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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI 2007/2 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI ADOZIONE INTERNAZIONALE WWW.AIAF-AVVOCATI.IT Anno XII-no 2, maggio-settembre 2007 Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95. Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. dell’Artigianato, Viterbo SOMMARIO Editoriale_ 4 L’AIAF: esperienza passata e proposte per il futuro Marina Marino Nuove realtà familiari e politiche per la famiglia_ 8 L’assetto giuridico delle nuove realtà familiari alla luce della legge sull’affido condiviso Maria Grazia Scacchetti 25 Nel nome del padre e della madre: la vexata questio del cognome dei figli Giovanna Fava 30 Realtà dei bisogni delle persone e della famiglia e le politiche per la famiglia del Governo Prodi Milena Pini 37 Documenti della Conferenza Nazionale della Famiglia, Firenze, 24-26 maggio 2007: * Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano * Intervento del Ministro delle Politiche per la Famiglia On. Rosy Bindi * Dichiarazione e comunicato stampa del Ministro On. Bindi sulla ripartizione del fondo nazionale per le politiche della famiglia (27 giugno 2007) * Dettaglio delle sessioni e dei gruppi di lavoro della Conferenza Nazionale della Famiglia * Le relazioni dei rapporteur delle sessioni tematiche della Conferenza Nazionale della Famiglia Affidamento e mantenimento dei figli naturali. Profili processuali_ 67 La competenza sull’affidamento e il mantenimento dei figli naturali dopo l’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 3.4.2007 Maria Grazia Domanico 74 I giudizi relativi ai figli dei genitori non coniugati dinanzi al tribunale per i minorenni, alla luce dell’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 3.4.2007 Anno XII - n° 2 Maggio - Settembre 2007 nuova serie quadrimestrale Adozione internazionale_ 80 Il protocollo sottoscritto tra l’Italia e la Bielorussia in materia di adozione di minori Direttore responsabile Mariarosaria Gerbino Enrico Bet 84 Documenti Il nuovo Regolamento recante “Composizione e compiti della Commissione per le adozioni internazionali di cui all’articolo 38, comma 1 della Legge 4 maggio 1983, n. 184”. Ministro delle politiche per la famiglia. Relazione illustrativa del DPR CAI 6 marzo 2007. AIAF - Congresso Nazionale 2007_ 89 L’attività di formazione specialistica e di aggiornamento professionale dell’AIAF Milena Pini 98 Lo statuto dell’AIAF approvato dal Congresso Nazionale Roma 26 maggio 2007 Milena Pini Redazione Galleria Buenos Aires 1, 20124 Milano tel. e fax 02.29535945 email: [email protected] web: www.aiaf-avvocati.it Stampa Tipografia Quatrini A. & figli snc v. dell’Artigianato snc, Viterbo AIAF AIAF RIVISTA RIVISTA 2007/2 EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE N el 1993, si è costituita la nostra associazione con lo scopo di dare vita ad una vivace attività di tipo culturale connotata da convegni e seminari di approfondimento, e di agevolare gli associati che operavano nel campo del diritto di famiglia e minorile se non in via esclusiva almeno prevalente, creando tra di loro un legame basato sullo scambio delle idee ed informazioni, sul confronto di esperienze e prassi giudiziarie al fine di affinare, ove non acquisire, una conoscenza specialistica ed approfondita della materia di cui si occupavano L’AIAF: ESPERIENZA PASSATA E PROPOSTE PER IL FUTURO MARINA MARINO*_ nella loro vita professionale. Contemporaneamente l’attenzione dell’associazione si appuntava sull’esame delle proposte di legge e sul relativo iter parlamentare. In numerose occasioni infatti l’AIAF è stata sentita sia dalle commissioni giustizia ed infanzia della Camera dei deputati che del Senato, sia dagli uffici di presidenza delle stesse. In questo ambito, frequente e positivo è stato il confronto di idee tra i diversi operatori del settore quali magistrati, psicologi, mediatori familiari e neuropsichiatri. Il congresso del 1998 ha fatto fare un ulteriore passo in avanti all’associazione, laddove si è dato impulso e sviluppo all’impegno in tema di formazione continua e specializzazione dell’avvocato, ed in tal senso si è sviluppato l’originario progetto di fornire ai colleghi uno strumento culturale: in quella occasione infatti l’associazione si è data strumenti ed obiettivi che miravano alla istituzionalizzazione dei compiti di formazione continua e di specializzazione. Dal 1998 al congresso del 2001 l’attività dell’AIAF si è caratterizzata non solo per l’im- 2 pegno nell’organizzazione di corsi, seminari ma anche per l’affinamento delle tecniche dei docenti. Solo così l’associazione è riuscita ad affrontare l’impegno di corsi di lunga durata e di attività che prevedevano confronti stabili con i magistrati e con gli altri operatori del settore. In tutto questo periodo l’AIAF ha continuato a diffondere, sulla scorta della propria esperienza professionale, arricchita dal confronto con gli altri operatori, le proprie idee, rappresentando sia al legislatore che alla magistratura, quali fossero le soluzioni più idonee, ha individuato le linee guida di una serie di interventi legislativi che riteneva utili e necessari ed ha auspicato l’intervento del legislatore sollecitandolo in tal senso a modificare la separazione ed il divorzio anche sotto il profilo dell’unificazione del rito delle stesse, che malauguratamente le leggi 80/05 e 54/06 hanno raccolto solo in minima parte. Da molti anni e tutt’oggi, l’AIAF denuncia con forza la gravissima compressione delle garanzie del diritto di difesa dei cittadini nei procedimenti in materia minorile caratterizzati dal rito camerale ed in particolar modo dalla interpretazione ed applicazione che dello stesso viene fatta dinanzi ai Tribunali per i Minorenni. Dal maggio 2002 vi è stata altresì la rifondazione totale e la riorganizzazione della nostra Rivista che da essere un bollettino informativo che usciva con una periodicità molto approssimativa e con scarsi contenuti è divenuta dal maggio 2002 una rivista con cadenze di pubblicazione rispettate, di qualità assai elevata, ottimo strumento di aggiornamento professionale grazie alle sue rubriche (legislazione italiana, straniera, giurisprudenza) alla quale collaborano autori di primaria importanza, ed a questa si aggiungono annualmente due quaderni, contenenti approfondimenti di diversi aspetti del diritto di famiglia ed un compact che oltre a raccogliere tutte le annate della rivista dal 1999 in avanti è un utile strumento di lavoro per chi si occupa di questa materia. In questi anni l’impegno editoriale dell’associazione si è arricchito dal gennaio 2005 anche dell’apporto di una Newsletter con cadenza quindicinale che viene inviata, su richiesta nel pieno rispetto della normativa sulla privacy, oltre che a tutti i soci anche ad un vastissimo numero di persone, associazioni ed istituzioni. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 Nel Congresso del 2004 abbiamo fatto la scelta dell’autonomia regionale perché ritenevamo che avrebbe potuto consentire non solo lo sviluppo dell’associazione, ma anche la massima incisività della stessa. I fatti ci hanno dato ragione se, grazie al lavoro delle regioni, nel 2004 eravamo 885, nel 2005 siamo diventati 996 e nel 2006 1232 con un trend in crescita indiscutibile. L’associazione è divenuta non solo una presenza effettiva sul territorio nazionale, ma anche una fattiva presenza sia nel rapporto con le istituzioni che nel rapporto con le associazioni forensi. Con questa intensa e capillare attività l’associazione ha sviluppato rapporti di collaborazione con magistrati, docenti universitari ed esperti in discipline psico-sociali, nonché con le altre associazioni forensi e con gli ordini forensi locali. In relazione al rapporto con le Istituzioni va sottolineata l’attività di collaborazione avviata con il CSM nel 2003 proseguita poi nel 2005 con il lavoro che ha dato luogo alla pubblicazione di un volume di grande interesse per tutti quegli avvocati che si occupano di diritto della famiglia e dei minori nel quale si fa il punto delle prassi in questa materia. Da questa collaborazione sono scaturite una serie di iniziative comuni organizzate dagli uffici per la formazione decentrata del CSM e dalle AIAF locali che si sono succedute con grande successo in Lombardia, nel Lazio, in Puglia. Il confronto con le diverse associazioni della magistratura è, dobbiamo dirlo, meno riuscito, ma come è noto l’AIAF è una associazione determinata a cercare occasioni di confronto, e speriamo in futuro di raccogliere maggiori successi, salvo che la risposta continui ad essere negativa, nel qual caso non rimarrà che prendere atto persino dell’impossibilità di confronto tra magistratura ed avvocatura. Il confronto tra l’associazione ed i Ministeri della Famiglia, della Giustizia, avviato con il primo con maggiore consistenza, risente spesso di difficoltà organizzative, che non sono però dell’associazione, come si potrebbe pensare, ma dei Ministeri che ci auguriamo in futuro riescano a comprendere che, se si vuole ottenere un punto di vista complessivo e generale delle diverse problematiche, anziché basarsi solo ed esclusivamente sui suggerimenti che vengono loro dai magistrati, che assai numerosi sono stati chiamati a fare parte degli uffici legislativi, EDITORIALE il Ministro ed i sottosegretari dovranno ascoltare anche il parere dell’avvocatura specializzata in merito anziché considerarla, laddove essa esprima pareri contrari a quelli dei magistrati componenti degli uffici legislativi, un intralcio al manovratore. Noi siamo avvocati che si occupano di famiglia e di minori, ma siamo consapevoli fino in fondo di essere parte importante dell’avvocatura che oggi vive un momento particolare, la sfida che ci si pone davanti è quella di utilizzare e leggere l’esperienza passata alla luce delle esigenze che ci vengono proposte con la necessaria riforma dell’Ordinamento forense da un lato e con la scoperta da parte delle istituzioni della importanza fondamentale della formazione continua e più ancora della specializzazione. A questo riguardo le battaglie fondamentali sono 1. l’adozione, su proposta delle associazioni forensi, di un regolamento della “specializzazione forense”; 2. l’integrazione dell’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense, consentendo, conformemente a quanto previsto dall’art. 2 del c.d. “Decreto Bersani”, la spendita di “titoli specialistici” conseguiti con le modalità previste nel sopra indicato regolamento della “specializzazione forense”; 3. la modificazione del Codice Deontologico Forense prevedendo quale illecito disciplinare l’utilizzo del titolo di “specialista”, “specializzato” o simili in assenza del percorso formativo specialistico indicato nel suddetto regolamento; 4. la modificazione del Codice Deontologico Forense e del regolamento sulla “Formazione continua”, subordinando la facoltà di indicazione di un settore di attività prevalente all’osservanza del regolamento sopra richiamato; 5. l’integrazione degli artt. 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” riconoscendo espressamente ed autonomamente la rilevanza, quale fonte di crediti formativi, degli eventi e delle attività formative organizzate dalle associazioni forensi, previo loro stabile accreditamento secondo criteri definiti; 6. l’indicazione e specificazione dei criteri cui il C.N.F. ed i Consigli dell’Ordine saranno tenuti ad adeguarsi nel concedere o meno il 3 EDITORIALE richiesto accreditamento ad altri enti, istituzioni, organismi pubblici o privati, L’esperienza degli ultimi tempi è sicuramente positiva per quel che attiene la collaborazione con le altre associazioni forensi quali l’Unione delle Camere Penali, L’Associazione Giuslavoristi Italiani, L’Associazione degli avvocati Tributaristi, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura, l’Associazione Nazionale Forense, l’ Unione delle Camere Civili, con alcune delle quali si è avviato - con altre la collaborazione era già in atto - un positivo confronto ed una collaborazione intensa che ha registrato un importante risultato: l’unità dell’associazionismo forense, e tutti siamo consapevoli di quanto difficile sia il raggiungimento di questo traguardo. A mio giudizio è un patrimonio di conoscenza, relazioni, collaborazioni, confronti che ci arricchisce tutti e che non dobbiamo disperdere proprio perché, visto che la nostra professione è chiamata ad affrontare cambiamenti, non vi è dubbio che questa abitudine al confronto, alla collaborazione volti al raggiungimento di una unità di intenti si dimostrerà utilissima anche nel futuro. In tal senso e per raggiungere questo obiettivo stabilmente si dovrà continuare questa attività anche nel futuro sia perché non sono state risolte, anzi meglio neppure affrontate le diverse questioni che vedono interessata l’avvocatura, sia perché è fondamentale non disperdere questo patrimonio che risulterà di particolare aiuto specialmente nelle realtà locali. Un’ opera comune e coordinata delle diverse associazioni non sta infatti a significare né limitazioni, né tantomeno vincoli all’attività di ogni singola associazione nel proprio specifico, ma renderà senza dubbio maggiormente incisiva l’azione di ognuna rispetto ai temi ed alle questioni che concernono i problemi generali dell’Avvocatura. Dobbiamo quindi continuare il lavoro con le altre associazioni così potremo permetterci di porre in cantiere un obiettivo di grande impegno per tutti: la rivalutazione del ruolo dell’avvocato perché sia per noi possibile svolgere quel compito che la nostra carta costituzionale ci riconosce, garantendo al cittadino che deve difendere i propri diritti, la migliore difesa possibile, sia sotto il profilo tecnico, che sotto quello della lealtà e probità. Chi meglio delle associazioni forensi potrà battersi per la riqualificazione dell’avvocato e per la conseguente rivalu- 4 AIAF RIVISTA 2007/2 tazione del suo ruolo come dato essenziale di una giustizia che dobbiamo pretendere rapida e giusta. L’AIAF quindi si sta misurando su obiettivi di grande rilevanza: 1. È divenuta una associazione non più solo culturale ma di rappresentanza di quanti operino se non esclusivamente almeno prevalentemente e con continuità nel diritto di famiglia e minorile, e quindi è presente e fa sentire, assieme alle altre associazioni, la propria voce su tutte le proposte di legge o iniziative che intervengano nei confronti della avvocatura e ciò perché da un lato sia rispettata la funzione dell’avvocato, e dall’altro perché sa garantita al cittadino il diritto non solo ad essere difeso, ma che il cittadino abbia la migliore difesa possibile e la possibilità, qualora lo ritenga, di scegliere un avvocato specializzato nella materia che in quel momento lo riguarda, essendo sicuro che questa specializzazione forense sia effettiva, e la migliore possibile; 2. Svolge una attività di formazione e aggiornamento professionale realizzando corsi di lunga durata, seminari, giornate di approfondimento ed aggiornamento professionale rivolte oltre che ai soci anche ai giovani ed ai colleghi interessati; 3. È presente per esprimere il proprio parere e le proprie valutazioni sulle iniziative parlamentari e non relative a tutte le numerose iniziative legislative in essere. Per fare questo è richiesta alla associazione una presenza ed una attenzione continua, perché solo essendoci realmente nel dibattito sia parlamentare che dei mezzi di comunicazione potrà sperare di riuscire ad evitare che siano ancora varate norme che anziché semplificare la vita dei cittadini garantendo i diritti fondamentali, la complichino come ad esempio è avvenuto con la questione relativa al regolamento di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni che la Cassazione ha temporaneamente e malamente risolto. 4. Ulteriore impegno della associazione che deve vedere impegnati tutti gli associati è quello di fare in modo che l’orientamento giurisprudenziale non sia solo ed esclusivamente frutto di questo o quel magistrato che MAGGIO - SETTEMBRE 2007 a seconda dei casi è maggiormente illuminato o obnubilato, ma deve riappropriarsi di questa ineludibile funzione dell’avvocato: essere colui che determina la formazione di un orientamento giurisprudenziale. Tutti questi obiettivi richiedono - in un momento in cui “le famiglie” sembrano essere divenute la preoccupazione primaria della politica - un impegno di elaborazione scientifica seria ed approfondita: nella nostra associazione possiamo fare conto su persone di livello assai elevato che dovranno impegnarsi a fondo in questa attività, il che sarà una occasione di crescita scientifica EDITORIALE di tutta l’associazione nel suo complesso. Non è certo sufficiente essere iscritti all’associazione per ritenersi di per sé avvocati specializzati: siamo tutti tenuti all’impegno di crescere, confrontarci ed aggiornarci. La nostra associazione dovrà ancor più arricchirsi della capacità, dell’impegno e della partecipazione fattiva degli iscritti, ed in primo luogo di tutti i componenti degli organismi associativi, che dovranno sempre più sentirsi parte di un insieme e vivere l’associazione come propria. * PRESIDENTE AIAF 5 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA EDITORIALE C on l’espressione famiglie ricomposte1 - oggi invalsa nel lessico dottrinale sul tema - vengono indicate le nuove unioni, formate da coniugi o da conviventi, di cui almeno uno proveniente da precedenti esperienze di vita familiare comune e dalla eventuale presenza di figli dell’uno e/o dell’altro coniuge o convivente, sorte successivamente alla morte di uno dei coniugi o conviventi ovvero alla separazione o al divorzio oppure in seguito alla rottura di una convivenza more uxorio. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica in L’ASSETTO GIURIDICO DELLE NUOVE REALTÀ FAMILIARI ALLA LUCE DELLA LEGGE SULL’AFFIDO CONDIVISO MARIA GRAZIA SCACCHETTI*_ Relazione presentata all’incontro di studio organizzato dal C.S.M. sul tema: “L’affidamento condiviso” - Roma, 15-17 gennaio 2007 6 AIAF RIVISTA 2007/2 Italia le famiglie ricostituite nel 2002/2003 ammontavano a circa 1.500.000 e costituivano il 4,8% delle coppie contro il 4,1% della media del 1994/1995. A questi dati è sicuramente da aggiungere un numero oscuro considerevole di famiglie ricostituite di fatto e quindi difficilmente censibile. È pertanto evidente come anche nel nostro paese la famiglia ricostituita sia un fenomeno talmente diffuso, ed in via di ulteriore espansione, che né il legislatore né gli operatori del diritto possono continuare ad ignorarla. Nel nostro ordinamento la famiglia ricomposta è considerata lecita e non contraria all’ordine pubblico (alla stregua delle altre formazioni sociali tutelate dall’art. 2 della Costituzione) ma non è stata né espressamente riconosciuta come istituto di diritto familiare né tantomeno regolata. Al fine di individuare correttamente il complesso di norme e di istituti giuridici applicabili a tali unioni è opportuno fare una prima, fondamentale, distinzione tra famiglie ricomposte legittime (ovvero fondate sul matrimonio) e famiglie ricomposte di fatto (ovvero fondate su una convivenza more uxorio stabile e duratura). I. LA FAMIGLIA RICOMPOSTA LEGITTIMA 1. RAPPORTI TRA I NUOVI CONIUGI I n limine occorre individuare quali siano i rapporti che si instaurano tra i nuovi coniugi (e tra questi e l’ex partner). Ai sensi del nuovo articolo 155 quater c.c., chi si risposa perde ipso iure il diritto di godimento alla casa coniugale se ne era assegnatario2. 1 Il sintagma è mutuato dal linguaggio delle scienze psico-sociologiche come rileva DELL’UTRI in Famiglie ricomposte e genitori di “ fatto”, in Familia 2005, 2, 281 ss., al quale rinvio per una ampia disamina dell’aspetto terminologico. 2 Nell’ art. 155 quater c.c. troviamo, malcelata, una delle reali rationes dell’affidamento condiviso imposto per legge: vale a dire la abolizione dell’assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario. Cancellato il secondo, nell’intenzione dei firmatari delle proposte di modifica, si sarebbe dovuto cancellare ipso iure anche la prima! Da anni i “padri separati” protestavano per la assegnazione della casa coniugale alle madri e, ancor più, per l’assegnazione della stessa alle mogli non affidatarie. Ora hanno individuato le chiavi tecnico-giuridiche per ridurre “signorilmente” questo rischio economico: l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale dei figli alle madri (le quali, ovviamente, anche senza titolo, se non quello di genitore collocatario, saranno quelle che, di fatto, continueranno a provvedere in via esclusiva o comunque prevalente alla cura e custodia quotidiane dei figli) e, di conseguenza, l’assegnabilità della casa in presenza di prole minorenne o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente! L’odierno art. 155 quater c.c. è il pessimo risultato della mediazione tra i desiderata dei padri separati o separandi e le battaglie fatte dal Forum, dall’AIAF, dalle Camere Minorili, etc… per salvaguardare il diritto dei figli alla conservazione dell’habitat domestico. Il vecchio art. 155 c.c., introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, prevedeva, al 4° comma, che «l’abitazione familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli». L’art. 6, 6° comma, della legge 1.12.1970 n. 898, modificato dall’art. 11 della legge 6.3.1987 n. 74, ha sancito che «l’abitazione nella casa MAGGIO - SETTEMBRE 2007 Non si possono non rilevare la contraddittorietà interna e la illegittimità costituzionale della NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA norma in esame, per contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione3. familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età (…).L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.». Quest’ ultima norma ha dunque esteso l’assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con il figlio maggiorenne ed ha ammesso la possibilità della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare e l’opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 1599 c.c. Il nuovo art. 155 quater, 1° comma c.c., dispone che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli». Dal raffronto di tali disposizioni emerge con evidenza che il tenore letterale della normativa riformata potrebbe prestare il fianco ad una interpretazione giurisprudenziale che sostenga: 1) che è sparito il “diritto” o, se vogliamo, la legittima aspettativa del coniuge affidatario, o coaffidatario ma di fatto collocatario, alla assegnazione della casa familiare, e, di conseguenza, è venuto meno anche il diritto dei figli minori e maggiori che continuano a convivere con il genitore a conservare l’habitat domestico; 2) che la conservazione dell’habitat domestico per la prole è stata derubricata da diritto (o legittima aspettativa) a mero interesse, interesse che parrebbe non avere più la valenza giuridica di una situazione meritevole di tutela, ma la mera funzione di uno dei criteri di cui il giudice deve tenere conto nell’attribuzione non più dell’ «abitazione nella casa familiare» [locuzione ricorrente in entrambe le vecchie norme e che inevitabilmente porta il pensiero al diritto di abitazione] ma del mero «godimento» della stessa. A fronte del vivace dibattito esistente in dottrina [cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 2005, il quale ha affermato che la natura del diritto acquistato in virtù dell’assegnazione è di natura reale o personale a seconda del corrispondente diritto già vantato dall’altro coniuge anteriormente all’assegnazione] ed in giurisprudenza sulla natura reale [sostengono la realità del diritto di abitazione: GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1975,167; TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1978, 277; CANTELMO, La situazione del coniuge superstite, in Rass. dir. civ., 1980, I, 52 ss.; AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ., 1980, I, 17; DI NARDO, L’assegnazione della casa familiare: evoluzione legislativa e attuali orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, 358; C.M. BIANCA, Diritto civile, op. cit., 197 s. In giurisprudenza cfr. Trib. Catania 11.7.1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 339 ss. con nota di GIUSTI; Pret. Monza 8.6.1985, in Foro it., 1986, I, 1317 con nota di JANNARELLI], personale [secondo alcuni autori il diritto di abitazione nella casa familiare è assimilabile al comodato: cfr. A. FINOCCHIARO, in A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Divorzio, Milano, 1988, 495. In giurisprudenza, v., Cass. 2.4.1992, n. 4016, in Mass. Giur. It., 1992. Per altri, invece, lo stesso è assimilabile ad un rapporto di locazione: cfr. FRALLACIARDI, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale e nel divorzio: quale diritto per l’assegnatario?, in Studi Capozzi, Milano, 1992, I, 1, 609 ss., ed, in giurisprudenza, Cass. 6.5.1999, n. 4529, in Giust. civ., 1999, I, 2305 ss., in Foro it., 1999, I, 2215 ss., con nota di PIOMBO; in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 103 ss., con nota di E. QUADRI, Trascrizione e opponibilità dell’assegnazione della casa familiare, in. Dir. Fam. pers., 1999, 554, con nota di PADOVINI, Sull’opponibilità ai terzi di assegnazioni non trascritte della casa familiare], o mista [ZATTI, La separazione personale, in Tratt. Rescigno, 1982, 262; TRABUCCHI, L’abitazione della casa coniugale dopo il divorzio, in Giust. civ., 1978, I, 2103; BRECCIA, Il diritto di abitazione, Milano, 1980, 337; COCCIA, La casa familiare: qualificazione giuridica e diritti del coniuge, in Dir. Fam. pers., 1985, 1102; MANTOVANI, La separazione personale tra coniugi - aspetti sostanziali, in Enc. giur., XXVII, Roma, 1992, 27; F. FINOCCHIARO, Il matrimonio, in Comm. Scialoja -Branca, Bologna-Roma, 1993, 415; DOGLIOTTI, La separazione personale tra coniugi ed il divorzio, in Separazione e divorzio, Torino, 1995, 90; JANNARELLI, L’assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi, in Foro it., 1981, I, 1389. In giurisprudenza, è considerato diritto personale di godimento atipico da: Cass. S.U. 26.7.2002, n. 11096, in Foro it., 2003, I, 183; Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603, in Foro it., 2005, 443)] del “diritto di abitazione nella casa coniugale” [sulla natura del diritto di assegnazione della casa familiare v., di recente, SCARANO, Coabitazione e casa familiare, in Giust. civ., suppl. al n. 12, 2005, 51-56 e TULLIO, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, in Fam. pers. succ., 2, 2005, 119-123], la modifica lessicale operata dal legislatore con l’introduzione del meno pregnante termine “godimento” è quanto mai inopportuna ed insidiosa. Ed il dato appare ancor più emblematico se si tiene presente che sia la Corte Costituzionale, con le sentenze nn.166/1998 e 394/2005 - redatte entrambe dal Giudice Fernanda Contri -, e n. 454/1989 (pronuncia, quest’ultima, che ha operato l’estensione alla separazione della trascrivibilità ex art. 1599 c.c.), sia la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 2494/1982, 11297/1995, 11096/2002 (Giudice relatore di quest’ultima Gabriella Luccioli), nell’affrontare il tema della trascrivibilità dell’assegnazione della casa coniugale, hanno fondato le loro pronunce sul “diritto” del minore a mantenere l’habitat domestico in cui ha sempre vissuto, diritto che trova la propria fonte nel principio generale della responsabilità genitoriale di cui all’art. 30 della Costituzione e all’art. 147 c.c. il quale individua, quale primo obbligo genitoriale, quello di mantenimento della prole, il cui contenuto comprende in primis «il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e segnatamente fra queste [...] la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita (Corte Cost. 13.5.1998, n. 166, in Cons. Stato, 1998, II, 736; ed in Giur. cost,. 1998, 1419). Pertanto, se l’ obbligo di mantenimento si traduce anche nell’assicurare ai figli un’idonea dimora, intesa come luogo di formazione della loro personalità, la concreta attuazione dello stesso non può incontrare differenziazioni in ragione della natura del vincolo che lega i genitori » (Corte Cost. 12-21 ottobre 2005 n. 394, in D & G, 40,2005, con nota di DOSI). L’auspicio è pertanto che i Giudici, nell’interpretare l’ambigua formulazione del nuovo art. 155 quater, c.c., tenendo pregiudizialmente conto che il legislatore del 2006 non ha abolito e neppure modificato né l’art. 30 Cost. né gli art. 147 e 261 c.c., e ricordando che ad ogni obbligo corrisponde un diritto, concludano che, in base ai principi generali del nostro ordinamento, la conservazione dell’habitat domestico è ancora un diritto della prole e non un mero criterio di valutazione. L’altro aspetto critico della disposizione in esame è il riferimento all’interesse dei figli tout court: il legislatore cioè non ha precisato se il criterio vale solo per i figli minori o se è esteso anche ai figli maggiorenni conviventi. La lacuna potrebbe dare adito ad interpretazioni restrittive, incoraggiate dalla considerazione che il legislatore del 2006 ha introdotto una macroscopica disparità di trattamento tra i figli minori e i figli maggiorenni per di più regolando il loro mantenimento in modo differenziato ed in articoli separati. 7 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA L’incipit del primo comma proclama che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli». In modo del tutto incoerente la disposizione prosegue prevedendo che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio» senza fare più alcun riferimento all’interesse del minore, interesse che continua certamente ad essere quello di conservare il proprio habitat domestico indipendentemente dalle scelte del genitore biologico con il quale convive ed, anzi, a maggior ragione, nel caso in cui, a seguito di tali scelte, egli debba adattarsi a condividerlo con un “terzo genitore” che certamente non ha scelto e, forse, neppure voluto! Traspare qui, con maggior nitore che altrove, l’intento punitivo dei “mariti separati associati” nei confronti delle mogli “che si rifanno una famiglia”. Il secondo comma, inoltre, prevede che «nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici». Il combinato disposto di questi due commi porta, nella pratica, alle seguenti ricadute: in caso di nuove nozze (o di convivenza), perso ipso iure il diritto di godimento sulla casa familiare 8 AIAF RIVISTA 2007/2 ed avvenuto, di conseguenza, il cambio obbligato di residenza o di domicilio, l’ex coniuge (o l’ex convivente) è ulteriormente penalizzato dal diritto dell’altro genitore biologico di chiedere la riduzione - diritto oggi, a differenza di ieri, espressamente previsto - dell’assegno di mantenimento nonché la modifica delle modalità di affidamento4. È pertanto evidente come con la nuova norma venga penalizzata sensibilmente la posizione del genitore che si risposa o che inizia a convivere e, in prospettiva, si finisca con il sanzionare la composizione di nuove famiglie, in evidente violazione del diritto di libertà costituzionalmente garantito ed in aperto contrasto con l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui dalle istanze della realtà sociale emerge con sempre maggiore vigore “l’esigenza di rinsaldare la formazione di nuove famiglie, già dotate di figli per lo più minori, nati da un precedente matrimonio”5 D’altra parte il Giudice dei Giudici ha sempre dato prova di una sollecitudine nel cogliere i mutamenti del costume sociale e le correlate esigenze di tutela molto più sensibile e solerte di quella del nostro legislatore che, viceversa, pare privilegiare l’imposizione di nuovi modelli familiari ad una collettività che non li ha fatti spontaneamente propri. Emblematica conferma dell’assunto è data da una recente sentenza, la n. 21919 del 12.10.066, 3 La questione di legittimità costituzionale dell’art. 155 quater, c.c., è già stata sollevata dal Tribunale di Firenze con ordinanza 13.12.06. Il Giudice rimettente ha opportunamente rilevato che «…Tale disposto crea… una assoluta disparità di trattamento irragionevole, tra figli di genitori separati/divorziati a seconda che il proprio genitore intraprenda o meno una stabile convivenza con un nuovo partner, in un ordinamento nel quale la legittimità del divorzio (e di conseguenza la legittimità di un secondo matrimonio) risale agli anni settanta. In tal senso si crea contrasto coll’art. 3,II° comma Cost. ovverosia col principio di uguaglianza sostanziale che impone che sia data identica tutela a situazioni identiche: nel caso di specie il figlio di genitore separato o divorziato ha sempre il medesimo interesse al mantenimento della propria abitazione familiare a prescindere dalle vicende successive e dalle scelte di vita del genitore col quale convive… Appare pertanto irragionevole privilegiare il diritto di proprietà del genitore non domiciliatario di prole solo nel caso di nuovo matrimonio o nuova convivenza del genitore domiciliatario… in ulteriore contrasto coll’ art. 29 Cost. che riconosce la libertà di matrimonio, libertà che potrebbe venire compressa da valutazioni relative alla perdita dell’abitazione familiare. Gli abusi che sicuramente sono rinvenibili nella pratica, relativi al mantenimento della assegnazione laddove in concreto non ve ne sia la necessità per le più varie ragioni che possono presentarsi nella pratica, potrebbero trovare adeguata soluzione nella previsione di un potere discrezionale del Giudice della separazione o del divorzio, nel disporre la revoca della assegnazione, e non nella imposizione come ora previsto di una automatica revoca conseguente alla oggettività della convivenza ». 4 Il tentativo di “salvare” la norma (cfr. COTTONE, Via libera all’affido condiviso, in Il sole 24 ore, 25.1.2006) adducendo che il venir meno del diritto di godimento sulla casa non è automatico ma subordinato ad una richiesta in tal senso da parte dell’altro coniuge e ad una valutazione, demandata al giudice, dell’interesse del minore, a che l’assegnatario non abbandoni la casa coniugale, è privo di ogni fondamento testuale: l’articolo infatti prevede “il venir meno del diritto al godimento della casa familiare” non subordinandolo, come invece esplicitamente fa il terzo comma, ad una richiesta giudiziale proposta dall’altro coniuge. 5 Così la pluriedita Cass., 14 gennaio 1999, n. 354, in: Giust. Civ. Mass. 1999, 80; Giust. Civ. 1999, I, 380; Fam. e dir. 1999, 113, con nota di ROSSI CARLEO; Foro it. 1999, I, 1926; Giur. It. 1999, 1803 ss., con nota di MATERA; Studium Juris 1999, 1085 ss., con nota di NERI. 6 In www.affidamentocondiviso.it. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 con la quale la Cassazione ha affrontato la questione della rilevanza da attribuire alla formazione di una nuova famiglia da parte dell’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile, stabilendo “che, allorquando il coniuge divorziato si sia formato una nuova famiglia, nei cui confronti è pur sempre legato da impegni riconosciuti dalla legge, occorre temperare la misura dell’assegno di divorzio a favore dei membri della prima famiglia nei limiti…in cui questo temperamento non si risolva in una situazione deteriore rispetto a quella goduta dai componenti della seconda famiglia”. Come ha rilevato Padalino7, la Suprema Corte, da un lato, ha valorizzato la costituzione di una nuova famiglia quale fondamentale momento di realizzazione della persona umana, dall’altro lato, ha considerato “tale circostanza idonea ad incidere, in modo significativo, sulle risorse economiche a disposizione del coniuge onerato”8. Ne consegue “che… secondo i giudici di legittimità, tra gli oneri economici che possono gravare su uno dei coniugi e che devono essere tenuti in considerazione ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, va incluso anche l’obbligo di mantenimento dei figli naturali avuti da un’altra unione; in tal senso, vedi Cass. 16 maggio 2005, n. 10197, in Foro It., Rep., 2005, voce Separazione dei coniugi, n. 14; nonché Cass. 16 dicembre 2005, n. 27879, ined9.”. Tornando all’assetto normativo è a dire che l’ex coniuge che contrae nuove nozze perde ipso iure il diritto all’assegno divorzile (art. 5 legge NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA 1.12.1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, d’ora in poi citata come l.div.), con conseguente perdita del diritto al 40% del TFR (ex art. 12 bis l.div.), del diritto alla pensione di reversibilità o ad una quota di essa (ex art. 9, 3° comma, l.div.), nonché ad un assegno periodico a carico dell’eredità (ex art. 9 bis l.div.). 2. RAPPORTI TRA I NUOVI CONIUGI ED I FIGLI NATI DA PRECEDENTE UNIONE Il matrimonio tra il genitore biologico ed il nuovo partner determina il sorgere di un vincolo di affinità (ai sensi dell’art. 78, 1° comma, c.c.) tra il nuovo coniuge ed il figlio del primo10. Le conseguenze giuridiche principali di tale legame sono gli impedimenti matrimoniali di cui all’art. 87 n. 4) e n. 5) c.c., e la legittimazione a proporre l’istanza di interdizione e di inabilitazione (art. 417 c.c.), nonché quella per la istituzione di un amministratore di sostegno (art. 406 c.c.). Se dal nuovo matrimonio nascono dei figli, questi, a seconda delle circostanze, diventano fratelli uterini o consanguinei dei figli nati dalla precedente unione. La distinzione non è solo nominalistica11: l’art. 570 c.c. prevede infatti che, in caso di successione legittima tra fratelli (e cioè in assenza di prole, genitori od altri ascendenti), questi succedano in parti uguali ma che ai fratelli ed alle sorelle unilaterali spetti la metà della quota che conseguono i fratelli germani. 7 Nel commento alla sentenza in esame parimenti pubblicato in www.affidamentocondiviso.it. 8 In senso conforme, DE MARZO, Osservazioni (n.d.a.: a Cass. 22.11.2000, n. 15065), in Fam. e dir., 2001, 35. 9 Così PADALINO, op. loc. cit. 10 Qualora a contrarre matrimonio siano i genitori, il figlio naturale diviene automaticamente figlio legittimato (art. 283 c.c.). Affinché ricorra tale forma di legittimazione è necessario che il figlio sia stato riconosciuto da entrambi i genitori, oppure nei confronti di entrambi sia stata dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale, e che i medesimi abbiano contratto matrimonio successivamente alla nascita del figlio. Se sussistono questi due requisiti, la legittimazione avviene come effetto automatico del matrimonio, a prescindere dalla volontà o dall’accordo dei genitori di legittimare il figlio. Quanto agli effetti ed alla decorrenza della legittimazione, l’art. 283 c.c. dispone che i figli legittimati per susseguente matrimonio, acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se il figlio naturale era già stato riconosciuto da entrambi i genitori prima del matrimonio, o all’atto del matrimonio, oppure dal giorno del riconoscimento, se questo è avvenuto dopo il matrimonio. Tuttavia il minore si troverà sempre esposto alla possibilità di una eventuale azione di disconoscimento di paternità da parte del genitore biologico. 11 Va comunque sottolineato che la disuguaglianza nominalistica non è di minore importanza. In altri paesi della Comunità Europea, presso i quali vi era la medesima distinzione definitoria tra figli legittimi e non, la questione è già stata superata. La Germania, con la legge del 25 settembre 1997, ha provveduto a riscrivere il IV libro del BGB disegnando un nuovo diritto di filiazione che disciplina unitariamente lo status di figlio indipendentemente dalla nascita dello stesso fuori o nel matrimonio. La Francia, con la legge n. 305 del 4 marzo 2002, ha eliminato la distinzione anche terminologica tra figli legittimi e non sostituendo all’art. 9 l’espressione “filiazione legittima” con quella di “filiazione legalmente stabilita”, e disponendo che “tutti i bambini la cui filiazione è stata legalmente stabilita hanno i medesimi diritti e doveri nei rapporti con i genitori”. Sul punto v. MARINO, Per una disciplina unitaria del rapporto di filiazione, in La filiazione verso un unico status, Quaderno AIAF 2/2006, 28. 9 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA È pertanto indiscutibile che il vincolo di affinità non rappresenti affatto una adeguata forma di riconoscimento legale né del legame di fatto che sorge tra il figlio di prime nozze ed il genitore sociale acquisito tramite le seconde nozze del genitore biologico, né di quello che si instaura tra il primo ed i di lui fratelli nati nella famiglia ricostituita in cui egli stesso è inserito. 3. ADOZIONE Il codice civile, mette conto ricordare, contempla e disciplina, all’art. 252 c.c., l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima del genitore che l’ha riconosciuto. Come emerge dal testo12, la norma in questione si limita però a regolare i presupposti dell’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima ricostituita ma nulla dice né sul rapporto “di fatto” che si viene così ad instaurare tra il figlio acquisito e l’adulto “terzo genitore” né sull’eventuale acquisizione, da parte di quest’ultimo13, di poteri connessi con la potestà parentale. L’istituto dell’adozione rappresenta pertanto, attualmente, il solo strumento idoneo a legalizzare la relazione affettiva e la comunanza di vita tra il figlio di un coniuge ed il genitore acquisito. AIAF RIVISTA 2007/2 Il nostro ordinamento prevede infatti a favore del genitore acquisito tramite matrimonio la possibilità di procedere all’adozione sia del figlio minore sia del figlio maggiorenne dell’altro coniuge14. Quali sono gli effetti di questo tipo di adozione? Prendiamo le mosse dalla rassegna dei tratti comuni tra l’adozione del minore in casi particolari e l’adozione di maggiorenne. Secondo il combinato disposto degli articoli 300 c.c. e 55 l. 184/1983 (“Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, riformata dalla l. 149/2001 emblematicamente titolata “Diritto del minore ad una famiglia”, d’ora in poi citata come l. ad.), l’adottato non acquista lo status di figlio legittimo dell’adottante, sia che l’adottato sia minorenne sia che sia maggiorenne, e l’adozione non induce alcun rapporto di parentela tra l’adottante e la famiglia dell’adottato né tra l’adottato ed i parenti dell’adottante (salve le eccezioni previste per gli impedimenti matrimoniali). All’adottato spettano tutti i diritti propri del rapporto di filiazione e, quindi, innanzitutto, il diritto al mantenimento nonché all’educazione e all’istruzione sanciti dall’art. 147 c.c. ed espressamente richiamati dall’art. 48, 2° comma, l. ad. Inoltre, con l’adozione non cessano i rapporti 12 L’art. 252 c.c. prevede che “qualora il figlio naturale di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all’affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale. L’eventuale inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice [ 38 att.] qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge e dei figli legittimi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi [ 30 comma 3 Cost.], nonché dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento [ 317 bis]. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l’altro genitore. Qualora il figlio naturale sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia legittima è subordinato al consenso dell’altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all’atto del matrimonio o l’altro coniuge conoscesse l’esistenza del figlio naturale. È altresì richiesto il consenso dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento [317 bis comma 2]”. 13 Sul tema v., funditus, DELL’UTRI, Famiglie ricomposte, cit., 286 ss. 14 Ad esclusione dei figli naturali non riconosciuti di uno dei coniugi. Vige, infatti, il divieto di cui all’art. 293 c.c., richiamato dall’art. 55 l. 184/1983 per l’ adozione di minore, secondo cui «i figli nati fuori dal matrimonio non possono essere adottati dai loro genitori». Anche se «tale limitazione, peraltro non contemplata dalla norma, non tiene conto dell’effettivo interesse del minore di crescere nel proprio ambiente familiare, interesse che può restare attuale anche in assenza di un pregresso riconoscimento» così ZINI, in ALPA-ZATTI, Dell’adozione in casi particolari, articoli 4450, in Commentario breve al codice civile. Leggi complementari, I, Torino 1999,146. Non sarebbe possibile ricorrere all’istituto dell’adozione nemmeno per i figli incestuosi dei quali l’art. 253 c.c. vieta il riconoscimento, creando così un’ingiustificata discriminazione in contrasto con la finalità di tutela del minore proclamata dall’art. 1 della legge 184/1983. Alcuni autori (ROSSI CARLEO, L’affidamento e le adozioni, in Trattato Rescigno, IV, Persone e famiglia, III, Torino 1997, 462; TOMMASINI, Adozione in casi particolari e tutela dei minori, in Scritti in onore di Falzea, II, 2, Milano 1991, 488; BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia e le successioni, Milano 2005, 399) hanno ritenuto «sufficiente, in presenza del divieto di riconoscimento, che la qualità di figlio venga accertata attraverso l’effettiva realizzazione del diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito ed educato a prescindere dall’ulteriore problema della spettanza al genitore naturale del diritto alla potestà»; contra DOGLIOTTI, L’adozione in casi particolari, in Codice dei minori, a cura di DOGLIOTTI, FIGONE, MAZZA, GALANTI, Torino 1999, 354. 10 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 dell’adottato con la famiglia d’origine, e quindi tantomeno quelli con il genitore biologico. Quanto ai diritti successori, l’art. 55 l. ad. rinvia all’art. 304 c.c. il quale esclude ogni reciprocità sul piano successorio tra adottante e adottato ed attribuisce soltanto all’adottato la qualità di erede dell’adottante con specifico riguardo, tra l’altro, alla successione necessaria ed a quella legittima. Tali diritti successori si sommano a quelli che l’adottato continua a mantenere nei confronti dei propri parenti biologici15. Quanto alla rappresentazione, la dottrina prevalente esclude che, in caso di adozioni non legittimanti - quali sono, appunto, l’adozione di maggiori di età e quella di minori in casi particolari - sorga un diritto di rappresentazione in capo all’adottato non nascendo alcun rapporto di parentela tra questi ed i parenti in linea retta collaterale dell’adottante16. Questi i tratti in comune tra l’adozione di minore e quella del maggiorenne. Passiamo ad esaminare le differenze tra i due istituti. 3A. L’ADOZIONE PARTICOLARE DEL FIGLIO MINORE EX ART. 44, PRIMO COMMA, LETT. B) L. AD. L’adozione particolare del figlio minore del proprio coniuge [art. 44, 1° comma, lett. b) l. ad.], a differenza di quella del maggiore di età (art. 291 ss. c.c.)17, è consentita anche in presenza di figli legittimi dell’adottante. I presupposti per procedere a questa forma di adozione sono la minore età del figlio ed il matrimonio del genitore, anche adottivo, con l’adottante; prevale l’interpretazione restrittiva secondo la quale l’adozione è consentita solo al coniuge del genitore affidatario convivente con il figlio poiché la convivenza confermerebbe l’esistenza di un valido rapporto affettivo tra l’adottando e l’adottante18. E qui si apre tutta una serie di problemi esegetici indotti dalla novella. Se sino al gennaio 2006 non c’erano molti dubbi circa l’individuazione, all’interno della coppia NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA genitoriale, del “genitore affidatario convivente”, oggi questi termini non hanno più un contenuto univocamente interpretabile. Dopo l’entrata in vigore della l. n. 54/2006, infatti, possono configurarsi diverse declinazioni di “genitore affidatario”: 1. genitore affidatario con esercizio congiunto della potestà su tutte le questioni relative al minore, sia di straordinaria sia di ordinaria amministrazione; 2. genitore affidatario con esercizio della potestà congiunto sulle questioni di straordinaria amministrazione e disgiunto su quelle di ordinaria; 3. genitore affidatario con esercizio della potestà esclusivo per singole sfere di competenza concordate dalle parti o indicate dal Giudice; 4. genitore affidatario con esercizio della potestà esclusivo su tutte le questioni, sia di straordinaria sia di ordinaria amministrazione. Parimenti priva di attualità e di certezza è la locuzione “genitore convivente”, emblematicamente pretermessa dal legislatore del 2006 che, per contro, ha introdotto il concetto di “tempi di permanenza”. Pare pertanto più rispondente al riformato contesto normativo parlare non più di genitore convivente ma di genitore collocatario, precisando che, anche sotto questo profilo, occorrerà chiarire se si tratti di collocamento esclusivo, prevalente o paritemporale. Altro presupposto imprescindibile è rappresentato dal consenso dell’adottante e dell’adottando che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età ai sensi dell’art. 45, 1° comma, l.ad., il quale stabilisce che l’adottando «se dodicenne deve essere personalmente sentito, se di età inferiore deve essere sentito in considerazione della sua capacità di discernimento, se infraquattordicenne l’adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante». Ne consegue che, in caso di minore in affido condiviso, deve essere sentito anche l’altro geni- 15 DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, in Trattato CICU-MESSINEO, VI, 3, Milano 1990, 326. 16 Sull’argomento vedi amplius TERENGHI, Rappresentazione e adozione,in Famiglia, Persone e Successioni, 3, 2006, 241 ss. 17 Pur con i temperamenti apportati dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione che saranno illustrati infra nel testo. 18 Cfr. COLLURA L’adozione in casi particolari, in Tratt. Zatti,II, Filiazione, Milano 2002,754. 11 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA tore biologico. Ma il ruolo di quest’ultimo non si esaurisce qui. Ai fini dell’adozione in casi particolari è richiesto infatti, quale presupposto necessario, anche l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando qualora l’adottando, se pure minore, sia già sposato (art. 46, 1° comma, l. ad.). Il diniego dell’assenso da parte dei genitori esercenti la potestà, o del coniuge convivente con l’adottando, preclude l’adozione. Quid iuris nel caso di diniego del genitore non affidatario? Sino ad ora la dottrina maggioritaria aveva ritenuto che, nel caso di affidamento esclusivo, il dissenso del genitore non affidatario, e quindi non esercente la potestà, quantunque non col- AIAF RIVISTA 2007/2 pito da provvedimento di decadenza dalla stessa, non avesse valore ostativo19, in quanto, in base al combinato disposto del vecchio art. 155, 3°comma c.c.20, dell’art. 317 bis c.c.21 e dell’art. 46, 2°comma, l. ad., tale dissenso poteva essere superato dall’autorizzazione giudiziale quando l’adozione risultava essere rispondente agli interessi del minore22. L’odierno legislatore, però, non ha chiarito il rapporto tra affidamento ed esercizio della potestà23, né ha regolato il contenuto dell’affido esclusivo24, istituto che pure non ha abolito. E l’omissione è ancora più grave se si pensa che, in tutto il complesso delle norme non riformate ma relative a questi temi, continuano a ricorrere lemmi la cui accezione oggi non è più certa. 19 Cfr. ex pluribus ROSSI CARLEO, Adozione dei minori, in Enc.dir., Aggiornamento, I, Milano 1997, 4 ss. secondo l’autrice infatti «il minore di cui alla lett. b) ha un solo genitore esercente la potestà ed è quello il cui coniuge, nel pieno rispetto dell’accordo di uno dei momenti più rilevanti della vita famigliare, chiede l’adozione». 20 Laddove precisava che « Il coniuge cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà su di essi». 21 Il quale, in tema di filiazione naturale, prevedeva che «se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive».Allo stato non è dato capire se l’art. 317 bis c.c. sia da considerarsi tacitamente abrogato dall’art. 4, 2° comma, della legge 8.2.2006, n. 54. 22 V. Cass. 26.11.1992 n. 11604, in Giur.it., 1993, I, 1, 2150, che così motiva:«solo la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono rilevante il dissenso». 23 DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e divorzio, 9, Relazione presentata al Convegno ANM di Roma del 29 maggio 2006, ritiene che l’esercizio della potestà sia sempre attribuito ad entrambi i genitori, anche nel caso in cui l’affidamento dei figli sia disposto ad uno solo di essi. Più difficile è ricondurre a sintesi l’articolata disamina delle possibili soluzioni esegetiche elaborata da SESTA, Le nuove norme sull’affido condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. e Dir., 4/2006, 377 ss. e in part. 382 ss. L’Autore, infatti, ben rispecchiando la difficoltà per l’odierno operatore del diritto di interpretare le nuove norme utilizzando termini il cui contenuto è divenuto labile - quali, ad es., potestà, esercizio della potestà ed affidamento - mentre utilizza le key words “affidamento” ed “esercizio della potestà” per definire l’istituto dell’affidamento condiviso, con riferimento all’affidamento ad uno solo dei genitori utilizza il diverso parametro lessicale della “titolarità della potestà”, precisando che il contenuto di quest’ultima deve essere determinato dal Giudice, “in base ai criteri enunciati in passato dall’abrogato art. 155, comma 3, c.c.”. L’Autore tenta anche di colmare la omissione del legislatore rispetto alla distinzione tra l’ “affidamento condiviso” ed il preesistente “affidamento congiunto”; mentre il primo sarebbe da intendersi come “ripartito” tra i genitori, il secondo vedrebbe questi ultimi esercitare il loro ruolo assieme, “a mani unite”. L’immagine è suggestiva, ma forse troppo vaga per inquadrare, sul piano concreto, la differenza tra i due istituti, ed ancor più, il contenuto e la realizzabilità dell’affido condiviso. Sulla effettiva realizzabilità dell’affidamento condiviso concordo pienamente con le perplessità avanzate da GRAZIOSI, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul c.d. Affidamento condiviso dei figli, 1-3 ss., in www.judicium. it ed in corso di pubblicazione in Dir.Fam e Pers., n. 4/2006. Tornando alla relazione tra affidamento ed esercizio della potestà, nessuna delle due soluzioni sopra prospettate mi pare condivincente. Il legislatore del 1975 ha introdotto una differenza di regime tra “le decisioni di maggiore interesse per i figli” e le altre decisioni; tale diversità di regime è stata ribadita dal legislatore del 2006, il quale, per di più, da un lato ha espressamente previsto la possibilità di limitare l’esercizio congiunto della potestà alle decisioni di straordinaria amministrazione e, dall’altro, ha mantenuto l’istituto dell’affidamento monogenitoriale senza definirne il contenuto. Reputo pertanto che, a fronte di un assetto normativo che prevede così tante variabili e che è viziato da simili lacune, non sia più possibile rispondere al quesito con una soluzione semplicistica, in termini di mera coincidenza o non coincidenza tra la titolarità e l’esercizio della potestà genitoriale, e che, viceversa, d’ora in poi, i giudici, gli avvocati e la dottrina dovranno precisare, di volta in volta, lo status del genitore cui fanno riferimento specificando la sua condizione rispetto alla residenza anagrafica del minore, alla titolarità della potestà ed all’esercizio di quest’ ultima, alla responsabilità genitoriale, ed ai tempi di presenza del minore presso di lui. 24 Su questo punto aderisco alla soluzione di SESTA, op. cit., 379 ss., secondo il quale la lacuna del legislatore deve essere colmata ridando vigore, in via interpretativa, allo statuto previsto dal previgente art. 155 c.c., comma 3, c.c. Di diverso avviso è DOSI, op. ult. cit., 15: partendo dall’assunto che la riforma non avrebbe introdotto alcuna correlazione tra affidamento esclusivo ed esercizio della potestà, l’Autore opina che, anche in caso di affidamento esclusivo dei figli ad un solo genitore, l’altro continuerà ad esercitare la potestà pienamente, salve le limitazioni che il giudice o le parti dovessero indicare. 12 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 A fronte di tali vuoti normativi è senz’altro opportuno ed auspicabile che, d’ora in poi, i provvedimenti giudiziali resi nei processi di famiglia, precisino: a) a chi è affidato il figlio (se ad entrambi i genitori o ad uno solo); b) a chi, e per quali questioni, è attribuito l’esercizio della potestà genitoriale; c) a chi, e per quali questioni, è attribuita la responsabilità genitoriale; d) la residenza anagrafica del minore25; e) il collocamento (esclusivo, prevalente, o paritemporale) del minore presso ciascun genitore. In assenza di tali dati le soluzioni potrebbero essere diverse a seconda dell’interpretazione che si dà al nuovo istituto dell’affido condiviso Se si ritiene che, pure in caso di affido esclusivo ad uno dei due genitori, la potestà genitoriale debba continuare ad essere esercitata da entrambi per le questioni di maggiore importanza quale, appunto, è quella in esame, allora si deve concludere che anche il dissenso del genitore biologico non affidatario, non decaduto, precluda l’adozione. Se a ciò si aggiunge che l’affido condiviso parrebbe comportare sempre l’esercizio congiunto della potestà, quanto meno sulle questioni straordinarie, risulta evidente come la “legalizzazione” del rapporto di fatto costituitosi nella famiglia ricomposta tra il minore nato da una pre- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA cedente unione ed il cosiddetto terzo genitore sia da considerarsi oggi subordinata all’assenso dell’altro genitore biologico nella quasi totalità dei casi stante il carattere “eccezionale” conferito dal legislatore del 2006 all’affido esclusivo. Ed anche sotto questo profilo la novella finisce con l’ostacolare l’esigenza, sempre più sparsa, del riconoscimento delle nuove realtà familiari. 3B. L’ADOZIONE DI MAGGIORE DI ETÀ Per l’adozione di maggiore di età l’art. 291 c.c. recita «l’adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati», rispecchiando la risalente funzione della adozione, configuratasi sin dall’età tardo-classica romana come rimedio alla sterilità e come strumento di trasmissione del nome e del patrimonio26. La Corte Costituzionale, più volte investita della questione di legittimità della norma, ha sancito che l’adozione è consentita anche in presenza di figli legittimi o legittimati maggiorenni dell’adottante, purché consenzienti27 - anche se con lui non conviventi28- ed anche in presenza di figli naturali riconosciuti dell’adottante «minorenni o se maggiorenni non consenzienti»29. Anche la Corte Suprema è intervenuta a più riprese sul tema, ogni volta ammettendo l’adozione in casi nei quali la stessa sarebbe stata impedita da una rigida applicazione del tenore letterale dell’art. 291 c.c., e motivando la propria interpretazione estensiva con la necessità di ri- 25 La residenza anagrafica ha infatti significative ricadute pratiche con riferimento, ad esempio, alla scelta dell’istituto scolastico, del medico base etc.., nonché alla titolarità del diritto agli assegni familiari. 26 Sull’evolversi della funzione dell’adoptio nel diritto romano v., amplius, DALLA-LAMBERTINI, Istituzioni di diritto romano³, Torino 2006, 117 ss. 27 Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 557, in Vita not., 1988, 639. 28 La dottrina è infatti unanime nel ritenere che l’assenso della prole legittima maggiorenne sia vincolante sempre e senza eccezioni. A differenza di quanto è previsto per l’assenso dato dal coniuge - che, ai sensi dell’art. 297 c.c., può essere più o meno decisivo a seconda della effettiva convivenza -, quello dei figli legittimi si risolve infatti sempre in un potere di veto non essendo questo condizionato dalla esistenza della convivenza ma connesso alla pura e semplice qualità di discendente (legittimo o legittimato) maggiorenne. Ne consegue che il rifiuto di assenso opposto dalla prole legittima costituisce un ostacolo assolutamente impeditivo della pronuncia di adozione, ostacolo che non può in alcun modo essere superato dal Tribunale ex art. 297, 2° comma, c.c., con un giudizio vertente sulla giustificazione del rifiuto o sulla sua conformità all’interesse dell’adottando (in tal senso DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, cit., 361; DOGLIOTTI, L’adozione di maggiorenni, in Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE, vol. IV, tomo 3, Il diritto di Famiglia, Torino, 1999, p. 442; PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Dell’adozione di persone maggiori di età, in Commentario del codice civile SCIALOJA-BRANCA, BolognaRoma 1995,479; GIUSTI, L’adozione di persone maggiori d’età,in Tratt. Bonilini-Cattaneo, III, Torino 1997, 478 s.; COLLURA, L’adozione dei maggiorenni cit., 886). 29 Corte Cost. 20 luglio 2004, n. 245 (in Foro it. 2005, I, 664;in Dir. famiglia 2005, 9 con nota di BALLARANI; in Familia 2005, 557 con nota di RENDA), sentenza che tuttavia, per allargare il campo di applicabilità dell’istituto, ha introdotto una nuova disparità di trattamento tra figli naturali riconosciuti e figli legittimi o legittimati. 13 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA conoscere e tutelare rapporti affettivi consolidatisi nell’ambito di famiglie ricomposte. Con la sopra citata sentenza n. 354/99 la Corte di Cassazione ha ritenuto che il giudice, previo attento esame della circostanza del caso concreto [consistente nel fatto che l’adottando maggiorenne era orfano dell’altro genitore, aveva un fratello germano minorenne, adottabile ai sensi dell’art. 44, 1° comma, lett.b), l. ad., ed era stabilmente inserito, insieme a tale fratello, e ad altri due fratelli consanguinei minori, nella famiglia costituita dal padre e dall’adottante] può accordare una ragionevole riduzione della differenza minima di età di 18 anni tra adottante e adottando, sempre che tale divario rientri nell’ambito dell’imitatio naturae, in tal modo riconoscendo ammissibile l’adozione, pur in presenza di una differenza di età tra adottante ed adottando inferiore a quella stabilita dall’articolo 291 c.c. Nella medesima pronuncia la Corte ha altresì giudicato non ostativa la contestuale presenza di figli legittimi minorenni dell’adottante, osservando che questi ultimi «beneficeranno dei riflessi morali, sociali ed affettivi dell’intervenuto vincolo personale tra la loro madre e gli altri figli dello stesso padre in quanto i rapporti derivanti dall’adozione sono da porsi ad ogni effetto sullo stesso piano delle relazioni della famiglia biologica ove hanno importanza prominente solo i vincoli personali e affettivi». Tale principio è stato anche recentemente ribadito dalla Corte di legittimità con la sentenza 3 febbraio 2006, n. 2426, con la quale ha statuito che la presenza di figli minori (legittimi, legittimati o naturali) dell’adottante, come tali incapaci di esprimere un valido consenso, non costituisce un impedimento alla richiesta di adozione qualora questa riguardi un soggetto maggiorenne, figlio del coniuge dell’adottante e che già appartenga, insieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli minorenni ex uno latere, al contesto affettivo della famiglia di accoglienza AIAF RIVISTA 2007/2 dell’adottante30. Quello che qui interessa è soprattutto la motivazione della pronuncia che appalesa come, in aggiunta alla tradizionale funzione svolta dall’adozione di persone maggiori di età, questa assolve oggi anche alla ratio del consolidamento dell’unità familiare attraverso la formalizzazione di un rapporto di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto. In definitiva la Cassazione, con queste sentenze, ha riconosciuto il valore della famiglia ricostituita, ed ha dato veste giuridica ad una unità familiare già realizzatasi in fatto. Non solo: a ben vedere la Suprema Corte ha anche introdotto, di fatto, un nuovo tipo di adozione: l’adozione di maggiorenne nel caso particolare di famiglia legittima ricostituita31. Come per l’adozione del minore, anche per quella del maggiore di età è richiesto, oltre al consenso di adottante ed adottato, anche l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando (art. 296 c.c.). Le conseguenze del diniego dell’assenso dei genitori dell’adottando non sono però ostative dell’adozione: l’art. 297, 2° comma, c.c. infatti prevede che il Tribunale possa pronunciare ugualmente l’adozione ove ritenga il loro rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando: e la differenza (a ben vedere soltanto apparente) di disciplina sul punto rispetto a quanto previsto per l’ipotesi di adozione speciale di minore, non è che la logica conseguenza del fatto che, in questo caso, stante la maggiore età dell’adottando, non ci sono genitori esercenti la potestà32. 3C. LA POTESTÀ SUL MINORE ADOTTATO In caso di adozione di minore regolata dall’art. 44,1° comma, lett. b) l. ad., la mancanza di una disciplina specifica della famiglia ricomposta pone delicati problemi riguardo ai ruoli spettanti, rispettivamente, ai genitori genetici ed al 30 Fermo restando il potere-dovere del giudice di merito di procedere all’audizione personale dei figli minorenni e del loro curatore speciale ai fini della formulazione del complessivo giudizio di convenienza dell’adozione nell’interesse dell’adottando ai sensi dell’art. 312, primo comma, n. 2, c.c. 31 Testualmente nella succitata sentenza n. 2426/06 si legge: «l’adottanda maggiorenne è non solo figlia del coniuge dell’adottante ma parte integrante del nucleo familiare (…) ove è stata inserita, sin da quando l’adottante e la di lei madre si sono uniti in matrimonio. In un caso siffatto l’adozione ordinaria viene chiamata a svolgere quella stessa funzione espressamente prevista (…) dall’art. 44,comma1,lettera b della legge 184/1983». 32 Dopo la l. n. 184 del 1983, l’inciso di cui al 2° comma dell’art. 297 c.c. (“salvo che si tratti dell’assenso dei genitori esercenti la potestà”), deve ritenersi tacitamente abrogato (GIUSTI, op.cit., 489; COLLURA, L’adozione dei maggiorenni, cit., 886). 14 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 nuovo coniuge con riferimento alla potestà ed all’esercizio della stessa. L’art. 48 l. ad. dispone che «se il minore è adottato (…) dal coniuge di uno dei genitori, la potestà sull’adottato ed il relativo esercizio spettano ad entrambi», senza precisare se l’altro genitore genetico debba considerarsi decaduto dalla potestà, o se ne perda soltanto l’esercizio, oppure se lo mantenga immutato, o, infine, se e quali limitazioni ne subisca. Non mi pare condivisibile la tesi interpretativa secondo cui l’adozione comporta la decadenza dalla potestà, posto che l’art. 330 c.c. prevede che essa possa pronunziarsi solo quando il genitore viola o trascura i doveri che la caratterizzano o abusa dei relativi poteri, con grave pregiudizio del minore. Secondo alcuni autori l’adozione disciplinata dall’art. 44,1°comma, lett. b) l. ad., comporta soltanto la perdita dell’esercizio della potestà, come si ricaverebbe dall’art. 50 l. ad., che contempla la possibilità, in caso di cessazione dell’esercizio della potestà da parte dell’adottante, che il Tribunale per i minorenni disponga che detto esercizio venga ripreso dai genitori biologici33. Aderendo a questa tesi si potrebbe ritenere che, nell’ipotesi di cui all’art. 44, 1°comma, lett. b), l. ad., in caso di minore di età soggetto all’esercizio esclusivo della potestà del genitore coniugato con l’adottante, il genitore affidatario perda il diritto di essere coinvolto nella adozione delle decisioni di maggiore interesse di cui al vecchio art.155, 3° comma, c.c., a vantaggio del genitore sociale adottivo in affidamento esclusivo, il genitore non affidatario perda l’esercizio della potestà a vantaggio del genitore sociale adotti- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA vo (il che rafforzerebbe l’unità della nuova famiglia) e conservi un mero potere di vigilanza sull’esercizio della potestà da parte della nuova coppia - con il relativo potere di adire il giudice in caso di decisioni pregiudizievoli per il minore - ed il potere di intrattenere rapporti con il figlio34. Si è obiettato che, accogliendo questa interpretazione, si determina, di fatto, la rottura del rapporto tra il minore ed il genitore biologico non affidatario cui si riconoscono «un misero diritto di visita e generici poteri di vigilanza», e che sia preferibile ritenere che le decisioni relative alla vita quotidiana spettino, disgiuntamente, al genitore affidatario ed a quello adottivo, mentre quelle più importanti debbano essere assunte di comune accordo, anche con la partecipazione del genitore non affidatario, demandando al giudice la risoluzione di eventuali contrasti insorti35. L’individuazione di una soluzione corretta e completa è poi oggi ulteriormente complicata dal fatto che, come già detto, la nuova legge sull’affido condiviso non chiarisce se titolarità ed esercizio della potestà coincidano. Sia che si ritenga che coincidano, sia che si ritenga che non coincidano ma che, comunque, anche in caso di affidamento monogenitoriale, l’esercizio della potestà spetti in modo condiviso ad entrambi i genitori, allora, in virtù del combinato disposto dell’art. 48, 1° comma, l. ad. e del nuovo art. 155, 3°comma, c.c., da un lato risulterebbe il diritto del minore alla trigenitorialità e dall’altro il diritto dei tre genitori ad una “multipotestà pro indiviso sul minore da esercitarsi congiuntamente a tre e per la quota di 1/3 ciascuno” sia sull’ordinaria che sulla straordinaria amministrazione. La titolarità della 33 MARICONDA, Dell’adozione in casi particolari, in Le adozioni nella nuova disciplina. Legge 28 marzo 2001, n. 149, a cura di Autorino - Stanzione, Milano 2001, 356, ritiene, invece, che ai genitori dell’adottato «non rimane affatto la titolarità della potestà» ed anzi proprio dall’art. 50 l. ad., «si evince un sistema per il quale cessando l’esercizio della potestà da parte dell’adottante o degli adottanti, il Tribunale per i minorenni, (…) può emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l’esercizio della potestà sia ripreso dai genitori». 34 A meno che gravi ragioni lo impediscano: v. App. Perugia, 25 maggio 1992, in Dir. fam. pers., 1994, 154. 35 Si realizzerebbe in questo modo, nel “rapporto interno della potestà”, una sorta di cogestione tra genitore di sangue non affidatario ed adottante. Così AULETTA, La famiglia rinnovata:problemi e prospettive, in Bianca, Malagoli Togliatti, Micci (a cura di), Interventi di sostegno della genitorialità nelle famiglie ricomposte. Giuristi e psicologici a confronto,Milano 2005, 48 ss. In giurisprudenza v. Trib. minori Torino, 3 agosto 1993, in Dir. fam. pers. 1994, 655 (in relazione ad un caso di adozione di una minore da parte del marito della madre naturale premorta): tale pronuncia ha distinto tra “lato esterno della potestà” che si estrinseca nella rappresentanza del minore per gli atti civili e per l’amministrazione del patrimonio e “lato interno della potestà”, includente il dovere di cura e di educazione, che non si estingue in capo al genitore naturale (salvo il caso di abbandono, incapacità e decadenza dalla potestà) e va coordinato con la potestà dell’adottante attraverso un’attività di guida e controllo. 15 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA potestà, così come il suo esercizio, spetterebbero, infatti, a madre e padre biologici ed, in aggiunta, al genitore adottivo36. E se è ingestibile l’affidamento condiviso tra genitori biologici separati e/o divorziati, figuriamoci come possa essere in concreto attuato l’esercizio della potestà a tre! Qualora invece si ritenesse che titolarità ed esercizio della potestà non coincidano, ci si dovrebbe innanzitutto domandare quale sia il contenuto dell’affidamento esclusivo visto che l’istituto continua ad essere previsto pur se l’odierno legislatore si è ben guardato dal disciplinarlo. Se la giurisprudenza colmasse la lacuna rifacendosi al testo previgente dell’art. 155 c.c., allora si potrebbe concludere che l’amministrazione straordinaria del minore adottato in affido esclusivo spetta a tutti e tre, mentre l’ordinaria amministrazione compete congiuntamente solo al genitore in seconde nozze ed all’adottante. Nella stessa situazione ci si troverebbe nel caso in cui il giudice (o i coniugi), in sede di separazione o di divorzio, avessero previsto un affidamento condiviso ma con l’esercizio esclusivo della potestà al coniuge collocatario del minore per le decisioni di ordinaria amministrazione. Per concludere è poi doveroso annotare che se anche l’altro genitore biologico decidesse di risposarsi, il suo nuovo coniuge non potrebbe adottare il figlio nato in prime nozze che sia già stato adottato dal coniuge dell’altro genitore biologico: ciò comporterebbe senz’altro una grave disparità di trattamento dal punto di vista legale, disparità che sarebbe, tuttavia, ampiamente giustificata, in linea di fatto, dalla necessità di evitare le “impossibili” ricadute giuridiche e pratiche di una duplice adozione. AIAF RIVISTA 2007/2 3D. AMMINISTRAZIONE DEI BENI DEL MINORE ADOTTATO ED USUFRUTTO LEGALE SUGLI STESSI L’art. 48, 3° comma, l. ad., prevede che «se l’adottato ha beni propri, l’amministrazione di essi durante la minore età dell’adottato stesso, spetta all’adottante, il quale non ne ha l’usufrutto legale ma può impiegarne le rendite per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore con l’obbligo di investirne l’eccedenza in modo fruttifero. Si applicano le disposizioni dell’art. 382 del c.c.»37. In relazione ai genitori biologici il nuovo art. 155 c.c., a differenza di quello previgente38, nulla prevede riguardo all’amministrazione ed all’usufrutto sui beni dei figli. In presenza di questo vuoto normativo si potrebbe arrivare al paradosso per cui tutto il potere di amministrazione dei beni del minore spetta in via esclusiva al solo genitore sociale adottivo mentre l’usufrutto legale sugli stessi non spetta ad alcuno. Per colmare la lacuna ci si potrebbe rifare alle disposizioni del previgente art. 155, 5° comma, c.c., e ritenere pertanto che i genitori biologici devono attenersi alle decisioni del giudice della separazione o del divorzio circa l’amministrazione ed hanno il godimento dell’usufrutto legale per quote stabilite anch’esse dal giudice. Ma come conciliare queste disposizioni con i poteri conferiti all’adottante? Il ricorso all’art. 324 c.c., che prevede che i genitori esercenti la potestà abbiano in comune l’usufrutto dei beni del figlio e che «i frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli», non pare corretto posto che la fattispecie dallo stesso normata è quella dei genitori in costanza di convivenza. Si potrebbero richiamare gli articoli 327 e 328 del c.c. i quali offrono però una soluzione che era stata approntata dal legislatore del 1975 per 36 Fatta eccezione, ovviamente, per il caso in cui l’altro genitore biologico sia decaduto dalla potestà ex art. 330 c.c. 37 Il richiamo all’art. 382 c.c. contenuto nell’art. 48, 3° comma, c.c. comporta che l’adottante deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia ed è responsabile di ogni danno a lui cagionato se viola i propri doveri. Sull’adottante grava poi l’onere di predisporre l’inventario dei beni del minore adottato ex art. 49 l. ad. Dato il rinvio contenuto nella norma alle disposizioni codicistiche relative all’esercizio della tutela, si è paragonata la posizione dell’adottante a quella del tutore pur sottolineando come «l’assimilazione (…) debba considerarsi limitata al solo obbligo di inventario dei beni del minore» stante la profonda e radicale differenza tra la posizione del tutore e quella del genitore adottivo: così A. FINOCCHIARO, in A. e M. FINOCCHIARO, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, Milano, 1983, 475 ss.. 38 Il vecchio art. 155 c.c., al 5° comma, opportunamente recitava: «Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale». Identico precipitato era contenuto nell’art. 6, 7° comma, l. div. 16 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 il solo caso -oggi residuale- di esercizio esclusivo della potestà, prevedendo, il primo, che “Il genitore che esercita in modo esclusivo la potestà è il solo titolare dell’usufrutto legale” ed il secondo che “Il genitore che passa a nuove nozze conserva l’usufrutto legale, con l’obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione di quest’ultimo”. Come possono essere coinnestate tutte queste norme, e soprattutto, quid iuris in caso di adozione di minore in affido condiviso ai genitori biologici, o comunque soggetto all’esercizio congiunto della potestà da parte dei medesimi? Una coamministrazione congiunta “a tre” dei beni del minore con uguali poteri in capo ai due genitori biologici ed a quello adottivo? Un diritto di usufrutto legale spettante esclusivamente e congiuntamente ai genitori biologici ma limitato sia dall’obbligo, a carico esclusivo del genitore che si risposa, di utilizzare i frutti per le necessità del figlio e di accantonare in suo favore l’eccedenza, sia dall’analogo obbligo gravante sul genitore adottivo e non titolare dell’usufrutto? L’impraticabilità di tali soluzioni - che pure paiono essere le uniche inferibili dal complesso di regole vigenti - è di solare evidenza. È inoltre da rilevare, ai fini che qui interessano, che i poteri del genitore adottivo e quelli del genitore biologico passato a nuove nozze sono più limitati rispetto a quelli del genitore biologico non risposatosi e non collocatario del figlio. All’adottante non è attribuito l’usufrutto legale, ma solo la possibilità di impiegarne le rendite per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore, con l’obbligo di investire l’eccedenza in modo fruttifero. Il genitore coniugato conserva la contitolarità del diritto di usufrutto ma, rispetto all’utilizzo dei frutti, è soggetto agli stessi limiti dell’adottante. Se ne potrebbe allora dedurre il paradosso che il genitore biologico non risposatosi possa impiegare le rendite dei beni del figlio con lui non convivente anche per capitoli di spesa non ri- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA guardanti il minore, mentre la nuova coppia genitoriale non possa destinare i frutti medesimi al mantenimento della nuova famiglia, all’educazione e all’istruzione degli altri figli39, fratelli, anche se “solo” ex uno latere, dell’adottato. È vero che la ratio dell’art. 48, 3° comma, l. ad. risiede nella volontà del legislatore (condivisa dalla dottrina40) di impedire l’instaurarsi di rapporti adottivi non disinteressati, ed è altrettanto vero che questa disposizione si coordina con l’assenza dell’obbligo, a carico dell’adottato, di contribuzione alla vita familiare con il reddito proprio e le proprie sostanze (non trova infatti applicazione, a suo carico, l’art. 315 c.c.). È tuttavia evidente come le ricadute del combinato disposto dall’art. 48, 3° comma, l. ad. e dell’art. 328 c.c. finiscano, in concreto, con il penalizzare la ricostituzione di una nuova famiglia a favore non solo del minore inseritovi (il che potrebbe anche essere equo) ma anche dell’altro genitore biologico con lui non più convivente (il che, invece, sarebbe del tutto contrario a qualunque criterio di giustizia). La necessità di una diversa disciplina normativa è evidente, vieppiù in considerazione del fatto che una regolamentazione meramente contrattuale tra i genitori legalmente coinvolti e spesso di fatto affiancati dal genitore sociale coniugato o convivente con il genitore biologico presso il quale il minore non convive più, seppure auspicabile, quanto meno con riferimento ai figli legittimi, potrebbe, in teoria, essere considerata invalida per violazione del principio fondamentale di indisponibilità dei diritti nascenti dal matrimonio (art. 160 c.c.) e, in concreto, pare difficilmente realizzabile. Mette conto sottolineare, ancora una volta, la necessità che, a fronte di tali vuoti normativi, i provvedimenti relativi in senso lato ai figli emessi nei procedimenti - consensuali e/o giudiziali - di famiglia, prevedano altresì regole chiare e perspicue circa l’amministrazione dei beni del minore nonché il godimento del relativo diritto di usufrutto. E tale necessità è resa ancora più impellente 39 GIUSTI, L’adozione dei minori in casi particolari, in Trattato Bonilini-Cattaneo, III, Torino 1997, 463; ZINI, op.cit., 154. 40 DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, cit., 330; TOMMASINI, op. cit., 488; ROSSI CARLEO, op. cit., 417; A. FINOCCHIARO, op.cit., 475 ss. Anche la Corte Cost., 24 gennaio 1991, n. 27, [in Cons. Stato 1991, II, 61; in Giust. civ. 1991, I, 1403; in Giur. it., 1991, I,1,615; in Dir. fam. e pers., in Giur. cost., 1991, 1751], ha ritenuto legittima la limitazione, sottolineando che l’adozione deve essere scevra da interessi di natura economica. 17 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA dalla circostanza che - stante i sempre più frequenti fallimenti delle famiglie (tanto legali quanto di fatto), sempre più numerosi sono i casi di disposizioni patrimoniali (inter vivos e/o mortis causa) sia da parte dei nonni in favore, direttamente, dei nipoti, sia da parte dei genitori in favore dei figli, direttamente in sede di separazione e/o divorzio, ed anche a titolo di contributo al mantenimento di questi ultimi. 3E. EFFETTI PATRIMONIALI DELL’ADOZIONE Dal punto di vista patrimoniale, l’obbligo di mantenimento e quello di prestare gli alimenti gravano sia sul genitore adottante (ex articoli 48, II° comma, l. ad. e 147 c.c.) sia sui genitori biologici. Tuttavia la Corte di Cassazione41, in merito ad un caso di adozione di un minore [ex art. 44, 1°comma, lett. b) l. ad.] figlio di genitori divorziati ed affidato in via esclusiva alla madre, ha statuito che l’adottante assume in via primaria l’obbligo del mantenimento del minore, con conseguente venir meno di tale obbligo per il genitore naturale. Ciò deriva dal fatto che «la potestà sull’adottato, ed il connesso obbligo di mantenimento, giusto disposto degli art. 147 c.c., 48 e 50 l. n. 183 del 1984, spetta, ormai, in via principale, al genitore adottivo ed al di lui coniuge, pur non rivestendo la cessazione dell’obbligo di mantenimento da parte del padre biologico carattere incondizionato ed assoluto, in quanto tale dovere (…) sussidiario è potenzialmente idoneo a riacquistare attualità nella ipotesi di cessazione dell’esercizio della potestà da parte dell’adottante, ovvero in correlazione con la eventuale insufficienza di mezzi del predetto e del suo coniuge» per il fatto che non si interrompono i rapporti con la famiglia di origine e l’adottato mantiene di essa tutti i diritti e gli obblighi, salve le eccezioni previste dalla legge. «Ne consegue la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per il figlio minore - obbligo stabilito, in sede di pronuncia di divorzio, a carico del padre non affidatario - qualora il nuovo coniuge della ex moglie (passata a seconde nozze) abbia AIAF RIVISTA 2007/2 adottato il minore stesso, e qualora manchi la prova di una situazione di carenza economica della nuova famiglia tale da comportare la reviviscenza, in capo al genitore biologico, dell’obbligo di mantenimento, “in parte qua”, del minore adottato». La dottrina, per parte sua, ha tentato di fissare dei parametri che potrebbero essere d’aiuto ai giudici qualora si tratti di determinare la ripartizione dell’obbligo di mantenimento tra genitori biologici e genitore sociale. A tale proposito occorrerebbe considerare le risorse del debitore, ovvero del genitore obbligato al mantenimento, ed i bisogni del minore. In relazione al primo parametro, occorrerà verificare se e fino a che punto le nuove nozze (per esempio della madre con un soggetto benestante) possano influire sull’assegno di mantenimento dovuto dall’altro coniuge non affidatario del figlio. Infatti, se è vero che le migliori condizioni di uno dei genitori non accrescono di per se stesse il suo reddito, d’ altra parte è anche vero che, magari, ne diminuiscono le spese e quindi, in sostanza, determinano un miglioramento della sua situazione patrimoniale con un vantaggio (almeno indiretto) a favore del figlio. Quanto ai bisogni del minore, scartata la possibilità che gli stessi siano standardizzati o standardizzabili, sorge l’interrogativo se, in considerazione di un principio di uguaglianza tra i figli, i genitori abbiano il dovere di garantire ai figli delle due famiglie lo stesso livello di benessere materiale. Escluso che si possa esigere dal genitore biologico tenuto al mantenimento, di condividere una spesa per lui non sostenibile, il punto di equilibrio dovrebbe trovarsi in una condivisione proporzionale così come previsto per i genitori biologici dall’art. 148 c.c. 42 Per l’adozione del maggiorenne è espressamente previsto solo un obbligo alimentare a carico dell’adottante (art. 433, n. 3, c.c.) anche se, secondo l’art. 147 c.c., l’obbligo di mantenere l’adottato maggiorenne permane finché l’adottato non sia in grado di realizzare un’effettiva indipendenza economica43. 41 Cass. 30.1.1998, n. 978, in Giust.civ., 1998, I, 1955, con nota di DI GAETANO, L’adozione del minore da parte del coniuge del genitore. La fortuna (o il dramma) di avere tre genitori. 42 MARCHIO, Famiglie ricomposte e responsabilità per il mantenimento dei minori, in Interventi di sostegno alla genitorialità nella famiglie ricomposte, cit., 45 ss. 43 Tale assunto è fatto proprio dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie. Per la giurisprudenza più risalente vedi, tra le altre, Cass., 17 gennaio 1977, n. 210, in Giust. civ., 1977, I, 1604 con nota adesiva di DOGLIOTTI, Ancora 18 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 Va inoltre rammentato che il legislatore, con la legge 154/2001 recante “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”, ha introdotto una nuova misura di carattere patrimoniale. Infatti il nuovo art. 282 bis, 3° comma, c.c., dispone che, qualora il convivente o coniuge sia allontanato dalla casa familiare ai fini della protezione morale e fisica dei conviventi, il giudice possa porre a carico del responsabile della violenza il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati con eventuale obbligo di pagamento diretto a carico del datore di lavoro dell’obbligato. Per ciò che qui interessa, è da rilevare che l’ingiunzione di questa misura patrimoniale non richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto di coniugio, essendo sufficiente la convivenza more uxorio, e prescinde dalla maggiore o minore età della persona offesa. Perciò, qualora, in costanza di matrimonio o di convivenza, il genitore biologico o quello sociale tenuti al mantenimento subissero un ordine di allontanamento dalla casa familiare, saranno obbligati a corrispondere per tale causale un assegno periodico a favore del figlio, minorenne o maggiorenne, inserito nel nucleo familiare oggetto di protezione. Quanto ai diritti successori, sia per il maggiore che per il minore di età, dato il richiamo contenuto nell’art. 55 l. ad., trovano applicazione gli articoli 300 e 304 c.c. Ai sensi dell’art. 300 c.c. «l’adottato conserva tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine(…) l’adozione non induce alcun rapporto civile tra NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA l’adottante e i parenti dell’adottante salve le eccezioni stabilite dalla legge». L’art. 304 c.c. prevede invece che «l’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione». 3F. IL COGNOME DELL’ADOTTATO Un effetto specifico dell’adozione non legittimante riguarda, infine, la disciplina del cognome dell’adottato. Ai sensi dell’art. 299 c.c. l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio. Tale norma si applica anche all’adozione in casi particolari in forza dell’art. 55 l. ad. Ne consegue che sia il figlio maggiorenne sia quello minorenne adottati dal nuovo coniuge del genitore biologico assumono il cognome dell’adottante e lo antepongono al proprio. 4. IL COGNOME DEL FIGLIO NON ADOTTATO MA INSERITO DI FATTO NELLA FAMIGLIA RICOMPOSTA Circa il cognome è a dire che, con molteplici interventi, la Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato, la giurisprudenza di legittimità e di merito hanno ricondotto il diritto al cognome alla tutela dell’identità personale sottolineando come il cognome sia segno distintivo della persona nella sua complessità, ribadendo che la funzione del cognome, quale “strumento identificativo della persona”, è prevalente su quella di “segno identificativo della discendenza familiare”, e dichiarando che l’interesse pubblico alla “certa e costante identificazione delle persone” non impone la necessaria coincidenza tra il cognome e lo status di figlio44. sull’obbligo del genitore al mantenimento del figlio maggiorenne; Cass., 7 novembre 1981, n. 5874, in Giust.civ., 1981, I, 2837. Più recentemente: Cass. 23 gennaio 1996, n. 496 in Giust. civ., 1996, I, 954, in Vita not., 1996, 862 ed in Fam. e dir. 1996, 364; Cass. 7 maggio 1998, n. 4616, in Giur. it., 1999, 252, con nota di AMATO; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2289, in Fam. e dir., 2001, 3, 275. In dottrina: LANDOLFI, Prorogabilità dell’obbligo di mantenimento dei figli? in Riv. dir. matr., 1961, 277; DE CUPIS, Brevi osservazioni sulla durata dell’obbligo di mantenimento del figlio, in Riv. dir. civ., 1967, II, 67; BESSONE, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e direttive dell’art. 30, comma 1, Costituzione, in Giur. it., 1975, I, 2, 621. 44 Emblematica in tal senso, è la recente sentenza n. 1890/06 del Tribunale di Bologna, pubblicata in Fam. e min., 1/07, 71 ss. Con tale pronuncia il citato Tribunale, ha segnato un significativo passo in avanti all’interno della evoluzione giurisprudenziale in tema di cognome. Le tappe principali di tale evoluzione - volta a svincolare il cognome dallo status di figlio ed a considerarlo un tratto essenziale ed irrinunciabile della identità personale nonché un segno distintivo della persona nella sua vita di relazione - sono state segnate da quattro interventi: 1) Corte Costituzionale 24 giugno 2002, n. 268, che ha ammesso la conservazione del cognome d’origine in caso di adozione in casi particolari; 2) Corte Costituzionale 23 luglio 1996, n. 297, che ha ammesso la conservazione del cognome attribuito alla nascita in un caso di secondo riconoscimento effettuato dal padre molti anni dopo quello della madre; 3) Corte Costituzionale 3 febbraio 1994, n. 13, che ha ammesso la conservazione del cognome in un caso in cui il padre legale non corrisponde a quello biologico; 4) Cassazione 26 maggio 2006, n. 12641, che ha ammesso la conservazione del cognome in caso di secondo riconoscimento, nell’ipotesi in cui l’acquisizione del cognome del padre avrebbe comportato dei danni per il figlio. 19 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Ciò premesso, laddove l’adozione non sia possibile, o non sia voluta, la tutela, ed ancor più il riconoscimento sociale della famiglia ricostituita e delle relazioni affettive che legano i suoi componenti, può avvenire anche attraverso la sostituzione o l’aggiunta al proprio cognome del cognome del genitore acquisito45. Il Consiglio di Stato, che da anni ha recepito e fatto propria la nuova funzione del cognome, già con sentenza n. 1049/93, aveva statuito che è ammissibile e fondata la richiesta avanzata da due coniugi con prole e diretta ad ottenere che il figlio naturale della donna, nato prima del matrimonio da partner diverso dal marito e solo dalla madre riconosciuto, possa aggiungere al proprio cognome originario il cognome del marito della madre, se il minore figlio naturale è da lungo tempo felicemente inserito nella famiglia legittima della madre, anche ai sensi ed ai fini di cui all’art. 252 c.c., e conosciuto col cognome maritale di quest’ultima assai più di quanto non lo sia con il proprio cognome d’origine, sottolineando come, da un lato, l’aggiunta (e non la sostituzione) a quest’ultimo del cognome coniugale della genitrice evita certamente confusione di “status”, e dall’altro, sussistono indubbi, strettissimi legami di sangue e di affetto tra il figlio naturale ed i fratelli uterini, e concludendo che l’aggiunta del cognome, conforme peraltro ad un “tractatus” e ad una “fama” certi AIAF RIVISTA 2007/2 e consolidati, evitano in vero al minore un non lieve pregiudizio d’ordine psicosociale, senza peraltro alcuna contropartita negativa d’ordine individuale, familiare e comunitario considerando prioritario il diritto all’identità personale tutelato dall’art. 2 Cost. rispetto alla funzione, che il cognome ha, di identificare la discendenza familiare46. II. LA FAMIGLIA RICOMPOSTA DI FATTO P oiché la convivenza more uxorio non fa sorgere alcun diritto tra i partners in quanto tali, l’ex convivente che forma una nuova famiglia di fatto non perde alcun diritto iure proprio, a meno che non fosse assegnatario della casa uxoriale in quanto affidatario del figlio minore (o convivente con il figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente): in quest’ultima ipotesi egli perde il diritto al godimento ex art. 155 quater c.c. L’ ex coniuge che inizia una convivenza more uxorio perde ipso iure il diritto al godimento della casa coniugale se ne era assegnatario (ex art. 155 quater c.c.) e può inoltre subire la perdita o la riduzione dell’assegno di separazione o di divorzio47. Vale sul punto quanto già detto supra, pagg. 5 ss. Diverso è invece l’orientamento della giuri- Radicando la propria decisione su questi precedenti il Tribunale di Bologna ha sentenziato che non vi è contraddizione tra l’accoglimento dell’azione di status volta a contestare la sussistenza di un rapporto padre-figlio e la conservazione da parte di quest’ultimo del cognome ricevuto da chi non era il padre biologico, in tal modo elevando il cognome a «strumento di identificazione della persona al di là (e anzi contro) i riferimenti della discendenza familiare». Per un esame del processo giurisprudenziale svoltosi sul tema della relazione tra identità e nome v. FAVA, Il diritto all’identità, in Atti del Convegno Il minore tra malacura e giustizia, Parma 16-17 giugno 2000, Parma 2002, 55 ss. 45 L’art. 84 del D.p.r. 3.11.2000, n. 396 (ordinamento stato civile) consente, a chiunque voglia cambiare il cognome od aggiungere al proprio un altro cognome, di fare richiesta in tal senso al Ministero dell’Interno esponendo le ragioni della domanda con presentazione della richiesta al Prefetto della provincia in cui il richiedente ha la residenza. Se la richiesta è meritevole il richiedente è autorizzato a fare affiggere (per trenta giorni consecutivi) all’albo pretorio del comune di nascita e del comune di sua residenza un avviso contenente il sunto della domanda. Chiunque crede di avervi interesse può fare opposizione non oltre trenta giorni dalla data dell’ultima affissione/ notificazione. Al fine dell’emanazione del decreto il richiedente, trascorso il termine senza che sia stata fatta opposizione, presenta alla Prefettura un esemplare dell’avviso con la relazione che attesta la eseguita affissione e la sua durata e la prova delle eseguite notificazioni quando prescritte. 46 In tal senso v. Corte Cost., 3 febbraio 1994 n. 13 [in Cons. Stato 1994, II, 137; in Dir. famiglia 1994, 526; in Giur. cost., 1994, 95 con nota di PACE; in Giust. civ.,1994, I, 867, 2435 con nota di BONAMORE; in Foro it. 1994, I, 1668; in Fam. e dir., 1994, 135 con nota di SERVELLO]: “Una volta certi i rapporti di famiglia della persona non assume rilevanza al fine dell’interesse pubblico che questi mantenga il nome precedentemente portato al pari di qualsiasi omonimo. Del resto l’eventualità che il cognome possa essere diverso dalla paternità accertata non è un’ipotesi estranea all’ordinamento: essa è già prevista dall’art. 262 c.c. il quale consente al figlio tardivamente riconosciuto dal padre di scegliere se conservare o meno il cognome originario, nonostante il riconoscimento sia rispondente a verità; con ciò tutelando proprio il diritto del soggetto all’identità personale fino a quel momento posseduta”. 47 Ex pluribus, Cass. 11 aprile 1996 n. 2569; Cass. 4 aprile 1998, n. 3503 e Cass. 24 novembre 1999, n. 13053. Per fortuna non ha trovato sequela la sentenza 10 aprile 2003 del Tribunale di Brescia, in Fam. Dir., 2003, n. 5, 476, 20 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 sprudenza di legittimità in tema di contributo al mantenimento dei figli nati da precedente matrimonio ed affidati al genitore che instaura una convivenza more-uxorio. La Suprema Corte, infatti, con la sentenza n. 4203 del 24.2.0648, ha opportunamente chiarito che “la prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte di un convivente more uxorio di uno dei coniugi può assumere rilievo solo per escludere oppure ridurre lo stato di bisogno dell’altro coniuge; e, quindi, in ordine all’esistenza ed alla consistenza del diritto all’assegno di mantenimento o divorzile, da parte di quest’ultimo (Cass. 5027/1997). Ma non può incidere sull’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli che in base al disposto dell’art. 147 c.c., grava esclusivamente su ciascuno dei genitori; ed è rivolto a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale.” con la conseguenza che “il coniuge obbligato a versare l’assegno di mantenimento, per il carattere esclusivo e non sostituibile della propria obbligazione, non può giovarsi di eventuali condizioni di favore esistenti fra il coniuge affidatario ed il convivente (o terzi), anche tenuto conto della precarietà di tali eventuali rapporti favorevoli, che sono privi di tutela giuridica (Cass. 6074/2004; 2196/2003; 3974/2002)”. Il convivente non può procedere all’adozione particolare del figlio minorenne del proprio partner poiché essa, ex art. 44, 1° comma, lett. b, l. ad., è riservata al titolare dello status di coniuge. Il convivente può, invece, procedere all’adozione del figlio maggiorenne del convivente, posto che l’ art. 291 c.c. e ss., non riserva l’istituto al coniuge ma lo consente anche ai singles. In mancanza di adozione il figlio del convivente potrà chiedere di aggiungere o sostituire il proprio cognome originario a quello del genitore sociale acquisito soltanto di fatto. Qualora il nuovo partner del genitore di sangue lo desideri, potrà riconoscere come proprio il figlio altrui non riconosciuto, attraverso quello che nella prassi si definisce “riconoscimento di NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA compiacenza”. Tale riconoscimento crea esclusivamente un rapporto di filiazione naturale che, seppur costituzionalmente equiparata alla filiazione legittima, non ne ha, nella realtà, tutti i crismi poiché, ad esempio, non crea legami di parentela nei confronti degli altri parenti. Ovviamente il minore, in questo caso, si troverebbe sempre esposto alla possibilità di una eventuale azione di disconoscimento della paternità da parte del genitore naturale “compiacente” ed egualmente, nei confronti di quest’ultimo, potrebbe essere promossa azione di disconoscimento di paternità da parte del genitore biologico. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Quello della famiglia ricomposta è un tema singolarmente complesso e di difficile soluzione. Dall’excursus che precede emerge la estrema difficoltà di definire e contemperare i diritti-doveri delle figure genitoriali nella stessa coinvolte e, ancor più, di tutelare in modo adeguato gli interessi del minore che vi è inserito. Le petizioni di principio che si potrebbero fare a chiusura del presente contributo, (quali la indiscutibile opportunità di riconoscere legalmente il ruolo del genitore sociale e la necessità di salvaguardare il diritto del minore a conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore biologico e sociale, nonché con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, sia biologico che sociale), sono sin troppo ovvie. Volendo evitarle, due conclusioni meno scontate mi sembra invece si possano trarre dall’analisi svolta. Contrariamente a quanto auspicava BIANCA49, l’avvento dell’affidamento condiviso e delle nuove disposizioni in materia di separazione, divorzio e rottura della convivenza more uxorio - causa le gravi lacune della legge e le ricadute concrete dell’esercizio congiunto della potestà - non agevola, anzi, ostacola e penalizza sia il secondo la quale «la stabile convivenza more uxorio del coniuge separato con altra persona comporta di per sé la quiescenza dell’obbligo di mantenimento da parte dell’altro coniuge nei suoi confronti anche in considerazione della sostanziale omogeneità tra il livello reddituale del convivente e quello del marito». 48 Pubblicata in Fam. e Dir., 6/06, 599 ss., con commento di LONGO. 49 In Interventi di sostegno alla genitorialità, cit., 10. 21 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA genitore affidatario che va a comporre un nuovo nucleo familiare, sia gli altri componenti di quest’ultimo. Da un legislatore che non vuole e/o non è in grado di dare rango giuridico alla famiglia di fatto è irragionevole aspettarsi attenzione alla famiglia ricomposta. È pertanto necessario che la giurisprudenza, di merito e di legittimità, continui a darle riconoscimento e tutela così come ha già iniziato a fare, cogliendo le istanze emergenti da una realtà sociale e familiare in continua evoluzione. * PROFESSORE ASSOCIATO DI DIRITTO ROMANO, UNIVERSITÀ DI MODENA E REGGIO EMILIA. AVVOCATO DEL FORO DI MODENA 22 AIAF RIVISTA 2007/2 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 D i nuovo si parla1, e speriamo sia la volta buona, di regole nuove, rispettose dei diritti e della pari dignità dei genitori, nei criteri che devono presiedere all’attribuzione del nome e del cognome da dare ai figli. Il cognome da trasmettere ai figli tocca corde troppo profonde perché lo si possa definire un problema formale. Esprimono il disagio per l’incongruità del sistema la stessa difficoltà ad individuarne la fonte, al confine tra norma2 e consuetudine3, palesemente in contrasto con i principi di parità ed uguaglianza sanciti dagli articoli 2, 3, 29 e 30 della nostra Costituzione, i tanti progetti di legge, depositati nelle precedenti legislature, il chiaro monito della Corte Costituzionale, ed i molti indignati inviti, variamente motivati, a lasciar perdere4. Problema da taluno ritenuto inesistente, quando non superato o addirittura contrario ai principi del nostro ordinamento5. Posizione che non condividiamo perché sul piano simbolico, come tutte le argomentazioni a contrariis attestano, il nomen ha una rilevanza strategica: serve a proiettarci e a identificarci nel mondo come provenienti da, irrinunciabile elemento costitutivo dell’identità personale. Si svela così che le regole che presiedono alla attribuzione del nome (inteso come prenome e cognome) finiscono per trasformarsi in cartina di tornasole della misura di parità ed eguaglianza giuridica, esistente nel nostro Paese tra NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA uomo e donna. Non a caso il tema è oggetto da tempo, di Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e di Raccomandazioni internazionali e comunitarie6. Ancora una volta a scandire i tempi del legislatore italiano, è stata la Corte Costituzionale7 la quale, rilevando la propria impossibilità a supplire alle carenze del legislatore, ne ha rimarcato il ritardo richiamando l’impegno, assunto dal nostro Paese con la ratifica della Convenzione di New York, e il vincolo alle raccomandazioni NEL NOME DEL PADRE E DELLA MADRE: LA VEXATA QUESTIO DEL COGNOME DEL FIGLIO _GIOVANNA FAVA* 1 Nota della Redazione Questo articolo è stato scritto mentre era in discussione all’Aula del Senato, relatore Salvi, un testo di legge avente ad oggetto Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli, elaborato in Commissione e che raccoglie tre disegni di legge in materia: n. 19 - Vittoria FRANCO ed altri - Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli, n. 26 - MANZIONE - Modifiche al codice civile in materia di cognome della moglie, n. 580 CAPRILI - Modifiche al codice civile in materia di cognome dei figli. Successivamente, il 30 maggio 07, a conclusione della discussione generale svoltasi in Assemblea, il relatore Salvi (Ulivo) ha preso atto che dal dibattito sono emersi dissensi sulla soluzione data dal testo proposto dalla Commissione giustizia all’esigenza di riformare la materia, e ha proposto il rinvio del provvedimento in Commissione Giustizia per verificare la possibilità di una soluzione maggiormente condivisa. La proposta è stata accolta dall’Assemblea. Nel corso della seduta della Commissione Giustizia del 10 luglio 07 il Sen. Salvi ha comunicato di aver predisposto un nuovo testo, che tra l’altro prevede una attribuzione ex lege dei due cognomi, dando la priorità, nell’ordine, a quello del padre, salvo diversa decisione dei genitori, i quali possono stabilire un ordine diverso con dichiarazione concorde resa all’ufficiale dello Stato civile all’atto del matrimonio o, in mancanza, all’atto di registrazione della nascita del primo figlio. La Commissione dovrà pertanto ora pronunciarsi su questa nuova proposta legislativa. 2 L’attribuzione del cognome del padre ai figli nati in costanza di matrimonio, non è principio espressamente enunciato nel nostro ordinamento. A sostegno della legittimità dell’attribuzione vengono richiamate le norme dell’ordinamento di stato civile, non modificate sul punto dal DPR n.396 del 3 novembre 2000, operativo dal 30 marzo 2001, ed in specie gli articoli 29, 34 e 237 c.c., ma nessuno di loro prevede espressamente tale attribuzione. Per questo la Corte di Cassazione, con propria ordinanza 17 luglio 2004, riteneva gli articoli 143 bis, 236, 237, 262 e 199 cc. le norme dell’ordinamento di stato civile in contrasto con gli artt.2,3 e 29 Costituzione. 3 La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 61/2006, pur evidenziando che l’intervento invocato richiede un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte, ha escluso che la trasmissione del cognome avvenga in forza di norma 23 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA del Consiglio d’Europa. Pur dichiarando la questione inammissibile la Corte Costituzionale, relatore Alfio Finocchiaro, non ha risparmiato severe critiche alla legislazione vigente definendo il nostro sistema di attribuzione del cognome “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le sue radici nel diritto di famiglia romanistica, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Un’attenzione ai valori costituzionali che, evidentemente, non è propria del nostro legislatore posto che, anche in occasione della discussione della legge sull’affido condiviso, sedicente por- AIAF RIVISTA 2007/2 tatrice del cosiddetto principio della bigenitorialità, del cognome dei figli se ne parlò solo incidentalmente e per effetto dell’emendamento Cossutta. Emendamento che ricevette molti voti, ma non sufficienti per la sua approvazione. La discussione in Commissione Giustizia ha portato ora all’adozione a maggioranza, di un testo che stabilisce che al momento del matrimonio ciascun coniuge conservi il proprio cognome e che ai figli venga attribuito il cognome del padre o quello della madre, secondo la volontà dei genitori, oppure entrambi i cognomi nell’ordine deciso dai genitori stessi. È una norma liberal, tipica dei paesi anglosassoni8. consuetudinaria, perché se così fosse ne avrebbe dovuto dichiarare l’incostituzionalità in quanto contra legem., ma espressione di una norma desumibile dal sistema… 24 4 Anna Finocchiaro, ministro Pari Opportunità durante il I° governo Prodi -18.5.1996/21 ottobre 1998- presentò un progetto per il doppio cognome ai figli e fu coperta di insulti: sul quotidiano La Repubblica Luciano de Crescenzo scrisse che alle Pari Opportunità c’era sostanzialmente una cretina che non capiva come funzionasse il sistema informatico e che la sua proposta avrebbe bloccato tutti i sistemi d’anagrafe. 5 Francamente sconvolge leggere nei verbali della discussione tenutasi al Senato il 30 maggio 2007 le dichiarazioni del sen.MARCONI (UDC) che esprimendo la sua contrarietà al disegno di legge così argomenta: “In nome infatti di un richiamo all’identità della persona si cancella una tradizione millenaria fondata sull’autorevolezza del ruolo paterno e si rimette al libero arbitrio la scelta del cognome con ciò scardinando l’appartenenza ad un gruppo familiare. “ Come se il ruolo paterno stia tutto nel nome e, soprattutto, possa essere cancellato da un principio di parità. O ancora le dichiarazioni del sen. MONACELLI (UDC) secondo il quale è “un provvedimento che mina l’assetto stesso della famiglia modificando una tradizione millenaria risalente al diritto romano”. Certo viene da chiedersi quale famiglia -pre-costituzione- si abbia in mente. E il Sen. MUGNAI (AN) per inviare nuovamente il progetto in Commissione così argomenta: “la riforma inoltre comporta alti costi, nell’ordine di centinaia di milioni di euro, soltanto per l’adeguamento degli uffici dell’anagrafe, aspetto peraltro non sufficientemente valutato nella relazione e nel dibattito. La soluzione adottata per la trasmissione dei cognomi rischia inoltre di determinare in pochi passaggi generazionali la perdita delle tradizioni insite nei cognomi, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di cognomi illustri. “ Colpisce che a così argomentare sia un esponente di Alleanza Nazionale, a prescindere dalla valutazione, che è indubbiamente soggettiva, di quali siano i cognomi illustri, l’argomentazione non regge in quanto il cognome illustre può essere portato anche dall’unica figlia femmina, e sono a tutti note, perché pubblicamente raccontate, le difficoltà incontrate da Alessandra Mussolini per trasmettere il proprio cognome ai figli… Che dire poi delle argomentazioni portate dal Sen. NOVI (FI) secondo cui il progetto è da respingere perché “Il modello familiare sotteso al testo in esame esprime la visione del mondo… che esalta gli antagonismi nel rapporto tra uomo e natura, nei rapporti sociali di produzione e perfino nei rapporti familiari. Ciò ha risvolti paradossali perché la cultura della disgregazione, che ritiene flessibile ogni aspetto dell’esistenza e temporaneo qualsiasi legame, asseconda precisamente le tendenze conflittuali e sradicanti della globalizzazione. La distruzione di identità e di legami comunitari dà corpo all’incubo della cosiddetta società liquida, antropologicamente insostenibile. 6 Il riferimento è all’art. 16 lettera G della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, e ratificata dall’Italia con legge 14 marzo 1985 n.132Le raccomandazioni n.1271 /1995 e n.1362/1998 con cui il Consiglio d’Europa ha affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso. Il Consiglio ha raccomandato agli Stati inadempienti di realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome ai loro figli, eliminando ogni discriminazione tra figli nati nel e fuori dal matrimonio. 7 La strada di molte riforme in materia familiare, e di parità tra uomo e donna, è segnata, nel nostro Paese, dagli interventi della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 61/2006 ha affermato la necessità di eliminare ogni discriminazione basata sul sesso nella scelta del cognome familiare. Sul punto anche MIMMA MORETTI, Modifiche dello status di figlio e conseguenza sul cognome, in Quaderni AIAF, 2006/2. 8 In Gran Bretagna vi è grande libertà sulla scelta del cognome: i coniugi possono adottare il cognome dell’uno, dell’altro o di entrambi e così pure liberamente scegliere quale cognome dare ai figli. In caso di divorzio dei genitori è pur ammesso il cambio di cognome dei figli. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 La scelta operata, a seconda del pensiero cui si aderisce, può essere criticata, da un lato per non essere sufficientemente precettiva, come sarebbe avvenuto se fosse stato indicato l’obbligo dei due cognomi, dall’altro perché si teme una eccessiva frammentazione e perdita dell’identità famiglia9. Consensi sono invece stati espressi da esponenti del femminismo storico, che riconoscono valore proprio alla libertà di scelta, ritenendo che le donne debbano/possano contrattare all’interno della coppia la scelta del cognome da trasmettere, e non sia necessaria una norma precettiva a tutela della trasmissione del loro cognome10. A chi avrebbe preferito la scelta di un cognome per la famiglia si può validamente opporre l’esperienza tedesca. La scelta di un cognome per la famiglia è infatti tipica di tale ordinamento dove la disciplina fu introdotta inizialmente nella Repubblica Democratica Tedesca poi, nel 1976, anche nella Repubblica Federale Tedesca, permanendo immutata sino al 1991, quando il BVerGne ne dichiarò l’incostituzionalità. Con la legge 16 dicembre 1993, Familiennamensrecht-gesetz11, il Parlamento tedesco ha adeguato la propria legislazione ai principi di parità ed uguaglianza stabilendo che i coniugi determinino un comune nome familiare, nome che rimarrà anche in caso di morte del coniuge e di divorzio. In caso di mancata scelta del cognome familiare i coniugi continuano a portare il proprio cognome anche dopo il matrimonio. Per quanto concerne i figli rimane ferma la regola secondo cui il figlio legittimo acquista, come cognome di nascita, il nome coniugale dei suoi genitori (§1616 comma 1 BGB); nel caso in cui i coniugi non abbiano scelto un cognome comune per la famiglia essi dovranno determinare, al momento della nascita, il cognome del figlio scegliendo quello della madre o quello del padre (§1616 comma 1 BGB). 9 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Il cognome attribuito al primo figlio varrà anche per i successivi figli della coppia per evitare che ai figli della stessa coppia vengano imposti cognomi diversi. Se entro un mese dalla nascita del figlio i genitori non compiono la scelta il Tribunale trasferisce il diritto di scelta a uno dei genitori (§1616, comma 3). Se entro il termine fissato dal Tribunale il diritto di scelta non è stato esercitato il figlio acquisterà il cognome del genitore al quale il diritto di scelta è stato trasferito. Il figlio nato fuori dal matrimonio acquista il nome di famiglia della madre. Questa riforma ha fatto si che la determinazione di un cognome familiare non sia più indispensabile e ha, di fatto, sancito la fine dell’istituto. Per la Germania si è trattato di una vera e propria rivoluzione. L’adeguamento della nostra legislazione sul nome, ai principi di parità ed eguaglianza, come attesta l’esperienza francese, è inevitabile, e proprio alla legislazione francese pare ispirarsi il testo di legge in discussione al Senato. Anche in Francia vigeva il patronimico assoluto, ma già nel 1985 il parlamento francese è intervenuto a mitigarne il principio, consentendo ai genitori di rendere visibile la provenienza del figlio da entrambi i genitori permettendo l’aggiunta del cognome materno à titre d’usage. Con la legge 8 febbraio 2001 il Parlamento Francese ha abolito la legge 6 Fruttidoro dell’anno II, 1793, e ha previsto per la coppia tre possibilità: 1. trasmettere ai figli il solo cognome paterno; 2. trasmettere ai figli il solo cognome materno; 3. trasmettere ai figli entrambi i cognomi. La nuova disciplina prevede che, in caso di disaccordo o di mancata scelta del cognome da attribuire, siano trasmessi al figlio entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Il figlio sceglierà poi quale cognome trasmettere alla generazione successiva. Il ministro Bindi avrebbe preferito una norma piu’ precettiva, per evitare che, in forza della consuetudine, appunto, non ci sia vera scelta e che si finisca per continuare a dare ai figli il cognome paterno. Gli esponenti di UDC, AN e Forza Italia hanno espresso critiche perché, a loro avviso si sconvolge la tradizione e si favorisce una disgregazione della famiglia. 10 In questo senso La libreria delle Donne di Milano, subito dopo l’approvazione del testo in Commissione. 11 La legge per la riforma del diritto relativo al nome familiare, Familiennamensrecht-gesetz, è entrata in vigore il 1’ aprile 1994 25 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA La possibilità di scelta può essere esercitata dai genitori solo con il primo figlio, infatti l’unico obbligo contenuto nella legge è che i figli della stessa coppia debbano avere lo stesso cognome. Similmente a quanto avviene in Germania ed in Francia, anche da noi forte è la preoccupazione che ai figli degli stessi genitori sia attribuito il medesimo cognome. Nel testo in discussione al Senato si prevede infatti, all’ultimo comma dell’art.262 c.c., che “Ai figli successivi al primo, riconosciuti dai medesimi genitori, è attribuito lo stesso cognome del primo figlio”. Il punto di maggiore criticità del testo pare essere la decisione da adottare in ordine alla mancata scelta e nel caso di disaccordo tra i genitori sul cognome da adottare. Il disegno di legge prevede, all’art.143 bis, comma 3, che in tali casi al figlio siano attribuiti i cognomi di entrambi i genitori, limitatamente al primo cognome di ognuno, in ordine alfabetico, come appunto avviene in Francia. L’ordine alfabetico, si sa, viene usato frequentemente nelle nostre amministrazioni a voler sancire un ordine “neutro” e “terzo”, ma si presta a “favorire” d’ufficio le prime lettere dell’alfabeto, per questo motivo è da alcuni è criticato. Dal raffronto delle scelte e del percorso legislativo avvenuto in materia negli altri Paesi, pare che l’ordinamento sin dall’inizio più rispettoso dei principi di parità e di eguaglianza tra i genitori, oltre che della libertà di scelta da parte dei figli, sia il sistema della trasmissione del doppio cognome tipico della Spagna e dei Paesi latinoamericani,. La disciplina tradizionale spagnola attribuisce di regola al figlio il cognome di entrambi i genitori. Questa regola vale sia per i figli legittimi che per quelli naturali, quando la filiazione è legal- AIAF RIVISTA 2007/2 mente accertata nei confronti di entrambi. Se il figlio è riconosciuto dal solo padre acquisirà entrambi i cognomi del padre nel medesimo ordine, se riconosciuto dalla sola madre avrà i primi due cognomi di lei, nell’ordine che questa preferisce. Poiché solo il primo cognome viene trasmesso ai figli, anche l’ordine dei cognomi diventa rilevante. Per questo motivo la Spagna, con la legge 11 del 13 maggio 1981 ha stabilito che “il figlio, al raggiungimento della maggiore età, potrà richiedere che si muti l’ordine dei suoi cognomi”. Questo permette di collocare al primo posto il cognome ricevuto dalla propria madre e di trasmetterlo ai figli. Secondo gli interpreti la possibilità di scelta può essere esercitata una sola volta dopo aver raggiunto la maggiore età. La Corte Costituzionale è ripetutamente intervenuta ad affermare l’autonomia del nomen rispetto allo status, sicché da tempo, eventuali modifiche del secondo, non comportano automaticamente la perdita del primo12. Va poi ricordato che nel nostro ordinamento la diversa previsione di trasmissione del cognome riservata ai figli legittimi e naturali ha di fatto comportato, per questi ultimi, una possibilità di scelta non consentita per il figlio nato in costanza di matrimonio. L’art.262 c.c. come è noto, stabilisce che il figlio assuma il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo e che il secondo riconoscimento possa avvenire solo con il consenso del primo genitore o per ordine del giudice, con la conseguenza che il cognome del padre può essere aggiunto o sostituito a quello della madre. Procedimento nel quale i genitori sono parti necessarie, non potendo, il provvedimento di attribuzione del cognome al figlio naturale, essere considerato mero atto amministrativo, in quanto incide sull’identità personale che è diritto soggettivo perfetto13. Procedura e possibilità di 12 Sul punto la Corte Cost. 3 febbraio 1994, dopo aver affermato che a seguito di dichiarazione di falsità parziale dell’atto di nascita l’atto stesso debba essere rettificato indicando l’esatto rapporto di filiazione, ha contemporaneamente affermato il diritto del soggetto a mantenere il cognome, falsamente attribuito, in quanto caratteristica precisa e personalissima della sua identità; e ancora Corte Cost. 23 luglio 1996, n.297, ha affermato il diritto del figlio naturale, riconosciuto a distanza di anni, a conservare il cognome di fantasia attribuitogli dall’Ufficiale di Stato Civile, perché segno distintivo della sua identità personale. 13 Cass. civ. 7 giugno 2006, n.13281, a conferma Corte App. Roma sez. min. 10 luglio 2006, in Fam. e dir., n.6/2007. 26 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 doppio cognome non prevista per il figlio nato in costanza di matrimonio14. Si può quindi dire che proprio nelle regole fissate dal nostro ordinamento per la filiazione naturale sono già espressi i principi di parità ed uguaglianza dei genitori, e da quei principi si potrebbe partire anche per la regola sull’ordine dei cognomi, da attribuire in caso di disaccordo tra coniugi, privilegiando il cognome della madre15, similmente a quanto avviene in Inghilterra e Germania per i figli nati fuori dal matrimonio. Sarebbe inoltre auspicabile che fosse data ai figli, una volta divenuti maggiorenni, la possibilità di scegliere quale cognome trasmettere, come previsto dagli ordinamenti francese e spagnolo. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA sione del cognome nel nostro ordinamento si scontra con tale valore e, ripetutamente, si è reso necessario l’intervento giudiziario per affermare il diritto del cittadino straniero a mantenere il cognome così come acquisito nel proprio Stato16. Il diritto a mantenere e trasmettere il proprio cognome, indipendentemente dallo status, è principio di civiltà, oltre che doveroso rispetto delle Convenzioni Internazionali17, ed il nostro ordinamento è chiamato a rispondere a esigenze nuove di una società multietnica dove individui, sempre più in movimento, si aggregano e si lasciano in contesti e Stati diversi. * AVVOCATO DEL FORO DI REGGIO EMILIA, PRESIDENTE DEL FORUM-ASSOCIAZIONE DONNE GIURISTE Né va dimenticato il fatto che l’identità personale è valore assoluto, ed in quanto tale non ha confini. Dovranno quindi essere eliminate dal nostro ordinamento di Stato Civile quelle norme che impongono la trasformazione dei cognomi stranieri. La presenza sempre più numerosa nel nostro territorio di famiglie migranti, così come di matrimoni misti, rappresenta una realtà ineludibile. L’acquisizione del cognome come regolata nel proprio stato di origine non potrà subire condizionamenti da parte del nostro ordinamento, proprio per salvaguardare il diritto all’identità acquisito. La vetustà delle norme stabilite per la trasmis14 Sul punto Cass. 14 luglio 2006, n.16093, secondo cui non può essere accolta neppure la domanda congiunta dei genitori esercenti la potestà sul figlio nel senso di imporre il cognome materno in luogo di quello paterno in quanto il quadro normativo relativo alla disciplina del cognome del figlio legittimo, diversamente da quella relativa al figlio naturale, adotta un meccanismo di automatica attribuzione che non può essere derogata neppure dalla manifesta concorde volontà dei coniugi, in Fam. e dir., n.5/2006. 15 Senatrice CAPPELLI lamenta la mancata approvazione dell’emendamento proposto dalla senatrice Boccia, che privilegiava il cognome della madre, scelta che risolveva in nuce la questione del cognome dei bambini nati fuori dal matrimonio, e sottolineava la circostanza che si nasce da donna.-Atti della seduta della Commissione Giustizia 17 gennaio 2007. Per l’attribuzione del solo cognome materno era il progetto di legge Pisapia n.2155 presentato alla Camera dei deputati il 9 agosto 1996. 16 Ripetutamente la giurisprudenza ha dovuto intervenire per evitare nomi internazionalmente claudicanti. Con una recente pronuncia inedita il Tribunale di Reggio Emilia, rel. Scati, ha accolto il ricorso della madre ucraina avverso il provvedimento dell’ufficiale di Stato Civile che a seguito dell’acquisita cittadinanza italiana della figlia aveva trascritto l’atto di nascita attribuendole il cognome paterno in luogo di quello materno scelto dalla madre e portato dalla figlia. Trib. Reggio Emilia, decreto 28 maggio 2007. 17 La Convenzione di Monaco 5 settembre 1980, ratificata dall’Italia con legge n.950/1984, stabilisce che i cognomi ed i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui la stessa è cittadina, mentre la legge 218/1995 di diritto internazionale privato fa riferimento alla legge applicabile ai diritti della personalità, che non sempre coincide con la legge nazionale, determinando così uno sfasamento normativo. Importante ruolo è svolto dalla CIEC, Commissione Internazionale dello Stato Civile, nata nel 1949 con lo scopo di armonizzare gli ordinamenti statali nelle materie relative alla condizione delle persone, famiglie e cittadinanze. 27 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA C onclusesi le kermesse del Family Day (Roma, 12 maggio 07, manifestazione organizzata da Più Famiglia, il progetto promosso dal Forum delle associazioni familiari con i movimenti, le associazioni e le nuove realtà ecclesiali) e della Conferenza Nazionale della Famiglia (2426 maggio 2007, promossa dal Governo con lo slogan “Cresce la famiglia, cresce l’Italia”), è necessario soffermarsi a riflettere sul dibattito che si è aperto sulle “politiche per la famiglia”, che si richiama non tanto e non solo alle politiche di welfare, ma soprattutto REALTÀ DEI BISOGNI DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA E POLITICHE PER LA FAMIGLIA DEL GOVERNO PRODI MILENA PINI*_ a due storiche tesi politico-giuridico-sociali, che fino ad oggi erano l’una all’altra opposte, e cioè il riconoscimento da un lato dei “diritti della famiglia”, e dall’altro dei “diritti delle persone”, come singoli componenti della famiglia. Sin dagli interventi introduttivi della Conferenza Nazionale della Famiglia, tenuti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dall’On.le Rosy Bindi, Ministro delle Politiche per la Famiglia, è emerso il primo obiettivo politico di questa iniziativa del Governo Prodi: dare riconoscimento ai diritti della famiglia, intesa come soggetto giuridico e persino politico, come gestore delle “politiche per 28 AIAF RIVISTA 2007/2 la famiglia”, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Il Ministro Bindi nella sua relazione è stata chiara ed esplicita: “… Non c’è contrapposizione tra diritti della famiglia e diritti dei singoli. Nella prassi politica c’è sempre stata una diffusa timidezza nell’attuazione di questo articolo (art. 29 Cost., ndr), forse dettata dalla preoccupazione, costituzionalmente infondata, che il riconoscimento dei diritti della famiglia potesse legittimare situazioni normative in contrasto con i diritti inviolabili della persona.”. Anche il Presidente della Repubblica ha tenuto a sottolineare che “c’è ampio spazio per un confronto costruttivo, per una schietta emulazione, anche sul piano delle analisi e delle proposte, e in definitiva per una ricerca di risposte che non dividano il Paese, che non scivolino sul piano inclinato di un’artificiosa e perniciosa contrapposizione tra cattolici e laici.”. In effetti, nell’attuale momento politico, e nella spasmodica ricerca di una unità nazionale, sembra che la maggioranza governativa aderisca favorevolmente al richiamo del rispetto dei principi più conservatori della dottrina cattolica, tanto da far ritenere molto simili le proposte politiche dei promotori del Family Day e quelle del Governo di centro sinistra. Le relazioni introduttive delle sessioni di lavoro della Conferenza di Firenze e le relazioni conclusive dei rapporteur al termine dei lavori di gruppo, contengono infatti affermazioni e proposte che destano una viva preoccupazione in chi crede nella laicità dello Stato, al di là dei programmi di sinistra o di destra, e nell’esigenza che lo Stato salvaguardi in modo effettivo e concreto i diritti e le libertà dei cittadini. Il programma illustrato dal Ministro Bindi prevede peraltro interventi concreti, apprezzabili e condivisibili, e non c’era necessità di insistere su premesse ideologiche sulle quali è difficile convergere. Il piano di interventi proposto dal Governo prevede un nuovo welfare a misura di famiglia, imperniato sulla rete dei servizi per le famiglie (scuola, servizio sanitario, asili nido, servizi all’infanzia, consultori). “In una parola” - ha detto il Ministro Bindi - “c’è bisogno di applicare la Legge 328, che in questi ultimi anni è stata dimenticata. Bisogna ripartire dalla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali, LIVEAS, per garantire prestazioni omogenee in MAGGIO - SETTEMBRE 2007 tutto il paese. Ed inoltre, anche come una modalità applicativa e non necessariamente come un livello ulteriore e aggiuntivo di prestazioni, vanno individuati i LEF, i livelli essenziali per la famiglia. Bisogna interrogarsi sull’equità nell’accesso e sul costo dei servizi, modificando l’ISEE e tenendo conto, nella tariffazione dei servizi pubblici, della composizione del nucleo familiare. I servizi alla famiglia vanno comunque concepiti come un’offerta plurale, quanto più possibile personalizzata e a misura di famiglia. Una rete territoriale qualificata, frutto di incontro tra pubblico e privato e tra pubblico e privato sociale, in grado di rispondere a varie tipologie di famiglia e ai bisogni che cambiano nelle diverse stagioni della vita. Un’offerta entro cui la famiglia possa esercitare una libera scelta. Investire sui servizi all’infanzia e sugli asili nido è oggi una nostra priorità. Il consultorio può diventare un punto di riferimento, una struttura vicina, amica, con diverse figure professionali, dagli psicologi agli educatori, al mediatore familiare all’assistente sociale. C’è bisogno di un’équipe in grado di aiutare i genitori nel percorso di crescita e formazione dei figli, per affrontare assieme a loro i conflitti generazionali e le crisi di coppia, per promuovere la capacità di essere coniugi e di essere genitori.”. Il dibattito che si è svolto nelle Sessioni e nei gruppi di lavoro non si è però conseguenzialmente incentrato sugli strumenti e le risorse del settore “pubblico” per attuare il programma di Governo, bensì sull’esigenza di riconoscere la famiglia come soggetto giuridico, titolare di diritti che prevalgono sui diritti dei singoli suoi componenti, e sull’ipotesi privilegiata di attuare il programma del “nuovo welfare per le famiglie” tramite la delega all’associazionismo familiare. Il lavoro svolto dalla sessione FAMIGLIA E DIRITTI - che secondo il comunicato stampa degli organizzatori della Conferenza aveva come tema centrale la valorizzazione della piena soggettività della famiglia, gli strumenti della partecipazione e il riconoscimento attivo dell’associazionismo familiare, e quindi l’ipotesi di istituire un Tribunale della famiglia - è esemplare nel farci comprendere quale direzione ha imboccato questo Governo. La sessione FAMIGLIA E DIRITTI ha preso l’avvio dalla relazione di Francesco Paolo Casavola, storico del Diritto romano, Presidente NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Emerito della Corte Costituzionale, e Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica dal 2006, dove continua a distinguersi per le sue posizioni aderenti alle tesi espresse dalla Conferenza Episcopale Italiana. La scelta del relatore di questa sessione - forse la più importante della Conferenza in quanto comprendeva le tematiche etico-giuridiche su cui si fonda la famiglia e da cui dipendono le politiche per la famiglia - non è stata casuale, dovendo approfondire le premesse e le linee direttrici della “politica per la famiglia” dell’attuale Governo di centro-sinistra. Tuttavia la relazione del Presidente Casavola esprime tesi e proposte di assoluta osservanza del più retrivo pensiero cattolico. Il perno del suo intervento è stato il riconoscimento del soggetto giuridico “famiglia”, titolare di diritti e doveri, e l’annullamento del soggetto “persona/ individuo”, i cui diritti di libertà devono essere sacrificati di fronte al primato della famiglia. Questi i punti principali della sua relazione: La famiglia come persona giuridica a sé stante, distinta e sovraordinata ai suoi componenti. “….il sintagma dell’art. 29 «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», va letto e interpretato nella sua interezza. Diritti della famiglia viene comunemente letto come diritti nella famiglia, vale a dire diritti di coloro che nell’ambito familiare hanno lo status di coniuge, genitore, figlio. Si tratterebbe di diritti cui corrispondono doveri nelle relazioni interpersonali familiari. Ma questa lettura, nella sua radicale portata individualistica, finisce con il dimenticare che il riconoscimento della Repubblica ha per oggetto una comunità originaria, non individui singoli.” I diritti della famiglia e la negazione della rilevanza delle formazioni sociali ex art. 2 Cost. “I diritti della famiglia dell’art. 29 della Costituzione non sono riconducibili ai diritti individuali e delle formazioni sociali dell’art. 2. Nessuna formazione sociale include l’esperienza della persona così totalitariamente, dalla nascita alla morte, come la famiglia.” Il diritto all’unità della famiglia, come condizione per la realizzazione dei compiti di ogni componente. “Coniugalità, genitorialità, filialità sono modalità 29 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA naturali delle relazioni intrafamiliari, non dettate dunque da un ordinamento originario e autonomo del gruppo ai suoi componenti sudditi di una entità sovraindividuale. Esse incarnano istanze convergenti verso l’unità della famiglia, senza la quale nessuno dei componenti realizza la propria umanizzazione nella diversità dei compiti e dei fini peculiari ad ogni status. La traduzione di codeste esigenze etiche dalla naturalità alla giuridicità produce i diritti della famiglia, dato che questa rivendica dinanzi all’ordinamento come primo diritto quello all’unità. Non a caso il II comma dell’art. 29 completa la definizione del I comma, spiegando: «Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». “ Il matrimonio come mezzo per realizzare l’eguaglianza dei cittadini. “Il modello di famiglia riconosciuto in Costituzione rifiuta la tradizione civilistica della superiorità del marito sulla moglie, residuo della concezione romana del totale assorbimento della famiglia nella figura del pater. La Costituzione accoglie la valutazione della coscienza sociale, che non tollera la disuguaglianza in base alla distinzione di sesso. Il principio generale di eguaglianza, enunciato all’art. 3, richiama infatti la pari dignità sociale, cui segue in un’endiadi concettuale la eguaglianza dinanzi alla legge. Nell’art. 29 si ha una specificazione dell’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge… Con il matrimonio i coniugi hanno inteso fondare una famiglia e l’intento comune li fa moralmente eguali… È il matrimonio «ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare», il fondamento della famiglia, che ha come suo predicato l’unità.” I diritti della famiglia: l’eguaglianza dei coniugi deve essere subordinata alla conservazione dell’unità della famiglia. “Il principio è l’unità della famiglia, di fronte alla quale perfino la equiordinazione dei coniugi può essere ricondotta dalla legge a subordinarsi per la conservazione dell’unità della famiglia. E basterebbe questa proposizione del dettato costituzionale a persuadere che la famiglia ha diritti, a cominciare da quello riflessivo a conservarsi come gruppo unito, che non si esauriscono in quelli individuali dei suoi membri.” 30 AIAF RIVISTA 2007/2 I compiti genitoriali sono realizzabili solo nell’unità della famiglia. “Anche se apparentemente tautologico, definire la famiglia come luogo di unità vale a riconoscere che ciascuno dei diritti individuali dei componenti la famiglia ha come causa finale il diritto alla famiglia. L’art. 30, I comma («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio») segnala nell’intreccio di dovere e diritto la soggiacente naturalità della relazione di affetto, altruistico e egoistico insieme. Come naturalmente i genitori tendono ad adempiere i tre compiti di mantenere, istruire, educare, altrettanto naturalmente essi tendono a rivendicarli gelosamente come propri diritti. In un tale circuito il naturale e il giuridico si identificano, producendo ancora un’altra manifestazione della famiglia come unità. L’obbligo dei tre compiti è imposto ad ambedue i coniugi dal matrimonio «tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli» (art. 147 cod.civ.). Le condizioni poste sono realizzabili solo nell’unità della famiglia, nella forma più concreta in cui essa si esprime, che è la convivenza dei coniugi genitori con i propri figli.” Il primato della famiglia limita l’ambito di libertà dei comportamenti individuali: titolare dei diritti-doveri ex art. 143 c.c. è la famiglia. “Dal matrimonio derivano non solo l’obbligo alla fedeltà reciproca, all’assistenza morale e materiale, ma anche «alla collaborazione nell’interesse della famiglia» e alla coabitazione. Così come l’obbligo di entrambi i coniugi, in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo, «a contribuire ai bisogni della famiglia» (art. 143 cod.civ.), rende evidente che titolare di quei bisogni e del sistema di diritti-doveri apprestato a soddisfarli è la famiglia. Se si tratta di fissare la residenza della famiglia, i coniugi devono tener conto non solo delle esigenze di entrambi, ma anche di «quelle preminenti della famiglia stessa» (art. 144 cod.civ.). La famiglia è guidata dall’accordo tra i coniugi. In caso di disaccordo, ciascun d’essi, senza formalità, può rivolgersi al giudice, il quale fissa la residenza o decide su affari essenziali adottando «la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia» (art. 145 cod. civ.). Il coniuge che si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare vede sospeso il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’art. 143 cod.civ. Anche in questa sanzione è palese il prima- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 to della famiglia, che limita l’ambito di libertà dei comportamenti individuali.” Il disagio della coscienza sociale di fronte alla “mera convivenza”, relazione privata, revocabile e non necessariamente esclusiva. “Il sistema «diritti della famiglia» ha dunque come sua fonte il matrimonio. In assenza del matrimonio quel sistema non si costituisce. Le famiglie non matrimoniali sono riconducibili alle formazioni sociali, di cui all’art. 2 Cost., non al modello costituzionale della famiglia matrimoniale dell’art. 29. L’ordinamento rispetta la libertà di scelta delle persone tra un vincolo pubblico, permanente ed esclusivo, qual è il legame matrimoniale, e quello di una relazione privata, revocabile, non necessariamente esclusiva, qual è la convivenza. La identica naturalità biologica tra le due situazioni, della famiglia matrimoniale e di quella non matrimoniale, è insufficiente a superare la radicale diversità etica tra un atto di libertà che si autolimita una volta per sempre e un atto di libertà che vuole rinnovarsi quotidianamente. Le persone singole e la società sono poste, nell’un caso e nell’altro, in un tale divario, che è irragionevole interpretare la scelta non matrimoniale come contestazione sociale, cioè generale, di quella matrimoniale. Né si attenuerebbe tale pseudocontestazione introducendo legislativamente una famiglia non matrimoniale di rango inferiore a quella costituzionale. … Non si può tuttavia tacere che l’esclusività del modello costituzionale, se da un canto è manifestazione di rispetto della libertà delle persone, dall’altro non ha forza di confinare nella irrilevanza giuridica la mera convivenza. Il disagio che ne viene alla coscienza sociale riguarda soprattutto la relazione genitori-figli, la genitorialità adottiva, il gruppo monoparentale…“ Il primato dell’etica sul diritto. “È doveroso riflettere sulla dislocazione di tutta la problematica della famiglia sulla linea di frontiera tra diritto ed etica. Non si può chiedere al diritto quel che deve previamente essere prodotto da una matura ed alta coscienza etica della società. Il diritto ha bisogno di essere eticamente fondato per non funzionare come arrendevole ratifica di tendenze congiunturali della società. La storia sociale insegna che alla ricerca di assetti stabili le comunità umane non si dispongono sempre su itinerari di progresso. La desocializzazione, che NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA sembra minare la cultura occidentale, trova causa anche nella non accettazione della generosa ed onerosa solidarietà, richiesta dal corrispondersi di diritti e doveri nella famiglia fondata sul matrimonio. Tutto ciò che valga a frenare i processi di desocializzazione è utilmente sperimentabile. Ma priorità va data a politiche di sostegno alla famiglia stabilita in Costituzione. E va promossa una educazione alla famiglia, per salvarla, non con leggi e sentenze, ma con una libera e critica rivoluzione culturale da insidiosi e potenti cattivi maestri.” È possibile convergere su queste analisi e proposte? Forse sarebbe possibile non scivolare “sul piano inclinato di un’artificiosa e perniciosa contrapposizione tra cattolici e laici”, secondo l’invito del Presidente Napolitano, se le tesi sostenute da Casavola e da certa dottrina cattolica non annullassero cinquant’anni di percorso democratico del nostro Paese. Ben diverso era stato l’intervento introduttivo del Presidente Napolitano alla Conferenza di Firenze, quando ha ricordato che la “formulazione sulla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”… “già nel dibattito in Costituente si prestò a diverse interpretazioni. Uno dei maggiori protagonisti del dibattito, l’on. Aldo Moro sostenne con la sua inconfondibile finezza e misura, che non si trattava di una definizione ma di una norma volta a segnare ‘la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita’. Si intese cioè soprattutto fissare i limiti dell’intervento dello Stato, alla luce di un’esperienza di invadenze e costrizioni come quella vissuta nell’era della dittatura fascista. …In pari tempo bisogna sempre guardare al dettato della Costituzione repubblicana in tutte le sue articolazioni. I ‘principi fondamentali’ con cui si apre la Carta Costituzionale rappresentano naturalmente il più comprensivo quadro di riferimento: a cominciare dall’articolo 2 in cui si sanciscono ‘i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’ e nello stesso tempo li si vincola all’‘adempimento di doveri inderogabili di solidarietà’; e dall’articolo 3 in cui si afferma la ‘pari dignità sociale di tutti i cittadini’. Poi, nella specifica determinazione dell’articolo 29, 31 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA il matrimonio, di cui peraltro l’Assemblea non volle sancire l’indissolubilità, viene posto come fondamento giuridico privilegiato di una unione che poggi sull’eguaglianza dei coniugi e possa assolvere missioni come quella di ‘mantenere, istruire ed educare i figli’, contando su un impegno di promozione e di sostegno da parte della Repubblica. Per collocare l’elaborazione della Costituzione nel suo contesto storico, è molto importante ricordare come l’analisi da cui si partì nelle prime relazioni in Commissione si fosse concentrata sulle lacerazioni provocate nella famiglia dalla guerra allora appena conclusa, sui fattori di crisi dell’unità famigliare, sulla necessità di rafforzare quel ‘nucleo primordiale’ di operosa solidarietà per ricostruire il paese. Ma si posero con forza, nello stesso tempo, esigenze di profondo rinnovamento della famiglia anche e soprattutto dal punto di vista della posizione e della condizione della donna. Si iniziò così un cammino molto lungo. I principi - in primo luogo quello dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi - indicati nella Costituzione sarebbero stati compiutamente attuati solo trent’anni dopo, nell’aprile del 1975, con la grande conquista della riforma del diritto di famiglia”. Il Presidente della Repubblica ha quindi sottolineato nel suo intervento che oggi occorre guardare alla “famiglia reale, quale si è venuta configurando negli ultimi tempi in Italia…”, perché “è già in piena evidenza la portata di certi dati e di certe tendenze. Si è dinanzi a forme famigliari nuove mai tanto presenti nel nostro paese: coppie non unite in matrimonio, coppie senza figli, madri e padri single, coppie anziane - fenomeni che, tutti, riflettono non solo cambiamenti nel costume ma mutazioni profonde nella struttura demografica e tensioni molteplici nella società. Pesano le difficoltà che le donne incontrano nel combinare lavoro e cura della famiglia, pesano le condizioni economiche delle famiglie più povere o meno abbienti. C’è da adottare un insieme di politiche per incentivare la formazione della famiglia - come già disse la Costituzione - per sostenere il desiderio di paternità e di maternità, per elevare il tasso di occupazione femminile e rendere possibile la combinazione tra vita lavorativa e vita famigliare in una parità ed eguaglianza di doveri e di impegni tra i coniugi; c’è da sostenere i genitori nella crescita, nella cura e nell’educazione 32 AIAF RIVISTA 2007/2 dei figli, c’è da assistere in special modo le famiglie che vivono conflitti e gravi disagi.” L’esito del dibattito nei gruppi di lavoro evidenzia tuttavia che le parole del Presidente Napolitano, che richiamavano la realtà dei bisogni delle persone e della famiglia, sono state interpretate per motivare soprattutto tesi ideologiche. Così dall’intervento del Presidente Casavola ha preso le mosse il dibattito dei gruppi di lavoro della sessione FAMIGLIA E DIRITTI, al termine del quale il Prof. Renato Balduzzi (Ordinario di Diritto costituzionale, Presidente del MEIC - Movimento ecclesiale di impegno culturale, e dal maggio 2006 consigliere giuridico del Ministro delle politiche per la famiglia) ha redatto una relazione in cui emergono questi punti: • ammettere i diritti della famiglia comporta precisarne la natura e in particolare la struttura: in tale direzione va individuata la ricerca dei LEF - livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti della famiglia; • va individuata la priorità delle politiche promozionali di tali diritti: gli interventi sul tema dell’abitazione, dei servizi per la prima infanzia, il sostegno economico anche attraverso la politica fiscale, le iniziative per contribuire a contrastare la non autosufficienza; si tratta, in applicazione del principio di sussidiarietà specialmente orizzontale, di realizzare politiche per la famiglia che siano, altresì, politiche con la famiglia; va conseguentemente valorizzata la soggettività familiare, il suo carattere di gruppo unitario di comunità che si accompagna alla valorizzazione dell’associazionismo familiare; • si deve avviare una evoluzione dei servizi consultoriali in veri e propri centri per la famiglia, primo tassello organizzativo dei livelli essenziali (LEF); • occorre prevenire le “patologie dell’organismo familiare”, ed in tale prospettiva i centri per la famiglia andranno strutturati in modalità e forme tali da valorizzare e costituire un momento forte, ad esempio, potenziando i servizi di tipo psico-sociale e quelli di consulenza legale; • indifferibile è apparsa la istituzione di un unico giudice specializzato per la famiglia, che, oltre alla razionalizzazione ed al riordino di MAGGIO - SETTEMBRE 2007 competenze attualmente disperse, recuperi la peculiarità della giurisdizione della persona e della famiglia come giurisdizione dell’ascolto, come giudice prossimo ed amico. Lo stesso filo conduttore ideologico è emerso nella sessione LA FAMIGLIA CHE ACCOGLIE, laddove la relatrice Dott.ssa Giulia De Marco, Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, ha affermato che “…Una risposta alla pluralità di bisogni può essere offerta anche da una pluralità di famiglie riunite in cooperative o in associazioni. Esse infatti si presentano ai Servizi come una risorsa polifunzionale e strutturata, costituita da famiglie con caratteristiche di accoglienza diversificate, fornita anche di propri esperti, organizzata in termini di tempo e di servizi così da garantire autonomamente la piena realizzazione del progetto. Una rete di famiglie che trae dall’essere parte di un’associazione la forza, la consapevolezza e il sostegno necessari ad affrontare anche affidi particolarmente complessi. All’interno di queste “Centrali per l’affidamento” come un associazione ha amato definirsi potrebbero trovare posto anche servizi come il semiconvitto, servizi di baby parking, aiuto domiciliare, educativo assistenziale, residenzialità temporanea o di sollievo. L’associazione, grazie alla sua organizzazione e alla sua struttura composita, si presta particolarmente a prendere in carico anche famiglie di origine particolarmente problematiche da accompagnare nel superamento delle difficoltà. Da alcuni si è suggerito di riconoscere alle Associazioni non il ruolo di mediatori fra Servizi e famiglie affidatarie ma quello di soggetti sociali che assumono in proprio la responsabilità e la gestione degli affidamenti. Il minore sarebbe quindi affidato all’associazione che ne risponde tanto nei confronti della famiglia di origine quanto nei confronti dei Servizi. Si è anche sostenuto che un simile ruolo attivo e in prima persona potrebbe essere assunto dalle Associazioni limitatamente ai casi di affidamenti consensuali, quando cioè non ci sia una pronuncia del giudice limitativa della potestà ma un’auto limitazione da parte dei genitori. Questa ipotesi merita indubbiamente attenzione anche perché, le reti di famiglie che si prestano all’accoglienza costituiscono “quella soluzione originale che pone un ponte reale tra l’affido familiare e la comunità di accoglienza classica”. Esistono tuttavia dei nodi critici, certamente superabili ma che meritano di essere NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA evidenziati. Se l’Associazione si pone come interlocutore diretto dei Servizi, quale spazio avranno i Servizi nella scelta della famiglia cui affidare il bambino? Chi deciderà se l’affidamento deve essere prorogato? Chi deciderà in caso di contrasti fra la famiglia e l’Associazione nella valutazione dell’interesse del minore? È legittimata l’Associazione a decidere autonomamente la sostituzione della famiglia affidataria?…” Analogo orientamento ideologico ha assunto il dibattito su altre tematiche trattate dalle sessioni FAMIGLIA E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE (dove si è sottolineato che la famiglia è una risorsa pubblica, che deve diventare interlocutore privilegiato delle altre agenzie educative del Paese, in grado di esprimere le proprie responsabilità e le proprie attese…. l’educazione alla genitorialità deve partire dalle esigenze formative della famiglia, dalla funzione educativa della famiglia… c’è un diffuso bisogno di momenti di socializzazione interfamiliare e di formazione degli adulti), e dalla sessione FAMIGLIA E WELFARE (si è detto che occorre “valorizzare la dimensione familiare del welfare”, “mettere a fuoco, in relazione alle domande e ai bisogni della famiglia, le risposte più adeguate nel campo dei servizi all’infanzia e alla famiglia, fino ad oggi assolte in modo insufficiente dai consultori familiari.”). Quanto alla risposta al fenomeno crescente dei maltrattamenti in famiglia, soprattutto contro i soggetti deboli, minori e donne, che sfociano sempre più spesso in gravi fatti di sangue, i lavori della sessione FAMIGLIA, VIOLENZA E RIPARAZIONE sono stati orientati a indagare non solo e non tanto le dimensioni e la tipologia della violenza che si consuma tra le mura domestiche quanto la possibilità che la famiglia possa diventare luogo di prevenzione e riparazione, con il sostegno di una rete di servizi, che i gruppi di lavoro hanno individuato in primo luogo nei centri per la famiglia. I lavori e le conclusioni della Conferenza Nazionale della Famiglia fanno ben comprendere le ragioni e le cause che impediscono in questo Paese di adottare delle riforme legislative che tutelino i diritti delle persone, che in altri 33 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Paesi europei già sono sanciti da decenni. Ricordo solo alcune questioni che da tempo sono all’esame del Parlamento e delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato: famiglia di fatto, cognome dei figli, fecondazione assistita, testamento biologico. Come non ricordare poi l’esigenza di una riforma sostanziale e processuale della separazione e del divorzio, prevedendone la scelta alternativa in casi particolari, l’abbreviazione dei termini del divorzio, la modifica della normativa sulla comunione legale dei beni; l’esigenza di un giudice unico specializzato per i procedimenti di famiglia e minorili, che da sempre l’AIAF identifica con le sezioni specializzate da istituirsi presso il tribunale ordinario, e non certo in un altro tribunale speciale (il “tribunale per la famiglia”) che si propone di essere un “amico”! Questioni da anni irrisolte che corrispondono a reali esigenze delle persone e della famiglia… ma le “politiche per la famiglia” del Governo Prodi sembrano aver imboccato un’altra strada… * MEMBRO GIUNTA ESECUTIVA AIAF 34 AIAF RIVISTA 2007/2 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA DOCUMENTI DELLA FIRENZE, 24-26 MAGGIO 2007 MATERIALE STAMPA PUBBLICATO SUL SITO WWW.CONFERENZANAZIONALESULLAFAMIGLIA.IT INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO FIRENZE, 24 MAGGIO 2007 H o accolto volentieri il cordiale invito del ministro Bindi, perché vedo in questa Conferenza una iniziativa di interesse generale e di rilievo istituzionale: l’occasione non solo per illustrare orientamenti e obbiettivi dell’azione di governo ma per chiamare tutte le componenti della società italiana a un impegno che oggi ancor più di ieri appare ineludibile. Parlo dell’impegno a favorire e sostenere la piena affermazione dei valori, delle risorse, delle missioni della famiglia. È, come sapete, un impegno già sancito, sessant’anni or sono, nella Costituzione repubblicana, in quella sua prima parte che non è stata mai messa in questione da nessuno schieramento politico, che può dunque ritenersi sempre condivisa, e che di certo gli italiani hanno mostrato, nel referendum dello scorso anno, di voler mettere al riparo da ogni rischio di manipolazione insieme con gli equilibri istituzionali su cui si regge l’ordinamento della Repubblica. Il richiamo alla stagione dell’Assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946, in uno con la scelta tra monarchia e repubblica, rappresenta più che mai una fonte preziosa di ispirazione e riflessione, in quanto richiamo a un esempio ineguagliato di sintesi politica sostenuta da un profondo retroterra di riferimenti culturali e di analisi sociali. È quel che conferma anche il rinvio alla gestazione degli articoli sulla famiglia. Si confrontarono allora diverse scuole di pensiero, anche e in particolare storico-giuridico, che confluirono, non senza contrasti e riserve, in quella formulazione sulla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, che già nel dibattito in Costituente si prestò a diverse interpretazioni. Uno dei maggiori protagonisti del dibattito, l’on. Aldo Moro, sostenne con la sua inconfondibile finezza e misura, che non si trattava di una definizione ma di una norma volta a segnare “la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita”. Si intese cioè soprattutto fissare i limiti dell’intervento dello Stato, alla luce di un’esperienza di invadenze e costrizioni come quella vissuta nell’era della dittatura fascista. E lo stesso Moro volle chiarire che con la formula “società naturale” non si voleva affermare che “la famiglia fosse una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico”, né escludere che essa avesse “un suo processo di formazione storica”. La discussione che ebbe luogo nella Costituente può apparire datata solo se si sia incapaci di collocarla nel suo tempo storico; essa rimane illuminante per non cadere in interpretazioni parziali di ogni singola formulazione costituzionale. In pari tempo bisogna sempre guardare al dettato della Costituzione repubblicana in tutte le sue articolazioni. I “principi fondamentali” con cui si apre la Carta Costituzionale rappresentano naturalmente il più comprensivo quadro di riferimento: a cominciare dall’articolo 2 in cui si sanciscono “i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e nello stesso tempo li si vincola all’ “adempimento di doveri inderogabili di solidarietà”; e dall’articolo 3 in cui si afferma la “pari 35 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA dignità sociale di tutti i cittadini”. Poi, nella specifica determinazione dell’articolo 29, il matrimonio, di cui peraltro l’Assemblea non volle sancire l’indissolubilità, viene posto come fondamento giuridico privilegiato di una unione che poggi sull’eguaglianza dei coniugi e possa assolvere missioni come quella di “mantenere, istruire ed educare i figli”, contando su un impegno di promozione e di sostegno da parte della Repubblica. Per collocare l’elaborazione della Costituzione nel suo contesto storico, è molto importante ricordare come l’analisi da cui si partì nelle prime relazioni in Commissione si fosse concentrata sulle lacerazioni provocate nella famiglia dalla guerra allora appena conclusa, sui fattori di crisi dell’unità famigliare, sulla necessità di rafforzare quel “nucleo primordiale” di operosa solidarietà per ricostruire il paese. Ma si posero con forza, nello stesso tempo, esigenze di profondo rinnovamento della famiglia anche e soprattutto dal punto di vista della posizione e della condizione della donna. Si iniziò così un cammino molto lungo. I principi - in primo luogo quello dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi - indicati nella Costituzione sarebbero stati compiutamente attuati solo trent’anni dopo, nell’aprile del 1975, con la grande conquista della riforma del diritto di famiglia. Fu una riforma per cui non a caso lavorarono insieme negli anni, contribuendo a costruire un largo consenso finale, figure femminili e parlamentari di alto livello, portatrici di diverse tradizioni culturali, come Nilde Iotti e Maria Eletta Martini. Disse significativamente la Martini che con la riforma ci si adeguò alla Costituzione e insieme ai tempi nuovi. Tempi scanditi dai mutamenti intervenuti nella coscienza popolare, in modo particolare nella coscienza delle donne, nella concezione del rapporto tra i coniugi e del rapporto tra genitori e figli, associando agli stessi diritti i figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio. Tempi nuovi anche nel senso - sottolineò la Iotti - del crescere di un bisogno di solidarietà: quella solidarietà, in primo luogo, che nella unione famigliare si esprime e realizza. Negli stessi anni, furono egualmente frutto di un processo di trasformazione prodottosi nella società e nella stessa famiglia italiana, le leggi sul divorzio e sull’aborto. Ebbene, continuo a ritenere che prendendo come quadro di riferi- 36 AIAF RIVISTA 2007/2 mento principi e valori della Carta Costituzionale, rivisitati nei loro presupposti ideali e culturali, nei loro rapporti con l’epoca in cui vennero definiti, e nella loro complessiva coerenza, si possa giungere oggi a soluzioni condivise - a soluzioni comunque non rese più difficili da impropri spartiacque ideologici e politici, di fede o di opposta convinzione - per i problemi attuali della famiglia. Della famiglia reale, quale si è venuta configurando negli ultimi tempi in Italia. Se ne puntualizzerà l’analisi in questa Conferenza, ma è già in piena evidenza la portata di certi dati e di certe tendenze. Si è dinanzi a forme famigliari nuove mai tanto presenti nel nostro paese: coppie non unite in matrimonio, coppie senza figli, madri e padri single, coppie anziane - fenomeni che, tutti, riflettono non solo cambiamenti nel costume ma mutazioni profonde nella struttura demografica e tensioni molteplici nella società. Pesano le difficoltà che le donne incontrano nel combinare lavoro e cura della famiglia, pesano le condizioni economiche delle famiglie più povere o meno abbienti. Troppe famiglie sono poste nell’impossibilità di crescere e di assolvere funzioni essenziali. In particolare, di fronte al travaglio che esprimono le generazioni più giovani e al manifestarsi di tendenze inquietanti sul piano del costume e della convivenza democratica, si avverte oggi un assoluto bisogno della famiglia come centro di educazione civile. Ma occorre a tal fine che si elevi la condizione materiale e morale della famiglia italiana, e che, naturalmente, si favorisca la creazione di sempre nuove famiglie. Non si può fare affidamento solo sulla natalità delle famiglie di immigrati, che pure è importantissimo integrare effettivamente nel nostro sistema di diritti e di responsabilità. C’è da adottare un insieme di politiche per incentivare la formazione della famiglia - come già disse la Costituzione - per sostenere il desiderio di paternità e di maternità, per elevare il tasso di occupazione femminile e rendere possibile la combinazione tra vita lavorativa e vita famigliare in una parità ed eguaglianza di doveri e di impegni tra i coniugi; c’è da sostenere i genitori nella crescita, nella cura e nell’educazione dei figli, c’è da assistere in special modo le famiglie che vivono conflitti e gravi disagi. L’impegno per un deciso balzo in avanti nello sviluppo delle politiche pubbliche rivolte alla MAGGIO - SETTEMBRE 2007 famiglia, non nasce con questa Conferenza. Un inventario di temi e un indirizzo concreto di azione furono già illustrati dal ministro Bindi in Parlamento nel luglio dello scorso anno. Uno sforzo notevole di riflessione e di proposta è stato compiuto dalla Commissione Affari Sociali della Camera, in uno spirito di condivisione maggiore di quel che abbiano mostrato i distinguo finali sull’approvazione del documento conclusivo. E ora, il ricco programma di sessioni tematiche previsto per questa Conferenza, sulla base della relazione che sarà di qui a poco svolta dal Ministro della Famiglia, disegna uno scenario largamente rappresentativo dei problemi da affrontare e delle scelte da compiere. C’è ampio spazio per un confronto costruttivo, per una schietta emulazione, anche, sul piano delle analisi e delle proposte, e in definitiva per una ricerca di risposte che non dividano il paese, che non scivolino sul piano inclinato di un’artificiosa e perniciosa contrapposizione tra cattolici e laici. La ricerca deve vedere impegnati il Parlamento, le istituzioni rappresentative dello Stato democratico nel pieno e sereno esercizio dell’autonomia sancita dalla Costituzione e nell’attento e serio ascolto delle preoccupazioni e dei contributi di pensiero che possono venire dalla Chiesa e dalle organizzazioni cattoliche, come da ogni altra componente della società NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA civile. È solo parte del discorso pubblico sulla famiglia, la soluzione - che comunque non può essere elusa - dei problemi per quanto delicati di un riconoscimento formale dei diritti e dei doveri di unioni che non sono confondibili o equiparabili rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, ma che vanno concretamente assunte come destinatarie dei principi fondativi della Costituzione senza alcuna discriminazione. Ben comprendendo come tutte le solidarietà e le corresponsabilità che nascano da stabili rapporti di affetto e di reciproco rispetto, costituiscano una realtà da considerare significativa sotto il profilo della convivenza civile e della coesione sociale. È in questo spirito che indirizzo un caldo, amichevole apprezzamento al ministro Bindi per lo scrupolo e la limpidezza di cui è testimonianza questa Conferenza, e a voi tutti il più sincero augurio di successo per i lavori cui vi accingete. Fin dall’inizio del mio mandato, ho ritenuto che fosse mio preciso compito e dovere istituzionale, mettere l’accento su quel che dovrebbe e che può unire il paese. Non dubito che tale sia la prospettiva dell’impegno pubblico per la famiglia, attento alla realtà del nostro paese e all’evoluzione del sistema comunitario e del processo di costruzione dell’Europa unita. INTERVENTO DEL MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIA ON. ROSY BINDI FIRENZE, 24 MAGGIO 2007 S ignor Presidente, autorità, signore e signori, mi consenta Presidente di esprimere la mia gratitudine personale, del Governo e di tutti i presenti. Il mio saluto è rivolto a Lei, alla Sua presenza che rappresenta l’unità del nostro Paese e nello stesso tempo è il segno concreto di una nuova e particolare attenzione alla vita delle famiglie italiane. Nella Sua persona le salutiamo tutte. Ma voglio, altresì, ringraziare per tutti il Sindaco di Firenze, questa meravigliosa città, questa regione, che ci accolgono con l’ospitalità che è di sempre. Un grazie particolare anche al Cardinale Antonelli, Pastore della Chiesa fiorentina, per la sua presenza, per l’attenzione che ha voluto riserva- re a questa iniziativa sulla famiglia che il Governo italiano ha organizzato con tanta attenzione, ma anche con tante speranze. 1 - LA FAMIGLIA UNISCE E NON DIVIDE Questa Conferenza nazionale è stata voluta dal Governo con l’obiettivo di predisporre il Piano nazionale per la famiglia, affinché la politica e le politiche pongano al centro le famiglie italiane con i loro problemi ma soprattutto con la loro capacità di essere una risorsa per l’intero paese. Per la prima volta nel governo è stato inserito un ministro delegato esclusivamente alle politiche per la famiglia, dove il “per” esprime non sol- 37 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA tanto l’oggetto materiale delle sue competenze, ma soprattutto le finalità della sua attività: promuovere la famiglia, secondo le indicazioni costituzionali, racchiuse negli articoli 29, 30 e 31. Questo è il nostro orizzonte comune, che tanto bene ci è stato ora ricordato dal Presidente, da qui noi prendiamo le mosse, perché esso ci permette di superare le discussioni paralizzanti sul significato e sul contenuto etico e giuridico della parola famiglia. Questo terreno condiviso sta alla base della nostra Conferenza: la famiglia è una comunità, una unità di persone che è chiamata a essere luogo di formazione, nella mutualità e nella reciprocità, della personalità di ciascuno. Nucleo fondamentale della società, la famiglia a cui ci riferiamo è quella dell’articolo 29 della Costituzione, frutto del pensiero e del lavoro dei nostri costituenti, i quali - pur così diversi per cultura e concezione del mondo- seppero trovare una sintesi felice. La formulazione letterale dell’art. 29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, non implica alcuna contrapposizione tra diritti della famiglia e diritti dei singoli. Nella prassi politica c’è sempre stata una diffusa timidezza nell’attuazione di questo articolo, forse dettata dalla preoccupazione, costituzionalmente infondata, che il riconoscimento dei diritti della famiglia potesse legittimare situazioni normative in contrasto con i diritti inviolabili della persona. In realtà non c’è ragione, né culturale né politica né costituzionale di continuare ad avanzare pregiudizi verso i diritti del gruppo familiare che anzi, anche alla luce dell’art. 2 della Costituzione e del principio personalistico a cui si ispira, appaiono funzionali alla tutela dei diritti della persona. E se concordano orientamento costituzionale, senso comune, riflessione etica e poesia, penso per tutti al Cantico dei cantici che è appena stato interpretato per noi, forse possiamo essere tutti meno timidi nel fare nostra questa opzione antropologica. È ora di liberare il dibattito dalle contrapposizioni politiche e dalle strumentalizzazioni reciproche. Perché è proprio nella realtà vera e vissuta delle famiglie italiane, nei loro bisogni dichiarati e nelle loro difficoltà inespresse, nei mutamenti culturali che la rendono sempre più complessa, che vogliamo individuare le nostre politiche. 38 AIAF RIVISTA 2007/2 Servire - come chiede ogni responsabilità politica e di Governo - le famiglie italiane, tutte le famiglie nella multiforme realtà della loro esistenza quotidiana - presuppone tuttavia che questo valore non abbia un confine labile e incerto. La famiglia non è un concetto liquido, adattabile a qualunque situazione. Qualunque sia l’immagine che ciascuno di noi porta con sé, la famiglia resta un bene essenziale e insostituibile per la persona e la società. È il luogo privilegiato dove convivono, nella reciprocità, affetti, progetti, sensibilità, debolezze e potenzialità. Anche il gran parlare di crisi o meglio di trasformazione della famiglia indica, non tanto il venir meno delle ‘ragioni’ della famiglia quanto, l’esigenza di rimotivare e rilanciare il bisogno di famiglia della nostra comunità. Si fa unità e si unisce il paese se nella consapevolezza del pluralismo presente nella società sapremo affermare insieme al primato della persona, la soggettività della famiglia. Credo che passi anche di qui la sfida dell’autentica laicità, che non è assenza di valori, non è indifferenza di fronte alle grandi questioni etiche che attraversano la nostra società e la coscienza delle persone, non è contrapposizione tra visioni pluraliste della vita e complessità della realtà, ma è ricerca infaticabile di sintesi attraverso il dialogo e il confronto. È con questa consapevolezza che il governo ha presentato alcuni mesi fa il disegno di legge sui diritti e i doveri individuali delle persone stabilmente conviventi. Quel disegno di legge, ora affidato alle Camere, riconosce ai conviventi alcuni diritti e doveri personalissimi, con lo scopo di valorizzare i vincoli di solidarietà e di tutelare la parte più debole. Il Governo non ha mai voluto intaccare il plusvalore della famiglia fondata sul matrimonio, ma al tempo stesso non ha voluto discriminare i diritti delle persone in base alle scelte di vita, né creare una nuova situazione giuridica paragonabile ad un matrimonio di serie B. Non siamo comunque sordi alle preoccupazioni e anche al dissenso che si è manifestato verso questa proposta. Due sono le intenzioni che non possono essere rimosse: il riconoscimento dei diritti dei conviventi, che nessuno mi pare vuole negare, e la salvaguardia della famiglia così come la Costituzione la disegna. Se vi è la condivisione di queste intenzioni, io credo che gli strumenti si MAGGIO - SETTEMBRE 2007 possono trovare attraverso il confronto e il dialogo, in vista di una sintesi originale che possa fare il bene delle persone e della nostra comunità civile. Ma questa Conferenza che ha a cuore il bene della famiglia, e se tutti la poniamo veramente al centro del nostro impegno, ebbene, proprio per questo, dobbiamo cercare le cause vere e profonde che mettono a rischio la tenuta della famiglia. 2 - LA REALTÀ DELLE FAMIGLIE Guardiamoci attorno, dunque, con più libertà e lucidità di giudizio, e cerchiamo di leggere i mutamenti che attraversano la famiglia e di coglierne le cause. Non presenterò una fotografia dettagliata della situazione demografica del paese né intendo soffermarmi in un’analisi sociologica delle trasformazioni in atto. Troverete un ampio materiale - dati e dossier, curati per questa occasione dall’Istat e dal Censis che ringrazio - che offriamo a tutti come una solida base di conoscenza da cui partire nei lavori delle sessioni e dei gruppi. Mi limito a tracciare per sommi capi le linee di tendenza. La specificità italiana ormai non è tanto la “bassa fecondità” ma la “persistente bassa fecondità” che va avanti da vent’anni. Nonostante il recente aumento delle nascite, continuiamo ad essere uno dei paesi che fa meno figli. Il numero medio di figli per donna è attualmente pari a 1,35. Eppure tutte le indagini dicono che in media le coppie italiane desiderano più di due figli. Nei prossimi decenni, ed è questa la conseguenza demografica più evidente, si avrà uno crollo della popolazione in età lavorativa maggiore rispetto agli altri paesi. Da qui al 2040, in particolare, avremo 7 milioni di anziani in più e 7 milioni di persone in età lavorativa in meno. La popolazione invecchia, aumenteranno ancor di più i grandi vecchi. Gli anziani con oltre 80 anni, che sono già due milioni e mezzo, sono destinati a triplicarsi entro il 2050 e una parte molto rilevante non sarà in condizione di autosufficienza. Tra questi due estremi c’è la famiglia italiana. Sempre più piccola sempre più anziana. Si forma sempre più tardi, fa pochi figli e li trattiene a casa anche quando diventano adulti. Ha poche donne che lavorano e grande difficoltà a conci- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA liare i tempi del lavoro e degli affetti. Sono primati infelici che ci accompagnano da poco tempo, che frenano la crescita del Paese e non ci mettono al passo con il resto dell’Europa. Sappiamo, inoltre, che i ragazzi che tentano di uscire di casa per affrontare una vita autonoma e una vita di coppia, spesso sono costretti a tornare dai genitori respinti dalla instabilità del lavoro, e dagli affitti esorbitanti. Sappiamo che l’instabilità coniugale è in forte aumento. Ci si sposa sempre di meno, aumentano le convivenze prematrimoniali e non, mentre crescono separazioni e divorzi. Ma, sia chiaro, noi non sosteniamo la fine della famiglia. Vorremmo piuttosto capire in che modo, salvaguardando lo spazio inviolabile delle scelte più intime e personali, la politica può sostenere e promuovere la famiglia. Quanti giovani convivono perché hanno fatto una scelta di libertà e quanti invece aspettano e rinviano il matrimonio per ragioni economiche o di organizzazione del lavoro? Quante famiglie si fermano al primo figlio perché va bene così e quante rinunciano al secondo o al terzo perchè non hanno abbastanza soldi e non gli si può chiedere di affrontare da sole nuovi sacrifici e nuove rinunce? E quante coppie si separano con una decisione libera e meditata e quante perché la durezza della vita, le sofferenze e le inquietudini personali li hanno colte indifese e impreparate? So bene che si tratta di una materia molto delicata, che va maneggiata con cura e pudore, ma sentiamo il dovere di rispondere a queste domande. Solo così potremo indicare i sostegni più opportuni, gli strumenti più efficaci e una politica per la famiglia all’altezza delle sfide del nostro tempo. Siamo infatti convinti che, nonostante tutto, le famiglie italiane siano la dorsale viva di questo paese, lo straordinario capitale sociale di energie, fiducia, lealtà, stabilità, socialità che alimentano e rigenerano il legame sociale e la coesione del paese. Voglio per questo, ringraziare anche a nome di tutti, le famiglie italiane. Quelle famiglie di ieri e di oggi che in mille modi si sono fatte e si fanno carico di rendere più vivibile e solidale la nostra società: si dedicano all’educazione dei figli, danno conforto e curano anziani e malati, e fanno la ricchezza del Paese. 39 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Ringrazio in particolare le famiglie che accolgono in affidamento e in adozione bambini e bambine in difficoltà o abbandonati. Ma anche e soprattutto vorrei far sentire la vicinanza del Governo alle tante, troppe, famiglie fragili e a quelle povere. Infine questa Conferenza saluta le famiglie italiane nel mondo, che hanno dovuto lasciare il nostro paese. La loro esperienza ci è preziosa per ricordare il dramma dell’emigrazione e per farci riconoscere una storia simile nelle persone e nelle famiglie immigrate che arrivano oggi nel nostro paese e che noi consideriamo una grande risorsa.. Tutte queste famiglie affrontano un mondo che in pochi decenni è cambiato più di quanto abbia fatto nel corso dei due secoli precedenti. Si misurano con la potenza della globalizzazione, le incertezze e la flessibilità del lavoro e della produzione, con l’invasività dei mezzi di comunicazione di massa, con gli sviluppi della medicina e della scienza che hanno influenza sull’etica, con le tecnologie sempre più avanzate che rischiano di lasciare indietro i più deboli e i più anziani. E come accade spesso, la politica appare in ritardo. Finora le politiche hanno sempre considerato separatamente i vari “comparti del vivere” e le “diverse fasi della vita”. La ricomposizione di un equilibrio (spesso incerto) è stato ed è tuttora demandato alla famiglia stessa e ai suoi componenti, con i genitori costretti a conciliare le esigenze produttive (il tempo del lavoro) con quelle riproduttive (il tempo della cura dei figli) e talvolta con quelle assistenziali (il tempo delle malattie, della vecchiaia,). Eppure abbiamo una buona tutela della maternità, buone leggi sull’infanzia, sui diritti delle donne e dei lavoratori. Il sistema di garanzie sociali: la scuola, la sanità, la previdenza, assicurano prestazioni competitive con il resto dell’Europa. Ma raramente la famiglia, in quanto tale, appare come soggetto di diritti ed è messa in circolo come risorsa. Anzi ha finito in tutti questi anni per giocare un ruolo di supplenza in molte responsabilità pubbliche. Con creatività e generosità ha colmato i vuoti e ricucito le smagliature che via via si sono aperti nel nostro sistema di welfare, sotto l’effetto combinato di nuovi modelli di organizzazione del lavoro e dei nuovi squilibri demografici. È stato detto molte volte, è un’espressione che 40 AIAF RIVISTA 2007/2 non mi piace, ma c’è poco da fare: la famiglia è stata ed è il più efficace ammortizzatore sociale, la più capillare rete di sicurezza sociale, di cui dispone l’Italia. Questo è un compito che non può più essere affidato solo alla pazienza, alla fantasia e allo spirito di sacrificio di milioni di famiglie italiane. 3 - LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLE SFIDE DI OGGI Tanto più che oggi le famiglie sono al crocevia di tre grandi questioni culturali e sociali. Penso in particolare alla responsabilità educativa del mondo adulto verso le nuove generazioni, alla solidarietà tra le generazioni, alla sfida della società multiculturale. Credo che queste tre responsabilità qualificano, più di altre, i compiti della famiglia nel nostro tempo. E più di altre segnalano le nuove difficoltà ma anche grandi potenzialità delle nostre famiglie. La responsabilità educativa Non vi è dubbio che oggi ci sia una generale esigenza di riflettere e di ridefinire cosa significhi esercitare il ruolo educativo degli adulti. Non voglio parlare di una resa delle responsabilità genitoriali, né condivido l’enfasi e la drammatizzazione che accompagna i casi di devianza, di bullismo e violenza minorile. Non sfugge a nessuno l’emergenza educativa, la solitudine di tante famiglie, la fatica di genitori e insegnati. Ma c’è da chiedersi se oggi siamo di fronte ad una nuova “questione giovanile” o non piuttosto ad una inedita “questione adulta”. Il classico conflitto genitori-figli sembra scomparso e i genitori appaiono figure amiche, alla pari, spesso complici nella competizione negli stili di vita e nei consumi con i propri figli. Troppe incertezze e troppe ansie, assediano mamme e papà in questo compito, davvero delicato e inestimabile. Ansia rispetto alle proprie aspettative, ansia di essere genitori perfetti, ansia sulle performance dei propri figli e soprattutto per i rischi che possono correre nel mondo esterno. I tempi della crescita sono stravolti, si anticipano bisogni e richieste ed è sempre più faticoso dire di no, dettare le regole, imporre dei limiti. Registro la fatica di tante famiglie nell’accompagnare con più autorevolezza e naturalezza, la crescita e la maturazione dei figli. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 Chiediamoci allora, come sostenere la normalità della relazione tra genitori e figli. Credo che sia arrivato il momento di un nuovo patto educativo tra scuola e famiglia, ma è anche necessario che i genitori abbiano più tempo per stare con i figli e tutta la cultura compresa quella dei mezzi di comunicazione di massa sia disposta ad accompagnare questa sfida. Solidarietà tra le generazioni Di fronte ai cambiamenti che abbiamo delineato, il nostro modello di welfare, elaborato su una struttura demografica diversa, si è trovato impreparato. Pensiamo soltanto al fatto che ieri un nonno aveva cinque nipoti mentre oggi un nipote ha cinque nonni! È chiaro che questo Governo non intende fare delle politiche miopi che mettano i padri contro i figli. Nostro obbiettivo è quello e di creare le condizioni per tessere unità tra le generazioni, varare delle riforme coraggiose e ridistribuire risorse. Ed è necessario che tutto questo abbia come interlocutore la famiglia, luogo di incontro reale tra le generazioni. Dobbiamo valorizzare ogni generazione, in modo particolare quella degli anziani, non soltanto perché sono utili in quanto restano nel mondo produttivo, ma perché assumono un ruolo significativo nella cura dei bambini piccoli, dei nipoti adolescenti, di compagnia per altri anziani, di appoggio per la coppia genitoriale. Queste sono funzioni preziose che dovrebbero essere in qualche modo riconosciute e valorizzate socialmente. Una società “smemorata”, in cui si scolora lo scambio tra generazioni, è una società più povera e più esposta al cinismo. Altra nostra preoccupazione riguarda la generazione che sta in mezzo e si deve occupare sia dei giovani che degli anziani. Le chiamano famiglie sandwich e sono sempre più numerose. Famiglie che devono dividere le proprie risorse psichiche e materiali tra l’assistenza di un genitore spesso non più autonomo e l’aiuto a figli che invece stentano a rendersi autonomi. Società interculturale È una sfida per le famiglie di oggi. Ormai viviamo in una società interculturale. L’Italia ha una grande opportunità, forse perché arrivando più tardi a questa grande sfida che riguarda il mondo intero, può evitare errori già compiuti altrove. Riteniamo che nel nostro Paese sia un segnale positivo il numero crescente di famiglie immigrate che si va naturalmente inte- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA grando e sta migliorando anche il trend demografico. Non vi è solo l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati, ma anche il fatto che le famiglie giovani di immigrati hanno spesso un livello di istruzione media o alta, che può rappresentare una risorsa. Penso che proprio la famiglia sia il luogo dove è possibile l’integrazione di modelli culturali diversi. Il rapporto tra un cinese ed un italiano, tra un italiano e un magrebino può anche costituire una sfida; ma il rapporto tra una famiglia cinese e una italiana, o tra una famiglia italiana ed una magrebina mette in gioco possibilità più ricche di incontro e di scambio. Per questo motivo, come Governo, abbiamo puntato alla modifica della precedente legislazione, partendo dai ricongiungimenti familiari che riteniamo importanti per dare stabilità e qualità alla vita delle famiglie immigrate agevolando l’intera rete delle relazioni sociali, anche attraverso l’inserimento dei bambini nelle nostre scuole e tra i gruppi di coetanei nelle associazioni. Nella famiglia e tra le famiglie passa, dunque, la possibilità di delineare un modello di convivenza multietnica e multiculturale nell’Italia degli anni Duemila. Non possiamo nasconderci, però, che la multiculturalità ci pone anche problemi di sicurezza, molto avvertiti in tutte le fasce sociali della popolazione, soprattutto in quelle più deboli Ma è proprio l’integrazione la principale politica per la sicurezza. Responsabilità educative, solidarietà tra generazioni e multiculturalità, abbiamo detto. Queste sono le tre grandi sfide che incrociano la famiglia del futuro. sfide che o rappresentano un’occasione favorevole per far emergere le potenzialità e le risorse che la famiglia custodisce in sé o forse l’intero paese non riuscirà a cogliere. Per questo abbiamo scelto come slogan della nostra Conferenza nazionale “Cresce la famiglia, Cresce l’Italia”. La famiglia cresce e cresce l’Italia se tornano a nascere tutti i bambini che sono desiderati. La famiglia cresce e cresce l’Italia se si ricostruisce il patto di solidarietà tra le generazioni. La famiglia cresce e cresce l’Italia se si accorciamo le distanze tra Nord e Sud del Paese. Se le ragazze e i ragazzi del nostro Mezzogiorno potranno contare su un lavoro stabile, adeguato alla loro formazione, se non saranno costretti a trasferirsi all’estero. 41 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA La famiglia cresce e cresce l’Italia se si rafforzata la rete dei servizi pubblici- asili nido, scuole, infrastrutture sociali. Se il tempo degli affetti, della cura reciproca, della festa e del riposo si combina in modo più equilibrato e libero con i tempi del mercato e con l’ organizzazione del lavoro, con i ritmi, gli spazi, la vivibilità dei nostri quartieri e delle nostre città con la qualità dell’ambiente. La famiglia cresce e cresce l’Italia se la legalità e la sicurezza si affermano come il risultato di un’azione di prevenzione diffusa della cultura della violenza, in particolare di quella sui bambini e le donne, di contrasto e repressione della tante forme di criminalità, più o meno organizzata. Tutto questo significa anche lavorare per una buona crescita dell’Italia: buona perché non si accontenta di misurare le percentuali del Pil ma è anche capace di promuovere uno sviluppo attento della persona umana, più giusto nella distribuzione delle risorse, aperto al futuro e all’innovazione. Tutto questo richiede risorse e un forte impegno da parte delle nostre istituzioni. Ma anche qui serve un radicale cambiamento di mentalità e cultura, insieme a una nuova attenzione pubblica. 4 - L’AZIONE DI GOVERNO Penso di poter dire che abbiamo fiducia. C’è nel Paese una più diffusa e matura consapevolezza della posta in gioco. Credo si debba riconoscere a questo Governo una nuova determinazione. È vero però che i nostri tassi di spesa sociale e di trasferimento del PIL alle famiglie sono largamente al di sotto della media europea. Il confronto di questo pomeriggio permetterà di sviluppare meglio questo aspetto, mi limito qui a chiedere a tutti di guardare a modelli di altri paesi senza dividerci su di essi. Ciascun paese ha sviluppato una propria politica familiare. Ma per entrare in Europa non serve copiare esperienze sviluppate altrove Vogliamo colmare le distanze ma abbiamo anche l’ambizione di farlo individuando un nostro originale modello di politiche per la famiglia Un paese come l’Italia, attraversato da profondi squilibri geografici e sociali, deve imparare a usare molte leve e fare appello ad un mix di interventi - trasferimenti 42 AIAF RIVISTA 2007/2 monetari, servizi per la famiglia, fisco, strumenti di conciliazione tra vita e lavoro - capaci di intercettare la pluralità di bisogni ed esigenze, individuando alcune priorità Con queste priorità e questa consapevolezza vorremmo mettere in atto politiche in grado di perseguire l’obiettivo di “diventare” “essere” “restare” famiglia. 5 - DIVENTARE FAMIGLIA Diventare famiglia significa investire in primo luogo sui giovani e sulle donne. Dovremmo ricordare che siamo la prima generazione, dal secondo dopoguerra, che non è riuscita a trasmettere ai propri figli la sensazione - non dico la certezza - di avere un futuro migliore dei padri. Lavoro per i giovani La precarietà del lavoro e l’immobilismo sociale del paese, sono i due grandi problemi che condizionano il futuro delle nuove generazioni. Dobbiamo intervenire, con una politica economica e sociale che favorisca la buona occupazione. La proliferazione di rapporti contrattuali brevi e saltuari e il lavoro intermittenti, non consentono di raggiungere redditi adeguati mentre i prezzi di affitto o di acquisto di un’abitazione sono proibitivi. Anche questo determina quella condizione di insicurezza che spinge a rinviare la scelta di mettere su famiglia. La Finanziaria 2007 contiene prime importanti misure per la stabilizzazione del lavoro precario e altre che incentivano - soprattutto al Sud - il lavoro delle donne. Ma non basta, sono convinta che una parte delle risorse dell’extragettito debbano andare a sostenere l’occupazione giovanile e a realizzare la riforma degli ammortizzatori sociali a cui sta lavorando il Ministro Damiano. La casa Ma oggi esiste anche una “questione casa” che dobbiamo affrontare con politiche nuove e con significative risorse. Il governo ha attivato con le parti sociali un tavolo istituzionale dal quale nei giorni scorsi sono emerse priorità e obiettivi per uscire dall’emergenza. Oggi la povertà è determinata anche dall’abitare in una casa in affitto. È indispensabile rivedere la legge che regolamenta gli affitti facendo emergere il giusto contrasto d’interesse tra locatore e locatario proprio MAGGIO - SETTEMBRE 2007 per sconfiggere quell’enorme sommerso che c’è. Bisogna rendere deducibili dal reddito i canoni di affitto prestando particolare attenzione agli effetti sugli inquilini incapienti che rischierebbero di non usufruire dei benefici fiscali. La riduzione dell’Ici è obiettivo reale di questo governo, ma avendo ben presente che bisogna trovare un’intesa con i Comuni e sapendo che la riduzione deve rispondere a precisi criteri di equità: riforma del catasto come strumento di lotta all’evasione, reddito, numero dei componenti del nucleo familiare. In vista del Dpef i nostri obiettivi devono essere quelli di far ripartire l’edilizia residenziale sociale, recuperare il patrimonio abitativo pubblico inutilizzato, aumentare nel breve periodo la dotazione di alloggi sociali nelle aree metropolitane e nel mezzogiorno, facilitando le categorie sociali più deboli, famiglie monoreddito, giovani coppie, anziani e immigrati a trovare un’abitazione a costi sostenibili 6 - ESSERE FAMIGLIA Essere famiglia significa assicurare una vita libera e dignitosa alle famiglie con figli. La famiglia ha bisogno di sicurezze e di sostegni non episodici né effimeri; deve poter contare su una rete integrata di servizi e di aiuti economici diretti e certi. Assegni al nucleo familiare Con la Finanziaria 2007 abbiamo operato un primo significativo intervento a favore delle famiglie con figli attraverso la riforma degli assegni per il nucleo familiare e il passaggio dalle deduzioni alle detrazioni. Sono state gettate le basi per sviluppare presto una più organica riforma del sostegno ai redditi familiari. Pensiamo sia ormai maturo l’obiettivo di arrivare a un unico istituto di sostegno del reddito per le famiglie con figli, che riunifichi detrazioni e assegni al nucleo familiare: il nuovo istituto deve riguardare la presenza di figli, indipendentemente dallo status lavorativo dei genitori. È essenziale che esso sia fruito per intero anche dagli “incapienti”. Va, altresì esteso, in prospettiva, anche ai lavoratori autonomi che oggi usufruiscono delle detrazioni ma non degli assegni al nucleo familiare. La strategia che il Governo intende realizzare è dunque quella di un sostegno attivo delle responsabilità familiari. Naturalmente questa NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA linea passa per la combinazione di un adeguato sostegno monetario, accompagnato da una politica di equità nell’accesso ai servizi, anche attraverso una revisione sostanziale dell’ISEE, per assicurare condizioni di pari opportunità a tutti i bambini e i ragazzi indipendentemente dalla situazione economica della famiglia. Sappiamo che la proposta del Governo diverge dal cosiddetto “quoziente familiare”. La differenza essenziale rispetto alla linea su cui si orienta il Governo sta in questo: il quoziente familiare implica che la presenza di un figlio abbia per una famiglia di reddito alto un valore, in termini di risparmio d’imposta, superiore a quello che ha per una famiglia di reddito basso o di reddito medio; lo strumento individuato dal Governo risponde invece all’obiettivo di avvicinare condizioni di pari opportunità per i figli e quindi punta a sostenere le famiglie in funzione delle necessità di assicurare ai loro figli una vita dignitosa e un’educazione adeguata. Perciò la scelta del Governo è di concentrare prima di tutto le risorse al sostegno delle famiglie con redditi bassi e medi, che sono la grande maggioranza delle famiglie italiane, estendendo nei limiti del possibile il sostegno anche alle famiglie di reddito medio-alto. Un problema che trova risposte davvero efficaci solo se affrontato con la presa in carico della famiglia, è quello della povertà. Ci presentiamo con una proposta in modo trasparente, la offriamo alla discussione della Conferenza (un gruppo è dedicato appositamente alle politiche fiscali) ben sapendo che molte associazioni sostengono la validità del quoziente familiare e che in Parlamento esponenti dell’opposizione e della maggioranza hanno presentato disegni di legge per introdurlo. Nel ricordare che il quoziente familiare non è previsto nel programma di governo, ribadiamo la nostra disponibilità al confronto sugli strumenti, alla valutazione del loro costo e dei loro effetti nella vita delle famiglie italiane. Povertà e famiglia La povertà è un problema che trova risposte davvero efficaci solo se affrontato con la presa in carico della famiglia. Nelle società avanzate è un fenomeno che tende a sfuggire alla percezione collettiva, tuttavia coinvolge ampie fasce di popolazione che, per diverse cause, non possono sviluppare appieno il loro potenziale umano e condurre una vita 43 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA dignitosa. Le famiglie in condizione di povertà, secondo le più recenti stime Istat, in Italia superano i due milioni e mezzo, con un’incidenza dell’11%, superiore a quella riscontrata nei principali paesi europei. In una società in cui i modelli di vita e le modifiche profonde della struttura produttiva assottigliano le reti di protezione tradizionali, una larghissima fascia di famiglie risulta esposta al rischio di povertà. Sono coinvolte le famiglie in condizioni di esclusione sociale profonda, ma anche le famiglie monoreddito che affrontano un serio disagio economico perché non dispongono di risorse adeguate alle responsabilità a cui devono fare fronte. Penso alle famiglie numerose (la presenza del terzo figlio più che raddoppia il rischio di povertà) e le famiglie che si trovano a gestire diverse forme di fragilità, come la non autosufficienza di un anziano. Il costo sociale della povertà è tanto più elevato quanto più sono coinvolti i bambini. La povertà delle famiglie di origine limita fortemente le chance di istruzione e di affermazione dei giovani. Una strategia di contrasto complessiva della povertà non potrà ignorare gli squilibri nei diversi gradi di sviluppo economico del paese: al Sud l’incidenza del fenomeno è cinque volte più elevata che al Nord. Non basta rafforzare il nostro sistema di trasferimenti monetari, occorre anche ripensare e rilanciare un sostegno specifico, come il Reddito Minimo di Inserimento, risolvendo le criticità emerse nella lunga fase di sperimentazione. Infine, va posta attenzione alla questione delle tariffe di servizi universali introducendo fasce sociali, come stiamo sostenendo nell’ambito della revisione delle tariffe elettriche e come previsto dalla finanziaria a sostegno di sperimentazioni in favore delle famiglie numerose. Il lavoro delle donne e la conciliazione Quando parliamo di famiglia e reddito, la questione più seria riguarda la difficoltà per le donne, non solo a trovare un impiego ma soprattutto a conservarlo. L’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui le donne continuano a lasciare il lavoro dopo il matrimonio e quando hanno dei figli. I tassi di occupazione femminile, non solo tra le giovani, sono ancora troppo bassi. Eppure è dimostrato che se la madre lavora, il rischio di povertà tra i minori si riduce a un terzo. 44 AIAF RIVISTA 2007/2 Non possiamo ignorare che in alcune zone dell’Italia sono quasi quotidiane le testimonianze di una discriminazione di genere che colpisce, in primo luogo, proprio la maternità. È necessario un intervento straordinario sull’occupazione femminile, in particolare nel Mezzogiorno: va potenziato il part time e le forme innovative di lavoro che posso favorire l’autonomia delle donne. Alcune misure contenute nella Finanziaria 2007 (dagli sgravi fiscali per chi assume donne nel Sud agli interventi per la stabilizzazione del lavoro precario) vanno in questa direzione. Nella famiglia sono le donne, con la loro straordinaria capacità di tenere insieme tante cose diverse, le più pronte e capaci a rispondere ai cambiamenti ma anche quelle che pagano il prezzo più alto. Alle donne si chiede di essere madri, mogli e lavoratrici; di governare i bilanci familiari, crescere, educare i bambini, accudire i genitori anziani, aiutare i nipoti e i figli più grandi. E una donna con figli, prima o poi, si troverà di fronte a un conflitto tra lavoro e famiglia. Forse è impossibile eliminare radicalmente questo conflitto, ma certo occorre dispiegare una strategia di lungo respiro per ridurne la portata. La cultura del lavoro deve fare un salto di qualità e cominciare a considerare il lavoro femminile nella sua specificità, eliminando non solo le barriere iniziali, ma anche tutte quelle penalizzazioni, altrettanto gravi e umilianti, nei percorsi di carriera e di affermazione professionale. Le donne non devono più essere costretta a scegliere tra lavoro e figli, ma neanche tra carriera e figli. Un uso più flessibile dei tempi aiuterà tutti: le donne e i datori di lavori se è vero, come è vero, che nei paesi del Nord Europa si rileva contestualmente un’alta occupazione femminile, un alto tasso di natalità e un gran numero di donne che arrivano a posti di responsabilità. Nella famiglia occorre la condivisione dei ruoli e delle responsabilità familiari tra donne e uomini. La legge 53 sui congedi parentali, una buona legge, è stata l’ultima grande legge fordista, pensata per il lavoro stabile, regolare, senza timori che venga portato via. Occorre eliminare alcune rigidità per lasciare che il lavoratore e la lavoratrice “spendano” i congedi parentali in maniera più flessibile nell’arco del tempo, se- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 condo le loro reali esigenze. Dobbiamo procedere con Regioni ed Enti locali per rendere questo strumento più aderente alle esigenze della famiglia, soprattutto nel Mezzogiorno. Un punto mi pare irrinunciabile: incentivare le esperienze di conciliazione nelle imprese private di piccola e media dimensione, facendo in modo che maternità e paternità non siano percepiti come un handicap, ma piuttosto come un’opportunità per migliorare il rapporto con i propri dipendenti. Se vogliamo favorire realmente la condivisione e il coinvolgimento nelle responsabilità familiari bisogna incoraggiare i padri. Il nostro motto sarà più madri al lavoro, più padri in famiglia”. Dobbiamo ridurre al minimo i possibili alibi, dietro i quali si cela la rigidità dei ruoli e la mancata condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne. Qualcosa sta cambiando nelle giovani famiglie, ma molto occorre ancora fare. La rete dei servizi: LIVEAS, LEF, asili nido E soprattutto con la rete dei servizi che dovrà decollare un nuovo welfare a misura di famiglia. Le famiglie hanno bisogno di una buona scuola, di un servizio sanitario di qualità e accessibile, di asili nido, servizi all’infanzia, consultori. In una parola c’è bisogno di applicare Legge 328, che in questi ultimi anni è stata dimenticata. Bisogna ripartire dalla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali, LIVEAS, per garantire prestazioni omogenee in tutto il paese. Ed inoltre, anche come una modalità applicativa e non necessariamente come un livello ulteriore e aggiuntivo di prestazioni, vanno individuati i LEF, i livelli essenziali per la famiglia. Bisogna interrogarsi sull’equità nell’accesso e sul costo dei servizi, modificando l’ISEE e tenendo conto, nella tariffazione dei servizi pubblici, della composizione del nucleo familiare. I servizi alla famiglia vanno comunque concepiti come un’offerta plurale, quanto più possibile personalizzata e a misura di famiglia. Una rete territoriale qualificata, frutto di incontro tra pubblico e privato e tra pubblico e privato sociale, in grado di rispondere a varie tipologie di famiglia e ai bisogni che cambiano nelle diverse stagioni della vita. Un’offerta entro cui la famiglia possa esercitare una libera scelta. Investire sui servizi all’infanzia e sugli asili nido è oggi una nostra priorità. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Per gli asili, l’utenza potenziale è di un milione e 645 mila bambini; la capacità attuale è di 160 mila posti, cioè quasi il 10 per cento, realizzati in 35 anni. Nei prossimi tre anni intendiamo aumentare i posti in asilo per raggiungere una media nazionale di oltre il 15 per cento. Con i trecento milioni di euro previsti nella Finanziaria vogliamo attivare una serie di accordi con gli enti locali per realizzare 90 mila nuovi posti entro il 2009. Non è ancora l’obiettivo fissato dall’Agenda di Lisbona, ma nel nostro Paese, soprattutto nel centro-nord, alcune regioni sono vicine a questa dotazione, mentre la situazione è molto più difficile al Sud. Si tratta anche qui di unire il Paese. Ma si tratta anche di capire che gli asili nido sono un servizio che va reso più flessibile. Gli asili nido sono prima di tutto un servizio per i bambini. Rappresentano un grande strumento di socializzazione che può aiutare a superare eventuali difficoltà dell’ambiente familiare, ed è dimostrato che chi frequenta un asilo sarà facilitato nel percorso scolastico. Per molte famiglie la vera risorsa mancante è proprio il tempo. Tra lavoro esterno e in casa, il tempo per la cura di se stessi o per lo svago rimane un miraggio. E questo crea spesso frustrazioni e malessere. Oltre che per aumentare la recettività degli asili, il Governo punta ad una maggiore flessibilità in grado di andare incontro alle reali esigenze delle famiglie. Più in generale penso che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro metta in gioco l’organizzazione complessiva della vita delle città: dalle scuole ai trasporti, dagli spazi per i bambini e per il tempo libero, agli orari dei negozi. C’è ancora molto da lavorare per semplificare il rapporto tra famiglia e i servizi forniti dalle pubbliche amministrazioni. Mi sembra però che i segnali importanti non manchino. Anzi: ci sono progetti decisamente innovativi già avviati in alcune città e province che vanno ulteriormente elaborati, sperimentati e diffusi sul territorio. Ma siamo ancora lontani da un vero salto di qualità. Infine, le nostre città e i nostri paesi debbono diventare sempre più a misura di bambino, in modo che i piccoli possano spostarsi da soli in bici, a piedi o nei mezzi pubblici. Per regalare tempo alle coppie con bambini, possono essere molto più utili una pista ciclabile sicura e protetta, o il servizio comunale di pedi-bus quotidia- 45 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA no fra casa e scuola, piuttosto di servizi costosi, spesso fruibili solo da pochi fortunati. Mi piace, a tale proposito, parlare di welfare comunitario. Vorrei che - come avveniva un tempo nei paesi e anche nei rioni delle grandi città - i bambini siano un po’ i figli di tutti, in modo che i genitori siano meno oppressi e meno soli nel sostenere la responsabilità dei loro figli. Anziani non autosufficienti Essere famiglia significa ormai condividere un lungo tratto della vita con i propri genitori anziani, spesso malati e non autosufficienti. In Italia sono oltre due milioni di persone. Una condizione assai difficile, densa di dolore e fatica, in cui le famiglie spesso avvertono una profonda solitudine. L’attuale sistema di assistenza domiciliare non è in grado di far fronte a questa emergenza. Nei paesi del nord Europa l’assistenza domiciliare raggiunge e supera il 20 per cento, mentre si attesta intorno al 10 in Germania e al 7 in Francia. I tagli operati dal precedente governo nei trasferimenti ai comuni e alla sanità, la mancata applicazione della legge 328 per l’integrazione socio-sanitaria hanno reso questa situazione ormai insostenibile. L’offerta di servizi pubblici adeguati, dalle residenze sanitarie assistite alle case di riposo, all’assistenza domiciliare, è ancora molto frammentata e diseguale. E persino le regioni che hanno realizzato di più non riescono a coprire un bisogno sociale che investe 20 famiglie su 100, per lo più costrette a organizzarsi in proprio, con costi economici e psicologici notevoli. Altre migliaia di famiglie gestiscono problemi di salute grave, malattie croniche, disabilità mentale. È un vissuto familiare di acuta sofferenza ma anche di grande coraggio e solidarietà. So bene che il passo compiuto con la Finanziaria 2007, che ha previsto il primo concreto finanziamento del Fondo nazionale per le non autosufficienze appare a molti inadeguato. Ma intanto il Fondo ora c’è. Dopo tanta attesa è finalmente partito e servirà a finanziare e co-finanziare, con Regioni ed Enti Locali, una rete integrata di servizi domiciliari di carattere sociale e assistenziale indispensabili per alleggerire il carico della famiglie. Un Fondo aggiuntivo che andrà ad affiancarsi al Fondo sociale e al Fondo sanitario nazionale. 46 AIAF RIVISTA 2007/2 7 - RESTARE FAMIGLIA Anche la famiglia più serena può entrare in crisi. Per motivi esterni o dinamiche interne. Nelle difficoltà, le famiglie possono essere uguali, o almeno simili, non sarà mai uguale il modo di affrontare la crisi e il dolore che ne viene fuori. Crisi e separazioni Nella famiglia si riflettono tensioni e problemi sociali che a volte è difficile gestire. Se le coppie non sono attrezzate ad affrontare in modo positivo le inevitabili difficoltà della convivenza e i cambiamenti che intervengono nel corso della vita, se sono lasciate sole di fronte a scelte complesse, le crisi coniugali molte volte, forse, sono inevitabili. Sono convinta che la politica debba, in queste situazioni, agire con molta prudenza, in punta di piedi. Con la discrezione necessaria quando si affrontano temi delicati che coinvolgono la sfera privata. Ma il diritto, e la politica più in generale, devono anche trovare almeno le soluzioni più idonee a non aggiungere al dramma personale di una separazione o di un divorzio, anche quello della gestione concreta della vita quotidiana, soprattutto quando sono coinvolti bambini e ragazzi. L’attenzione ai minori e alla famiglia passa anche attraverso un sistema che sia, al tempo stesso, capace di tutelare e di promuovere i diritti della famiglia e dei suoi componenti, con particolare attenzione ai bambini e agli adolescenti. Il nostro Paese dispone già di uno strumento importante, il Tribunale per i Minorenni. Ma forse è maturo il tempo per fare un passo in più. Il governo sta lavorando in particolare all’istituzione di un giudice unico specializzato per tutto il nucleo familiare, un Tribunale per la famiglia che sia in grado di affrontare sia le crisi della famiglia che di gestire - anche all’interno di una vita familiare regolare - i passaggi che richiedono un intervento giudiziario. Violenza e riparazione Credo anche che tra gli interventi più urgenti ci sia quello di togliere la famiglia dall’isolamento, cercando di inserirla in un tessuto di relazioni che attutiscano la sofferenza, intuiscano l’emergenza e aiutino a trovare di volta in volta le soluzioni possibili. Purtroppo in famiglia si verifica il maggior numero di soprusi psicologici, di percosse e di MAGGIO - SETTEMBRE 2007 molestie, di abusi sessuali su donne, vecchi e bambini. Non voglio essere fraintesa. Ho già detto che la famiglia è, nella maggior parte dei casi, un organismo sano e vitale, composto di donne e uomini che si amano e decidono di condividere un progetto di vita. Ma vanno anche aperti gli occhi sul degrado materiale e morale che spesso si annida all’interno di nuclei familiari insospettabili. È indispensabile un rinnovato impegno a rendere culturalmente insopportabile ciò che è ancora, in parte, giustificato o minimizzato. Proviamo a circondare la famiglia di attenzione sociale, attraverso una rete, se necessario rinnovata, di servizi qualificati, di centri di ascolto, di supporti solidali. Proviamo a non lasciarla sola nei momenti di rottura e di difficoltà, ma anche in quei passaggi fisiologici, come la nascita di un figlio, che può rompere gli equilibri e innescare la crisi anche nella famiglia più serena. In questa sala sono presenti molti operatori sociali che conoscono queste realtà e hanno esperienza di molte situazioni drammatiche. Il consultorio può diventare un punto di riferimento, una struttura vicina, amica, con diverse figure professionali, dagli psicologi agli educatori, al mediatore famigliare all’assistente sociale. C’è bisogno di un’équipe in grado di aiutare i genitori nel percorso di crescita e formazione dei figli, per affrontare assieme a loro i conflitti generazionali e le crisi di coppia, per promuovere la capacità di essere coniugi e di essere genitori. Dovremo imparare a vigilare con una nuova attenzione, senza intrusioni e senza violare l’intimità delle relazioni. Aiutando la famiglia a riparare i suoi errori e incoraggiandola a trovare gli strumenti per diventare, là dove è possibile, la risorsa di se stessa. CONCLUSIONI Queste sono riflessioni, alcune in forma di domanda, che consegno a tutti voi, ai lavori delle dieci sessioni e dei gruppi di lavoro. Ringrazio tutti, gli studiosi e i ricercatori che metteranno a disposizione i loro saperi. Ringrazio gli amministratori locali, le regioni che ci permettono di non partire da zero. Vorrei che facessimo tesoro della rete delle buone pratiche che in questi anni Comuni, Province e Regioni hanno messo in atto e che proprio in NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA questi giorni hanno trovato una sintesi in un documento che è stato consegnato al Governo. Inizia da qui la politica dei servizi, a partire da queste buone pratiche dobbiamo disegnare il Piano nazionale. Ringrazio il Parlamento e in modo particolare la Commissione Affari sociali della Camera ed il suo Presidente Lucà per l’indagine conoscitiva sulla condizione sociale delle famiglie. Ringrazio tutte le forze politiche per la presentazione delle numerose proposte di legge sulla famiglia. E ugualmente ringrazio tutto il mondo dell’associazionismo e del volontariato familiare. Che abbiamo coinvolto fin dall’inizio dei lavori preparatori di questa conferenza. Sappiamo che chiede di essere riconosciuto come soggetto sociale, protagonista del cambiamento. Ringrazio tutti gli operatori che saranno fortemente interpellati, nella loro professionalità e disponibilità, dalle domande di questa Conferenza. Ringrazio le parti sociali, i sindacati, le imprese che saranno sollecitati, vorrei dire provocati, a un grande cambiamento di prospettiva. Anche per Voi è tempo di ragionare in termini di famiglia: nell’organizzazione del lavoro ma anche nella qualità dei consumi. Mi auguro che la Conferenza diventi un luogo di condivisione e di scambio, capace di gettare le basi di una prospettiva comune che, nell’ambito delle rispettive competenze istituzionali stabilite dal titolo V della Costituzione in materia di Welfare, sappia realizzare la piena cittadinanza sociale della famiglia. È evidente che il Governo non può fare da solo le innovazioni e i cambiamenti di cui abbiamo bisogno. 20 L’universo famiglia, interpella ambiti culturali, sociali, economici e istituzionali molto ampi, tant’è che la funzione di governo preminente che mi è stata affidata è quella, come ho già detto, di indirizzare e coordinare le politiche per la famiglia. E fatemi ringraziare tutti i ministeri che fin dall’inizio hanno cooperato, nel comitato interministeriale, alla progettazione e realizzazione di questa Conferenza. Per superare la frammentazione degli interventi, per restituire coerenza alle politiche pubbliche da questa Conferenza vorremmo uscire con una vera e propria Alleanza per la famiglia (come in Europa è stato proposto, in questo semestre, dalla Presidenza tedesca). 47 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Un’Alleanza non per attenuare le responsabilità di ciascuno ma per indirizzarle verso una rinnovata unità del paese al servizio della famiglia. Continuo a credere che nel nostro paese il bisogno di famiglia sia forte ed esprima un desiderio profondo di felicità, condivisione, stabilità, realizzazione di se, nel rapporto con la generazione che ci ha preceduto - e che ci lascerà - e con la generazione a cui abbiamo dato la vita, affidandogli le nostre speranze di futuro. Questa piccola comunità non va lasciata sola, a prescindere dalla sua situazione, dalle sue scelte, dalla sua condizione. Non chiederemo mai ad un bambino che ci chiede un posto all’asilo il certificato di matrimonio dei suoi genitori, come non chiederemo mai ad una donna il certifica- AIAF RIVISTA 2007/2 to di matrimonio per finanziare un progetto di conciliazione tra vita e lavoro, se è madre. Questa piccola comunità va affiancata e sorretta, perché se sapremo dare più sicurezza e più serenità alla famiglia, potremo guardare con nuovo slancio al futuro dell’intera società. Se il paese tornerà a crescere, se riuscirà a scommettere su se stesso, se troverà la strada di uno sviluppo più equilibrato e più equo, sarà perché cresce la consapevolezza della centralità della famiglia nella vita collettiva e il senso di responsabilità della politica nei suoi confronti. Se riusciremo a consolidare tutto questo, credo che avremo fatto un buon lavoro e un buon servizio alla famiglia e all’Italia. DICHIARAZIONE E COMUNICATO STAMPA DEL MINISTRO ON. BINDI SULLA RIPARTIZIONE DEL FONDO NAZIONALE PER LE POLITICHE DELLA FAMIGLIA 27 GIUGNO 2007 APPROVATA LA RIPARTIZIONE DEL FONDO NAZIONALE PER LE POLITICHE DELLA FAMIGLIA: LA DICHIARAZIONE DEL MINISTRO BINDI. “D alla Conferenza nazionale della Famiglia è venuta una diffusa domanda di cambiamento nelle politiche per la famiglia. Per colmare antiche lacune, ma soprattutto per rispondere alle nuove sfide di una società in rapida trasformazione. L’Intesa di oggi è il segnale che il cambiamento è possibile grazie alla forte convergenza sugli obiettivi e alla leale collaborazione tra il governo centrale e i governi locali. Le tre priorità su cui oggi abbiamo deciso di investire quasi metà del Fondo nazionale della famiglia nascono dalla consapevolezza che occorre offrire risposte innovative per rompere la solitudine di tante famiglie di fronte alla complessità dei problemi quotidiani. Penso al grande capitolo dell’assistenza agli anziani non autosufficienti garantita dalle assistenti familiari nelle nostre case. L’investimento che abbiamo deciso oggi permetterà di sperimentare nuove modalità, più sicure e trasparenti, di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro di cura che avviene oggi in modo del tutto 48 informale, spesso clandestino e senza le necessarie garanzie di affidabilità sia per le famiglie che per queste lavoratrici straniere. Penso al problema del rischio di povertà per le famiglie numerose. Un problema di equità che abbiamo cominciato ad affrontare con maggiori assegni familiari ma che richiede un intervento mirato sui costi dei servizi essenziali. Per la prima volta sarà possibile sperimentare su larga scala modalità di abbattimento delle tariffe di acqua, luce e gas per le famiglie con più di quattro figli. E, infine, penso all’avvio della riorganizzazione dei consultori familiari. Anche questo è un tema che abbiamo affrontato a Firenze e su cui ci sono molte aspettative. I consultori possono davvero diventare il punto di riferimento, più vicino e facilmente accessibile, per la famiglia. Vogliamo rilanciarne il ruolo di servizio integrato socio-sanitario, promuovendo un modello di servizio multidisciplinare, in cui si integrano diverse professionalità, in grado di interloquire con tutte le componenti della famiglia e i diversi bisogni che via via possono emergere. Un centro di aiuto alla famiglia per promuoverne l’unità e la stabilità ma anche per la presa in carico dei momenti di fragilità. A giorni partirà, MAGGIO - SETTEMBRE 2007 inoltre, anche il Piano straordinario per gli asili nido. Ai 300 milioni previsti con la Finanziaria abbiamo aggiunto altri 40 milioni dal Fondo nazionale in modo da incrementare la base su cui realizzare gli accordi di programma. Si rafforza così l’offerta dei servizi all’infanzia, a cui abbiamo anche riservato 10 milioni per le nuove “classi primavera”.” COMUNICATO STAMPA - UFFICIO STAMPA DEL MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIA A pprovata in Conferenza unificata la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche della Famiglia previsto dalla Finanziaria 2007. È il primo concreto passo d’attuazione di alcune delle priorità emerse dalla Conferenza nazionale della famiglia. L’Intesa tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Province, Comuni e Comunità montane permette di destinare 97 milioni di euro alla sperimentazione di progetti di promozione e misure innovative a sostegno delle famiglie. Tra le aree di intervento: a) la riorganizzazione dei consultori familiari, per potenziarne la funzione di sostegno e supporto vicino alle famiglie e diffuso sul territorio; b) la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari, con attività di formazione in grado di far incontrare meglio l’offerta di lavoro con la domanda che viene dalla famiglie italiane; c) la sperimentazione di iniziative per abbattere i costi dei servizi (acqua, gas, elettricità, ma anche servizi sociali, a secondo delle scelte che verranno operate a livello regionale e locale) per le famiglie con quattro o più figli. Le risorse del Fondo per la famiglia si aggiungono a quelle che già le Regioni, nella propria autonomia, stanziano o intendono stanziare per le stesse finalità. Le modalità e i criteri con i quali perseguire le finalità indicate nelle tre aree d’intervento verranno precisate con specifiche Intese da adottare in Conferenza unificata. “Accordi di programma quadro” tra Diparti- NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA mento delle politiche per la famiglia e le singole Regioni, con una rappresentanza dei Comuni, dovranno definire: le dimensioni quantitative dei servizi, la tempistica degli interventi, la quota di cofinanziamento regionale e/o locale, le modalità di svolgimento delle attività di monitoraggio e di assistenza tecnica. Gli interventi previsti saranno monitorati e verificati dal Dipartimento delle politiche per la famiglia, al fine di verificarne l’impatto su scala nazionale e di valorizzare le migliori pratiche. Nell’Intesa firmata oggi è stato inoltre deciso un incremento di 40 milioni di euro per il Piano straordinario per gli asili nido. Si tratta di un ulteriore stanziamento che va ad aggiungersi ai 300 milioni di euro previsti dalla Finanziaria per la costruzione degli asili nido nel triennio 2007-2009. Ulteriori 10 milioni di euro, sono stati già destinati all’ampliamento dell’offerta formativa rivolta ai bambini dai 24 ai 36 mesi di età, con l’avvio delle cosiddette “sezioni primavera”, già a partire dal prossimo anno scolastico. Le rimanenti risorse previste nel Fondo per le politiche per la famiglia saranno destinate agli interventi di competenza statale previsti con la Legge Finanziaria 2007. Si tratta di interventi che riguardano: • Il finanziamento delle iniziative di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro cui fa riferimento l’art.9 della legge 53/2000; • Il sostegno alle adozioni internazionali e il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali; • l’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia; • l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile; • L’Osservatorio nazionale per l’infanzia e il Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia; • La Conferenza nazionale della famiglia e l’elaborazione del Piano nazionale per la famiglia. 49 50 Giulia DE MARCO Virginio COLMEGNA Sindaco Letizia MORATTI Sen. Tiziano TREU Sen. Anna Maria SERAFINI Ass. Reg. Romano COLOZZI On. Mimmo LUCA' Pres. Cons. Reg. Alessandra LONARDO Sindaco Rosa RUSSO IERVOLINO Ass. Reg. Elena GENTILE Famiglia e generazioni Famiglia e lavoro Famiglia e responsabilità educative Famiglia e risorse economiche Famiglia e welfare La Famiglia che accoglie Famiglia e fragilità Famiglia, violenza e riparazione Simona ARGENTIERI Paolo BOSI Paolo ONOFRI Giuseppe DE RITA Daniela DEL BOCA Alessandro ROSINA Pierpaolo DONATI Sindaco Flavio ZANONATO Famiglia e società interculturale Francesco P. CASAVOLA relatore On. Pino PISICCHIO presidente Famiglia e diritti sessione Franco VACCARI Francesco BELLETTI Maria Rita VERARDO Tiziano VECCHIATO Claudio DE VINCENTI Valerio BELOTTI Margherita MIOTTO Gianpiero DALLA ZUANNA Lucia FRONZA CREPAZ Renato BALDUZZI rapporteur coordinatore Linda Laura SABBADINI Giovanbattista SGRITTA Giovanni MINOLI Giuseppe GULIA Emanuele ROSSI Stefano CECCANTI Pasquale ANDRIA Conflittualità e violenza nella coppia Nuove e vecchie violenze sui bambini Disagio mentale e dipendenze Non autosufficienza e disabilità Marco SCARPATI Vincenza QUATTROCCHI Isabella MERZAGORA BETSOS Marco TRABUCCHI Famiglia e rapporto fra le generazioni Diventare famiglia e mercato Francesco BILLARI flessibile Conciliazione e lavoro di cura in Rossana TRIFILETTI famiglia Famiglia e impresa Manuela NALDINI Genitorialità e responsabilità Luigi PATI educative Livia BARBERIO Famiglia e scuola CORSETTI Famiglia, casa, consumi, Laura PENNACCHI ambiente Fisco, trasferimenti, tariffe Ruggero PALADINI Povertà e famiglia Corrado POLLASTRI Livelli essenziali di assistenza e Emanuele RANCI indicatori di reddito ORTIGOSA Anna Maria Servizi per l'infanzia BERTAZZONI Servizi per la famiglia Paola DI NICOLA Adozioni nazionali ed Luigi FADIGA internazionali Affido Stefano RICCI Come cambia la famiglia gruppi Contesti familiari e diritto di famiglia Pari opportunità e rapporti di genere Soggettività della famiglia Famiglia e pluralismo sociale, culturale e religioso Famiglia, media e innovazione tecnologica Dettaglio delle sessioni e dei gruppi di lavoro della Conferenza Nazionale della Famiglia NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA AIAF RIVISTA 2007/2 DETTAGLIO DELLE SESSIONI E DEI GRUPPI DI LAVORO DELLA CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA MAGGIO - SETTEMBRE 2007 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA LE RELAZIONI DEI RAPPORTEUR DELLE SESSIONI TEMATICHE DELLA CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA MATERIALE STAMPA PUBBLICATO SUL SITO WWW.CONFERENZANAZIONALESULLAFAMIGLIA.IT FAMIGLIA E DIRITTI RELATORE: FRANCESCO PAOLO CASAVOLA RAPPORTEUR: RENATO BALDUZZI GRUPPI: • CONTESTI FAMILIARI E DIRITTO DI FAMIGLIA • PARI OPPORTUNITÀ E RAPPORTI DI GENERE • SOGGETTIVITÀ DELLA FAMIGLIA O norevole Ministro, Autorità, Signore e Signori, la forte relazione del Presidente Franco Casavola ha scandito il lavoro della sessione “Famiglia e Diritti” nei tre gruppi, coordinati da Stefano Ceccanti, Emanuele Rossi, Pasquale Andria, ai quali va il mio grazie per avermi consentito di svolgere questo ruolo di rapporteur meno “indegnamente” possibile. In questi tre gruppi è stato comune e corale il riconoscimento del valore dell’importanza di questa Conferenza che soltanto il timore di un eccesso di enfasi mi impedisce di qualificarla come storica. Rispetto al modo tradizionale di intendere il rapporto tra diritto e famiglia, da un lato, e diritti e famiglia dall’altro, la sessione ha evidenziato in tutti e tre i gruppi due avvii di cambiamento di paradigma culturale, di mentalità. Sotto il primo profilo, quello del rapporto tra diritto e famiglia, è stata superata l’impostazione che vedeva il primo e più grande pericolo per la famiglia nell’intervento dei pubblici poteri, in particolare negli strumenti legislativi, amministrativi e normativi. Oggi l’invasione della sfera domestica e i relativi pericoli provengono da altri luoghi, da altre cause: l’organizzazione del lavoro, il sistema formativo, i mass media e il mondo virtuale che il loro sviluppo consente, fattori che condizionano la famiglia in maniera e in misura assolutamente incomparabile per quantità e qualità rispetto al passato e che ne mettono a rischio la funzione autentica. Eventuali interventi legislativi e normativi sulla famiglia oggi esprimono, invece, una funzione di garanzia e di tutela della medesima e dun- que non costituiscono pericolo per l’istituzione familiare. Secondo profilo, diritti e famiglia. È un mutamento di paradigma ancor più incisivo ancorché iniziale. Nel corso della sessione è risuonato da più parti l’invito a considerare, accanto ai tradizionali e consolidati diritti nella famiglia, cioè diritti e doveri spettanti agli individui che compongono la famiglia, veri e propri diritti della famiglia, formula costituzionale la cui portata è sempre restata piuttosto in ombra quando non ridotta alla prima, a causa della tensione ideologica gravante sulla nozione di famiglia e del pericolo, peraltro reale, che, insistendo sui diritti della famiglia, vengono mortificati quelli individuali. Pericolo che il nostro sistema costituzionale tende a scongiurare anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale in cui si dice a chiare lettere che in nessun modo il nostro sistema costituzionale può confermare e giustificare una concezione della famiglia nemica della persona e dei suoi diritti. Per contro, soprattutto nel primo e nel terzo gruppo, è stata sottolineata la giuridicità intrinseca dell’organismo familiare nella necessaria corrispondenza di diritti inviolabili e doveri inderogabili di ciascuno dei suoi componenti. Insomma, la famiglia non è una semplice sommatoria dei suoi partecipanti. Ammettere i diritti della famiglia comporta, onorevole ministro, precisarne la natura e articolarne la struttura. Frequente in proposito è stata la sottolineatura del loro carattere incentivante e promozionale, espressione di quel plusvalore costituzionale della famiglia (la sottolineatura riguarda le famiglie numerose, plusvalore nel plusvalore). Sono diritti volti a favorire la formazione della coppia coniugale, il consolidamento della famiglia nell’esperienza della filiazione, la conservazione della famiglia nel tempo sia attraverso adeguati sostegni economici alle famiglie, specie bisognose, sia attraverso una garanzia di prospettiva per la possibile non autosufficienza e accoglienza della medesima, specialmente nella condizione anziana. In questa condizione si sostanzia, ma il tema è ri- 51 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA masto aperto, la ricerca dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti della famiglia. Terzo punto: l’individuazione della priorità delle politiche promozionali di tali diritti e, quindi, interventi sul tema dell’abitazione, dei servizi per la prima infanzia, sostegno economico anche attraverso la politica fiscale, iniziative per contribuire a contrastare la non autosufficienza, tutto ciò si è accompagnato a una riflessione sulle tecniche ottimali di una vera politica per la famiglia. Comune è la considerazione che si tratta, in applicazione del principio di sussidiarietà specialmente orizzontale, di realizzare politiche per la famiglia che siano, altresì, politiche con la famiglia. La valorizzazione della soggettività familiare, del suo carattere di gruppo unitario di comunità si accompagna alla valorizzazione dell’associazionismo familiare, in ordine al quale nel gruppo tre sono emerse molte proposte anche di dettaglio, per le quali necessariamente rinvio al testo scritto ed alle proposte del coordinatore. Sono proposte che non sempre chiedono un di più di normativa, ma che sottolineano le possibilità per l’esecutivo nazionale di valorizzare le buone pratiche anche senza necessariamente nuovi interventi normativi, specie di fonte statale. Quarto punto: analoga indicazione con riferimento al tema largamente prevalente nel gruppo due, cioè l’individuazione di strumenti e tecniche di lotta contro la discriminazione tra uomo e donna, relativamente alla conciliazione tra famiglia e lavoro e con particolare riferimento alla persistenza di discriminazioni rispetto alla scelta della maternità. Analoga indicazione è emersa nel gruppo su “Pari opportunità e rapporti di genere”, dove si è sottolineato che si tratta, anzitutto, di verificare l’applicazione delle norme esistenti e la sussistenza di forti margini di autonomia amministrativa in capo a Regioni ed Enti Locali. La lotta contro gli stereotipi di genere, si sottolinea, è lotta culturale che le istituzioni possono e devono nel nostro quadro costituzionale accompagnare e sostenere. Quinto. Quanto alle iniziative normative si è registrato consenso sulla proposta governativa tendente ad equiparare lo status di figlio nato fuori dal matrimonio a quello di figlio nato nel matrimonio e, altresì, sui contenuti della proposta del Governo (qui la sottolineatura è importante) in materia di doppio cognome. Si è insistito sulla necessità di un intervento cor- 52 AIAF RIVISTA 2007/2 nice, per favorire, in accordo tra i diversi livelli di governo centrale, regionale e locale, l’evoluzione dei servizi consultoriali in veri e propri centri per la famiglia. Primo tassello organizzativo di quei livelli essenziali accennati poc’anzi: dunque, la valorizzazione della risorsa della mediazione familiare. La prevenzione delle patologie dell’organismo familiare è parsa una delle priorità (in questo senso anche la mediazione) ed in tale prospettiva evidentemente questi centri per la famiglia andranno strutturati in modalità e forme tali da valorizzare e costituire un momento forte in questa direzione di prevenzione: ad esempio, potenziando i servizi di tipo psico-sociale e quelli di consulenza legale. Non poteva mancare l’attenzione nel gruppo sui “contesti familiari e diritto di famiglia” sulle forme ed i modi della tutela giurisdizionale e sulle relative regole processuali. Indifferibile, finalmente, è apparsa la istituzione di un unico giudice specializzato per la famiglia, che, oltre alla razionalizzazione ed al riordino di competenze attualmente disperse, recuperi la peculiarità della giurisdizione della persona e della famiglia come giurisdizione dell’ascolto, come giudice prossimo ed amico. Sono altresì emerse proposte di sostegno in varie forme, nel difficile momento in cui versa il delicato istituto del gratuito patrocinio, nonché proposte concrete per ridurre i costi dell’accesso alla giurisdizione in materia di famiglia. Sono consapevole che questa sintesi è necessariamente riduttiva della straordinaria ricchezza e propositività della discussione di ieri. Ai coordinatori ed ai rapporteur sono stati dati otto minuti all’incirca. Alcune proposte, affinate nelle prossime settimane, potranno essere, se del caso, elemento portante del Piano nazionale per la famiglia. Ho però l’obbligo di concludere, onorevole Ministro, sottolineando il clima di apertura ed attenzione culturale registrato in tutti e tre i gruppi, nella chiarezza delle reciproche posizioni. La tutela della famiglia, la valorizzazione della sua soggettività, la richiesta di dare attuazione al plusvalore costituzionale ed al suo modello non è stata intesa come chiusura ad altre esigenze di contrasto alla desocializzazione, ad altre esigenze di riconoscimento di diritti. La famiglia, momento di solidarietà, non si contrappone, non è un’alternativa alla tutela di diritti di MAGGIO - SETTEMBRE 2007 altri e alla valorizzazione di solidarietà diverse da sé medesima. Non si tratta cioè di un aut-aut, ma di un et-et FAMIGLIA E GENERAZIONI RELATORE: ALESSANDRO ROSINA RAPPORTEUR: GIANPIERO DALLA ZUANNA GRUPPI: • COME CAMBIA LA FAMIGLIA • FAMIGLIA E RAPPORTO TRA LE GENERAZIONI N el nostro gruppo, come in tutti, si è vista una grande vitalità e la volontà di cogliere la complessità delle trasformazioni in atto. Siamo voluti partire da mirati approfondimenti conoscitivi, grazie soprattutto al contributo dell’Istituto Nazionale di Statistica - che ha messo a disposizioni anche dati molto recenti e originali - e di alcuni ricercatori universitari. Questo è il primo messaggio che è uscito dalla nostra sessione. Importante elemento unificante per chi voglia migliorare le condizioni della famiglia italiana, può essere la volontà di comprenderne in profondità le dinamiche, rispettando i risultati di questa attività di ricerca. Senza questo sforzo, l’ideologia rischia di prevalere, e le proposte di intervento rischiano di essere commisurate più alla famiglia ideale che alla famiglia reale. Partendo dai dati, saremo tutti più umili e più sicuri. In questo sforzo di comprendere permanenze e mutamenti in atto nella famiglia italiana, abbiamo toccato numerosi punti, che non potrò ovviamente sviluppare in questi dieci minuti. Farò quindi così: sottolineerò cinque risultati conoscitivi e cinque proposte di intervento che da tali risultati scaturiscono. Primo punto. In questi ultimi vent’anni, l’invecchiamento della popolazione italiana è stato fortemente attutito dall’ingresso dei cittadini stranieri. Nei prossimi vent’anni, senza immigrazioni, la popolazione in età 20-59 diminuirà del 30%. Tuttavia, se i flussi di ingresso continueranno con i ritmi dell’ultimo decennio, la popolazione in questa fascia d’età resterà immutata. Poiché nei prossimi vent’anni la spinta all’ingresso dai paesi poveri resterà fortissima, è facile prevedere che - effettivamente - nella NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA società italiana gli immigrati sostituiranno i figli che noi italiani non abbiamo avuto. Questa lettura non deve suscitare timore, poiché l’immigrazione può essere una grande opportunità. È però necessario governarla con realismo e umanità. Una nuova politica per le immigrazioni dovrebbe privilegiare la famiglia, che è assieme al lavoro - il primo grande strumento di integrazione. Fra i fondamentali diritti di cittadinanza c’è anche quello alla maternità e alla paternità. Inoltre, i bambini figli degli immigrati devono essere messi in condizione di competere con i figli degli italiani nella corsa al banchetto della vita. Essi sviluppano sogni e aspettative del tutto simili rispetto ai figli degli italiani, ma spesso hanno più difficoltà a realizzarli, in particolare perché conoscono peggio la lingua. È quindi necessario definire - in tutto il territorio nazionale - livelli essenziali di intervento verso questi giovani. Pensiamo, in particolare, all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Le tante e interessanti esperienze locali vanno ricapitolate in un quadro nazionale unitario. Secondo punto. La professoressa Salvini ci ha mostrato come la bassa fecondità italiana è frutto della scarsa propensione ad avere il secondo e - specialmente - il terzo figlio. Per aiutare le coppie ad avere i figli che effettivamente desiderano, è quindi cruciale dare alle coppie tempo e soldi. Ci sentiamo quindi di appoggiare fortemente quanto già detto dal Ministro Bindi nella relazione di apertura e quanto sottolineato anche dal Vice-ministro Visco e dal Sottosegretario Sartor. In un regime di risorse scarse, sembra ragionevole partire dalla famiglie più numerose, di reddito medio-basso, anche perché così facendo si lotta anche contro la povertà. Di nuovo, è un problema di pari opportunità. Bisogna dare ai bambini le stesse chance, a prescindere dal numero di fratelli che hanno. Altri rapporteur si soffermeranno sugli aspetti tecnici di questa proposta. Nella nostra sessione è stato fortemente sottolineato che è opportuno mettere in atto strumenti - anche di tipo fiscale e monetario - che favoriscano la presenza delle madri sul mercato del lavoro. Ma è fondamentale anche mettere in atto, a tutti i livelli, politiche per decomprimere i tempi dei genitori. Terzo punto. Le ricerche dimostrano che andiamo verso sempre maggiori fragilità di coppia. In alcune regioni del Centro-Nord, è pratica- 53 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA mente certo che almeno il 40% dei matrimoni celebrati negli anni Novanta si scioglierà prima del ventesimo anniversario. Inoltre, il rischio di rottura delle convivenze more uxorio è ancora più elevato, e in questo caso la parte debole non ha praticamente alcuna tutela. Nelle famiglie di reddito medio-basso, la rottura coniugale può avere effetti economici devastanti, sia per i due coniugi che per i figli. È comune che da una famiglia in condizioni economiche accettabili scaturiscano due famiglie povere. Inoltre, le rotture coniugali sono abbastanza frequenti anche nelle famiglie straniere. Qui le proposte di intervento sono centrate soprattutto in un maggior accompagnamento delle coppie e dei singoli. Fra le numerose possibilità prospettate, interessante è l’esperienza della provincia di Bolzano - dove le separazioni coniugali sono molto numerose. Da un lato, sono stati avviati centri di mediazione familiare capillarmente diffusi nel territorio, per superare le crisi di coppia e per gestire al meglio, per quanto possibile, tutte le difficili fasi della separazione, sia per i coniugi che per i figli. Dall’altro, quando un coniuge non versa gli alimenti, la Provincia provvede, attivandosi poi legalmente contro il coniuge inadempiente. Infatti, una cosa è aver contro l’ex coniuge, un’altra lo stato. Finora questa legge - che ricalca analoghe esperienze europee - sembra funzionare, e a costi anche abbastanza contenuti. Proponiamo di approfondirne l’applicabilità anche a livello nazionale. Il quarto punto è la progressiva normalizzazione dell’esperienza di convivenza. Dieci anni fa le coppie che convivevano avevano caratteristiche molto diverse rispetto a quelle che iniziavano la vita a due con il matrimonio. Ora - invece - si assomigliano sempre di più: per l’età, per gli stili di vita, per i rapporti mantenuti con le famiglie di origine. Più di metà dei conviventi, quando e se decide di sposarsi, si sposa in chiesa. L’omologazione procede a grandi passi anche per gli aspetti negativi: ad esempio, le coppie di fatto degli anni Novanta erano molto egalitarie nella gestione del tempo e del lavoro, mentre quelle di oggi riproducono maggiormente le tradizionali disuguaglianze, con la donna molto più impegnata - rispetto all’uomo - nell’attività domestica, anche se lavora. Come deve porsi lo stato davanti a questi cambiamenti? Da un lato, nella nostra sessione è stata sottolineata l’importanza dell’educazione 54 AIAF RIVISTA 2007/2 alla tolleranza e al rispetto delle reciproche scelte. In particolare, nelle scuole, nei consultori e nei centri famiglia vanno messe in atto azioni attive di educazione antidiscriminatoria, perché le persone più fragili, più deboli e individuate dagli altri come “diversi” non diventino capri espiatori, oggetto di derisione. In particolare, si deve lottare con decisione contro ogni forma di omofobia. In secondo luogo, vanno tutelati i diritti e messi in evidenza i doveri delle persone eterosessuali e omosessuali che vivono nelle coppie di fatto, con l’obiettivo fondamentale di tutelare il componente più debole. Ultimo punto. In Italia, le reti di aiuti gratuiti fra famiglie sono l’ossatura per l’assistenza delle persone più fragili. Gli studi mostrano che queste reti mantengono nel tempo una forte densità, e che anche nel prossimo futuro non sono affatto destinate a dissolversi, favorite dalla forte prossimità fra parenti, dall’innalzamento dell’età in cui si inizia ad aver bisogno di aiuto, dall’incremento di reddito degli anziani, dall’ingresso nell’età anziana dei genitori del baby-boom. Non bisogna però tacere le criticità. In futuro, saranno sempre meno gli adulti con tempo disponibile per dedicarsi alla cura degli anziani, specialmente se - come tutti auspicano - aumenterà il coinvolgimento lavorativo degli ultracinquantenni, uomini e donne. Su questo versante si dovrebbe intervenire su due direzioni. In primo luogo, vanno incentivate tutte le misure possibili per aiutare le reti famigliari a mantenere la loro vitalità. Va rigettata l’idea che l’originale mix italiano fra aiuti gratuiti, stato e mercato definisca un welfare di serie B. Un sistema che garantisce il più basso tasso di ricovero in istituto degli anziani in Europa e una delle più alte vite medie del mondo va compreso, custodito, preservato e irrobustito. I servizi e il mercato debbono operare affinché i componenti delle famiglie italiane possano sempre meglio aiutarsi a vicenda. Riprendendo quanto ha detto il sindaco Letizia Moratti, bisogna mettere in atto politiche personalizzate rispetto alle singole famiglie. Anche qui sono state presentate molte proposte. Sottolineo solo che molti hanno messo in rilievo il non risolto ingorgo istituzionale della definizione delle competenze: cosa devono fare i comuni, cosa le ASL, cosa le regioni, cosa lo stato? Questo problema si pone in particolare per i comuni piccoli che non dispongono di strumenti adeguati. Altri rapporteur ripren- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 deranno certamente questo problema. In secondo luogo, proprio perché le reti familiari sono e resteranno dense e ricche, i problemi più acuti si manifestano per chi di queste reti è privo, specialmente per chi non ha figli o ha solo figli che abitano lontano. Qui il problema principale è la necessità di coordinamento fra servizi che dovranno necessariamente essere differenziati nei piccoli comuni e nelle città. Interessante, a questo proposito, la proposta di istituire registri locali sulla fragilità degli anziani soli, individuando anche figure che - in un certo senso - suppliscano alla mancanza di una rete parentale. I cambiamenti in atto nella popolazione e nella famiglia italiana possono spaventare, perché il futuro sarà certamente diverso dal passato, anche se spesso confondiamo il passato con la nostra nostalgia per un’età dell’oro che non è mai esistita. Il cambiamento può riservare anche belle sorprese, se affrontato con saggezza e ragionevole speranza. FAMIGLIA E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE RELATORE: GIUSEPPE DE RITA RAPPORTEUR: VALERIO BELOTTI GRUPPI: • GENITORIALITÀ E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE • FAMIGLIA E SCUOLA C ome potete immaginare non è certo facile restituire la ricchezza e la varietà nonché le ambivalenze emerse nei lavori. Complessivamente hanno partecipato ai lavori circa 160 persone e circa 60 sono stati gli interventi. I lavori sono stati introdotti dalla relazione di Giuseppe De Rita e presieduti dall’onorevole Serafini. Lavori che, seppur su terreni distinti, hanno però richiamato spesso dimensioni di riferimento comuni. A) GENITORIALITÀ E RESPONSABILITÀ EDUCATIVE Tutti gli interventi di questo gruppo hanno sollevato una generale esigenza di riflettere e di NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA ridefinire cosa significhi oggi praticare una responsabilità educativa nelle famiglie con figli, una responsabilità genitoriale. Sia che questa si sviluppi in situazioni di disagio che di agio. E come possono le politiche del benessere sostenere l’esercizio di queste responsabilità senza essere invasive oppure senza limitarsi ad intervenire solo nei casi più problematici Nell’ultimo decennio si è assistito da parte dei genitori ad una crescita esponenziale delle domande di supporto alle responsabilità e competenze genitoriali soprattutto da parte dei nuovi genitori e di quelli con figli adolescenti. Non è una domanda sociale da sottovalutare e nemmeno una domanda che richiede l’istituzione di corsi scolastici o peggio la scrittura di vademecum e decaloghi. Secondo molti partecipanti ai gruppi di lavoro, a questa esigenza si può rispondere, come diverse esperienze hanno già dimostrato, sollecitando la promozione, a livello locale, di opportunità e di pratiche che contrastino le tensioni verso la solitudine, l’autoreferenzialità e il familismo delle famiglie stesse. In questa prospettiva, è stato più volte avanzata una proposta: la necessità di individuare, a livello locale luoghi, modalità e pratiche in cui costruire rapporti fiduciari e scambiare esperienze, discorsi e intenzionalità tra famiglie e famiglie. In cui costruire ed offrire servizi alle famiglie. Scambiare fiducia non è facile; e questa non va confusa con il buonismo. La fiducia presuppone relazioni soprattutto di ascolto delle famiglie, di scambio, di reciprocità, di solidarietà nell’esercizio di ruoli distinti dal servizio pubblico, ma convergenti. Creare spazi fiduciari non è semplice, lo sanno gli operatori pubblici e privati che in modo spesso pionieristico lavorano con le “reti tra famiglie”, con le associazioni delle famiglie solidali. Spazi, in generale, orientati a sostenere il cosiddetto capitale sociale di una comunità; centrale nello sviluppo di una comunità e di un paese, si è detto, non è il solo capitale umano come spesso si sostiene, ma è anche l’insieme delle relazioni orientate al riconoscimento e alla solidarietà tra le generazioni e tra le famiglie. Ciò significa che a livello locale questi spazi devono essere rivolti a sostenere la propositività e il protagonismo delle famiglie in un’ottica di sussidiarietà; orientati a sostenere l’associazio- 55 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA nismo formale ed informale tra le famiglie. Ma quali spazi e con quali modalità? Nel paese esistono diversi esempi, non occorre partire da zero. Queste esperienze vanno viste e riprese per aumentarne le potenzialità, per imparare dai loro eventuali insuccessi e dai loro successi, Sono state citate le esperienze: • dei centri per le famiglie, • delle reti delle famiglie solidali, • dei centri infanzia-adolescenza-famiglia, • delle consulte e delle alleanze locali per le famiglia, • delle ancora deboli, ma esistenti, pratiche di democrazia partecipativa nell’elaborazione dei piani regolatori sociali, dei piani della qualità della vita delle città,…. In questa prospettiva, da molti interventi è emersa la necessità di avviare una riflessione conclusiva sull’attualità e il senso dei consultori familiari, sia pubblici che privati. La domanda è se possono essere proprio i consultori familiari, opportunamente rilanciati e sostenuti, a rappresentare in modo diffuso e capillare nell’intero paese, questi “Centri territoriali rivolti alle famiglie”. Oppure occorre pensare altri strumenti più specifici? La discussione su questo non si è chiusa; certa era invece l’esigenza di avere finalmente questi spazi non più a macchia di leopardo, ma in forma uniforme in tutto il paese. Certa era l’esigenza di fare rientrare questi “spazi” nei livelli essenziali delle prestazioni in modo da poter garantire riferimenti comuni, un’omogeneità di fondo nella loro realizzazione e,soprattutto, la loro connessione con le altre politiche locali di welfare. Ricordando anche, si è detto più volte, che la responsabilità genitoriale è costruita, quotidianamente, non solo tra adulti, ma dall’interazione con le bambine e i ragazzi che sono soggetti attivi delle famiglie. Non sono, ovviamente, affatto l’oggetto della nostra responsabilità. B) FAMIGLIA E SCUOLA Nel secondo gruppo di lavoro, ma le discussioni si sono fortemente intrecciate tra le due occasioni di lavoro, si è detto che nella costruzione locale dei legami fiduciari, vi è una grande 56 AIAF RIVISTA 2007/2 assenza, almeno in moltissime realtà territoriali del nostro paese e riguarda proprio la qualità dei rapporti tra famiglie e scuole, ma diciamolo pure tra scuole e le comunità locali. Guardare all’indietro nel tempo può essere utile per apprendere alcune lezioni del mancato decollo di questi rapporti. Ma non si tratta, come spesso succede di trovare, tra i due (famiglie e scuole), il colpevole, di questa estraneità. I luoghi deputati alla “formazione” non sono affatto estranei ai meccanismi sociali in cui si creano i rapporti fiduciari. Lo sa benissimo chi ha avuto figli che frequentano ed hanno frequentato i servizi socioeducativi dei più piccoli, ma anche le scuole “elementari”. Proprio la natura accogliente di buona parte di queste strutture ha generato spesso tra genitori, educatori ed insegnanti, degli scambi, delle discussioni, delle innovazioni che hanno messo in movimento risorse delle famiglie, risorse dell’associazionismo e del privato sociale nonché risorse delle istituzioni locali. Nel proseguo la scuola diventa estranea, lontana e spesso le famiglie si comportano o sono viste, qualcuno dice, come il sindacato dei figli, delle rompiscatole. È vero, ma come non comportarsi in questo modo quando gli spazi di incontro tra famiglie e scuola sono risicati, cronometrati, impersonali e fastidiosi? I lavori di gruppo hanno indicato che occorre puntare a rendere esplicito, trasparente e visibile alle famiglie il progetto formativo della scuola che le famiglie e i loro figli scelgono: • quale idea di formazione ha la scuola scelta? • quali sono gli obiettivi che la scuola vuole raggiungere, quali le risorse disponibili, le questioni affrontate e le decisioni scolastiche prese? E, contemporaneamente, • quali sono le idee che si sono fatte le famiglie e i ragazzi di questa scuola, • quali le aspettative, gli obiettivi, le attese? Domande che possono essere raccolte e discusse sicuramente nel momento cruciale dell’iscrizione, ma soprattutto nel processo partecipativo che deve portare all’elaborazione ed alla verifica dei POF. Molti hanno visto nell’accoglienza e nel sostegno all’associazionismo formale ed informale dei genitori che si forma nelle scuole una buona pratica da perseguire. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 Anche in questo caso le esperienze in giro per l’Italia ci sono, sono sparse, deboli, ma sono fortemente innovative. È stata citata l’esperienza di un comune limitrofo a Palermo, commissariato da svariati anni, in cui i genitori si sono presi in prima persona l’impegno di sostenere la scuola in forti difficoltà. È stato citato il trentino che ha fatto della partecipazione dei genitori alla vita scolastica un punto decisivo delle sue scelte, seguito ora anche da Cagliari, oppure l’esperienza di Venezia con i progetti di rete tra servizi sociali, scuola e genitori… Le esperienze ci sono: sparse, non connesse tra loro, lasciate alla buona volontà di qualcuno. Ma ci sono e vanno raccolte, documentate e comunicate. La scuola non è un ospite nel contesto locale, nella municipalità. È un soggetto ed un attore attivo che va messo sempre di più in relazione con gli altri soggetti ed attori, soprattutto le famiglie ma anche i soggetti della più ampia società civile e i servizi degli enti locali. Questo anche perché le sfide che deve affrontare la scuola non sono semplici e da sola non può che soccombere. Si pensi alla sfida posta dagli episodi di violenza, alle sfide poste dall’interculturalità. L’interculturalità. Un aspetto che deve essere centrale in questa attenzione. È possibile mettere in atto processi che sviluppino ancor di più anche cose semplici, ma fattibili, rilevava un esperto, come la promozione di corsi di alfabetizzazione linguistica di cui si sente l’estremo bisogno? Oppure protocolli d’intesa tra diversi istituti e servizi di welfare per l’accoglienza e l’inclusione sociale dei ragazzi e delle loro famiglie straniere? La grande sfida posta dai ragazzi di genitori stranieri (quelli diciamo essere di seconda generazione, per intenderci) passa sicuramente - vorrei dire quasi esclusivamente - attraverso il modo con cui la scuola li accoglie e li accoglierà. Occorre essere consapevoli di questa grande opportunità che abbiamo ed occorre puntare all’utilizzo ed allo sviluppo delle professionalità e delle competenze di insegnanti, dei rappresentanti dei genitori, degli educatori, dei mediatori culturali. Una formazione orientata a sviluppare le capacità dei soggetti nella facilitazione delle relazioni e delle reti, le capacità di costruire e sviluppare risorse per il capitale sociale. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA In diverse occasioni nel gruppo di lavoro si è detto che occorrono iniziative ed opportunità che avviino una nuova fase partecipativa nei territori avendo come obiettivo la costruzione di legami tra le famiglie, le scuole e i servizi di welfare. Un’esigenza che sembra richiamare lo spirito e le opportunità che anni fa erano state avviate con la prima fase di attuazione della legge 285 e che, purtroppo, non avevano coinvolto se non marginalmente la scuola. La metodologia della coprogettazione e della corresponsabilità utilizzata con la 285 e riproposta dalla legge quadro 328 vanno riprese. È forse giunto il tempo di ripensare ai successi (molti) e agli insuccessi di quella lezione, nel pieno rispetto delle autonomie locali ed alla luce dei cambiamenti formali intervenuti in questi anni. Forse sì, hanno detto in molti, è giunto il tempo di pensarci e questo di oggi sembra il luogo adatto per pensarci. FAMIGLIA E LAVORO RELATORE: DANIELA DEL BOCA RAPPORTEUR: MARGHERITA MIOTTO GRUPPI: • DIVENTARE FAMIGLIA E MERCATO FLESSIBILE • CONCILIAZIONE E LAVORO DI CURA IN FAMIGLIA • FAMIGLIA E IMPRESA N ella mia sessione “Famiglia e Lavoro” i lavori dei tre gruppi si sono avvalsi delle relazioni delle professoresse Del Boca, Trifiletti, Cardini e del professor Billari, dei Presidenti Treu, Ascoli, Dal Maso, Trico, a tutti va il ringraziamento per un grande lavoro che è stato fatto ieri mattina e ieri pomeriggio. Questa sintesi si avvale ovviamente anche dei contributi di molti esperti che hanno parlato nei lavori di gruppo, degli apporti di alcune decine di interventi. Abbiamo affrontato le condizioni di difficoltà che un mercato flessibile determina sulla scelta di diventare famiglia, nonché i problemi che si presentano nell’essere famiglia, allorché la nascita di un figlio entra in conflitto con il mantenimento del lavoro. In entrambi i casi si generano delle spirali perverse. Nel mercato flessibile i 57 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA giovani non hanno un lavoro stabile, guadagnano molto meno dei loro coetanei europei, perciò faticano nel trovare casa, pagare l’affitto, ritardano nel mettere su famiglia e avere il primo figlio, non godono di congedi e così si allontana la prospettiva di averne un secondo. E così le donne: dopo la nascita del primo figlio oltre il 20% lascia il lavoro e questa situazione determina spesso un peggioramento delle condizioni economiche della famiglia e a quel punto diventa più difficile progettare il secondo figlio. Queste condizioni producono alcuni effetti negativi che tutti conosciamo: la bassa natalità, il sistema economico che si priva di una grande risorsa, come il lavoro femminile, esponendo la famiglia al rischio della povertà, la non valorizzazione della risorsa di innovazione del lavoro dei giovani, schiacciati sui lavori intermittenti e si aprono preoccupanti criticità per la sostenibilità dei sistemi di welfare. Mutamenti del mercato del lavoro e responsabilità familiari interpellano sia le politiche del lavoro come le politiche di welfare, fra queste un mix di servizi, trasferimenti, politiche di conciliazione fa capire che non sono efficaci soluzioni uniche, fra loro alternative, e in questo senso la famiglia non può mancare in alcuno dei tanti tavoli che stanno progettando riforme profonde per modernizzare il Paese. Per consentire ai giovani di diventare famiglia occorre anzitutto riconoscerli, dare loro voce anche con misure simboliche, come, ad esempio, la presenza, nelle istituzioni. Ma occorre aiutarli a recuperare l’autonomia per affrontare tre questioni: promuovere mobilità nell’accesso alle professioni, favorire l’accesso alla casa a costi accessibili, varare ammortizzatori sociali. Per essere famiglia occorre conciliare famiglia e lavoro e su questo versante sono le donne le più esposte a rischio di dover scegliere fra lavoro e maternità, una scelta crudele. A questo si aggiunge un’ulteriore penalizzazione per le donne del Sud, che soffrono la doppia povertà di enorme disoccupazione e larga assenza di servizi. I servizi, quindi, vanno pensati secondo modelli flessibili, diversificando l’offerta in ragione delle necessità di conciliare orari e tempi con il lavoro della famiglia. Penso in particolare ai nidi, ai servizi per l’infanzia nella vasta gamma di opportunità che è già presente, purtroppo, solo in poche aree del paese. S’impone una priorità 58 AIAF RIVISTA 2007/2 per il Governo: rafforzare le scelte avviate con la Finanziaria 2007, un grande investimento sui nidi nella più ampia articolazione e diversificazione per quanto attiene alle caratteristiche organizzative e gestionali, ma con l’attenzione a colmare il grave ritardo, ancora una volta, che c’è nel sud del paese. Le politiche di conciliazione rappresentano una via indispensabile per aiutare la famiglia nei propri progetti di realizzazione personale e professionale, senza mortificare per nulla il desiderio di maternità. Attuare politiche di conciliazione lavoro-famiglia rappresenta anche una grande opportunità di evoluzione organizzativa delle aziende e di miglioramento delle performance aziendali, perciò è utile proseguire con l’iniziativa che segnala le buone prassi sperimentate nelle aziende amiche della famiglia. Diffondere le politiche di conciliazione significa moltiplicare le positive sperimentazioni già fatte ma soprattutto diffondere di più part time, telelavoro, la banca delle ore, formazione per il reinserimento dopo i congedi, consentire la sostituzione del titolare dell’impresa assente per maternità utilizzando anche ulteriori spazi di sperimentazione, che sono consentiti dall’aggiornamento dell’art. 9 della legge n. 53, effettuato con la Finanziaria 2007. Ma dobbiamo riconoscere che è maturo il tempo per una revisione della legge 53 per assumere i profondi cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro e per consentire l’effettivo accesso alle misure previste anche al vasto mondo delle piccole e medie imprese, che sono così decisive nel sistema economico del nostro paese. In verità, l’orizzonte di questo cambiamento è il modello di flex security, che connette politiche di flessibilità del lavoro, politiche attive e prestazioni sociali, perché è necessario prevedere incentivi nella fase di transizione, allorché si perde il lavoro, oltre a politiche sociali che evitino i rischi di esclusione sociale, indotti dalla flessibilità. Inoltre, alcune innovazione normative sulla scia anche si consolidate esperienza di molti Paesi europei. Occorre, quindi, modificare la norma sul part-time con nuove forme agevolate di accesso, meno costose per le aziende, con miglioramento delle condizioni retributive per le lavoratrici e i lavoratori; la modifica delle norme che regolano il congedo parentale, scarsamente utilizzato dai padri perché la riduzione della retribuzione al MAGGIO - SETTEMBRE 2007 30% penalizza troppo il bilancio familiare, andrebbe elevata al 70% entro una certa soglia di reddito ed estesa la possibilità di prenderli con il part-time orizzontale. Estendere i congedi ai lavoratori atipici. Sgravi fiscali per le aziende che sostituiscono una lavoratrice o un lavoratore in congedo. E d ancora: valutazione dell’assenza per maternità negli studi di settore per i lavoratori autonomi. Questa è un’innovazione che costerebbe poco e avrebbe grande efficacia, perché molte lavoratrici autonome ne sarebbero grate. Una misura simbolica: il congedo di paternità alla nascita del figlio. È necessario cambiare la mentalità e servono anche misure di questa natura. L’invecchiamento della popolazione e la condizione della famiglia più esile del passato pone problemi inediti per l’assistenza degli anziani e non autosufficienti, addossata spesso alla donna costretta ad abbandonare il lavoro e rinunciare ad avere figli. È giunto il tempo di un riconoscimento del lavoro di cura, compresa la crescita dei figli. È stata condivisa una proposta della professoressa Del Boca che tende a riconoscere un credito d’imposta alla donna che lavora e che svolge il lavoro di cura, un credito d’imposta per le spese sostenute nel lavoro di cura. È una misura che farebbe emergere il sommerso e incentiva il lavoro femminile. Sarebbe universale per la platea delle donne che lavorano, selettiva perché si applica al di sotto di un limite di reddito determinato con il criterio ISEE. Queste misure tendono ad evitare l’abbandono del lavoro e a riconoscere il lavoro di cura. Chiaramente sono necessarie nuove misure per creare nuova occupazione, penso soprattutto al Sud, ma già questa proposta che in parte riprende esperienze europee, segnerebbe una svolta di grande innovatività nel nostro Paese. Le donne italiane chiedono di avere più figli e di poter lavorare. In ciò esse sono già in linea con le concittadine europee; nei fatti, però, sono molto più indietro delle cittadine europee. Facciamo in modo che queste aspirazioni, Ministro Bindi, si realizzino perché così corrisponderemo anche al bene del Paese. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA FAMIGLIA E WELFARE RELATORE: PAOLO BOSI RAPPORTEUR: TIZIANO VECCHIATO GRUPPI: • SERVIZI PER L’INFANZIA • SERVIZI PER LA FAMIGLIA • LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA E INDICATORI DI REDDITO I l gruppo ha condiviso i contenuti e lo spirito della relazione evidenziando, in particolare alcuni punti: • la rete integrata di servizi per l’infanzia ha un valore multiplo di offerta educativa per i bambini, di sostegno alla genitorialità e di inclusione sociale, rappresenta quindi un pilastro importante del sistema di welfare locale, • la realtà italiana è caratterizzata da un forte disparità a livello territoriale (1% di copertura Campania, 23% Emilia-Romagna),questo è il primo obiettivo di un Piano pluriennale dei servizi dell’infanzia, riequilibrare la situazione territoriale • Il panorama italiano presenta una grande ricchezza di esperienze, ove è forte anche il protagonismo della società civile, tali esperienze devono trovare momenti di verifica e valutazione per un eventuale inserimento a pieno titolo nella rete a livello locale. Questa deve sapere cogliere le specificità territoriali e funzionali, garantendo comunque la qualità dell’offerta formativa, • Sia che si vada nella direzione di procedere ad una riforma normativa (la legge 1044/71 va comunque rimodulata) sia che in una prima fase le scelte vengano sostenute con il Piano (come dice la Finanziaria 07) è indispensabile definire i livelli di governance, chiarendo il ruolo della Regione e degli enti locali, • È ugualmente indispensabile definire standard minimi di qualità a cui vincolare i finanziamenti a breve e lungo termine, avendo attenzione anche ai saperi professionali, ed alle forme di garanzia dei livelli qualitativi dei servizi • L’intervento finanziario dello Stato a sostegno della diffusione della rete dei servizi per l’infanzia deve prevedere un equilibrio fra fondi destinati alla costruzione/ristruttura- 59 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA zione (in contro capitale) e fondi a sostegno della gestione, e deve vincolare le somme alla realizzazione dei servizi, • Un rinnovata programmazione nazionale di diffusione dei servizi per la prima infanzia può e deve essere efficacemente accompagnata da un monitoraggio, da azioni di accompagnamento della progettazione locale, da confronto e scambio di buone pratiche anche attraverso forme di coordinamento tecnico stabile fra regioni e realtà locali. SERVIZI PER LA FAMIGLIA Il gruppo indica cinque priorità: 1. Rendere operativa la L. n. 328/2000 con riferimento ai suoi due profili fondamentali: − la pianificazione territoriale basata sulla capacità di condividere non solo obiettivi ma anche risorse e responsabilità − l’offerta di servizi secondo la raccomandazione strategica indicata nel titolo della legge e cioè in termini di “rete territoriale di servizi” 2. Riprendere il capitale rappresentato dalle ricadute positive della L. 285/97, in quanto si tratta di risultati di un lavoro collettivo (istituzionale e sociale) distribuito nel territorio da salvaguardare e sviluppare nel metodo e nel merito soprattutto per quanto riguarda il binomio “infanzia e famiglia” 3. Fare dei tre temi altrettanti obiettivi target a cui dare priorità a livello nazionale, regionale e locale: − “Sostegno alla genitorialità” e “lavoro di cura” − “Famiglie con figli” − “Famiglie giovani” 4. Percezione diffusa di notevoli difficoltà di integrazione tra sociale e sanitario, malgrado il DLgs n. 229/99 avesse aperto nuove prospettive e basi per affrontarlo. Bisogno ripartire da quelle potenzialità facendo del consultorio famigliare il terreno di prova fondamentale sulla base di due livelli di investimento: − ricomporre le competenze del consultorio familiare distribuite in servizi e attività frammentate e le soprattutto ricomporre le responsabilità necessarie alla sua realizzazione e sviluppo 60 AIAF RIVISTA 2007/2 − facendo leva sullo sviluppo delle funzioni consultoriali oltre i traguardi positivi ma insufficienti, faticosamente raggiunti in 30 anni (ad es. per la tutela della salute della donna e del bambino…) Per raggiungere questo obiettivo è necessario superare la stagione delle faticose concertazioni e negoziazioni tra Aziende sanitarie e comuni, che spesso ostacolano la sua piena realizzazione, tenendo presente che si tratta di un servizio a valenza territoriale (distrettuale e di ambito sociale) e quindi da qualificare con risorse adeguate e condivise, da non condizionare al contenzioso tra titolarità formali, mentre restano inattuali i livelli essenziali di assistenza su questa materia. 5. La regolamentazione del lavoro di cura deve produrre conseguenze a vantaggio e tutela dei diritti di tutte le parti in causa e quindi per chi in famiglia si occupa di figli o altri familiari bisognosi di cure, di chi opera nel mercato del lavoro di cura (assistenti familiari…) senza scaricare sulla famiglia gli oneri economici di questa maggiore tutela (fiscalizzazione oneri, riconoscimento degli oneri contrattuali alla famiglia da parte degli enti locali e/o delle regioni). Per i familiari che svolgono lavoro di cura all’interno della famiglia il riconoscimento deve ad esempio iniziare dalla tutela pensionistica in vista di un più compiuto riconoscimento anche economico di tale lavoro. LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA E INDICATORI DI REDDITO Le principali domande che si è posto il gruppo sono le seguenti: • cosa intendere per livelli essenziali di assistenza e in particolare per livelli essenziali di assistenza per la famiglia • come definirli e attuarli • a partire da quali responsabilità • con quali risorse LA QUESTIONE DELLE RISORSE E DELLA LORO FINALIZZAZIONE La spesa per l’assistenza sociale in Italia (2006) è stata di 44.540 milioni di euro (3% Pil) pari a 700-750 euro pro capite, di questi 86,15 euro è MAGGIO - SETTEMBRE 2007 la spesa sociale sostenuta dai comuni nell’anno 2004). Quindi indicativamente solo 1/14 di questa spesa è erogata in servizi e ben 13/14 in trasferimenti monetari. È questo l’enorme problema che ci consegna la non attuazione dell’art. 24 della L. 328/2000, cioè l’incapacità istituzionale e sociale di mettere mano alla questione dei trasferimenti “monetari e/o servizi?”, sulla base dei bisogni effettivi e non solo dei diritti acquisiti. Il gruppo indica questa priorità come una “questione sociale” da affrontare e affrontabile trasformando sostanzialmente le nostre capacità di governo del welfare in modo da garantire servizi alle persone e alle famiglie e non solo trasferimenti monetari. 2. Come valutare insieme la “capacità” (economica, di risorse di potenzialità personali e relazionali) e il “bisogno”. cioè la necessità (e il diritto) di essere aiutati e sostenuti nell’esercizio delle funzioni genitoriali e familiari? Sul piano della valutazione delle capacità economiche c’è un unanime necessità di una strumentazione comune (ISEE) da modulare secondo i territori e le esigenze di valutare diverse dimensioni di tale capacità. Sul piano della valutazione tecnico professionale va affrontato il problema della strumentazione professionale del bisogno, quale premessa per meglio regolare la dimensione del diritto ad accedere ai servizi per la famiglia in condizioni di maggiore equità, rispetto alla situazione attuale (con soluzioni da individuare in termini di accesso unitario, assistente sociale della famiglia, unità multiprofessionale…), e meglio governare il rapporto tra risorse disponibili e risposte da riconoscere nei livelli di assistenza. COSA INTENDERE PER LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA PER LA FAMIGLIA Come è stato ed è per molti diritti della persona a cui si è dato riconoscimento non solo in termini di risposta ma anche di valore proprio, sociale da tutelare, va definita e configurata operativamente una particolare tutela giuridica e sociale dei bisogni e diritti della famiglia. Si tratta infatti di bisogni e i diritti che caratterizzano la condizione di vita famigliare intesa come nucleo originale (non solo somma) di relazioni, responsabilità e capacità di affrontare questioni centrali della vita umana. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA Per questo i livelli essenziali di assistenza per la famiglia possono essere definiti e interpretati avendo in mente la necessità di armonizzare bisogni, diritti e responsabilità della persona con i bisogni, responsabilità e (quindi anche) diritti che caratterizzano in senso proprio l’esercizio delle responsabilità familiari. Possono essere caratterizzati come diritti di cittadinanza sociale della famiglia da tutelare con: • la costruzione di infrastrutture di Lea necessarie per l’accesso, l’informazione, l’accompagnamento, la valutazione del bisogno, la presa in carico, la personalizzazione delle risposte), cioè con infrastrutture di cittadinanza necessarie alla promozione della persona e della famiglia; • la realizzazione delle risposte in termini di servizi domiciliari, intermedi, residenziali, di pronto intervento, a partire dalla presenza territoriale di queste infrastrutture e dalle capacità tecniche e professionali presenti nel territorio in modo da promuovere l’incontro tra bisogni, diritti e risposte riconosciute come livelli essenziali. Si tratta in sostanza di una grande opera sociale che richiede investimenti di breve, medio e lungo periodo. Solo in quanto riconosciuta come “grande opera” può essere affrontata oltre la disputa contingente sulla sostenibilità, sulle compatibilità e sulle insufficienti risorse che, in quanto non riconvertite, non potranno mai essere adeguate per questa impresa. A cosa finalizzare i livelli di assistenza per la famiglia Nell’idea di livello di assistenza c’è già in buona parte la sua finalizzazione (costituzionale) e cioè equità distributiva, pari opportunità, promozione delle potenzialità, tutela dei soggetti deboli, intesi non solo come persone ma anche come famiglie, in particolare quelle maggiormente svantaggiate e/o gravate da carichi di cura insostenibili senza adeguati supporti. Per questo la questione “esigibilità” dei diritti connessi ai livelli di assistenza va vista non solo in termini di certezza ma anche di stabilità nel tempo, in un quadro di garanzie basato sull’incontro di diverse responsabilità: lo stato, le regioni, gli enti locali e… di quanti sono sostanzialmente coinvolti e cointeressati nel finanziamento e nell’attuazione del livelli. Attualmente il finanziamento dei livelli si basa 61 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA sulla solidarietà fiscale che rende possibile la conseguente spesa statale, regionale e comunale. Ma non bisogna sottovalutare e non riconoscere il fatto che una quota consistente dei servizi per la famiglia e oggi “pagata al momento del consumo” dalle famiglie stesse, cioè in sede di fruizione delle risposte di cui hanno bisogno e diritto (per l’infanzia, per la non autosufficienza…). La questione dei livelli vede quindi la famiglia doppiamente contribuente nel finanziare risposte che possono/devono diventare parte sostanziale dei livelli essenziali di cittadinanza per la famiglia. Non si può quindi pensare che la definizione dei livelli non veda tutti gli azionisti cointeressati e corresponsabilizzati in ragione soprattutto della propria titolarità istituzionale e (anche) in ragione del proprio impegno nel finanziarli e garantirli in condizioni di equità su tutto il territorio nazionale. Va quindi evitato di fare della questione dei livelli essenziali di assistenza una disputa di competenze e titolarità settoriali, perché si tratta di una grande opera che il Governo nella sua collegialità può affrontare in modo complessivo, efficace, valorizzando le diverse competenze, grazie all’incontro e collaborazione dei diversi centri di responsabilità presenti al suo interno. Per raggiungere questo traguardo serve inoltre una nuova cultura dei servizi alle persone e alle famiglie, basata sulla composizione di valori, strategie e risorse che oggi, grazie anche a questa conferenza, possiamo meglio condividere e sviluppare, quale base necessaria per una nuova stagione non solo delle politiche per la famiglia ma delle politiche di welfare nel loro complesso. 62 AIAF RIVISTA 2007/2 LA FAMIGLIA CHE ACCOGLIE RELATORE: GIULIA DE MARCO RAPPORTEUR: MARIA RITA VERARDO GRUPPI: • ADOZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI • AFFIDO P rima di riferire molto sinteticamente sui lavori della mia sessione, desidero salutare con molta gratitudine l’Onorevole Presidente del Consiglio, il Ministro Rosy Bindi. Questa Conferenza sulla Famiglia è già stata definita storica e ci induce a guardare con speranza al futuro delle famiglie. È stato detto già nel primo intervento che questo è un momento per richiedere con forza l’istituzione di un giudice unico per la famiglia e per i minori, proposta che sta molto a cuore a tutti. La mia sessione, che si è occupata della famiglia che accoglie è stata introdotta da una lectio magistralis di Giulia De Marco che ha toccato tutti i punti con grande completezza e profondità e che quindi ha stimolato un dibattito proficuo, fecondo, ricco, articolato nei due gruppi coordinati dal Presidente Luigi Fadiga e da Stefano Ricci. Non potrò dare voce a tutte le splendide cose che sono state dette e perciò le rinvio al contributo scritto che presto invierò alla Conferenza Luigi Fadiga ha detto che forse bisogna qualificare il desiderio di accoglienza delle famiglie. Ma chi è la famiglia che accoglie? La famiglia che accoglie si pone come una risorsa nei confronti delle famiglie meno fortunate e noi, nel gruppo abbiamo guardato a questi problemi, mettendo al centro il bambino, quel bambino, quel minore che in tutte le sue età, sia neonato, sia fanciullo, preadolescente, adolescente ha diritto a che gli sia davvero garantita la famiglia come luogo di crescita. Non il diritto al figlio, ma è il figlio che ha diritto alla famiglia. Intorno a questo cardine che hanno ruotato tutti i nostri lavori, tutti gli approfondimenti per quanto concerne l’affido nazionale, abbiamo parlato di adozione nazionale e di affidamento familiare, abbiamo parlato di adozione internazionale e di affidamento internazionale che è la novità, l’istituto a cui il Ministro Bindi so tenere particolarmente. Ci siamo detti che l’affidamento internazionale è una risposta al diritto dei bambini di tutto il MAGGIO - SETTEMBRE 2007 mondo, non solo dei bambini italiani. Le famiglie italiane saranno pronte ancora una volta ad accogliere dei ragazzi - perché devono essere ragazzi non bambini - che verranno da paesi stranieri per tornare al loro paese, dopo un adeguato percorso di studi o un apprendistato lavorativo. È importante che non ci siano equivoci e che non si voglia organizzare l’affidamento internazionale come escamotage per arrivare all’adozione internazionale; che sia monitorato il desiderio delle famiglie, che sia accolto, conosciuto e, quindi, ritornerebbe qui il profondo e grave discorso della carenza di servizi qualificati, dedicati esclusivamente a famiglie minori. Abbiamo già detto e ripetuto, la famiglia ed i bambini di tutto il territorio, da Bolzano a Ragusa, hanno diritto a servizi che siano distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio. Servizi integrati socio-sanitari, servizi che non possono essere affidati ad operatori precari, perché l’utente che soffre non può raccontare la storia dolorosa della sua vita ad un turnover di operatori che si alternano. Con forza, quindi, ripetiamo no al precariato nei servizi. L’adozione nazionale non riguarda più soltanto i pochi minori che vengono abbandonati dai genitori, secondo la vecchia nozione della derelictio, ma richiama al dovere magistrati, servizi, operatori privati e sociali, ci richiama ad ascoltare quel silenzioso urlo degli innocenti, come è stato ben detto da Giulia De Marco nella relazione, ed a me ha riportato alla mente quello che Carlo Moro scriveva già nel suo primo manuale “Gli orfani di genitori viventi”. Quegli orfani di oggi, molto numerosi, chiedono famiglia, chiedono innanzitutto che la loro famiglia sia sostenuta e messa in condizione di svolgere appieno il suo ruolo. Grande impegno, quindi, per sostenere le famiglie meno fortunate, le famiglie meno capaci. Quando, però, la valutazione della genitorialità, che deve essere fatta da operatori discreti, qualificati, ma molto competenti, quando la valutazione della genitorialità propone altre strade, bisogna che una magistratura specializzata, e richiamo la nostra istanza di un tribunale per la famiglia. Un giudice specializzato, in sintonia con i servizi e col privato sociale tempestivamente dia risposte ai diritti dei minori che sono l’affidamento e l’adozione nazionale ed internazionale. Dobbiamo fare in modo che le famiglierisorsa si incontrino con le famiglie-problema. NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA FAMIGLIA, VIOLENZA E RIPARAZIONE RELATORE: SIMONA ARGENTIERI RAPPORTEUR: FRANCO VACCARI GRUPPI: • CONFLITTUALITÀ E VIOLENZA NELLA COPPIA • NUOVE E VECCHIE VIOLENZE SUI BAMBINI P iù di 200 persone si sono incontrate in maniera appassionata, i saperi più avanzati, le trincee più dure, i luoghi più dolorosi; abbiamo parlato anche dei muri impenetrabili dove abbiamo visto però che si aprono delle brecce e delle crepe. Condotti insieme dalla dottoressa Simona Argentieri, dalla professoressa Isabella Merzagora, dall’avvocato Marco Scarpati a cui si sono uniti nel gruppo la dottoressa Corinaldesi e Stefania Rossini. Da questo luogo appassionato che si è confrontato con estremo rigore sulla problematica viene fuori una prima gran bella notizia: che la famiglia tiene anche da questo punto di vista: non perché la violenza c’è, la famiglia è superata. La violenza c’è; si vede, si palpa in tutto l’arco dell’esistenza, comincia già in mille forme sulla madre, sul bambino, già prima della nascita, la troviamo nel delicatissimo periodo intorno alla nascita, spesso in un clima di solitudine. La violenza su cui abbiamo concentrato l’analisi è quella quotidiana (non abbiamo parlato di Cogne finalmente!). Nasce con le ansie, le preoccupazioni, le paure negate, inespresse, le fragilità… Tutto questo costituisce un mix che poi produce e porta alla violenza. Non siamo entrati nel museo degli orrori, abbiamo evitato questo rischio, ma non siamo stati neanche nel Villaggio dei Puffi. Abbiamo ruotato attorno a un paio di questioni che in estrema sintesi pongo all’attenzione di tutti. Occorre conoscere, riconoscere, ascoltare, osservare ciò che si va maturando nella vita quotidiana delle famiglie che vivono uno stato o un sentimento la solitudine. Se non facciamo questo, non saremo in grado di prevenire le forme della violenza. Quindi occorre deprecarizzare l’intervento delle strutture; bisogna dare luoghi certi, risposte sicure, figure professionali chiare, volti concreti che ristabiliscano il dialogo, tengano aperta la relazione della famiglia con l’esterno e facciano maturare relazioni di fiducia. Non è 63 NUOVE REALTÀ FAMILIARI E POLITICHE PER LA FAMIGLIA possibile che le famiglie nel momento della crisi non sappiano dove andare, dove rivolgersi, trovino figure sempre diverse, luoghi sempre diversi. Questa è la prima e fondamentale necessità, perché altrimenti rischiamo di scrivere un altro volume del libro dei sogni. In questa prospettiva della non precarizzazione di tutto questo intervento, oltre al potenziamento dell’Osservatorio Nazionale per la pedofilia, abbiamo lavorato e insistito molto su una proposta concreta: introdurre, finalmente, una nuova visione dei consultori. Promuovere una loro evoluzione, un’innovazione verso nuove funzioni consultoriali. Potremo anche discutere del nome, potremo chiamarli Centri Famiglia, proprio per questa loro nuova funzione, perché dentro questa nuova realtà, da concepire in maniera assolutamente innovativa, noi dovremo trovare i modi per la formazione di nuovo personale. È una formazione integrata tra i saperi diversi, nella riformulazione di nuovi linguaggi, che sappiano descrivere i nuovi fenomeni che ancora non co- 64 AIAF RIVISTA 2007/2 nosciamo. Questo permetterà di padroneggiare una materia sempre più complessa e sfuggente, di poter dare risposte unitarie, capaci di far uscire la famiglia dalla frammentazione e dalla solitudine. Ecco il senso di un luogo concreto, accessibile, amico della famiglia, con volti concreti che non cambiano continuamente, specialmente nei grandi momenti delle crisi familiari. Così spezzeremo fin dal primo momento perinatale le angosce che si accumulano intorno ai primi strilli dei bambini, germi di future violenze. Gli strilli dei neonati, che si moltiplicano in un’eco incontenibile e angosciante quando l’ambiente è caratterizzato dalla solitudine di tante madri, potranno invece, se ascoltati da ambienti di relazioni sociali vive e forti, essere un motivo di gioia e l’inizio di una vita serena. Un’angoscia spenta sul nascere, preverrà - con costi di gran lunga minori - le necessarie e successive riparazioni, sempre molto difficili e non sempre dall’esito felice. MAGGIO - SETTEMBREAFFIDAMENTO 2007 E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI EDITORIALE L’ ordinanza della Corte di Cassazione n. 8362 del 22.3.2007, depositata il 3.4.2007, che ha risolto il conflitto negativo di competenza tra il Tribunale Ordinario e il Tribunale per i Minorenni di Milano in relazione ai procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, conflitto determinatosi a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/06, pone alcuni seri interrogativi, soprattutto di natura processuale, in relazione alla interpretazione e applicazione della normativa da parte dei Tribunali per i Minorenni che, secondo l’indicazione della Corte, dovranno decidere anche le domande di natura economica - già di competenza del Tribunale Ordinario ai sensi dell’art. 148 c.c. - se proposte contestualmente alla domanda di affidamento dei figli. Tuttavia questa importante decisione della Suprema Corte, se letta anche alla luce dei principi generali dell’ordinamento e della legislazione sovra-nazionale nonché di altre sentenze della stessa Cassazione e della Corte Costituzionale, rende a mio parere possibile l’adozione, da parte dei Tribunali per i minorenni, di soluzioni efficaci dal punto di vista processuale, in attesa di interventi legislativi che chiariscano i numerosi dubbi che stanno emergendo nella applicazione della legge da parte della giurisprudenza di merito. Va anzitutto apprezzato il fatto che sia stato dalla Corte affermato, che con l’entrata in vigore della legge n. 54 non è vero che tutto resta come prima in relazione alla ripartizione delle competenze, come viceversa sostenuto oltre che dal Tribunale di Milano, da gran parte della giurisprudenza sia dei Tribunali per i minorenni che dei Tribunali Ordinari. Cosa che non era affatto scontata. La legge n. 54 ha comportato una innovazio- 1 ne rispetto alla precedente regola del riparto che attribuiva la cognizione delle controversie concernenti il contributo al mantenimento del figlio naturale al Tribunale Ordinario anche in caso di contestualità della domanda di natura patrimoniale con quella relativa all’affidamento, cosa oggi non più consentita. Questa corretta interpretazione della legge, affermata oggi in modo chiaro e autorevole dalla Suprema Corte, pone una importante base dalla quale credo non si debba tornare indietro1. Afferma la Corte: “…una volta che gli artt. 155 e LA COMPETENZA SULL’AFFIDAMENTO E IL MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI DOPO L’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE N. 8362 DEL 3.4.2007 _MARIA GRAZIA DOMANICO* Relazione al Seminario AIAF Lombardia del 16 maggio 2007 - Milano Critico nei confronti dell’ordinanza della Corte MARIO FINOCCHIARO che, in particolare, rileva: “Pare contraddittorio affermare, da una parte, che le nuove norme non hanno inciso sulla competenza per materia in ordine ai provvedimenti relativi all’affidamento della prole e - contemporaneamente - dichiarare che per il futuro, diversamente che per il passato, il giudice minorile potrà, proprio in virtù della nuova normativa (in realtà assolutamente muta in punto competenza), adottare anche provvedimenti di contenuto patrimoniale, quanto al mantenimento del minore. In realtà l’ambigua disposizione del secondo comma dell’articolo 4 della nuova legge…poteva essere utilizzata dalla Suprema Corte come strumento per superare - una volta per tutte - in via di interpretazione l’anacronistica e del tutto irrazionale contrapposizione prevista dalla vigente legislazione tra giudice minorile e giudice ordinario in tema di affidamento in caso di “separazione dei genitori”devolvendo ogni controversia al tribunale ordinario”. (in Guida al diritto, n. 15 14.4.2007 p. 38 e seg.). LUCIANO SPINA rileva che “si presentano ora per la magistratura minorile alcuni problemi operativi che sarebbe opportuno affrontare in tempi rapidi, individuando delle modalità “condivise” tra i vari soggetti professionali (magistrati, avvocati, funzionari di cancelleria) per quanto riguarda l’adattamento dello strumento processuale del rito camerale ai riferimenti normativi della legge n. 54 del 2006, tenendo presente che esistono già nel nostro ordinamento altri procedimenti contenziosi che vengono trattati con tale rito (si veda ad esempio il procedimento ex articolo 710 del 65 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI seg. c.c. concorrono a plasmare… l’art. 317 bis c.c., quest’ultima disposizione si arricchisce di nuovi contenuti: non solo quindi… dei nuovi principi sulla bigenitorialità, sull’esercizio della potestà genitoriale e sull’affidamento, ma anche della regola di inscindibilità della valutazione relativa all’affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento. Il giudice specializzato… è chiamato, nell’interesse del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione, e, quindi investente i profili patrimoniali dell’affidamento”. L’unità delle competenze, su affidamento e mantenimento, è soluzione che appare maggiormente orientata, afferma la Corte, alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione: “… il principio di eguaglianza… esige che i minori non ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati.…Ritiene il Collegio che vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela, in caso di crisi del rapporto di convivenza tra i suoi genitori naturali ricevesse dall’ordinamento una risposta frazionata, con la perdita di quella valutazione globale… che soltanto una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell’affidamento può assicurare.” Inoltre, prosegue la Corte, lo sdoppiamento di competenze comporterebbe un evidente sacrificio del principio di concentrazione delle tutele che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo. Acquista dunque particolare importanza, per le conseguenti opzioni interpretative in campo processuale, questo richiamo forte della Suprema Corte alla necessità di garantire parità di trattamento ai figli, siano essi nati da genitori AIAF RIVISTA 2007/2 coniugati o meno, nel rispetto del principio di eguaglianza, figli minori che oggi sono titolari di diritti propri e autonomi, sanciti finalmente dalla legge n. 54 nel rispetto delle indicazioni già fornite dalla normativa internazionale2. Ma la Corte di Cassazione fornisce anche altre indicazioni che possono orientarci per una corretta e efficace interpretazione delle norme. Le indicazioni di natura processuale possono così essere riassunte: 1. Nel caso di contestualità delle domande di affidamento del figlio e di natura economica (contributo al mantenimento e assegnazione della casa familiare) - e solo in tal caso - il Tribunale per i Minorenni dovrà provvedere in relazione a tutte le domande, e quindi anche in relazione a tutte le questioni economiche, per “attrazione” delle domande in capo allo stesso giudice specializzato e ciò in quanto, in caso contrario, vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela ricevessero dall’ordinamento una risposta frazionata. Inoltre il principio del giusto processo, recepito con la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, “…impone all’interprete - precisa la Corte - una nuova sensibilità e un diverso approccio ermeneutico, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo nella realizzazione di detto obiettivo costituzionale.”. 2. Dunque la legge n. 54 avrebbe operato un’innovazione anche dal punto di vista processuale facendo venir meno la regola c.p.c.)” - in Famiglia e minori n. 5 maggio 2007 pag. 13. CARMELO PADALINO osserva che il richiamo, nell’ordinanza in esame, di norme processuali ritenute dalla Cassazione compatibili con il procedimento che si svolge davanti al tribunale per i minorenni “…presuppone, necessariamente, il rispetto del diritto di azione, del diritto di difesa e, soprattutto, della garanzia del contraddittorio tra le parti (in forma certamente non più rudimentale, ove si consideri, tra l’altro, la possibile condanna di uno dei genitori al risarcimento del danno). Ne deriva che, a seguito della novella del 2006, il processo civile minorile si caratterizza in senso tipicamente contenzioso e, conseguentemente, i provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 317 bis del Cc dovranno ritenersi suscettibili di passare in giudicato (sebbene rebus sic stantibus) e, quindi, potranno essere impugnati mediante il ricorso straordinario per cassazione di cui all’articolo 111 della costituzione (stante la loro “sostanza” contenziosa.)”. In Famiglia e minori n. 5 maggio 2007 pag. 26. Osservazioni, queste ultime, pienamente da condividere; il nodo da affrontare, peraltro, è se da ciò ne derivi o meno l’obbligo della difesa tecnica in tali tipi di procedimenti. 2 66 v. in particolare convenzione New York 20.11.1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176 e convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori stipulata a Strasburgo il 25.1.1996 ed entrata in vigore in Italia l’1.11.2003 (L. 20.3.2003 n. 77) MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI del riparto delle competenze rispetto alla quale la Suprema Corte aveva in passato avuto anche modo di affermare che, trattandosi di competenze di natura funzionale, indicate dall’art. 38 disp. att. c.c., e pertanto inderogabili, non potevano trovare applicazione le norme sulla connessione (v. Cass. 20.4.1991 n. 4273, Cass. 8.3.2002 n. 3457 e Cass. 15.3.2002 n. 3898 citate nell’ordinanza in esame). In realtà più che un richiamo all’articolo 111 della Costruzione e al principio di eguaglianza, che quindi anche prima della legge n. 54 avrebbero potuto indurre la giurisprudenza a rivedere la rigida regola del riparto delle competenze, appare calzante il richiamo allo stesso art. 155 riformato che, in base alla semplice interpretazione letterale, rende interdipendenti e non più scindibili le decisioni relative all’affidamento, al mantenimento e all’assegnazione della casa. Intero contenuto del 155 c.c. che avrebbe “riplasmato”, come dice la Corte, l’art. 317 bis c.c. Mi sembra peraltro non possano esservi dubbi sul fatto che permanga la competenza del Tribunale Ordinario ai sensi dell’art. 148 c.c. nel caso siano proposte dai genitori non coniugati esclusivamente domande di natura economica che non implichino peraltro una modificazione dello stato di fatto con riferimento alle condizioni di vita del figlio ed alle relazioni tra lo stesso e i genitori. 3. La disciplina della separazione dei coniugi (art. 706 e seg. c.p.c.) non è applicabile alla cessazione della convivenza di fatto, come già ricordato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 166 del 1998 (che ha dichiarato manifestamente infondata una questione di costituzionalità avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 151, 1°c. c.c. e 155 c.c. nella parte in cui non disciplina la crisi della convivenza di fatto con le stesse regole previste per la famiglia legittima, evidenziando che l’assenza di un procedimento specularmene corrispondente a quello di separazione dei coniugi involge questioni di politica legislativa ma non determina la violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24 e 30 della Costituzione). Vi è da dire anche che le lacune della specialità di un rito non possono essere colmate con un richiamo ad altro rito speciale, bensì con il riferimento alle norme del processo ordi- 4. 5. 6. 7. nario di cognizione “in quanto compatibili”. (cfr. Cass. N. 15100 del 16.7.2005) Il Tribunale per i Minorenni è un tribunale specializzato, che opera con rito camerale, rito che appare peraltro compatibile con l’applicazione di talune norme processuali introdotte con la L. 54. In particolare potranno essere utilizzati dal Tribunale per i Minorenni i poteri istruttori del giudice della separazione, compreso quello di disporre accertamenti tramite la Polizia Tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione anche se intestati a soggetti diversi; sui poteri di ascolto del minore; con il consenso delle parti si potrà rinviare (o meglio sospendere) il procedimento per consentire un percorso di mediazione. È applicabile da parte del Tribunale per i Minorenni l’art. 709 ter c.p.c. in caso di gravi inadempienze o di atti che arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento. Il giudice minorile pertanto potrà non solo ammonire il genitore inadempiente o infliggere una sanzione a suo carico, ma anche disporre il risarcimento del danno in favore del genitore danneggiato dal comportamento dell’altro o disporre analogo risarcimento in favore dello stesso minore. Mentre ritengo che non si pongano problemi processuali, per il tribunale per i minorenni, con riferimento all’ammonimento e anche alla sanzione amministrativa - che, per sua natura, costituisce titolo esecutivo - diversamente problemi si porrebbero con riferimento alla possibilità di ottenere il risarcimento dei danni e alla possibilità di far valere in sede esecutiva tale titolo (a prescindere dal problema delle modalità di accertamento del danno che, se ritenuto esclusivamente quale ristoro per violazione di diritti fondamentali, come credo, potrebbe essere liquidato in via equitativa senza particolare attività istruttoria). Non sono applicabili le disposizioni dell’art. 708, 4° comma c.p.c. introdotte dall’art. 2 c. 1° della legge n. 54 sulla reclamabilità della ordinanza presidenziale, che presuppongono che una ordinanza presidenziale vi sia e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli artt. 706 e seg. c.c.3 Sul punto è bene ricordare che il tribunale per i mino- 67 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI renni non ha la figura del giudice istruttore e che qualsiasi provvedimento, anche di natura istruttoria, deve necessariamente essere assunto collegialmente.4 8. La Suprema Corte fa infine un significativo richiamo all’art. 277, 2° comma c.c., anche se solo per dire che il giudice minorile, nei procedimenti di dichiarazione di paternità e maternità naturale, può dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione, e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui. “E proprio in forza di tale disposizione - si legge nell’ordinanza - questa Corte da sempre individua nel tribunale per i minorenni… l’organo giurisdizionale investito del potere di emettere altresì i provvedimenti opportuni per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei minori stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali quali misure consequenziali (“effetti della sentenza” secondo la rubrica dell’articolo 277 c.c.) alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione, perfino quando essi riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell’ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per 68 AIAF RIVISTA 2007/2 intero…E si tratta di soluzione interpretativamente da preferire, perché maggiormente orientata alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione.…La giurisprudenza costituzionale invita l’interprete a considerare “il matrimonio non…più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli - legittimi e naturali riconosciuti identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri”:… la condizione giuridica dei genitori tra loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’articolo 30 della costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (Corte Cost. sentenza n. 166 del 1998). Dunque, come già detto, la Corte di Cassazione richiama più volte la necessità che sia rispettato il principio di eguaglianza e di parità di trattamento dei figli, a prescindere dalla natura del vincolo che ha legato i genitori in conflitto tra 3 In proposito LUCIANO SPINA, nel commentare l’ordinanza della Corte di Cassazione, sostiene che ora la magistratura minorile dovrà affrontare alcuni problemi operativi adattando lo strumento processuale del rito camerale ai riferimenti normativi della L. 54. In particolare per i procedimenti ex art. 317 bis c.c. potrebbero individuarsi due fasi processuali, sul modello del procedimento di separazione personale, “la fase provvisoria dinnanzi al presidente del Tribunale, a istruttoria sommaria, e la fase avanti al giudice relatore, a istruzione ordinaria. Durante la fase sommaria, dopo l’audizione degli interessati da parte del Presidente del Tribunale, svolti gli accertamenti indispensabili... a istanza di parte o d’ufficio ex art. 155 sexies c.c.(tra cui potrebbe rientrare anche la richiesta di informazioni ai servizi sociali) e disposta l’audizione del minore ultra dodicenne, il collegio emetterà i provvedimenti temporanei e urgenti relativi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento e all’assegnazione della casa familiare, secondo la previsione di cui all’art. 336 comma 3 c.c. e, contestualmente, fisserà il prosieguo dell’istruttoria dinnanzi a un giudice relatore (tali provvedimenti provvisori non potranno essere monocratici in quanto non consentiti nei procedimenti di potestà e risulteranno certamente reclamabili dinnanzi alla Corte di Appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c.). esaurita la fase ordinaria dinnanzi al giudice relatore… il tribunale.. emanerà i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli, al loro mantenimento e all’assegnazione della casa familiare ai sensi degli artt. 155 e seg. c.c. e 317 bis c.c. in via definitiva.”. (v. in Guida al diritto - famiglia e minori - maggio 2007 n. 5 pag. 13 e seg.) 4 Sul punto v. Cass S.U. sentenza n. 5629/1996 che ha affermato che il principio generale secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell’organo collegiale, in difetto di esplicite norme contrarie, trova applicazione anche nell’ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi quale quello per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale di minori per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato, tenuto anche conto del fatto che la delega comunque non concerne l’ammissione delle prove, demandata al giudice collegiale il quale soltanto può valutarne l’ammissibilità e la rilevanza, bensì la loro mera assunzione attribuita dallo stesso collegio a uno dei suoi componenti. Tale sentenza delle sezioni unite viene ripresa anche da Cassazione n. 15100 del 16 luglio 2005 che afferma: “il principio affermato dalle sezioni unite della corte di cassazione merita di essere condiviso, va osservato…che il giudizio di dichiarazione della filiazione naturale…è soggetto al rito camerale…sicchè la natura contenziosa del procedimento comporta una sostanziale equiparazione delle indagini istruttorie a quelle proprie degli ordinari giudizi di cognizione. In altri termini, va rilevato che il processo ordinario di cognizione costituisce il paradigma procedimentale del nostro ordinamento per cui, salvo diversa disposizione di legge, il rito da seguire è quello ordinario da cui è possibile distaccarsi solo in caso di previsione espressa e che nei procedimenti speciali vige da sempre il principio per il quale essi si differenziano da quello ordinario solo nei limiti espressamente previsti dalla legge.…le lacune dei procedimenti speciali vanno colmate con le norme dettate per il procedimento ordinario…e non possono essere colmate col ricorso alla disciplina di un altro procedimento speciale.”. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI loro. Tali principi richiamati dalla Corte esigono, allora, anche parità di trattamento con riferimento alla effettività della tutela, poiché, in caso contrario, sarebbe un richiamo solo formale e sterile, ove cioè i diritti fatti valere non avessero la effettiva possibilità di essere efficacemente azionati, con la previsione quindi dell’obbligo della difesa tecnica, per poter essere poi riconosciuti nell’ambito di un procedimento che segua un percorso prestabilito, ove le regole poste servano non solo a garantire il confronto tra diritti ed interessi contrapposti e la piena conoscenza di essi da parte di un giudice imparziale, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio - di fatto già garantito anche nel procedimento camerale - ma consentano anche di fornire al giudice elementi di valutazione che abbiano poi valore probatorio pieno: essenzialmente, quindi, possibilità di ammettere prove testimoniali, disporre consulenza tecnica di ufficio, disporre ordini di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., come già accade per i procedimenti ai sensi degli articoli 250 e 269 cod. civ. che si svolgono avanti al tribunale per i minorenni. A queste condizioni sarà poi agevole riconoscere la natura di titolo esecutivo al provvedimento finale, quand’anche mantenga la forma del decreto, in mancanza di una espressa previsione legislativa che indichi la forma della sentenza. Si tratta infatti di procedimenti aventi certamente natura contenziosa nonché identico contenuto rispetto ai procedimenti di separazione che si svolgono davanti al tribunale ordinario (a parte la necessità, in quella sede, di sciogliere il vincolo di coniugio). Certamente il rito camerale è compatibile con l’esercizio dei diritti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli in caso di separazione dei genitori, a condizione però che non si faccia riferimento puramente e semplicemente agli artt. 336 c.c. e 737 e seg. c.p.c. - pena la violazione del principio di eguaglianza e del diritto di 5 difesa, che si riproporrebbe alla Corte Costituzionale in modo nuovo, ora che devono essere affrontate anche le conseguenti statuizioni di carattere economico - ma si adatti il rito camerale alla particolare natura delle controversie in questione e al tipo di domande che vengono proposte in giudizio, dal momento che il rito camerale, come ha evidenziato la stessa Corte di Cassazione, Sezioni Unite, non è altro che un “contenitore neutro, nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie su diritti o status” (Cass S.U. n. 5629/1996) Certo la questione è delicata e non sembra che vi sia, allo stato, un orientamento in tal senso da parte dei giudici minorili né la necessità dell’obbligo della difesa tecnica sembra sia stato affermato dai primi commentatori alla ordinanza della Corte né, per la verità, in precedenza5. Colpisce inoltre il silenzio della Suprema Corte sul punto, nonostante questa tematica sia stata più volte affrontata dalla stessa Cassazione che, oltre ad avere sempre più puntualizzato che con il rito della volontaria giurisdizione, o meglio, nei procedimenti camerali vengono trattate le più diverse materie, con la conseguenza che è la particolare duttilità e snellezza del rito ad adattarsi alla diversa natura delle controversie, è arrivata da ultimo a sostenere, con una importante sentenza (la n. 6926 del 10.10.2006) la necessità della difesa tecnica nei procedimenti per la nomina dell’amministratore di sostegno in ogni caso in cui il provvedimento da emettere incida in maniera diretta sui diritti inviolabili della persona. Questo, dunque, il nodo fondamentale che questa ordinanza della Corte non scioglie espressamente ma che può, a mio parere, essere sciolto dai Tribunali per i Minorenni attraverso una interpretazione sistematica delle norme nazionali e sovra-nazionali, nel rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte e delle indicazioni dalla stessa fornite nell’ordinanza in esame. ELISA CECCARELLI ritiene che, in mancanza di una norma ad hoc, non sarebbe possibile, da parte del tribunale per i minorenni, imporre la difesa tecnica in tali tipi di procedimenti; l’assistenza di un difensore sarebbe però “opportuna” e “coerente” con l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’intero sistema, integrata con la legge 149/2001 significativa, per quanto ancora non efficace, della volontà del legislatore di garantire alle parti una difesa anche tecnica delle controversie minorili; sostiene quindi che, quantomeno, nel decreto di fissazione di udienza potrebbe essere richiamata espressamente la facoltà, del ricorrente e del resistente, di munirsi di un difensore, con l’indicazione di poter ricorrere, sussistendone i presupposti, al patrocinio a spese dello Stato (cfr la competenza del tribunale per i minorenni per i provvedimenti personali e patrimoniali nei procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, pubblicato on line www.minoriefamiglia.it) 69 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI Ritengo quindi che oggi si possa affermare, senza che questa sia una interpretazione arbitraria o non consentita dalla natura degli interventi del giudice minorile, la necessità di introdurre l’obbligo della difesa tecnica per tali procedimenti, per un pieno e sostanziale rispetto del principio di parità di trattamento e di eguaglianza. Né appare argomentazione convincente, per sostenere la impossibilità di prevedere la difesa tecnica obbligatoria, il fatto che la previsione legislativa di cui all’art. 37 comma 3 della legge 149/2001 non sia ancora divenuta operativa, essendo di anno in anno rinviata l’entrata in vigore della legge6. Infatti l’attuale quadro normativo non impedisce che sia adottata tale soluzione. Il terzo comma dell’art. 82 c.p.c., che va considerata norma di carattere generale, prevede l’obbligo di stare in giudizio con il difensore salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti. L’art. 737 c.p.c., che si intitola forma della domanda e del procedimento (nei procedimenti in camera di consiglio, come titola il Capo VI) appare neutro, giacchè prevede che i provvedimenti che debbono essere pronunziati in camera di consiglio si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato. Vero è che l’art. 336 c.c. prevede espressamente che i provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato. 70 AIAF RIVISTA 2007/2 Gli articoli precedenti sono quelli de titolo IX relativo alla potestà dei genitori, e quindi anche l’art. 317 bis. Peraltro, a prescindere dalla considerazione che dalla dizione di tale norma appare forzato farne derivare che avanti al tribunale per i minorenni non potrebbe mai essere prevista la difesa tecnica obbligatoria (la norma non dice che il ricorso non può essere presentato personalmente dalla parte) si osserva comunque che l’art. 317 bis è stato riformulato per effetto dell’art. 4 della legge n. 54/2006 che innesta nella norma applicata dal tribunale per i minorenni l’art. 155 c.c. che riguarda i provvedimenti relativi ai figli in cause di scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi (capo V del titolo VI relativo al matrimonio) che si svolgono con la difesa tecnica obbligatoria. Non può trascurarsi poi che l’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte ha con sempre maggiore attenzione valutato diverse fattispecie trattate in procedimenti camerali per arrivare ad affermare l’obbligo della difesa tecnica di cui all’art. 82 c.p.c. ogniqualvolta la natura contenziosa del procedimento e gli interessi e diritti in gioco esigano, per la realizzazione del diritto inviolabile di difesa, non solo il rispetto del principio del contraddittorio ma anche la effettiva assistenza legale nel processo7. Del resto la difesa tecnica obbligatoria viene già da tempo richiesta nei procedimenti camerali contenziosi ai sensi dell’art. 250 e 269 c.c. che si svolgono avanti al Tribunale per i Minorenni di Milano8. 6 Sul punto LUCIANO SPINA ritiene che “…l’immissione nel rito camerale di una materia a carattere contenzioso quale è quella relativa alle decisioni sul contributo per il mantenimento del figlio minore e dell’assegnazione della casa familiare, presenta problemi di tutela anche dei diritti soggettivi patrimoniali dei genitori del minore e richiederebbe, secondo i principi generali che regolano i procedimenti contenziosi, la presenza obbligatoria della difesa tecnica. Tale obbligo di difesa non è però ancora divenuto operativo nonostante la previsione di cui all’articolo 37, terzo comma della legge 149/2001… Per tentare di ovviare a tale inconveniente, credo sarebbe opportuno che i giudici minorili nei procedimenti in cui vi è conflitto tra i genitori procedano a invitare le parti che ne siano prive a munirsi dell’assistenza di un difensore, informandoli già nelle prime fasi della causa della possibilità di beneficiare del patrocinio spese dello Stato, sempre che ne sussistano le condizioni”(op.cit.. pag. 14) 7 Per una puntuale e approfondita disamina del problema del patrocinio legale nei procedimenti di volontaria giurisdizione v. relazione MARIA ROSARIA SAN GIORGIO Il ruolo della difesa tecnica nell’interdizione e nell’amministrazione di sostegno all’incontro di studi CSM 4-6- aprile 2007 su l’amministratore di sostegno. L’autrice, in particolare, efficacemente evidenzia che “Nuove, pressanti istanze di tutela del diritto di difesa, quale garanzia del contraddittorio e di assistenza tecnico professionale, assicurata nella misura in cui si dia all’interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale, in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo e imparziale, si correlano, per un verso, ai principi del giusto processo, costituzionalizzati attraverso la nuova formulazione dell’art. 111 Cost. ad opera dell’art. 1 legge cost. 23.11.1999 n. 2; per l’altro, ai vincoli della giurisdizione nazionale nei confronti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Di tali istanze va fatto carico anche ai giudici, i quali, nella loro funzione di interpretazione della norma processuale, sono costantemente chiamati ad uno sforzo esegetico che produca il risultato di una lettura costituzionalmente orientata.” (pag. 2-3 op.cit) 8 I procedimenti ai sensi degli artt. 317 bis 155 c.c. dovrebbero quindi essere strutturati esattamente come già accade per i procedimenti ex artt. 250 e 269 c.c.: predisposizione di calendario a udienze fisse collegiali; dopo il deposito del ri- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI Solo l’obbligo della difesa tecnica anche nei procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli di genitori non coniugati potrà, da un lato, consentire l’applicazione delle norme del processo di cognizione in quanto compatibili con il procedimento camerale e, dall’altro, rendere effettiva la tutela e realizzare quella piena parità di trattamento tra i figli minori, portatori di identici diritti siano essi figli naturali o legittimi - distinzione, tra l’altro, che un disegno di legge varato dal Governo il 16 marzo u.s. mira ad eliminare, prevedendo un unico stato giuridico di filiazione - nel pieno rispetto dei principi richiamati dalla Suprema Corte. * GIUDICE PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI MILANO corso instaurazione del contraddittorio con termine per deposito di atto di replica e fissazione udienza avanti al collegio con anche comparizione personale delle parti; in tale udienza si dovrebbero subito valutare possibilità di accordo tra le parti e questioni giuridiche; se necessario ulteriore termine alle parti per deposito di memorie istruttorie, sempre con rinvio a udienze fisse collegiali; possibilità di emettere provvedimenti provvisori da parte del collegio, anche di carattere istruttorio, e rimessione al giudice togato per la assunzione delle prove (o anche al giudice onorario esperto, che dovrà essere prescelto possibilmente tra coloro con esperienza nel settore, anche di mediazione, ma esclusivamente per sentire le parti personalmente e verificare possibilità di accordi); quindi decreto definitivo del collegio, eventualmente, se necessario, dopo termine alle parti per memorie conclusive, decreto che potrà costituire titolo esecutivo. 71 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI AIAF RIVISTA 2007/2 Facsimile di decreto di fissazione di udienza per i procedimenti ex art. 317 bis c.c. predisposto dal T.M. di Milano TRIBUNALE PER I MINORENNI MILANO 20123, via Leopardi, 18 - tel. 02-46721 Proc. N. ____________ R. Gen. Contenzioso IL PRESIDENTE Visto il ricorso ai sensi degli artt. 155 - 317 bis c.c. depositato il _____________________________ da _________________________________________________________________________ Con l’assistenza del difensore avv. __________________________________________________ presso il cui studio ha eletto domicilio. NOMINA giudice delegato _______________________________________________________ DISPONE che il ricorso e il presente decreto siano notificati a cura del ricorrente alla controparte entro il __________________ con termine a quest’ultima fino al ____________________ per eventuale replica. DISPONE la comparizione delle parti avanti al giudice delegato presso questo Tribunale, via Leopardi 18, terzo piano, per l’udienza del giorno _______________________________________ INVITA le parti a produrre entro l’udienza di comparizione le dichiarazioni dei redditi relative agli ultimi _________ anni, salvo accordi sulle questioni economiche COMUNICA alle parti che nel presente procedimento la difesa tecnica è obbligatoria e che, sussistendo i limiti di reddito e i presupposti di cui agli artt. 75 e 76 DPR 115/2002 la parte non abbiente può essere assistita a spese dello Stato da un difensore, con istanza da depositare ai sensi degli artt. 76, 78 e 124 presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Si comunichi via fax al ricorrente e al P.M. in sede Milano, ____________ Il Presidente 72 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 N AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI el corso del primo anno di applicazione della legge 54\2006 una delle questioni a lungo dibattute ed oggetto di divergenti decisioni presso i giudici di merito è stata quella di individuare l’organo giudiziario competente per l’ affidamento dei figli naturali e per tutti gli altri provvedimenti anche di carattere economico, quali quelli relativi al loro mantenimento, alla assegnazione della casa familiare, alle misure previste dell’art. 709 ter c.c.. Va da sé sottolineare che tali difficoltà interpretative suscitano dubbi, quantomeno sul punto della ragionevolezza della norma prevista dall’art 4 L. 54\06 che ha letteralmente e laconicamente disposto che le norme della legge in oggetto si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati. Appare utile premettere che, fino all’entrata in vigore della citata L. 54\2006, il regime della competenza ad emanare i provvedimenti relativi ai figli naturali in caso di cessazione della convivenza more uxorio dei loro genitori è stato organizzato secondo una regola di riparto che distingueva a seconda che la controversia riguardasse l’affidamento dei figli stessi o concernesse gli aspetti patrimoniali relativi al loro mantenimento. Come rilevato dalla Suprema Corte “nell’assenza di una disposizione espressamente rivolta a disciplinare un procedimento di affidamento del figlio naturale, riconosciuto da entrambi i genitori, nel caso di rottura della convivenza tra costoro” - si è colto nell’art. 317-bis cod. civ., concernente l’esercizio della potestà sul figlio minore riconosciuto da entrambi i genitori naturali, il referente normativo per giustificare l’intervento, sia pure eventuale e successivo del giudice in materia (Cass., Sez. Un., 25 maggio 1993. n. 584). Infatti l’art. 317 bis c.c. nella sua formulazione letteraria prevede senz’altro la regolamentazione dell’esercizio della potestà genitoriale dei figli naturali nelle distinte ipotesi di convivenza dei genitori con esercizio congiunto della potestà; di convivenza ab origine con un solo genitore con esercizio esclusivo della potestà genitoriale; di convivenza del minore con soggetto diverso dai genitori con esercizio della potestà del genitore che ha riconosciuto per primo. Tale regolamentazione dell’esercizio della potestà genitoriale prescinde dall’intervento del giudice, a cui, però, il co. 2 dà la possibilità di disporre diversamente nell’esclusivo interesse del figlio, o meglio ha dato la possibilità di ritenere che al T.M. adito da uno dei genitori per la regolamentazione dell’esercizio delle potestà, fosse attribuito un potere decisorio a seguito della crisi delle coppie di fatto del tutto speculare a quello posto in essere in caso di separazione e divorzio dall’autorità giudiziaria ordinaria. Pur in assenza di un richiamo legislativo i parametri di riferimento venivano, infatti, mutuati nella buona sostanza dall’art. 155 c.c., prevedendo l’affidamento ad uno dei genitori e I GIUDIZI RELATIVI AI FIGLI DEI GENITORI NON CONIUGATI DINANZI AL TRIBUNALE PER I MINORENNI ALLA LUCE DELL’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE N. 8362 DEL 3.4.2007 _ MARIAROSARIA GERBINO*_ Relazione alla GIORNATA DI STUDIO “FIGLI DI DIRITTO”, organizzata dalla Camera Minorile Distrettuale di Palermo e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, il 5 maggio 2007 modulando la frequentazione con l’altro genitore non affidatario in considerazione delle esigenze del minore. In questa prospettiva, il richiamo, da parte dell’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ., dei provvedimenti contemplati dall’art. 317-bis cod. 73 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI civ. tra quelli riservati alla competenza del Tribunale per i minorenni, ha indotto la giurisprudenza a ritenere i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli naturali devoluti al tribunale specializzato; mentre, non essendo i provvedimenti attinenti al mantenimento della prole nata da genitori non coniugati (art. 261 cod. civ., in relazione all’art. 148 cod. civ.) attribuiti specificamente ad una diversa autorità giudiziaria, se ne è inferita l’attribuzione alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi del secondo comma del citato art. 38 disp. att. cod. civ. Tale prospettazione era passata al positivo vaglio della Suprema Corte e della Corte costituzionale. Quest’ultima, in particolare, aveva ravvisato nella duplicità di regime sopra descritta l’espressione di una scelta di politica rientrante nella discrezionalità legislativa e non contrastante con il principio di eguaglianza e con la garanzia del diritto di azione. Va riconosciuto che proprio seguendo il descritto iter interpretativo, a seguito dell’entrata in vigore della l. 54\06, ad eccezione di alcune isolate pronunce, pur nelle molteplicità delle soluzioni proposte in questo primo anno di applicazione da parte dei T.M. e dei Tribunali ordinari di tutto il territorio nazionale, si era fatta strada la convinzione che il T.M. incardinava la sua competenza sulle domande di affidamento dei figli dei genitori naturali non più conviventi. Il ragionamento di fondo era il seguente: non vi è stata una abrogazione espressa dell’art. 317 bis, né può ritenersi tacitamente abrogato, ma, alla luce del richiamo dell’art. 4 andranno applicati le norme sostanziali ex art. 155 e 155 bis prevedendo l’affido condiviso ovvero affido esclusivo. Tale interpretazione appare del resto in linea con quanto disposto nella prima parte dell’ordinanza n. 8362 del 3.4.2007 della Suprema Corte, la quale ha sostenuto che “L’art. 317-bis cod. civ: resta il referente normativo della potestà e dell’affidamento nella filiazione naturale, anche in caso di cessazione della convivenza dei genitori naturali, e non viene meno, agli effetti della competenza, il binomio costituito dagli artt. 317-bis, secondo comma, cod. civ. e 38, primo comma, disp. att. cod. civ.”. Piuttosto, prosegue la Cassazione, la disposizione del codice sull’esercizio della potestà nella filiazione naturale assume, per effetto della legge n. 54 del 2006, un nuovo volto, perché come è stato osservato in dottrina - si arricchisce 74 AIAF RIVISTA 2007/2 dei contenuti oggetto di quella legge. Inserendosi nell’ambito dell’art. 317-bis cod. civ., la novella del 2006 detta una compiuta disciplina dei provvedimenti che il giudice specializzato ben poteva anche prima pronunciare nell’interesse del figlio, ma che in precedenza trovavano una regolamentazione minimale, esclusivamente affidata alla discrezionalità ed all’apprezzamento del giudice. Così, per un verso, la cessazione della convivenza tra i genitori naturali non conduce più alla cessazione dell’esercizio della potestà, perché la potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i genitori, salva la possibilità per il giudice di attribuire a ciascun genitore il potere di assumere singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione; per l’altro verso, le regole sull’affidamento condiviso guidano la discrezionalità del giudice specializzato nel valutare l’«esclusivo interesse del figlio» allorché sia cessata la convivenza della coppia genitoriale, indicandogli di prendere in considerazione prioritariamente, affinché il figlio naturale possa continuare a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, lo strumento che meglio assicura la condivisione delle responsabilità nella cura, nella crescita, nell’educazione e nell’istruzione del minore.” A ben guardare è proprio l’esercizio, o il corretto esercizio della potestà genitoriale ciò che costituisce materia elettiva e congeniale del T.M.. In proposito, oltre al 317 bis c.c., non possono dimenticarsi gli art 333 e 330 c.c., di portata assai più ampia, i quali hanno consentito al giudice minorile un controllo piuttosto penetrante ed attivo sull’esercizio della potestà. I provvedimenti concernenti la persona del minore incidono generalmente sulla potestà dei genitori, disciplinandone l’esercizio. Non è questa la sede per soffermarsi sulla nozione di potestà, se non per evidenziare che la definizione dell’istituto si presenta difficile e complessa ed è storicamente mutevole. Appare arduo, pertanto, ridurre in termini giuridici semplici e netti il complesso rapporto genitori-figli. D’altra parte il legislatore non solo non ha definito la potestà, ma non ha neppure indicato in maniera organica il contenuto della potestà genitoriale, lasciando così all’interprete il compito di ricostruirne i caratteri e fissarne confini e limiti secondo le esigenze concrete. Una MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI ricostruzione variabile che oggi si ispira alla preminenza dell’interesse del minore, soggetto sempre diverso e unico, con esigenze mutevoli a seconda dell’età, della sua maturazione psicofisica. Tutto ciò dà la misura di una complessità e variabilità che non accetta regole rigide. Tale difficoltà di definizione e tipizzazione si ripercuote anche sul terreno processuale. La scelta del legislatore, coerentemente, si è indirizzata verso il rito camerale di volontaria giurisdizione. In tale prospettiva parte di autorevole dottrina ha ritenuto che anche i provvedimenti riguardanti la persona del minore assunti all’esito di processi ordinari di cognizione (separazione giudiziale e divorzio) siano da qualificare come provvedimenti di volontaria giurisdizione (sia pure idonea a produrre il giudicato rebus sic stantibus), atteso che il capo della sentenza che li contiene è espressamente dichiarato modificabile e revocabile in ogni tempo. In sintonia, poi, con la scelta legislativa di ricondurre i provvedimenti in materia minorile nell’area della volontaria giurisdizione, la giurisprudenza prevalente della Suprema Corte ha negato il ricorso per Cassazione dei decreti concernenti la persona del minore, trattandosi di provvedimenti per definizione revocabili e modificabili, tesi alla cura e tutela del preminente interesse del minore. Tale finalità, a dire il vero, non appare del tutto pacifica per l’intreccio tra interesse del minore e diritti dei genitori. La peculiarità delle situazioni sottese a tali provvedimenti è stata pure considerata dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (23\10\1986 n. 6220). Con tale decisione la Corte, pur riconoscendo che tali provvedimenti incidono su posizioni di diritto soggettivo, ha ribadito la non impugnabilità per Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, i provvedimenti emessi in materia di tutela dei minori non sono impugnabili con ricorso per Cassazione “perché non ha rilievo la circostanza dell’incisione del provvedimento su status, diritti soggettivi e poteri-funzionali, in quanto la statuizione (anche di carattere costitutivo) sugli stessi non è atta a pregiudicare in modo definitivo ed irrimediabile le parti, che possono utilizzare lo strumento della modifica o della revoca, senza essere vincolate ad alcun giudicato”. Fatte tali premesse occorre evidenziare che il procedimento camerale di volontaria giurisdi- zione è procedimento caratterizzato da snellezza e duttilità delle forme (il giudice può assumere informazioni, senza le formalità previste dai mezzi di prova, i soggetti interessati possono proporre le loro istanze senza una difesa tecnica obbligatoria). Il giudizio sulla opportunità del mantenimento di tali procedure in una materia che va via via sviluppandosi su confini ove è meno netta la distinzione tra giurisdizione contenziosa su diritti e giurisdizione non contenziosa di gestione di interessi, anche alla luce delle norme costituzionali e sopranazionali (vale la pena di accennare appena alle posizioni di diritto soggettivo dei genitori e, soprattutto, alla concezione ormai prevalente nelle norme sopranazionali del minore quali soggetto di diritti) è aspetto che influisce sull’oggetto delle problematiche sottese alla applicabilità della L. 54\06 al processo minorile, ma ritengo che oggi più che mai è scelta che deve compiere il legislatore e non può essere lasciata alla discrezionalità e buon senso del giudice. Ho voluto fare tali osservazioni cercando di evidenziare le attuali principali caratteristiche del procedimento in materia minorile, per cercare di dare una chiave di lettura, a mio avviso utile, sulla seconda parte dell’ordinanza n. 8362/07 della Suprema Corte. Con una affermazione che, a mio avviso presta il fianco a numerosi spunti critici e ne costituisce, forse il cuore del problema, la Cassazione ha sostenuto nell’ordinanza n. 8362/07 che i procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati, ex art 4 L. 54\06 “vengono richiamati per trapiantare in essi i nuovi principi e le nuove regole sull’affidamento condiviso, non già per modificarne i presupposti processuali”. La Cassazione ha quindi escluso la tesi della applicazione anche ai figli di genitori naturali delle norme processuali contenute nella legge 54\06. (art. 706 e es c.p.c.). Non v’è dubbio, continua la Corte, che alcune tra le norme processuali contenute nella legge n. 54 del 2006 siano applicabili anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. In particolare” sono applicabili - e compatibili con la specialità del rito che governa il procedimento che si svolge dinanzi al tribunale per i minorenni - le norme: sui poteri istruttori del giudice, ivi compreso quello di disporre, ove le informa- 75 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI zioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi; sui poteri di ascolto del minore; sui poteri del giudice del procedimento in corso, ai sensi dell’art. 709-ter cod. proc. civ., in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore o ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, di ammonire il genitore inadempiente, di infliggere una sanzione a suo carico, di disporre il risarcimento del danno in favore del genitore danneggiato dal comportamento dell’altro e di disporre analogo risarcimento in favore dello stesso minore. Ma non sono applicabili le disposizioni del nuovo art. 708, quarto comma, cod. proc. civ., le quali presuppongono che un’ordinanza presidenziale vi sia stata e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli art. 706 e ss. cod. proc. civ..”. Ancora, sostiene la Corte che “tuttavia, come è stato osservato in dottrina, la legge n. 54 del 2006 è infatti priva di una valenza unificante sulla scansione dei procedimenti relativi alla coppia in crisi, e, nel richiamare, all’art. 4, comma 2, i procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati, ha inteso far salve anche le regole processuali che li governano, e i diversi presupposti applicativi dell’intervento del giudice, senza creare un modello processuale unico per i giudizi relativi all’affidamento”. Ciò, secondo il ragionamento dei giudici di legittimità si giustifica considerando i differenti ambiti dell’uno e dell’altro procedimento, quello di separazione tra coniugi e quello rivolto alla tutela del figlio nella cessazione della convivenza di fatto dei loro genitori: perché mentre in presenza di persone unite in matrimonio l’intervento del giudice, con la separazione, è previsto dal legislatore per dare rilevanza alla crisi della coppia, non potendosi altrimenti allentare il legame giuridico che li unisce, e per disciplinare, in quella stessa sede. i rapporti tra i genitori e figli, la convivenza more uxorio può interrompersi immediatamente sulla base della semplice decisione unilaterale di ciascuno dei conviventi. Il rapporto può venire meno senza che il giudice intervenga in alcun modo, salvo che per eventuali questioni relative ai figli naturali riconosciuti. In definitiva, partendo da tale presupposto, secondo il ragionamento della Suprema Corte 76 AIAF RIVISTA 2007/2 permarrebbe la natura di procedimento contenzioso nel giudizio di separazione e la natura di volontaria giurisdizione in quello dell’affidamento dei figli dei genitori naturali. Se così è, i successivi principi adottati in sentenza mettono in crisi l’intero sistema. Infatti, secondo la Corte “una volta assodato che, per i procedimenti riguardanti l’affidamento del figlio naturale, è rimasta ferma la competenza del tribunale per i minorenni in forza dell’immutato rinvio all’art. 317-bis cod. civ. contenuto nell’art. 38 disp. att. cod. civ., la legge n. 54 del 2006 ha comportato un’innovazione rispetto alla precedente regola di riparto delle competenze, atteso che, per effetto di essa, il tribunale per i minorenni, competente in ordine all’affidamento dei figli naturali, lo sia anche - contestualmente - a provvedere sul contributo al mantenimento di essi”. Ai sensi del novellato art. 155, secondo comma, cod. civ., il giudice, quando provvede sull’affidamento dei figli minori, determina “altresì” la misura e il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. In particolare, il quarto comma della medesima disposizione prevede che il giudice investito del procedimento stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. E si tratta, continua la Corte, di soluzione interpretativamente da preferire, oltre che per una ragioni letterali e teleologiche sulla scorta dei lavori parlamentari, perché maggiormente orientata alla realizzazione di principi espressi dalla Costituzione. Da un lato il principio di eguaglianza - al quale si è ispirato il legislatore con la norma di estensione dell’art. 4, comma 2, contenuta tra le disposizioni finali - esige che i minori non ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati. La giurisprudenza costituzionale invita l’interprete a considerare «il matrimonio non più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli - legittimi e MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI naturali riconosciuti - identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti, degli uni nei confronti degli altri»: «la condizione giuridica dei genitori tra loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità». Ritiene la Corte che vi sarebbe un trattamento deteriore per il figlio naturale ove le sue esigenze di tutela ricevessero una risposta frazionata, con la perdita di quella valutazione globale che soltanto una cognizione estesa anche alle conseguenze patrimoniali dell’affidamento può assicurare. Dall’altro lo sdoppiamento di competenze comporterebbe un evidente sacrificio del principio della concentrazione delle tutele per garantire una ragionevole durata del processo. Entrambi i principi enunciati sono di grande rilievo e non vi è dubbio che vanno posti tutti gli sforzi per attuarli. Ma siamo certi che con la soluzione proposta dalla Cassazione potranno essere realizzati e meglio di prima? Siamo certi che il procedimento minorile, con le sue regole processuali, finalizzato a garantire gli interessi del minore, potrà fornire adeguata tutela per i diritti non solo dei minori, ma finanche dei genitori: diritto al mantenimento, diritto alla casa familiare, diritto al risarcimento del danno del minore e del genitore ex art 709 ter? L’applicazione di tali norme richiamate al procedimento che si svolge davanti al giudice minorile con le forme degli 736 e ss c.p.c. presuppone, innanzitutto, la necessità di garantire il diritto di difesa e di contraddittorio tra le parti in modo pieno e completo. Non vi è dubbio che nel corso di questi ultimi anni, alla luce delle decisioni della Cassazione, della Corte Costituzionale. e non ultime da fonti costituzionali e sopranazionali, il procedimento di volontaria giurisdizione ha posto in essere numerosi aggiustamenti finalizzati a garantire il principio del contraddittorio sia pure un forma minima, attraverso la convocazione di tutte le parti interessate, l’ascolto del minore, la facoltà di produzione di atti e documenti. Ma tutto ciò non mi pare affatto sufficiente, atteso che l’ingresso nel rito di materie a carattere contenzioso (assegno di mantenimento, assegnazione della casa familiare e risarcimento del danno) mettono in risalto problematiche importanti relativi alla tutela di diritti soggettivi patrimoniali che richiedono, secondo i principi generali, innanzitutto la obbligatorietà di una difesa tecnica. L’obbligatorietà di una difesa tecnica nel processo minorile non è prevista (voglio ricordare, anzi, che ad oggi non è nemmeno operativa la legge n. 149\01 che prevede l’obbligo di difesa in tema di adozione e di potestà perché più volte rinviata dal legislatore per mancanza di copertura necessaria per le spese di difesa). Non solo, ma è di tutta evidenza come la mancanza di difesa tecnica influisce necessariamente sulla possibilità di garantire il pieno contraddittorio tra le parti. Ancora, come ho accennato nella prima parte della mia relazione, i decreti emessi dal giudice minorile non sono suscettibili, allo stato, di passare in giudicato, nemmeno rebus sic stantibus (sono sempre modificabili anche in carenza di elementi nuovi e non è ammissibile il ricorso per cassazione) vedi paragone con art. 720 c.p.c. Mi domando allora che potrà fare il genitore ottenuto il decreto dal T.M. che dispone sull’assegno di mantenimento o il risarcimento del danno? Come si potrà rendere esecutivo? Dovrà adire un altro giudice. Non solo, non dimentichiamo, invece, che ai sensi dell’ art. 148 c.c. co 3 il decreto sull’assegno di mantenimento di pari contenuto fino ad oggi emanato dal Tribunale Ordinario è immediatamente esecutivo. Allora mi pare che tutto il sistema, lungi dal realizzare ciò che si propone - il principio di uguaglianza tra i figli di genitori coniugati e di quelli non coniugati, come invece sostenuto dalla Suprema Corte - ha prodotto una tutela più debole e affievolita per la tutela dei diritti patrimoniali del figlio di genitori non coniugati. Un ultimo punto volevo porre alla vostra attenzione: la Cassazione ha sostenuto che “da un punto di vista sistematico, tale soluzione non rappresenta una novità. Il giudice del reclamo della paternità o della maternità naturale, ai sensi dell’art. 277, secondo comma, cod. civ., dà anche «i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela dell’interesse patrimoniale di lui». E proprio in forza di tale disposizione, questa Corte da sempre indi- 77 AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI. PROFILI PROCESSUALI vidua nel Tribunale per i minorenni - il quale è competente, ai sensi del primo comma dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione, a conoscere dell’azione per la dichiarazione di paternità o maternità naturale «nel caso di minori» - l’organo giurisdizionale investito. del potere di emettere altresì i provvedimenti opportuni per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei minori stessi e per la tutela dei loro interessi patrimoniali, quali misure consequenziali («effetti della sentenza», secondo la rubrica dell’art. 277 cod. civ.) alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione, perfino quando essi riguardino il tempo anteriore alla sentenza, come nell’ipotesi di rimborso pro quota delle spese di mantenimento in favore del genitore che le abbia sostenute per intero (ex multis, Sez. I, 3 settembre 1994, n. 7629; Sez. I, 30 giugno 2005, n. 14029). A mio avviso il richiamo non regge, atteso che il procedimento ex art 269 c.c. di natura contenziosa si conclude per legge con una sentenza. Ciò presuppone una difesa tecnica e un passaggio in giudicato della sentenza. Ho voluto porre alla vostra attenzione i principali problemi che si pongono ad una prima lettura della sentenza per offrirvi spunti di riflessione sui quali inevitabilmente dovremo continuare a confrontarci Noi giudici del Tribunale per i Minorenni di Palermo abbiano iniziato a confrontarci su tali spinose questioni e la riflessione è ancora aperta. Certo occorrerà probabilmente cercare di adattare, ove possibile, lo strumento processuale che ci governa alla luce dei principi esposti della sentenza della Cassazione. Si potrà in qualche modo trovare modalità operative che possano garantire un contraddittorio più pieno (ad esempio notificando il ricorso alla controparte, ove però esista un ricorso fondato su ragioni argomentative che dovranno essere conosciute dalla controparte a garanzia del contraddittorio, oppure prevedendo una comparizione congiunta delle parti). Ma certo, al della là buona volontà dei singoli Tribunali e degli accorgimenti che verranno presi da ogni singolo Tribunale, le rilevanti problematiche sottese che ho cercato di esporre non potranno essere superate se non innanzitutto con l’intervento del legislatore oltre che con successivi parziali aggiustamenti della Corte Cassazione e della Corte Costituzionale. La complessità della tutela del minore all’in- 78 AIAF RIVISTA 2007/2 terno del nucleo familiare, non soltanto nel momento patologico della rottura del rapporto tra i genitori, unita alla fin qui inadeguatezza dimostrata del legislatore di compiere passi armonici, non rende più rinviabile la creazione di un organismo giudiziario unico con regole ad hoc che tengano conto della peculiarità degli interessi e dei diritti coinvolti. Non si può dimenticare che anche il rito ordinario in tema di separazione ha creato non poche difficoltà in relazione al tema dell’affidamento e all’estensione della potestà genitoriale sui minori figli di genitori coniugati in pendenza di separazione. Mi riferisco, ad esempio, alle numerose istanze presentate dai difensori ex art 333 c.c. davanti al T.M. in pendenza del giudizio di separazione chiedendo l’intervento del giudice specializzato al fine di intervenire sulle modalità di visita, ed ancora ad alcune ordinanze di trasmissione del Giudice della separazione al T.M. al fine di limitare in maniera rigorosa o escludere la facoltà di visita di un genitore per condotte pregiudizievoli nei confronti del figlio, sul presupposto che tali provvedimenti comprimevano l’esercizio della potestà genitoriale. Ciò ha comportato riflessioni da parte nostra sulla competenza del T.M., o meglio sull’area di competenza, nei confronti di minori figli di genitori coniugati in pendenza di un giudizio di separazione ed in carenza di un procedimento ex art 330 c.c., ablativo della potestà genitoriale (oggi la problematica del riparto di competenza è resa ancora più evidente con riferimento ai rapporti tra l’art 709 ter e l’art 333 c.c.). * GIUDICE PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI PALERMO ADOZIONE INTERNAZIONALE A lcuni mesi fa è stata data la notizia della firma di un protocollo fra la Commissione per le Adozioni Internazionali ed il Ministero dell’Istruzione della Bielorussia, firma che, a parere di molti, dovrebbe aver messo termine alle polemiche ed alle problematiche nate dal caso della minore bielorussa trattenuta illegalmente da una coppia italiana nell’estate del 2006. L’accordo ha definito il contenzioso che si prolungava ormai da diversi mesi, grazie anche al nuovo regolamento in materia di adozioni adottato dalle autorità bielorusse. Il risultato raggiunto è importante perchè ha lo scopo principale di aprire una corsia preferenziale per quelle coppie che hanno presentato la domanda di adozione internazionale ormai da anni, domande che sono tuttora in attesa di essere esaminate. L’accordo riguarda anche i bambini provenienti dagli istituti bielorussi che da alcuni anni partecipano ai cosiddetti soggiorni di risanamento in Italia e che, in alcuni casi, hanno sviluppato forti legami affettivi con le famiglie italiane le quali, ovviamente, devono comunque essere munite della necessaria idoneità se vogliono procedere all’adozione internazionale. Già nel 2005 era stato sottoscritto un analogo protocollo che prevedeva l’impegno (adempiuto con molto ritardo e che non ha accolto tutte le domande) da parte bielorussa di esaminare in breve tempo 150 domande di adozione. Nell’accordo in oggetto vengono anzitutto stabiliti tempi precisi per il riesame di questo primo gruppo di domande e l’impegno delle autorità bielorusse di riesaminare le domande di adozione ancora giacenti, o che erano state respinte, che verranno comunicate dalla Commissione per le Adozioni Internazionali. Anche per le altre circa 450 domande di adozione, che fino ad oggi non erano state accettate da parte bielorussa, è previsto un iter accelerato in virtù del quale la Commissione per le Adozioni Internazionali dovrà organizzare con gli enti autorizzati la presentazione, presso gli organi locali bielorussi, delle richieste d’inserimento dei bambini nell’elenco dei minori nei cui confronti è possibile effettuare le adozioni (le cosiddette banche dati), con esclusione delle domande esaminate con esito negativo per il raggiungimento della maggiore età da parte dei minori, dell’adozione, dell’affidamento o della tutela dei minori presso famiglie bielorusse, del rifiuto dell’adozione da parte dei minori o dei loro stretti parenti maggiorenni, della rinuncia da parte dei cittadini italiani all’adozione, dell’esistenza di forti legami affettivi tra i minori e i loro fratelli da tutelare nell’interesse dei minori. Le autorità bielorusse dovranno provvedere all’esame delle richieste entro sessanta giorni e, successivamente, dopo la presentazione di una domanda di adozione nominativa da parte della coppia italiana, dovrà essere autorizzata o IL PROTOCOLLO SOTTOSCRITTO TRA L’ITALIA E LA BIELORUSSIA IN MATERIA DI ADOZIONE DI MINORI _ ENRICO BET*_ meno l’adozione internazionale entro il termine di ulteriori settantacinque giorni. È stato inoltre costituito un gruppo di lavoro per valutare, dopo tre mesi, lo stato di attuazione del protocollo sottoscritto in virtù del quale dovrebbe nascere una collaborazione positiva con le Autorità bielorusse per dare una risposta alle famiglie ed ai bambini che sono in attesa di adozione, il tutto nel pieno rispetto dei principi della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, privilegiando l’interesse dei minori e tenendo conto dei legami affettivi instaurati tra i minori bielorussi e i candidati italiani all’adozione. L’accordo citato dovrebbe mettere fine anche alle polemiche nate per il caso della piccola Maria - Vika, la minore di dieci anni trattenuta in 79 ADOZIONE INTERNAZIONALE Italia, a Cogoleto (Ge), il cui caso scatenò tante polemiche nell’estate del 2006. In quel caso la minore, che stava sicuramente a cuore di tante persone (forse un po’ troppe…), fu trattata forse come una merce di scambio con un paese nel quale il concetto di democrazia e di rispetto dei diritti dei minori è probabilmente ancora lontano dal nostro. La coppia che ospitava la minore sapeva bene che sarebbe esploso un caso, e probabilmente ha sottovalutato ciò che è poi accaduto, in quanto la loro azione ha messo a rischio il destino di alcune migliaia di altri bambini sia in attesa di un adozione, sia in attesa di essere ospitati per i pochi mesi in cui vengono in Italia con i cosiddetti soggiorni di cura. Il dibattito scaturito dal caso non ha avuto nulla di tecnico, soprattutto perché adozione e vacanze organizzate sono state tranquillamente confuse, nonostante non abbiano nulla in comune visto che sono due cose completamente diverse, non compatibili e neppure paragonabili. Com’è noto, per l’adozione internazionale la coppia intraprende un percorso di valutazione, effettuato da uno psicologo e poi dal Tribunale per i Minorenni, e quindi la decisione finale circa l’idoneità (che può anche non essere concessa, come talvolta succede) ha un peso notevole. Allo stesso modo i circa settanta enti autorizzati che si occupano di adozioni internazionali (e solo di adozioni internazionali) sono valutati dal Comitati per le Adozioni Internazionali e dall’autorità straniera e - se non soddisfano i criteri necessari fissati dalla legge, criteri severi che vengono verificati ogni due anni - vengono cancellate dall’albo. Nel caso delle cosiddette vacanze organizzati non si applica alcuna norma di cui alla legge 184/1983 che ha per oggetto l’affido familiare e l’adozione (sia nazionale che internazionale) in quanto, ancor oggi, i viaggi organizzati (o meglio i soggiorni dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello stato) non sono regolati da alcuna norma, salvo che dalla legge dello stato del quale possiedono la nazionalità i bambini. Le famiglie che accolgono i minori dei viaggi organizzati (che non sono assolutamente famiglie “affidatarie”) attualmente non sono controllate da nessuno, così come non sono controllate le associazioni che organizzano i viaggi le quali possono essere create da un giorno all’altro (e, com’è 80 AIAF RIVISTA 2007/2 accaduto in passato, in alcuni casi hanno dato luogo a casi di gravi malversazioni di denaro). Sembra poi addirittura che il 30% dei viaggi della compagnia aerea bielorussa sia basato sui viaggi dei bambini che vengono in Italia e su quelli delle famiglie italiane (ovviamente non tutte) che li vanno a trovare in Bielorussia: è quindi facile comprendere il grosso movimento di denaro che sta dietro a questi viaggi. La storia dei viaggi dei bambini di Chernobyl (località molto lontana da Minsk, capitale della Bielorussia) inizia quando, effettivamente, le famiglie (e solo le famiglie) della zona contaminata dal disastro della centrale nucleare mandavano i loro figli in occidente per effettuare vacanze disintossicanti dalle radiazioni. Oggi sono rimaste radiazioni solo in una zona abbastanza definita intorno al sarcofago della centrale, zona dove non risulta che vi siano abitanti ma, soprattutto, istituti di ricovero per minori. Una delle circostanze che rimane misteriosa è quella relativa al fatto che si sia passati da bambini che avevano una famiglia, nella quale tornavano, a bambini ricoverati in istituti. Successivamente il fenomeno si è allargato anche ai bambini provenienti da altri paesi dell’Est europeo, e la motivazione sanitaria originaria si è modificata con interventi aventi caratteristiche molto diverse da quelle iniziali. Ciò che non viene quasi mai considerato è che i soggiorni sono, dal punto di vista psicologico, destabilizzanti per migliaia di bambini, nonostante facciano felici tanti adulti che fanno bella mostra della loro bontà, adulti che non sono “genitori affidatari” e che sui giornali (come nel caso di Maria - Vika) si sono lamentati che impedire i soggiorni viola i diritti delle famiglie. Quanto ai bambini, soggetti troppo spesso trascurati, viene sottaciuto un dato determinante: qualsiasi psicologo, forse anche appena laureato, potrebbe spiegare che passare in compagnia di una famiglia normale tre mesi d’estate in Sardegna, un mese d’inverno a Courmayeur e i restanti otto mesi in un istituto (dove spesso non hanno il riscaldamento e poco da mangiare), altererebbe l’equilibrio mentale di chiunque, a maggior ragione quello di un bambino con un grave vissuto di abbandono, e per ciò già traumatizzato, che vive da sempre in un istituto. La speranza che questi viaggi danno ai bambini (i quali peraltro constatano periodicamente MAGGIO - SETTEMBRE 2007 che qualcuno viene adottato) sono enormi ma, i numeri parlano chiaro, solo una piccolissima minoranza di loro viene adottata con il corretto percorso dell’adozione internazionale che prevede che il figlio adottivo venga conosciuto solo al momento del primo contatto nel paese straniero e che non venga prima “provato” con qualche viaggio della speranza. I bambini ospitati che restano (o meglio, che poi tornano) in Italia per l’adozione, come detto sono pochi (perché pochi sono dichiarati in stato di abbandono e per questo adottabili); gli altri, quelli non dichiarati come adottabili, diventano maggiorenni nel loro paese senza che nessuno se ne curi più e - salvo qualche adozione di maggiorenne - tutto l’amore, tutto l’affetto, tutta la cura che avevano ricevuto scompare così, come per incanto. Molti bambini non vengono più in Italia già da quando cominciano ad essere adolescenti: sono già difficili gli adolescenti per i genitori naturali figuratevi uno straniero…. ci sono famiglie che cambiano i bambini ospitati anche di anno in anno e che normalmente, verso i diciassette / diciotto anni, non li ospitano più: i maggiorenni escono poi dagli istituti senza sapere dove vanno a finire, le ragazze hanno già un percorso ben definito, la strada. Vi è poi una grande confusione di fondo relativamente al fatto che chi prende questi bambini li possa poi adottare, perchè l’adozione internazionale ha un altro - e più garantito - percorso. Non si comprende inoltre perchè si fanno questo viaggi solo dalla Bielorussia (e alcuni dall’Ucraina) mentre nel resto del mondo funziona egregiamente l’adozione a distanza, che aiuta i bambini a crescere nel loro paese. Sarà cinico dirlo, ma un bambino che in Italia non verrà mai a vivere, che non sarà mai adottato e che vive in un istituto, forse è meglio che non sappia neppure che la Sardegna esiste. Le statistiche del Ministero della Giustizia riportano numeri ancora significativi di minori ricoverati in strutture: perché questi circa 25.000 bambini italiani magari bruttini, neri di capelli e qualche volta handicappati, le vacanze proprio non le fanno, se non con le suore? Il Comitato Minori Stranieri è l’ente ministeriale che dovrebbe controllare tale situazione (l’art. 33 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, ha istituito il Comitato anche “al fine di vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri ADOZIONE INTERNAZIONALE temporaneamente ammessi sul territorio dello stato e di coordinare le attività delle amministrazioni interessate”). Per minore straniero accolto, secondo quanto prevede il DPCM 535/1999, “si intende il minore non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea, di età superiore a sei anni, entrato in Italia nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie”. È stato stimato (e non calcolato esattamente, già questo preoccupa) che ogni anno entrano in Italia nell’ambito dei viaggi (i programmi solidaristici di accoglienza temporanea) quasi 40.000 minori stranieri (documento approvato dalla Commissione bicamerale per l’infanzia nella seduta del 27 ottobre 2004 a conclusione dell’indagine conoscitiva deliberata nella seduta del 15 maggio 2003 su adozioni e affidamento, Doc. XVII-bis N. 5). Da notare che siamo l’unico paese in Europa ad avere numero così alti di bambini ospitati. La commissione ha accertato che il quadro dei bambini che arrivano in Italia è complesso e diversificato, così come differenti sono le finalità dei gruppi che organizzano l’accoglienza, e le caratteristiche delle famiglie ospitanti. Come detto la percentuale di minori che provengono da istituti è molto alta, e per loro il reinserimento nel contesto d’origine è molto problematico in quanto fanno fatica a riadattarsi e si legano affettivamente alla famiglia ospitante. La commissione ha anche accertato che la situazione è aggravata dal reiterarsi dei soggiorni, che creano aspettative di inserimento sia per i minori che per le famiglie ospitanti, che sperano di adottarli al di fuori del percorso previsto dalla normativa per l’adozione: questo non può accadere, è successo in passato con alcuni bambini russi e non accadrà mai più. I rischi maggiori sono infatti quelli legati al tentativo di aggiramento della Convenzione dell’Aja che disciplina l’adozione internazionale, e per il fatto che viene travisata la finalità del programma in quanto i bambini ospitati non dovrebbero essere in condizioni di abbandono in quanto, in tal caso, andrebbero inseriti nelle banche dati dell’adozione nazionale o internazionale anziché nei programmi di sostegno sanitario educativo. Esiste poi il problema della scarsa e inadeguata tutela giuridica, dello sradicamento dal contesto di origine, del raffronto tra due culture dif- 81 ADOZIONE INTERNAZIONALE ferenti e tra modelli educativi e familiari profondamente diversi. Mancano infine criteri predefiniti per la selezione delle famiglie, che sono scelte dalle stesse associazioni che organizzano l’accoglienza, senza alcun controllo o monitoraggio successivo. La situazione è stata denunciata più volte e tali preoccupazioni sembrano essere state recepite anche dalle istituzioni, in quanto nelle azioni di sistema previste dal Piano Nazionale Infanzia 2002 - 2004 era prevista «…b) la revisione dei criteri con cui si realizzano i soggiorni di minori stranieri dell’Est europeo, che trascorrono in Italia alcuni mesi all’anno, e verificare la possibilità di realizzare progetti di sostegno a distanza e di cooperazione internazionale mirati a creare nel loro Paese migliori condizioni complessive di vita ed il superamento della loro istituzionalizzazione. Il Governo si impegna a promuovere un’attenta valutazione preventiva dell’idoneità delle famiglie di accoglienza, poiché accanto a famiglie capaci vi possono essere persone inidonee, che tuttavia non sono sottoposte a nessun vaglio della loro capacità né dai servizi locali né da altri. Inoltre spesso tali soggiorni sono utilizzati per aggirare l’attuale normativa in tema di adozione internazionale, sia per «scegliere» il bambino gradito (rispedendo eventualmente al mittente dopo un primo periodo di accoglienza quello accolto prima e risultato non gradito) sia per precostituire situazioni di fatto dirette a forzare le decisioni dei giudici minorili sia italiani che stranieri». È stato quindi raccomandato al Governo Italiano di provvedere alla revisione dei criteri con cui vengono realizzati questi soggiorni ed un monitoraggio del fenomeno, anche al fine di adottare iniziative in alternativa al soggiorno in Italia, nei luoghi dove i bambini abitano, accanto alle loro famiglie (vedi adozione a distanza); di effettuare l’istituzione di un apposito albo delle associazioni autorizzate ed infine di provvedere alla valutazione preventiva dell’idoneità della famiglia di accoglienza ed il monitoraggio durante il soggiorno. * AVVOCATO DEL FORO DI GENOVA MEMBRO DEL DIRETTIVO NAZIONALE AIAF 82 AIAF RIVISTA 2007/2 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 ADOZIONE INTERNAZIONALE REGOLAMENTO RECANTE “COMPOSIZIONE E COMPITI DELLA COMMISSIONE PER LE ADOZIONI INTERNAZIONALI DI CUI ALL’ARTICOLO 38, COMMA 1 DELLA LEGGE 4 MAGGIO 1983, N. 184”. RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL DPR CAI 6 MARZO 2007 MINISTRO DELLE POLITICHE PER LA FAMIGLIAPresso la Presidenza del Consiglio dei ministri opera la Commissione per le adozioni internazionali, istituita dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 quale Autorità Centrale ai fini dell’art. 6 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993. Il D.L. 18 maggio 2006 n. 181 convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2006 n. 233, ha delegificato la materia relativa a composizione e compiti della Commissione, nonché alla durata in carica dei suoi componenti, affidando ad un regolamento da adottarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 il compito di ridefinire, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, i predetti aspetti della materia, sulla base delle norme generali contenute nella legge n. 184 del 1983. Lo schema di regolamento in esame disciplina, in conseguenza delle disposizioni sopra citate, la composizione, la durata in carica dei componenti ed i compiti della Commissione, già regolati dall’articolo 38, commi 2, 3 e 4 e dall’articolo 39 della legge n. 184 del 1983, che risultano abrogati - a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento - ai sensi dell’art. 1, comma 19-quinquies del D.L. 181 del 18 maggio 2006 come modificato dalla legge n. 233 del 2006. Va rilevato che uno schema di regolamento è già stato approvato dal Consiglio dei Ministri, e su di esso si è espresso in senso favorevole il Consiglio di Stato con parere del 18 gennaio 2007. In tale parere, che è un parere definitivo favorevole, si segnala peraltro “l’opportunità di redigere un unico regolamento recante tutte le disposizioni riguardanti la Commissione, in luogo dei due distinti atti normativi regolanti l’uno la composizione e i compiti, l’altro l’organizzazione e il funzionamento” (il riferimento è al d.P.R. 1 dicembre 1999, n. 492). Il Ministro delle politiche per la famiglia ritiene di condividere tale segnalazione. Il regolamento, pertanto, non trova più la sua unica fonte nell’articolo 19-quinquies del d.l. 181/2006, ma anche nell’articolo 7 della legge 31 dicembre 1998, n. 476, di ratifica della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993. Comprende pertanto anche le disposizioni in materia di organizzazione e funzionamento della Commissione (incluse le disposizioni sul personale e sui rapporti con gli enti autorizzati), già contenute nel d.P.R. 1 dicembre 1999, n. 492, opportunamente modificate. Di conseguenza, dalla data di entrata in vigore del presente regolamento saranno abrogate le disposizioni del citato d.P.R. *** Le modifiche introdotte riguardano sostanzialmente la composizione della Commissione (con l’attribuzione della presidenza al Ministro competente per le politiche per la famiglia e l’introduzione fra i componenti di esperti nella materia, al fine di rendere la Commissione ancor più qualificata politicamente e tecnicamente), i suoi compiti (con particolare riferimento al potere/dovere di dettare i criteri per l’idoneità e l’operatività degli enti che si occupano di adozioni internazionali, di esercitare nei loro confronti un controllo efficace e di emettere provvedimenti sanzionatori), la struttura di supporto (con una più precisa distribuzione delle competenze amministrative e la creazione di centri di responsabilità in capo alle figure dirigenziali poste a capo della segreteria tecnica). In particolare, gli articoli 1 e 2 contengono disposizioni generali (oggetto del regolamento, definizioni, finalità e sede della Commissione per le adozioni internazionali): si tratta di norme già presenti nel d.P.R. 492/99 (agli articoli 1 e 2, commi 1 e 2), con modifiche di pochissimo conto e con la precisazione che la Commissione ha sede ora, per via delle attribuzioni di competenze, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche per la famiglia. Gli articoli da 3 a 6 attengono alla presidenza, composizione e compiti della Commissione. La disciplina 83 ADOZIONE INTERNAZIONALE AIAF RIVISTA 2007/2 della materia era contenuta - come si è sopra accennato - negli articoli 38 e 39 della legge n. 104 del 1983, modificata dalla legge n. 476/1998. Ora la materia è stata delegificata e si sono introdotte le modifiche sopra sintetizzate. Va osservato che gli articoli da 3 a 6 riproducono, salvo minime differenze che saranno di seguito segnalate, le norme contenute nello schema di regolamento già approvato dal Consiglio dei Ministri e sui cui si è espresso favorevolmente il Consiglio di Stato. In particolare: l’articolo 3 ha ad oggetto la presidenza della Commissione per le adozioni internazionali. Il comma 1 prevede che la Commissione sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro da lui delegato per le politiche per la famiglia. Si è voluto che a presiedere la Commissione fosse un ministro, facilmente identificabile in base al contenuto della delega di funzioni attribuitegli, o in mancanza lo stesso Presidente del Consiglio; questo per le delicate funzioni che spettano alla Commissione soprattutto in tema di rapporti internazionali ed in considerazione del fatto che le corrispondenti autorità centrali dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione dell’Aja sono presiedute da autorità politiche. Viene mantenuta l’alternativa per l’eventualità che un diverso assetto dell’Esecutivo non preveda che le politiche per la famiglia siano delegate a un particolare Ministro. Il comma 2 definisce i compiti del presidente facendo riferimento alla rappresentanza dell’ente nonché alle attività di coordinamento e di vigilanza in merito all’attività della Commissione: si tratta di funzioni compatibili con la natura politica della figura del presidente, restando rimesse al vicepresidente, come si dirà nel prosieguo, le attribuzioni di natura più strettamente amministrativa. In considerazione di quanto sopra, si è previsto, inoltre, al comma 3 dell’art. 1, che sia compito specifico del presidente quello (in precedenza attribuito alla Commissione) di presentare al Parlamento una relazione biennale sullo stato delle adozioni internazionali, sullo stato della attuazione della Convenzione dell’Aja e sulla stipulazione di accordi bilaterali anche con Paesi non aderenti alla stessa. L’art. 4 del regolamento stabilisce la composizione della Commissione. È innanzitutto prevista la figura del vicepresidente, il quale, nominato con D.P.C.M. su proposta del presidente della Commissione, sostituisce quest’ultimo in caso di sua assenza o impedimento. Per tale delicata posizione, si è previsto che debba essere persona dotata di specifica esperienza nel settore minorile e di provata competenza quale magistrato o dirigente della Pubblica Amministrazione (caratteristiche che in precedenza l’art. 38 della legge n. 184 del 1983 prevedeva per il presidente della Commissione). Al fine di garantire che la nomina avvenga tra persone dotate della necessaria professionalità, si precisa inoltre che, ove si tratti di persona proveniente dai ruoli amministrativi, debba avere la qualifica di dirigente generale. Si prevede inoltre che il vicepresidente possa provenire, oltre che dalla Amministrazione dello Stato, anche da un’Amministrazione regionale, in virtù delle specifiche competenze attribuite alle regioni in materia di minori e di adozioni (anche ai sensi dell’art. 39 bis della legge n. 184). Il comma 2 dell’art. 2 provvede ad indicare alcune specifiche funzioni del vice-presidente, fissate tenendo conto del fatto che a lui spettano le attribuzioni giuridiche e amministrative più rilevanti. In particolare, egli ha lo specifico compito di autorizzare l’ingresso ed il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione. Si è scelto di affidare quest’ultima funzione, in precedenza attribuita alla Commissione nella sua collegialità, ad un organo monocratico, allo scopo di garantire nel contempo una decisione ponderata ed una procedura rapida ed efficace, ferma restando la conoscenza/conoscibilità di tutti i provvedimenti di autorizzazione all’ingresso o al soggiorno di minori da parte della Commissione, alla quale è attribuito il diritto/dovere di prenderne atto. Si è altresì precisato, che il vice-presidente possa adottare i provvedimenti di competenza della Commissione nei casi di urgenza che non permettano la convocazione dell’organo collegiale: in questa ipotesi alla Commissione spetta di ratificare nella prima riunione utile il provvedimento adottato, pena la perdita di efficacia ex tunc dello stesso. Rispetto allo schema precedentemente proposto, non è stata riprodotta la norma che trasferiva al vicepresidente la funzione (già attribuita al presidente dall’art. 5 del d.P.R. 492/99) di sovrintendere all’attività della segreteria tecnica: trattandosi di attività prettamente amministrativa, la si è attribuita al dirigente generale posto a capo della segreteria medesima. In relazione ai numerosi e delicati compiti spettanti al vicepresidente, come sopra dettagliati, e in considerazione del fatto che il presidente è un ministro o lo stesso Presidente del Consiglio, si è scelto di attribuire al vicepresidente l’indennità prevista dall’art. 3 quinquies del D.L. 28 maggio 2004 n. 136, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 luglio 2004, n. 186. Gli altri componenti della Commissione sono individuati sulla base di quanto precedentemente previsto, salvo alcune variazioni. In particolare, dei due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, è espressamente stabilito che uno provenga dal Dipartimento per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione, in ragione delle particolari attribuzioni di quest’ultimo; si è previsto che alla Commissione partecipi un rappresentante del Ministero della Solidarietà Sociale in luogo del Ministero del Lavoro; è stato espressamente escluso che possano essere rappresentati nell’ambito dei componenti designati dalle associazioni familiari gli enti di cui all’art. 39 ter della legge n. 184 del 1983, in considerazione del fatto che ad essi la legge attribuisce funzioni ben individuate e soprattutto che essi sono controllati dalla Commis- 84 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 ADOZIONE INTERNAZIONALE sione, per cui è opportuno evitare commistioni e ambiguità. Inoltre, la Commissione è stata integrata con tre esperti nominati direttamente dal presidente: la loro presenza va a riempire una carenza di competenza tecnico-giuridica che negli anni passati ha dato origine a problemi e difficoltà operative. Naturalmente si precisa che essi debbono essere scelti tra persone di comprovata esperienza nella materia delle adozioni internazionali. L’articolo 5 stabilisce le modalità di nomina e la durata in carica dei componenti della Commissione. Si prevede espressamente che essi (esclusi i rappresentanti delle associazioni e gli esperti) siano nominati con D.P.C.M. su designazione dei rispettivi Ministri o della Conferenza unificata; il vicepresidente ed i componenti durano in carica tre anni e possono essere riconfermati una sola volta: ciò permette un adeguato turn over e comunque un trattamento paritario per vicepresidente e altri componenti. Si è altresì previsto, al fine di adeguare la composizione della Commissione alle scelte politiche del Governo in carica, che l’incarico del vicepresidente cessi comunque con la fine di ogni legislatura e che l’incarico degli esperti nominati dal Presidente del consiglio o dal Ministro delegato sia soggetto a conferma annuale. L’operatività dell’organo è comunque assicurata dalla previsione che tutti i membri restano in carica fino alla conferma o alla nomina dei successori, sempre comunque nel rispetto delle norme vigenti ove prevedano tempi diversi per la prorogatio dei poteri. Data la procedura di nomina del vicepresidente, quest’ultimo si intende confermato ove non sia sostituito dal nuovo Governo entro sei mesi dal conseguimento della fiducia. La disciplina della cessazione dalla carica è sostanzialmente identica a quella contenuta nel d.P.R. 492/99, salvo la sostituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri con il presidente della Commissione. Ai componenti della Commissione diversi dal vice-presidente (del quale si è già detto) non spetta alcun compenso ma solo il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno, equiparato - per i soggetti estranei alla pubblica amministrazione - a quello dei dirigenti di seconda fascia. L’articolo 6 disciplina i compiti della Commissione introducendo alcune variazioni rispetto a quanto in precedenza stabilito dall’art. 39 della legge n. 184/1983. Essa mantiene da un lato i compiti di collaborazione con le autorità centrali per le adozioni internazionali presenti negli altri Stati, di proposizione di accordi bilaterali in materia, di conservazione degli atti relativi alle procedure di adozione, di promozione della cooperazione tra i vari operatori e di iniziative di formazione, collaborando anche con enti appositi, diversi da quelli di cui all’art. 39 ter. Dall’altro si è previsto che la Commissione rediga appositi criteri per l’autorizzazione all’operatività degli enti di cui all’art. 39 ter. Sulla base di tali criteri - che dovranno assicurare la funzionalità e la serietà degli enti - la Commissione provvede ad autorizzare l’attività degli enti, a curare il relativo albo, a vigilare sul loro operato. In particolare, si è previsto che la Commissione possa revocare l’autorizzazione a quegli enti la cui attività sia scarsamente efficace, sulla scorta dell’analisi dei risultati concreti conseguiti. Ancora, e sempre al medesimo scopo di aumentare l’efficacia degli enti, si prevede che la Commissione si adoperi per favorire la riduzione del loro numero, attraverso la loro eventuale fusione. Vengono introdotti ulteriori specifici compiti della Commissione. Uno è quello di esaminare segnalazioni, istanze ed esposti relativi ai procedimenti adottivi: si tratta di una competenza finalizzata ad esercitare la vigilanza sulla regolarità ed efficacia delle procedure di adozione, in analogia a quanto accade negli altri paesi europei. Un’altra attribuzione è quella di informazione, a vantaggio dell’intera collettività, sull’istituto dell’adozione internazionale e sulle procedure relative (compresi tempi e costi medi in base ai Paesi di provenienza dei minori adottandi). Ancora, si prevede che la Commissione interagisca con gli “utenti” e ne ascolti le richieste ed esigenze promuovendo periodicamente (ogni sei mesi) una consultazione con le associazioni familiari a carattere nazionale. Rispetto allo schema già diramato, si è introdotto l’ulteriore compito di richiedere ai servizi socio-assistenziali del territorio o agli enti competenti le attività di verifica e la documentazione necessaria (segnatamente, le apposite relazioni) per gli accertamenti da compiersi sull’andamento dei periodi post-adottivi. Si tratta di un’attività che si rende necessaria (ed è opportuno stabilire a chi spetta il potere di “attivazione” della procedura) a seguito degli accordi internazionali. Alcuni Paesi, infatti, richiedono che le verifiche post-adozione si protraggano per due, tre o più anni (in alcuni casi anche fino alla maggiore età dell’adottato) e si concretizzino in relazioni formali redatte da soggetti qualificati. L’attività della Commissione si inserisce appunto perché siano garantito il coordinamento di tutti gli “attori” della procedura, pubblici e privati, anche al fine di mantenere buoni rapporti con gli Stati di origine dei minori adottati. I commi 2 e 3 dell’articolo 6 riprendono il contenuto dei corrispondenti commi dell’art. 39 della legge n. 184 del 1983 (esame della Commissione sulle decisioni degli enti di diniego dell’adozione, incontri periodici con i rappresentanti degli enti autorizzati), mentre con il comma 4 si introduce la disposizione che prevede le missioni all’estero (norma non prevista nello schema in precedenza approvato ma comunque già contenuta nel d.P.R. 492/99). Le disposizioni di cui agli articoli da 7 a 18 riguardano l’organizzazione ed il funzionamento della Commissione, ed erano già contenute nel d.P.R. n. 492/99. Si segnalano, pertanto, solo le differenze più rilevanti. L’articolo 7 riprende in maniera pressoché pedissequa (salvi gli aggiornamenti normativi, ad esempio il rife- 85 ADOZIONE INTERNAZIONALE AIAF RIVISTA 2007/2 rimento al codice della privacy) l’articolo 2, commi da 3 ad 8, del regolamento del 1999 in tema di raccolta dei dati, anche sensibili, relativi alle procedure adottive. L’articolo 8 disciplina il funzionamento della Commissione, anch’esso in modo sostanzialmente identico a quanto previsto dal d.P.R. n. 492: l’unica differenza è l’aumento da sei a otto del numero minimo di componenti necessario per la validità delle deliberazioni, aumento connesso all’aumento del numero complessivo dei componenti. L’assetto della segreteria tecnica (già prevista e disciplinata dall’articolo 6 del d.P.R. 492/99) è sensibilmente mutato, mantenendo tuttavia identiche le competenze e apportando una piccola variazione all’organico. Si è disciplinata questa struttura come ufficio dirigenziale di livello generale, cui è preposto un dirigente di prima fascia. Le competenze dell’ufficio (nella sostanza identiche a quelle attuali) sono distribuite in due servizi, uno deputato alle adozioni e posto alle dipendenze del dirigente generale ed un altro incaricato degli adempimenti amministrativi e contabili, cui è preposto un dirigente di seconda fascia. In questo modo, i due dirigenti (in luogo dei tre attualmente previsti) sono configurati come centri di responsabilità oltre che di attribuzioni, così da garantire l’efficienza dell’azione amministrativa. Il comma 7 autorizza la Commissione ad avvalersi di professionalità esterne ove necessario per l’adempimento dei propri scopi: la disposizione nulla aggiunge rispetto alla previsione, già esistente, di cui all’articolo 6 comma 4 del regolamento del 1999. L’articolo 10 riprende, semplificandolo e adeguandolo al mutato assetto della Commissione, l’articolo 7 del d.P.R. n. 492 in tema di missioni all’estero (autorizzazione all’invio di componenti o di personale all’estero, rimborsi). Il capo IV contiene le disposizioni sull’attività degli enti, già presenti nel regolamento del 1999. L’articolo 11 disciplina il contenuto dell’istanza di autorizzazione che gli enti sono tenuti a presentare alla Commissione per poter operare nell’ambito delle adozioni internazionali. Le modifiche rispetto all’articolo 8 del d.P.R. 492/99 sono solo di drafting. Anche gli articoli 12 (accertamento dei requisiti) e 13 (albo degli enti autorizzati) corrispondono agli artt.. 9 e 10 del regolamento attuativo vigente. Nell’articolo 14 (modalità operative degli enti), il cui riferimento diretto è all’articolo 11 del regolamento vigente, l’unica modifica di rilievo è l’inserimento, al comma 1 lettera a), dell’obbligo di comunicare mensilmente alla Commissione gli incarichi ricevuti dalle coppie aspiranti all’adozione riportati cronologicamente sull’apposito registro: la comunicazione consente alla Commissione di monitorare l’entità degli impegni presi dall’ente con le coppie per valutarne la congruità rispetto all’operatività e al numero di adozioni concluse. L’articolo 15 prevede verifiche periodiche sull’attività degli enti, con alcune differenze rispetto all’art. 12 del d.P.R. 492. Innanzitutto, si prevede espressamente la periodicità delle verifiche (controllo di tutti gli enti ogni due anni) e il procedimento a campione. L’oggetto della verifica è la permanenza dei requisiti di idoneità in capo agli enti, nonché la correttezza, trasparenza ed efficienza della loro azione. Uno dei principali parametri di riferimento è la proporzione tra gli incarichi accettati e quelli completati. Connessa all’attività di controllo, si prevede peraltro in capo alla Commissione un’attività di “concertazione” per l’individuazione di modalità operative e di metodologie omogenee. L’articolo 16 disciplina in un’unica disposizione le sanzioni che possono essere comminate agli enti nell’ipotesi in cui le verifiche ed i controlli abbiano esito negativo. Alle due sanzioni già previste dall’articolo 13 del d.P.R. 492/99 (sospensione e revoca dell’autorizzazione ad operare) se ne sono premesse altre, che vanno dalla semplice censura (qualora l’ente sia responsabile di irregolarità ma esse non siano più in atto, o non sia necessario né utile imporre limitazioni o prescrizioni), alla possibilità di prescrivere che l’ente adegui le proprie modalità operative alla legge e al regolamento, alla possibilità di limitare l’attività dell’ente in termini di assunzione di incarichi o in termini di estensione territoriale della sua azione, in ambito nazionale o internazionale. Le ipotesi di sospensione e revoca dell’autorizzazione sono state conservate immutate rispetto alla disciplina vigente. Tutte le procedure che conducono all’emanazione di sanzioni sono state inoltre sottoposte all’osservanza delle norme in tema di procedimento amministrativo e segnatamente della norma che impone la contestazione dei fatti e delle ragioni per cui si intende procedere. Al comma 5, infine, si sono previsti gli adempimenti in caso di revoca o sospensione dell’attività di un ente, al fine di evitare che il provvedimento sanzionatorio incida negativamente sulle procedure adottive in corso e sulle legittime aspettative delle (incolpevoli) coppie aspiranti all’adozione: in tali casi la Commissione prenderà in carico direttamente le procedure in corso, eventualmente stipulando accordi con altri enti o avvalendosi (nei limiti delle proprie risorse finanziarie) di consulenze o convenzioni apposite. L’articolo 17 in tema di riesame riproduce l’articolo 14 del regolamento del 1999, con la previsione che, in caso di necessità di acquisizione di elementi istruttori, il termine sia allungato a sessanta giorni complessivi. Immutata è la disposizione sulla rappresentanza e difesa in giudizio della Commissione da parte dell’Avvocatura dello Stato. Il capo V contiene le disposizioni finali e transitorie. Tra queste, particolare rilevanza riveste l’articolo 19, che prevede che nel primo anno successivo all’entrata in vigore della nuova normativa la Commissione proceda ad un controllo “a tappeto” degli enti esistenti e alla loro rispondenza ai requisiti, come previsti dalla legge e precisati dal regolamento stesso; tale attività mira a ridurre quanto possibile il numero degli enti autorizzati per aumentarne al massimo l’efficienza e serietà. 86 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 ADOZIONE INTERNAZIONALE Immutata è la disposizione (di cui all’articolo 20) che coordina il regolamento con le competenze del Comitato per i minori stranieri in tema di minori accolti o presenti nello Stato, mentre la norma finanziaria (articolo 21) fa riferimento all’attuale assetto del bilancio dello Stato e pertanto all’unità revisionale di base 16.1.2.1, relativa alla Presidenza del consiglio dei ministri - politiche per la famiglia. La norma dispone che agli oneri connessi al regolamento si faccia fronte nei limiti dell’autorizzazione di spesa già prevista dalla legge n. 476 del 1998 (di ratifica della Convenzione internazionale dell’Aja). Sul punto, si ricorda che la legge finanziaria 2007 prevede che il Ministro delle politiche per la famiglia possa destinare una parte del Fondo per le politiche per la famiglia proprio al finanziamento della Commissione per le adozioni internazionali. La Commissione, che (si ripete) rappresenta per l’Italia l’autorità centrale per le adozioni internazionali, ai sensi della citata convenzione dell’Aja, svolge funzioni previste dall’articolo 117 lettera g) della Costituzione, per le quali sussiste la potestà legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre pacifico che la Commissione non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 29 del D.L. 4.7.2006 n. 223 (sul punto si vedano anche le note del Ministero dell’Economia e delle Finanze prot. n. 157254 e del Ministero per le Riforme e le innovazioni nella P.A. prot. 299/06/UL/P del 7.12.2006), in quanto svolge funzioni amministrative direttamente previste dalla Convenzione internazionale, obbligatorie per l’Italia che ha ratificato la Convenzione medesima. 87 EDITORIALE AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 PREMESSA LA COSTITUZIONE DELL’AIAF NEL 1993 PER FINALITÀ CULTURALI I l Disegno di legge per la Riforma delle professioni intellettuali (ddl Mastella), da un lato, e la Legge Bersani dall’altro, sulle quali entrambe la nostra Associazione ha già assunto una sua posizione, introducono e introdurranno in futuro novità tali da cambiare inevitabilmente contorni, modalità e aspetti formativi del nostro lavoro. In particolare la prospettiva del riconoscimento della specializzazione in alcune materie, tra cui L’ATTIVITÀ DI FORMAZIONE SPECIALISTICA E DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE DELL’AIAF _MILENA PINI*_ il diritto di famiglia e minorile, e la conseguente necessità di una formazione finalizzata all’acquisizione del titolo di specialista, così come al suo mantenimento, comporta per l’AIAF un nuovo impegno, di fronte al quale non è certo impreparata. Da tempo infatti abbiamo avviato la trasformazione da associazione eminentemente culturale ad associazione sostanzialmente rappresentativa che si fa tra l’altro carico di fornire strumenti formativi. Da sempre inoltre siamo favorevoli alla specializzazione, nella convinzione che questa qualifichi e dia effettivo valore e significato al nostro lavoro, consapevoli inoltre che è in questa direzione che inevitabilmente le trasformazioni sociali ed economiche in atto conducono l’attività professionale. 88 AIAF RIVISTA 2007/2 L a prima fase di attività dell’AIAF, costituita a livello nazionale nel 1993 e strutturata sin dall’inizio in sezioni regionali, è stata connotata da iniziative culturali - convegni e seminari di studio - volte ad approfondire i temi del nostro agire professionale. Attività che da allora si è ulteriormente sviluppata, a livello sia nazionale che locale, traducendosi in continuo monitoraggio dell’applicazione della legislazione in materia, valutazione della giurisprudenza, esame delle proposte di legge e proposte di modifica legislativa, confronto con gli altri operatori del settore. L’AIAF ha diffuso idee ed ha indicato soluzioni; ha auspicato la riforma della separazione e del divorzio suggerendone alcune linee guida, che purtroppo la legge 80/05 e la legge 54/06 hanno raccolto solo in minima parte; ha denunciato la compressione delle garanzie difensive nei procedimenti in materia minorile che seguono il rito della volontaria giurisdizione programmandone il superamento attraverso precise indicazioni di riforma; ha attuato uno studio ed un continuo monitoraggio sull’applicazione dell’affidamento condiviso; ha auspicato un unico giudice competente (la sezione specializzata del tribunale ordinario) per la regolamentazione dei rapporti relativi alla filiazione naturale e legittima. Con questa intensa e capillare attività culturale abbiamo sviluppato rapporti di collaborazione con magistrati, docenti universitari ed esperti in discipline psicosociali, nonché con gli ordini forensi locali e altre associazioni forensi. Il Congresso associativo del 1998 ha costituito una prima tappa importante di verifica dell’attività culturale svolta e di definizione di ulteriori obiettivi soprattutto nel campo della formazione professionale. In quell’occasione, nella relazione del Direttivo Nazionale veniva sottolineato che “la specificità del settore di cui in prevalenza ci occupiamo - il diritto di famiglia - richiede un impegno costante di formazione e aggiornamento anche interdisciplinare e il riconoscimento della necessità di utilizzare gli altri saperi che si rivelino necessari per ottenere la migliore soluzione dei problemi che le parti ci pro- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 spettano.” Ribadendo l’importanza della formazione e della specializzazione degli avvocati e dei giudici che operano nell’ambito della famiglia, emergeva “la necessità di integrare la formazione giuridica con altre discipline psicosociali”, “la necessità di non restare prigionieri della cultura della contrapposizione ad ogni costo e di perseguire le ipotesi di una soluzione mediata dei conflitti, recuperando in pieno uno dei principi fondamentali della nostra cultura giuridica e professionale: adoperarsi innanzitutto per conciliare e transigere. In tal modo rivendicando all’avvocatura il suo ruolo di pacificazione sociale nella risoluzione dei conflitti che, se trovasse adeguata risposta nell’utilizzazione preventiva della consulenza legale, consentirebbe anche di rendere efficiente, deflazionandolo, il sistema giudiziario.” organizzato dall’AIAF Veneto a Verona, dal 26 gennaio all’8 giugno 1998, e i “Seminari di diritto di famiglia - Lezioni sugli aspetti patrimoniali e personali” organizzati dall’AIAF Abruzzo a Pescara, dall’ottobre al novembre 1998. Dall’anno 2000 anche altre sezioni regionali (Lazio, Toscana, distretto di Salerno, Piemonte, Lombardia, Liguria, etc.) danno inizio a corsi di diritto di famiglia e di diritto minorile, che vertono sia su temi generali (matrimonio, separazione, divorzio, l’adozione, etc.) che su temi più specifici (l’affidamento dei figli, la mediazione familiare, le questioni economiche e fiscali, etc.) L’incremento di tale attività di formazione a favore degli avvocati e dei giovani praticanti porta l’AIAF nazionale a richiedere al Consiglio Nazionale Forense un riconoscimento formale del proprio ruolo già nell’anno 2002. 2. L’ATTIVITÀ DI FORMAZIONE DI BASE E DI AGGIORNAMENTO SPECIALISTICO Viene così sottoscritto dall’AIAF e dal Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli Avvocati del Consiglio Nazionale Forense (Roma, 4 giugno 2002) un “Protocollo d’intesa, per la collaborazione in attività di formazione e aggiornamento per la professione dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato del minore” L’attività di formazione dell’AIAF dal 2002 di- D opo il Congresso del 1998 l’AIAF dà avvio a corsi di formazione di lunga durata. Il primo “Corso di diritto di famiglia e di diritto minorile” è organizzato dall’AIAF Sicilia e si tiene a Catania dal 4 giugno 1997 al 1 aprile 1998; seguono a breve il “Seminario di formazione interdisciplinare per la famiglia ed i minori” CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE - CENTRO PER LA FORMAZIONE E L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE DEGLI AVVOCATI E AIAF - ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI II Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli Avvocati del Consiglio Nazionale Forense (in seguito indicato come Centro) in persona del Vice - Presidente, Avv. Alarico Mariani Marini, e l’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF), in persona del componente del Consiglio di Presidenza e legale rappresentante dell’associazione, Avv. Marina Marino, hanno convenuto di dare veste formale ad un’intesa i cui termini sono definiti nei seguenti punti: 1. Il Centro e l’AIAF hanno considerato la possibilità di collaborare in attività di formazione e aggiornamento di comune interesse ed hanno convenuto sulla utilità per l’Avvocatura italiana di promuovere iniziative di orientamento formativo, di approfondimento e di aggiornamento per la professione dell’avvocato matrimonialista e dell’avvocato del minore anche in vista delle recenti previsioni normative in materia. 2. Le iniziative comuni potranno consistere, a titolo esemplificativo: - in seminari ed in corsi di aggiornamento e di approfondimento specialistico nel diritto di famiglia e minorile; - in corsi di orientamento specialistico sempre nelle materie indicate, per giovani avvocati; - nella collaborazione nelle scuole e nei corsi di formazione. 3. Le attività formative consisteranno essenzialmente nell’insegnamento e nell’approfondimen- 89 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 to di discipline e tecniche per la migliore applicazione del diritto di famiglia e minorile e saranno volte all’acquisizione ed al miglioramento delle abilità professionali necessarie a garantire la qualità della prestazione sia nell’attività giudiziaria che in quella di consulenza. Particolare rilievo dovrà assumere in questo quadro la deontologia professionale quale componente essenziale dell’identità professionale dell’avvocato. 4. Il Centro e l’AIAF, per l’attuazione di questa intesa, costituiranno un ristretto gruppo paritetico di coordinamento che dovrà elaborare proposte di iniziative comuni da sottoporre all’esame dei rispettivi organismi deliberanti. Il gruppo di coordinamento, nella sua prima formazione, è così costituito: 1) Avv. Stefano Borsacchi per il Centro 2) Avv. Anna Galizia Danovi per il Centro 3) Avv. Maurizio Paganelli per il Centro 4) Avv. Antonio Dionisio per l’AIAF 5) Avv. Carla Marcucci per l’AIAF 6) Avv. Milena Pini per l’AIAF Sia il Centro che l’AIAF potranno sostituire i componenti designati con semplice comunicazione all’altra parte. 5. Il Centro e l’AIAF concorderanno aspetti organizzativi e finanziari in relazione ad ogni singola attività promossa, come pure se ed in quali casi possa essere rilasciato un attestato di partecipazione a corsi e seminari e l’utilizzazione del materiale prodotto in occasione delle iniziative comuni. 6. Il Centro si impegna a segnalare agli ordini forensi, ai fini della formazione degli elenchi degli avvocati del minore che dovessero essere richiesti dalle autorità giudiziarie competenti, i nominativi dei colleghi che abbiano positivamente frequentato i corsi organizzati dall’AIAF con il patrocinio o in collaborazione con il Centro, ottenendo la relativa attestazione. Il presente protocollo viene sottoscritto in Roma, il giorno 4 giugno 2002 viene continua e copre tutte le realtà regionali. È una attività che con il passare del tempo si struttura in precise fasi: • la progettazione e preparazione del corso: la scelta dei temi, della metodologia e dei relatori • la direzione e gestione del corso, nonché la costante verifica del suo andamento, mediante un rapporto continuo con i partecipanti, per rilevare le loro esigenze • la valutazione finale a chiusura del corso, per rilevare gli aspetti positivi e negativi del lavoro svolto, al fine di tenerne conto per la progettazione di altre iniziative di formazione I risultati conseguiti con tale attività sono stati estremamente positivi, in quanto: - è stata fornita una formazione - sia di base che specialistica, a seconda dei corsi - ad avvocati e praticanti avvocato, in diritto di famiglia e minorile - è stata acquisita “sul campo”, da parte dei Colleghi delle AIAF regionali e distrettuali che hanno svolto attività di formazione, una specifica competenza di progettazione, direzione e gestione di tale attività formativa. Particolare attenzione è posta alla metodologia, 90 e quasi ovunque i corsi sono stati strutturati con una impostazione teorico-pratica, prevedendo sia lezioni teoriche, che disamina della giurisprudenza e discussione di casi pratici; in alcuni corsi sono state sperimentate esercitazioni pratiche con simulazione della difesa (Toscana, corso di diritto minorile); in altri si sono formati sottogruppi di lavoro, compilati test, sperimentato discussioni di gruppo con “supervisione” di casi trattati dai Colleghi (corsi sulla “gestione del conflitto” organizzati da AIAF Lombardia e Toscana,, e corso “la gestione delle emozioni nella gestione del conflitto” dell’AIAF Lombardia). Possiamo affermare che l’esperienza di formazione acquisita in questi anni ci ha consentito il passaggio dalla tesi “teorica” dell’importanza della multidisciplinarietà (intesa come acquisizione culturale, di conoscenze di base di altre discipline mediante la collaborazione di esperti in discipline psicologiche - psicologi, mediatori familiari, neuropsichiatri infantili - ai nostri corsi), alla elaborazione di una nostra proposta formativa multidisciplinare, sotto il profilo dei contenuti e del metodo, che delinea - in senso complessivo e completo - l’avvocato specializ- MAGGIO - SETTEMBRE 2007 zato in diritto di famiglia e minorile. L’obiettivo è quello di far acquisire all’avvocato strumenti di conoscenza teorica specifica e di pratica interdisciplinare in materia, che gli consentano di svolgere da specialista l’attività di assistenza stragiudiziale e di difesa giudiziale. 3. RICONOSCIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE E RIFORMA DELLA LEGGE PROFESSIONALE. D a sempre l’AIAF - associazione alla quale possono aderire solo gli avvocati che esercitano in via prevalente o continuativa attività in ambito di diritto di famiglia e minorile - sostiene l’esigenza della specializzazione dell’avvocato che tratta questa materia e della sua conseguente pubblicità a tutela dei cittadini. L’ Articolo 1 (Scopi) dello STATUTO dell’AIAF approvato dall’Assemblea Nazionale del 16 dicembre 2006 afferma: “L’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede in Roma è un’associazione di rappresentanza e di categoria senza fini di lucro che opera sul territorio nazionale, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. L’Associazione si propone: a) di promuovere la rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione, con continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori, b) di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere il professionista al quale affidare la propria difesa un criterio fondato sulla capacità tecnica ed di conseguenza si propone di dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati, e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa, potrà chiedere un riconoscimento in via amministrativa che sancisca la legittimazione socioeconomica della loro funzione nel mercato dei servizi professionali. c) di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di sanzioni sostanziali disciplinari definitive a AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 carico degli associati. d) di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto una assicurazione professionale. e) di provvedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in possesso dei requisiti, vorranno raggiungere una specializzazione in materia di diritto di Famiglia e minorile civile e penale, nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti dandone comunicazione al CNF e agli Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico scientifica e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione; f) di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione familiare e minorile; g) di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con le altre figure professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia; h) di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario, anche attraverso corsi di formazione ed aggiornamento. Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre, direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale.” Nonostante che in quasi tutti i Paesi Europei sia riconosciuta e regolamentata la specializzazione e siano istituiti gli elenchi di avvocati 91 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 specializzati per materia, nel nostro codice deontologico forense è tuttora contenuto solo un generico richiamo all’avvocato ad assumere incarichi in merito ai quali lo stesso ritenga di poter essere competente. Inoltre il titolo di specialista è esclusivamente riservato ai docenti universitari, molto spesso estranei all’effettivo svolgimento della professione, soprattutto nella nostra materia. Il DDL BERSANI rappresenta dunque una svolta, in quanto per la prima volta si cerca di dare riconoscimento alla specializzazione dell’avvocato, a tutela dell’interesse del cittadino utente. Il 30 giugno 2006 il cd. «decreto Bersani» pone una scadenza al 31 dicembre 2006 ART.2 (Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali) 1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data del presente provvedimento sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; il divieto, anche parziale, di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni; Il 16 novembre 2006 al convegno organizzato a Roma dall’Unione delle Camere Penali Italiane viene sottoscritto un documento finale sottoscritto da tutte le Associazioni di specialisti, compresa l’AIAF. Nel documento si sottolinea come “…in un tale contesto normativo, appare possibile recepire l’esigenza ormai insopprimibile dell’inserimento del principio della specializzazione della difesa…, quale strumento di attuazione del diritto della persona al giusto processo ed all’effettività della difesa, oltre che quale strumento di miglioramento qualitativo dell’attività professionale forense». 92 AIAF RIVISTA 2007/2 Altro segnale innovativo importante è contenuto nel DDL MASTELLA (Art. 7 - I bozza) che prevede il riconoscimento delle associazioni di esercenti le professioni, ai fini: • di dare evidenza ai requisiti professionali degli iscritti, • di favorire la selezione qualitativa e la tutela dell’utenza Si precisa che dette associazioni devono essere iscritte in apposito registro presso il Ministero della Giustizia sentito il CNEL e gli Ordini, e che il loro Statuto deve garantire: - identificazione delle attività professionali, - rappresentatività elettiva delle cariche, - assenza di situazioni di conflitto di interesse, - la trasparenza degli assetti organizzativi e l’attività dei relativi organi, - la dialettica democratica tra gli associati, - l’osservanza dei codici deontologici secondo un codice etico elaborato dall’associazione, - idonee forme assicurative per la responsabilità per danni, - una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata alle finalità dell’associazione e ai livelli di qualificazione, - la costante verifica di professionalità per gli iscritti e il relativo aggiornamento, - l’effettiva applicazione del codice etico. Il DDL Mastella (I bozza) prevede altresì che le associazioni registrate possano rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione A queste aperture sulla specializzazione fa purtroppo seguito una Circolare del Consiglio Nazionale Forense del 13 novembre 2006: art. 7 lett a): Le associazioni di professionisti iscritti in albi non possono e non debbono essere riconosciute, perchè una loro valenza pubblica o para-pubblica minerebbe indebitamente il principio di unitarietà della professione forense, con la creazione di una sorta di albi separati, e genererebbe MAGGIO - SETTEMBRE 2007 oltretutto grave confusione nel pubblico. Nulla vieta ovviamente la piena libertà di associazione anche tra professionisti iscritti in albi ma questa è già nella Costituzione. Si propone pertanto la soppressione della lettera a). art 7 lett. b) sostanzialmente si chiede di escludere le discipline “ordinistiche”. Il DL 2160 “MASTELLA” del 24 gennaio 2007, all’art. 8 - (Principî e criteri in materia di associazioni professionali riconosciute, recepisce le critiche del CNF ed esclude dalle “associazioni registrate” che possono rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni”, “le attività riservate di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e) * (*ART. 2 comma 1 e): riorganizzare le attività riservate a singole professioni regolamentate limitandole a quelle strettamente necessarie per la tutela di diritti costituzionalmente garantiti per il perseguimento di finalità di interesse generale o in relazione alle esigenze degli utenti, previa verifica della inidoneità di altri strumenti diretti a raggiungere il medesimo fine e senza aumentare le riserve già previste dalla legislazione vigente.) AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 vecchio schema: ART.17 BIS • sono riconosciuti solo i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari; • possono essere indicati dall’avvocato i settori di esercizio dell’attività professionale (civile, penale, amministrativo, tributario) e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente, con il limite di non più di tre materie. Di fronte a tale confuso e preoccupante panorama l’AIAF, unitamente con le altre Associazioni di specialisti UCPI, UNCAT, AGI, SIA, ha sottoscritto in questi mesi numerosi documenti in cui ha continuamente ribadito l’esigenza di una compiuta disciplina del tema della specializzazione forense. 4. LA FORMAZIONE CONTINUA E IL REGOLAMENTO DEL CNF Con un Regolamento approvato in data 18 gennaio 2007 il Consiglio Nazionale Forense ha previsto l’obbligo della formazione forense, ma le modalità della formazione continua ivi formulate e l’assenza di qualsiasi riferimento alla formazione della specializzazione ha comportato la ferma critica di tutte le associazioni specialiste. Il «nuovo» CODICE DEONTOLOGICO del 27 gennaio 2006 ripropone conseguentemente il LETTERA DELL’AIAF NAZIONALE AL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE L’Associazione degli Avvocati per la Famiglia ed i Minori visti - la “relazione sulle modifiche apportate al codice deontologico forense in applicazione del D.L. 4 luglio 2006 n.223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006 n.248”; - l’art. 17 bis del codice deontologico forense; - gli artt. 2, 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” approvato dal C.N.F. il 18 gennaio 2007; preso atto - dei chiarimenti forniti dal C.N.F. nella riunione svoltasi presso la sede del medesimo in Roma il giorno 8 marzo 2007; osserva 1) che il D. L. 4.7.2006 n.223, noto come Decreto Bersani, ed in particolare all’art. 2 del medesimo ha abolito “il divieto, anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine”. 2) Che nell’adeguamento effettuato dal CNF al codice deontologico alle disposizioni del decreto Bersani in ordine alla pubblicità informativa, sono regolate dagli artt. 17 e 17 bis del CDF. Nello specifico in ordine alla pubblicità di titolo e specializzazioni professionali, l’art. 17 bis consente la facoltà di indicare “i diplomi di 93 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari”, escludendo ogni altra possibilità di divulgazione di titoli “specializzanti”. Seppur detta limitazione denota il tentativo di porre un argine alla spendita di titoli specialistici di provenienza incerta e sottratta al controllo del C.N.F., essa però mortifica intollerabilmente la capacità formativa specialistica delle associazioni forensi e nega la fondamentale differenza fra specializzazione universitaria e specializzazione professionale, oltre a non rispecchiare il contenuto normativo del decreto Bersani. Il C.N.F. è invero ben consapevole di quale sia la natura e la portata della formazione specialistica posta in essere dalle associazioni forensi, ed in particolare dall’AIAF con cui il CNF già nel 2003 aveva sottoscritto un protocollo d’intesa avente ad oggetto proprio la specializzazione forense, la formazione e l’aggiornamento professionale. La mancata previsione e disciplina di “specializzazioni professionali”, conseguibili tramite l’attività formativa organizzata dalle associazioni forensi, è necessaria e si impone alla luce di queste considerazioni: 1) Adeguamento del regolamento al Decreto Bersani. 2) Garanzia di affidamento dei cittadini che si affidano al patrocinio di un avvocato; 3) Riconoscimento del ruolo e delle istanze delle Associazioni Forensi. La attuale formulazione dell’art. 17 bis del codice deontologico forense, non solo mortifica la capacità formativa ed il ruolo delle associazioni professionali, ma quel che è ancora più grave compromette quella che è diventata una necessità non ulteriormente differibile: l’ introduzione di una specifica regolamentazione della specializzazione forense che da un lato la riconosca e la valorizzi e dall’altro che ponga fine alla vecchia confusione tra specializzazione universitaria che in alcun modo prepara in via specifica alla professione e la specializzazione forense. La conseguenza di un mancato intervento in tal senso sarà quello di permettere il diffondersi senza controllo della “spendita” di competenze ed esperienze fuori da qualsiasi controllo e dall’altro di vanificare il significato del titolo di “specialista”. La previsione della facoltà dell’avvocato di indicare “i settori di esercizio della attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente”, senza che sia stata regolamentata attentamente la specializzazione forense, permetterà l’uso e la divulgazione di qualifiche di specifica esperienza e competenza, in relazione alle quali non vi sarà nessun controllo e di conseguenza nessuna garanzia né di formazione e specializzazione. Con la ulteriore e conseguente violazione della ratio del decreto Bersani. Il Regolamento sulla “Formazione continua” approvato dal C.N.F. il 18 gennaio 2007 non realizza né assicura tale garanzia. Bisogna sottolineare come quest’ultimo all’art.2 prevedendo la facoltà di “indicazione del settore di attività prevalente” al solo “adempimento dell’obbligo formativo” non specifica che tale obbligo formativo debba necessariamente essere osservato - salva la frequentazione di “attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la deontologia” - nel settore di attività prevalente, con ciò autorizzando la spendita di una data esperienza specialistica pur in assenza di formazione specifica. Gli artt. 3 e 4 affidano genericamente la formazione ad “enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi pubblici o privati”, senza che sia previsto e regolamentato alcun criterio e presupposto di “accreditamento”. Tale mancanza è grave proprio perché consente ed in parte favorisce iniziative imprenditoriali che hanno solo una finalità “speculativa” da parte di quanti trovano nel settore “formazione” soltanto una agevole fonte di reddito e che già sono in piena mobilitazione. Mettendo sullo stesso piano le associazioni forensi con “altri enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi pubblici o privati”, le cui iniziative devono ricevere il preventivo accreditamento, il regolamento non attribuisce alle associazioni il necessario ed autonomo riconoscimento del ruolo storicamente svolto dalle stesse nella specializzazione, formazione ed aggiornamento forense. Pertanto L’AIAF rivendicando il proprio ruolo formativo specialistico, chiede che il Consiglio Nazionale Forense 1. su proposta delle associazioni forensi adotti un regolamento della “specializzazione forense”; 2. integri l’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense, consentendo, conformemente a quanto previsto dall’art. 2 del c.d. “Decreto Bersani”, la spendita di “titoli specialistici” conseguiti con le modalità previste nel sopra indicato regolamento della “specializzazione forense”; 3. modifichi il Codice Deontologico Forense prevedendo quale illecito disciplinare l’utilizzo del titolo di “specialista” “specializzato” o simili in assenza del percorso formativo specialistico indicato nel suddetto regolamento; 4. modifichi il Codice Deontologico Forense ed il regolamento sulla “Formazione continua”, subordinando la facoltà di indicazione di un settore di attività prevalente all’osservanza del regolamento sopra richiamato; 5. integri gli artt. 3 e 4 del regolamento sulla “Formazione continua” riconoscendo espressamente ed 94 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 autonomamente la rilevanza, quale fonte di crediti formativi, degli eventi e delle attività formative organizzate dalle associazioni forensi, eventualmente previo loro stabile accreditamento secondo criteri definiti; 6. indichi e specifichi comunque i criteri cui il C.N.F. ed i Consigli dell’Ordine saranno tenuti ad adeguarsi nel concedere o meno il richiesto accreditamento ad altri enti, istituzioni, organismi pubblici o privati. Roma, 13 marzo 2007 LETTERA DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI AL CNF COMITATO RISTRETTO RIUNITOSI IL 6 LUGLIO 2007 (CUI PARTECIPA ANCHE L’AIAF) A SEGUITO DELLA RIUNIONE DEL Al Consiglio Nazionale Forense Ai Signori Consiglieri del C.N.F. Oggetto: Regolamento sulla Formazione Continua Le scriventi associazioni A.G.I., AIAF, U.C.P.I. e U.N.C.A.T., all’esito della riunione svoltasi il 6 luglio u.s. in merito al Regolamento sulla Formazione Continua ed in vista della sua preannunciata approvazione entro i prossimi giorni, esprimono grande preoccupazione e forte dissenso ove lo stesso venisse approvato nel testo proposto dal C.N.F.. Anche in considerazione dell’impegno assunto nelle premesse del Regolamento sulla Formazione Continua e ribadito verbalmente dal Vice Presidente del Consiglio Nazionale Forense Avv. Pierluigi Tirale di porre mano quanto prima al Regolamento sulla Specializzazione Forense, invitano il C.N.F a voler ripensare la previsione di “attività prevalente” contenuta nel Codice Deontologico Forense e nel citato Regolamento. Detta espressione infatti è oggettivamente idonea a determinare sia fra i professionisti sia nei confronti dei cittadini ambiguità ed equivoci in contrasto con gli obblighi deontologici di trasparenza e verità e con gli stessi contenuti ed obiettivi della c.d. Legge Bersani, ed è altresì potenzialmente pregiudizievole per la futura regolamentazione della specializzazione forense, cui il C.N.F. si accinge a porre mano. In ragione di quanto sopra, condiviso peraltro anche da molti di coloro che sono intervenuti nel corso della riunione del 6 luglio u.s., le scriventi associazioni insistono, ancora una volta, nelle seguenti istanze: 1) che Codesto Consiglio, al fine di adeguare il Codice Deontologico Forense ai precetti della c.d. “Legge Bersani”, laddove essa legittima la spendita delle “specializzazioni”, ed al fine di armonizzare detto Codice Deontologico al successivo Regolamento sulla Formazione Continua, ove si fa chiaro riferimento, alla “attività specialistica”, voglia modificare il Codice Deontologico Forense nel senso indicato con il documento già trasmesso dall’U.C.P.I. in data 5.7.2007, al quale hanno aderito le scriventi associazioni, precisando nel contempo la completa autonomia fra “specializzazione professionale” e “specializzazione universitaria”; 2) che sempre al fine di adeguare il suddetto codice alla c.d. “Legge Bersani”, laddove essa consente la spendita di “specializzazioni” al fine di garantire al cittadino una scelta consapevole, voglia eliminare dal testo del Codice Deontologico Forense ogni riferimento alla c.d. “attività prevalente” 3) che comunque fin d’ora, nella nuova stesura del Regolamento sulla Formazione Continua: a)Voglia definire “l’attività specialistica” di cui in esso si fa menzione nelle premesse, indicando con chiarezza che con tale espressione si fa riferimento alla attività esercitata in maniera continuativa, duratura e con particolare competenza in un dato settore del diritto, indipendentemente da un eventuale diploma universitario conseguito; b)Voglia indicare nel Regolamento sulla Formazione Continua, con altrettanta chiarezza, che il regolamento che il C.N.F. si è impegnato ad adottare in futuro concerne non solo l’”aggiornamento per l’attività specialistica”, bensì anche i requisiti necessari per il conseguimento del titolo di specialista, le condizioni per la sua spendita e le sanzioni per l’eventuale abuso del titolo, oltreché ovviamente l’aggiornamento; c)Voglia eliminare ogni riferimento alla c.d. “attività prevalente”, la quale si presta evidentemente tanto per il tenore letterale dell’espressione ma a maggior ragione per la disciplina cui è sottoposta a legittimare la violazione del dovere di verità, oltreché di competenza. 95 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 4) Che, laddove il Consiglio Nazionale Forense ritenga di dover mantenere, nonostante le critiche rivolte da più parti, il sistema “tripartito” introdotto con il Regolamento sulla Formazione Continua (attività generalista, attività prevalente, attività specialistica), voglia quantomeno: a)puntualizzare con la massima attenzione e precisione i contenuti delle tre diverse attività ed indicare quale diverso tipo di informazione al cittadino esse legittimino, onde non contravvenire all’obbligo di verità; b)inibire comunque la possibilità di spendita di una pluralità di “attività prevalenti”, limitando tale facoltà ad una sola; c)ancorare la spendita della “prevalenza” alla espressa e testuale specificazione che si tratta di “attività prevalente” ed all’effettiva prevalenza nell’esercizio in concreto dell’attività professionale, oltreché all’adempimento dell’obbligo di aggiornamento; 5) Che, quanto ai “protocolli” che potranno essere stipulati con le Associazioni forensi maggiormente rappresentative, venga specificato nel Regolamento sulla Formazione Continua che detti protocolli contempleranno anche gli eventi organizzati dalle suddette associazioni o loro articolazioni a livello locale. 6) Che comunque Codesto Consiglio Voglia convocare, fin d’ora, a partire da settembre 2007 una commissione per la stesura del Regolamento sulla Specializzazione Forense, che veda la partecipazione di tutte le componenti della Avvocatura maggiormente rappresentative ed in particolare di tutte le Associazioni Forensi specialistiche. Roma, il 9 luglio 2007 AIAF Il Presidente, Avv.Marina Marino UCPI Il Presidente, Prof.avv.Oreste Dominioni 5. LE NOSTRE PROPOSTE. A. LA FORMAZIONE CONTINUA, DI BASE E SPECIALISTICA In attesa degli sviluppi della riforma della professione forense in sede legislativa, l’AIAF ha già avviato al suo interno il lavoro di progettazione dell’attività di formazione, sia continua che specialistica. L’attività di formazione continua, nella specialistica materia di diritto di famiglia e minorile, sarà proposta e organizzata a livello locale dalle AIAF regionali. Per quanto riguarda i contenuti, si terrà presente nella programmazione dei corsi sia l’esigenza di una formazione di base per chi non si occupa della materia, che quella di aggiornamento specialistico per chi invece se ne occupa in via esclusiva o continuativa. Potranno essere progettati corsi di breve o media durata, seminari, giornate di studio o convegni. L’approfondimento riguarderà soprattutto le novità legislative e giurisprudenziali; il confronto con altri operatori (magistrati, CTU, psi- 96 AGI Il Consigliere Delegato, Avv.Fabio Petracci UNCAT Il Segretario Generale, Avv.Michele Di Fiore cologi, servizi) su particolari temi (la perizia, la mediazione familiare, la gestione del conflitto); l’approfondimento di problematiche fiscali e di competenza di commercialisti, fiscalisti e notai; lavori di piccolo gruppo per la supervisione di casi trattati da colleghi, etc. La metodologia di queste iniziative seguirà la tipologia dell’incontro, e sarà comunque sempre improntato ad un approccio teorico-pratico della materia. Va ricordato che gli iscritti alla nostra Associazione hanno, per statuto, l’obbligo di formazione continua, al fine di mantenere l’iscrizione all’Associazione stessa e in futuro, si auspica, anche al fine di mantenere l’iscrizione negli elenchi delle diverse specialità che dovranno essere istituiti a livello legislativo. B. LA FORMAZIONE SPECIALISTICA PER IL CONSEGUIMENTO DEL TITOLO. La formazione finalizzata all’acquisizione di un titolo di specialista non può che avere regole nazionali, che dovranno essere determinate dalla legge di riforma della professione forense e dal CNF. MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 Già lo Statuto dell’AIAF prevede la SCUOLA AIAF DI ALTA FORMAZIONE in diritto di famiglia e minorile, civile e penale, che potrà organizzare un corso di lunga durata (la nostra proposta è di un corso biennale, per un totale non inferiore a 160 ore, con obbligo di frequenza) su tali materie, con selezione iniziale ed esame finale da parte di una commissione composta da avvocati membri dell’Associazione, magistrati e professori universitari., il cui superamento consentirà di conseguire il titolo di specialista. Al conseguimento del titolo, che dovrà consentire l’iscrizione nell’elenco di “specialità” da costituirsi presso l’Ordine degli Avvocati locale, dovrà far seguito una formazione continua specialistica da verificare annualmente ai fini del mantenimento nell’elenco di specialità. Allo stato, in attesa della definizione delle regole da parte del CNF e degli sviluppi legislativi sulla riforma della professione, ci preme ribadire che tale percorso formativo finalizzato all’acquisizione del titolo di specialista non potrà che essere diretto e verificato dalle associazioni forensi specialiste, e non da terzi. * MEMBRO GIUNTA ESECUTIVA AIAF PRESIDENTE AIAF LOMBARDIA 97 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DENOMINATA: ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER L A FAMIGLIA E PER I MINORI AIAF (con le modifiche approvate dal Congresso Nazionale, Roma 26 maggio 2007) ARTICOLO 1 - SCOPI L’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede in Roma è un’associazione di rappresentanza e di categoria senza fini di lucro che opera sul territorio nazionale, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. L’Associazione si propone: a. di promuovere la rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione, con continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori., b. di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere il professionista al quale affidare la propria difesa un criterio fondato sulla capacità tecnica ed di conseguenza si propone di dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati, e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa, potrà chiedere un riconoscimento in via amministrativa che sancisca la legittimazione socioeconomica della loro funzione nel mercato dei servizi professionali. c. di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di sanzioni sostanziali disciplinari definitive a carico degli associati. d. di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto una assicurazione professionale. e. di provvedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in possesso dei requisiti, vorranno raggiungere una specializzazione in materia di diritto di Famiglia e minorile civile e penale, nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti dandone comunicazione al CNF e agli Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione; f. di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione familiare e minorile; g. di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con le altre figure professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia; h. di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario, anche attraverso corsi di formazione ed aggiornamento; i. operare affinché i diritti e le prerogative dell’avvocatura siano garantiti conformemente alle norme costituzionali e internazionali; j. tutelare il rispetto della funzione del difensore e gli interessi professionali dell’avvocatura. Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre, direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale. ARTICOLO 2 - ORGANIZZAZIONE L’AIAF per il conseguimento dei propri scopi sull’intero territorio nazionale, l’AIAF opera anche tramite associazioni territoriali denominate “AIAF - Regioni”. Il Comitato Direttivo Nazionale dell’Associazione riconosce quali associati dell’AIAF Nazionale le Associazioni costituitesi a livello regionale. Il Comitato Direttivo Nazionale – ove lo ritenga opportuno, ai fini del raggiungimento degli scopi di cui 98 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 all’art. 1 e secondo un equo principio di distribuzione delle Associazioni e del numero dei soci – può autorizzare, a maggioranza dei voti, la costituzione di una Associazione distrettuale denominata “AIAF - Distretto” avente le medesime caratteristiche di autonomia e poteri delle Associazioni Regionali. Le AIAF distrettuali sono rappresentate al Comitato direttivo Nazionale solo dal Presidente dell’Associazione Distrettuale. In ogni caso non possono esistere più di due AIAF (del Capoluogo e Distrettuale) nella medesima regione. Le AIAF “REGIONALI” e “DISTRETTUALI” operano sul territorio delle singole regioni italiane, sono costituite in conformità ai principi stabiliti dal presente Statuto e dal Regolamento di funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente Statuto. Lo Statuto delle AIAF “REGIONALI” e “DISTRETTUALI” dovrà essere uniformato al modello deliberato dal Comitato Direttivo Nazionale. Detto modello non è modificabile nelle sue parti essenziali. Gli Statuti locali entrano in vigore solo dopo l’approvazione definitiva e la ratifica del Comitato Direttivo Nazionale. Le Associazioni Regionali/Distrettuali non possono avere un numero di soci inferiore a quello stabilito dal Comitato Direttivo Nazionale. Il Presidente Regionale/Distrettuale è garante della politica dell’AIAF sul suo territorio, cura e controlla la gestione amministrativa della Sezione Regionale/Distrettuale e ne è il legale rappresentante. Le Associazioni Regionali/Distrettuali sono tenute a conformarsi alle linee programmatiche stabilite dal Comitato Direttivo Nazionale. Le cariche delle Associazioni Regionali/Distrettuali hanno la stessa durata di quelle nazionali, ma devono essere rinnovate almeno 30 giorni prima del rinnovo di quelle nazionali. Le Associazioni Regionali/Distrettuali possono costituire, con delibera del Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale, sezioni territoriali aventi almeno dieci iscritti, coincidenti con le sedi circoscrizionali di tribunale. La sezione territoriale ha il compito di programmare e coordinare l’attività culturale e di formazione a livello locale secondo le indicazioni del Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale, non ha autonomia amministrativa e fiscale, elegge al suo interno un rappresentante per la durata di un triennio ed è tenuto all’osservanza dello statuto e delle deliberazioni degli organismi nazionali. ARTICOLO 3 - SOCI Potranno essere soci dell’AIAF tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. Per aderire all’AIAF in qualità di socio, è necessario avanzare domanda al Comitato Direttivo Regionale/ Distrettuale ove costituiti – o al Comitato Direttivo Nazionale laddove non sia costituita l’Associazione Regionale/Distrettuale – essere iscritto all’albo da almeno quattro anni, garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto, garantire di non avere o avere avuto sanzioni disciplinari sostanziali definitive e di avere in atto e mantenere durante tutto il periodo di iscrizione all’associazione una assicurazione professionale. Il Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale o il Comitato Direttivo Nazionale potranno deliberare l’ammissione di soci che, pur non in possesso del requisito dei quattro anni di iscrizione all’albo, abbiano espletato attività professionale con prevalenza e continuità nel diritto di famiglia e dei minori ed abbiano partecipato formative quali corsi e seminari che dovranno essere documentati. I1 Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti – o il Comitato Direttivo Nazionale laddove non sia costituita l’Associazione Regionale/Distrettuale – ricevuta la domanda, delibera in merito alla sua accettazione o meno entro centoventi giorni dalla sua ricezione. All’accettazione della richiesta di iscrizione, il socio dovrà versare la quota di iscrizione, nella misura stabilita per l’anno in corso dal Comitato Direttivo Nazionale. In caso di mancata accettazione della domanda a socio, il Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale – laddove non sia costituita l’Associazione Regionale/Distrettuale – è tenuto ad indicare i motivi della propria decisione. Il socio che aderisce all’AIAF è iscritto all’Associazione Regionale eventualmente costituita sul territorio di appartenenza. La decadenza della qualifica di associato comporta la decadenza anche dall’Associazione Regionale/Distrettuale. ARTICOLO 4 - PATRIMONIO Il patrimonio dell’AIAF è costituito dai contributi dei soci, dai beni acquistati con questi contributi nonché da eventuali legati e donazioni. La gestione del patrimonio è curata dal Legale Rappresentate dell’associazione, nominato secondo quanto disposto dal successivo articolo 10. I contributi vengono riscossi dalle Associazioni Regionali/Distrettuali entro il trentuno marzo di ogni anno, 99 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 salve le nuove iscrizioni. Le Associazioni Regionali / Distrettuali dovranno provvedere al versamento della quota annualmente stabilita dal Comitato Direttivo Nazionale , sul conto corrente dell’AIAF Nazionale entro i trenta giorni dalla ricezione della quota. ARTICOLO 5 - BILANCI L’esercizio finanziario dell’associazione ha inizio il 1° gennaio e termina il 31 dicembre di ciascun anno. Entro il 28 febbraio di ogni anno il Comitato di Presidenza, su proposta del Legale Rappresentate, deve predisporre il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso da sottoporre all’approvazione del Comitato Direttivo Nazionale. Il Comitato Direttivo Nazionale deve convocare l’Assemblea Generale dei Soci per l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Il rendiconto ed il preventivo devono rimanere depositati presso la sede dell’Associazione, per almeno i 15 giorni precedenti all’assemblea generale dei soci, e devono essere inviati in copia alle Associazioni Regionali/Distrettuali, almeno 15 giorni prima della data fissata per l’Assemblea. ARTICOLO 6 - DIRITTI E OBBLIGHI DEI SOCI I soci dell’AIAF, in regola con la quota di iscrizione, godono dell’elettorato attivo e passivo rispetto a tutte le cariche; essi sono tenuti al pagamento di un contributo annuale nella misura che verrà determinata dal Comitato Direttivo Nazionale. Il versamento del contributo annuale viene eseguito a cura dell’associazione aderente di appartenenza del socio. La qualità di associato si perde: 1. per sopravvenuti motivi di incompatibilità; 2. per aver commesso atti in contrasto con le finalità ed il buon nome della associazione; 3. per accertate gravi inadempienze o di sostanziali mutamenti nell’attività dell’associato che rendano incompatibile o pregiudizievole la sua permanenza nell’associazione; 4. per morosità protratta per oltre un esercizio; 5. per recesso, da comunicarsi per iscritto, almeno tre mesi prima dello scadere dell’anno sociale; 6. per la perdita dei requisiti personali in base ai quali è stata deliberata l’ammissione. 7. per il mancato rispetto del regolamento dell’Associazione; 8. per l’irrogazione di sanzioni disciplinari sostanziali definitive; 9. per non avere in corso l’assicurazione professionale prevista dall’articolo 3 comma 2 del presente statuto; 10. per non aver frequentato quale docente o discente almeno due iniziative di aggiornamento professionale specialistico promosse dall’associazione nell’anno. La perdita della qualità di associato è deliberata, previa audizione dell’interessato ed il parere del collegio dei probiviri, dal Comitato Direttivo Nazionale di propria iniziativa o su richiesta del Comitato Direttivo dell’Associazione Regionale/Distrettuale di appartenenza del socio. Il socio escluso non ha diritto alla restituzione delle quote associative versate. ARTICOLO 7 - ORGANI DELL’ASSOCIAZIONE Sono organi dell’AIAF: A. l’Assemblea Generale dei Soci; B. il Comitato Direttivo Nazionale; C. il Presidente; D. la Giunta esecutiva; E. il Collegio dei Probiviri. Le elezioni a qualsiasi carica collegiale devono avvenire per iscritto e sempre con voto limitato a due terzi (arrotondati per eccesso) degli eligendi. Il componente di qualsiasi organo collegiale che non partecipa, senza giustificato motivo a più di tre riunioni consecutive del consesso di cui fa parte viene dichiarato decaduto dall’organo di appartenenza che provvede alla sua sostituzione. Gli organi collegiali durano in carica per un triennio e le cariche di cui al comma precedente sono rinnovabili anche consecutivamente. 100 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 ARTICOLO 8 - ASSEMBLEA GENERALE DEI SOCI L’Assemblea Generale dei Soci è costituita da un rappresentante dei soci aventi sede in regioni ove non sia costituita un’associazione AIAF regionale/distrettuale; detto rappresentante sarà eletto a maggioranza semplice dei soci di detta regione, ovvero dai delegati delle Associazioni Regionali/Distrettuali costituite, in misura pari a un delegato ogni dieci soci ed in caso di loro impedimento dai delegati supplenti. Ogni partecipante all’Assemblea Generale dei Soci ha un voto e non può avere deleghe. L’assemblea delibera, anche per le modifiche dello Statuto, con le maggioranze previste nell’art. 21, comma 1, del codice civile. L’Assemblea Generale ordinaria è convocata dal Presidente, almeno una volta l’anno per l’approvazione del rendiconto annuale e del bilancio di previsione. L’Assemblea Generale straordinaria è convocata d’iniziativa del Presidente o quando ne facciano richiesta cinque Presidenti Regionali/Distrettuali, per questioni di rilevante interesse associativo. L’Assemblea Generale, ordinaria e straordinaria, viene convocata dal Presidente con avviso di convocazione spedito al domicilio di tutti i delegati, con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione, almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’adunanza. In caso di urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a 15 giorni. L’Assemblea Generale dei Soci è presieduta da uno dei componenti il Presidente e, in caso di impedimento, dal membro più anziano del Comitato Direttivo. Il Presidente dell’assemblea di turno nomina il segretario dell’assemblea per la redazione del verbale. Spetta all’assemblea: 1. fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali; 2. eleggere ogni tre anni i componenti non di diritto del Comitato Direttivo Nazionale indicati dalle Associazioni Regionali, nonché fino ad un massimo di cinque componenti scelti dal congresso; 3. approvare la relazione annuale del Presidente; 4. approvare annualmente il rendiconto di gestione ed il bilancio di previsione; 5. approvare le modifiche dello statuto. Articolo 9 - Comitato Direttivo Nazionale Il Comitato Direttivo Nazionale è composto, di diritto, dai Presidenti delle Associazioni Regionali / Distrettuali, da un rappresentante per ciascuna regione e da un rappresentante per regione, compresi quelli distrettuali, ogni quaranta iscritti, ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a venticinque. Il Comitato Direttivo Nazionale elegge al suo interno: 1. il Presidente ; 2. il Direttore Responsabile della rivista; 3. la Giunta Esecutiva; 4. ove ritenuto necessario, un tesoriere. Il Comitato Direttivo Nazionale: a. determina la politica associativa e indica le linee programmatiche dell’associazione; a tal fine può nominare al suo interno commissioni di lavoro su singole tematiche; le commissioni saranno coordinate da un responsabile ciascuna; b. approva annualmente il rendiconto annuale ed il bilancio di previsione predisposto dal Presidente e lo sottopone all’approvazione dell’Assemblea Generale dei soci, ai sensi del precedente articolo 3; c. presenta le eventuali proposte di modifica dello statuto; d. delibera in ordine alle nuove domande di adesione all’associazione in assenza della Associazione Regionale/Distrettuale; e. stabilisce annualmente le quote sociali e l’ammontare del contributo che l’Associazione Regionale/Distrettuale deve versare all’Associazione Nazionale; f. emana e modifica il regolamento interno. Il Comitato Direttivo Nazionale si riunisce almeno tre volte l’anno per la programmazione, la discussione e la verifica delle iniziative associative. La riunione dovrà essere convocata almeno venti giorni prima della relativa seduta con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione. In caso di urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a dieci giorni. Il Comitato Direttivo Nazionale è presieduto dal Presidente, o, in sua assenza, dal componente più anziano del Comitato, è validamente costituito con la presenza di almeno due terzi dei suoi componenti, delibera con il voto della maggioranza dei presenti aventi diritto e può eleggere al suo interno un Segretario per l’organizzazione del lavoro e per la redazione del verbale delle riunioni. Il verbale verrà inviato, a cura del Segretario, o in sua assenza del Presidente, a tutti i componenti del Comi- 101 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 AIAF RIVISTA 2007/2 tato Direttivo Nazionale a mezzo fax o e-mail. Il Comitato Direttivo Nazionale può adottare, a maggioranza dei due terzi dei votanti, un regolamento per la disciplina della sua attività, nonché di quella congressuale. ARTICOLO 10 - IL PRESIDENTE Il Presidente ha i poteri decisionali ed operativi del Comitato Direttivo Nazionale, salvo quelli riservati per Statuto al Comitato, coordina il lavoro della giunta esecutiva ed assume le decisioni di ordinaria amministrazione. Il Presidente è il Legale Rappresentante dell’Associazione, ha i poteri di legge, presiede la Giunta Esecutiva assicurando l’unità di indirizzo e la collegialità delle scelte, delle quali assume la responsabilità unitamente alla Giunta Esecutiva nei confronti del Direttivo Nazionale. Il Presidente predispone la relazione annuale da sottoporre, unitamene al rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, al Comitato Direttivo Nazionale. Il Presidente predispone il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, da presentare al Comitato Direttivo Nazionale entro il 28 febbraio di ogni anno. Il Presidente dura in carica tre anni e può essere rieletto per non più di due volte consecutive. In caso di dimissioni o impedimento definitivo del presidente le sue funzioni sono assunte dal Componente anziano del Comitato Direttivo Nazionale. ARTICOLO 11 - LA GIUNTA ESECUTIVA La Giunta Esecutiva è composta dal presidente, che la presiede, e da sei componenti eletti dal Comitato Direttivo Nazionale, secondo criteri di funzionalità, competenza e capacità organizzative. La Giunta Esecutiva coordina l’attività dell’associazione nazionale e provvede, unitamente al Presidente, a realizzare e dare vita alle direttive dei programmi decisi dal Congresso e dal Comitato Direttivo Nazionale. La Giunta Esecutiva si riunisce una volta al mese su convocazione del Presidente e si riunisce altresì a richiesta almeno due dei suoi componenti. La Giunta Esecutiva dura in carica tre anni e i suoi componenti possono essere rieletti per non più di due volte consecutive. In caso di dimissioni o impedimento definitivo dei componenti della Giunta, il Comitato Direttivo provvederà alla loro sostituzione. I coordinatori delle commissioni, nominate a sensi dell’art. 9, devono inviare i verbali delle riunioni delle commissioni al Presidente ed alla Giunta Esecutiva e possono chiedere di essere sentiti dalla Giunta Esecutiva in qualsiasi momento. La Giunta Esecutiva può convocare i coordinatori delle commissioni ad una propria riunione in qualsiasi momento. ARTICOLO 12 - INCOMPATIBILITÀ La carica di Presidente dell’AIAF e la qualità di componente della Giunta esecutiva sono incompatibili con: a. la carica di Presidente di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati; b. la carica di componente del Consiglio Nazionale Forense; c. la carica di dirigente dèll’Organismo Unitario dell’Avvocatura e comunque con la carica di dirigente di altre associazioni e Organismi Forensi; ARTICOLO 13 - COLLEGIO DEI PROBIVIRI Il Collegio dei Probiviri è composto da tre membri eletti, ogni triennio, dall’Assemblea Generale dei Soci tra gli iscritti alle associazioni aderenti. Il collegio dei probiviri dura in carica un triennio, in quanto i suoi membri conservino la qualità di iscritti a un’associazione aderente; la perdita di tale qualità comporta la sostituzione con un supplente, fino allo scadere del triennio. Il Collegio elegge al suo interno un Presidente e giudica inappellabilmente, senza formalità e secondo equità, su ogni controversia tra soci e Organi Centrali e su quanto attiene all’osservanza del presente Statuto, del regolamento e del codice deontologico forense. Deve essere rimessa pregiudizialmente al Collegio dei Probiviri qualsiasi controversia tra soci, tra soci e associazione, anche in relazione alla interpretazione del presente Statuto. 102 MAGGIO - SETTEMBRE 2007 AIAF CONGRESSO NAZIONALE 2007 ARTICOLO 14 - DURATA L’Associazione ha durata illimitata e il suo scioglimento può essere deliberato dall’Assemblea la quale provvederà alla nomina di un liquidatore e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio. La devoluzione del patrimonio associativo in caso di scioglimento per qualunque causa dell’Associazione avverrà a favore di associazioni con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità. ARTICOLO 15 - RINVIO Per tutto quanto non previsto nel presente Statuto si fa riferimento al codice civile e alle disposizioni di legge in materia. ARTICOLO 16 - DISPOSIZIONI TRANSITORIE Statuto e Regolamento di funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente statuto, entrano in vigore al momento stesso della loro approvazione da parte degli organi a ciò preposti. Gli associati e gli organi statutari attualmente in carica dovranno adeguarsi alle nuove normative previste dal presente Statuto entro il 31.12.2007. Il Congresso dà mandato alla Commissione Statuto di provvedere alla pubblicazione dello Statuto Nazionale, correggendo, se del caso, gli errori materiali e le incongruenze grammaticali e di coordinamento che dovesse risultare al termine dei lavori. Il Congresso dà inoltre mandato alla Giunta Esecutiva di predisporre il testo dello Statuto delle Aiaf Regionali e Distrettuali che dovrà essere adeguato alle modifiche apportate allo Statuto Nazionale. Così approvato in Roma, il 26 maggio 2007, dal 5° Congresso dell’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia ed i Minori. 103 AIAF AIAF RIVISTA 2007/2 AIAF - ORGANI STATUTARI PRESIDENTE Marina Marino (Roma) GIUNTA ESECUTIVA Manuela Cecchi (Firenze) Remigia D’Agata (Catania) Luisella Fanni (Cagliari) Alberto Figone (Genova) Milena Pini (Milano) Alessandro Sartori (Verona) COMITATO DIRETTIVO NAZIONALE (composto “di diritto, dai Presidenti delle Associazioni Regionali/Distrettuali e da un rappresentante per ciascuna regione, nonché da un rappresentante per Regione ogni 40 iscritti, compresi i soci del Distretto, ed un ulteriore rappresentante per ogni successiva frazione superiore a venti”). ABRUZZO: Maria Carla Serafini (presidente), Federica Di Benedetto CALABRIA: Stefania Mendicino (presidente), Barbieri Gianfranco CAMPANIA: Rosanna Dama (presidente), Maria Giuseppina Chef, Erminia Del Cogliano EMILIA-ROMAGNA: Valeria Fabj (presidente), Daniela Abram, Lorenza Bond, Isabella Trebbi Giordani LAZIO: Marina Marino (presidente), Nicoletta Morandi, Costanza Pomarici, Giulia Sarnari LIGURIA: Alberto Figone (presidente), Enrico Bet, Cristina Borile, Ilaria Felicetti, Elisabetta Ferrero, Anna Guaita, Liana Maggiano LOMBARDIA: Milena Pini (presidente), Franca Alessio, Maurizio Bandera, Marisa Bedotti, Cinzia Calabrese, Maria Tullia Castelli, Cinzia Colombo, Antonella De Peri, Mirella Quattrone. MARCHE: Anna Pelamatti Cagnoni (presidente), Marina Guzzini 104 PIEMONTE: Antonina Scolaro (presidente), Antonio Dionisio, Maria Cristina Ottavis, Marina Torresini PUGLIA: Ada Marseglia (presidente), Giambattista Mola SARDEGNA: Luisella Fanni (presidente), Vittorio Campus, Anna Marinucci, Francesco Pisano SICILIA: Remigia D’Agata (presidente), Antonio Leonardi, Caterina Mirto, Corrado Garofalo TOSCANA: Manuela Cecchi (presidente), Alfonsa Brini, Marina Lupo, Carla Marcucci, Gigliola Montano UMBRIA: Rita Tiburzi (presidente), Anita Giuseppina Pia Grossi, Anna Maria Pacciarini VENETO: Alessandro Sartori (presidente), Roberta Bettiolo, Paola Cacco, Lorenza Cracco, Gabriella De Strobel, Caterina Evangelisti, Rita Mondolo, Damiana Stocco