi è tempo di ragionare in termini di famiglia: nell’organizzazione del lavoro ma anche
nella qualità dei consumi.
Mi auguro che la Conferenza diventi un luogo
di condivisione e di scambio, capace di gettare le
basi di una prospettiva comune che, nell’ambito
delle rispettive competenze istituzionali stabilite dal titolo V della Costituzione in materia di
Welfare, sappia realizzare la piena cittadinanza
sociale della famiglia.
È evidente che il Governo non può fare da solo
le innovazioni e i cambiamenti di cui abbiamo
bisogno.
20 L’universo famiglia, interpella ambiti culturali, sociali, economici e istituzionali molto
ampi, tant’è che la funzione di governo preminente che mi è stata affidata è quella, come ho
già detto, di indirizzare e coordinare le politiche
per la famiglia. E fatemi ringraziare tutti i ministeri che fin dall’inizio hanno cooperato, nel
comitato interministeriale, alla progettazione e
realizzazione di questa Conferenza.
Per superare la frammentazione degli interventi, per restituire coerenza alle politiche pubbliche da questa Conferenza vorremmo uscire
con una vera e propria Alleanza per la famiglia
(come in Europa è stato proposto, in questo semestre, dalla Presidenza tedesca).
47
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Un’Alleanza non per attenuare le responsabilità
di ciascuno ma per indirizzarle verso una rinnovata unità del paese al servizio della famiglia.
Continuo a credere che nel nostro paese il bisogno di famiglia sia forte ed esprima un desiderio profondo di felicità, condivisione, stabilità,
realizzazione di se, nel rapporto con la generazione che ci ha preceduto - e che ci lascerà - e
con la generazione a cui abbiamo dato la vita,
affidandogli le nostre speranze di futuro.
Questa piccola comunità non va lasciata sola, a
prescindere dalla sua situazione, dalle sue scelte, dalla sua condizione. Non chiederemo mai
ad un bambino che ci chiede un posto all’asilo il
certificato di matrimonio dei suoi genitori, come
non chiederemo mai ad una donna il certifica-
AIAF RIVISTA 2007/2
to di matrimonio per finanziare un progetto di
conciliazione tra vita e lavoro, se è madre.
Questa piccola comunità va affiancata e sorretta, perché se sapremo dare più sicurezza e più
serenità alla famiglia, potremo guardare con
nuovo slancio al futuro dell’intera società.
Se il paese tornerà a crescere, se riuscirà a scommettere su se stesso, se troverà la strada di uno
sviluppo più equilibrato e più equo, sarà perché
cresce la consapevolezza della centralità della
famiglia nella vita collettiva e il senso di responsabilità della politica nei suoi confronti.
Se riusciremo a consolidare tutto questo, credo
che avremo fatto un buon lavoro e un buon servizio alla famiglia e all’Italia.
DICHIARAZIONE E COMUNICATO STAMPA
DEL MINISTRO ON. BINDI SULLA RIPARTIZIONE DEL
FONDO NAZIONALE PER LE POLITICHE DELLA FAMIGLIA
27 GIUGNO 2007
APPROVATA LA RIPARTIZIONE DEL FONDO
NAZIONALE PER LE POLITICHE DELLA
FAMIGLIA: LA DICHIARAZIONE DEL MINISTRO BINDI.
“D
alla Conferenza nazionale della Famiglia è venuta una diffusa domanda di
cambiamento nelle politiche per la famiglia. Per colmare antiche lacune, ma soprattutto per rispondere alle nuove sfide di una società in rapida trasformazione. L’Intesa di oggi
è il segnale che il cambiamento è possibile grazie alla forte convergenza sugli obiettivi e alla
leale collaborazione tra il governo centrale e i
governi locali. Le tre priorità su cui oggi abbiamo deciso di investire quasi metà del Fondo nazionale della famiglia nascono dalla consapevolezza che occorre offrire risposte innovative per
rompere la solitudine di tante famiglie di fronte
alla complessità dei problemi quotidiani. Penso al grande capitolo dell’assistenza agli anziani non autosufficienti garantita dalle assistenti
familiari nelle nostre case. L’investimento che
abbiamo deciso oggi permetterà di sperimentare nuove modalità, più sicure e trasparenti,
di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro di cura che avviene oggi in modo del tutto
48
informale, spesso clandestino e senza le necessarie garanzie di affidabilità sia per le famiglie
che per queste lavoratrici straniere. Penso al
problema del rischio di povertà per le famiglie
numerose. Un problema di equità che abbiamo
cominciato ad affrontare con maggiori assegni
familiari ma che richiede un intervento mirato sui costi dei servizi essenziali. Per la prima
volta sarà possibile sperimentare su larga scala
modalità di abbattimento delle tariffe di acqua,
luce e gas per le famiglie con più di quattro figli.
E, infine, penso all’avvio della riorganizzazione dei consultori familiari. Anche questo è un
tema che abbiamo affrontato a Firenze e su cui
ci sono molte aspettative. I consultori possono
davvero diventare il punto di riferimento, più
vicino e facilmente accessibile, per la famiglia.
Vogliamo rilanciarne il ruolo di servizio integrato socio-sanitario, promuovendo un modello di servizio multidisciplinare, in cui si integrano diverse professionalità, in grado di interloquire con tutte le componenti della famiglia e
i diversi bisogni che via via possono emergere.
Un centro di aiuto alla famiglia per promuoverne l’unità e la stabilità ma anche per la presa in
carico dei momenti di fragilità. A giorni partirà,
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
inoltre, anche il Piano straordinario per gli asili
nido. Ai 300 milioni previsti con la Finanziaria
abbiamo aggiunto altri 40 milioni dal Fondo
nazionale in modo da incrementare la base su
cui realizzare gli accordi di programma. Si rafforza così l’offerta dei servizi all’infanzia, a cui
abbiamo anche riservato 10 milioni per le nuove
“classi primavera”.”
COMUNICATO STAMPA - UFFICIO STAMPA DEL
MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIA
A
pprovata in Conferenza unificata la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche della Famiglia previsto dalla Finanziaria 2007.
È il primo concreto passo d’attuazione di alcune
delle priorità emerse dalla Conferenza nazionale della famiglia.
L’Intesa tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni
e Comunità montane permette di destinare 97
milioni di euro alla sperimentazione di progetti
di promozione e misure innovative a sostegno
delle famiglie.
Tra le aree di intervento:
a) la riorganizzazione dei consultori familiari, per potenziarne la funzione di sostegno
e supporto vicino alle famiglie e diffuso sul
territorio;
b) la qualificazione del lavoro delle assistenti
familiari, con attività di formazione in grado di far incontrare meglio l’offerta di lavoro con la domanda che viene dalla famiglie
italiane;
c) la sperimentazione di iniziative per abbattere i costi dei servizi (acqua, gas, elettricità, ma anche servizi sociali, a secondo delle
scelte che verranno operate a livello regionale e locale) per le famiglie con quattro o
più figli.
Le risorse del Fondo per la famiglia si aggiungono a quelle che già le Regioni, nella propria
autonomia, stanziano o intendono stanziare per
le stesse finalità.
Le modalità e i criteri con i quali perseguire le
finalità indicate nelle tre aree d’intervento verranno precisate con specifiche Intese da adottare in Conferenza unificata.
“Accordi di programma quadro” tra Diparti-
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
mento delle politiche per la famiglia e le singole
Regioni, con una rappresentanza dei Comuni,
dovranno definire: le dimensioni quantitative dei servizi, la tempistica degli interventi, la
quota di cofinanziamento regionale e/o locale,
le modalità di svolgimento delle attività di monitoraggio e di assistenza tecnica.
Gli interventi previsti saranno monitorati e verificati dal Dipartimento delle politiche per la
famiglia, al fine di verificarne l’impatto su scala
nazionale e di valorizzare le migliori pratiche.
Nell’Intesa firmata oggi è stato inoltre deciso
un incremento di 40 milioni di euro per il Piano
straordinario per gli asili nido.
Si tratta di un ulteriore stanziamento che va ad
aggiungersi ai 300 milioni di euro previsti dalla
Finanziaria per la costruzione degli asili nido
nel triennio 2007-2009.
Ulteriori 10 milioni di euro, sono stati già destinati all’ampliamento dell’offerta formativa
rivolta ai bambini dai 24 ai 36 mesi di età, con
l’avvio delle cosiddette “sezioni primavera”, già
a partire dal prossimo anno scolastico.
Le rimanenti risorse previste nel Fondo per le
politiche per la famiglia saranno destinate agli
interventi di competenza statale previsti con la
Legge Finanziaria 2007.
Si tratta di interventi che riguardano:
• Il finanziamento delle iniziative di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro cui fa riferimento l’art.9 della legge 53/2000;
• Il sostegno alle adozioni internazionali e il
funzionamento della Commissione per le
adozioni internazionali;
• l’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia;
• l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia
e della pornografia minorile;
• L’Osservatorio nazionale per l’infanzia e il
Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia;
• La Conferenza nazionale della famiglia e
l’elaborazione del Piano nazionale per la famiglia.
49
50
Giulia DE MARCO
Virginio COLMEGNA
Sindaco Letizia
MORATTI
Sen. Tiziano TREU
Sen. Anna Maria
SERAFINI
Ass. Reg. Romano
COLOZZI
On. Mimmo LUCA'
Pres. Cons. Reg.
Alessandra LONARDO
Sindaco Rosa RUSSO
IERVOLINO
Ass. Reg. Elena
GENTILE
Famiglia e
generazioni
Famiglia e lavoro
Famiglia e
responsabilità
educative
Famiglia e risorse
economiche
Famiglia e welfare
La Famiglia che
accoglie
Famiglia e fragilità
Famiglia, violenza e
riparazione
Simona ARGENTIERI
Paolo BOSI
Paolo ONOFRI
Giuseppe DE RITA
Daniela DEL BOCA
Alessandro ROSINA
Pierpaolo DONATI
Sindaco Flavio
ZANONATO
Famiglia e società
interculturale
Francesco P.
CASAVOLA
relatore
On. Pino PISICCHIO
presidente
Famiglia e diritti
sessione
Franco VACCARI
Francesco BELLETTI
Maria Rita VERARDO
Tiziano VECCHIATO
Claudio DE VINCENTI
Valerio BELOTTI
Margherita MIOTTO
Gianpiero DALLA
ZUANNA
Lucia FRONZA CREPAZ
Renato BALDUZZI
rapporteur
coordinatore
Linda Laura
SABBADINI
Giovanbattista
SGRITTA
Giovanni MINOLI
Giuseppe GULIA
Emanuele ROSSI
Stefano CECCANTI
Pasquale ANDRIA
Conflittualità e violenza nella
coppia
Nuove e vecchie violenze sui
bambini
Disagio mentale e dipendenze
Non autosufficienza e disabilità
Marco SCARPATI
Vincenza
QUATTROCCHI
Isabella MERZAGORA
BETSOS
Marco TRABUCCHI
Famiglia e rapporto fra le
generazioni
Diventare famiglia e mercato
Francesco BILLARI
flessibile
Conciliazione e lavoro di cura in
Rossana TRIFILETTI
famiglia
Famiglia e impresa
Manuela NALDINI
Genitorialità e responsabilità
Luigi PATI
educative
Livia BARBERIO
Famiglia e scuola
CORSETTI
Famiglia, casa, consumi,
Laura PENNACCHI
ambiente
Fisco, trasferimenti, tariffe
Ruggero PALADINI
Povertà e famiglia
Corrado POLLASTRI
Livelli essenziali di assistenza e Emanuele RANCI
indicatori di reddito
ORTIGOSA
Anna Maria
Servizi per l'infanzia
BERTAZZONI
Servizi per la famiglia
Paola DI NICOLA
Adozioni nazionali ed
Luigi FADIGA
internazionali
Affido
Stefano RICCI
Come cambia la famiglia
gruppi
Contesti familiari e diritto di
famiglia
Pari opportunità e rapporti di
genere
Soggettività della famiglia
Famiglia e pluralismo sociale,
culturale e religioso
Famiglia, media e innovazione
tecnologica
Dettaglio delle sessioni e dei gruppi di lavoro della Conferenza Nazionale della Famiglia
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
AIAF RIVISTA 2007/2
DETTAGLIO DELLE SESSIONI E DEI GRUPPI DI LAVORO DELLA
CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
LE RELAZIONI DEI RAPPORTEUR DELLE SESSIONI TEMATICHE DELLA
CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA
MATERIALE STAMPA PUBBLICATO SUL SITO WWW.CONFERENZANAZIONALESULLAFAMIGLIA.IT
FAMIGLIA E DIRITTI
RELATORE: FRANCESCO PAOLO CASAVOLA
RAPPORTEUR: RENATO BALDUZZI
GRUPPI:
• CONTESTI FAMILIARI E DIRITTO DI FAMIGLIA
• PARI OPPORTUNITÀ E RAPPORTI DI GENERE
• SOGGETTIVITÀ DELLA FAMIGLIA
O
norevole Ministro, Autorità, Signore e Signori,
la forte relazione del Presidente Franco Casavola ha scandito il lavoro della sessione “Famiglia
e Diritti” nei tre gruppi, coordinati da Stefano
Ceccanti, Emanuele Rossi, Pasquale Andria, ai
quali va il mio grazie per avermi consentito di
svolgere questo ruolo di rapporteur meno “indegnamente” possibile. In questi tre gruppi è
stato comune e corale il riconoscimento del valore dell’importanza di questa Conferenza che
soltanto il timore di un eccesso di enfasi mi impedisce di qualificarla come storica.
Rispetto al modo tradizionale di intendere il
rapporto tra diritto e famiglia, da un lato, e diritti e famiglia dall’altro, la sessione ha evidenziato in tutti e tre i gruppi due avvii di cambiamento di paradigma culturale, di mentalità.
Sotto il primo profilo, quello del rapporto tra
diritto e famiglia, è stata superata l’impostazione che vedeva il primo e più grande pericolo
per la famiglia nell’intervento dei pubblici poteri, in particolare negli strumenti legislativi, amministrativi e normativi. Oggi l’invasione della
sfera domestica e i relativi pericoli provengono
da altri luoghi, da altre cause: l’organizzazione
del lavoro, il sistema formativo, i mass media e
il mondo virtuale che il loro sviluppo consente,
fattori che condizionano la famiglia in maniera
e in misura assolutamente incomparabile per
quantità e qualità rispetto al passato e che ne
mettono a rischio la funzione autentica.
Eventuali interventi legislativi e normativi sulla
famiglia oggi esprimono, invece, una funzione
di garanzia e di tutela della medesima e dun-
que non costituiscono pericolo per l’istituzione
familiare.
Secondo profilo, diritti e famiglia. È un mutamento di paradigma ancor più incisivo ancorché iniziale. Nel corso della sessione è risuonato da più parti l’invito a considerare, accanto ai
tradizionali e consolidati diritti nella famiglia,
cioè diritti e doveri spettanti agli individui che
compongono la famiglia, veri e propri diritti della famiglia, formula costituzionale la cui
portata è sempre restata piuttosto in ombra
quando non ridotta alla prima, a causa della
tensione ideologica gravante sulla nozione di
famiglia e del pericolo, peraltro reale, che, insistendo sui diritti della famiglia, vengono mortificati quelli individuali. Pericolo che il nostro sistema costituzionale tende a scongiurare anche
sulla scorta della giurisprudenza costituzionale
in cui si dice a chiare lettere che in nessun modo
il nostro sistema costituzionale può confermare
e giustificare una concezione della famiglia nemica della persona e dei suoi diritti.
Per contro, soprattutto nel primo e nel terzo
gruppo, è stata sottolineata la giuridicità intrinseca dell’organismo familiare nella necessaria
corrispondenza di diritti inviolabili e doveri
inderogabili di ciascuno dei suoi componenti.
Insomma, la famiglia non è una semplice sommatoria dei suoi partecipanti.
Ammettere i diritti della famiglia comporta,
onorevole ministro, precisarne la natura e articolarne la struttura. Frequente in proposito è
stata la sottolineatura del loro carattere incentivante e promozionale, espressione di quel plusvalore costituzionale della famiglia (la sottolineatura riguarda le famiglie numerose, plusvalore nel plusvalore). Sono diritti volti a favorire
la formazione della coppia coniugale, il consolidamento della famiglia nell’esperienza della
filiazione, la conservazione della famiglia nel
tempo sia attraverso adeguati sostegni economici alle famiglie, specie bisognose, sia attraverso
una garanzia di prospettiva per la possibile non
autosufficienza e accoglienza della medesima,
specialmente nella condizione anziana.
In questa condizione si sostanzia, ma il tema è ri-
51
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
masto aperto, la ricerca dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti della famiglia.
Terzo punto: l’individuazione della priorità delle politiche promozionali di tali diritti e, quindi,
interventi sul tema dell’abitazione, dei servizi
per la prima infanzia, sostegno economico anche attraverso la politica fiscale, iniziative per
contribuire a contrastare la non autosufficienza,
tutto ciò si è accompagnato a una riflessione
sulle tecniche ottimali di una vera politica per
la famiglia. Comune è la considerazione che
si tratta, in applicazione del principio di sussidiarietà specialmente orizzontale, di realizzare
politiche per la famiglia che siano, altresì, politiche con la famiglia.
La valorizzazione della soggettività familiare,
del suo carattere di gruppo unitario di comunità si accompagna alla valorizzazione dell’associazionismo familiare, in ordine al quale nel
gruppo tre sono emerse molte proposte anche di
dettaglio, per le quali necessariamente rinvio al
testo scritto ed alle proposte del coordinatore.
Sono proposte che non sempre chiedono un di più
di normativa, ma che sottolineano le possibilità
per l’esecutivo nazionale di valorizzare le buone
pratiche anche senza necessariamente nuovi interventi normativi, specie di fonte statale.
Quarto punto: analoga indicazione con riferimento al tema largamente prevalente nel gruppo due, cioè l’individuazione di strumenti e
tecniche di lotta contro la discriminazione tra
uomo e donna, relativamente alla conciliazione
tra famiglia e lavoro e con particolare riferimento alla persistenza di discriminazioni rispetto
alla scelta della maternità. Analoga indicazione è emersa nel gruppo su “Pari opportunità e
rapporti di genere”, dove si è sottolineato che
si tratta, anzitutto, di verificare l’applicazione
delle norme esistenti e la sussistenza di forti
margini di autonomia amministrativa in capo a
Regioni ed Enti Locali. La lotta contro gli stereotipi di genere, si sottolinea, è lotta culturale che
le istituzioni possono e devono nel nostro quadro costituzionale accompagnare e sostenere.
Quinto. Quanto alle iniziative normative si è
registrato consenso sulla proposta governativa
tendente ad equiparare lo status di figlio nato
fuori dal matrimonio a quello di figlio nato nel
matrimonio e, altresì, sui contenuti della proposta del Governo (qui la sottolineatura è importante) in materia di doppio cognome.
Si è insistito sulla necessità di un intervento cor-
52
AIAF RIVISTA 2007/2
nice, per favorire, in accordo tra i diversi livelli
di governo centrale, regionale e locale, l’evoluzione dei servizi consultoriali in veri e propri
centri per la famiglia. Primo tassello organizzativo di quei livelli essenziali accennati poc’anzi:
dunque, la valorizzazione della risorsa della
mediazione familiare.
La prevenzione delle patologie dell’organismo
familiare è parsa una delle priorità (in questo
senso anche la mediazione) ed in tale prospettiva evidentemente questi centri per la famiglia
andranno strutturati in modalità e forme tali
da valorizzare e costituire un momento forte
in questa direzione di prevenzione: ad esempio, potenziando i servizi di tipo psico-sociale
e quelli di consulenza legale.
Non poteva mancare l’attenzione nel gruppo
sui “contesti familiari e diritto di famiglia” sulle
forme ed i modi della tutela giurisdizionale e
sulle relative regole processuali.
Indifferibile, finalmente, è apparsa la istituzione di un unico giudice specializzato per la
famiglia, che, oltre alla razionalizzazione ed al
riordino di competenze attualmente disperse,
recuperi la peculiarità della giurisdizione della persona e della famiglia come giurisdizione
dell’ascolto, come giudice prossimo ed amico.
Sono altresì emerse proposte di sostegno in varie forme, nel difficile momento in cui versa il
delicato istituto del gratuito patrocinio, nonché
proposte concrete per ridurre i costi dell’accesso alla giurisdizione in materia di famiglia.
Sono consapevole che questa sintesi è necessariamente riduttiva della straordinaria ricchezza
e propositività della discussione di ieri. Ai coordinatori ed ai rapporteur sono stati dati otto
minuti all’incirca. Alcune proposte, affinate nelle prossime settimane, potranno essere, se del
caso, elemento portante del Piano nazionale per
la famiglia.
Ho però l’obbligo di concludere, onorevole Ministro, sottolineando il clima di apertura ed attenzione culturale registrato in tutti e tre i gruppi, nella chiarezza delle reciproche posizioni.
La tutela della famiglia, la valorizzazione della
sua soggettività, la richiesta di dare attuazione
al plusvalore costituzionale ed al suo modello
non è stata intesa come chiusura ad altre esigenze di contrasto alla desocializzazione, ad
altre esigenze di riconoscimento di diritti. La famiglia, momento di solidarietà, non si contrappone, non è un’alternativa alla tutela di diritti di
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
altri e alla valorizzazione di solidarietà diverse
da sé medesima. Non si tratta cioè di un aut-aut,
ma di un et-et
FAMIGLIA E GENERAZIONI
RELATORE: ALESSANDRO ROSINA
RAPPORTEUR: GIANPIERO DALLA ZUANNA
GRUPPI:
• COME CAMBIA LA FAMIGLIA
• FAMIGLIA E RAPPORTO TRA LE GENERAZIONI
N
el nostro gruppo, come in tutti, si è vista una
grande vitalità e la volontà di cogliere la
complessità delle trasformazioni in atto. Siamo
voluti partire da mirati approfondimenti conoscitivi, grazie soprattutto al contributo dell’Istituto Nazionale di Statistica - che ha messo a disposizioni anche dati molto recenti e originali
- e di alcuni ricercatori universitari.
Questo è il primo messaggio che è uscito dalla nostra sessione. Importante elemento unificante per chi voglia migliorare le condizioni
della famiglia italiana, può essere la volontà di
comprenderne in profondità le dinamiche, rispettando i risultati di questa attività di ricerca.
Senza questo sforzo, l’ideologia rischia di prevalere, e le proposte di intervento rischiano di
essere commisurate più alla famiglia ideale che
alla famiglia reale. Partendo dai dati, saremo
tutti più umili e più sicuri.
In questo sforzo di comprendere permanenze
e mutamenti in atto nella famiglia italiana, abbiamo toccato numerosi punti, che non potrò
ovviamente sviluppare in questi dieci minuti.
Farò quindi così: sottolineerò cinque risultati
conoscitivi e cinque proposte di intervento che
da tali risultati scaturiscono.
Primo punto. In questi ultimi vent’anni, l’invecchiamento della popolazione italiana è stato
fortemente attutito dall’ingresso dei cittadini
stranieri. Nei prossimi vent’anni, senza immigrazioni, la popolazione in età 20-59 diminuirà
del 30%. Tuttavia, se i flussi di ingresso continueranno con i ritmi dell’ultimo decennio, la
popolazione in questa fascia d’età resterà immutata. Poiché nei prossimi vent’anni la spinta
all’ingresso dai paesi poveri resterà fortissima,
è facile prevedere che - effettivamente - nella
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
società italiana gli immigrati sostituiranno i figli che noi italiani non abbiamo avuto. Questa
lettura non deve suscitare timore, poiché l’immigrazione può essere una grande opportunità. È però necessario governarla con realismo
e umanità. Una nuova politica per le immigrazioni dovrebbe privilegiare la famiglia, che è assieme al lavoro - il primo grande strumento
di integrazione. Fra i fondamentali diritti di cittadinanza c’è anche quello alla maternità e alla
paternità.
Inoltre, i bambini figli degli immigrati devono
essere messi in condizione di competere con i
figli degli italiani nella corsa al banchetto della
vita. Essi sviluppano sogni e aspettative del tutto simili rispetto ai figli degli italiani, ma spesso
hanno più difficoltà a realizzarli, in particolare
perché conoscono peggio la lingua. È quindi necessario definire - in tutto il territorio nazionale
- livelli essenziali di intervento verso questi giovani. Pensiamo, in particolare, all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Le tante e
interessanti esperienze locali vanno ricapitolate
in un quadro nazionale unitario.
Secondo punto. La professoressa Salvini ci ha
mostrato come la bassa fecondità italiana è frutto della scarsa propensione ad avere il secondo
e - specialmente - il terzo figlio. Per aiutare le
coppie ad avere i figli che effettivamente desiderano, è quindi cruciale dare alle coppie tempo e soldi. Ci sentiamo quindi di appoggiare
fortemente quanto già detto dal Ministro Bindi
nella relazione di apertura e quanto sottolineato anche dal Vice-ministro Visco e dal Sottosegretario Sartor. In un regime di risorse scarse,
sembra ragionevole partire dalla famiglie più
numerose, di reddito medio-basso, anche perché così facendo si lotta anche contro la povertà. Di nuovo, è un problema di pari opportunità. Bisogna dare ai bambini le stesse chance,
a prescindere dal numero di fratelli che hanno.
Altri rapporteur si soffermeranno sugli aspetti
tecnici di questa proposta. Nella nostra sessione
è stato fortemente sottolineato che è opportuno
mettere in atto strumenti - anche di tipo fiscale
e monetario - che favoriscano la presenza delle
madri sul mercato del lavoro. Ma è fondamentale anche mettere in atto, a tutti i livelli, politiche per decomprimere i tempi dei genitori.
Terzo punto. Le ricerche dimostrano che andiamo verso sempre maggiori fragilità di coppia.
In alcune regioni del Centro-Nord, è pratica-
53
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
mente certo che almeno il 40% dei matrimoni
celebrati negli anni Novanta si scioglierà prima
del ventesimo anniversario. Inoltre, il rischio di
rottura delle convivenze more uxorio è ancora
più elevato, e in questo caso la parte debole non
ha praticamente alcuna tutela. Nelle famiglie di
reddito medio-basso, la rottura coniugale può
avere effetti economici devastanti, sia per i due
coniugi che per i figli. È comune che da una famiglia in condizioni economiche accettabili scaturiscano due famiglie povere. Inoltre, le rotture
coniugali sono abbastanza frequenti anche nelle
famiglie straniere. Qui le proposte di intervento
sono centrate soprattutto in un maggior accompagnamento delle coppie e dei singoli. Fra le
numerose possibilità prospettate, interessante è
l’esperienza della provincia di Bolzano - dove
le separazioni coniugali sono molto numerose.
Da un lato, sono stati avviati centri di mediazione familiare capillarmente diffusi nel territorio, per superare le crisi di coppia e per gestire
al meglio, per quanto possibile, tutte le difficili
fasi della separazione, sia per i coniugi che per
i figli. Dall’altro, quando un coniuge non versa
gli alimenti, la Provincia provvede, attivandosi
poi legalmente contro il coniuge inadempiente. Infatti, una cosa è aver contro l’ex coniuge,
un’altra lo stato. Finora questa legge - che ricalca analoghe esperienze europee - sembra funzionare, e a costi anche abbastanza contenuti.
Proponiamo di approfondirne l’applicabilità
anche a livello nazionale.
Il quarto punto è la progressiva normalizzazione dell’esperienza di convivenza. Dieci anni fa le
coppie che convivevano avevano caratteristiche
molto diverse rispetto a quelle che iniziavano la
vita a due con il matrimonio. Ora - invece - si assomigliano sempre di più: per l’età, per gli stili
di vita, per i rapporti mantenuti con le famiglie
di origine. Più di metà dei conviventi, quando e
se decide di sposarsi, si sposa in chiesa. L’omologazione procede a grandi passi anche per gli
aspetti negativi: ad esempio, le coppie di fatto
degli anni Novanta erano molto egalitarie nella
gestione del tempo e del lavoro, mentre quelle
di oggi riproducono maggiormente le tradizionali disuguaglianze, con la donna molto più
impegnata - rispetto all’uomo - nell’attività domestica, anche se lavora.
Come deve porsi lo stato davanti a questi cambiamenti? Da un lato, nella nostra sessione è
stata sottolineata l’importanza dell’educazione
54
AIAF RIVISTA 2007/2
alla tolleranza e al rispetto delle reciproche scelte. In particolare, nelle scuole, nei consultori e
nei centri famiglia vanno messe in atto azioni
attive di educazione antidiscriminatoria, perché
le persone più fragili, più deboli e individuate
dagli altri come “diversi” non diventino capri
espiatori, oggetto di derisione. In particolare,
si deve lottare con decisione contro ogni forma
di omofobia. In secondo luogo, vanno tutelati i
diritti e messi in evidenza i doveri delle persone eterosessuali e omosessuali che vivono nelle
coppie di fatto, con l’obiettivo fondamentale di
tutelare il componente più debole.
Ultimo punto. In Italia, le reti di aiuti gratuiti
fra famiglie sono l’ossatura per l’assistenza delle persone più fragili. Gli studi mostrano che
queste reti mantengono nel tempo una forte
densità, e che anche nel prossimo futuro non
sono affatto destinate a dissolversi, favorite
dalla forte prossimità fra parenti, dall’innalzamento dell’età in cui si inizia ad aver bisogno di
aiuto, dall’incremento di reddito degli anziani,
dall’ingresso nell’età anziana dei genitori del
baby-boom. Non bisogna però tacere le criticità.
In futuro, saranno sempre meno gli adulti con
tempo disponibile per dedicarsi alla cura degli
anziani, specialmente se - come tutti auspicano
- aumenterà il coinvolgimento lavorativo degli
ultracinquantenni, uomini e donne. Su questo
versante si dovrebbe intervenire su due direzioni. In primo luogo, vanno incentivate tutte le
misure possibili per aiutare le reti famigliari a
mantenere la loro vitalità. Va rigettata l’idea che
l’originale mix italiano fra aiuti gratuiti, stato e
mercato definisca un welfare di serie B. Un sistema che garantisce il più basso tasso di ricovero
in istituto degli anziani in Europa e una delle
più alte vite medie del mondo va compreso,
custodito, preservato e irrobustito. I servizi e il
mercato debbono operare affinché i componenti delle famiglie italiane possano sempre meglio
aiutarsi a vicenda. Riprendendo quanto ha detto il sindaco Letizia Moratti, bisogna mettere in
atto politiche personalizzate rispetto alle singole
famiglie. Anche qui sono state presentate molte
proposte. Sottolineo solo che molti hanno messo in rilievo il non risolto ingorgo istituzionale
della definizione delle competenze: cosa devono fare i comuni, cosa le ASL, cosa le regioni,
cosa lo stato? Questo problema si pone in particolare per i comuni piccoli che non dispongono
di strumenti adeguati. Altri rapporteur ripren-
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
deranno certamente questo problema.
In secondo luogo, proprio perché le reti familiari sono e resteranno dense e ricche, i problemi
più acuti si manifestano per chi di queste reti
è privo, specialmente per chi non ha figli o ha
solo figli che abitano lontano. Qui il problema
principale è la necessità di coordinamento fra
servizi che dovranno necessariamente essere
differenziati nei piccoli comuni e nelle città. Interessante, a questo proposito, la proposta di
istituire registri locali sulla fragilità degli anziani soli, individuando anche figure che - in un
certo senso - suppliscano alla mancanza di una
rete parentale.
I cambiamenti in atto nella popolazione e nella famiglia italiana possono spaventare, perché
il futuro sarà certamente diverso dal passato,
anche se spesso confondiamo il passato con la
nostra nostalgia per un’età dell’oro che non è
mai esistita. Il cambiamento può riservare anche belle sorprese, se affrontato con saggezza e
ragionevole speranza.
FAMIGLIA E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE
RELATORE: GIUSEPPE DE RITA
RAPPORTEUR: VALERIO BELOTTI
GRUPPI:
• GENITORIALITÀ E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE
• FAMIGLIA E SCUOLA
C
ome potete immaginare non è certo facile restituire la ricchezza e la varietà nonché le ambivalenze emerse nei lavori. Complessivamente
hanno partecipato ai lavori circa 160 persone e
circa 60 sono stati gli interventi.
I lavori sono stati introdotti dalla relazione di
Giuseppe De Rita e presieduti dall’onorevole
Serafini.
Lavori che, seppur su terreni distinti, hanno
però richiamato spesso dimensioni di riferimento comuni.
A) GENITORIALITÀ E RESPONSABILITÀ
EDUCATIVE
Tutti gli interventi di questo gruppo hanno sollevato una generale esigenza di riflettere e di
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
ridefinire cosa significhi oggi praticare una responsabilità educativa nelle famiglie con figli,
una responsabilità genitoriale. Sia che questa si
sviluppi in situazioni di disagio che di agio.
E come possono le politiche del benessere sostenere l’esercizio di queste responsabilità senza
essere invasive oppure senza limitarsi ad intervenire solo nei casi più problematici
Nell’ultimo decennio si è assistito da parte dei
genitori ad una crescita esponenziale delle domande di supporto alle responsabilità e competenze genitoriali soprattutto da parte dei nuovi
genitori e di quelli con figli adolescenti.
Non è una domanda sociale da sottovalutare e
nemmeno una domanda che richiede l’istituzione di corsi scolastici o peggio la scrittura di
vademecum e decaloghi.
Secondo molti partecipanti ai gruppi di lavoro,
a questa esigenza si può rispondere, come diverse esperienze hanno già dimostrato, sollecitando la promozione, a livello locale, di opportunità e di pratiche che contrastino le tensioni
verso la solitudine, l’autoreferenzialità e il familismo delle famiglie stesse.
In questa prospettiva, è stato più volte avanzata una proposta: la necessità di individuare, a
livello locale luoghi, modalità e pratiche in cui
costruire rapporti fiduciari e scambiare esperienze, discorsi e intenzionalità tra famiglie e
famiglie. In cui costruire ed offrire servizi alle
famiglie.
Scambiare fiducia non è facile; e questa non va
confusa con il buonismo. La fiducia presuppone relazioni soprattutto di ascolto delle famiglie, di scambio, di reciprocità, di solidarietà
nell’esercizio di ruoli distinti dal servizio pubblico, ma convergenti.
Creare spazi fiduciari non è semplice, lo sanno gli
operatori pubblici e privati che in modo spesso
pionieristico lavorano con le “reti tra famiglie”,
con le associazioni delle famiglie solidali.
Spazi, in generale, orientati a sostenere il cosiddetto capitale sociale di una comunità; centrale
nello sviluppo di una comunità e di un paese,
si è detto, non è il solo capitale umano come
spesso si sostiene, ma è anche l’insieme delle
relazioni orientate al riconoscimento e alla solidarietà tra le generazioni e tra le famiglie.
Ciò significa che a livello locale questi spazi devono essere rivolti a sostenere la propositività
e il protagonismo delle famiglie in un’ottica di
sussidiarietà; orientati a sostenere l’associazio-
55
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
nismo formale ed informale tra le famiglie.
Ma quali spazi e con quali modalità?
Nel paese esistono diversi esempi, non occorre
partire da zero.
Queste esperienze vanno viste e riprese per aumentarne le potenzialità, per imparare dai loro
eventuali insuccessi e dai loro successi, Sono
state citate le esperienze:
• dei centri per le famiglie,
• delle reti delle famiglie solidali,
• dei centri infanzia-adolescenza-famiglia,
• delle consulte e delle alleanze locali per le famiglia,
• delle ancora deboli, ma esistenti, pratiche di
democrazia partecipativa nell’elaborazione
dei piani regolatori sociali, dei piani della
qualità della vita delle città,….
In questa prospettiva, da molti interventi è
emersa la necessità di avviare una riflessione
conclusiva sull’attualità e il senso dei consultori familiari, sia pubblici che privati.
La domanda è se possono essere proprio i consultori familiari, opportunamente rilanciati e
sostenuti, a rappresentare in modo diffuso e
capillare nell’intero paese, questi “Centri territoriali rivolti alle famiglie”.
Oppure occorre pensare altri strumenti più
specifici?
La discussione su questo non si è chiusa; certa
era invece l’esigenza di avere finalmente questi spazi non più a macchia di leopardo, ma in
forma uniforme in tutto il paese. Certa era l’esigenza di fare rientrare questi “spazi” nei livelli
essenziali delle prestazioni in modo da poter
garantire riferimenti comuni, un’omogeneità di
fondo nella loro realizzazione e,soprattutto, la
loro connessione con le altre politiche locali di
welfare.
Ricordando anche, si è detto più volte, che la responsabilità genitoriale è costruita, quotidianamente, non solo tra adulti, ma dall’interazione
con le bambine e i ragazzi che sono soggetti attivi delle famiglie. Non sono, ovviamente, affatto
l’oggetto della nostra responsabilità.
B) FAMIGLIA E SCUOLA
Nel secondo gruppo di lavoro, ma le discussioni si sono fortemente intrecciate tra le due occasioni di lavoro, si è detto che nella costruzione locale dei legami fiduciari, vi è una grande
56
AIAF RIVISTA 2007/2
assenza, almeno in moltissime realtà territoriali
del nostro paese e riguarda proprio la qualità
dei rapporti tra famiglie e scuole, ma diciamolo
pure tra scuole e le comunità locali.
Guardare all’indietro nel tempo può essere utile
per apprendere alcune lezioni del mancato decollo di questi rapporti. Ma non si tratta, come
spesso succede di trovare, tra i due (famiglie e
scuole), il colpevole, di questa estraneità.
I luoghi deputati alla “formazione” non sono
affatto estranei ai meccanismi sociali in cui si
creano i rapporti fiduciari.
Lo sa benissimo chi ha avuto figli che frequentano ed hanno frequentato i servizi socioeducativi dei più piccoli, ma anche le scuole “elementari”. Proprio la natura accogliente di buona
parte di queste strutture ha generato spesso tra
genitori, educatori ed insegnanti, degli scambi,
delle discussioni, delle innovazioni che hanno
messo in movimento risorse delle famiglie, risorse dell’associazionismo e del privato sociale
nonché risorse delle istituzioni locali.
Nel proseguo la scuola diventa estranea, lontana e spesso le famiglie si comportano o sono
viste, qualcuno dice, come il sindacato dei figli,
delle rompiscatole.
È vero, ma come non comportarsi in questo
modo quando gli spazi di incontro tra famiglie
e scuola sono risicati, cronometrati, impersonali
e fastidiosi?
I lavori di gruppo hanno indicato che occorre
puntare a rendere esplicito, trasparente e visibile alle famiglie il progetto formativo della scuola che le famiglie e i loro figli scelgono:
• quale idea di formazione ha la scuola scelta?
• quali sono gli obiettivi che la scuola vuole
raggiungere, quali le risorse disponibili, le
questioni affrontate e le decisioni scolastiche
prese?
E, contemporaneamente,
• quali sono le idee che si sono fatte le famiglie
e i ragazzi di questa scuola,
• quali le aspettative, gli obiettivi, le attese?
Domande che possono essere raccolte e discusse sicuramente nel momento cruciale dell’iscrizione, ma soprattutto nel processo partecipativo che deve portare all’elaborazione ed alla
verifica dei POF.
Molti hanno visto nell’accoglienza e nel sostegno all’associazionismo formale ed informale
dei genitori che si forma nelle scuole una buona pratica da perseguire.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
Anche in questo caso le esperienze in giro per
l’Italia ci sono, sono sparse, deboli, ma sono fortemente innovative.
È stata citata l’esperienza di un comune limitrofo
a Palermo, commissariato da svariati anni, in cui
i genitori si sono presi in prima persona l’impegno di sostenere la scuola in forti difficoltà.
È stato citato il trentino che ha fatto della partecipazione dei genitori alla vita scolastica un
punto decisivo delle sue scelte, seguito ora anche da Cagliari, oppure l’esperienza di Venezia
con i progetti di rete tra servizi sociali, scuola
e genitori…
Le esperienze ci sono: sparse, non connesse tra
loro, lasciate alla buona volontà di qualcuno.
Ma ci sono e vanno raccolte, documentate e comunicate.
La scuola non è un ospite nel contesto locale,
nella municipalità. È un soggetto ed un attore
attivo che va messo sempre di più in relazione
con gli altri soggetti ed attori, soprattutto le famiglie ma anche i soggetti della più ampia società civile e i servizi degli enti locali.
Questo anche perché le sfide che deve affrontare la scuola non sono semplici e da sola non può
che soccombere. Si pensi alla sfida posta dagli
episodi di violenza, alle sfide poste dall’interculturalità. L’interculturalità. Un aspetto che
deve essere centrale in questa attenzione.
È possibile mettere in atto processi che sviluppino ancor di più anche cose semplici, ma fattibili, rilevava un esperto, come la promozione
di corsi di alfabetizzazione linguistica di cui
si sente l’estremo bisogno? Oppure protocolli
d’intesa tra diversi istituti e servizi di welfare
per l’accoglienza e l’inclusione sociale dei ragazzi e delle loro famiglie straniere?
La grande sfida posta dai ragazzi di genitori stranieri (quelli diciamo essere di seconda generazione, per intenderci) passa sicuramente - vorrei
dire quasi esclusivamente - attraverso il modo
con cui la scuola li accoglie e li accoglierà.
Occorre essere consapevoli di questa grande
opportunità che abbiamo ed occorre puntare
all’utilizzo ed allo sviluppo delle professionalità e delle competenze di insegnanti, dei rappresentanti dei genitori, degli educatori, dei
mediatori culturali. Una formazione orientata
a sviluppare le capacità dei soggetti nella facilitazione delle relazioni e delle reti, le capacità
di costruire e sviluppare risorse per il capitale
sociale.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
In diverse occasioni nel gruppo di lavoro si è
detto che occorrono iniziative ed opportunità
che avviino una nuova fase partecipativa nei
territori avendo come obiettivo la costruzione
di legami tra le famiglie, le scuole e i servizi di
welfare.
Un’esigenza che sembra richiamare lo spirito e
le opportunità che anni fa erano state avviate
con la prima fase di attuazione della legge 285
e che, purtroppo, non avevano coinvolto se non
marginalmente la scuola.
La metodologia della coprogettazione e della
corresponsabilità utilizzata con la 285 e riproposta dalla legge quadro 328 vanno riprese.
È forse giunto il tempo di ripensare ai successi (molti) e agli insuccessi di quella lezione, nel
pieno rispetto delle autonomie locali ed alla
luce dei cambiamenti formali intervenuti in
questi anni.
Forse sì, hanno detto in molti, è giunto il tempo di pensarci e questo di oggi sembra il luogo
adatto per pensarci.
FAMIGLIA E LAVORO
RELATORE: DANIELA DEL BOCA
RAPPORTEUR: MARGHERITA MIOTTO
GRUPPI:
• DIVENTARE FAMIGLIA E MERCATO FLESSIBILE
• CONCILIAZIONE E LAVORO DI CURA IN FAMIGLIA
• FAMIGLIA E IMPRESA
N
ella mia sessione “Famiglia e Lavoro” i lavori dei tre gruppi si sono avvalsi delle relazioni delle professoresse Del Boca, Trifiletti,
Cardini e del professor Billari, dei Presidenti
Treu, Ascoli, Dal Maso, Trico, a tutti va il ringraziamento per un grande lavoro che è stato fatto
ieri mattina e ieri pomeriggio. Questa sintesi si
avvale ovviamente anche dei contributi di molti
esperti che hanno parlato nei lavori di gruppo,
degli apporti di alcune decine di interventi.
Abbiamo affrontato le condizioni di difficoltà
che un mercato flessibile determina sulla scelta
di diventare famiglia, nonché i problemi che si
presentano nell’essere famiglia, allorché la nascita di un figlio entra in conflitto con il mantenimento del lavoro. In entrambi i casi si generano delle spirali perverse. Nel mercato flessibile i
57
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
giovani non hanno un lavoro stabile, guadagnano molto meno dei loro coetanei europei, perciò
faticano nel trovare casa, pagare l’affitto, ritardano nel mettere su famiglia e avere il primo
figlio, non godono di congedi e così si allontana
la prospettiva di averne un secondo. E così le
donne: dopo la nascita del primo figlio oltre il
20% lascia il lavoro e questa situazione determina spesso un peggioramento delle condizioni economiche della famiglia e a quel punto diventa più difficile progettare il secondo figlio.
Queste condizioni producono alcuni effetti negativi che tutti conosciamo: la bassa natalità, il
sistema economico che si priva di una grande
risorsa, come il lavoro femminile, esponendo la
famiglia al rischio della povertà, la non valorizzazione della risorsa di innovazione del lavoro
dei giovani, schiacciati sui lavori intermittenti
e si aprono preoccupanti criticità per la sostenibilità dei sistemi di welfare. Mutamenti del
mercato del lavoro e responsabilità familiari
interpellano sia le politiche del lavoro come le
politiche di welfare, fra queste un mix di servizi, trasferimenti, politiche di conciliazione fa
capire che non sono efficaci soluzioni uniche,
fra loro alternative, e in questo senso la famiglia
non può mancare in alcuno dei tanti tavoli che
stanno progettando riforme profonde per modernizzare il Paese.
Per consentire ai giovani di diventare famiglia
occorre anzitutto riconoscerli, dare loro voce
anche con misure simboliche, come, ad esempio, la presenza, nelle istituzioni. Ma occorre
aiutarli a recuperare l’autonomia per affrontare
tre questioni: promuovere mobilità nell’accesso alle professioni, favorire l’accesso alla casa a
costi accessibili, varare ammortizzatori sociali.
Per essere famiglia occorre conciliare famiglia
e lavoro e su questo versante sono le donne le
più esposte a rischio di dover scegliere fra lavoro e maternità, una scelta crudele. A questo
si aggiunge un’ulteriore penalizzazione per le
donne del Sud, che soffrono la doppia povertà di enorme disoccupazione e larga assenza di
servizi.
I servizi, quindi, vanno pensati secondo modelli
flessibili, diversificando l’offerta in ragione delle necessità di conciliare orari e tempi con il lavoro della famiglia. Penso in particolare ai nidi,
ai servizi per l’infanzia nella vasta gamma di
opportunità che è già presente, purtroppo, solo
in poche aree del paese. S’impone una priorità
58
AIAF RIVISTA 2007/2
per il Governo: rafforzare le scelte avviate con
la Finanziaria 2007, un grande investimento sui
nidi nella più ampia articolazione e diversificazione per quanto attiene alle caratteristiche organizzative e gestionali, ma con l’attenzione a
colmare il grave ritardo, ancora una volta, che
c’è nel sud del paese.
Le politiche di conciliazione rappresentano
una via indispensabile per aiutare la famiglia
nei propri progetti di realizzazione personale
e professionale, senza mortificare per nulla il
desiderio di maternità. Attuare politiche di conciliazione lavoro-famiglia rappresenta anche
una grande opportunità di evoluzione organizzativa delle aziende e di miglioramento delle
performance aziendali, perciò è utile proseguire con l’iniziativa che segnala le buone prassi
sperimentate nelle aziende amiche della famiglia. Diffondere le politiche di conciliazione significa moltiplicare le positive sperimentazioni
già fatte ma soprattutto diffondere di più part
time, telelavoro, la banca delle ore, formazione
per il reinserimento dopo i congedi, consentire
la sostituzione del titolare dell’impresa assente
per maternità utilizzando anche ulteriori spazi
di sperimentazione, che sono consentiti dall’aggiornamento dell’art. 9 della legge n. 53, effettuato con la Finanziaria 2007.
Ma dobbiamo riconoscere che è maturo il tempo
per una revisione della legge 53 per assumere i
profondi cambiamenti intervenuti nel mercato
del lavoro e per consentire l’effettivo accesso
alle misure previste anche al vasto mondo delle
piccole e medie imprese, che sono così decisive nel sistema economico del nostro paese. In
verità, l’orizzonte di questo cambiamento è il
modello di flex security, che connette politiche
di flessibilità del lavoro, politiche attive e prestazioni sociali, perché è necessario prevedere
incentivi nella fase di transizione, allorché si
perde il lavoro, oltre a politiche sociali che evitino i rischi di esclusione sociale, indotti dalla
flessibilità. Inoltre, alcune innovazione normative sulla scia anche si consolidate esperienza di
molti Paesi europei.
Occorre, quindi, modificare la norma sul part-time con nuove forme agevolate di accesso, meno
costose per le aziende, con miglioramento delle
condizioni retributive per le lavoratrici e i lavoratori; la modifica delle norme che regolano il
congedo parentale, scarsamente utilizzato dai
padri perché la riduzione della retribuzione al
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
30% penalizza troppo il bilancio familiare, andrebbe elevata al 70% entro una certa soglia di
reddito ed estesa la possibilità di prenderli con il
part-time orizzontale. Estendere i congedi ai lavoratori atipici. Sgravi fiscali per le aziende che
sostituiscono una lavoratrice o un lavoratore in
congedo. E d ancora: valutazione dell’assenza
per maternità negli studi di settore per i lavoratori autonomi. Questa è un’innovazione che costerebbe poco e avrebbe grande efficacia, perché
molte lavoratrici autonome ne sarebbero grate.
Una misura simbolica: il congedo di paternità alla nascita del figlio. È necessario cambiare
la mentalità e servono anche misure di questa
natura.
L’invecchiamento della popolazione e la condizione della famiglia più esile del passato pone
problemi inediti per l’assistenza degli anziani e
non autosufficienti, addossata spesso alla donna
costretta ad abbandonare il lavoro e rinunciare
ad avere figli. È giunto il tempo di un riconoscimento del lavoro di cura, compresa la crescita
dei figli. È stata condivisa una proposta della
professoressa Del Boca che tende a riconoscere un credito d’imposta alla donna che lavora e
che svolge il lavoro di cura, un credito d’imposta per le spese sostenute nel lavoro di cura. È
una misura che farebbe emergere il sommerso e
incentiva il lavoro femminile. Sarebbe universale per la platea delle donne che lavorano, selettiva perché si applica al di sotto di un limite di
reddito determinato con il criterio ISEE.
Queste misure tendono ad evitare l’abbandono del lavoro e a riconoscere il lavoro di cura.
Chiaramente sono necessarie nuove misure per
creare nuova occupazione, penso soprattutto al
Sud, ma già questa proposta che in parte riprende esperienze europee, segnerebbe una svolta
di grande innovatività nel nostro Paese.
Le donne italiane chiedono di avere più figli e
di poter lavorare. In ciò esse sono già in linea
con le concittadine europee; nei fatti, però, sono
molto più indietro delle cittadine europee. Facciamo in
modo che queste aspirazioni, Ministro Bindi, si
realizzino perché così corrisponderemo anche
al bene del Paese.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
FAMIGLIA E WELFARE
RELATORE: PAOLO BOSI
RAPPORTEUR: TIZIANO VECCHIATO
GRUPPI:
• SERVIZI PER L’INFANZIA
• SERVIZI PER LA FAMIGLIA
• LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA E INDICATORI DI
REDDITO
I
l gruppo ha condiviso i contenuti e lo spirito
della relazione evidenziando, in particolare
alcuni punti:
• la rete integrata di servizi per l’infanzia ha
un valore multiplo di offerta educativa per i
bambini, di sostegno alla genitorialità e di inclusione sociale, rappresenta quindi un pilastro importante del sistema di welfare locale,
• la realtà italiana è caratterizzata da un forte
disparità a livello territoriale (1% di copertura Campania, 23% Emilia-Romagna),questo è
il primo obiettivo di un Piano pluriennale dei
servizi dell’infanzia, riequilibrare la situazione territoriale
• Il panorama italiano presenta una grande
ricchezza di esperienze, ove è forte anche il
protagonismo della società civile, tali esperienze devono trovare momenti di verifica e
valutazione per un eventuale inserimento a
pieno titolo nella rete a livello locale. Questa
deve sapere cogliere le specificità territoriali
e funzionali, garantendo comunque la qualità dell’offerta formativa,
• Sia che si vada nella direzione di procedere
ad una riforma normativa (la legge 1044/71 va
comunque rimodulata) sia che in una prima
fase le scelte vengano sostenute con il Piano
(come dice la Finanziaria 07) è indispensabile
definire i livelli di governance, chiarendo il
ruolo della Regione e degli enti locali,
• È ugualmente indispensabile definire standard minimi di qualità a cui vincolare i finanziamenti a breve e lungo termine, avendo
attenzione anche ai saperi professionali, ed
alle forme di garanzia dei livelli qualitativi
dei servizi
• L’intervento finanziario dello Stato a sostegno della diffusione della rete dei servizi per
l’infanzia deve prevedere un equilibrio fra
fondi destinati alla costruzione/ristruttura-
59
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
zione (in contro capitale) e fondi a sostegno
della gestione, e deve vincolare le somme alla
realizzazione dei servizi,
• Un rinnovata programmazione nazionale di
diffusione dei servizi per la prima infanzia
può e deve essere efficacemente accompagnata da un monitoraggio, da azioni di accompagnamento della progettazione locale,
da confronto e scambio di buone pratiche anche attraverso forme di coordinamento tecnico stabile fra regioni e realtà locali.
SERVIZI PER LA FAMIGLIA
Il gruppo indica cinque priorità:
1. Rendere operativa la L. n. 328/2000 con riferimento ai suoi due profili fondamentali:
− la pianificazione territoriale basata sulla
capacità di condividere non solo obiettivi
ma anche risorse e responsabilità
− l’offerta di servizi secondo la raccomandazione strategica indicata nel titolo della
legge e cioè in termini di “rete territoriale di
servizi”
2. Riprendere il capitale rappresentato dalle ricadute positive della L. 285/97, in quanto si
tratta di risultati di un lavoro collettivo (istituzionale e sociale) distribuito nel territorio
da salvaguardare e sviluppare nel metodo e
nel merito soprattutto per quanto riguarda il
binomio “infanzia e famiglia”
3. Fare dei tre temi altrettanti obiettivi target a
cui dare priorità a livello nazionale, regionale e locale:
− “Sostegno alla genitorialità” e “lavoro di
cura”
− “Famiglie con figli”
− “Famiglie giovani”
4. Percezione diffusa di notevoli difficoltà di
integrazione tra sociale e sanitario, malgrado il DLgs n. 229/99 avesse aperto nuove
prospettive e basi per affrontarlo. Bisogno
ripartire da quelle potenzialità facendo del
consultorio famigliare il terreno di prova
fondamentale sulla base di due livelli di investimento:
− ricomporre le competenze del consultorio familiare distribuite in servizi e attività
frammentate e le soprattutto ricomporre le
responsabilità necessarie alla sua realizzazione e sviluppo
60
AIAF RIVISTA 2007/2
− facendo leva sullo sviluppo delle funzioni consultoriali oltre i traguardi positivi ma
insufficienti, faticosamente raggiunti in 30
anni (ad es. per la tutela della salute della
donna e del bambino…)
Per raggiungere questo obiettivo è necessario
superare la stagione delle faticose concertazioni e negoziazioni tra Aziende sanitarie e
comuni, che spesso ostacolano la sua piena
realizzazione, tenendo presente che si tratta
di un servizio a valenza territoriale (distrettuale e di ambito sociale) e quindi da qualificare con risorse adeguate e condivise, da
non condizionare al contenzioso tra titolarità
formali, mentre restano inattuali i livelli essenziali di assistenza su questa materia.
5. La regolamentazione del lavoro di cura
deve produrre conseguenze a vantaggio e
tutela dei diritti di tutte le parti in causa e
quindi per chi in famiglia si occupa di figli o
altri familiari bisognosi di cure, di chi opera
nel mercato del lavoro di cura (assistenti familiari…) senza scaricare sulla famiglia gli
oneri economici di questa maggiore tutela
(fiscalizzazione oneri, riconoscimento degli
oneri contrattuali alla famiglia da parte degli enti locali e/o delle regioni).
Per i familiari che svolgono lavoro di cura all’interno della famiglia il riconoscimento deve ad
esempio iniziare dalla tutela pensionistica in
vista di un più compiuto riconoscimento anche
economico di tale lavoro.
LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA E
INDICATORI DI REDDITO
Le principali domande che si è posto il gruppo
sono le seguenti:
• cosa intendere per livelli essenziali di assistenza e in particolare per livelli essenziali di
assistenza per la famiglia
• come definirli e attuarli
• a partire da quali responsabilità
• con quali risorse
LA QUESTIONE DELLE RISORSE E DELLA LORO
FINALIZZAZIONE
La spesa per l’assistenza sociale in Italia (2006)
è stata di 44.540 milioni di euro (3% Pil) pari a
700-750 euro pro capite, di questi 86,15 euro è
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
la spesa sociale sostenuta dai comuni nell’anno
2004).
Quindi indicativamente solo 1/14 di questa spesa è erogata in servizi e ben 13/14 in trasferimenti monetari. È questo l’enorme problema che ci
consegna la non attuazione dell’art. 24 della L.
328/2000, cioè l’incapacità istituzionale e sociale
di mettere mano alla questione dei trasferimenti “monetari e/o servizi?”, sulla base dei bisogni
effettivi e non solo dei diritti acquisiti.
Il gruppo indica questa priorità come una “questione sociale” da affrontare e affrontabile trasformando sostanzialmente le nostre capacità
di governo del welfare in modo da garantire
servizi alle persone e alle famiglie e non solo
trasferimenti monetari.
2. Come valutare insieme la “capacità” (economica, di risorse di potenzialità personali e relazionali) e il “bisogno”. cioè la necessità (e il
diritto) di essere aiutati e sostenuti nell’esercizio
delle funzioni genitoriali e familiari?
Sul piano della valutazione delle capacità economiche c’è un unanime necessità di una strumentazione comune (ISEE) da modulare secondo i territori e le esigenze di valutare diverse
dimensioni di tale capacità.
Sul piano della valutazione tecnico professionale va affrontato il problema della strumentazione professionale del bisogno, quale premessa
per meglio regolare la dimensione del diritto ad
accedere ai servizi per la famiglia in condizioni
di maggiore equità, rispetto alla situazione attuale (con soluzioni da individuare in termini
di accesso unitario, assistente sociale della famiglia, unità multiprofessionale…), e meglio governare il rapporto tra risorse disponibili e risposte
da riconoscere nei livelli di assistenza.
COSA INTENDERE PER LIVELLI ESSENZIALI DI
ASSISTENZA PER LA FAMIGLIA
Come è stato ed è per molti diritti della persona
a cui si è dato riconoscimento non solo in termini di risposta ma anche di valore proprio, sociale da tutelare, va definita e configurata operativamente una particolare tutela giuridica e sociale dei bisogni e diritti della famiglia. Si tratta
infatti di bisogni e i diritti che caratterizzano la
condizione di vita famigliare intesa come nucleo originale (non solo somma) di relazioni,
responsabilità e capacità di affrontare questioni
centrali della vita umana.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Per questo i livelli essenziali di assistenza per
la famiglia possono essere definiti e interpretati
avendo in mente la necessità di armonizzare bisogni, diritti e responsabilità della persona con
i bisogni, responsabilità e (quindi anche) diritti
che caratterizzano in senso proprio l’esercizio
delle responsabilità familiari.
Possono essere caratterizzati come diritti di
cittadinanza sociale della famiglia da tutelare
con:
• la costruzione di infrastrutture di Lea necessarie per l’accesso, l’informazione, l’accompagnamento, la valutazione del bisogno, la
presa in carico, la personalizzazione delle risposte), cioè con infrastrutture di cittadinanza necessarie alla promozione della persona
e della famiglia;
• la realizzazione delle risposte in termini di
servizi domiciliari, intermedi, residenziali,
di pronto intervento, a partire dalla presenza territoriale di queste infrastrutture e dalle
capacità tecniche e professionali presenti nel
territorio in modo da promuovere l’incontro tra bisogni, diritti e risposte riconosciute
come livelli essenziali.
Si tratta in sostanza di una grande opera sociale
che richiede investimenti di breve, medio e lungo periodo. Solo in quanto riconosciuta come
“grande opera” può essere affrontata oltre la
disputa contingente sulla sostenibilità, sulle
compatibilità e sulle insufficienti risorse che, in
quanto non riconvertite, non potranno mai essere adeguate per questa impresa.
A cosa finalizzare i livelli di assistenza per la
famiglia
Nell’idea di livello di assistenza c’è già in buona parte la sua finalizzazione (costituzionale) e
cioè equità distributiva, pari opportunità, promozione delle potenzialità, tutela dei soggetti
deboli, intesi non solo come persone ma anche
come famiglie, in particolare quelle maggiormente svantaggiate e/o gravate da carichi di
cura insostenibili senza adeguati supporti.
Per questo la questione “esigibilità” dei diritti
connessi ai livelli di assistenza va vista non solo
in termini di certezza ma anche di stabilità nel
tempo, in un quadro di garanzie basato sull’incontro di diverse responsabilità: lo stato, le regioni, gli enti locali e… di quanti sono sostanzialmente coinvolti e cointeressati nel finanziamento e nell’attuazione del livelli.
Attualmente il finanziamento dei livelli si basa
61
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
sulla solidarietà fiscale che rende possibile la
conseguente spesa statale, regionale e comunale.
Ma non bisogna sottovalutare e non riconoscere
il fatto che una quota consistente dei servizi per
la famiglia e oggi “pagata al momento del consumo” dalle famiglie stesse, cioè in sede di fruizione delle risposte di cui hanno bisogno e diritto
(per l’infanzia, per la non autosufficienza…).
La questione dei livelli vede quindi la famiglia
doppiamente contribuente nel finanziare risposte che possono/devono diventare parte sostanziale dei livelli essenziali di cittadinanza per la
famiglia.
Non si può quindi pensare che la definizione
dei livelli non veda tutti gli azionisti cointeressati e corresponsabilizzati in ragione soprattutto della propria titolarità istituzionale e (anche)
in ragione del proprio impegno nel finanziarli e
garantirli in condizioni di equità su tutto il territorio nazionale.
Va quindi evitato di fare della questione dei livelli essenziali di assistenza una disputa di competenze e titolarità settoriali, perché si tratta di
una grande opera che il Governo nella sua collegialità può affrontare in modo complessivo,
efficace, valorizzando le diverse competenze,
grazie all’incontro e collaborazione dei diversi
centri di responsabilità presenti al suo interno.
Per raggiungere questo traguardo serve inoltre una nuova cultura dei servizi alle persone e
alle famiglie, basata sulla composizione di valori, strategie e risorse che oggi, grazie anche a
questa conferenza, possiamo meglio condividere e sviluppare, quale base necessaria per una
nuova stagione non solo delle politiche per la
famiglia ma delle politiche di welfare nel loro
complesso.
62
AIAF RIVISTA 2007/2
LA FAMIGLIA CHE ACCOGLIE
RELATORE: GIULIA DE MARCO
RAPPORTEUR: MARIA RITA VERARDO
GRUPPI:
• ADOZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI
• AFFIDO
P
rima di riferire molto sinteticamente sui lavori della mia sessione, desidero salutare
con molta gratitudine l’Onorevole Presidente
del Consiglio, il Ministro Rosy Bindi. Questa
Conferenza sulla Famiglia è già stata definita
storica e ci induce a guardare con speranza al
futuro delle famiglie. È stato detto già nel primo
intervento che questo è un momento per richiedere con forza l’istituzione di un giudice unico
per la famiglia e per i minori, proposta che sta
molto a cuore a tutti.
La mia sessione, che si è occupata della famiglia
che accoglie è stata introdotta da una lectio magistralis di Giulia De Marco che ha toccato tutti
i punti con grande completezza e profondità e
che quindi ha stimolato un dibattito proficuo, fecondo, ricco, articolato nei due gruppi coordinati
dal Presidente Luigi Fadiga e da Stefano Ricci.
Non potrò dare voce a tutte le splendide cose che
sono state dette e perciò le rinvio al contributo
scritto che presto invierò alla Conferenza
Luigi Fadiga ha detto che forse bisogna qualificare il desiderio di accoglienza delle famiglie.
Ma chi è la famiglia che accoglie? La famiglia che
accoglie si pone come una risorsa nei confronti
delle famiglie meno fortunate e noi, nel gruppo
abbiamo guardato a questi problemi, mettendo
al centro il bambino, quel bambino, quel minore
che in tutte le sue età, sia neonato, sia fanciullo, preadolescente, adolescente ha diritto a che
gli sia davvero garantita la famiglia come luogo
di crescita. Non il diritto al figlio, ma è il figlio
che ha diritto alla famiglia. Intorno a questo
cardine che hanno ruotato tutti i nostri lavori,
tutti gli approfondimenti per quanto concerne
l’affido nazionale, abbiamo parlato di adozione
nazionale e di affidamento familiare, abbiamo
parlato di adozione internazionale e di affidamento internazionale che è la novità, l’istituto a
cui il Ministro Bindi so tenere particolarmente.
Ci siamo detti che l’affidamento internazionale
è una risposta al diritto dei bambini di tutto il
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
mondo, non solo dei bambini italiani. Le famiglie italiane saranno pronte ancora una volta ad
accogliere dei ragazzi - perché devono essere
ragazzi non bambini - che verranno da paesi stranieri per tornare al loro paese, dopo un
adeguato percorso di studi o un apprendistato
lavorativo. È importante che non ci siano equivoci e che non si voglia organizzare l’affidamento internazionale come escamotage per arrivare
all’adozione internazionale; che sia monitorato
il desiderio delle famiglie, che sia accolto, conosciuto e, quindi, ritornerebbe qui il profondo e
grave discorso della carenza di servizi qualificati, dedicati esclusivamente a famiglie minori.
Abbiamo già detto e ripetuto, la famiglia ed i
bambini di tutto il territorio, da Bolzano a Ragusa, hanno diritto a servizi che siano distribuiti
in modo omogeneo su tutto il territorio. Servizi
integrati socio-sanitari, servizi che non possono essere affidati ad operatori precari, perché
l’utente che soffre non può raccontare la storia
dolorosa della sua vita ad un turnover di operatori che si alternano. Con forza, quindi, ripetiamo no al precariato nei servizi.
L’adozione nazionale non riguarda più soltanto i pochi minori che vengono abbandonati dai
genitori, secondo la vecchia nozione della derelictio, ma richiama al dovere magistrati, servizi,
operatori privati e sociali, ci richiama ad ascoltare quel silenzioso urlo degli innocenti, come è
stato ben detto da Giulia De Marco nella relazione, ed a me ha riportato alla mente quello
che Carlo Moro scriveva già nel suo primo manuale “Gli orfani di genitori viventi”. Quegli
orfani di oggi, molto numerosi, chiedono famiglia, chiedono innanzitutto che la loro famiglia
sia sostenuta e messa in condizione di svolgere
appieno il suo ruolo. Grande impegno, quindi,
per sostenere le famiglie meno fortunate, le famiglie meno capaci.
Quando, però, la valutazione della genitorialità, che deve essere fatta da operatori discreti,
qualificati, ma molto competenti, quando la valutazione della genitorialità propone altre strade, bisogna che una magistratura specializzata,
e richiamo la nostra istanza di un tribunale per
la famiglia. Un giudice specializzato, in sintonia
con i servizi e col privato sociale tempestivamente dia risposte ai diritti dei minori che sono
l’affidamento e l’adozione nazionale ed internazionale. Dobbiamo fare in modo che le famiglierisorsa si incontrino con le famiglie-problema.
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
FAMIGLIA, VIOLENZA E RIPARAZIONE
RELATORE: SIMONA ARGENTIERI
RAPPORTEUR: FRANCO VACCARI
GRUPPI:
• CONFLITTUALITÀ E VIOLENZA NELLA COPPIA
• NUOVE E VECCHIE VIOLENZE SUI BAMBINI
P
iù di 200 persone si sono incontrate in maniera appassionata, i saperi più avanzati, le
trincee più dure, i luoghi più dolorosi; abbiamo parlato anche dei muri impenetrabili dove
abbiamo visto però che si aprono delle brecce
e delle crepe. Condotti insieme dalla dottoressa
Simona Argentieri, dalla professoressa Isabella
Merzagora, dall’avvocato Marco Scarpati a cui
si sono uniti nel gruppo la dottoressa Corinaldesi e Stefania Rossini.
Da questo luogo appassionato che si è confrontato con estremo rigore sulla problematica
viene fuori una prima gran bella notizia: che la
famiglia tiene anche da questo punto di vista:
non perché la violenza c’è, la famiglia è superata. La violenza c’è; si vede, si palpa in tutto
l’arco dell’esistenza, comincia già in mille forme sulla madre, sul bambino, già prima della
nascita, la troviamo nel delicatissimo periodo
intorno alla nascita, spesso in un clima di solitudine. La violenza su cui abbiamo concentrato
l’analisi è quella quotidiana (non abbiamo parlato di Cogne finalmente!). Nasce con le ansie,
le preoccupazioni, le paure negate, inespresse,
le fragilità… Tutto questo costituisce un mix che
poi produce e porta alla violenza. Non siamo
entrati nel museo degli orrori, abbiamo evitato
questo rischio, ma non siamo stati neanche nel
Villaggio dei Puffi. Abbiamo ruotato attorno a
un paio di questioni che in estrema sintesi pongo all’attenzione di tutti.
Occorre conoscere, riconoscere, ascoltare, osservare ciò che si va maturando nella vita quotidiana delle famiglie che vivono uno stato o un sentimento la solitudine. Se non facciamo questo,
non saremo in grado di prevenire le forme della
violenza. Quindi occorre deprecarizzare l’intervento delle strutture; bisogna dare luoghi certi,
risposte sicure, figure professionali chiare, volti
concreti che ristabiliscano il dialogo, tengano
aperta la relazione della famiglia con l’esterno
e facciano maturare relazioni di fiducia. Non è
63
NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
possibile che le famiglie nel momento della crisi non sappiano dove andare, dove rivolgersi,
trovino figure sempre diverse, luoghi sempre
diversi. Questa è la prima e fondamentale necessità, perché altrimenti rischiamo di scrivere
un altro volume del libro dei sogni.
In questa prospettiva della non precarizzazione di tutto questo intervento, oltre al potenziamento dell’Osservatorio Nazionale per la pedofilia, abbiamo lavorato e insistito molto su una
proposta concreta: introdurre, finalmente, una
nuova visione dei consultori. Promuovere una
loro evoluzione, un’innovazione verso nuove
funzioni consultoriali.
Potremo anche discutere del nome, potremo
chiamarli Centri Famiglia, proprio per questa
loro nuova funzione, perché dentro questa nuova realtà, da concepire in maniera assolutamente innovativa, noi dovremo trovare i modi per
la formazione di nuovo personale. È una formazione integrata tra i saperi diversi, nella riformulazione di nuovi linguaggi, che sappiano
descrivere i nuovi fenomeni che ancora non co-
64
AIAF RIVISTA 2007/2
nosciamo. Questo permetterà di padroneggiare
una materia sempre più complessa e sfuggente, di poter dare risposte unitarie, capaci di far
uscire la famiglia dalla frammentazione e dalla
solitudine. Ecco il senso di un luogo concreto,
accessibile, amico della famiglia, con volti concreti che non cambiano continuamente, specialmente nei grandi momenti delle crisi familiari.
Così spezzeremo fin dal primo momento perinatale le angosce che si accumulano intorno ai
primi strilli dei bambini, germi di future violenze. Gli strilli dei neonati, che si moltiplicano in
un’eco incontenibile e angosciante quando l’ambiente è caratterizzato dalla solitudine di tante
madri, potranno invece, se ascoltati da ambienti
di relazioni sociali vive e forti, essere un motivo
di gioia e l’inizio di una vita serena. Un’angoscia spenta sul nascere, preverrà - con costi di
gran lunga minori - le necessarie e successive
riparazioni, sempre molto difficili e non sempre
dall’esito felice.
MAGGIO - SETTEMBREAFFIDAMENTO
2007
E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
EDITORIALE
L’
ordinanza della Corte di Cassazione n.
8362 del 22.3.2007, depositata il 3.4.2007,
che ha risolto il conflitto negativo di
competenza tra il Tribunale Ordinario e il Tribunale per i Minorenni di Milano in relazione
ai procedimenti relativi all’affidamento e al
mantenimento dei figli di genitori non coniugati, conflitto determinatosi a seguito dell’entrata
in vigore della legge n. 54/06, pone alcuni seri
interrogativi, soprattutto di natura processuale,
in relazione alla interpretazione e applicazione
della normativa da parte dei Tribunali per i Minorenni che, secondo l’indicazione della Corte,
dovranno decidere anche le domande di natura
economica - già di competenza del Tribunale
Ordinario ai sensi dell’art. 148 c.c. - se proposte
contestualmente alla domanda di affidamento
dei figli.
Tuttavia questa importante decisione della Suprema Corte, se letta anche alla luce dei principi
generali dell’ordinamento e della legislazione
sovra-nazionale nonché di altre sentenze della
stessa Cassazione e della Corte Costituzionale,
rende a mio parere possibile l’adozione, da parte dei Tribunali per i minorenni, di soluzioni efficaci dal punto di vista processuale, in attesa di
interventi legislativi che chiariscano i numerosi
dubbi che stanno emergendo nella applicazione della legge da parte della giurisprudenza di
merito.
Va anzitutto apprezzato il fatto che sia stato dalla Corte affermato, che con l’entrata in vigore
della legge n. 54 non è vero che tutto resta come
prima in relazione alla ripartizione delle competenze, come viceversa sostenuto oltre che dal
Tribunale di Milano, da gran parte della giurisprudenza sia dei Tribunali per i minorenni che
dei Tribunali Ordinari. Cosa che non era affatto
scontata.
La legge n. 54 ha comportato una innovazio-
1
ne rispetto alla precedente regola del riparto
che attribuiva la cognizione delle controversie
concernenti il contributo al mantenimento del
figlio naturale al Tribunale Ordinario anche in
caso di contestualità della domanda di natura
patrimoniale con quella relativa all’affidamento, cosa oggi non più consentita.
Questa corretta interpretazione della legge, affermata oggi in modo chiaro e autorevole dalla
Suprema Corte, pone una importante base dalla
quale credo non si debba tornare indietro1.
Afferma la Corte: “…una volta che gli artt. 155 e
LA COMPETENZA
SULL’AFFIDAMENTO
E IL
MANTENIMENTO
DEI FIGLI NATURALI
DOPO L’ORDINANZA DELLA
CASSAZIONE N. 8362
DEL 3.4.2007
_MARIA GRAZIA DOMANICO*
Relazione al Seminario AIAF Lombardia del 16
maggio 2007 - Milano
Critico nei confronti dell’ordinanza della Corte MARIO FINOCCHIARO che, in particolare, rileva: “Pare contraddittorio
affermare, da una parte, che le nuove norme non hanno inciso sulla competenza per materia in ordine ai provvedimenti
relativi all’affidamento della prole e - contemporaneamente - dichiarare che per il futuro, diversamente che per il passato, il giudice minorile potrà, proprio in virtù della nuova normativa (in realtà assolutamente muta in punto competenza), adottare anche provvedimenti di contenuto patrimoniale, quanto al mantenimento del minore. In realtà l’ambigua
disposizione del secondo comma dell’articolo 4 della nuova legge…poteva essere utilizzata dalla Suprema Corte come
strumento per superare - una volta per tutte - in via di interpretazione l’anacronistica e del tutto irrazionale contrapposizione prevista dalla vigente legislazione tra giudice minorile e giudice ordinario in tema di affidamento in caso di
“separazione dei genitori”devolvendo ogni controversia al tribunale ordinario”. (in Guida al diritto, n. 15 14.4.2007 p.
38 e seg.). LUCIANO SPINA rileva che “si presentano ora per la magistratura minorile alcuni problemi operativi che
sarebbe opportuno affrontare in tempi rapidi, individuando delle modalità “condivise” tra i vari soggetti professionali
(magistrati, avvocati, funzionari di cancelleria) per quanto riguarda l’adattamento dello strumento processuale del rito
camerale ai riferimenti normativi della legge n. 54 del 2006, tenendo presente che esistono già nel nostro ordinamento
altri procedimenti contenziosi che vengono trattati con tale rito (si veda ad esempio il procedimento ex articolo 710 del
65
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
seg. c.c. concorrono a plasmare… l’art. 317 bis c.c.,
quest’ultima disposizione si arricchisce di nuovi
contenuti: non solo quindi… dei nuovi principi sulla
bigenitorialità, sull’esercizio della potestà genitoriale e sull’affidamento, ma anche della regola di inscindibilità della valutazione relativa all’affidamento da
quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento. Il giudice specializzato… è chiamato, nell’interesse del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui ciascuno dei
genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura,
all’istruzione e all’educazione, e, quindi investente i
profili patrimoniali dell’affidamento”.
L’unità delle competenze, su affidamento e
mantenimento, è soluzione che appare maggiormente orientata, afferma la Corte, alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione: “…
il principio di eguaglianza… esige che i minori non
ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale
a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure
da genitori non coniugati.…Ritiene il Collegio che
vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela, in caso di crisi del
rapporto di convivenza tra i suoi genitori naturali
ricevesse dall’ordinamento una risposta frazionata,
con la perdita di quella valutazione globale… che
soltanto una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell’affidamento può assicurare.”
Inoltre, prosegue la Corte, lo sdoppiamento di
competenze comporterebbe un evidente sacrificio del principio di concentrazione delle tutele
che è aspetto centrale della ragionevole durata
del processo.
Acquista dunque particolare importanza, per
le conseguenti opzioni interpretative in campo
processuale, questo richiamo forte della Suprema Corte alla necessità di garantire parità di
trattamento ai figli, siano essi nati da genitori
AIAF RIVISTA 2007/2
coniugati o meno, nel rispetto del principio di
eguaglianza, figli minori che oggi sono titolari
di diritti propri e autonomi, sanciti finalmente
dalla legge n. 54 nel rispetto delle indicazioni
già fornite dalla normativa internazionale2.
Ma la Corte di Cassazione fornisce anche altre
indicazioni che possono orientarci per una corretta e efficace interpretazione delle norme.
Le indicazioni di natura processuale possono
così essere riassunte:
1. Nel caso di contestualità delle domande di
affidamento del figlio e di natura economica
(contributo al mantenimento e assegnazione
della casa familiare) - e solo in tal caso - il Tribunale per i Minorenni dovrà provvedere in
relazione a tutte le domande, e quindi anche
in relazione a tutte le questioni economiche,
per “attrazione” delle domande in capo allo
stesso giudice specializzato e ciò in quanto,
in caso contrario, vi sarebbe un trattamento
deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela ricevessero dall’ordinamento
una risposta frazionata. Inoltre il principio
del giusto processo, recepito con la modifica
dell’articolo 111 della Costituzione, “…impone all’interprete - precisa la Corte - una nuova
sensibilità e un diverso approccio ermeneutico,
per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non
solo sul piano tradizionale della sua coerenza
logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il
suo impatto operativo nella realizzazione di detto
obiettivo costituzionale.”.
2. Dunque la legge n. 54 avrebbe operato
un’innovazione anche dal punto di vista
processuale facendo venir meno la regola
c.p.c.)” - in Famiglia e minori n. 5 maggio 2007 pag. 13.
CARMELO PADALINO osserva che il richiamo, nell’ordinanza in esame, di norme processuali ritenute dalla Cassazione
compatibili con il procedimento che si svolge davanti al tribunale per i minorenni “…presuppone, necessariamente, il
rispetto del diritto di azione, del diritto di difesa e, soprattutto, della garanzia del contraddittorio tra le parti (in forma
certamente non più rudimentale, ove si consideri, tra l’altro, la possibile condanna di uno dei genitori al risarcimento
del danno). Ne deriva che, a seguito della novella del 2006, il processo civile minorile si caratterizza in senso tipicamente contenzioso e, conseguentemente, i provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 317 bis del Cc dovranno
ritenersi suscettibili di passare in giudicato (sebbene rebus sic stantibus) e, quindi, potranno essere impugnati mediante
il ricorso straordinario per cassazione di cui all’articolo 111 della costituzione (stante la loro “sostanza” contenziosa.)”.
In Famiglia e minori n. 5 maggio 2007 pag. 26. Osservazioni, queste ultime, pienamente da condividere; il nodo da
affrontare, peraltro, è se da ciò ne derivi o meno l’obbligo della difesa tecnica in tali tipi di procedimenti.
2
66
v. in particolare convenzione New York 20.11.1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176 e convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori stipulata a Strasburgo il 25.1.1996 ed entrata in vigore in Italia
l’1.11.2003 (L. 20.3.2003 n. 77)
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
del riparto delle competenze rispetto alla
quale la Suprema Corte aveva in passato
avuto anche modo di affermare che, trattandosi di competenze di natura funzionale,
indicate dall’art. 38 disp. att. c.c., e pertanto
inderogabili, non potevano trovare applicazione le norme sulla connessione (v. Cass.
20.4.1991 n. 4273, Cass. 8.3.2002 n. 3457 e
Cass. 15.3.2002 n. 3898 citate nell’ordinanza in esame). In realtà più che un richiamo
all’articolo 111 della Costruzione e al principio di eguaglianza, che quindi anche prima
della legge n. 54 avrebbero potuto indurre
la giurisprudenza a rivedere la rigida regola
del riparto delle competenze, appare calzante il richiamo allo stesso art. 155 riformato
che, in base alla semplice interpretazione letterale, rende interdipendenti e non più scindibili le decisioni relative all’affidamento, al
mantenimento e all’assegnazione della casa.
Intero contenuto del 155 c.c. che avrebbe “riplasmato”, come dice la Corte, l’art. 317 bis
c.c. Mi sembra peraltro non possano esservi
dubbi sul fatto che permanga la competenza
del Tribunale Ordinario ai sensi dell’art. 148
c.c. nel caso siano proposte dai genitori non
coniugati esclusivamente domande di natura economica che non implichino peraltro
una modificazione dello stato di fatto con riferimento alle condizioni di vita del figlio ed
alle relazioni tra lo stesso e i genitori.
3. La disciplina della separazione dei coniugi
(art. 706 e seg. c.p.c.) non è applicabile alla
cessazione della convivenza di fatto, come
già ricordato dalla Corte Costituzionale con
sentenza n. 166 del 1998 (che ha dichiarato
manifestamente infondata una questione di
costituzionalità avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 151, 1°c. c.c. e 155
c.c. nella parte in cui non disciplina la crisi
della convivenza di fatto con le stesse regole
previste per la famiglia legittima, evidenziando che l’assenza di un procedimento
specularmene corrispondente a quello di
separazione dei coniugi involge questioni
di politica legislativa ma non determina la
violazione dei principi costituzionali di cui
agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione). Vi
è da dire anche che le lacune della specialità
di un rito non possono essere colmate con
un richiamo ad altro rito speciale, bensì con
il riferimento alle norme del processo ordi-
4.
5.
6.
7.
nario di cognizione “in quanto compatibili”.
(cfr. Cass. N. 15100 del 16.7.2005)
Il Tribunale per i Minorenni è un tribunale
specializzato, che opera con rito camerale,
rito che appare peraltro compatibile con
l’applicazione di talune norme processuali
introdotte con la L. 54.
In particolare potranno essere utilizzati dal
Tribunale per i Minorenni i poteri istruttori del giudice della separazione, compreso
quello di disporre accertamenti tramite la
Polizia Tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione anche se intestati a
soggetti diversi; sui poteri di ascolto del minore; con il consenso delle parti si potrà rinviare (o meglio sospendere) il procedimento
per consentire un percorso di mediazione.
È applicabile da parte del Tribunale per i
Minorenni l’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi
inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto
svolgimento delle modalità di affidamento.
Il giudice minorile pertanto potrà non solo
ammonire il genitore inadempiente o infliggere una sanzione a suo carico, ma anche
disporre il risarcimento del danno in favore
del genitore danneggiato dal comportamento dell’altro o disporre analogo risarcimento
in favore dello stesso minore. Mentre ritengo che non si pongano problemi processuali, per il tribunale per i minorenni, con riferimento all’ammonimento e anche alla sanzione amministrativa - che, per sua natura,
costituisce titolo esecutivo - diversamente
problemi si porrebbero con riferimento alla
possibilità di ottenere il risarcimento dei
danni e alla possibilità di far valere in sede
esecutiva tale titolo (a prescindere dal problema delle modalità di accertamento del
danno che, se ritenuto esclusivamente quale
ristoro per violazione di diritti fondamentali, come credo, potrebbe essere liquidato
in via equitativa senza particolare attività
istruttoria).
Non sono applicabili le disposizioni dell’art.
708, 4° comma c.p.c. introdotte dall’art. 2 c.
1° della legge n. 54 sulla reclamabilità della
ordinanza presidenziale, che presuppongono che una ordinanza presidenziale vi sia e
che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli artt. 706 e seg. c.c.3 Sul punto
è bene ricordare che il tribunale per i mino-
67
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
renni non ha la figura del giudice istruttore
e che qualsiasi provvedimento, anche di natura istruttoria, deve necessariamente essere
assunto collegialmente.4
8. La Suprema Corte fa infine un significativo
richiamo all’art. 277, 2° comma c.c., anche
se solo per dire che il giudice minorile, nei
procedimenti di dichiarazione di paternità
e maternità naturale, può dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento,
l’istruzione, e l’educazione del figlio e per la
tutela degli interessi patrimoniali di lui. “E
proprio in forza di tale disposizione - si legge
nell’ordinanza - questa Corte da sempre individua nel tribunale per i minorenni… l’organo
giurisdizionale investito del potere di emettere
altresì i provvedimenti opportuni per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei minori
stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali quali misure consequenziali (“effetti della
sentenza” secondo la rubrica dell’articolo 277
c.c.) alla pronuncia dichiarativa del rapporto di
filiazione, perfino quando essi riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell’ipotesi di
rimborso pro quota delle spese di mantenimento
in favore del genitore che le abbia sostenute per
68
AIAF RIVISTA 2007/2
intero…E si tratta di soluzione interpretativamente da preferire, perché maggiormente orientata alla realizzazione di principi espressi dalla
Costituzione.…La giurisprudenza costituzionale invita l’interprete a considerare “il matrimonio
non…più elemento di discrimine nei rapporti tra
genitori e figli - legittimi e naturali riconosciuti identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che
dei diritti, degli uni nei confronti degli altri”:…
la condizione giuridica dei genitori tra loro, in
relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché
quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano
negli obblighi di mantenimento, di istruzione e
di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’articolo 30
della costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (Corte Cost. sentenza
n. 166 del 1998).
Dunque, come già detto, la Corte di Cassazione
richiama più volte la necessità che sia rispettato
il principio di eguaglianza e di parità di trattamento dei figli, a prescindere dalla natura del
vincolo che ha legato i genitori in conflitto tra
3
In proposito LUCIANO SPINA, nel commentare l’ordinanza della Corte di Cassazione, sostiene che ora la magistratura
minorile dovrà affrontare alcuni problemi operativi adattando lo strumento processuale del rito camerale ai riferimenti
normativi della L. 54. In particolare per i procedimenti ex art. 317 bis c.c. potrebbero individuarsi due fasi processuali,
sul modello del procedimento di separazione personale, “la fase provvisoria dinnanzi al presidente del Tribunale, a
istruttoria sommaria, e la fase avanti al giudice relatore, a istruzione ordinaria. Durante la fase sommaria, dopo l’audizione degli interessati da parte del Presidente del Tribunale, svolti gli accertamenti indispensabili... a istanza di parte o
d’ufficio ex art. 155 sexies c.c.(tra cui potrebbe rientrare anche la richiesta di informazioni ai servizi sociali) e disposta
l’audizione del minore ultra dodicenne, il collegio emetterà i provvedimenti temporanei e urgenti relativi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento e all’assegnazione della casa familiare, secondo la previsione di cui all’art. 336
comma 3 c.c. e, contestualmente, fisserà il prosieguo dell’istruttoria dinnanzi a un giudice relatore (tali provvedimenti
provvisori non potranno essere monocratici in quanto non consentiti nei procedimenti di potestà e risulteranno certamente reclamabili dinnanzi alla Corte di Appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.). esaurita la fase ordinaria dinnanzi
al giudice relatore… il tribunale.. emanerà i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento e
all’assegnazione della casa familiare ai sensi degli artt. 155 e seg. c.c. e 317 bis c.c. in via definitiva.”. (v. in Guida al
diritto - famiglia e minori - maggio 2007 n. 5 pag. 13 e seg.)
4
Sul punto v. Cass S.U. sentenza n. 5629/1996 che ha affermato che il principio generale secondo cui un giudice può
essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione
dell’organo collegiale, in difetto di esplicite norme contrarie, trova applicazione anche nell’ipotesi di procedimento
camerale applicato a diritti soggettivi quale quello per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale di
minori per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato,
tenuto anche conto del fatto che la delega comunque non concerne l’ammissione delle prove, demandata al giudice
collegiale il quale soltanto può valutarne l’ammissibilità e la rilevanza, bensì la loro mera assunzione attribuita dallo
stesso collegio a uno dei suoi componenti. Tale sentenza delle sezioni unite viene ripresa anche da Cassazione n. 15100
del 16 luglio 2005 che afferma: “il principio affermato dalle sezioni unite della corte di cassazione merita di essere
condiviso, va osservato…che il giudizio di dichiarazione della filiazione naturale…è soggetto al rito camerale…sicchè
la natura contenziosa del procedimento comporta una sostanziale equiparazione delle indagini istruttorie a quelle proprie degli ordinari giudizi di cognizione. In altri termini, va rilevato che il processo ordinario di cognizione costituisce
il paradigma procedimentale del nostro ordinamento per cui, salvo diversa disposizione di legge, il rito da seguire è
quello ordinario da cui è possibile distaccarsi solo in caso di previsione espressa e che nei procedimenti speciali vige
da sempre il principio per il quale essi si differenziano da quello ordinario solo nei limiti espressamente previsti dalla
legge.…le lacune dei procedimenti speciali vanno colmate con le norme dettate per il procedimento ordinario…e non
possono essere colmate col ricorso alla disciplina di un altro procedimento speciale.”.
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
loro.
Tali principi richiamati dalla Corte esigono, allora, anche parità di trattamento con riferimento alla effettività della tutela, poiché, in caso
contrario, sarebbe un richiamo solo formale e
sterile, ove cioè i diritti fatti valere non avessero la effettiva possibilità di essere efficacemente
azionati, con la previsione quindi dell’obbligo
della difesa tecnica, per poter essere poi riconosciuti nell’ambito di un procedimento che segua
un percorso prestabilito, ove le regole poste servano non solo a garantire il confronto tra diritti
ed interessi contrapposti e la piena conoscenza
di essi da parte di un giudice imparziale, nel
pieno rispetto del principio del contraddittorio
- di fatto già garantito anche nel procedimento
camerale - ma consentano anche di fornire al
giudice elementi di valutazione che abbiano poi
valore probatorio pieno: essenzialmente, quindi, possibilità di ammettere prove testimoniali,
disporre consulenza tecnica di ufficio, disporre
ordini di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c.,
come già accade per i procedimenti ai sensi degli articoli 250 e 269 cod. civ. che si svolgono
avanti al tribunale per i minorenni.
A queste condizioni sarà poi agevole riconoscere la natura di titolo esecutivo al provvedimento
finale, quand’anche mantenga la forma del decreto, in mancanza di una espressa previsione
legislativa che indichi la forma della sentenza.
Si tratta infatti di procedimenti aventi certamente natura contenziosa nonché identico contenuto rispetto ai procedimenti di separazione
che si svolgono davanti al tribunale ordinario (a
parte la necessità, in quella sede, di sciogliere il
vincolo di coniugio).
Certamente il rito camerale è compatibile con
l’esercizio dei diritti relativi all’affidamento e al
mantenimento dei figli in caso di separazione
dei genitori, a condizione però che non si faccia riferimento puramente e semplicemente agli
artt. 336 c.c. e 737 e seg. c.p.c. - pena la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di
5
difesa, che si riproporrebbe alla Corte Costituzionale in modo nuovo, ora che devono essere
affrontate anche le conseguenti statuizioni di
carattere economico - ma si adatti il rito camerale alla particolare natura delle controversie
in questione e al tipo di domande che vengono
proposte in giudizio, dal momento che il rito
camerale, come ha evidenziato la stessa Corte
di Cassazione, Sezioni Unite, non è altro che un
“contenitore neutro, nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere
e proprie controversie su diritti o status” (Cass
S.U. n. 5629/1996) Certo la questione è delicata e non sembra che
vi sia, allo stato, un orientamento in tal senso da
parte dei giudici minorili né la necessità dell’obbligo della difesa tecnica sembra sia stato affermato dai primi commentatori alla ordinanza
della Corte né, per la verità, in precedenza5.
Colpisce inoltre il silenzio della Suprema Corte
sul punto, nonostante questa tematica sia stata
più volte affrontata dalla stessa Cassazione che,
oltre ad avere sempre più puntualizzato che
con il rito della volontaria giurisdizione, o meglio, nei procedimenti camerali vengono trattate le più diverse materie, con la conseguenza
che è la particolare duttilità e snellezza del rito
ad adattarsi alla diversa natura delle controversie, è arrivata da ultimo a sostenere, con una importante sentenza (la n. 6926 del 10.10.2006) la
necessità della difesa tecnica nei procedimenti
per la nomina dell’amministratore di sostegno
in ogni caso in cui il provvedimento da emettere incida in maniera diretta sui diritti inviolabili
della persona.
Questo, dunque, il nodo fondamentale che questa ordinanza della Corte non scioglie espressamente ma che può, a mio parere, essere sciolto
dai Tribunali per i Minorenni attraverso una interpretazione sistematica delle norme nazionali
e sovra-nazionali, nel rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte e delle indicazioni dalla stessa fornite nell’ordinanza in esame.
ELISA CECCARELLI ritiene che, in mancanza di una norma ad hoc, non sarebbe possibile, da parte del tribunale per i
minorenni, imporre la difesa tecnica in tali tipi di procedimenti; l’assistenza di un difensore sarebbe però “opportuna”
e “coerente” con l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’intero sistema, integrata con la legge 149/2001
significativa, per quanto ancora non efficace, della volontà del legislatore di garantire alle parti una difesa anche tecnica delle controversie minorili; sostiene quindi che, quantomeno, nel decreto di fissazione di udienza potrebbe essere
richiamata espressamente la facoltà, del ricorrente e del resistente, di munirsi di un difensore, con l’indicazione di poter
ricorrere, sussistendone i presupposti, al patrocinio a spese dello Stato (cfr la competenza del tribunale per i minorenni
per i provvedimenti personali e patrimoniali nei procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, pubblicato on line
www.minoriefamiglia.it)
69
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
Ritengo quindi che oggi si possa affermare, senza che questa sia una interpretazione arbitraria o
non consentita dalla natura degli interventi del
giudice minorile, la necessità di introdurre l’obbligo della difesa tecnica per tali procedimenti,
per un pieno e sostanziale rispetto del principio
di parità di trattamento e di eguaglianza.
Né appare argomentazione convincente, per
sostenere la impossibilità di prevedere la difesa tecnica obbligatoria, il fatto che la previsione
legislativa di cui all’art. 37 comma 3 della legge 149/2001 non sia ancora divenuta operativa,
essendo di anno in anno rinviata l’entrata in
vigore della legge6. Infatti l’attuale quadro normativo non impedisce che sia adottata tale soluzione.
Il terzo comma dell’art. 82 c.p.c., che va considerata norma di carattere generale, prevede l’obbligo di stare in giudizio con il difensore salvi i
casi in cui la legge dispone altrimenti.
L’art. 737 c.p.c., che si intitola forma della domanda e del procedimento (nei procedimenti
in camera di consiglio, come titola il Capo VI)
appare neutro, giacchè prevede che i provvedimenti che debbono essere pronunziati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice
competente e hanno forma di decreto motivato.
Vero è che l’art. 336 c.c. prevede espressamente
che i provvedimenti indicati negli articoli precedenti
sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di
revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore
interessato.
70
AIAF RIVISTA 2007/2
Gli articoli precedenti sono quelli de titolo IX
relativo alla potestà dei genitori, e quindi anche l’art. 317 bis. Peraltro, a prescindere dalla
considerazione che dalla dizione di tale norma
appare forzato farne derivare che avanti al tribunale per i minorenni non potrebbe mai essere prevista la difesa tecnica obbligatoria (la
norma non dice che il ricorso non può essere
presentato personalmente dalla parte) si osserva
comunque che l’art. 317 bis è stato riformulato
per effetto dell’art. 4 della legge n. 54/2006 che
innesta nella norma applicata dal tribunale per
i minorenni l’art. 155 c.c. che riguarda i provvedimenti relativi ai figli in cause di scioglimento
del matrimonio e separazione dei coniugi (capo
V del titolo VI relativo al matrimonio) che si
svolgono con la difesa tecnica obbligatoria.
Non può trascurarsi poi che l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte ha con
sempre maggiore attenzione valutato diverse
fattispecie trattate in procedimenti camerali per
arrivare ad affermare l’obbligo della difesa tecnica di cui all’art. 82 c.p.c. ogniqualvolta la natura contenziosa del procedimento e gli interessi e
diritti in gioco esigano, per la realizzazione del
diritto inviolabile di difesa, non solo il rispetto
del principio del contraddittorio ma anche la effettiva assistenza legale nel processo7.
Del resto la difesa tecnica obbligatoria viene già
da tempo richiesta nei procedimenti camerali
contenziosi ai sensi dell’art. 250 e 269 c.c. che si
svolgono avanti al Tribunale per i Minorenni di
Milano8.
6
Sul punto LUCIANO SPINA ritiene che “…l’immissione nel rito camerale di una materia a carattere contenzioso quale è quella relativa alle decisioni sul contributo per il mantenimento del figlio minore e dell’assegnazione della casa
familiare, presenta problemi di tutela anche dei diritti soggettivi patrimoniali dei genitori del minore e richiederebbe,
secondo i principi generali che regolano i procedimenti contenziosi, la presenza obbligatoria della difesa tecnica. Tale
obbligo di difesa non è però ancora divenuto operativo nonostante la previsione di cui all’articolo 37, terzo comma
della legge 149/2001… Per tentare di ovviare a tale inconveniente, credo sarebbe opportuno che i giudici minorili nei
procedimenti in cui vi è conflitto tra i genitori procedano a invitare le parti che ne siano prive a munirsi dell’assistenza
di un difensore, informandoli già nelle prime fasi della causa della possibilità di beneficiare del patrocinio spese dello
Stato, sempre che ne sussistano le condizioni”(op.cit.. pag. 14)
7
Per una puntuale e approfondita disamina del problema del patrocinio legale nei procedimenti di volontaria giurisdizione v. relazione MARIA ROSARIA SAN GIORGIO Il ruolo della difesa tecnica nell’interdizione e nell’amministrazione
di sostegno all’incontro di studi CSM 4-6- aprile 2007 su l’amministratore di sostegno. L’autrice, in particolare, efficacemente evidenzia che “Nuove, pressanti istanze di tutela del diritto di difesa, quale garanzia del contraddittorio e di
assistenza tecnico professionale, assicurata nella misura in cui si dia all’interessato la possibilità di partecipare ad una
effettiva dialettica processuale, in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo e imparziale, si correlano, per un
verso, ai principi del giusto processo, costituzionalizzati attraverso la nuova formulazione dell’art. 111 Cost. ad opera
dell’art. 1 legge cost. 23.11.1999 n. 2; per l’altro, ai vincoli della giurisdizione nazionale nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Di tali istanze va fatto carico anche
ai giudici, i quali, nella loro funzione di interpretazione della norma processuale, sono costantemente chiamati ad uno
sforzo esegetico che produca il risultato di una lettura costituzionalmente orientata.” (pag. 2-3 op.cit)
8
I procedimenti ai sensi degli artt. 317 bis 155 c.c. dovrebbero quindi essere strutturati esattamente come già accade per
i procedimenti ex artt. 250 e 269 c.c.: predisposizione di calendario a udienze fisse collegiali; dopo il deposito del ri-
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
Solo l’obbligo della difesa tecnica anche nei
procedimenti di affidamento e mantenimento
dei figli di genitori non coniugati potrà, da un
lato, consentire l’applicazione delle norme del
processo di cognizione in quanto compatibili con
il procedimento camerale e, dall’altro, rendere
effettiva la tutela e realizzare quella piena parità di trattamento tra i figli minori, portatori di
identici diritti siano essi figli naturali o legittimi
- distinzione, tra l’altro, che un disegno di legge varato dal Governo il 16 marzo u.s. mira ad
eliminare, prevedendo un unico stato giuridico
di filiazione - nel pieno rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte.
* GIUDICE PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI
MILANO
corso instaurazione del contraddittorio con termine per deposito di atto di replica e fissazione udienza avanti al collegio
con anche comparizione personale delle parti; in tale udienza si dovrebbero subito valutare possibilità di accordo tra
le parti e questioni giuridiche; se necessario ulteriore termine alle parti per deposito di memorie istruttorie, sempre con
rinvio a udienze fisse collegiali; possibilità di emettere provvedimenti provvisori da parte del collegio, anche di carattere
istruttorio, e rimessione al giudice togato per la assunzione delle prove (o anche al giudice onorario esperto, che dovrà
essere prescelto possibilmente tra coloro con esperienza nel settore, anche di mediazione, ma esclusivamente per sentire le parti personalmente e verificare possibilità di accordi); quindi decreto definitivo del collegio, eventualmente, se
necessario, dopo termine alle parti per memorie conclusive, decreto che potrà costituire titolo esecutivo.
71
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
AIAF RIVISTA 2007/2
Facsimile di
decreto di fissazione di udienza per i procedimenti ex art. 317 bis c.c.
predisposto dal T.M. di Milano
TRIBUNALE PER I MINORENNI MILANO
20123, via Leopardi, 18 - tel. 02-46721
Proc. N. ____________ R. Gen. Contenzioso
IL PRESIDENTE
Visto il ricorso ai sensi degli artt. 155 - 317 bis c.c. depositato il _____________________________
da _________________________________________________________________________
Con l’assistenza del difensore avv. __________________________________________________
presso il cui studio ha eletto domicilio.
NOMINA giudice delegato _______________________________________________________
DISPONE che il ricorso e il presente decreto siano notificati a cura del ricorrente alla controparte entro
il __________________ con termine a quest’ultima fino al ____________________ per eventuale
replica.
DISPONE la comparizione delle parti avanti al giudice delegato presso questo Tribunale, via Leopardi 18,
terzo piano, per l’udienza del giorno _______________________________________
INVITA le parti a produrre entro l’udienza di comparizione le dichiarazioni dei redditi relative agli ultimi
_________ anni, salvo accordi sulle questioni economiche
COMUNICA alle parti che nel presente procedimento la difesa tecnica è obbligatoria e che, sussistendo
i limiti di reddito e i presupposti di cui agli artt. 75 e 76 DPR 115/2002 la parte non abbiente può essere
assistita a spese dello Stato da un difensore, con istanza da depositare ai sensi degli artt. 76, 78 e 124 presso
il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Si comunichi via fax al ricorrente e al P.M. in sede
Milano, ____________
Il Presidente
72
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
N
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
el corso del primo anno di applicazione
della legge 54\2006 una delle questioni a
lungo dibattute ed oggetto di divergenti
decisioni presso i giudici di merito è stata quella di individuare l’organo giudiziario competente per l’ affidamento dei figli naturali e per
tutti gli altri provvedimenti anche di carattere
economico, quali quelli relativi al loro mantenimento, alla assegnazione della casa familiare,
alle misure previste dell’art. 709 ter c.c..
Va da sé sottolineare che tali difficoltà interpretative suscitano dubbi, quantomeno sul punto della ragionevolezza della norma prevista
dall’art 4 L. 54\06 che ha letteralmente e laconicamente disposto che le norme della legge in
oggetto si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati.
Appare utile premettere che, fino all’entrata in
vigore della citata L. 54\2006, il regime della
competenza ad emanare i provvedimenti relativi ai figli naturali in caso di cessazione della
convivenza more uxorio dei loro genitori è stato organizzato secondo una regola di riparto
che distingueva a seconda che la controversia
riguardasse l’affidamento dei figli stessi o concernesse gli aspetti patrimoniali relativi al loro
mantenimento.
Come rilevato dalla Suprema Corte “nell’assenza di una disposizione espressamente rivolta a
disciplinare un procedimento di affidamento
del figlio naturale, riconosciuto da entrambi
i genitori, nel caso di rottura della convivenza tra costoro” - si è colto nell’art. 317-bis cod.
civ., concernente l’esercizio della potestà sul figlio minore riconosciuto da entrambi i genitori
naturali, il referente normativo per giustificare
l’intervento, sia pure eventuale e successivo del
giudice in materia (Cass., Sez. Un., 25 maggio
1993. n. 584).
Infatti l’art. 317 bis c.c. nella sua formulazione
letteraria prevede senz’altro la regolamentazione dell’esercizio della potestà genitoriale dei figli naturali nelle distinte ipotesi di convivenza
dei genitori con esercizio congiunto della potestà; di convivenza ab origine con un solo genitore con esercizio esclusivo della potestà genitoriale; di convivenza del minore con soggetto
diverso dai genitori con esercizio della potestà
del genitore che ha riconosciuto per primo.
Tale regolamentazione dell’esercizio della potestà genitoriale prescinde dall’intervento del
giudice, a cui, però, il co. 2 dà la possibilità di
disporre diversamente nell’esclusivo interesse del figlio, o meglio ha dato la possibilità di
ritenere che al T.M. adito da uno dei genitori per la regolamentazione dell’esercizio delle
potestà, fosse attribuito un potere decisorio a
seguito della crisi delle coppie di fatto del tutto speculare a quello posto in essere in caso di
separazione e divorzio dall’autorità giudiziaria
ordinaria. Pur in assenza di un richiamo legislativo i parametri di riferimento venivano, infatti,
mutuati nella buona sostanza dall’art. 155 c.c.,
prevedendo l’affidamento ad uno dei genitori e
I GIUDIZI RELATIVI
AI FIGLI DEI
GENITORI NON
CONIUGATI
DINANZI AL
TRIBUNALE
PER I MINORENNI
ALLA LUCE DELL’ORDINANZA DELLA
CASSAZIONE N. 8362
DEL 3.4.2007
_ MARIAROSARIA GERBINO*_
Relazione alla GIORNATA DI STUDIO “FIGLI DI
DIRITTO”, organizzata dalla Camera Minorile Distrettuale di Palermo e dal Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Palermo, il 5 maggio 2007
modulando la frequentazione con l’altro genitore non affidatario in considerazione delle esigenze del minore.
In questa prospettiva, il richiamo, da parte
dell’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., dei
provvedimenti contemplati dall’art. 317-bis cod.
73
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
civ. tra quelli riservati alla competenza del Tribunale per i minorenni, ha indotto la giurisprudenza a ritenere i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli naturali devoluti al tribunale
specializzato; mentre, non essendo i provvedimenti attinenti al mantenimento della prole
nata da genitori non coniugati (art. 261 cod. civ.,
in relazione all’art. 148 cod. civ.) attribuiti specificamente ad una diversa autorità giudiziaria,
se ne è inferita l’attribuzione alla competenza
del tribunale ordinario, ai sensi del secondo
comma del citato art. 38 disp. att. cod. civ.
Tale prospettazione era passata al positivo vaglio della Suprema Corte e della Corte costituzionale. Quest’ultima, in particolare, aveva ravvisato nella duplicità di regime sopra descritta
l’espressione di una scelta di politica rientrante
nella discrezionalità legislativa e non contrastante con il principio di eguaglianza e con la
garanzia del diritto di azione.
Va riconosciuto che proprio seguendo il descritto iter interpretativo, a seguito dell’entrata
in vigore della l. 54\06, ad eccezione di alcune
isolate pronunce, pur nelle molteplicità delle
soluzioni proposte in questo primo anno di applicazione da parte dei T.M. e dei Tribunali ordinari di tutto il territorio nazionale, si era fatta
strada la convinzione che il T.M. incardinava la
sua competenza sulle domande di affidamento dei figli dei genitori naturali non più conviventi. Il ragionamento di fondo era il seguente:
non vi è stata una abrogazione espressa dell’art.
317 bis, né può ritenersi tacitamente abrogato,
ma, alla luce del richiamo dell’art. 4 andranno
applicati le norme sostanziali ex art. 155 e 155
bis prevedendo l’affido condiviso ovvero affido
esclusivo.
Tale interpretazione appare del resto in linea
con quanto disposto nella prima parte dell’ordinanza n. 8362 del 3.4.2007 della Suprema Corte,
la quale ha sostenuto che “L’art. 317-bis cod. civ:
resta il referente normativo della potestà e dell’affidamento nella filiazione naturale, anche in caso di cessazione della convivenza dei genitori naturali, e non
viene meno, agli effetti della competenza, il binomio
costituito dagli artt. 317-bis, secondo comma, cod.
civ. e 38, primo comma, disp. att. cod. civ.”.
Piuttosto, prosegue la Cassazione, la disposizione del codice sull’esercizio della potestà nella filiazione naturale assume, per effetto della
legge n. 54 del 2006, un nuovo volto, perché come è stato osservato in dottrina - si arricchisce
74
AIAF RIVISTA 2007/2
dei contenuti oggetto di quella legge. Inserendosi nell’ambito dell’art. 317-bis cod. civ., la novella del 2006 detta una compiuta disciplina dei
provvedimenti che il giudice specializzato ben
poteva anche prima pronunciare nell’interesse
del figlio, ma che in precedenza trovavano una
regolamentazione minimale, esclusivamente affidata alla discrezionalità ed all’apprezzamento
del giudice.
Così, per un verso, la cessazione della convivenza tra i genitori naturali non conduce più alla
cessazione dell’esercizio della potestà, perché la
potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi
i genitori, salva la possibilità per il giudice di
attribuire a ciascun genitore il potere di assumere singolarmente decisioni sulle questioni
di ordinaria amministrazione; per l’altro verso,
le regole sull’affidamento condiviso guidano la
discrezionalità del giudice specializzato nel valutare l’«esclusivo interesse del figlio» allorché
sia cessata la convivenza della coppia genitoriale, indicandogli di prendere in considerazione
prioritariamente, affinché il figlio naturale possa continuare a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori,
lo strumento che meglio assicura la condivisione delle responsabilità nella cura, nella crescita,
nell’educazione e nell’istruzione del minore.”
A ben guardare è proprio l’esercizio, o il corretto esercizio della potestà genitoriale ciò che costituisce materia elettiva e congeniale del T.M..
In proposito, oltre al 317 bis c.c., non possono
dimenticarsi gli art 333 e 330 c.c., di portata assai più ampia, i quali hanno consentito al giudice minorile un controllo piuttosto penetrante ed
attivo sull’esercizio della potestà.
I provvedimenti concernenti la persona del
minore incidono generalmente sulla potestà
dei genitori, disciplinandone l’esercizio. Non è
questa la sede per soffermarsi sulla nozione di
potestà, se non per evidenziare che la definizione dell’istituto si presenta difficile e complessa ed è storicamente mutevole. Appare arduo,
pertanto, ridurre in termini giuridici semplici e
netti il complesso rapporto genitori-figli.
D’altra parte il legislatore non solo non ha definito la potestà, ma non ha neppure indicato
in maniera organica il contenuto della potestà
genitoriale, lasciando così all’interprete il compito di ricostruirne i caratteri e fissarne confini e limiti secondo le esigenze concrete. Una
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
ricostruzione variabile che oggi si ispira alla
preminenza dell’interesse del minore, soggetto
sempre diverso e unico, con esigenze mutevoli
a seconda dell’età, della sua maturazione psicofisica. Tutto ciò dà la misura di una complessità
e variabilità che non accetta regole rigide.
Tale difficoltà di definizione e tipizzazione si ripercuote anche sul terreno processuale.
La scelta del legislatore, coerentemente, si è
indirizzata verso il rito camerale di volontaria
giurisdizione. In tale prospettiva parte di autorevole dottrina ha ritenuto che anche i provvedimenti riguardanti la persona del minore
assunti all’esito di processi ordinari di cognizione (separazione giudiziale e divorzio) siano
da qualificare come provvedimenti di volontaria giurisdizione (sia pure idonea a produrre il
giudicato rebus sic stantibus), atteso che il capo
della sentenza che li contiene è espressamente dichiarato modificabile e revocabile in ogni
tempo.
In sintonia, poi, con la scelta legislativa di ricondurre i provvedimenti in materia minorile
nell’area della volontaria giurisdizione, la giurisprudenza prevalente della Suprema Corte
ha negato il ricorso per Cassazione dei decreti
concernenti la persona del minore, trattandosi
di provvedimenti per definizione revocabili e
modificabili, tesi alla cura e tutela del preminente interesse del minore.
Tale finalità, a dire il vero, non appare del tutto
pacifica per l’intreccio tra interesse del minore e
diritti dei genitori.
La peculiarità delle situazioni sottese a tali provvedimenti è stata pure considerata dalle Sezioni
unite della Corte di Cassazione (23\10\1986 n.
6220). Con tale decisione la Corte, pur riconoscendo che tali provvedimenti incidono su posizioni di diritto soggettivo, ha ribadito la non
impugnabilità per Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, i provvedimenti emessi in materia di tutela dei minori non sono impugnabili
con ricorso per Cassazione “perché non ha rilievo
la circostanza dell’incisione del provvedimento su
status, diritti soggettivi e poteri-funzionali, in quanto la statuizione (anche di carattere costitutivo) sugli
stessi non è atta a pregiudicare in modo definitivo
ed irrimediabile le parti, che possono utilizzare lo
strumento della modifica o della revoca, senza essere
vincolate ad alcun giudicato”.
Fatte tali premesse occorre evidenziare che il
procedimento camerale di volontaria giurisdi-
zione è procedimento caratterizzato da snellezza e duttilità delle forme (il giudice può assumere informazioni, senza le formalità previste
dai mezzi di prova, i soggetti interessati possono proporre le loro istanze senza una difesa
tecnica obbligatoria).
Il giudizio sulla opportunità del mantenimento
di tali procedure in una materia che va via via
sviluppandosi su confini ove è meno netta la distinzione tra giurisdizione contenziosa su diritti
e giurisdizione non contenziosa di gestione di
interessi, anche alla luce delle norme costituzionali e sopranazionali (vale la pena di accennare
appena alle posizioni di diritto soggettivo dei
genitori e, soprattutto, alla concezione ormai
prevalente nelle norme sopranazionali del minore quali soggetto di diritti) è aspetto che influisce sull’oggetto delle problematiche sottese
alla applicabilità della L. 54\06 al processo minorile, ma ritengo che oggi più che mai è scelta
che deve compiere il legislatore e non può essere lasciata alla discrezionalità e buon senso del
giudice.
Ho voluto fare tali osservazioni cercando di evidenziare le attuali principali caratteristiche del
procedimento in materia minorile, per cercare
di dare una chiave di lettura, a mio avviso utile, sulla seconda parte dell’ordinanza n. 8362/07
della Suprema Corte.
Con una affermazione che, a mio avviso presta
il fianco a numerosi spunti critici e ne costituisce, forse il cuore del problema, la Cassazione
ha sostenuto nell’ordinanza n. 8362/07 che i
procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati, ex art 4 L. 54\06 “vengono richiamati per
trapiantare in essi i nuovi principi e le nuove regole
sull’affidamento condiviso, non già per modificarne i
presupposti processuali”.
La Cassazione ha quindi escluso la tesi della
applicazione anche ai figli di genitori naturali
delle norme processuali contenute nella legge
54\06. (art. 706 e es c.p.c.).
Non v’è dubbio, continua la Corte, che alcune tra
le norme processuali contenute nella legge n. 54
del 2006 siano applicabili anche ai procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati. In particolare” sono applicabili - e compatibili con la
specialità del rito che governa il procedimento
che si svolge dinanzi al tribunale per i minorenni - le norme: sui poteri istruttori del giudice,
ivi compreso quello di disporre, ove le informa-
75
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
zioni di carattere economico fornite dai genitori
non risultino sufficientemente documentate, un
accertamento della polizia tributaria sui redditi
e sui beni oggetto della contestazione, anche se
intestati a soggetti diversi; sui poteri di ascolto del minore; sui poteri del giudice del procedimento in corso, ai sensi dell’art. 709-ter cod.
proc. civ., in caso di gravi inadempienze o di atti
che comunque arrechino pregiudizio al minore
o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, di ammonire il genitore inadempiente, di infliggere una sanzione a suo carico, di disporre il risarcimento del danno in favore del genitore danneggiato dal comportamento
dell’altro e di disporre analogo risarcimento in
favore dello stesso minore. Ma non sono applicabili le disposizioni del nuovo art. 708, quarto
comma, cod. proc. civ., le quali presuppongono
che un’ordinanza presidenziale vi sia stata e che
quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui
agli art. 706 e ss. cod. proc. civ..”.
Ancora, sostiene la Corte che “tuttavia, come è
stato osservato in dottrina, la legge n. 54 del 2006
è infatti priva di una valenza unificante sulla scansione dei procedimenti relativi alla coppia in crisi, e,
nel richiamare, all’art. 4, comma 2, i procedimenti
relativi ai figli dei genitori non coniugati, ha inteso
far salve anche le regole processuali che li governano,
e i diversi presupposti applicativi dell’intervento del
giudice, senza creare un modello processuale unico
per i giudizi relativi all’affidamento”.
Ciò, secondo il ragionamento dei giudici di legittimità si giustifica considerando i differenti
ambiti dell’uno e dell’altro procedimento, quello di separazione tra coniugi e quello rivolto
alla tutela del figlio nella cessazione della convivenza di fatto dei loro genitori: perché mentre in presenza di persone unite in matrimonio
l’intervento del giudice, con la separazione, è
previsto dal legislatore per dare rilevanza alla
crisi della coppia, non potendosi altrimenti allentare il legame giuridico che li unisce, e per
disciplinare, in quella stessa sede. i rapporti tra
i genitori e figli, la convivenza more uxorio può
interrompersi immediatamente sulla base della
semplice decisione unilaterale di ciascuno dei
conviventi. Il rapporto può venire meno senza
che il giudice intervenga in alcun modo, salvo
che per eventuali questioni relative ai figli naturali riconosciuti.
In definitiva, partendo da tale presupposto,
secondo il ragionamento della Suprema Corte
76
AIAF RIVISTA 2007/2
permarrebbe la natura di procedimento contenzioso nel giudizio di separazione e la natura di
volontaria giurisdizione in quello dell’affidamento dei figli dei genitori naturali.
Se così è, i successivi principi adottati in sentenza mettono in crisi l’intero sistema.
Infatti, secondo la Corte “una volta assodato che,
per i procedimenti riguardanti l’affidamento del figlio naturale, è rimasta ferma la competenza del tribunale per i minorenni in forza dell’immutato rinvio
all’art. 317-bis cod. civ. contenuto nell’art. 38 disp.
att. cod. civ., la legge n. 54 del 2006 ha comportato
un’innovazione rispetto alla precedente regola di riparto delle competenze, atteso che, per effetto di essa,
il tribunale per i minorenni, competente in ordine
all’affidamento dei figli naturali, lo sia anche - contestualmente - a provvedere sul contributo al mantenimento di essi”.
Ai sensi del novellato art. 155, secondo comma,
cod. civ., il giudice, quando provvede sull’affidamento dei figli minori, determina “altresì”
la misura e il modo con cui ciascun genitore
deve contribuire al mantenimento, alla cura,
all’istruzione e all’educazione dei figli. In
particolare, il quarto comma della medesima
disposizione prevede che il giudice investito
del procedimento stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine
di realizzare il principio di proporzionalità, da
determinare considerando le attuali esigenze
del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in
costanza di convivenza con entrambi i genitori,
i tempi di permanenza presso ciascun genitore,
le risorse economiche di entrambi i genitori e la
valenza economica dei compiti domestici e di
cura assunti da ciascun genitore.
E si tratta, continua la Corte, di soluzione interpretativamente da preferire, oltre che per
una ragioni letterali e teleologiche sulla scorta
dei lavori parlamentari, perché maggiormente
orientata alla realizzazione di principi espressi
dalla Costituzione.
Da un lato il principio di eguaglianza - al quale
si è ispirato il legislatore con la norma di estensione dell’art. 4, comma 2, contenuta tra le disposizioni finali - esige che i minori non ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale
a seconda che siano nati da genitori coniugati
oppure da genitori non coniugati. La giurisprudenza costituzionale invita l’interprete a
considerare «il matrimonio non più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli - legittimi e
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
naturali riconosciuti - identico essendo il contenuto
dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti
degli altri»: «la condizione giuridica dei genitori tra
loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché
quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza
del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli
obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore,
trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che
richiama i genitori all’obbligo di responsabilità».
Ritiene la Corte che vi sarebbe un trattamento
deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela ricevessero una risposta frazionata,
con la perdita di quella valutazione globale che
soltanto una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell’affidamento può assicurare.
Dall’altro lo sdoppiamento di competenze comporterebbe un evidente sacrificio del principio
della concentrazione delle tutele per garantire
una ragionevole durata del processo.
Entrambi i principi enunciati sono di grande
rilievo e non vi è dubbio che vanno posti tutti
gli sforzi per attuarli. Ma siamo certi che con la
soluzione proposta dalla Cassazione potranno
essere realizzati e meglio di prima? Siamo certi
che il procedimento minorile, con le sue regole
processuali, finalizzato a garantire gli interessi
del minore, potrà fornire adeguata tutela per i
diritti non solo dei minori, ma finanche dei genitori: diritto al mantenimento, diritto alla casa
familiare, diritto al risarcimento del danno del
minore e del genitore ex art 709 ter?
L’applicazione di tali norme richiamate al procedimento che si svolge davanti al giudice minorile con le forme degli 736 e ss c.p.c. presuppone, innanzitutto, la necessità di garantire il
diritto di difesa e di contraddittorio tra le parti
in modo pieno e completo.
Non vi è dubbio che nel corso di questi ultimi
anni, alla luce delle decisioni della Cassazione,
della Corte Costituzionale. e non ultime da fonti
costituzionali e sopranazionali, il procedimento
di volontaria giurisdizione ha posto in essere
numerosi aggiustamenti finalizzati a garantire
il principio del contraddittorio sia pure un forma minima, attraverso la convocazione di tutte
le parti interessate, l’ascolto del minore, la facoltà di produzione di atti e documenti.
Ma tutto ciò non mi pare affatto sufficiente, atteso che l’ingresso nel rito di materie a carattere
contenzioso (assegno di mantenimento, assegnazione della casa familiare e risarcimento del
danno) mettono in risalto problematiche importanti relativi alla tutela di diritti soggettivi
patrimoniali che richiedono, secondo i principi
generali, innanzitutto la obbligatorietà di una
difesa tecnica.
L’obbligatorietà di una difesa tecnica nel processo minorile non è prevista (voglio ricordare,
anzi, che ad oggi non è nemmeno operativa la
legge n. 149\01 che prevede l’obbligo di difesa in tema di adozione e di potestà perché più
volte rinviata dal legislatore per mancanza di
copertura necessaria per le spese di difesa).
Non solo, ma è di tutta evidenza come la mancanza di difesa tecnica influisce necessariamente sulla possibilità di garantire il pieno contraddittorio tra le parti. Ancora, come ho accennato
nella prima parte della mia relazione, i decreti
emessi dal giudice minorile non sono suscettibili, allo stato, di passare in giudicato, nemmeno
rebus sic stantibus (sono sempre modificabili
anche in carenza di elementi nuovi e non è ammissibile il ricorso per cassazione) vedi paragone con art. 720 c.p.c.
Mi domando allora che potrà fare il genitore
ottenuto il decreto dal T.M. che dispone sull’assegno di mantenimento o il risarcimento del
danno? Come si potrà rendere esecutivo? Dovrà adire un altro giudice.
Non solo, non dimentichiamo, invece, che ai
sensi dell’ art. 148 c.c. co 3 il decreto sull’assegno di mantenimento di pari contenuto fino ad
oggi emanato dal Tribunale Ordinario è immediatamente esecutivo.
Allora mi pare che tutto il sistema, lungi dal realizzare ciò che si propone - il principio di uguaglianza tra i figli di genitori coniugati e di quelli
non coniugati, come invece sostenuto dalla Suprema Corte - ha prodotto una tutela più debole
e affievolita per la tutela dei diritti patrimoniali
del figlio di genitori non coniugati.
Un ultimo punto volevo porre alla vostra attenzione: la Cassazione ha sostenuto che “da un
punto di vista sistematico, tale soluzione non rappresenta una novità. Il giudice del reclamo della paternità o della maternità naturale, ai sensi dell’art.
277, secondo comma, cod. civ., dà anche «i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela dell’interesse patrimoniale di lui». E proprio in forza di
tale disposizione, questa Corte da sempre indi-
77
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI
vidua nel Tribunale per i minorenni - il quale è
competente, ai sensi del primo comma dell’art.
38 delle disposizioni di attuazione, a conoscere
dell’azione per la dichiarazione di paternità o
maternità naturale «nel caso di minori» - l’organo
giurisdizionale investito. del potere di emettere
altresì i provvedimenti opportuni per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei minori
stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali, quali misure consequenziali («effetti della
sentenza», secondo la rubrica dell’art. 277 cod.
civ.) alla pronuncia dichiarativa del rapporto
di filiazione, perfino quando essi riguardino il
tempo anteriore alla sentenza, come nell’ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per intero (ex multis, Sez. I, 3 settembre
1994, n. 7629; Sez. I, 30 giugno 2005, n. 14029).
A mio avviso il richiamo non regge, atteso che
il procedimento ex art 269 c.c. di natura contenziosa si conclude per legge con una sentenza.
Ciò presuppone una difesa tecnica e un passaggio in giudicato della sentenza.
Ho voluto porre alla vostra attenzione i principali problemi che si pongono ad una prima
lettura della sentenza per offrirvi spunti di riflessione sui quali inevitabilmente dovremo
continuare a confrontarci
Noi giudici del Tribunale per i Minorenni di
Palermo abbiano iniziato a confrontarci su
tali spinose questioni e la riflessione è ancora
aperta. Certo occorrerà probabilmente cercare
di adattare, ove possibile, lo strumento processuale che ci governa alla luce dei principi esposti della sentenza della Cassazione. Si potrà in
qualche modo trovare modalità operative che
possano garantire un contraddittorio più pieno (ad esempio notificando il ricorso alla controparte, ove però esista un ricorso fondato su
ragioni argomentative che dovranno essere conosciute dalla controparte a garanzia del contraddittorio, oppure prevedendo una comparizione congiunta delle parti). Ma certo, al della
là buona volontà dei singoli Tribunali e degli
accorgimenti che verranno presi da ogni singolo Tribunale, le rilevanti problematiche sottese
che ho cercato di esporre non potranno essere
superate se non innanzitutto con l’intervento
del legislatore oltre che con successivi parziali
aggiustamenti della Corte Cassazione e della
Corte Costituzionale.
La complessità della tutela del minore all’in-
78
AIAF RIVISTA 2007/2
terno del nucleo familiare, non soltanto nel
momento patologico della rottura del rapporto
tra i genitori, unita alla fin qui inadeguatezza
dimostrata del legislatore di compiere passi armonici, non rende più rinviabile la creazione di
un organismo giudiziario unico con regole ad
hoc che tengano conto della peculiarità degli
interessi e dei diritti coinvolti.
Non si può dimenticare che anche il rito ordinario in tema di separazione ha creato non poche
difficoltà in relazione al tema dell’affidamento
e all’estensione della potestà genitoriale sui minori figli di genitori coniugati in pendenza di
separazione. Mi riferisco, ad esempio, alle numerose istanze presentate dai difensori ex art
333 c.c. davanti al T.M. in pendenza del giudizio di separazione chiedendo l’intervento del
giudice specializzato al fine di intervenire sulle
modalità di visita, ed ancora ad alcune ordinanze di trasmissione del Giudice della separazione al T.M. al fine di limitare in maniera rigorosa
o escludere la facoltà di visita di un genitore per
condotte pregiudizievoli nei confronti del figlio,
sul presupposto che tali provvedimenti comprimevano l’esercizio della potestà genitoriale. Ciò
ha comportato riflessioni da parte nostra sulla
competenza del T.M., o meglio sull’area di competenza, nei confronti di minori figli di genitori
coniugati in pendenza di un giudizio di separazione ed in carenza di un procedimento ex art
330 c.c., ablativo della potestà genitoriale (oggi
la problematica del riparto di competenza è resa
ancora più evidente con riferimento ai rapporti
tra l’art 709 ter e l’art 333 c.c.).
* GIUDICE PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI PALERMO
ADOZIONE INTERNAZIONALE
A
lcuni mesi fa è stata data la notizia della
firma di un protocollo fra la Commissione per le Adozioni Internazionali ed
il Ministero dell’Istruzione della Bielorussia,
firma che, a parere di molti, dovrebbe aver
messo termine alle polemiche ed alle problematiche nate dal caso della minore bielorussa
trattenuta illegalmente da una coppia italiana
nell’estate del 2006.
L’accordo ha definito il contenzioso che si prolungava ormai da diversi mesi, grazie anche
al nuovo regolamento in materia di adozioni
adottato dalle autorità bielorusse.
Il risultato raggiunto è importante perchè ha lo
scopo principale di aprire una corsia preferenziale per quelle coppie che hanno presentato la
domanda di adozione internazionale ormai da
anni, domande che sono tuttora in attesa di essere esaminate.
L’accordo riguarda anche i bambini provenienti
dagli istituti bielorussi che da alcuni anni partecipano ai cosiddetti soggiorni di risanamento in
Italia e che, in alcuni casi, hanno sviluppato forti
legami affettivi con le famiglie italiane le quali,
ovviamente, devono comunque essere munite
della necessaria idoneità se vogliono procedere
all’adozione internazionale.
Già nel 2005 era stato sottoscritto un analogo
protocollo che prevedeva l’impegno (adempiuto con molto ritardo e che non ha accolto tutte le
domande) da parte bielorussa di esaminare in
breve tempo 150 domande di adozione.
Nell’accordo in oggetto vengono anzitutto
stabiliti tempi precisi per il riesame di questo
primo gruppo di domande e l’impegno delle
autorità bielorusse di riesaminare le domande
di adozione ancora giacenti, o che erano state
respinte, che verranno comunicate dalla Commissione per le Adozioni Internazionali.
Anche per le altre circa 450 domande di adozione, che fino ad oggi non erano state accettate
da parte bielorussa, è previsto un iter accelerato in virtù del quale la Commissione per le
Adozioni Internazionali dovrà organizzare con
gli enti autorizzati la presentazione, presso gli
organi locali bielorussi, delle richieste d’inserimento dei bambini nell’elenco dei minori nei
cui confronti è possibile effettuare le adozioni
(le cosiddette banche dati), con esclusione delle domande esaminate con esito negativo per il
raggiungimento della maggiore età da parte dei
minori, dell’adozione, dell’affidamento o della
tutela dei minori presso famiglie bielorusse, del
rifiuto dell’adozione da parte dei minori o dei
loro stretti parenti maggiorenni, della rinuncia da parte dei cittadini italiani all’adozione,
dell’esistenza di forti legami affettivi tra i minori e i loro fratelli da tutelare nell’interesse dei
minori.
Le autorità bielorusse dovranno provvedere
all’esame delle richieste entro sessanta giorni
e, successivamente, dopo la presentazione di
una domanda di adozione nominativa da parte
della coppia italiana, dovrà essere autorizzata o
IL PROTOCOLLO
SOTTOSCRITTO
TRA L’ITALIA E LA
BIELORUSSIA
IN MATERIA DI
ADOZIONE DI
MINORI
_ ENRICO BET*_
meno l’adozione internazionale entro il termine
di ulteriori settantacinque giorni.
È stato inoltre costituito un gruppo di lavoro
per valutare, dopo tre mesi, lo stato di attuazione del protocollo sottoscritto in virtù del quale
dovrebbe nascere una collaborazione positiva
con le Autorità bielorusse per dare una risposta
alle famiglie ed ai bambini che sono in attesa di
adozione, il tutto nel pieno rispetto dei principi
della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993,
privilegiando l’interesse dei minori e tenendo
conto dei legami affettivi instaurati tra i minori
bielorussi e i candidati italiani all’adozione.
L’accordo citato dovrebbe mettere fine anche
alle polemiche nate per il caso della piccola Maria - Vika, la minore di dieci anni trattenuta in
79
ADOZIONE INTERNAZIONALE
Italia, a Cogoleto (Ge), il cui caso scatenò tante
polemiche nell’estate del 2006.
In quel caso la minore, che stava sicuramente a
cuore di tante persone (forse un po’ troppe…),
fu trattata forse come una merce di scambio con
un paese nel quale il concetto di democrazia e
di rispetto dei diritti dei minori è probabilmente
ancora lontano dal nostro.
La coppia che ospitava la minore sapeva bene
che sarebbe esploso un caso, e probabilmente
ha sottovalutato ciò che è poi accaduto, in quanto la loro azione ha messo a rischio il destino di
alcune migliaia di altri bambini sia in attesa di
un adozione, sia in attesa di essere ospitati per i
pochi mesi in cui vengono in Italia con i cosiddetti soggiorni di cura.
Il dibattito scaturito dal caso non ha avuto nulla
di tecnico, soprattutto perché adozione e vacanze organizzate sono state tranquillamente confuse, nonostante non abbiano nulla in comune
visto che sono due cose completamente diverse,
non compatibili e neppure paragonabili.
Com’è noto, per l’adozione internazionale la
coppia intraprende un percorso di valutazione,
effettuato da uno psicologo e poi dal Tribunale
per i Minorenni, e quindi la decisione finale circa l’idoneità (che può anche non essere concessa, come talvolta succede) ha un peso notevole.
Allo stesso modo i circa settanta enti autorizzati che si occupano di adozioni internazionali
(e solo di adozioni internazionali) sono valutati
dal Comitati per le Adozioni Internazionali e
dall’autorità straniera e - se non soddisfano i
criteri necessari fissati dalla legge, criteri severi
che vengono verificati ogni due anni - vengono
cancellate dall’albo.
Nel caso delle cosiddette vacanze organizzati
non si applica alcuna norma di cui alla legge
184/1983 che ha per oggetto l’affido familiare
e l’adozione (sia nazionale che internazionale)
in quanto, ancor oggi, i viaggi organizzati (o
meglio i soggiorni dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello stato) non sono
regolati da alcuna norma, salvo che dalla legge
dello stato del quale possiedono la nazionalità
i bambini.
Le famiglie che accolgono i minori dei viaggi organizzati (che non sono assolutamente famiglie
“affidatarie”) attualmente non sono controllate da
nessuno, così come non sono controllate le associazioni che organizzano i viaggi le quali possono essere create da un giorno all’altro (e, com’è
80
AIAF RIVISTA 2007/2
accaduto in passato, in alcuni casi hanno dato
luogo a casi di gravi malversazioni di denaro).
Sembra poi addirittura che il 30% dei viaggi
della compagnia aerea bielorussa sia basato sui
viaggi dei bambini che vengono in Italia e su
quelli delle famiglie italiane (ovviamente non
tutte) che li vanno a trovare in Bielorussia: è
quindi facile comprendere il grosso movimento
di denaro che sta dietro a questi viaggi.
La storia dei viaggi dei bambini di Chernobyl
(località molto lontana da Minsk, capitale della
Bielorussia) inizia quando, effettivamente, le famiglie (e solo le famiglie) della zona contaminata dal disastro della centrale nucleare mandavano i loro figli in occidente per effettuare vacanze
disintossicanti dalle radiazioni.
Oggi sono rimaste radiazioni solo in una zona
abbastanza definita intorno al sarcofago della centrale, zona dove non risulta che vi siano
abitanti ma, soprattutto, istituti di ricovero per
minori.
Una delle circostanze che rimane misteriosa è
quella relativa al fatto che si sia passati da bambini che avevano una famiglia, nella quale tornavano, a bambini ricoverati in istituti.
Successivamente il fenomeno si è allargato anche ai bambini provenienti da altri paesi dell’Est
europeo, e la motivazione sanitaria originaria si
è modificata con interventi aventi caratteristiche molto diverse da quelle iniziali.
Ciò che non viene quasi mai considerato è che
i soggiorni sono, dal punto di vista psicologico,
destabilizzanti per migliaia di bambini, nonostante facciano felici tanti adulti che fanno bella mostra della loro bontà, adulti che non sono
“genitori affidatari” e che sui giornali (come nel
caso di Maria - Vika) si sono lamentati che impedire i soggiorni viola i diritti delle famiglie.
Quanto ai bambini, soggetti troppo spesso trascurati, viene sottaciuto un dato determinante:
qualsiasi psicologo, forse anche appena laureato, potrebbe spiegare che passare in compagnia
di una famiglia normale tre mesi d’estate in Sardegna, un mese d’inverno a Courmayeur e i restanti otto mesi in un istituto (dove spesso non
hanno il riscaldamento e poco da mangiare),
altererebbe l’equilibrio mentale di chiunque, a
maggior ragione quello di un bambino con un
grave vissuto di abbandono, e per ciò già traumatizzato, che vive da sempre in un istituto.
La speranza che questi viaggi danno ai bambini (i quali peraltro constatano periodicamente
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
che qualcuno viene adottato) sono enormi ma,
i numeri parlano chiaro, solo una piccolissima
minoranza di loro viene adottata con il corretto percorso dell’adozione internazionale che
prevede che il figlio adottivo venga conosciuto
solo al momento del primo contatto nel paese
straniero e che non venga prima “provato” con
qualche viaggio della speranza.
I bambini ospitati che restano (o meglio, che
poi tornano) in Italia per l’adozione, come detto sono pochi (perché pochi sono dichiarati in
stato di abbandono e per questo adottabili); gli
altri, quelli non dichiarati come adottabili, diventano maggiorenni nel loro paese senza che
nessuno se ne curi più e - salvo qualche adozione di maggiorenne - tutto l’amore, tutto l’affetto, tutta la cura che avevano ricevuto scompare
così, come per incanto.
Molti bambini non vengono più in Italia già da
quando cominciano ad essere adolescenti: sono
già difficili gli adolescenti per i genitori naturali figuratevi uno straniero…. ci sono famiglie
che cambiano i bambini ospitati anche di anno
in anno e che normalmente, verso i diciassette /
diciotto anni, non li ospitano più: i maggiorenni
escono poi dagli istituti senza sapere dove vanno a finire, le ragazze hanno già un percorso
ben definito, la strada.
Vi è poi una grande confusione di fondo relativamente al fatto che chi prende questi bambini
li possa poi adottare, perchè l’adozione internazionale ha un altro - e più garantito - percorso.
Non si comprende inoltre perchè si fanno
questo viaggi solo dalla Bielorussia (e alcuni
dall’Ucraina) mentre nel resto del mondo funziona egregiamente l’adozione a distanza, che
aiuta i bambini a crescere nel loro paese.
Sarà cinico dirlo, ma un bambino che in Italia
non verrà mai a vivere, che non sarà mai adottato e che vive in un istituto, forse è meglio che
non sappia neppure che la Sardegna esiste.
Le statistiche del Ministero della Giustizia riportano numeri ancora significativi di minori
ricoverati in strutture: perché questi circa 25.000
bambini italiani magari bruttini, neri di capelli e
qualche volta handicappati, le vacanze proprio
non le fanno, se non con le suore?
Il Comitato Minori Stranieri è l’ente ministeriale
che dovrebbe controllare tale situazione (l’art.
33 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n.
286, ha istituito il Comitato anche “al fine di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri
ADOZIONE INTERNAZIONALE
temporaneamente ammessi sul territorio dello stato
e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate”).
Per minore straniero accolto, secondo quanto
prevede il DPCM 535/1999, “si intende il minore non avente cittadinanza italiana o di altri Stati
dell’Unione europea, di età superiore a sei anni, entrato in Italia nell’ambito di programmi solidaristici
di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie”.
È stato stimato (e non calcolato esattamente, già
questo preoccupa) che ogni anno entrano in Italia
nell’ambito dei viaggi (i programmi solidaristici di
accoglienza temporanea) quasi 40.000 minori stranieri (documento approvato dalla Commissione
bicamerale per l’infanzia nella seduta del 27 ottobre 2004 a conclusione dell’indagine conoscitiva deliberata nella seduta del 15 maggio 2003 su
adozioni e affidamento, Doc. XVII-bis N. 5).
Da notare che siamo l’unico paese in Europa ad
avere numero così alti di bambini ospitati.
La commissione ha accertato che il quadro dei
bambini che arrivano in Italia è complesso e diversificato, così come differenti sono le finalità
dei gruppi che organizzano l’accoglienza, e le
caratteristiche delle famiglie ospitanti. Come
detto la percentuale di minori che provengono
da istituti è molto alta, e per loro il reinserimento nel contesto d’origine è molto problematico
in quanto fanno fatica a riadattarsi e si legano
affettivamente alla famiglia ospitante.
La commissione ha anche accertato che la situazione è aggravata dal reiterarsi dei soggiorni,
che creano aspettative di inserimento sia per i
minori che per le famiglie ospitanti, che sperano di adottarli al di fuori del percorso previsto
dalla normativa per l’adozione: questo non può
accadere, è successo in passato con alcuni bambini russi e non accadrà mai più.
I rischi maggiori sono infatti quelli legati al
tentativo di aggiramento della Convenzione
dell’Aja che disciplina l’adozione internazionale, e per il fatto che viene travisata la finalità del
programma in quanto i bambini ospitati non
dovrebbero essere in condizioni di abbandono
in quanto, in tal caso, andrebbero inseriti nelle
banche dati dell’adozione nazionale o internazionale anziché nei programmi di sostegno sanitario educativo.
Esiste poi il problema della scarsa e inadeguata
tutela giuridica, dello sradicamento dal contesto di origine, del raffronto tra due culture dif-
81
ADOZIONE INTERNAZIONALE
ferenti e tra modelli educativi e familiari profondamente diversi.
Mancano infine criteri predefiniti per la selezione delle famiglie, che sono scelte dalle stesse associazioni che organizzano l’accoglienza, senza
alcun controllo o monitoraggio successivo.
La situazione è stata denunciata più volte e tali
preoccupazioni sembrano essere state recepite
anche dalle istituzioni, in quanto nelle azioni
di sistema previste dal Piano Nazionale Infanzia 2002 - 2004 era prevista «…b) la revisione dei
criteri con cui si realizzano i soggiorni di minori
stranieri dell’Est europeo, che trascorrono in Italia
alcuni mesi all’anno, e verificare la possibilità di realizzare progetti di sostegno a distanza e di cooperazione internazionale mirati a creare nel loro Paese
migliori condizioni complessive di vita ed il superamento della loro istituzionalizzazione. Il Governo si
impegna a promuovere un’attenta valutazione preventiva dell’idoneità delle famiglie di accoglienza,
poiché accanto a famiglie capaci vi possono essere
persone inidonee, che tuttavia non sono sottoposte a
nessun vaglio della loro capacità né dai servizi locali
né da altri. Inoltre spesso tali soggiorni sono utilizzati per aggirare l’attuale normativa in tema di adozione internazionale, sia per «scegliere» il bambino
gradito (rispedendo eventualmente al mittente dopo
un primo periodo di accoglienza quello accolto prima
e risultato non gradito) sia per precostituire situazioni di fatto dirette a forzare le decisioni dei giudici
minorili sia italiani che stranieri».
È stato quindi raccomandato al Governo Italiano di provvedere alla revisione dei criteri con
cui vengono realizzati questi soggiorni ed un
monitoraggio del fenomeno, anche al fine di
adottare iniziative in alternativa al soggiorno in
Italia, nei luoghi dove i bambini abitano, accanto alle loro famiglie (vedi adozione a distanza);
di effettuare l’istituzione di un apposito albo
delle associazioni autorizzate ed infine di provvedere alla valutazione preventiva dell’idoneità
della famiglia di accoglienza ed il monitoraggio
durante il soggiorno.
* AVVOCATO DEL FORO DI GENOVA
MEMBRO DEL DIRETTIVO NAZIONALE AIAF
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AIAF RIVISTA 2007/2
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
ADOZIONE INTERNAZIONALE
REGOLAMENTO RECANTE
“COMPOSIZIONE E COMPITI DELLA COMMISSIONE
PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI DI CUI
ALL’ARTICOLO 38, COMMA 1 DELLA LEGGE
4 MAGGIO 1983, N. 184”.
RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL DPR CAI 6 MARZO 2007
MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIAPresso la Presidenza del Consiglio dei ministri opera la Commissione per le adozioni internazionali, istituita
dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 quale Autorità Centrale ai fini dell’art. 6 della Convenzione per la tutela
dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993.
Il D.L. 18 maggio 2006 n. 181 convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2006 n. 233, ha delegificato la materia relativa a composizione e compiti della Commissione, nonché alla durata in carica dei suoi
componenti, affidando ad un regolamento da adottarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400 il compito di ridefinire, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, i predetti
aspetti della materia, sulla base delle norme generali contenute nella legge n. 184 del 1983.
Lo schema di regolamento in esame disciplina, in conseguenza delle disposizioni sopra citate, la composizione, la durata in carica dei componenti ed i compiti della Commissione, già regolati dall’articolo 38,
commi 2, 3 e 4 e dall’articolo 39 della legge n. 184 del 1983, che risultano abrogati - a decorrere dalla data
di entrata in vigore del presente regolamento - ai sensi dell’art. 1, comma 19-quinquies del D.L. 181 del 18
maggio 2006 come modificato dalla legge n. 233 del 2006.
Va rilevato che uno schema di regolamento è già stato approvato dal Consiglio dei Ministri, e su di esso si
è espresso in senso favorevole il Consiglio di Stato con parere del 18 gennaio 2007. In tale parere, che è
un parere definitivo favorevole, si segnala peraltro “l’opportunità di redigere un unico regolamento recante
tutte le disposizioni riguardanti la Commissione, in luogo dei due distinti atti normativi regolanti l’uno la
composizione e i compiti, l’altro l’organizzazione e il funzionamento” (il riferimento è al d.P.R. 1 dicembre
1999, n. 492).
Il Ministro delle politiche per la famiglia ritiene di condividere tale segnalazione.
Il regolamento, pertanto, non trova più la sua unica fonte nell’articolo 19-quinquies del d.l. 181/2006, ma
anche nell’articolo 7 della legge 31 dicembre 1998, n. 476, di ratifica della Convenzione per la tutela dei
minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993.
Comprende pertanto anche le disposizioni in materia di organizzazione e funzionamento della Commissione
(incluse le disposizioni sul personale e sui rapporti con gli enti autorizzati), già contenute nel d.P.R. 1 dicembre 1999, n. 492, opportunamente modificate. Di conseguenza, dalla data di entrata in vigore del presente
regolamento saranno abrogate le disposizioni del citato d.P.R.
***
Le modifiche introdotte riguardano sostanzialmente la composizione della Commissione (con l’attribuzione della presidenza al Ministro competente per le politiche per la famiglia e l’introduzione fra i componenti di esperti nella materia, al fine di rendere la Commissione ancor più qualificata politicamente e
tecnicamente), i suoi compiti (con particolare riferimento al potere/dovere di dettare i criteri per l’idoneità e l’operatività degli enti che si occupano di adozioni internazionali, di esercitare nei loro confronti
un controllo efficace e di emettere provvedimenti sanzionatori), la struttura di supporto (con una più
precisa distribuzione delle competenze amministrative e la creazione di centri di responsabilità in capo
alle figure dirigenziali poste a capo della segreteria tecnica).
In particolare, gli articoli 1 e 2 contengono disposizioni generali (oggetto del regolamento, definizioni,
finalità e sede della Commissione per le adozioni internazionali): si tratta di norme già presenti nel d.P.R.
492/99 (agli articoli 1 e 2, commi 1 e 2), con modifiche di pochissimo conto e con la precisazione che la
Commissione ha sede ora, per via delle attribuzioni di competenze, presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento per le politiche per la famiglia.
Gli articoli da 3 a 6 attengono alla presidenza, composizione e compiti della Commissione. La disciplina
83
ADOZIONE INTERNAZIONALE
AIAF RIVISTA 2007/2
della materia era contenuta - come si è sopra accennato - negli articoli 38 e 39 della legge n. 104 del 1983,
modificata dalla legge n. 476/1998. Ora la materia è stata delegificata e si sono introdotte le modifiche sopra sintetizzate. Va osservato che gli articoli da 3 a 6 riproducono, salvo minime differenze che saranno di
seguito segnalate, le norme contenute nello schema di regolamento già approvato dal Consiglio dei Ministri
e sui cui si è espresso favorevolmente il Consiglio di Stato.
In particolare: l’articolo 3 ha ad oggetto la presidenza della Commissione per le adozioni internazionali. Il
comma 1 prevede che la Commissione sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro
da lui delegato per le politiche per la famiglia. Si è voluto che a presiedere la Commissione fosse un ministro,
facilmente identificabile in base al contenuto della delega di funzioni attribuitegli, o in mancanza lo stesso
Presidente del Consiglio; questo per le delicate funzioni che spettano alla Commissione soprattutto in tema
di rapporti internazionali ed in considerazione del fatto che le corrispondenti autorità centrali dei Paesi che
hanno aderito alla Convenzione dell’Aja sono presiedute da autorità politiche. Viene mantenuta l’alternativa per l’eventualità che un diverso assetto dell’Esecutivo non preveda che le politiche per la famiglia siano
delegate a un particolare Ministro.
Il comma 2 definisce i compiti del presidente facendo riferimento alla rappresentanza dell’ente nonché alle
attività di coordinamento e di vigilanza in merito all’attività della Commissione: si tratta di funzioni compatibili con la natura politica della figura del presidente, restando rimesse al vicepresidente, come si dirà nel
prosieguo, le attribuzioni di natura più strettamente amministrativa.
In considerazione di quanto sopra, si è previsto, inoltre, al comma 3 dell’art. 1, che sia compito specifico
del presidente quello (in precedenza attribuito alla Commissione) di presentare al Parlamento una relazione
biennale sullo stato delle adozioni internazionali, sullo stato della attuazione della Convenzione dell’Aja e
sulla stipulazione di accordi bilaterali anche con Paesi non aderenti alla stessa.
L’art. 4 del regolamento stabilisce la composizione della Commissione. È innanzitutto prevista la figura del
vicepresidente, il quale, nominato con D.P.C.M. su proposta del presidente della Commissione, sostituisce
quest’ultimo in caso di sua assenza o impedimento. Per tale delicata posizione, si è previsto che debba essere persona dotata di specifica esperienza nel settore minorile e di provata competenza quale magistrato o
dirigente della Pubblica Amministrazione (caratteristiche che in precedenza l’art. 38 della legge n. 184 del
1983 prevedeva per il presidente della Commissione). Al fine di garantire che la nomina avvenga tra persone
dotate della necessaria professionalità, si precisa inoltre che, ove si tratti di persona proveniente dai ruoli
amministrativi, debba avere la qualifica di dirigente generale. Si prevede inoltre che il vicepresidente possa
provenire, oltre che dalla Amministrazione dello Stato, anche da un’Amministrazione regionale, in virtù
delle specifiche competenze attribuite alle regioni in materia di minori e di adozioni (anche ai sensi dell’art.
39 bis della legge n. 184).
Il comma 2 dell’art. 2 provvede ad indicare alcune specifiche funzioni del vice-presidente, fissate tenendo
conto del fatto che a lui spettano le attribuzioni giuridiche e amministrative più rilevanti. In particolare, egli
ha lo specifico compito di autorizzare l’ingresso ed il soggiorno permanente del minore straniero adottato
o affidato a scopo di adozione. Si è scelto di affidare quest’ultima funzione, in precedenza attribuita alla
Commissione nella sua collegialità, ad un organo monocratico, allo scopo di garantire nel contempo una
decisione ponderata ed una procedura rapida ed efficace, ferma restando la conoscenza/conoscibilità di tutti
i provvedimenti di autorizzazione all’ingresso o al soggiorno di minori da parte della Commissione, alla quale è attribuito il diritto/dovere di prenderne atto. Si è altresì precisato, che il vice-presidente possa adottare i
provvedimenti di competenza della Commissione nei casi di urgenza che non permettano la convocazione
dell’organo collegiale: in questa ipotesi alla Commissione spetta di ratificare nella prima riunione utile il
provvedimento adottato, pena la perdita di efficacia ex tunc dello stesso. Rispetto allo schema precedentemente proposto, non è stata riprodotta la norma che trasferiva al vicepresidente la funzione (già attribuita
al presidente dall’art. 5 del d.P.R. 492/99) di sovrintendere all’attività della segreteria tecnica: trattandosi
di attività prettamente amministrativa, la si è attribuita al dirigente generale posto a capo della segreteria
medesima.
In relazione ai numerosi e delicati compiti spettanti al vicepresidente, come sopra dettagliati, e in considerazione del fatto che il presidente è un ministro o lo stesso Presidente del Consiglio, si è scelto di attribuire
al vicepresidente l’indennità prevista dall’art. 3 quinquies del D.L. 28 maggio 2004 n. 136, convertito, con
modificazioni, dalla L. 27 luglio 2004, n. 186.
Gli altri componenti della Commissione sono individuati sulla base di quanto precedentemente previsto,
salvo alcune variazioni. In particolare, dei due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri,
è espressamente stabilito che uno provenga dal Dipartimento per le riforme e l’innovazione nella pubblica
amministrazione, in ragione delle particolari attribuzioni di quest’ultimo; si è previsto che alla Commissione partecipi un rappresentante del Ministero della Solidarietà Sociale in luogo del Ministero del Lavoro; è
stato espressamente escluso che possano essere rappresentati nell’ambito dei componenti designati dalle
associazioni familiari gli enti di cui all’art. 39 ter della legge n. 184 del 1983, in considerazione del fatto
che ad essi la legge attribuisce funzioni ben individuate e soprattutto che essi sono controllati dalla Commis-
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MAGGIO - SETTEMBRE 2007
ADOZIONE INTERNAZIONALE
sione, per cui è opportuno evitare commistioni e ambiguità. Inoltre, la Commissione è stata integrata con
tre esperti nominati direttamente dal presidente: la loro presenza va a riempire una carenza di competenza
tecnico-giuridica che negli anni passati ha dato origine a problemi e difficoltà operative. Naturalmente si
precisa che essi debbono essere scelti tra persone di comprovata esperienza nella materia delle adozioni
internazionali.
L’articolo 5 stabilisce le modalità di nomina e la durata in carica dei componenti della Commissione. Si
prevede espressamente che essi (esclusi i rappresentanti delle associazioni e gli esperti) siano nominati con
D.P.C.M. su designazione dei rispettivi Ministri o della Conferenza unificata; il vicepresidente ed i componenti durano in carica tre anni e possono essere riconfermati una sola volta: ciò permette un adeguato turn
over e comunque un trattamento paritario per vicepresidente e altri componenti. Si è altresì previsto, al fine
di adeguare la composizione della Commissione alle scelte politiche del Governo in carica, che l’incarico
del vicepresidente cessi comunque con la fine di ogni legislatura e che l’incarico degli esperti nominati dal
Presidente del consiglio o dal Ministro delegato sia soggetto a conferma annuale. L’operatività dell’organo è
comunque assicurata dalla previsione che tutti i membri restano in carica fino alla conferma o alla nomina
dei successori, sempre comunque nel rispetto delle norme vigenti ove prevedano tempi diversi per la prorogatio dei poteri. Data la procedura di nomina del vicepresidente, quest’ultimo si intende confermato ove
non sia sostituito dal nuovo Governo entro sei mesi dal conseguimento della fiducia. La disciplina della cessazione dalla carica è sostanzialmente identica a quella contenuta nel d.P.R. 492/99, salvo la sostituzione
del Presidente del Consiglio dei Ministri con il presidente della Commissione.
Ai componenti della Commissione diversi dal vice-presidente (del quale si è già detto) non spetta alcun compenso ma solo il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno, equiparato - per i soggetti estranei alla pubblica
amministrazione - a quello dei dirigenti di seconda fascia.
L’articolo 6 disciplina i compiti della Commissione introducendo alcune variazioni rispetto a quanto in precedenza stabilito dall’art. 39 della legge n. 184/1983.
Essa mantiene da un lato i compiti di collaborazione con le autorità centrali per le adozioni internazionali
presenti negli altri Stati, di proposizione di accordi bilaterali in materia, di conservazione degli atti relativi
alle procedure di adozione, di promozione della cooperazione tra i vari operatori e di iniziative di formazione, collaborando anche con enti appositi, diversi da quelli di cui all’art. 39 ter.
Dall’altro si è previsto che la Commissione rediga appositi criteri per l’autorizzazione all’operatività degli
enti di cui all’art. 39 ter. Sulla base di tali criteri - che dovranno assicurare la funzionalità e la serietà degli
enti - la Commissione provvede ad autorizzare l’attività degli enti, a curare il relativo albo, a vigilare sul loro
operato. In particolare, si è previsto che la Commissione possa revocare l’autorizzazione a quegli enti la cui
attività sia scarsamente efficace, sulla scorta dell’analisi dei risultati concreti conseguiti. Ancora, e sempre al
medesimo scopo di aumentare l’efficacia degli enti, si prevede che la Commissione si adoperi per favorire la
riduzione del loro numero, attraverso la loro eventuale fusione.
Vengono introdotti ulteriori specifici compiti della Commissione. Uno è quello di esaminare segnalazioni,
istanze ed esposti relativi ai procedimenti adottivi: si tratta di una competenza finalizzata ad esercitare la
vigilanza sulla regolarità ed efficacia delle procedure di adozione, in analogia a quanto accade negli altri
paesi europei. Un’altra attribuzione è quella di informazione, a vantaggio dell’intera collettività, sull’istituto dell’adozione internazionale e sulle procedure relative (compresi tempi e costi medi in base ai Paesi di
provenienza dei minori adottandi). Ancora, si prevede che la Commissione interagisca con gli “utenti” e
ne ascolti le richieste ed esigenze promuovendo periodicamente (ogni sei mesi) una consultazione con le
associazioni familiari a carattere nazionale.
Rispetto allo schema già diramato, si è introdotto l’ulteriore compito di richiedere ai servizi socio-assistenziali del territorio o agli enti competenti le attività di verifica e la documentazione necessaria (segnatamente,
le apposite relazioni) per gli accertamenti da compiersi sull’andamento dei periodi post-adottivi. Si tratta di
un’attività che si rende necessaria (ed è opportuno stabilire a chi spetta il potere di “attivazione” della procedura) a seguito degli accordi internazionali. Alcuni Paesi, infatti, richiedono che le verifiche post-adozione
si protraggano per due, tre o più anni (in alcuni casi anche fino alla maggiore età dell’adottato) e si concretizzino in relazioni formali redatte da soggetti qualificati. L’attività della Commissione si inserisce appunto
perché siano garantito il coordinamento di tutti gli “attori” della procedura, pubblici e privati, anche al fine
di mantenere buoni rapporti con gli Stati di origine dei minori adottati.
I commi 2 e 3 dell’articolo 6 riprendono il contenuto dei corrispondenti commi dell’art. 39 della legge n. 184
del 1983 (esame della Commissione sulle decisioni degli enti di diniego dell’adozione, incontri periodici con
i rappresentanti degli enti autorizzati), mentre con il comma 4 si introduce la disposizione che prevede le
missioni all’estero (norma non prevista nello schema in precedenza approvato ma comunque già contenuta
nel d.P.R. 492/99).
Le disposizioni di cui agli articoli da 7 a 18 riguardano l’organizzazione ed il funzionamento della Commissione, ed erano già contenute nel d.P.R. n. 492/99. Si segnalano, pertanto, solo le differenze più rilevanti.
L’articolo 7 riprende in maniera pressoché pedissequa (salvi gli aggiornamenti normativi, ad esempio il rife-
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
AIAF RIVISTA 2007/2
rimento al codice della privacy) l’articolo 2, commi da 3 ad 8, del regolamento del 1999 in tema di raccolta
dei dati, anche sensibili, relativi alle procedure adottive. L’articolo 8 disciplina il funzionamento della Commissione, anch’esso in modo sostanzialmente identico a quanto previsto dal d.P.R. n. 492: l’unica differenza
è l’aumento da sei a otto del numero minimo di componenti necessario per la validità delle deliberazioni,
aumento connesso all’aumento del numero complessivo dei componenti.
L’assetto della segreteria tecnica (già prevista e disciplinata dall’articolo 6 del d.P.R. 492/99) è sensibilmente
mutato, mantenendo tuttavia identiche le competenze e apportando una piccola variazione all’organico.
Si è disciplinata questa struttura come ufficio dirigenziale di livello generale, cui è preposto un dirigente di
prima fascia. Le competenze dell’ufficio (nella sostanza identiche a quelle attuali) sono distribuite in due
servizi, uno deputato alle adozioni e posto alle dipendenze del dirigente generale ed un altro incaricato degli
adempimenti amministrativi e contabili, cui è preposto un dirigente di seconda fascia. In questo modo, i due
dirigenti (in luogo dei tre attualmente previsti) sono configurati come centri di responsabilità oltre che di attribuzioni, così da garantire l’efficienza dell’azione amministrativa. Il comma 7 autorizza la Commissione ad
avvalersi di professionalità esterne ove necessario per l’adempimento dei propri scopi: la disposizione nulla
aggiunge rispetto alla previsione, già esistente, di cui all’articolo 6 comma 4 del regolamento del 1999.
L’articolo 10 riprende, semplificandolo e adeguandolo al mutato assetto della Commissione, l’articolo 7 del
d.P.R. n. 492 in tema di missioni all’estero (autorizzazione all’invio di componenti o di personale all’estero,
rimborsi).
Il capo IV contiene le disposizioni sull’attività degli enti, già presenti nel regolamento del 1999.
L’articolo 11 disciplina il contenuto dell’istanza di autorizzazione che gli enti sono tenuti a presentare alla
Commissione per poter operare nell’ambito delle adozioni internazionali. Le modifiche rispetto all’articolo
8 del d.P.R. 492/99 sono solo di drafting. Anche gli articoli 12 (accertamento dei requisiti) e 13 (albo degli
enti autorizzati) corrispondono agli artt.. 9 e 10 del regolamento attuativo vigente. Nell’articolo 14 (modalità
operative degli enti), il cui riferimento diretto è all’articolo 11 del regolamento vigente, l’unica modifica di
rilievo è l’inserimento, al comma 1 lettera a), dell’obbligo di comunicare mensilmente alla Commissione
gli incarichi ricevuti dalle coppie aspiranti all’adozione riportati cronologicamente sull’apposito registro: la
comunicazione consente alla Commissione di monitorare l’entità degli impegni presi dall’ente con le coppie
per valutarne la congruità rispetto all’operatività e al numero di adozioni concluse.
L’articolo 15 prevede verifiche periodiche sull’attività degli enti, con alcune differenze rispetto all’art. 12
del d.P.R. 492. Innanzitutto, si prevede espressamente la periodicità delle verifiche (controllo di tutti gli enti
ogni due anni) e il procedimento a campione. L’oggetto della verifica è la permanenza dei requisiti di idoneità in capo agli enti, nonché la correttezza, trasparenza ed efficienza della loro azione. Uno dei principali
parametri di riferimento è la proporzione tra gli incarichi accettati e quelli completati. Connessa all’attività
di controllo, si prevede peraltro in capo alla Commissione un’attività di “concertazione” per l’individuazione
di modalità operative e di metodologie omogenee.
L’articolo 16 disciplina in un’unica disposizione le sanzioni che possono essere comminate agli enti nell’ipotesi in cui le verifiche ed i controlli abbiano esito negativo. Alle due sanzioni già previste dall’articolo 13 del
d.P.R. 492/99 (sospensione e revoca dell’autorizzazione ad operare) se ne sono premesse altre, che vanno
dalla semplice censura (qualora l’ente sia responsabile di irregolarità ma esse non siano più in atto, o non
sia necessario né utile imporre limitazioni o prescrizioni), alla possibilità di prescrivere che l’ente adegui le
proprie modalità operative alla legge e al regolamento, alla possibilità di limitare l’attività dell’ente in termini
di assunzione di incarichi o in termini di estensione territoriale della sua azione, in ambito nazionale o internazionale. Le ipotesi di sospensione e revoca dell’autorizzazione sono state conservate immutate rispetto
alla disciplina vigente. Tutte le procedure che conducono all’emanazione di sanzioni sono state inoltre sottoposte all’osservanza delle norme in tema di procedimento amministrativo e segnatamente della norma che
impone la contestazione dei fatti e delle ragioni per cui si intende procedere. Al comma 5, infine, si sono
previsti gli adempimenti in caso di revoca o sospensione dell’attività di un ente, al fine di evitare che il provvedimento sanzionatorio incida negativamente sulle procedure adottive in corso e sulle legittime aspettative
delle (incolpevoli) coppie aspiranti all’adozione: in tali casi la Commissione prenderà in carico direttamente
le procedure in corso, eventualmente stipulando accordi con altri enti o avvalendosi (nei limiti delle proprie
risorse finanziarie) di consulenze o convenzioni apposite.
L’articolo 17 in tema di riesame riproduce l’articolo 14 del regolamento del 1999, con la previsione che, in
caso di necessità di acquisizione di elementi istruttori, il termine sia allungato a sessanta giorni complessivi.
Immutata è la disposizione sulla rappresentanza e difesa in giudizio della Commissione da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Il capo V contiene le disposizioni finali e transitorie. Tra queste, particolare rilevanza riveste l’articolo 19,
che prevede che nel primo anno successivo all’entrata in vigore della nuova normativa la Commissione
proceda ad un controllo “a tappeto” degli enti esistenti e alla loro rispondenza ai requisiti, come previsti
dalla legge e precisati dal regolamento stesso; tale attività mira a ridurre quanto possibile il numero degli enti
autorizzati per aumentarne al massimo l’efficienza e serietà.
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MAGGIO - SETTEMBRE 2007
ADOZIONE INTERNAZIONALE
Immutata è la disposizione (di cui all’articolo 20) che coordina il regolamento con le competenze del Comitato per i minori stranieri in tema di minori accolti o presenti nello Stato, mentre la norma finanziaria
(articolo 21) fa riferimento all’attuale assetto del bilancio dello Stato e pertanto all’unità revisionale di base
16.1.2.1, relativa alla Presidenza del consiglio dei ministri - politiche per la famiglia. La norma dispone che
agli oneri connessi al regolamento si faccia fronte nei limiti dell’autorizzazione di spesa già prevista dalla legge n. 476 del 1998 (di ratifica della Convenzione internazionale dell’Aja). Sul punto, si ricorda che la legge
finanziaria 2007 prevede che il Ministro delle politiche per la famiglia possa destinare una parte del Fondo
per le politiche per la famiglia proprio al finanziamento della Commissione per le adozioni internazionali.
La Commissione, che (si ripete) rappresenta per l’Italia l’autorità centrale per le adozioni internazionali, ai sensi della citata convenzione dell’Aja, svolge funzioni previste dall’articolo 117 lettera
g) della Costituzione, per le quali sussiste la potestà legislativa esclusiva dello Stato.
È inoltre pacifico che la Commissione non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 29 del D.L.
4.7.2006 n. 223 (sul punto si vedano anche le note del Ministero dell’Economia e delle Finanze
prot. n. 157254 e del Ministero per le Riforme e le innovazioni nella P.A. prot. 299/06/UL/P del
7.12.2006), in quanto svolge funzioni amministrative direttamente previste dalla Convenzione
internazionale, obbligatorie per l’Italia che ha ratificato la Convenzione medesima.
87
EDITORIALE
AIAF
CONGRESSO NAZIONALE 2007
PREMESSA
LA COSTITUZIONE DELL’AIAF NEL 1993 PER
FINALITÀ CULTURALI
I
l Disegno di legge per la Riforma delle professioni intellettuali (ddl Mastella), da un
lato, e la Legge Bersani dall’altro, sulle quali
entrambe la nostra Associazione ha già assunto
una sua posizione, introducono e introdurranno in futuro novità tali da cambiare inevitabilmente contorni, modalità e aspetti formativi del
nostro lavoro.
In particolare la prospettiva del riconoscimento
della specializzazione in alcune materie, tra cui
L’ATTIVITÀ DI
FORMAZIONE
SPECIALISTICA E DI
AGGIORNAMENTO
PROFESSIONALE
DELL’AIAF
_MILENA PINI*_
il diritto di famiglia e minorile, e la conseguente
necessità di una formazione finalizzata all’acquisizione del titolo di specialista, così come
al suo mantenimento, comporta per l’AIAF un
nuovo impegno, di fronte al quale non è certo
impreparata.
Da tempo infatti abbiamo avviato la trasformazione da associazione eminentemente culturale
ad associazione sostanzialmente rappresentativa che si fa tra l’altro carico di fornire strumenti
formativi.
Da sempre inoltre siamo favorevoli alla specializzazione, nella convinzione che questa qualifichi e dia effettivo valore e significato al nostro
lavoro, consapevoli inoltre che è in questa direzione che inevitabilmente le trasformazioni sociali ed economiche in atto conducono l’attività
professionale.
88
AIAF RIVISTA 2007/2
L
a prima fase di attività dell’AIAF, costituita a livello nazionale nel 1993 e strutturata sin dall’inizio in sezioni regionali, è stata
connotata da iniziative culturali - convegni
e seminari di studio - volte ad approfondire i
temi del nostro agire professionale.
Attività che da allora si è ulteriormente sviluppata, a livello sia nazionale che locale, traducendosi in continuo monitoraggio dell’applicazione della legislazione in materia, valutazione della giurisprudenza, esame delle
proposte di legge e proposte di modifica legislativa, confronto con gli altri operatori del
settore.
L’AIAF ha diffuso idee ed ha indicato soluzioni;
ha auspicato la riforma della separazione e del
divorzio suggerendone alcune linee guida, che
purtroppo la legge 80/05 e la legge 54/06 hanno raccolto solo in minima parte; ha denunciato la compressione delle garanzie difensive nei
procedimenti in materia minorile che seguono
il rito della volontaria giurisdizione programmandone il superamento attraverso precise
indicazioni di riforma; ha attuato uno studio
ed un continuo monitoraggio sull’applicazione dell’affidamento condiviso; ha auspicato un
unico giudice competente (la sezione specializzata del tribunale ordinario) per la regolamentazione dei rapporti relativi alla filiazione naturale e legittima.
Con questa intensa e capillare attività culturale abbiamo sviluppato rapporti di collaborazione con magistrati, docenti universitari ed esperti in discipline psicosociali,
nonché con gli ordini forensi locali e altre
associazioni forensi.
Il Congresso associativo del 1998 ha costituito una prima tappa importante di verifica
dell’attività culturale svolta e di definizione
di ulteriori obiettivi soprattutto nel campo
della formazione professionale.
In quell’occasione, nella relazione del Direttivo
Nazionale veniva sottolineato che “la specificità
del settore di cui in prevalenza ci occupiamo - il diritto di famiglia - richiede un impegno costante di
formazione e aggiornamento anche interdisciplinare
e il riconoscimento della necessità di utilizzare gli
altri saperi che si rivelino necessari per ottenere la
migliore soluzione dei problemi che le parti ci pro-
MAGGIO - SETTEMBRE 2007
AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007
spettano.”
Ribadendo l’importanza della formazione e
della specializzazione degli avvocati e dei giudici che operano nell’ambito della famiglia,
emergeva “la necessità di integrare la formazione
giuridica con altre discipline psicosociali”, “la necessità di non restare prigionieri della cultura della contrapposizione ad ogni costo e di perseguire le ipotesi
di una soluzione mediata dei conflitti, recuperando
in pieno uno dei principi fondamentali della nostra
cultura giuridica e professionale: adoperarsi innanzitutto per conciliare e transigere. In tal modo rivendicando all’avvocatura il suo ruolo di pacificazione
sociale nella risoluzione dei conflitti che, se trovasse
adeguata risposta nell’utilizzazione preventiva della
consulenza legale, consentirebbe anche di rendere efficiente, deflazionandolo, il sistema giudiziario.”
organizzato dall’AIAF Veneto a Verona, dal 26
gennaio all’8 giugno 1998, e i “Seminari di diritto di famiglia - Lezioni sugli aspetti patrimoniali e personali” organizzati dall’AIAF Abruzzo a
Pescara, dall’ottobre al novembre 1998.
Dall’anno 2000 anche altre sezioni regionali
(Lazio, Toscana, distretto di Salerno, Piemonte,
Lombardia, Liguria, etc.) danno inizio a corsi di
diritto di famiglia e di diritto minorile, che vertono sia su temi generali (matrimonio, separazione, divorzio, l’adozione, etc.) che su temi più
specifici (l’affidamento dei figli, la mediazione
familiare, le questioni economiche e fiscali, etc.)
L’incremento di tale attività di formazione a favore degli avvocati e dei giovani praticanti porta l’AIAF nazionale a richiedere al Consiglio
Nazionale Forense un riconoscimento formale
del proprio ruolo già nell’anno 2002.
2. L’ATTIVITÀ DI FORMAZIONE DI BASE E DI
AGGIORNAMENTO SPECIALISTICO
Viene così sottoscritto dall’AIAF e dal Centro
per la formazione e l’aggiornamento professionale degli Avvocati del Consiglio Nazionale
Forense (Roma, 4 giugno 2002) un “Protocollo
d’intesa, per la collaborazione in attività di formazione e aggiornamento per la professione
dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato
del minore”
L’attività di formazione dell’AIAF dal 2002 di-
D
opo il Congresso del 1998 l’AIAF dà avvio a
corsi di formazione di lunga durata.
Il primo “Corso di diritto di famiglia e di diritto
minorile” è organizzato dall’AIAF Sicilia e si tiene a Catania dal 4 giugno 1997 al 1 aprile 1998;
seguono a breve il “Seminario di formazione
interdisciplinare per la famiglia ed i minori”
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE - CENTRO PER LA FORMAZIONE E
L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE DEGLI AVVOCATI
E
AIAF - ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
II Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli Avvocati del Consiglio Nazionale Forense
(in seguito indicato come Centro) in persona del Vice - Presidente, Avv. Alarico Mariani Marini, e l’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF), in persona del componente del Consiglio
di Presidenza e legale rappresentante dell’associazione, Avv. Marina Marino, hanno convenuto di dare veste
formale ad un’intesa i cui termini sono definiti nei seguenti punti:
1. Il Centro e l’AIAF hanno considerato la possibilità di collaborare in attività di formazione e aggiornamento di comune interesse ed hanno convenuto sulla utilità per l’Avvocatura italiana di promuovere
iniziative di orientamento formativo, di approfondimento e di aggiornamento per la professione dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato del minore anche in vista delle recenti previsioni normative in
materia.
2. Le iniziative comuni potranno consistere, a titolo esemplificativo:
- in seminari ed in corsi di aggiornamento e di approfondimento specialistico nel diritto di famiglia e minorile;
- in corsi di orientamento specialistico sempre nelle materie indicate, per giovani avvocati;
- nella collaborazione nelle scuole e nei corsi di formazione.
3. Le attività formative consisteranno essenzialmente nell’insegnamento e nell’approfondimen-
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to di discipline e tecniche per la migliore applicazione del diritto di famiglia e minorile e saranno volte all’acquisizione ed al miglioramento delle abilità professionali necessarie a garantire la qualità della prestazione sia nell’attività giudiziaria che in quella di consulenza.
Particolare rilievo dovrà assumere in questo quadro la deontologia professionale quale componente
essenziale dell’identità professionale dell’avvocato.
4. Il Centro e l’AIAF, per l’attuazione di questa intesa, costituiranno un ristretto gruppo paritetico di coordinamento che dovrà elaborare proposte di iniziative comuni da sottoporre all’esame dei rispettivi
organismi deliberanti.
Il gruppo di coordinamento, nella sua prima formazione, è così costituito:
1) Avv. Stefano Borsacchi per il Centro
2) Avv. Anna Galizia Danovi per il Centro
3) Avv. Maurizio Paganelli per il Centro
4) Avv. Antonio Dionisio per l’AIAF
5) Avv. Carla Marcucci per l’AIAF
6) Avv. Milena Pini per l’AIAF
Sia il Centro che l’AIAF potranno sostituire i componenti designati con semplice comunicazione all’altra
parte.
5. Il Centro e l’AIAF concorderanno aspetti organizzativi e finanziari in relazione ad ogni singola attività
promossa, come pure se ed in quali casi possa essere rilasciato un attestato di partecipazione a corsi e
seminari e l’utilizzazione del materiale prodotto in occasione delle iniziative comuni.
6. Il Centro si impegna a segnalare agli ordini forensi, ai fini della formazione degli elenchi degli avvocati
del minore che dovessero essere richiesti dalle autorità giudiziarie competenti, i nominativi dei colleghi
che abbiano positivamente frequentato i corsi organizzati dall’AIAF con il patrocinio o in collaborazione
con il Centro, ottenendo la relativa attestazione.
Il presente protocollo viene sottoscritto in Roma, il giorno 4 giugno 2002
viene continua e copre tutte le realtà regionali.
È una attività che con il passare del tempo si
struttura in precise fasi:
• la progettazione e preparazione del corso: la
scelta dei temi, della metodologia e dei relatori
• la direzione e gestione del corso, nonché la
costante verifica del suo andamento, mediante un rapporto continuo con i partecipanti,
per rilevare le loro esigenze
• la valutazione finale a chiusura del corso, per
rilevare gli aspetti positivi e negativi del lavoro svolto, al fine di tenerne conto per la progettazione di altre iniziative di formazione
I risultati conseguiti con tale attività sono stati
estremamente positivi, in quanto:
- è stata fornita una formazione - sia di base che
specialistica, a seconda dei corsi - ad avvocati e praticanti avvocato, in diritto di famiglia e minorile
- è stata acquisita “sul campo”, da parte dei
Colleghi delle AIAF regionali e distrettuali che
hanno svolto attività di formazione, una specifica competenza di progettazione, direzione e
gestione di tale attività formativa.
Particolare attenzione è posta alla metodologia,
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e quasi ovunque i corsi sono stati strutturati con
una impostazione teorico-pratica, prevedendo
sia lezioni teoriche, che disamina della giurisprudenza e discussione di casi pratici;
in alcuni corsi sono state sperimentate esercitazioni pratiche con simulazione della difesa (Toscana, corso di diritto minorile);
in altri si sono formati sottogruppi di lavoro, compilati test, sperimentato discussioni di
gruppo con “supervisione” di casi trattati dai
Colleghi (corsi sulla “gestione del conflitto” organizzati da AIAF Lombardia e Toscana,, e corso “la gestione delle emozioni nella gestione del
conflitto” dell’AIAF Lombardia).
Possiamo affermare che l’esperienza di formazione acquisita in questi anni ci ha consentito
il passaggio dalla tesi “teorica” dell’importanza
della multidisciplinarietà (intesa come acquisizione culturale, di conoscenze di base di altre
discipline mediante la collaborazione di esperti
in discipline psicologiche - psicologi, mediatori familiari, neuropsichiatri infantili - ai nostri
corsi), alla elaborazione di una nostra proposta
formativa multidisciplinare, sotto il profilo dei
contenuti e del metodo, che delinea - in senso
complessivo e completo - l’avvocato specializ-
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zato in diritto di famiglia e minorile.
L’obiettivo è quello di far acquisire all’avvocato
strumenti di conoscenza teorica specifica e di
pratica interdisciplinare in materia, che gli consentano di svolgere da specialista l’attività di assistenza stragiudiziale e di difesa giudiziale.
3. RICONOSCIMENTO DELLA
SPECIALIZZAZIONE E RIFORMA DELLA LEGGE
PROFESSIONALE.
D
a sempre l’AIAF - associazione alla quale
possono aderire solo gli avvocati che esercitano in via prevalente o continuativa attività in
ambito di diritto di famiglia e minorile - sostiene l’esigenza della specializzazione dell’avvocato che tratta questa materia e della sua conseguente pubblicità a tutela dei cittadini.
L’ Articolo 1 (Scopi) dello STATUTO dell’AIAF
approvato dall’Assemblea Nazionale del 16 dicembre 2006 afferma:
“L’Associazione Italiana degli Avvocati per la
Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede in Roma è un’associazione
di rappresentanza e di categoria senza fini di
lucro che opera sul territorio nazionale, aperta
all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel
settore del diritto di famiglia e dei minori.
L’Associazione si propone:
a) di promuovere la rappresentanza associativa tra
gli avvocati che esercitano la professione, con
continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori,
b) di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere
il professionista al quale affidare la propria difesa
un criterio fondato sulla capacità tecnica ed di
conseguenza si propone di dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati,
e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa, potrà chiedere un riconoscimento in via amministrativa che sancisca la
legittimazione socioeconomica della loro funzione nel mercato dei servizi professionali.
c) di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme
deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di sanzioni sostanziali disciplinari definitive a
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carico degli associati.
d) di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto
una assicurazione professionale.
e) di provvedere anche tramite la Scuola di Alta
Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in
possesso dei requisiti, vorranno raggiungere una
specializzazione in materia di diritto di Famiglia
e minorile civile e penale, nonché alla costante
verifica di professionalità per gli iscritti dandone
comunicazione al CNF e agli Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile
e penale attestati di competenza riguardanti la
qualificazione professionale, tecnico scientifica e
le relative specializzazioni, assicurando che tali
attestati siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di
durata e siano redatti sulla base di elementi e dati
concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso
dell’associazione;
f) di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di
riforma della legislazione familiare e minorile;
g) di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con le altre
figure professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia;
h) di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza
adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento
giudiziario, anche attraverso corsi di formazione
ed aggiornamento.
Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di
famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà,
inoltre, direttamente e/o in collaborazione con altre
Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa
ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello
scopo sociale.”
Nonostante che in quasi tutti i Paesi Europei
sia riconosciuta e regolamentata la specializzazione e siano istituiti gli elenchi di avvocati
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specializzati per materia, nel nostro codice deontologico forense è tuttora contenuto solo un
generico richiamo all’avvocato ad assumere
incarichi in merito ai quali lo stesso ritenga di
poter essere competente.
Inoltre il titolo di specialista è esclusivamente
riservato ai docenti universitari, molto spesso
estranei all’effettivo svolgimento della professione, soprattutto nella nostra materia.
Il DDL BERSANI rappresenta dunque una
svolta, in quanto per la prima volta si cerca
di dare riconoscimento alla specializzazione
dell’avvocato, a tutela dell’interesse del cittadino utente.
Il 30 giugno 2006 il cd. «decreto Bersani» pone
una scadenza al 31 dicembre 2006
ART.2 (Disposizioni urgenti per la tutela
della concorrenza nel settore dei servizi professionali)
1. In conformità al principio comunitario di
libera concorrenza ed a quello di libertà di
circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri
diritti e di comparazione delle prestazioni
offerte sul mercato, dalla data del presente
provvedimento sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero
professionali e intellettuali: la fissazione di
tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il
divieto di pattuire compensi parametrati al
raggiungimento degli obiettivi perseguiti; il
divieto, anche parziale, di pubblicizzare i
titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto e il prezzo
delle prestazioni;
Il 16 novembre 2006 al convegno organizzato a
Roma dall’Unione delle Camere Penali Italiane viene sottoscritto un documento finale sottoscritto da tutte le Associazioni di specialisti,
compresa l’AIAF. Nel documento si sottolinea
come “…in un tale contesto normativo, appare
possibile recepire l’esigenza ormai insopprimibile dell’inserimento del principio della specializzazione della difesa…, quale strumento
di attuazione del diritto della persona al giusto
processo ed all’effettività della difesa, oltre che
quale strumento di miglioramento qualitativo
dell’attività professionale forense».
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Altro segnale innovativo importante è contenuto nel DDL MASTELLA (Art. 7 - I bozza) che
prevede il riconoscimento delle associazioni di
esercenti le professioni, ai fini:
• di dare evidenza ai requisiti professionali degli iscritti,
• di favorire la selezione qualitativa e la tutela
dell’utenza
Si precisa che dette associazioni devono essere iscritte in apposito registro presso il Ministero della Giustizia sentito il CNEL e gli
Ordini, e che il loro Statuto deve garantire:
- identificazione delle attività professionali,
- rappresentatività elettiva delle cariche,
- assenza di situazioni di conflitto di interesse,
- la trasparenza degli assetti organizzativi e
l’attività dei relativi organi,
- la dialettica democratica tra gli associati,
- l’osservanza dei codici deontologici secondo
un codice etico elaborato dall’associazione,
- idonee forme assicurative per la responsabilità per danni,
- una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata alle finalità dell’associazione
e ai livelli di qualificazione,
- la costante verifica di professionalità per
gli iscritti e il relativo aggiornamento,
- l’effettiva applicazione del codice etico.
Il DDL Mastella (I bozza) prevede altresì che
le associazioni registrate possano rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative
specializzazioni, assicurando che tali attestati
siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata
e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso
dell’associazione
A queste aperture sulla specializzazione fa
purtroppo seguito una Circolare del Consiglio
Nazionale Forense del 13 novembre 2006:
art. 7 lett a): Le associazioni di professionisti iscritti in albi non possono e non debbono essere riconosciute, perchè una loro
valenza pubblica o para-pubblica minerebbe indebitamente il principio di unitarietà
della professione forense, con la creazione
di una sorta di albi separati, e genererebbe
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oltretutto grave confusione nel pubblico.
Nulla vieta ovviamente la piena libertà di
associazione anche tra professionisti iscritti
in albi ma questa è già nella Costituzione.
Si propone pertanto la soppressione della
lettera a).
art 7 lett. b) sostanzialmente si chiede di
escludere le discipline “ordinistiche”.
Il DL 2160 “MASTELLA” del 24 gennaio 2007,
all’art. 8 - (Principî e criteri in materia di associazioni professionali riconosciute, recepisce
le critiche del CNF ed esclude dalle “associazioni registrate” che possono rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione
professionale, tecnico-scientifica e le relative
specializzazioni”, “le attività riservate di cui
all’articolo 2, comma 1, lettera e) *
(*ART. 2 comma 1 e): riorganizzare le attività
riservate a singole professioni regolamentate
limitandole a quelle strettamente necessarie
per la tutela di diritti costituzionalmente garantiti per il perseguimento di finalità di interesse generale o in relazione alle esigenze
degli utenti, previa verifica della inidoneità
di altri strumenti diretti a raggiungere il medesimo fine e senza aumentare le riserve già
previste dalla legislazione vigente.)
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vecchio schema:
ART.17 BIS
• sono riconosciuti solo i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari;
• possono essere indicati dall’avvocato i settori di esercizio dell’attività professionale
(civile, penale, amministrativo, tributario) e,
nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente, con il limite di non più di
tre materie.
Di fronte a tale confuso e preoccupante panorama l’AIAF, unitamente con le altre Associazioni di specialisti UCPI, UNCAT, AGI, SIA, ha
sottoscritto in questi mesi numerosi documenti
in cui ha continuamente ribadito l’esigenza di
una compiuta disciplina del tema della specializzazione forense.
4. LA FORMAZIONE CONTINUA E IL
REGOLAMENTO DEL CNF
Con un Regolamento approvato in data 18 gennaio 2007 il Consiglio Nazionale Forense ha previsto l’obbligo della formazione forense, ma le
modalità della formazione continua ivi formulate e l’assenza di qualsiasi riferimento alla formazione della specializzazione ha comportato la
ferma critica di tutte le associazioni specialiste.
Il «nuovo» CODICE DEONTOLOGICO del
27 gennaio 2006 ripropone conseguentemente il
LETTERA DELL’AIAF NAZIONALE AL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
L’Associazione degli Avvocati per la Famiglia ed i Minori
visti
- la “relazione sulle modifiche apportate al codice deontologico forense in applicazione del D.L. 4 luglio
2006 n.223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n.248”;
- l’art. 17 bis del codice deontologico forense;
- gli artt. 2, 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” approvato dal C.N.F. il 18 gennaio 2007;
preso atto
- dei chiarimenti forniti dal C.N.F. nella riunione svoltasi presso la sede del medesimo in Roma il giorno 8
marzo 2007;
osserva
1) che il D. L. 4.7.2006 n.223, noto come Decreto Bersani, ed in particolare all’art. 2 del medesimo ha abolito “il divieto, anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo
criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine”.
2) Che nell’adeguamento effettuato dal CNF al codice deontologico alle disposizioni del decreto Bersani in
ordine alla pubblicità informativa, sono regolate dagli artt. 17 e 17 bis del CDF. Nello specifico in ordine alla
pubblicità di titolo e specializzazioni professionali, l’art. 17 bis consente la facoltà di indicare “i diplomi di
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specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari”, escludendo ogni altra possibilità di divulgazione
di titoli “specializzanti”.
Seppur detta limitazione denota il tentativo di porre un argine alla spendita di titoli specialistici di provenienza incerta e sottratta al controllo del C.N.F., essa però mortifica intollerabilmente la capacità formativa
specialistica delle associazioni forensi e nega la fondamentale differenza fra specializzazione universitaria e
specializzazione professionale, oltre a non rispecchiare il contenuto normativo del decreto Bersani.
Il C.N.F. è invero ben consapevole di quale sia la natura e la portata della formazione specialistica posta in essere
dalle associazioni forensi, ed in particolare dall’AIAF con cui il CNF già nel 2003 aveva sottoscritto un protocollo
d’intesa avente ad oggetto proprio la specializzazione forense, la formazione e l’aggiornamento professionale.
La mancata previsione e disciplina di “specializzazioni professionali”, conseguibili tramite l’attività formativa organizzata dalle associazioni forensi, è necessaria e si impone alla luce di queste considerazioni:
1) Adeguamento del regolamento al Decreto Bersani.
2) Garanzia di affidamento dei cittadini che si affidano al patrocinio di un avvocato;
3) Riconoscimento del ruolo e delle istanze delle Associazioni Forensi.
La attuale formulazione dell’art. 17 bis del codice deontologico forense, non solo mortifica la capacità formativa ed il ruolo delle associazioni professionali, ma quel che è ancora più grave compromette quella che è
diventata una necessità non ulteriormente differibile: l’ introduzione di una specifica regolamentazione della
specializzazione forense che da un lato la riconosca e la valorizzi e dall’altro che ponga fine alla vecchia
confusione tra specializzazione universitaria che in alcun modo prepara in via specifica alla professione e
la specializzazione forense. La conseguenza di un mancato intervento in tal senso sarà quello di permettere
il diffondersi senza controllo della “spendita” di competenze ed esperienze fuori da qualsiasi controllo e
dall’altro di vanificare il significato del titolo di “specialista”.
La previsione della facoltà dell’avvocato di indicare “i settori di esercizio della attività professionale e,
nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”, senza che sia stata regolamentata attentamente la specializzazione forense, permetterà l’uso e la divulgazione di qualifiche di specifica esperienza e
competenza, in relazione alle quali non vi sarà nessun controllo e di conseguenza nessuna garanzia né di
formazione e specializzazione. Con la ulteriore e conseguente violazione della ratio del decreto Bersani.
Il Regolamento sulla “Formazione continua” approvato dal C.N.F. il 18 gennaio 2007 non realizza né assicura tale garanzia.
Bisogna sottolineare come quest’ultimo all’art.2 prevedendo la facoltà di “indicazione del settore di attività
prevalente” al solo “adempimento dell’obbligo formativo” non specifica che tale obbligo formativo debba
necessariamente essere osservato - salva la frequentazione di “attività ed eventi formativi aventi ad oggetto
l’ordinamento professionale e la deontologia” - nel settore di attività prevalente, con ciò autorizzando la
spendita di una data esperienza specialistica pur in assenza di formazione specifica.
Gli artt. 3 e 4 affidano genericamente la formazione ad “enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi
pubblici o privati”, senza che sia previsto e regolamentato alcun criterio e presupposto di “accreditamento”.
Tale mancanza è grave proprio perché consente ed in parte favorisce iniziative imprenditoriali che hanno
solo una finalità “speculativa” da parte di quanti trovano nel settore “formazione” soltanto una agevole fonte
di reddito e che già sono in piena mobilitazione.
Mettendo sullo stesso piano le associazioni forensi con “altri enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi pubblici o privati”, le cui iniziative devono ricevere il preventivo accreditamento, il regolamento non
attribuisce alle associazioni il necessario ed autonomo riconoscimento del ruolo storicamente svolto dalle
stesse nella specializzazione, formazione ed aggiornamento forense.
Pertanto L’AIAF rivendicando il proprio ruolo formativo specialistico,
chiede che il Consiglio Nazionale Forense
1. su proposta delle associazioni forensi adotti un regolamento della “specializzazione forense”;
2. integri l’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense, consentendo, conformemente a quanto previsto
dall’art. 2 del c.d. “Decreto Bersani”, la spendita di “titoli specialistici” conseguiti con le modalità previste nel sopra indicato regolamento della “specializzazione forense”;
3. modifichi il Codice Deontologico Forense prevedendo quale illecito disciplinare l’utilizzo del titolo di
“specialista” “specializzato” o simili in assenza del percorso formativo specialistico indicato nel suddetto
regolamento;
4. modifichi il Codice Deontologico Forense ed il regolamento sulla “Formazione continua”, subordinando la facoltà di indicazione di un settore di attività prevalente all’osservanza del regolamento sopra
richiamato;
5. integri gli artt. 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” riconoscendo espressamente ed
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autonomamente la rilevanza, quale fonte di crediti formativi, degli eventi e delle attività formative organizzate dalle associazioni forensi, eventualmente previo loro stabile accreditamento secondo criteri
definiti;
6. indichi e specifichi comunque i criteri cui il C.N.F. ed i Consigli dell’Ordine saranno tenuti ad adeguarsi nel concedere o meno il richiesto accreditamento ad altri enti, istituzioni, organismi pubblici o
privati.
Roma, 13 marzo 2007
LETTERA DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI AL CNF
COMITATO RISTRETTO RIUNITOSI IL 6 LUGLIO 2007 (CUI PARTECIPA ANCHE L’AIAF)
A SEGUITO DELLA RIUNIONE DEL
Al Consiglio Nazionale Forense
Ai Signori Consiglieri del C.N.F.
Oggetto: Regolamento sulla Formazione Continua
Le scriventi associazioni A.G.I., AIAF, U.C.P.I. e U.N.C.A.T., all’esito della riunione svoltasi il 6 luglio u.s. in merito
al Regolamento sulla Formazione Continua ed in vista della sua preannunciata approvazione entro i prossimi giorni,
esprimono grande preoccupazione e forte dissenso ove lo stesso venisse approvato nel testo proposto dal C.N.F..
Anche in considerazione dell’impegno assunto nelle premesse del Regolamento sulla Formazione Continua
e ribadito verbalmente dal Vice Presidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Pierluigi Tirale di porre
mano quanto prima al Regolamento sulla Specializzazione Forense, invitano il C.N.F a voler ripensare la
previsione di “attività prevalente” contenuta nel Codice Deontologico Forense e nel citato Regolamento.
Detta espressione infatti è oggettivamente idonea a determinare sia fra i professionisti sia nei confronti
dei cittadini ambiguità ed equivoci in contrasto con gli obblighi deontologici di trasparenza e verità e
con gli stessi contenuti ed obiettivi della c.d. Legge Bersani, ed è altresì potenzialmente pregiudizievole per la futura regolamentazione della specializzazione forense, cui il C.N.F. si accinge a porre mano.
In ragione di quanto sopra, condiviso peraltro anche da molti di coloro che sono intervenuti nel corso della riunione del 6 luglio u.s., le scriventi associazioni insistono, ancora una volta, nelle seguenti istanze:
1) che Codesto Consiglio, al fine di adeguare il Codice Deontologico Forense ai precetti della c.d. “Legge
Bersani”, laddove essa legittima la spendita delle “specializzazioni”, ed al fine di armonizzare detto Codice
Deontologico al successivo Regolamento sulla Formazione Continua, ove si fa chiaro riferimento, alla “attività specialistica”, voglia modificare il Codice Deontologico Forense nel senso indicato con il documento
già trasmesso dall’U.C.P.I. in data 5.7.2007, al quale hanno aderito le scriventi associazioni, precisando nel
contempo la completa autonomia fra “specializzazione professionale” e “specializzazione universitaria”;
2) che sempre al fine di adeguare il suddetto codice alla c.d. “Legge Bersani”, laddove essa consente la
spendita di “specializzazioni” al fine di garantire al cittadino una scelta consapevole, voglia eliminare dal
testo del Codice Deontologico Forense ogni riferimento alla c.d. “attività prevalente”
3) che comunque fin d’ora, nella nuova stesura del Regolamento sulla Formazione Continua:
a)Voglia definire “l’attività specialistica” di cui in esso si fa menzione nelle premesse, indicando con chiarezza che
con tale espressione si fa riferimento alla attività esercitata in maniera continuativa, duratura e con particolare
competenza in un dato settore del diritto, indipendentemente da un eventuale diploma universitario conseguito;
b)Voglia indicare nel Regolamento sulla Formazione Continua, con altrettanta chiarezza, che il regolamento che il C.N.F. si è impegnato ad adottare in futuro concerne non solo l’”aggiornamento per l’attività
specialistica”, bensì anche i requisiti necessari per il conseguimento del titolo di specialista, le condizioni
per la sua spendita e le sanzioni per l’eventuale abuso del titolo, oltreché ovviamente l’aggiornamento;
c)Voglia eliminare ogni riferimento alla c.d. “attività prevalente”, la quale si presta evidentemente tanto
per il tenore letterale dell’espressione ma a maggior ragione per la disciplina cui è sottoposta a legittimare la
violazione del dovere di verità, oltreché di competenza.
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4) Che, laddove il Consiglio Nazionale Forense ritenga di dover mantenere, nonostante le critiche rivolte da più parti, il sistema “tripartito” introdotto con il Regolamento sulla Formazione Continua (attività generalista, attività prevalente, attività specialistica), voglia quantomeno:
a)puntualizzare con la massima attenzione e precisione i contenuti delle tre diverse attività ed indicare quale diverso tipo di informazione al cittadino esse legittimino, onde non contravvenire all’obbligo di verità;
b)inibire comunque la possibilità di spendita di una pluralità di “attività prevalenti”, limitando tale facoltà ad una sola;
c)ancorare la spendita della “prevalenza” alla espressa e testuale specificazione che si tratta di “attività prevalente” ed all’effettiva prevalenza nell’esercizio in concreto dell’attività professionale, oltreché all’adempimento dell’obbligo di aggiornamento;
5) Che, quanto ai “protocolli” che potranno essere stipulati con le Associazioni forensi maggiormente rappresentative, venga specificato nel Regolamento sulla Formazione Continua che detti protocolli contempleranno anche gli eventi organizzati dalle suddette associazioni o loro articolazioni a livello locale.
6) Che comunque Codesto Consiglio Voglia convocare, fin d’ora, a partire da settembre 2007 una commissione per la stesura del Regolamento sulla Specializzazione Forense, che veda la partecipazione di tutte le
componenti della Avvocatura maggiormente rappresentative ed in particolare di tutte le Associazioni Forensi
specialistiche.
Roma, il 9 luglio 2007
AIAF
Il Presidente, Avv.Marina Marino
UCPI
Il Presidente, Prof.avv.Oreste Dominioni
5. LE NOSTRE PROPOSTE.
A. LA FORMAZIONE CONTINUA, DI BASE E
SPECIALISTICA
In attesa degli sviluppi della riforma della
professione forense in sede legislativa, l’AIAF
ha già avviato al suo interno il lavoro di progettazione dell’attività di formazione, sia continua che specialistica.
L’attività di formazione continua, nella specialistica materia di diritto di famiglia e minorile, sarà proposta e organizzata a livello locale
dalle AIAF regionali.
Per quanto riguarda i contenuti, si terrà presente nella programmazione dei corsi sia l’esigenza
di una formazione di base per chi non si occupa della materia, che quella di aggiornamento
specialistico per chi invece se ne occupa in via
esclusiva o continuativa.
Potranno essere progettati corsi di breve o media
durata, seminari, giornate di studio o convegni.
L’approfondimento riguarderà soprattutto le
novità legislative e giurisprudenziali; il confronto con altri operatori (magistrati, CTU, psi-
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AGI
Il Consigliere Delegato, Avv.Fabio Petracci
UNCAT
Il Segretario Generale, Avv.Michele Di Fiore
cologi, servizi) su particolari temi (la perizia, la
mediazione familiare, la gestione del conflitto);
l’approfondimento di problematiche fiscali e di
competenza di commercialisti, fiscalisti e notai;
lavori di piccolo gruppo per la supervisione di
casi trattati da colleghi, etc.
La metodologia di queste iniziative seguirà la
tipologia dell’incontro, e sarà comunque sempre improntato ad un approccio teorico-pratico
della materia.
Va ricordato che gli iscritti alla nostra Associazione hanno, per statuto, l’obbligo di formazione continua, al fine di mantenere l’iscrizione
all’Associazione stessa e in futuro, si auspica,
anche al fine di mantenere l’iscrizione negli
elenchi delle diverse specialità che dovranno
essere istituiti a livello legislativo.
B. LA FORMAZIONE SPECIALISTICA PER IL
CONSEGUIMENTO DEL TITOLO.
La formazione finalizzata all’acquisizione di
un titolo di specialista non può che avere regole nazionali, che dovranno essere determinate
dalla legge di riforma della professione forense
e dal CNF.
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AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007
Già lo Statuto dell’AIAF prevede la SCUOLA
AIAF DI ALTA FORMAZIONE in diritto di famiglia e minorile, civile e penale, che potrà organizzare un corso di lunga durata (la nostra
proposta è di un corso biennale, per un totale non inferiore a 160 ore, con obbligo di frequenza) su tali materie, con selezione iniziale
ed esame finale da parte di una commissione
composta da avvocati membri dell’Associazione, magistrati e professori universitari., il cui
superamento consentirà di conseguire il titolo
di specialista.
Al conseguimento del titolo, che dovrà consentire l’iscrizione nell’elenco di “specialità” da costituirsi presso l’Ordine degli Avvocati locale,
dovrà far seguito una formazione continua specialistica da verificare annualmente ai fini del
mantenimento nell’elenco di specialità.
Allo stato, in attesa della definizione delle regole da parte del CNF e degli sviluppi legislativi
sulla riforma della professione, ci preme ribadire che tale percorso formativo finalizzato all’acquisizione del titolo di specialista non potrà che
essere diretto e verificato dalle associazioni forensi specialiste, e non da terzi.
* MEMBRO GIUNTA ESECUTIVA AIAF
PRESIDENTE AIAF LOMBARDIA
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STATUTO
DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DENOMINATA:
ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER L A FAMIGLIA E PER I MINORI
AIAF
(con le modifiche approvate dal Congresso Nazionale, Roma 26 maggio 2007)
ARTICOLO 1 - SCOPI
L’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede
in Roma è un’associazione di rappresentanza e di categoria senza fini di lucro che opera sul territorio nazionale, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel
settore del diritto di famiglia e dei minori.
L’Associazione si propone:
a. di promuovere la rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione, con continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori.,
b. di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere il professionista al quale affidare la propria difesa un
criterio fondato sulla capacità tecnica ed di conseguenza si propone di dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati, e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa,
potrà chiedere un riconoscimento in via amministrativa che sancisca la legittimazione socioeconomica
della loro funzione nel mercato dei servizi professionali.
c. di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme
deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di
sanzioni sostanziali disciplinari definitive a carico degli associati.
d. di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto una assicurazione professionale.
e. di provvedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e
penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in possesso dei requisiti,
vorranno raggiungere una specializzazione in materia di diritto di Famiglia e minorile civile e penale,
nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti dandone comunicazione al CNF e agli
Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile
civile e penale attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica
e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una verifica di carattere
oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti
la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione;
f. di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con particolare
riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione familiare e minorile;
g. di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con le altre figure
professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia;
h. di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata
alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario, anche
attraverso corsi di formazione ed aggiornamento;
i. operare affinché i diritti e le prerogative dell’avvocatura siano garantiti conformemente alle norme costituzionali e internazionali;
j. tutelare il rispetto della funzione del difensore e gli interessi professionali dell’avvocatura.
Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale per promuovere
l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre,
direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile
e/o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale.
ARTICOLO 2 - ORGANIZZAZIONE
L’AIAF per il conseguimento dei propri scopi sull’intero territorio nazionale, l’AIAF opera anche tramite
associazioni territoriali denominate “AIAF - Regioni”.
Il Comitato Direttivo Nazionale dell’Associazione riconosce quali associati dell’AIAF Nazionale le Associazioni costituitesi a livello regionale.
Il Comitato Direttivo Nazionale – ove lo ritenga opportuno, ai fini del raggiungimento degli scopi di cui
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all’art. 1 e secondo un equo principio di distribuzione delle Associazioni e del numero dei soci – può autorizzare, a maggioranza dei voti, la costituzione di una Associazione distrettuale denominata “AIAF - Distretto” avente le medesime caratteristiche di autonomia e poteri delle Associazioni Regionali.
Le AIAF distrettuali sono rappresentate al Comitato direttivo Nazionale solo dal Presidente dell’Associazione
Distrettuale. In ogni caso non possono esistere più di due AIAF (del Capoluogo e Distrettuale) nella medesima regione.
Le AIAF “REGIONALI” e “DISTRETTUALI” operano sul territorio delle singole regioni italiane, sono costituite in
conformità ai principi stabiliti dal presente Statuto e dal Regolamento di funzionamento delle Associazioni
Regionali, parte integrante del presente Statuto.
Lo Statuto delle AIAF “REGIONALI” e “DISTRETTUALI” dovrà essere uniformato al modello deliberato dal Comitato
Direttivo Nazionale. Detto modello non è modificabile nelle sue parti essenziali. Gli Statuti locali entrano in
vigore solo dopo l’approvazione definitiva e la ratifica del Comitato Direttivo Nazionale.
Le Associazioni Regionali/Distrettuali non possono avere un numero di soci inferiore a quello stabilito dal
Comitato Direttivo Nazionale. Il Presidente Regionale/Distrettuale è garante della politica dell’AIAF sul suo
territorio, cura e controlla la gestione amministrativa della Sezione Regionale/Distrettuale e ne è il legale
rappresentante.
Le Associazioni Regionali/Distrettuali sono tenute a conformarsi alle linee programmatiche stabilite dal Comitato Direttivo Nazionale. Le cariche delle Associazioni Regionali/Distrettuali hanno la stessa durata di
quelle nazionali, ma devono essere rinnovate almeno 30 giorni prima del rinnovo di quelle nazionali.
Le Associazioni Regionali/Distrettuali possono costituire, con delibera del Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale, sezioni territoriali aventi almeno dieci iscritti, coincidenti con le sedi circoscrizionali di tribunale.
La sezione territoriale ha il compito di programmare e coordinare l’attività culturale e di formazione a livello
locale secondo le indicazioni del Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale, non ha autonomia amministrativa e fiscale, elegge al suo interno un rappresentante per la durata di un triennio ed è tenuto all’osservanza
dello statuto e delle deliberazioni degli organismi nazionali.
ARTICOLO 3 - SOCI
Potranno essere soci dell’AIAF tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori.
Per aderire all’AIAF in qualità di socio, è necessario avanzare domanda al Comitato Direttivo Regionale/
Distrettuale ove costituiti – o al Comitato Direttivo Nazionale laddove non sia costituita l’Associazione
Regionale/Distrettuale – essere iscritto all’albo da almeno quattro anni, garantire il rispetto del regolamento
dell’Associazione allegato al presente statuto, garantire di non avere o avere avuto sanzioni disciplinari sostanziali definitive e di avere in atto e mantenere durante tutto il periodo di iscrizione all’associazione una
assicurazione professionale.
Il Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale o il Comitato Direttivo Nazionale potranno deliberare l’ammissione di soci che, pur non in possesso del requisito dei quattro anni di iscrizione all’albo, abbiano espletato
attività professionale con prevalenza e continuità nel diritto di famiglia e dei minori ed abbiano partecipato
formative quali corsi e seminari che dovranno essere documentati.
I1 Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti – o il Comitato Direttivo Nazionale laddove non
sia costituita l’Associazione Regionale/Distrettuale – ricevuta la domanda, delibera in merito alla sua accettazione o meno entro centoventi giorni dalla sua ricezione. All’accettazione della richiesta di iscrizione, il
socio dovrà versare la quota di iscrizione, nella misura stabilita per l’anno in corso dal Comitato Direttivo
Nazionale.
In caso di mancata accettazione della domanda a socio, il Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove
costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale – laddove non sia costituita l’Associazione Regionale/Distrettuale
– è tenuto ad indicare i motivi della propria decisione.
Il socio che aderisce all’AIAF è iscritto all’Associazione Regionale eventualmente costituita sul territorio di
appartenenza. La decadenza della qualifica di associato comporta la decadenza anche dall’Associazione
Regionale/Distrettuale.
ARTICOLO 4 - PATRIMONIO
Il patrimonio dell’AIAF è costituito dai contributi dei soci, dai beni acquistati con questi contributi nonché da
eventuali legati e donazioni. La gestione del patrimonio è curata dal Legale Rappresentate dell’associazione,
nominato secondo quanto disposto dal successivo articolo 10.
I contributi vengono riscossi dalle Associazioni Regionali/Distrettuali entro il trentuno marzo di ogni anno,
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salve le nuove iscrizioni. Le Associazioni Regionali / Distrettuali dovranno provvedere al versamento della
quota annualmente stabilita dal Comitato Direttivo Nazionale , sul conto corrente dell’AIAF Nazionale entro
i trenta giorni dalla ricezione della quota.
ARTICOLO 5 - BILANCI
L’esercizio finanziario dell’associazione ha inizio il 1° gennaio e termina il 31 dicembre di ciascun anno.
Entro il 28 febbraio di ogni anno il Comitato di Presidenza, su proposta del Legale Rappresentate, deve predisporre il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso da sottoporre all’approvazione
del Comitato Direttivo Nazionale. Il Comitato Direttivo Nazionale deve convocare l’Assemblea Generale dei
Soci per l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, entro 120
giorni dalla chiusura dell’esercizio. Il rendiconto ed il preventivo devono rimanere depositati presso la sede
dell’Associazione, per almeno i 15 giorni precedenti all’assemblea generale dei soci, e devono essere inviati
in copia alle Associazioni Regionali/Distrettuali, almeno 15 giorni prima della data fissata per l’Assemblea.
ARTICOLO 6 - DIRITTI E OBBLIGHI DEI SOCI
I soci dell’AIAF, in regola con la quota di iscrizione, godono dell’elettorato attivo e passivo rispetto a tutte
le cariche; essi sono tenuti al pagamento di un contributo annuale nella misura che verrà determinata dal
Comitato Direttivo Nazionale.
Il versamento del contributo annuale viene eseguito a cura dell’associazione aderente di appartenenza del
socio.
La qualità di associato si perde:
1. per sopravvenuti motivi di incompatibilità;
2. per aver commesso atti in contrasto con le finalità ed il buon nome della associazione;
3. per accertate gravi inadempienze o di sostanziali mutamenti nell’attività dell’associato che rendano
incompatibile o pregiudizievole la sua permanenza nell’associazione;
4. per morosità protratta per oltre un esercizio;
5. per recesso, da comunicarsi per iscritto, almeno tre mesi prima dello scadere dell’anno sociale;
6. per la perdita dei requisiti personali in base ai quali è stata deliberata l’ammissione.
7. per il mancato rispetto del regolamento dell’Associazione;
8. per l’irrogazione di sanzioni disciplinari sostanziali definitive;
9. per non avere in corso l’assicurazione professionale prevista dall’articolo 3 comma 2 del presente statuto;
10. per non aver frequentato quale docente o discente almeno due iniziative di aggiornamento professionale
specialistico promosse dall’associazione nell’anno.
La perdita della qualità di associato è deliberata, previa audizione dell’interessato ed il parere del collegio
dei probiviri, dal Comitato Direttivo Nazionale di propria iniziativa o su richiesta del Comitato Direttivo
dell’Associazione Regionale/Distrettuale di appartenenza del socio.
Il socio escluso non ha diritto alla restituzione delle quote associative versate.
ARTICOLO 7 - ORGANI DELL’ASSOCIAZIONE
Sono organi dell’AIAF:
A. l’Assemblea Generale dei Soci;
B. il Comitato Direttivo Nazionale;
C. il Presidente;
D. la Giunta esecutiva;
E. il Collegio dei Probiviri.
Le elezioni a qualsiasi carica collegiale devono avvenire per iscritto e sempre con voto limitato a due terzi
(arrotondati per eccesso) degli eligendi.
Il componente di qualsiasi organo collegiale che non partecipa, senza giustificato motivo a più di tre riunioni
consecutive del consesso di cui fa parte viene dichiarato decaduto dall’organo di appartenenza che provvede
alla sua sostituzione.
Gli organi collegiali durano in carica per un triennio e le cariche di cui al comma precedente sono rinnovabili anche consecutivamente.
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ARTICOLO 8 - ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI
L’Assemblea Generale dei Soci è costituita da un rappresentante dei soci aventi sede in regioni ove non sia
costituita un’associazione AIAF regionale/distrettuale; detto rappresentante sarà eletto a maggioranza semplice dei soci di detta regione, ovvero dai delegati delle Associazioni Regionali/Distrettuali costituite, in misura
pari a un delegato ogni dieci soci ed in caso di loro impedimento dai delegati supplenti.
Ogni partecipante all’Assemblea Generale dei Soci ha un voto e non può avere deleghe.
L’assemblea delibera, anche per le modifiche dello Statuto, con le maggioranze previste nell’art. 21, comma
1, del codice civile.
L’Assemblea Generale ordinaria è convocata dal Presidente, almeno una volta l’anno per l’approvazione del
rendiconto annuale e del bilancio di previsione.
L’Assemblea Generale straordinaria è convocata d’iniziativa del Presidente o quando ne facciano richiesta
cinque Presidenti Regionali/Distrettuali, per questioni di rilevante interesse associativo.
L’Assemblea Generale, ordinaria e straordinaria, viene convocata dal Presidente con avviso di convocazione spedito al domicilio di tutti i delegati, con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente,
purché ne sia certa l’avvenuta ricezione, almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’adunanza. In caso di
urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a 15 giorni.
L’Assemblea Generale dei Soci è presieduta da uno dei componenti il Presidente e, in caso di impedimento,
dal membro più anziano del Comitato Direttivo.
Il Presidente dell’assemblea di turno nomina il segretario dell’assemblea per la redazione del verbale.
Spetta all’assemblea:
1. fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali;
2. eleggere ogni tre anni i componenti non di diritto del Comitato Direttivo Nazionale indicati dalle Associazioni Regionali, nonché fino ad un massimo di cinque componenti scelti dal congresso;
3. approvare la relazione annuale del Presidente;
4. approvare annualmente il rendiconto di gestione ed il bilancio di previsione;
5. approvare le modifiche dello statuto.
Articolo 9 - Comitato Direttivo Nazionale
Il Comitato Direttivo Nazionale è composto, di diritto, dai Presidenti delle Associazioni Regionali / Distrettuali, da un rappresentante per ciascuna regione e da un rappresentante per regione, compresi quelli
distrettuali, ogni quaranta iscritti, ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a
venticinque.
Il Comitato Direttivo Nazionale elegge al suo interno:
1. il Presidente ;
2. il Direttore Responsabile della rivista;
3. la Giunta Esecutiva;
4. ove ritenuto necessario, un tesoriere.
Il Comitato Direttivo Nazionale:
a. determina la politica associativa e indica le linee programmatiche dell’associazione; a tal fine può nominare al suo interno commissioni di lavoro su singole tematiche; le commissioni saranno coordinate
da un responsabile ciascuna;
b. approva annualmente il rendiconto annuale ed il bilancio di previsione predisposto dal Presidente e lo
sottopone all’approvazione dell’Assemblea Generale dei soci, ai sensi del precedente articolo 3;
c. presenta le eventuali proposte di modifica dello statuto;
d. delibera in ordine alle nuove domande di adesione all’associazione in assenza della Associazione Regionale/Distrettuale;
e. stabilisce annualmente le quote sociali e l’ammontare del contributo che l’Associazione Regionale/Distrettuale deve versare all’Associazione Nazionale;
f. emana e modifica il regolamento interno.
Il Comitato Direttivo Nazionale si riunisce almeno tre volte l’anno per la programmazione, la discussione e
la verifica delle iniziative associative.
La riunione dovrà essere convocata almeno venti giorni prima della relativa seduta con lettera raccomandata,
e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione.
In caso di urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a dieci giorni.
Il Comitato Direttivo Nazionale è presieduto dal Presidente, o, in sua assenza, dal componente più anziano
del Comitato, è validamente costituito con la presenza di almeno due terzi dei suoi componenti, delibera
con il voto della maggioranza dei presenti aventi diritto e può eleggere al suo interno un Segretario per l’organizzazione del lavoro e per la redazione del verbale delle riunioni.
Il verbale verrà inviato, a cura del Segretario, o in sua assenza del Presidente, a tutti i componenti del Comi-
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tato Direttivo Nazionale a mezzo fax o e-mail.
Il Comitato Direttivo Nazionale può adottare, a maggioranza dei due terzi dei votanti, un regolamento per
la disciplina della sua attività, nonché di quella congressuale.
ARTICOLO 10 - IL PRESIDENTE
Il Presidente ha i poteri decisionali ed operativi del Comitato Direttivo Nazionale, salvo quelli riservati per
Statuto al Comitato, coordina il lavoro della giunta esecutiva ed assume le decisioni di ordinaria amministrazione.
Il Presidente è il Legale Rappresentante dell’Associazione, ha i poteri di legge, presiede la Giunta Esecutiva
assicurando l’unità di indirizzo e la collegialità delle scelte, delle quali assume la responsabilità unitamente
alla Giunta Esecutiva nei confronti del Direttivo Nazionale.
Il Presidente predispone la relazione annuale da sottoporre, unitamene al rendiconto dell’anno precedente
ed il preventivo dell’anno in corso, al Comitato Direttivo Nazionale.
Il Presidente predispone il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, da presentare
al Comitato Direttivo Nazionale entro il 28 febbraio di ogni anno.
Il Presidente dura in carica tre anni e può essere rieletto per non più di due volte consecutive.
In caso di dimissioni o impedimento definitivo del presidente le sue funzioni sono assunte dal Componente
anziano del Comitato Direttivo Nazionale.
ARTICOLO 11 - LA GIUNTA ESECUTIVA
La Giunta Esecutiva è composta dal presidente, che la presiede, e da sei componenti eletti dal Comitato
Direttivo Nazionale, secondo criteri di funzionalità, competenza e capacità organizzative.
La Giunta Esecutiva coordina l’attività dell’associazione nazionale e provvede, unitamente al Presidente, a
realizzare e dare vita alle direttive dei programmi decisi dal Congresso e dal Comitato Direttivo Nazionale.
La Giunta Esecutiva si riunisce una volta al mese su convocazione del Presidente e si riunisce altresì a richiesta almeno due dei suoi componenti.
La Giunta Esecutiva dura in carica tre anni e i suoi componenti possono essere rieletti per non più di due
volte consecutive. In caso di dimissioni o impedimento definitivo dei componenti della Giunta, il Comitato
Direttivo provvederà alla loro sostituzione.
I coordinatori delle commissioni, nominate a sensi dell’art. 9, devono inviare i verbali delle riunioni delle
commissioni al Presidente ed alla Giunta Esecutiva e possono chiedere di essere sentiti dalla Giunta Esecutiva in qualsiasi momento.
La Giunta Esecutiva può convocare i coordinatori delle commissioni ad una propria riunione in qualsiasi
momento.
ARTICOLO 12 - INCOMPATIBILITÀ
La carica di Presidente dell’AIAF e la qualità di componente della Giunta esecutiva sono incompatibili con:
a. la carica di Presidente di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati;
b. la carica di componente del Consiglio Nazionale Forense;
c. la carica di dirigente dèll’Organismo Unitario dell’Avvocatura e comunque con la carica di dirigente di
altre associazioni e Organismi Forensi;
ARTICOLO 13 - COLLEGIO DEI PROBIVIRI
Il Collegio dei Probiviri è composto da tre membri eletti, ogni triennio, dall’Assemblea Generale dei Soci
tra gli iscritti alle associazioni aderenti. Il collegio dei probiviri dura in carica un triennio, in quanto i suoi
membri conservino la qualità di iscritti a un’associazione aderente; la perdita di tale qualità comporta la
sostituzione con un supplente, fino allo scadere del triennio.
Il Collegio elegge al suo interno un Presidente e giudica inappellabilmente, senza formalità e secondo equità, su ogni controversia tra soci e Organi Centrali e su quanto attiene all’osservanza del presente Statuto, del
regolamento e del codice deontologico forense.
Deve essere rimessa pregiudizialmente al Collegio dei Probiviri qualsiasi controversia tra soci, tra soci e
associazione, anche in relazione alla interpretazione del presente Statuto.
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ARTICOLO 14 - DURATA
L’Associazione ha durata illimitata e il suo scioglimento può essere deliberato dall’Assemblea la quale provvederà alla nomina di un liquidatore e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio.
La devoluzione del patrimonio associativo in caso di scioglimento per qualunque causa dell’Associazione
avverrà a favore di associazioni con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità.
ARTICOLO 15 - RINVIO
Per tutto quanto non previsto nel presente Statuto si fa riferimento al codice civile e alle disposizioni di legge
in materia.
ARTICOLO 16 - DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Statuto e Regolamento di funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente statuto,
entrano in vigore al momento stesso della loro approvazione da parte degli organi a ciò preposti.
Gli associati e gli organi statutari attualmente in carica dovranno adeguarsi alle nuove normative previste dal
presente Statuto entro il 31.12.2007.
Il Congresso dà mandato alla Commissione Statuto di provvedere alla pubblicazione dello Statuto Nazionale, correggendo, se del caso, gli errori materiali e le incongruenze grammaticali e di coordinamento che
dovesse risultare al termine dei lavori.
Il Congresso dà inoltre mandato alla Giunta Esecutiva di predisporre il testo dello Statuto delle Aiaf Regionali
e Distrettuali che dovrà essere adeguato alle modifiche apportate allo Statuto Nazionale.
Così approvato in Roma, il 26 maggio 2007, dal 5° Congresso dell’Associazione Italiana degli Avvocati per
la Famiglia ed i Minori.
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AIAF
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AIAF - ORGANI STATUTARI
PRESIDENTE
Marina Marino (Roma)
GIUNTA ESECUTIVA
Manuela Cecchi (Firenze)
Remigia D’Agata (Catania)
Luisella Fanni (Cagliari)
Alberto Figone (Genova)
Milena Pini (Milano)
Alessandro Sartori (Verona)
COMITATO DIRETTIVO NAZIONALE
(composto “di diritto, dai Presidenti delle Associazioni Regionali/Distrettuali e da un rappresentante per
ciascuna regione, nonché da un rappresentante per Regione ogni 40 iscritti, compresi i soci del Distretto,
ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a venti”).
ABRUZZO:
Maria Carla Serafini (presidente),
Federica Di Benedetto
CALABRIA:
Stefania Mendicino (presidente),
Barbieri Gianfranco
CAMPANIA:
Rosanna Dama (presidente),
Maria Giuseppina Chef,
Erminia Del Cogliano
EMILIA-ROMAGNA:
Valeria Fabj (presidente),
Daniela Abram,
Lorenza Bond,
Isabella Trebbi Giordani
LAZIO:
Marina Marino (presidente),
Nicoletta Morandi,
Costanza Pomarici,
Giulia Sarnari
LIGURIA:
Alberto Figone (presidente),
Enrico Bet,
Cristina Borile,
Ilaria Felicetti,
Elisabetta Ferrero,
Anna Guaita,
Liana Maggiano
LOMBARDIA:
Milena Pini (presidente),
Franca Alessio,
Maurizio Bandera,
Marisa Bedotti,
Cinzia Calabrese,
Maria Tullia Castelli,
Cinzia Colombo,
Antonella De Peri,
Mirella Quattrone.
MARCHE:
Anna Pelamatti Cagnoni (presidente),
Marina Guzzini
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PIEMONTE:
Antonina Scolaro (presidente),
Antonio Dionisio,
Maria Cristina Ottavis,
Marina Torresini
PUGLIA:
Ada Marseglia (presidente),
Giambattista Mola
SARDEGNA:
Luisella Fanni (presidente),
Vittorio Campus,
Anna Marinucci,
Francesco Pisano
SICILIA:
Remigia D’Agata (presidente),
Antonio Leonardi,
Caterina Mirto,
Corrado Garofalo
TOSCANA:
Manuela Cecchi (presidente),
Alfonsa Brini,
Marina Lupo,
Carla Marcucci,
Gigliola Montano
UMBRIA:
Rita Tiburzi (presidente),
Anita Giuseppina Pia Grossi,
Anna Maria Pacciarini
VENETO:
Alessandro Sartori (presidente),
Roberta Bettiolo,
Paola Cacco,
Lorenza Cracco,
Gabriella De Strobel,
Caterina Evangelisti,
Rita Mondolo,
Damiana Stocco