Il terzo genitore

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Il terzo genitore
Il terzo genitore
Giacomo Dallari
Fra le molteplici conseguenze dell’aumento delle separazioni e dei divorzi che, negli ultimi decenni,
ha investito il mondo occidentale, e dunque anche l’Italia, va ricordato quello che è stato definito
come “il fenomeno delle famiglie ricomposte”.
È soprattutto a partire dagli anni novanta che tale fenomeno ha visto un progressivo cambio di
paradigma nella definizione del problema e nelle modalità di analisi dei sottoinsiemi implicati.
Precedentemente, soprattutto dagli anni settanta in poi, si preferiva riferirsi a quelle famiglie che
avevano al proprio interno uno dei due coniugi proveniente da una precedente esperienza
familiare, definendole famiglie ricostituite. Tale definizione tendeva a sottolineare la necessità di
costruire di nuovo o di rifare qualcosa che è stato distrutto: il divorzio veniva visto come un evento
che demoliva un assetto tradizionale che doveva essere rievocato come unico modello possibile in
caso di un nuovo partner. L’ex coniuge, solitamente l’uomo, perdeva progressivamente di
importanza, messo in ombra da un “nuovo marito” e, se c’erano dei figli, da un “nuovo padre”. A
tutt’oggi sopravvivono stereotipi negativi che tendono a percepire le famiglie ricomposte come
un’immagine sbiadita e fallace della tradizionale famiglia nucleare, sottolineati anche da un
linguaggio che, in termini chiaramente denigratori, definisce “matrigna”, “patrigno” e “figliastri” i
componenti che provengono da precedenti esperienze.
Per molti anni questa idea ha contribuito a negare la possibilità che la nuova coppia fosse un
nuovo sistema autonomo, diverso da quello tradizionale e non subalterno ad esso, ma
probabilmente più articolato nel quale “i nuovi membri che entrano nella famiglia non si
sostituiscono ai precedenti, ma vi si aggiungono, dando forma ad un sistema più complesso di
relazioni familiari” (Gambini; 2007).
Questa nuova modalità di percepire tali famiglie, nata soprattutto a partire dagli studi degli anni ‘90
della sociologa francese Irène Théry, ha visto un progressivo allontanarsi da tematiche più
prettamente culturali, che percepivano la famiglia come una struttura universale sempre uguale a
se stessa, ed abbracciare una visione nella quale sono proprio i figli che definiscono la nuova
coppia e che, soprattutto per quanto riguarda le funzioni genitoriali, determinano e caratterizzano
l’unione degli adulti. È in queste nuove dinamiche che non è più possibile parlare di sostituzione
dei genitori, ma di sovrapposizione e di continuità con la famiglia precedente.
Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di “terzo genitore”, cioè di quella persona che
è chiamata a creare una relazione genitoriale senza un legame biologico e senza un mandato
giuridico che ne regoli i diritti e i doveri. Un ruolo tutto da definire, soprattutto se ci sono dei minori
implicati in tale rapporto. Come sostiene la psicologa Anna Oliverio Ferraris “le famiglie ricomposte
vivono un presente insieme, progettano un futuro insieme, ma hanno un diverso passato” e questo
passato non riguarda solamente gli aspetti meramente temporali, cioè il tempo che un padre o una
madre hanno passato con il proprio figlio, ma riguarda soprattutto tutto quel vissuto emotivo, quelle
consuetudini e tutte quelle esperienze che hanno caratterizzato, fino al momento della rottura, un
determinato assetto familiare ed un preciso “lessico familiare”.
Le uniche norme che regolano il ruolo del “terzo genitore” possono riferirsi quasi esclusivamente al
buon senso e al semplice, quanto rarissimo, senso di responsabilità che un adulto efficace e
consapevole deve dimostrare nel momento in cui accetta di entrare in una relazione affettiva con
un minore. Naturalmente questa relazione si concretizza nel quotidiano di una casa, nella
consuetudine di un gesto, nel linguaggio verbale e non verbale, e in tutte quelle dimensioni
educative ed affettive che, seppur non supportate dal sangue e dai cromosomi, possono
comunque creare un senso di familiarità.
Se una famiglia ricomposta è unita, l’assenza di vere e proprie norme giuridiche non pregiudica in
alcun modo la possibilità di dar vita ad un rapporto che evolve nel tempo e si struttura come
rapporto genitoriale affettivo ed effettivo.
Il “terzo genitore” assume un ruolo estremamente complicato, egli deve entrare in “punta di piedi”
senza pretendere che il figlio della propria compagna o del proprio compagno disconosca il
proprio trascorso e, quindi, anche il proprio genitore biologico. Anche se non è autorizzato a
esercitare alcuna autorità e se è impossibilitato dal punto di vista legale a esercitare una
responsabilità educativa, egli occupa una posizione importante in questa sua funzione di “genitore
acquisito”. Se ben supportato da buoni rapporti con il nuovo partner, se non c’è rivalità con il
genitore biologico e se, soprattutto, non cerca di rubargli il posto, può condurre a un rapporto che
colmerà la mancanza di eredità genetica attraverso una relazione basata sul rispetto, fatta di gesti,
di parole, di comportamenti e di sentimenti che lo renderanno un punto di riferimento affettivo ed
educativo importante per qualsiasi bambino.