La trasmissione intergenerazionale

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La trasmissione intergenerazionale
La trasmissione intergenerazionale, transgenerazionale e le lealtà invisibili
I trasporti pischici possono essere a potenziale maturativo ( si effettuano con le modalità dello scambio
e del rispetto secondo il paradigma della distinzione) o a potenziale patologico ( si effettuano con le
modalità dell'espulsione e del rifiuto secondo il paradigma della confusione).
Nella trasmissione intergenerazionale i vissuti psichici trasmessi hanno potuto essere elaborati da una
generazione, potendo così essere ripresi e trasformati da quella successiva (Nicolò). La trasmissione
intergenerazionale veicola vissuti elaborati o elaborabili, pensieri e rappresentazioni identitarie,
costruzioni e ricostruzioni della storia familiare (Nicolò). Presuppone fondamentalmente alterità e
differenziazione negli scambi intersoggettivi tra i membri di una famiglia (Nicolò).
Nella trasmissione transgenerazionale i vissuti trasmessi sono invece impensabili; avviene
un “attraversamento tra le generazioni e tra gli spazi emotivi di contenuti la cui elaborazione e
trasformazione non è stata possibile” (Nicolò). A dominare è il non rappresentabile, l’impensabile,
l’indicibile con la sua corte di segreti, di non detti, di pseudo verità mistificanti e perversive (Taccani).
Ciò che viene trasmesso non viene introiettato ma piuttosto incorporato (Nicolò).
I bambini sono attenti osservatori delle emozioni profonde dei genitori. Ricercano nei loro occhi la
conferma continua di essere amati e sono disposti a tutto pur di non perdere questo amore. E' come
se avessero delle antenne con cui riescono a percepire le emozioni di chi si prende cura di loro e da
cui dipendono. Sono in grado di assorbire gli stati d’animo più intimi dei genitori, di cui loro stessi
hanno meno consapevolezza e farli propri. Si trovano così a gestire pesi che non comprendono, ma
avvertono il dovere di farlo poiché ne va della loro sopravvivenza diventando così alleati fedeli dei
genitori. Il bambino, in base alle informazioni che raccoglie intorno a sé, tende a costruirsi una storia
della vita familiare, su come è venuto al mondo, su come si strutturano i rapporti affettivi. Di fronte
ad un genitore psicotico crede a quanto gli viene detto, anche ai suoi deliri, poiché il figlio non mette
mai in discussione i genitori. Il loro potere, la loro forza, il loro sapere, i loro discorsi e il suo amore
verso di essi restano forti, comunque essi siano: tanto più i genitori sono folli, malvagi, persecutori, più
sono idealizzabili, idealizzati, anche se in forma negativa . Il bambino ha come punto di riferimento
l’ambiente in cui nasce, lo considera l’unico modello possibile, non ha la consapevolezza che invece
è solo uno dei modelli possibili. Tutte le relazioni genitori-figli sono influenzate dallo schema di
comportamento interiorizzato dei genitori precedenti, dai bisogni rimasti inappagati, da ciò che non
è andato bene o ha fatto soffrire e che i figli non dovranno subire. L’illusione iniziale che sostiene
i genitori è che, nella nuova relazione, si riescano magicamente a ricucire le ferite del passato. Il
rapporto con il figlio viene caricato di aspettative e gli si chiede, già prima che nasca e possa esprimere
la sua personalità, di riscattare gli “errori”subiti nelle relazioni passate.
La trasmissione psichica influisce in modo determinante nella costruzione del Sé molto di più del
patrimonio genetico. Tutto ciò che il figlio sperimenta nella vita in comune con i genitori, attraverso le
cose dette e non dette, i gesti, i comportamenti, entra a far parte della sua memoria e va ad incidere
profondamente nella strutturazione della sua personalità. Nella vita quotidiana, fatta di piccoli rituali,
sta la memoria della famiglia, memoria indispensabile a creare il senso di continuità del gruppo. I
messaggi non verbali sono molto importanti nella formazione del bambino. Questi “legge” e registra
quotidianamente le azioni dei genitori e soprattutto nei casi di incongruenza tra parole e fatti, di fronte
ai silenzi o ai vuoti del non detto, tenta di darsi delle risposte da solo. Quanto il bambino respira
nell’ambito familiare influisce sulla strutturazione di elementi di personalità per imitazione o per
opposizione alla cultura familiare e va a costituire il suo carattere, il suo essere nel mondo. Freud parla
di “identificazione” come forma più primitiva di attaccamento affettivo ad un’altra persona, che fa da
supporto ad una trasmissione intersoggettiva e si attua quando, per una comunanza affettiva, un IO si
appropria di un tratto inconscio di un altro IO. Il bambino trova in uno dei genitori l’oggetto d’amore e
attraverso l’identificazione, che prende il posto della tendenza erotica inibita, l’IO assorbe alcune
caratteristiche dell’oggetto amato ed arriva ad assimilarne i sentimenti. L’identificazione porta a
trattare l’oggetto come parte integrante dell’IO proprio del soggetto. Freud spiega che i genitori fanno
rivivere attraverso il figlio il loro narcisismo, ossia l’amore per il proprio IO, basato sull’illusione di
essere centro e padrone del mondo. Nel figlio viene sperimentata l’illusione dell’immortalità dell’IO
negata dalla realtà. Il bambino può restare prigioniero degli ideali narcisistici dei genitori, a seconda
della loro difficoltà ad elaborare l’idea del figlio come entità psichica a se stante. Il narcisismo del
genitore
si
appropria
dell’identità
positiva
del
figlio
(processo
di
appropriazione)
e
contemporaneamente espelle nel bambino tutto ciò che rifiuta di se stesso (processo di
intrusione): “tutto ciò che merita di essere amato sono io benché venga da te”, mentre “ciò che
riconosco proveniente da te, il figlio, lo odio; caricherò su di te tutto ciò che non accetto in me: tu, il
figlio, sarai il mio non-Io” . Attraverso il processo di intrusione il genitore consegna al figlio il suo nonIo, tutto ciò che rifiuta di sé. Secondo Kaes c’è come un buttare su un altro apparato psichico ciò che il
soggetto stesso non riesce più a mantenere dentro di sé. Non è tanto rilevante il contenuto, quanto il
bisogno fondamentale di trasmettere. La trasmissione non è dunque legata ad un messaggio esplicito
ma allo stile di comunicazione dei genitori (Kaes). L’identificazione fa tacere i desideri del bambino
che vengono messi in secondo piano. Il figlio, “per la propria sopravvivenza psichica, perde il libero
accesso all’interpretazione del proprio psichismo e resta assoggettato a ciò che i genitori dicono o
tacciono. ” . La disidentificazione appare come l’unica condizione di liberazione e riappropriazione del
desiderio. I genitori, a loro volta, sono stati vittime della struttura narcisistica di altri genitori che li ha
condizionati: è una dinamica che si ripete nelle generazioni. Quindi lo spazio psichico del bambino
viene limitato e non è libero di svilupparsi, il suo IO è caratterizzato da una scissione: da una parte si
identifica con la logica narcisistica dei genitori e si adatta alle loro richieste implicite, dall’altra si sente
stretto in panni che non gli appartengono ed è costretto ad indossare. Nel figlio si fissa una storia che
appartiene al passato ma che tramite lui torna attuale, il tempo si fa circolare e si concretizza un eterno
presente. Se il bambino sperimenta un genitore soddisfatto della propria identità, può mettere in atto
un’identificazione ripetitiva di quanto viene mostrato; se invece percepisce che il genitore mostra come
facciata un “falso Sé”, dietro cui si celano ambizioni frustrate, può identificarsi con questo aspetto
nascosto. Se poi, nel corso della vita, il figlio non riesce a realizzare le ambizioni dei genitori, la delega
può passare alla generazione successiva. Ciascuno ha il proprio tributo da pagare al dolore psichico, al
lutto degli amori e delle illusioni e per ciascuno che non osa farsene carico, ci sarà qualcun altro che
dovrà farlo al posto suo (Racamier) . Il soggetto assorbe, inconsapevolmente, soprattutto ciò di cui non
si parla, attraverso divieti, rituali, abitudini: tutto ciò prende forma dentro di lui e vi resta in maniera
indiscussa e invariabile. Solo se viene riportato a livello di coscienza, il soggetto può rendersi conto
dell’influenza che questo patrimonio ha nella sua vita. Il bambino ha così due parti
contemporaneamente presenti in lui: una desiderosa di essere se stessa e di seguire le proprie istanze
vitali, l’altra costretta a modellarsi secondo richieste tramandate nelle generazioni. Il soggetto è
costituito di una parte “tributaria del funzionamento proprio dell’Incoscio nello spazio
intrapsichico”del soggetto stesso e di una parte determinata dalla “catena delle generazioni” che lo
precedono, i cui soggetti ci tengono e ci mantengono come i servitori e gli eredi dei loro sogni di
desideri irrealizzati” (Kaes). Freud afferma che se i processi psichici di una generazione non si
prolungassero nella generazione successiva, ogni generazione dovrebbe acquisire ex-novo il proprio
atteggiamento verso l’esistenza, senza alcun progresso e in sostanza nessuna evoluzione . I figli
dunque rappresentano per i genitori la seconda possibilità, la speranza della realizzazione di quanto
loro non sono stati in grado di fare. Il figlio percorre dunque un terreno già battuto, in cui alcuni
ostacoli sono già stati eliminati e il suo cammino sarà meno faticoso. Laddove, però, chi l’ha preceduto
non è riuscito a liberare la strada, chiede a lui di trovare la soluzione innovativa e ridare vigore alla
famiglia, oppure continuare a mantenere l’ostacolo, secondo le modalità utilizzate dalla famiglia.
Boszormenyi-Nagy sostiene che ogni famiglia composta da due coniugi e dei figli, non finisce in se
stessa, perchè dietro il padre e la madre, c’è un lascito dalle rispettive famiglie di origine, verso cui
viene mantenuta una forma di devozione. La creazione di un nuovo nucleo sarà tanto più difficile
quanto più forte è il senso di appartenenza alla famiglia di origine, che ostacola l’accettazione di altre
discendenze. La questione va a ricadere su i figli, o perché coinvolti in una situazione di scelta tra le
due discendenze, o perché costretti a subire l’influenza di una linea che prevale sull’altra. I miti
familiari rappresentano un insieme di storie che la famiglia racconta di sé e agli altri e che si
trasmettono nelle generazioni. I miti sono emotivamente carichi, forniscono una versione della realtà e
danno vita ai segreti familiari, agli assunti morali, a concezioni del futuro, a prescrizioni su come i
membri di quella famiglia devono vivere. Il mito determina la coesione, ma per essere preservato,
devono essere limitati i margini di scelta individuali a spese di alcuni membri della famiglia
(Bertrando). I miti assegnano ai membri della famiglia ruoli legati ai debiti e ai crediti
intergenerazionali, ciascuno prima di nascere viene caricato di conti irrisolti dalle generazioni
precedenti. La vita familiare nelle generazioni ha sempre a che fare con obblighi, che non riguardano
semplicemente quelli tra le persone con cui c’è relazione, ma sono obblighi legati a linee dinastiche. Le
eredità emotive, la prevalenza nel figlio dell’una o dell’altra discendenza, l’idea di “tara ereditaria”che
rende cattivo un ramo e buono l’altro, esistono più o meno nascoste. Una famiglia è sempre popolata di
molte più persone di quante possano essere fisicamente presenti in quel momento. (Bertrando, 1997).
Boszormenyi –Nagy e Spark parlano di lealtà invisibili come parte integrante dei rapporti familiari,
contraddistinti da regole diverse da quelle dei rapporti della società. La lealtà familiare non indica una
disposizione individuale, ma una forza sistemica, funzionale al mantenimento del gruppo
mutigenerazionale. Un invisibile tessuto di aspettative lega tutti i suoi membri e trova fondamento nella
consanguineità, nel mantenimento della vita biologica, nella discendenza e nel merito guadagnato.
L’interiorizzazione delle aspettative influenza la struttura psicologica dell’individuo e crea il
cosiddetto “computo individuale” che permea le esperienze, le sensazioni, i pensieri, i desideri del
soggetto. Tale computo diventa coercitivo quando il membro, più o meno consapevolmente, sacrifica la
sua esistenza a interessi e scopi non derivanti dalla sua individualità, ma dalle priorità di altri. La
componente dell’obbligo è molto importante perché, in caso di inadempimento, porta con sé il senso di
colpa, funzionale alla conservazione del sistema familiare. Da solo però il senso di colpa non è in grado
di mantenere a lungo l’equilibrio del gruppo, perché causa troppa sofferenza; un sistema basato invece
sulla lealtà può far leva sul senso del dovere e l’impegno, risultando molto più efficiente. Gli impegni
di lealtà derivano da un senso di devozione nei confronti del genitore o della sua immagine
interiorizzata: la ricompensa per le premure, la cura e l’amore viene saldata dai figli seguendo gli
impegni aspettati, vivendo all’altezza delle aspettative e trasmettendo la cultura familiare alla prole.
Diventare genitore permette di ripagare il senso di colpa per la slealtà verso gli obblighi filiali allentati
e di configurarsi nel ruolo di “creditore” che consegna ad un nuovo “debitore” il sistema valoriale e
normativo. Quando rimane la sensazione di dover ancora qualcosa alla famiglia di origine, è più facile
accettare la lealtà verso gli obblighi genitoriali, nonostante il sacrificio personale che comporta,
piuttosto che essere leali verso se stessi e concedersi il diritto alla propria felicità. Esiste nelle famiglie
un bilancio invisibile che contabilizza gli obblighi passati e presenti e influenza la consegna di ruoli e
di aspettative, secondo quella che è l’etica dei rapporti e il senso di giustizia costituitesi in seno alla
famiglia. Per etica non si intende qui l’insieme dei precetti morali della società o i criteri universali su
ciò che è giusto o sbagliato. Si intendono piuttosto prescrizioni e norme esclusive della famiglia,
comprensibili solo da essa. L’etica fa riferimento al singolo e alla sua coscienza, è la forza che lo
induce a rispettare obblighi, limitazioni del piacere e doveri morali perché funzionale alla
conservazione dell’equilibrio dell’equità. Tale equilibrio deriva da continue negoziazioni: ogni
membro deve tenere in considerazione gli interessi degli altri membri, ma contemporaneamente ha
diritto a che gli altri tengano in conto il suo benessere. La giustizia è quel bilancio costituitosi
storicamente, che impegna il soggetto nella dinamica relazionale del reciproco dare-avere e
contribuisce alla formazione di obblighi dell’intero gruppo. La giustizia deriva dall’equilibrio della
reciprocità: è tendenza umana attendersi una giusta ricompensa ai propri contributi e dovere una giusta
ricompensa ai benefici ricevuti dagli altri. La reciprocità implica il bilancio di quanto è andato pari e
quanto è rimasto ancora in spareggio nelle diverse generazioni. Porta a definire il sistema dei meriti,
ma causa anche lo sfruttamento: un membro che riporta successi può farlo a scapito di un altro che per
qualche motivo rimane indietro. Lo sfruttamento non deriva tanto da un’intenzionale volontà di
sfruttare, quanto dalla forma che assumono i rapporti ravvicinati. La patologia, o lo status di capro
espiatorio, trovano spesso fondamento nella condivisa lealtà al sistema di merito da parte di tutta la
famiglia. Sono posizioni che si acquistano per mezzo di una forza sovraindividuale che induce le
persone a lasciarsi sacrificare “in onore” alla catena multigenerazionale di obblighi e di indebitamento.
Nessuna delle parti però è realmente libera: chi gode il successo può portarsi dietro il senso di colpa per
la parte svantaggiata, mentre chi ricopre una posizione subalterna deve lottare per uscirne o deve
soffrire se la accetta. Ci sono due tipi di sfruttamento: quello da persona a persona, per cui un membro
sfrutta più o meno nascostamente un altro, attraverso il non dare o il prendere senza reciprocità, oppure
quello strutturale derivante dalle caratteristiche del sistema che vittimizza entrambi i soggetti. Lo
sfruttamento comunque non è quantificabile, è solo il soggetto, vittima di tale situazione, che può darne
una misura e che lo vive più o meno intensamente a seconda delle relazioni. Il bambino non è in grado
di opporsi al suo sfruttamento, spesso non ne diventa cosciente fino a che, genitore, sperimenta il
risentimento verso i propri genitori. Chiunque percepisca di essere stato sfruttato e ferito, cercherà di
risarcire il danno riportato, nei modi che trova più accessibili. Tutti i suoi rapporti, emotivamente
significativi, saranno utilizzati proprio allo scopo di ottenere i meriti negati e caratterizzati da uno
sfruttamento pari alla misura in cui è stato avvertito. La patologia risiede nella fissazione in uno
squilibrio relazionale per anni rimasto immutato che induce a perdere fiducia e speranza nel mondo.
Non è tanto lo squilibrio a creare problemi, quanto il suo protrarsi nel tempo. Il bambino nasce munito
di una grande riserva di fiducia, funzionale alla sua sopravvivenza, i genitori sono responsabili del fatto
che sia alimentata o al contrario depauperata. La “parentificazione” è quel processo per cui il figlio
deve rimediare alle mancanze dei genitori, che lo impoveriscono delle risorse di fiducia, visto che
spetta a lui dare senza ricevere. Può creare meno dolore psichico la perdita di un genitore se il figlio ne
mantiene un’immagine amata e rispettata, piuttosto che la situazione di un figlio con un genitore
sfruttante e manipolativo, costretto a riabilitare la sua immagine. Il figlio intrappolato nel senso di
lealtà da una parte e dalla negazione della reciprocità dall’altra, vive un dare unilaterale che nel tempo
lo impoveriscono, a cui può reagire con atti di slealtà o con la creazione di un capro espiatorio in un
altro rapporto come il matrimonio. Quando permane il bisogno di essere amato, apprezzato, approvato,
la persona tenderà a ricercare costantemente “surrogati genitoriali” che possano colmare tale
privazione. Rabbia, risentimento, delusione nei confronti degli oggetti d’amore primari, possono essere
proiettati sulla moglie, sul marito o sui figli come rivincita di un trattamento ingiusto durato anni. Ma
non è solo la mancanza a causare dolore, anche un eccesso di amore, come nel caso di genitori molto
disponibili, disposti ad ogni sorta di sacrifici, può generare nel figlio un debito che non riuscirà mai ad
estinguere diventando causa di un enorme senso di colpa. Per cui proprio nella famiglia, che dovrebbe
promuovere il processo di crescita, il figlio può trovare più difficoltà nel perseguire l’autonomia,
poiché il raggiungimento di questa è vissuto come una slealtà verso la famiglia. Il processo di
differenziazione implica progettare un percorso personale attraverso il proprio sistema interno di guida,
invece di perseguire le esigenze degli altri (Bowen). Ci deve essere un "tradimento", ma ciò rischia di
essere percepito come un atto di slealtà inaffrontabile, tanto più forte è l’unità simbiotica della
famiglia. Non sempre l’allontanamento da questa indica autonomia: se non è avvenuta un’effettiva
presa di distanza dal sistema emozionale familiare, si rimane invischiati nella trama delle lealtà
invisibili (taglio emotivo).