UN PUGNO DI FOGLIE - Unive
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UN PUGNO DI FOGLIE - Unive
PREMIO DI SCRITTURA CLASSICI CONTRO 11 UN PUGNO DI FOGLIE FRANCESCO MENEGATO Liceo Classico ‘Antonio Pigafetta’, Vicenza Le foglie parvero muoversi, agitate da una folata di vento. La terra frantumarsi e sgretolarsi sotto la forza delle radici. Il drappo piegarsi, gonfiarsi, frustare l’aria. A lui sembrò di stringere ancora la morbida pelle della fanciulla, non una corteccia liscia e sottile. Tentò di incrociare il suo sguardo, ma lei gli negava anche quello. Sembrava che il corpo della ragazza si contraesse, si sbilanciasse come in un pericoloso lancio nel vuoto, pur di sfuggirgli. Anche il suo corpo imitava quello di lei, in quel folle equilibrio. Un unico piede reggeva l’impeto di quello slancio, di quella corsa vana. “Perché mi evita? – pensava lui. – Non sono forse tra i migliori i propositi che mi animano? Forse è Amore stesso che mi ha accecato la mente e mi ha reso incapace di comprendere gli effetti delle mie azioni! Quelli che per me sono gesti banali, spontanei, parole senza senso, giungono a lei distorti nel loro significato. L’ho offesa con i miei sguardi, i miei timidi sorrisi, con la mia perseveranza? Quello che per me è stato un atto di coraggio, forse di totale abnegazione, il rivolgerle la parola, è stato letto come avventatezza? In questo momento tutte le mie capacità, il suono della cetra e il canto, la mia retorica, gli oracoli, il mio status, non servono a nulla! Sono solo un uomo, che stringe un pugno di foglie secche.” Eppure mentre egli pensava queste cose, mentre il vento sembrava scompigliare e attorcigliare i loro capelli, mentre i sassi sembravano schizzare, rotolare lungo il pendio per la furia dell’inseguimento, gli parve di sfiorare un tratto del fianco della ragazza. Sorrise. La ragazza sembrò accorgersi di quel tocco leggero e alzare al cielo un urlo di preghiera. CLASSICI CONTRO UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI VENEZIA - LICEO CLASSICO A. PIGAFETTA VICENZA Francesco Menegato - Un pugno di foglie La corsa era bloccata nel suo culmine, la fissità pareva esplodere di energia trattenuta. Nell’ultimo momento in cui egli poté riconoscere ancora il volto dell’amata, il suo nome gli uscì come un soffio tra le labbra: “Dafne!”. Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae Fronde manu simplet baccas seu carpit amaras Il turista distolse lo sguardo dall’iscrizione e alzò lo sguardo. Gli era parso di sentire un urlo. Si guardò attorno, eppure l’unico rumore era quello delle scarpe di gomma del gruppo di turisti giapponesi, che stridevano contro il pavimento di marmo. Tornò, perplesso, ad osservare la statua al centro della sala: un giovane tentava di stringere tra le braccia una ragazza, che gli sfuggiva, mentre i suoi piedi sprofondavano nel terreno e le sue mani si alzavano nell’aria, coperte di foglie. La ragazza sembrava gridare, come se l’urlo di terrore, di sdegno, di preghiera, che gli era parso di udire, uscisse dalle sue labbra. Il ragazzo invece aveva le labbra socchiuse, quasi stesse sussurrando. Il turista lesse la targhetta d’ottone vicino al gruppo marmoreo: “GIAN LORENZO BERNINI, Apollo e Dafne, 1622-1625”. PREMIO DI SCRITTURA CLASSICI CONTRO CLASSICI CONTRO UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI VENEZIA - LICEO PIGAFETTA VICENZA 2