La Rassegna d`Ischia 3/2014

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La Rassegna d`Ischia 3/2014
Anno XXXV
N. 3
Giugno - Luglio 2014
Euro 2,00
Sculture trecentesche nel Museo Diocesano
Monumenti dei Taliercio
Ragguaglio istorico ecclesiastico (VI)
Lacco Ameno - Villa Arbusto - M. Bakunin
Fonti archivistiche
Chiesa e Convento di S. Domenico
Premio Ischia di Giornalismo
Ischia Film Festival
La conoscenza ai tempi della "rete"
L'immagine del Sud nelle vedute
dei Pittori Russi a Capri
Rassegna Libri
Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi
Dir. responsabile Raffaele Castagna
Si afferma lo sport isolano, non più limitato al calcio
Il Forio Basket - l'Ischia Isolaverde - la Futura Volley di Lacco Ameno
promossi nelle rispettive serie C
Forio Basket
Ischia
Isolaverde
Volley Lacco
La Rassegna d’Ischia
Periodico bimestrale di ricerche e di temi
turistici, culturali, politici e sportivi
Anno XXXV- n. 3
Giugno/Luglio 2014
Euro 2,00
Editore e Direttore responsabile
Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia
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Chiuso in redazione il 4 giugno 2014
In questo numero
4 Targa a Luigi Patalano
5 Motivi
6 Sport
Ischia Isolaverde - Forio Basket - Futura
Volley Lacco Ameno nelle rispettive Serie C
8 Ex libris
L'isola d'Ischia nel 1834
12 Eventi
Ischia Fim Festival
14 Ischia - Torre di Guevara
Altre ipotesi relative ad un Disegno murale
17 Lacco Ameno
Villa Arbusto - Michele Bakunin
19 Cinema
"Il capitale umano" di Paolo Virzì
21 Sculture trecentesche nel M. Diocesano
Monumenti dei Taliercio
25 Ragguaglio istorico ecclesiastico
dell'isola d'Ischia (VI - fine)
31 Tempo di compilazione e
autenticità del Ragguaglio
33 La conoscenza ai tempi della "rete" (II)
36 Rassegna Libri
39 "La mia realtà" (poesia)
40 Ischia / Lacco Ameno
Premio Ischia di Giornalismo
41 Pida 2014
Premio Internazionale di Architettura
42 Fonti archivistiche
Convento e Chiesa di S. Domenico
46 Località isolane
49 "Ischia ad ottobre" (poesia)
50 L'immagine del Sud nelle vedute
dei Pittori russi a Capri
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
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Forio - Una targa commemorativa per Luigi Patalano
dalla sua scomparsa, è stata scoperta mercoledì 23
aprile 2014 presso “La Colombaia” in località Zaro a
Forio, a cura del Comune di Forio e del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra.
L’evento ha voluto principalmente restituire all’Autore (il Patalano) la paternità dell’opera (La Colombaia), in questi ultimi decenni appannata dalla notorietà
internazionale del regista Luchino Visconti.
Il testo dell’epigrafe:
A LUIGI PATALANO
(1869-1954)
Una targa commemorativa in ricordo dell’intellettuale foriano Luigi Patalano, in occasione dei 60 anni
La nuova Amministrazione comunale
di Casamicciola Terme
(25 maggio 2014)
Il 25 maggio 2014 si è votato a Casamicciola Terme per il rinnovo dell'ammnistrazione comunale per il
quinquennio 2014/19 (sempre che tutto proceda normalmente). Presenti alla competizione quattro liste. Ne
è risutata una amministrazione nuova rispetto alla precedente, così composta:
Sindaco
Giovan Battista Castagna
Consiglieri di maggioranza
Peppe Silvitelli
Loredana Cimmino
Anna Miragliuolo
Ignazio Barbieri
Angela Di Iorio
Vincenzo D’Ambrosio
Stani Senese
Nunzia Piro
Consiglieri di minoranza
Arnaldo Ferrandino
Ciro Frallicciardi
Caterina Buono
Luigi Mennella
4 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Giornalista, letterato, politico
della Scuola di Giovanni Bovio
Nella prima metà del Novecento
realizzò il complesso de “La Colombaia”
suo rifugio spirituale e faro di democrazia
Il Comune di Forio
ed
il Centro di Ricerche Storiche d’Ambra ne ricordano gli insegnamenti ed
il suo alto senso del vivere
Il 30 e 31 maggio / 1giugno 2014 il Circolo Georges Sadoul, in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Comune d'Ischia e la
Bibloteca Antoniana, ha organizzato un incontro su
"Scuola di storia e critica cinematografica Luchino
Visconti" in omaggio alla memoria di Tonino Della
Vecchia. Ha partecipato Leonardo Di Costanzo, che
ha presentato un percorso cinematografico, colloquiando con gli intervenuti.
MOTIVI
“Amministrare il paese” appare a
volte ed in certe contingenze come
un’espressione insolita e non perfettamente aderente a quello che dovrebbe essere, in definitiva, il compito e
la funzione di un sindaco, di un amministratore, di un consigliere comunale di maggioranza o di minoranza.
Espressione per lo più sostituita nella
fase comunicativa, forse ritenuta maggiormente ridondante di significato e
di valore, da quella di un impegno per
lavorare “per il benessere del paese”.
Improprie sembrano sia le voci “amministrare”, “benessere”, sia la voce
“paese”.
Per “paese” si dovrebbe intendere
tutto il territorio dal centro agli estremi (se ad Ischia si può usare un tale
riferimento) confini, in fatto di valutarne le varie esigenze e di curarne i
servizi di qualsiasi genere: controllo
costante, manutenzione, trasporti,
strade, nettezza urbana, assistenza ai
cittadini… Interventi che dovrebbero
ritenersi facilmente attuabili, viste le
estensioni non vaste dei Comuni isolani. Circolare per le strade non dovrebbe essere solo compito dei vigili
urbani, alla attenta ricerca di macchine da multare (unico motivo di movimento e di circolazione costante, considerato che la frequenza non si palesa
in periodo invernale). Non sarebbe
fuori luogo che per tutto il territorio si
vedessero, almeno di tanto in tanto, le
autorità amministrative e gli addetti ai
servizi specifici, per rendersi conto di
quanto si fa e non si fa (bene o male).
Pensiamo che in massima parte i cittadini non sappiano neppure i nomi
dei responsabili o assessori addetti
ai rifiuti, al traffico, al cimitero, etc.
Ma pensiamo che vedere a volte per
le proprie zone il sindaco, un assessore, un responsabile di settore darebbe
fiducia al cittadino e magari anche
soddisfazione al personaggio cui sono
state affidate le sorti del paese. Anche
per tener fede alle promesse elettorali, un amministratore dovrebbe essere
costantemente a contatto con la popolazione, e non chiudersi nelle stanze
comunali. La stessa “trasparenza”,
Raffaele Castagna
sbandierata in fase elettorale come
prerogativa di successivi atteggiamenti, è difficile trovarla in atto e non si sa
niente di come venga amministrato il
paese.
Ischia, turismo, servizi, grandi eventi, sovvenzioni… Ci si chiede in quale
settore occorra costantemente l’intervento istituzionale per dare forza
e consistenza a manifestazioni di un
certo rilievo ai fini pubblicitari e turistici dei vari centri urbani. Spesso
si tende a privilegiare l’uno o l’altro
evento che si avvale di una continuità
nel tempo, di una tradizione che si richiama ad antiche voci; a volte si cerca di accontentare un po’ tutti con piccoli contributi, a volte si privilegia coloro che hanno maggiori conoscenze
politiche, a volte ancora è da apprezzare coloro che sanno ben rispondere
ai quesiti di graduatoria; non di rado
ci sono scarso interesse e impreparazione a prevalere nei comportamenti.
Se le varie elargizioni di contributi e
riconoscimenti hanno esclusivi motivi
di scopo e di interesse turistico, bisogna dire che ci troviamo su una strada
sbagliata, in quanto la prima esigenza
da rispettare dovrebbe essere quella di
contribuire ad offrire servizi (trasporti,
strade, mare, spiagge…) del tutto efficienti e ben organizzati, come si vede
chiaramente quando si prevedono visite di personaggi importanti. Una manifestazione, pur bella e caratteristica,
ha tempi e spazi limitati, e quindi non
riesce a creare qualcosa di costante
circa determinati vantaggi a pro di una
località ed è d’altra parte, in un certo
senso, anche privatistica. Si rende invece necessario (ed anche doveroso)
presentare un territorio con tutte le migliori espressioni di accoglienza e di
ospitalità per fare in modo che ognuno
si affezioni al luogo e (parlando di fortune turistiche) sia portato a ritornarci
con frequenza.
L’isola che tende a ridurre il traffico veicolare e pone il divieto per le
macchine della Campania, non può
presentarsi con un servizio pubblico
scadente e insufficiente in tutti i sen-
si; le sue prerogative (mare, spiagge,
strade…), piuttosto che essere valorizzate, si riducono sempre più come
consistenza e bontà di utilizzo; l’unico servizio efficiente sembra essere
la ricerca costante (la caccia) delle
macchine da multare con limitazione
delle zone di sosta e prevalenti soste
a pagamento. Sulle circostanze del
traffico, domina sempre il personalismo; troppe le macchine (quelle degli
altri, non le proprie) e, se ne facessero
minor uso anche soltanto quanti sono
abituati a lamentarsi, già ci si troverebbe con il problema mezzo risolto.
Nessuno vuole mettersi in coda e procedere con pazienza; si ha fretta, tutto
dà fastidio e ne derivano gli incidenti.
In tempi passati, si auspicavano due
possibilità di intervento per l’isola d’Ischia: lavorare per l’affermazione di
un turismo invernale e per dare senso e
valore al turismo culturale, considerato che non mancano i presupposti per
queste finalità. La realtà ci ha proposto
una diversa realtà per quanto riguarda
il primo punto, in quanto la stagione
turistica, invece di essere allungata, si
è ristretta sempre più ed accorciata nei
tempi. Il movimento, che si pensava
dovesse diventare una esigenza primaria, non ha potuto avere seguito per
la crisi generale delle economie degli
ultimi tempi e per una politica che non
ha facilitato i consumi, obbligando
tutti a restringere le proprie esigenze.
In quanto al turismo culturale le amministrazioni nulla hanno fatto per incrementare tale settore, anzi ne hanno
quasi eliminato la voce dai bilanci; le
strutture sono lasciate nell’indifferenza generale e inoltre nulla si fa per cercare di far affluire per tale scopo contributi europei o regionali. La cultura,
le sue espressioni e i suoi simboli, che
ne testimoniano la valenza, non trovano alcuna presenza nelle programmazioni da portare avanti e realizzare: per tale obiettivo (non per altro) si
dice che mancano i soldi in bilancio
per eventuali interventi: e tutto ciò
passa come cosa del tutto normale.
*
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SPORT
L’Ischia in Lega Pro “unica” nel 2014/15
I giocatori della promozione 2013/14
Alfano Gerardo - Arcamone Angelo - Armeno Gennaro - Austoni Gianluca - Cascone Pietro - Catinali Edoardo - Conte Gianni - Grimaldi Daniele - Cucinotta Salvatore - Cunzi Evangelista - De
Francesco Alberto - De Giorgi Francesco - Di Maio Mario - Di Nardo Antonio - Falagario Roberto Finizio Mario - Florio Filippo - Impagliazzo Andrea - Liccardo Crescenzo - Longo Lorenzo - Maione
Vincenzo - Marinaro Carmine - Masini Gerardo - Mattera Giuseppe - Mennella Luigi - Mora Nicola
- Muro Carmine - Nigro Elio - Pane Pasquale - Pedrelli Ivan - Rainone Pasquale - Scalzone Angelo Schetter Antonio - Spadafora Manuel - Taglialatela Luca - Tito Fabio - Tricoli Paolo - Trofa Davide.
Ogni promozione sembra avere un profumo diverso.
Ischia ne ha vissute tante di promozioni. Ma questa è
una promozione diversa che ci libera da tutte le angosce e le ansie che ci hanno invaso per lunghi anni.
Dopo sedici anni siamo ritornati nel grande giro. In
serie C1 l’Ischia era approdata nella stagione 1986/87
per la prima volta dopo uno splendido ed entusiasmante campionato. Presidente Roberto Fiore, allenatore
Rosario Rivellino.
Dieci anni intensi con due retrocessioni, una promozione (90/91) e un ripescaggio (93/94). Cucchi, Balugani, Verduci, Borgobello, Canè, Musella, Muro, Guida, Franchini, Buoncammino tanto per citare qualche
nome. Poi il 1998. Un anno drammatico per lo sport
a Ischia. Anni di storia cancellati in un colpo solo. Pesantemente punita la società con l’esclusione dalla C1
per inadempienze economiche. Cancellata senza piètà
dalla geografia del calcio nazionale.
Si riparte dal Campionato di Eccellenza: il titolo
sportivo del Forio, per volontà del presidente Vito Iacono, passa da Forio a Ischia. Tale avvicendamento
fa scattare polemiche e proteste tra i tifosi del Forio i
quali non accettano la decisione presa da Vito Iacono.
Una dura battaglia che Vito Iacono porterà avanti con
Ischia
Il Presidente Carlino e l'allenatore Porta
(Foto di Francesco Di Noto Morgera)
6 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
successo: nasce il Comprensorio Isola d’Ischia. Parte
dunque l’operazione-rilancio, ma saranno anni duri e
difficili. Fallisce anche Roberto Goveani, ex presidente
del Torino, che lascia dopo un anno.
Nella stagione 2005/06, trascinata dal fantasista Enrico Buonocore, l’Ischia torna alla ribalta conquistando
la promozione in serie D.
Il resto è storia recente. Un campionato brillante
(2012/13). Una promozione in seconda divisione venuta con grandi meriti e numerosi record. Con Raffaele
Carlino, presidente, e Salvatore Campilongo, allenatore, l’Ischia conquista anche il titolo di Campione d’Italia Dilettanti.
Poi il programma della Federazione con la ristrutturazione dei campionati: ammesse alla terza serie otto
squadre. Per l’Ischia un’occasione da prendere al volo.
A metà stagione si teme il peggio. Porta, che sostituisce
Campilongo, prende in mano le redini della squadra in
un momento delicato e conquista una splendida promozione.
Adesso si guarda al futuro. I tifosi vorrebbero una
squadra da alta classifica per tentare la scalata alla serie
B. Quella serie B che tutta l’isola sogna da tanto tempo
(Luigi Cioffi).
Il Forio Basket ritorna in serie C
Dopo tre anni il Forio Basket fa il suo ritorno in serie C in modo trionfale dopo una stagione sportiva che
va definita semplicemente fantastica. Nella finale dei play off contro la compagine del Cercola Vesuvius
Project due prestazioni eccezionali sotto il profilo tecnico. Tantissime le emozioni vissute con momenti di
grandissima tensione agonistica. Sette i punti di distacco nella gara 1 disputata a Forio (66-59). Una partita
tiratissima con un Jovic in vena di prodezze. Anche la gara 2, disputata a Cercola, garantisce spettacolo ed
emozioni dove i biancorossi emergono di soli tre punti (75-72). Quindi una gioia immensa che ha consegnato alla squadra di Forio l’attesissima promozione in serie C.
I giocatori della promozione: Aiello Luigi, Barbieri Luca, Barbieri Salvatore, Buono Eduardo, De Vivo
Gaetano, Iacono Aniello, Iacono Francesco, Lodato Francesco, Nastri Giuliano, Nefati Neji, Regine Aniello, Russelli Giovanni, Tufano Antonio, Jovic Aleksandar – Coach: Alfredo Lamberti, presidente: Vito Iacono.
La Futura Volley di Lacco Ameno
conquista la promozione in C
In alto (da sinistra): Manuela De Siano (allenatrice), Piro Barbara, Simona Monti, Iolanda Sarracino, Mariamichela De Siano, Concetta D’Agostino, Martina Capasso, Marianna De Siano, Giovanna Cannovo, Giovanni De
Siano (direttore sportivo).
In basso (da sinistra): Rosaria Gialvini, Annalisa Sarno, Aristidea Franzese, Emanuela Iacono, Mariapia Romano,
Tonia Tedesco.
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Ex libris
The Penny Magazine of the Society for the Diffusion of Useful
Knowledge - Giugno 28, 1834
L’Isola d’Ischia
Il Golfo di Napoli, considerato in
senso largo, si estende dal promontorio che ha come terminale Capo
Miseno alla penisola di Sorrento che
finisce a Capo Minerva, ora chiamato della Campanella. Al largo di Capo
Minerva si trova l’aspra isola rocciosa
di Capri, ad un lato dell’entrata in questo magnifico cratere, e al lato opposto al largo di Capo Miseno c’è la più
grande, la più alta, e vulcanica isola di
Ischia.
La distanza di Ischia dalla città di
Napoli non è superiore a 20 miglia,
ed essendo a solo tre o quattro miglia
dalle delizie di Baia, di Cuma, del lago
Fusaro, &c., viene spesso visitata dai
viaggiatori. La salubrità dell’aria, la
bellezza del paese, l’eccellenza delle
acque minerali, le terme, il vino, frutta
e altri prodotti, spesso attirano anche i
nobili napoletani, che non sono molto propensi a viaggiare o indagare le
meraviglie di cui la natura li circonda.
Tra Ischia e Capo Miseno si trovano
un piccolo scoglio disabitato, chiamato Vivara, e la densamente popolata e
bella isola di Procida. Dal punto più
meridionale di Procida fino al punto
più vicino di Ischia c’è una distanza
un po’ meno di due miglia. Da molti punti di vista le due isole sembrano una sola; lo sguardo va dalle alte
montagne e dal grande cono di Ischia
passando alle relativamente basse terre di Procida. È curioso osservare che
Virgilio, che deve aver ben conosciuto entrambe le isole, chiama Procida
“alta”, mentre, in realtà, Ischia è alta, e
Procida (come abbiamo appena detto)
relativamente bassa.
Pochi luoghi mostrano più chiaramente, o con maggior bellezza ed effetto dell’isola d’Ischia la loro origine
The Penny Magazine of the So-ciety for the Diffusion of
Useful Knowledge - Giugno 28, 1834
L’isola d’Ischia
The beautiful Gulf of Naples, taken in its enlarged sense,
extends from the promontory terminated by Cape Misenum
to the Sorrento peninsula, ending in Cape Minerva, now
called Della Campanella. The rugged, rocky island of Capri
stands off Cape Minerva, at one tide of the entrance into this
magnificent basin; and the larger, loftier, and volcanic island
of Ischia stands at the other side, off Cape Misenum.
The distance of Ischia from the city of Naples is not above
twenty miles, and being only three or four miles from the attractions of Baia, Cuma, the Fusaro lake, &c., it is frequently
visited by travellers. The salubrity of the air, the beauty of
the country, the excellence of its mineral waters, its baths, its
wine, fruit, and other produce, also frequently attract the Neapolitan gentry, who are not much given to travelling or investigating the wonders with which nature surrounds them.
A small uninhabited rock, called Vivara, and the denselypeopled and pretty island of Procida, intervene between Ischia and Cape Misenum. From the southernmost point of
Procida to the nearest point of Ischia is a distance somewhat
less than two miles. From many points of view the two is8 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
vulcanica. La forma delle sue montagne, le forre e voragini dei lati montagnosi, le gole profonde della pianura,
la lava riversatasi sulla lava, i tratti coperti di tufo e lapille, le ceneri grigie,
e lo zolfo, il fumo, il vapore pungente
- l’acque minerali calde che sgorgano
in quasi tutte le direzioni - tutte queste
ed altre cose denotano l’azione vulcanica, e offrono un magnifico scenario
di studio per il geologo. Ma in queste
regioni è tutto vulcanico. Oltre il Vesuvio, una dozzina di crateri - alcuni
riposano da molti secoli, e altri erano
paurosamente in attività non molte
generazioni addietro - si potrebbero
facilmente. Vi si trovano, in splendida
contiguità, le conche di Agnano, l’Astroni, la Solfatara, l’Averno, e altri
siti, ognuno dei quali a suo tempo ha
riversato fumo e fiamme, cenere e fuoco liquido. Un po’più distante, il mare
è costellato con le isole di Vendotena,
lands seem as one; the lofty mountains and the great cone of
Ischia rising to the eye from the comparatively low lands of
Procida as if from a base. It is curious to observe that Virgil,
who must have known both islands well, calls Procida
“high,” whereas, in fact, Ischia is lofty, and Procida (as we
have just said) comparatively low. It would be as reasonable
to call the Jura ridge, in the immediate neighbourhood of the
towering Alps, lofty, or (to take a more familiar illustration)
to speak of the height of the houses in St. Paul’s Churchyard
while the imposing elevation of the cathedral is before our
eyes.
Few places show more plainly, or with more beauty and
effect, their volcanic origin than the Island of Ischia. The
shape of its mountains, the fissures and chasms in the mountains sides, the deep ravines across the plains, the lava
heaped upon lava, the tracts covered with tufo and lapille,
grey ashes, and sulphur; the smoke, the pungent steam - the
hot mineral waters that gush out in almost every direction all these and other things denote volcanic action, and offer
a magnificent scene of study to the geologist. But in these
regions everything is volcanic. Besides Vesuvius, a dozen
craters - some in repose for many centuries, and some that
were in fearful activity not many generations back, - might
be counted close at hand. There lie, in wonderful contiguity,
the hollows of Agnano, Astroni, the Solfatara, the Avernus,
Fig. 1 - Veduta dell'isola d'Ischia
Ponza, Palmerola, e per metà da una
ventina di isolotti, che sono stati tutti sollevati sopra le onde dall’azione
del fuoco interno. Ancora più oltre, ed
al sud, il Monte Stromboli sorge dal
seno del Mediterraneo, ed è in attività
quasi costante. Se allarghiamo il raggio di osservazione, prendendo Ischia
come centro, dovremmo aggiungere
un imponente elenco. Le isole di Lipari, l’Etna, il Monte Vulture, e molti
altri vulcani estinti, o occasionalmente in azione, dovrebbero essere inclusi
all’interno di un relativamente piccolo
circuito. Le forme pittoresche e belle,
il rigoglio della terra, risultanti da tali
agenti terrificanti e dalle convulsioni
della natura, sono stupefacenti al massimo.
La caratteristica più sorprendente
di Ischia è la montagna rappresentata
nella nostra incisione (fig. 1), che si
può dire incorona l’intera isola. Questa montagna era anticamente chiamata Epopeus; il suo nome moderno tra
gli isolani è Monte San Nicolo (Monte
San Nicola), ma a volte lo chiamano
Epomeo. Una ripida strada sterrata, in
parte su campi di nera lava, e in parte
lungo pericolosi precipizi, porta alla
vetta, che è tra i tre e i quattro mila
piedi sopra il livello del mare, e gode
di una delle viste più belle del Mediterraneo. Quasi la metà della costa
meridionale d’Italia si distende davanti allo spettatore; - dietro questa
linea mirabilmente varia di coste e di
promontori si vede, come nelle immagini di Claudio - la lunga, grigia catena degli Appennini. In nessuna parte
and others, each of which in its day has poured forth smoke
and flames, ashes, and liquid fire. A little farther off, the sea
is dotted with the islands of Vendotena, Ponza, Palmerola,
and half a score of islets, which have all been raised above
the waves by the action of internal fire. Still farther off, and
to the south, Mount Stromboli rises from the bosom of the
Mediterranean, and is in almost constant activity. If we extend the radii, taking Ischia as the centre, we should add an
imposing list. The Lipari islands, Mount Etna, Mount Vultur,
and many other volcanos, extinct or occasionally in action,
would be included within a comparatively small circumference. The picturesque forms and beauty, the luxuriance of
soil, resulting from these terrific agents and the convulsions
of nature, are most astonishing.
The most striking feature of Ischia is the mountain represented in our engraving, which may be said to crown the
whole island. This mountain was anciently called Epopeus;
its modern name among the islanders is Monte San Nicolo
(St. Nicholas’ Mount), but they sometimes call it Epomeo.
A steep, rough road, in part over fields of black lava, and in
del mondo si ha un sì nobile scenario
arricchito con così tanti riferimenti
classici. Questo è un punto di concentrazione per la poesia antica e la storia.
Seduto sull’alto cono dell’Epopeo, e
sentendo i nomi di tutti i luoghi visibili da quel punto, il viaggiatore cólto
è portato, quasi inconsciamente, a ripercorrere tutto il corso dei suoi studi
classici. Non solo non c’è roccia senza
un nome, ma nessun nome è senza un
riferimento preciso - antico o moderno, consacrato dal genio greco, romano o italiano. Qui si trova lo scenario
di gran parte dell’Odissea di Omero,
di gran parte dell’Eneide di Virgilio.
Nelle vicinanze il luogo di nascita di
Torquaro Tasso. Il promontorio di Circe, gli scogli delle Sirene, il promontorio dove Enea seppellì il trombetti-
part running along dangerous precipices, leads to the summit, which is between three and four thousand feet above
the level of the sea, and commands one of the finest views
to be met with in the Mediterranean. Nearly one-half of the
southern coast of Italy is spread before the spectator; - in the
rear of this admirably-varied line of coast and of promontories,—such as one sees in Claude’s pictures, - the long, grey
chain of the Apennines shows itself. In no part of the world
is noble scenery enriched with such classic or with so many
associations. This is a concentrating point for ancient poetry
and history. Sitting on the lofty cone of Epopeus, and hearing
the names of all the places visible from that spot mentioned,
the informed traveller is made to go, almost unconsciously,
through the whole course of his classical studies. Not only is
there no rock without a name, but no name without a fame
of some sort or other - ancient or modern, consecrated by
Grecian, Roman, or Italian genius. The scenery of half of
Homer’s Odyssey - of half of Virgil’s Aeneid, - is here. The
birth-place of Tasso is close at hand. The Circean promontory, the Syren rocks, the cape where Aeneas buried his
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sta, il cui nome è stato conferito per
sempre a quel promontorio (ora ancora chiamato Capo Miseno), sembrano quasi a distanza di un braccio dal
viaggiatore. Si richiederebbero pagine
e pagine solo per citare i punti così famosi che sono visibili. Nel cammino
della storia citeremo quelli connessi
con la vista della solitaria spiaggia di
Patria, dove morì il grande Scipione,
lamentando l’ingratitudine del suo
paese, la palude di Minturno, dove si
nascose Mario, ma da dove fuggì per
completare lo strano dramma della
sua vita, la malinconica collina vicina
a Gaeta, dove fu raggiunto e ucciso il
fuggitivo Cicerone, la piccola isola di
Nisida, dove Bruto fu separato dalla
moglie, e (per ometterne molti altri)
il Capo Miseno, già accennato, che,
dopo aver assistito a molti cambiamenti, divenne la scena della prigionia
e della morte di Augustolo, l’ultimo
imperatore romano d’Occidente.
Ma dobbiamo scendere da queste
nobili contemplazioni, e dalla vetta
del monte Epopeo. Non lontano da
questa vetta, che è formata di lava
grigiastra, un cratere è ancora molto
ben definito, anche se si riscontra che
le eruzioni non procedevano da quella
bocca, ma da varie aperture molto più
basse giù per la montagna. L’ultima
grande eruzione è avvenuta nel lontano anno 1302. Fu una cosa terrificante! La scossa e lo sgretolamento della
montagna seppellirono alcune città e
villaggi, coperti dai torrenti di lava
che si riversavano lungo i fianchi della
montagna, e, in alcuni casi, formando, appena raffreddati, lunghe creste
nere come il carbone, rupi, che, per
500 anni, hanno resistito alla violenza
delle onde. L’estremità nord dell’isola
presenta un quadro triste ma sublime.
Per un tratto lungo e largo la terra è
coperta di lava, mentre in mare, con il
minimo soffio di vento, l’acqua ruggisce e schiuma tra le creste nere di lava,
gli isolotti e le rocce formate da molte
esplosioni successive.
Non lontano da queste enormi letti
di lava si trova Foria, la più grande
e popolosa città dell’isola, anche se
non è il capoluogo. Questa città è ben
costruita, e le bianche pareti delle sue
trumpeter, whose name was conferred for ever on that cape
Now always called Capo Miseno), seem almost within arm’s
length of the traveller. It would require pages merely to
name the spots thus illustrated that are within sight. Among
the associations in the more sober walk of history we will
mention those connected with a sight of the solitary shore at
Patria, where the great Scipio died, complaining of his country’s ingratitude - of the marsh of Minturnum, where Marius
was found hidden, but whence he escaped to complete the
strange drama of his life - of the melancholy hill-side near
Gaeta, where the fugitive Cicero was overtaken and slain, of the small island of Nisida, where Brutus parted from his
noble wife; and (to omit many others) of Cape Misenum,
already alluded to, which, after witnessing many changes,
became the scene of the captivity and death of Augustulus,
the last Roman Emperor of the West.
But we must descend from these lofty contemplations, and
from the summit of Mount Epopeus. Not far from this summit, which is formed of greyish lava, a crater is still very well
defined, though it should appear that the eruptions on record
did not proceed from that mouth, but from various openings
much lower down the mountain. The last great eruption occurred as far back as the year 1302. It was terrific! The shaking and crumbling away of the mountain overthrew or buried some of the towns and villages, and others of them were
consumed and their sites covered by the torrents of lava that
poured down the mountain’s sides, and, in some instances,
flowed far out to sea, forming, as they cooled, long ridges
of coal-black, ragged rocks, which, for five hundred years,
10 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
case contrastano singolarmente con i
neri cumuli di materia vulcanica sparsi ovunque. Come ciascuna delle città,
e anzi quasi ogni villaggio dell’isola,
Foria contiene luoghi di culto costruiti in uno stile architettonico capriccioso, ma non sgradevole. Esso è principalmente occupato da quella parte
degli isolani che vivono con la pesca
e le occupazioni marittime.
Il capoluogo, che è chiamato anche Ischia, si erge quasi all’altro capo
dell’isola, in una graziosa baia di
fronte all’isolotto di Vivara. La baia
e la città sono, o potrebbero essere,
difese da un antico castello, il quale,
nella zona più pittoresca che si possa
immaginare, è arroccato sulla cima
di un’alta roccia indipendente, che è
unita all’isola d’Ischia da un breve
e stretto istmo di sabbia. È qui che i
viaggiatori, che in genere vengono
per la via di Procida, approdano. Casamiccio, un’altra città, è ora il luogo
più frequentato dagli stranieri, per le
acque minerali e i bagni di fango, e
si erge su uno sperone del Monte San
Michele, ed è piacevolmente ventilato
have resisted all the violence of the waves. The north end
of the island presents a sad but sublime picture. For a great
length and breadth the land is covered with the roughest and
darkest lava, while out at sea, with the least breath of wind,
the water roars and foams among the black lava ridges and
islets and rocks formed by many successive explosions.
Not far from these enormous lava beds stands Foria, the
largest and most populous town in the island, though not
the capital. This town is neatly built, and the clean, white
walls of its houses contrast singularly with the black heaps
of volcanic matter scattered all about it. Like each of the
towns, and indeed nearly every village on the island, Foria
contains places of worship built in a capricious but not disagreeable style of architecture. It is principally occupied by
that portion of the islanders that get their living by fishing
and maritime pursuits.
The capital, which is also called Ischia, stands nearly at the
other end of the island, in a pretty little bay opposite to the
islet of Vivara. The bay and town are, or might be, defended by an old castle, which, in the most picturesque manner
imaginable, is perched on the top of a high, detached rock,
which is joined to the island of Ischia by a short, narrow
isthmus of sand. It is at this point that travellers, who generally come by way of Procida, approach and land; and a striking point it is. Casamiccio, another town, and now the most
frequented by strangers, as conveniences for taking mineral
and volcanic mud-baths have been amply provided, stands
on a spur of Mount St. Michael, and is pleasantly ventilated
and shaded by trees of fine growth. Detached casini, or vil-
e ombreggiato da piante di rigogliosa
crescita. Casini, o ville, con magnifiche vedute, possono essere acquistati a prezzi economici in varie parti
dell’isola, che presenta ancora un altro paese chiamato Panza, e un certo
numero di villaggi ben popolati. La
circonferenza di Ischia è di circa 20
miglia inglesi, e tutta la popolazione
conta circa 25.000 abitanti.
Anche se gran parte di questa curiosa isola è occupata da rocce, lava, e
tufo, ed è sparsa di voragini, e lunghe,
profonde forre, ancora molto resta ai
fini della coltivazione, e, quando si
verificano questi tratti, nulla può ben
essere immaginato più produttivo o
più piacevole per gli occhi. Estesi vigneti che producono un ottimo vino
bianco (un articolo molto importante
di esportazione), frutteti e giardini abbondano di aranci, cedri, meloni, e di
quasi tutte le varietà europee di frutta e verdura, campi di mais, o di altri
cereali, e di cotone, boschi di castagni
e di lecci, siepi formate di aloe, mirto e altri arbusti profumati, deliziosamente rendono variegata la superficie
dell’isola, e ora tendono a nasconde-
re, e ora improvvisamente a rivelare
bianchi villaggi e sparse casette di
campagna. Vi è un’altra caratteristica
di Ischia che non può essere passata
sotto silenzio: le voragini e le ripide
strette vallette che si verificano così
frequentemente sono, per la maggior
parte, all’ombra di una crescita compatta e vigorosa di alberi; lo straniero,
che non può soffrire il caldo intenso
dell’estate (la stagione in cui i bagni
sono più efficaci), può sempre ritirarsi
in una di queste, e trovare, in qualsiasi
ora del giorno più calda, e quando il
bagliore di luce è spiacevole nel resto
dell’isola, ombra e una bella frescura.
Infine la pace, Ischia è stata sempre
reputata come un luogo di ristoro per
i malati. Le malattie in cui l’uso delle
acque, come bevanda o per fare i bagni, e i fanghi, si rivela più utile, sono
i reumatismi nella maggior parte delle
loro varietà, i disturbi cutanei, &c.
Il governo napoletano ha una sua
sede sull’isola, per cui un numero
considerevole di soldati e marinai
in servizio reale vengono inviati qui
ogni anno per il recupero della loro
salute. Molti napoletani poveri sono
las, commanding the most beautiful views, can be procured
at a cheap rate in various parts of the island, which contains
still another town called Panza, and a number of well-peopled villages. The circumference of Ischia is about twenty
English miles; and the whole population is about 25.000.
Though much of this curious island is occupied by rocks,
lava, and uncovered tufo, or rent into chasms, and long, deep
fissures, still much remains for the purposes of cultivation;
and, where these tracts occur, nothing can well be fancied
more productive or more pleasing to the eye. Extensive
vineyards that produce an excellent white wine (a very important article of export), orchards and gardens furnishing
abundance of oranges, citrons, melons, and almost every
European variety of fruit and vegetables, fields of Indian
corn, or other grain, and of cotton, groves of chestnut-trees
and ilices, hedge-rows formed of aloes, myrtle, and other
sweet-smelling shrubs, delightfully variegate the surface of
the island, and now tend to hide, and now suddenly reveal,
white villages and scattered cottages. There is another feature too characteristic of Ischia to be passed over in silence:
- the chasms, and steep, narrow dells that occur so frequently
are, for the most part, shaded by a compact and vigorous
growth of trees; - the stranger, who may not suffer from the
intense heat of summer (the season when the baths are most
efficacious), may always retreat to one of these, and find,
at any hour of the hottest day, and when the glare of light
is painful in the rest of the island, shade and a refreshing
coolness. Since the peace, Ischia has been gradually rising
anche inviati annualmente, e sostenuti
durante il loro soggiorno da parte di
associazioni di persone caritatevoli.
Otto anni fa, quando lo scrittore di
questa breve nota era a Ischia, quasi tutti i confortevoli appartamenti e
le graziose ville furono lasciati agli
stranieri, e se ne stavano costruendo
dei nuovi. Come alcuni dei bagni che
esistono sul Reno, anche se non in tal
numero, le terme di Ischia possono
gareggiare con la maggior parte delle
grandi nazioni, e vantano ospiti francesi, tedeschi, russi, polacchi, ungheresi, inglesi, americani, ecc.
Gli abitanti dell’isola, e in particolare i marinai ed i vignaioli, che costituiscono le due classi più numerose,
sono giulivi, di buon carattere, persone inoffensive, di buona educazione e
quindi amabili. Le donne dei contadini
sono attraenti per la bellezza della loro
persona e la grazia del loro costume,
che non è mai vario, ma lo stesso per
tutti. Sia il loro volto, sia i loro vestiti
hanno un’affinità sorprendente con le
sembianze e i costumi dei Greci. Ma
questa somiglianza è ancora più sorprendente nella vicina isola di Proci-
in reputation as a place of resort for the sick. The diseases
in which the use of the waters in drinking or bathing, and of
the mud-baths, prove most beneficial, are rheumatism under most of its varieties, cutaneous disorders, &c. The Neapolitan government have an establishment on the island, to
which considerable numbers of soldiers and sailors in the
royal service are sent every year for the recovery of their
health. Many poor Neapolitans are also sent annually, and
supported during their stay by associations of charitable individuals.
Eight years ago, when the writer of this short notice was at
Ischia, nearly all the comfortable apartments and neat villas
were let to foreigners, and some new ones were building.
Like some of the baths on the Rhine, though not in such
numbers, the baths of Ischia could then boast specimens of
most of the great nations, - there were French, Germans,
Russians, Poles, Hungarians, Englishmen, Americans, &c.
The inhabitants of the island, and particularly the mariners
and the vine-dressers, who form the two more numerous
classes, are a gay, good-natured, inoffensive people, requiring nothing but an improved education to make them very
estimable. The women of the peasantry are remarkable for
the beauty of their persons and the grace of their costume,
which is neyer varied, but is the same for all of them. Both
their countenance and their dress have a striking affinity
to the features and costume of the Greeks. But this resemblance is still more remarkable in the neighbouring island of
Procida, where it is rare to meet with a young woman that is
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
11
da, dove è raro incontrare una giovane
donna che non sia bella, e abbigliata
con grazia o pittorescamente.
Le belle lave verdi e verde-screziate
che sono così ampiamente trasformate
e rese in tabacchiere, ornamenti, pressacarte &c., a Napoli, e da lì esportate in Inghilterra e in altri paesi, non
vengono dal Vesuvio, ma dall’isola di
Ischia. Le lave del Vesuvio, che sono
in grado di essere lavorate, sono nerastre, rossastre macchiate di grigio,
e grigio mai verde. Ischia dà i colori
verdi e, inoltre, alcune altre tonalità,
come pure tutti i colori prodotti dal
Vesuvio. Alcune delle lave verdi di
Ischia sono trasparenti e graziosamente variegate.
La bella e nobile Vittoria Colonna
trascorse diversi anni in solitudine su
not handsome, and gracefully or picturesquely attired. The
beautiful green and mottled-green lavas that are so extensively turned and made into snuff-boxes, ornaments, paperpressers, &c. at Naples, and thence exported to England and
other countries, do not come from Mount Vesuvius, but from
the island of Ischia. The lavas of Vesuvius that are capable of
being manufactured are blackish, reddish spotted with grey,
and grey, but never green. Ischia gives the greens and, in addition, some other hues, as well as all the colours
questa isola dopo la morte del marito,
il marchese di Pescara. Il luogo, dove
risiedette e scrisse molte delle sue migliori poesie, si è ancora conservato.
Il disegno originale, da cui è tratta
la nostra incisione, è stato fatto da un
artista napoletano sul posto.
*
produced by Vesuvius. Some of the green lavas of Ischia are
transparent and prettily variegated.
The beautiful and accomplished Victoria Colonna spent
several years in solitude on this island after the death of her
husband, the Marquis of Pescara. The villa where she resided and wrote several of her best poems is still preserved.
The original drawing, tram which our engraving is taken,
was made by a Neapolitan artist on the spot.
Ischia Film Festival
*
Castello Aragonese 28 giugno – 5 luglio 2014
Si svolgerà dal 28 giugno al 5 luglio
2014 la XII edizione dell’Ischia Film
Festival, che «è diventato un appuntamento internazionale dove ogni anno
illustri ospiti e giovani autori promuovono attraverso l’audiovisivo il territorio e la sua diversificazione culturale»
(Michelangelo Messina, fondatore e
direttore artistico IFF); incontri e proiezioni avranno luogo nei suggestivi spazi
del Castello Aragonese d’Ischia.
Quest’anno l’evento ha avuto il riconoscimento del Parlamento europeo,
comunicato con lettera personale dal
Presidente dell’Unione Europea Martin
Schultz: «L’obbiettivo dell’iniziativa,
ossia promuovere una cinematografia
europea indipendente, trova grande
apprezzamento da parte del Parlamento europeo. L’utilizzo di questa potente
piattaforma culturale per sensibilizzare alla diversità culturale e all’importanza di preservare la cultura e le
12 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
tradizioni locali, focalizzando l’atten- via degli angeli” (2000), “I cavalieri che
zione sulle location cinematografiche fecero l’impresa” (2000), “Ma quando
prescelte, rappresenta un approccio arrivano le ragazze?” (2005), “La semolto originale e interessante che con- conda notte di nozze” (2006) e “Il papà
sentirà al festival di porre in evidenza di Giovanna” (2008). Tra i suoi ultimi
l’importanza del patrimonio cultura- lavori “Il ragazzo d’oro” che ha visto
le e degli scambi artistici quali valori come protagonisti la diva americana
fondamentali dell’Unione Europea. Sharon Stone e l’italiano Riccardo ScaData la chiara dimensione europea che marcio. caratterizza l’Ischia Film Festival è con
L’Ischia Film Festival renderà anche
grande piacere che accordo alla maniomaggio a Nelson Mandela, il grande
festazione l’alto patrocinio del parlaleader sudafricano scomparso lo scorso
mento Europeo».
dicembre; la serata omaggio alla straordinaria personalità e storia di Nelson
Sarà Pupi Avati il chairman del festiMandela sarà introdotta da Bille Auval 2014 dedicato alle location. Premiagust, con una proiezione speciale del
to proprio ad Ischia nel 2011 con il Ciak
film “Goodbye Befana – Il colore della
di corallo alla carriera, il regista bololibertà”. Il film racconta la vera storia
gnese farà ritorno nell’isola verde con
dell’incontro tra Mandela e James Gray,
suo fratello, il produttore Antonio Avati,
l’addetto alla censura del carcere speper presiedere la dodicesima edizione
ciale di Robben Island, dove il leader
del festival del cinema che si presenta
dell’African National Congress e delle
ricca di opere in concorso e ospiti interlotte anti-apartheid in Sudafrica scontanazionali.
va dal 1964 la pena all’ergastolo.
Impegnato sul set del suo ultimo film,
Avati si concederà una breve pausa per
L’Ischia Film Festival da sempre imprendere parte all’evento campano. Pupi
pegnato nel raccontare i luoghi, la loro
Avati, autore di più di quaranta film, è
diversificazione culturale e la loro idenuno dei maggiori cineasti italiani. Regitità storica e paesaggistica, con l’omagsta, sceneggiatore e produttore cinemagio a Mandela inizia una serie di serate
tografico, è anche scrittore di romanzi
speciali che ricorderanno straordinari
che sono spesso ispiratori delle scenegpersonaggi del ventunesimo secolo che
giature dei film o viceversa come “La
hanno rappresentato, attraverso la loro
vita, il tessuto sociale in cui hanno vissuto.
Bille August, due volte palma d’oro a
Cannes nel 1992 per il film “Con le migliori intenzioni” e nel 1988 per “Pelle
alla conquista del mondo” (che gli fruttò
anche l’Oscar al miglior film straniero)
incontrerà il pubblico del festival in uno
dei consueti incontri che precedono le
proiezioni.
A 20 anni dalla sua scomparsa per
ricordare il grande attore napoletano
Massimo Troisi, l’Ischia Film Festival,
promotore del Cineturismo in Europa,
propone i luoghi del film “Il Postino”
con un'applicazione per smartphone e
tablet. L’applicazione, per ora disponibile su google market, verrà presentata
Programma
ISCHIA FILM FESTIVAL
Sabato 28 Giugno Ore 19.00 Brindisi di apertura per la dodicesima edizione alla Terrazza del Castello
Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti aree del Castello Aragonese
di Ischia:
- Terrazza del Sole - Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Domenica 29 Giugno
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti aree del Castello Aragonese
di Ischia:
Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
ufficialmente martedì 1 luglio durante
il XII Convegno Internazionale sul Cineturismo che avrà luogo all’interno del
festiva delle location di Ischia. Attraverso l’app i cine-viaggiatori potranno
immergersi in un percorso sui set di
Procida e Salina: le due località scelte dall’attore e regista napoletano per
ambientare il suo ultimo film. “Un doveroso omaggio ad uno straordinario
personaggio del cinema Italiano che ha
promosso attraverso questo film due località del sud Italia che sono diventate
mete di cineturisti provenienti da tutto
il mondo” ha dichiarato Michelangelo
Messina il direttore del festival. L’app
“Il postino” si integra nel progetto “Cinema & Territorio“ del Festival di Ischia
che ha già realizzato la prima app campana su luoghi del cinema.
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Lunedì 30 Giugno
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti areedel Castello Aragonese
di Ischia:
- Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Martedì 1 Luglio
Ore 10.00 Apertura della BILC Borsa Internazionale delle Location e del Cineturismo
ed a seguire XII Convegno Nazionale sul
Cineturismo, riservato agli accreditati professionali.
Ore 15.00 XII Convegno Nazionale sul
Cineturismoriservato agli accreditati professionali
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti areedel Castello Aragonese
di Ischia:
- Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Mercoledì 2 Luglio
Ore 10.00 Seconda giornata di lavori del XII
Convegno Nazionale sul Cineturismoriservato agli accreditati professionali
Ore 15.00 Workshop riservato agli accreditati professionali
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti areedel Castello Aragonese
di Ischia:
- Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Giovedì 3 Luglio
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti areedel Castello Aragonese
di Ischia:
- Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Venerdì 4 Luglio
Ore 19.30 Film Cocktail incontro riservato
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
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agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese
Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale
dell’Assunta
Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali
nelle seguenti areedel Castello Aragonese
di Ischia:
Terrazza del Sole
- Terrazza del
Convento
Ore 21.15 Proiezione di un lungometraggio
in prima serata al Piazzale delle Armi
Ore 21.30 “Parliamo di Cinema” Gli autori
delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
Ore 22.00 Proiezione di un lungometraggio
alla Cattedrale dell’Assunta
Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio
in seconda serata al Piazzale delle Armi
Sabato 5 Luglio
Ore 21.00 al Piazzale delle Armi Proiezione delle opere vincitrici del festival. Ingresso
libero.
Ore 20.30 alla Cattedrale dell’Assunta
Chiusura della XII edizione dell’Ischia Film
Festival - Serata di Gala con concerto per la
premiazione delle opere in concorso della
XII edizione del premio Internazionale IFF.
Eventuali modifiche e integrazioni saranno
comunicati attraverso l’ufficio stampa del
Festival e la pubblicazione sul sito www.
ischiafilmfestival.it Altre potesi relative ad un Disegno Murale
della Torre di Guevara
di Rosario de Laurentiis
In un articolo recentemente pubblicato sulla “Rassegna d’Ischia”, avevo svolto alcune riflessioni - non
definitive - su uno dei disegni che ornano la sala della
Torre di Guevara, dove sono rappresentati episodi ritenuti importanti per rappresentare la nobiltà di quella
famiglia. Vorrei proporre adesso nuove riflessioni scaturenti dalle ricerche che ho continuato a svolgere su
quel tema.
Mi riferisco ad una scena in cui si vede una figura
coronata seduta in trono, indicata come Dux Britanniae, che abbraccia una figura più giovane inginocchiata ai suoi piedi. Il giovane viene definito
“Guido, ducis filius” e di lato un gruppo di armati
a cavallo sono raggruppati sotto uno stendardo che
sembra essere lo stemma dei Guevara. Tutti i personaggi sono vestiti con abiti tardo-medioevali, ma
tale caratteristica non sembra essere determinante ai
fini della datazione dell’evento, in quanto nel nostro
rinascimento non sono rare raffigurazioni di episodi di
storia antica (ad esempio scene della vita di Gesù) in
cui personaggi dell’antichità vengono rappresentati con
armature ed abiti “moderni”.
Avevamo già acclarato che nella genealogia dei Guevara non esiste alcun personaggio di nome Guido e che
non emergevano altri collegamenti con la Bretagna
se non un proverbio medioevale spagnolo che diceva
“Bretagna los envia, Navarra los cria, Castilla los declara, por segnores de Guebara”. La famiglia -secondo
i cronisti dell’epoca dell’imperatore Carlo V- proveniva
dunque dalla Bretagna. Ma chi era quel “Guido” che,
secondo le iscrizioni trovate nella torre, era venuto in
Spagna ed era stato accolto con molti onori e gli era stato concesso un feudo nella regione di Alava? E perché
solo quel personaggio è chiamato per nome e non con il
titolo, come gli altri? Cosa voleva dirci la famiglia indicando ripetutamente quel nome, che però non risulta da
nessuna altra fonte relativa alla casa Guevara?
14 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Uno storico spagnolo del 1541 (Pedro Barrantes Maldonado), in un memoriale pubblicato nel 1857 dalla
reale accademia di storia spagnola, aveva tracciato la
genealogia dei duchi di Bretagna. In quest’opera si ricorda che un cavaliere bretone figlio di Heruspogio re
di Bretagna venne in Spagna e si sposò con la figlia del
re di Leon. La datazione è quella del IX secolo, all’epoca del re Ramiro di Asturia e di Leon (morto nell'850).
I Normanni stavano facendo incursioni nel nord della
Spagna, è dunque probabile che nobili bretoni, nemici
dei normanni, si alleassero con gli spagnoli.
La cronaca spagnola dice che re Ramiro dovette
combattere - con alterne fortune - anche contro i mori
(ed in una battaglia l’apostolo San Giacomo - quello
di Santiago di Compostella - comparve fra i cavalieri
cristiani per aiutarli a sconfiggere gli infedeli). Queste
continue battaglie, dice il cronista, avevano molto impressionato i cristiani di tutt’Europa (Bretagna inclusa).
Chi non poteva combattere mandava denaro ed aiuti,
mentre i cavalieri venivano per conquistarsi indulgenze ed - eventualmente - essere ricompensati con feudi.
L’arrivo di nobili cristiani era abbastanza frequente e
l’autore cita l’esempio di un cavaliere di Lotaringia che
si conquistò il trono di Portogallo. Vengono citati anche
altri nomi di famiglie venute dalla Germania e da altri
paesi. In particolare venne, con molti armati, il fratello
del duca Heruspogio (in bretone Erispoe) di Bretagna,
ma il nome di questo cavaliere non risulta dalle cronache dell’epoca. Pochi giorni dopo il re moro pretese
da quello di Leon un tributo annuo ed immediatamente
i cavalieri bretoni si unirono alla battaglia ingaggiata
dagli spagnoli. In soccorso dei cristiani riapparve San
Giacomo e così 70.000 mori rimasero sul terreno. Il
capo dei bretoni fu chiamato, con espressione tedesca, Gut Man (il cronista ricorda che i Bretoni, venuti
dall’Inghilterra, erano di origine germanica e quindi la
loro lingua era simile al tedesco). Forse il nostro Guido era lo sconosciuto cavaliere? Purtroppo no, perchè
proprio l’espressione Gut Man determinò la denomina-
zione della famiglia dei suoi discendenti: i Guzman. La
famiglia Guzman era potentissima ai tempi di Filippo II
(suoi membri erano il famoso conte duca di Olivares, il
duca di Medina, il vicerè di Napoli etc). È dunque impensabile che i Guevara, che in quel periodo facevano
decorare la Torre, volessero contendere loro la discendenza dal cavaliere bretone venuto in Spagna. E allora?
Le due famiglie risultano imperentate, ma non prima
del milleduecento, con un matrimonio di un Guevara
con una Guzman; non sembra probabile tuttavia che
i signori della torre ischitana possano aver inserito nel
loro “album di famiglia” un antenato di parte materna...
Forse le famiglie avevano un'origine comune (ma non
si trova) o ci sono stati due parenti del duca di Bretagna
che vennero in Spagna in epoca altomedioevale.
Comunque questa storia ci conferma che molte famiglie cristiane mandavano i loro figli (cadetti) a combattere contro gli infedeli con lo scopo dichiarato di meritarsi la vita eterna, ma con l’intento più immediato di
guadagnarsi titoli e terre. I Guevara erano infatti conosciuti come “cavalieri erranti”. Ce lo dice Cervantes nel
suo Don Chisciotte e ce lo ricorda un altro grandissimo
scrittore spagnolo, Francisco de Quevedo (1586-1645)
che scrisse :
“Quien quisiera ser caballero/ y vender su vida cara/
no sea ladròn de dinero/ si no Ladròn de Guevara” (chi
volesse essere cavaliere, e vendere cara la sua vita, non
sia ladro di denaro, ma Ladron de Guevara); il nome
deriva dal fatto che il re Sancio di Pamplona, nell’anno 870, fu “rubato” appena dopo il parto da un Guevara, che lo nascose e lo protesse fino al momento in cui
poteva senza rischi salire sul trono del padre caduto in
battaglia.
Quindi possiamo ipotizzare che il capostipite della
famiglia fu un nobile venuto dalla Bretagna per cercar
fortuna in terra di Spagna. Per i Guzman ho parlato di
“cavaliere bretone” (ed infatti il loro stemma è simile a
quello della città di Nantes), per i Guevara dico invece
“venuto dalla Bretagna” e spiegherò dopo il perché.
Vediamo innanzi tutto quali carte abbiamo in mano
per collegarci alla Bretagna, a parte il menzionato proverbio medioevale. Prove indiscutibili non ci sono;
stiamo parlando infatti di un periodo oscuro, di cui
sono rimasti rarissimi documenti e le genalogie sono
rese difficili dal fatto che non esistevano i cognomi e
che i copisti non erano esenti da errori di trascrizione o
di traduzione. Si consideri inoltre che molti documenti
sono andati perduti nel corso dei secoli e che le famiglie
nobili potrebbero essersi “inventati” delle discendenze
illustri per rafforzare il prestigio della casata. Però il
“Libro del Becerro” (una pergamena del XIV secolo in
cui erano trascritti i privilegi dei vari monasteri) parla
dei Guevara come una delle più antiche famiglie della
Viscaglia, discendenti di Re; una cronaca del genealo-
Ischia - Torre di Guevara, anche detta
Torre di Michelangelo
gista Antonio de Barahona li indica come imparentati
con i duchi di Bretagna, mentre un manoscritto della
casa Guevara indica come capostipite un membro della
famiglia dei duchi di Bretagna, imparentata con la casa
reale di Francia, che nel 716 avrebbe fondato il castello di Alava. Il nome di questo antenato è riportato in
tale documento come Sancho Guillermo ed è evidentemente derivante dalla sostituzione del nome originario
(probabilmente Guiomarch) con uno che fa riferimento
alla parentela con il Re Sancho di Navarra.
In una iscrizione trovata nella torre, la data di insediamento del nostro “Guido” viene indicata come ..60. Si
legge l’anno ma non il secolo. Quale può essere la data
esatta? Se fosse corretta la data del 716 risultante dagli
annali della famiglia, si dovrebbe pensare all’anno 660.
Ma i mori hanno iniziato la loro invasione nel 711 e la
prima rivolta contro di loro è del 722. Dobbiamo dunque andare all’anno 760, quando la Spagna era quasi
completamente sotto il dominio mussulmano. Sappiamo che in quell’epoca in Francia i “maggiordomi” avevano appena tolto il trono ai “re fannulloni” e regnava
Pipino il Breve, padre di Carlo Magno. La Bretagna era
stata conquistata dai Franchi ed era retta dal paladino
Rolando (Hruodlandus Britannici limitis praefectus)
che sarebbe poi morto a Roncisvalle. Se accettiamo
questa datazione, allora - pur provenendo dalla Bretagna - il nostro Guido (ed il nome è ripetuto in più
punti della torre, quasi a sottolineare l’importanza di
quella indicazione) doveva essere un cavaliere franco
che, come riportano le carte di famiglia, era imparentato con la casa reale di Francia e con la famiglia del
famoso paladino, marchese di Bretagna. Quindi il “Dux
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
15
Britanniae” non va tradotto con Duca di Bretagna, ma
nel significato originario della parola Dux, cioè capo,
condottiero.
Un’altra osservazione riguarda la Bretagna, che potrebbe non essere la regione francese che ha questo
nome. Infatti quando iniziarono le invasioni dei sassoni
nell’attuale Inghilterra, la popolazione indigena (mescolata alle famiglie dei legionari dell’impero romano
che dominava la Britannia) scappò verso altri territori,
in particolare in Scozia, Galles e Cornovaglia, ma anche in Francia (la Bretagna) o in Spagna (la Bretogna,
in Galizia). Ma torniamo all’epoca di Carlo Magno e
dei suoi paladini.
A metà dell’VIII secolo, i franchi non avevano ancora il pacifico governo del nord ovest della Francia,
ed i bretoni si erano più volte ribellati ai re carolingi.
La conquista della “marca di Bretagna” si avrà con un
successore di Rolando, che ha un nome che ci risulterà
familiare: nella lingua dei franchi è Wido, in francese
Guy (de Nantes), in latino Guido, ed è il capostipite
di una famiglia, quella dei Guidonidi, dove il nome di
Guy - tipicamente franco - si alterna a quello di Lambert. Membri di questa famiglia erano i Vescovi Conti
di Treviri e tra i loro antenati ci sono vari santi (Warino,
Liutwino, Sigrada e Leodegario).
Quando era apparso per la prima volta quell’indicazione: “Guido, ducis filius” avevamo capito che si trattava di un nominativo e non di un dativo, quindi non si
doveva tradurre Guido (avrebbe dovuto essere scritto
Guidus) ma “Guidone”. La famiglia è quella dei Guidoni, in francese Widonides (o anche Vitton).
Ma era così prestigiosa questa parentela? Valutate
voi: i discendenti di Wido di Nantes passarono in Italia. Guido - figlio di Lamberto di Nantes, della famiglia
dei Guidoni - divenne Duca di Spoleto, ma suo figlio
Guido II fece davvero carriera: divenne marchese di
Camerino, poi nell’889 Re d’Italia ed infine - nell’891
- Imperatore del Sacro Romano Impero!
Le due scene, riemerse nel corso dell’ultima campagna di restauri che l’Accademia di Dresda sta svolgendo per conto del circolo Sadoul, rappresentano dunque
due momenti che la famiglia voleva ricordare per testimoniare la sua antica nobiltà.
La prima rappresenta - secondo la nostra interpretazione - la battaglia di Las Navas di Tolosa del 1212,
una delle più importanti battaglie della “reconquista”
spagnola, che aveva visto la partecipazione di Sancho
VII (della famiglia Jimenez, quindi dello stesso ceppo
dei Guevara) e di Ignigo Vela (antenato dei signori della Torre di Ischia).
La seconda scena potrebbe rappresentare l’addio tra
un “Dux Britanniae” ed un suo figlio che parte per conquistarsi un feudo in un paese lontano. Il fatto che si
sottolinei il nome Guido (ed è l’unico personaggio indi16 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
cato per nome e non per titolo) sembra volerne indicare
l’apparenenza alla famiglia dei Guidoni. Non abbiamo
trovato nessuna prova storica che dimostri un collegamento con la famiglia dei Guevara, ma probabilmente
qualche documento o tradizione orale poi dimenticata
forniva una qualche giustificazione per far ritenere che
tale legame fosse esistito. Certo vantare una parentela
con una famiglia appartenente all’alta nobiltà dell’impero carolingio, collegata ad una figura mitica, celebrata
ne “La Chanson de Roland”, e quindi conosciutissima
da ogni famiglia nobile europea, era un’opportunità che
non poteva non essere considerata utile in una società
-quale era quella della Spagna del cinquecento - così
puntigliosamente attaccata ai “quarti di nobiltà”. Se si
pensa che Rolando con il suo corno, Gano il traditore
ed i paladini di Francia sono ancora ricordati sui carretti
dei “pupi” siciliani, si può capire l’enfasi che i padroni
della torre hanno voluto dare a questi ricordi.
Del resto l’attribuirsi genealogie risalenti a tempi remotissimi era un’abitudine di cui non mancano esempi
illustri, a cominciare dall’Eneide. Un ulteriore esempio
ce lo propone Ludovico Ariosto, che fa discendere la
famiglia d’Este da Ruggero e Bradamante, l’uno nobile
arabo, l’altra guerriera cristiana della corte di Carlo Magno. Nell’Orlando furioso (a proposito, questo Orlando
è lo stesso paladino Rolando di cui dicevamo prima)
l’Ariosto parla ripetutamente di Ischia e della famiglia
d’Avalos, di cui descrive i fasti ed i meriti; come già
ricordato in altre occasioni, i d’Avalos possono essere
considerati come un ramo dei Guevara, derivando dallo
stesso ceppo ed avendone rafforzato i legami con continui matrimoni...
Per restare nel campo letterario - e concludere il discorso sui Guevara - vorrei ricordare che un Sancho
Guevara, vicerè di Navarra, è protagonista di una commedia di uno dei più grandi autori spagnoli: Lope de
Vega. Ne “La hermusura aborrecida” (la bellezza aborrita) Sancho detesta la moglie Juana, detta “la hermosura” di cui è invaghito il Re Ferdinando il Cattolico e
riceve pertanto l’ordine dalla gelosa regina Isabella di
Castiglia di riappacificarsi con la consorte. L’opera fu
oggetto di un rifacimento da parte di un avvocato napoletano (Carlo Celano) che però - avendo già avuto guai
per aver appoggiato Masaniello e non volendo avere
altri problemi con il Vicerè di Napoli (che era un Guevara) - ne fece un rifacimento con il titolo “Nelle cautele, i danni”. Per prudenza usò uno pseudonimo (Ettore
Calcolona) ed ebbe cura di cambiar nome al personaggio di Sancho, che chiamò “Capitan Fracasso”.
Poichè sia i restauri che le ricerche storiche continuano, torneremo sull’argomento quando ci saranno nuove
notizie da sottoporre al vaglio dei nostri concittadini.
Rosario De Laurentiis
Lacco Ameno – Villa Arbusto – Michele Bakunin
«La villa del duca d’Atri è situata sulla collina
dell’Arbusto e la natura e l’arte sembrano essersi riunite per far di questo luogo il punto più delizioso di
tutta l’isola. L’edificio corona un’altura di lava: densi
boschetti di castagni, di mandorli e d’altri alberi fruttiferi s'alternano con viti e aiuole di fiori».
Con questi termini la contessa Elisa von der Recke,
che nel 1805 la visitò in compagnia del poeta inglese
Tiedge Cristoph August, descrive la villa costruita, tra
il 1750 e il 1780, dal nobile abruzzese Carlo Acquaviva, duca d’Atri, ristrutturando un’antica masseria del
1600, nota come la «la masseria dell’Arbosto». L’incantevole posizione naturale aveva sicuramente spinto
il duca ad acquistarla e a farvi costruire due palazzi: la
propria dimora, composta di un pianterreno, una scalinata coperta per ascendere al primo piano, composto
di dieci vani, con accanto l’oratorio privato; la villetta
per gli ospiti, verso est, con otto piccole stanze. Lungo
il viale principale che congiungeva e ancora congiunge i due fabbricati, una chiesetta con sacrestia dedicata
alla Madonna delle Grazie e, a poca distanza, «una fu-
marola accomodata per uso di stufa», ma, secondo la
contessa der Recke, nessun estraneo poteva farne uso.
Il giardino, secondo la descrizione del 1798 di Francesco De Siano, sacerdote e medico di Lacco, «artefatto
nel masso della lava», era dotato d’una grande cisterna
sopraelevata per permettere una facile distribuzione
dell’acqua. Inoltre colonne ad intonaco bianco, coronate da «carusielli», cioè, pinnacoli maiolicati verde
bottiglia dalla caratteristica forma di salvadanai.
Friederike Brun, che visitò la villa nel 1796, rimase
incantata dal panorama e dalla frutta squisita, soprattutto dalle pesche che prosperavano nel giardino. Nello
stesso periodo era ospite del duca Antonio Acquaviva,
il geologo Scipione Breislac, professore di mineralogia
del Corpo Reale d’Artiglieria a Napoli, che gli abitanti
di Lacco soprannominarono «’u rompaprète».
Visitò la villa, nel 1798, anche la contessa Anna
Amalia di Sassonia Weimar e dalle terrazze dell’Arbusto rimase impressionata dalla vicinanza delle rocce
della lava di Zaro e di Monte di Vico con rigogliosi
giardini (Giovanni Castagna).
Michele Bakunin *
Ma la presenza che consegnerà alla Storia “Villa Arbusto” dell’Ottocento, fu quella di Michele Bakunin,
che durante i cinque mesi circa (maggio-settembre
1867) di permanenza, maturò in via definitiva la sua
vocazione sociale verso l’anarchismo, depurandola dai
residui di nazionalismo e troncando per sempre con il
marxismo. Fuggito nel 1864 dalla Siberia dove era stato deportato per le sue attività rivoluzionarie, si recò
prima a Firenze poi a Napoli, dove diceva di aver trovato l’ambiente politico a lui più consono a contatto
con il gruppo locale del Partito d’Azione. Dopo una
lunga villeggiatura a Sorrento con la poetessa tedesca
Ludmilla Assing - anche lei fuoriuscita per ragioni politiche - nel maggio del 1867 Bakunin si trasferì a Villa
Arbusto.
Già nel luglio dell’anno precedente era stato diversi
giorni nell’Isola d’Ischia, ma non si hanno prove che
avesse soggiornato a Villa Arbusto, piuttosto, molto
probabilmente, a Villa Pannella (Palazzo De Siano) a
Lacco Ameno. Lo si rileva da una lunghissima letterasaggio, datata Ischia, 19 luglio 1866 e indirizzata agli
amici Herzen e Ogarjow. Oltre a disquisizioni di ca* Testo di Nino d’Ambra pubblicato in Villa Arbusto – Lacco Ameno, Istituto Grafico Editoriale Italiano, Napoli 1989, volume edito
dal Comune di Lacco Ameno, in occasione della mostra di Antonio
Manfredi Working “in”… blue.
rattere strettamente politico, in essa si accenna anche
alla principessa Z. S. Obolenskaja, moglie dell’allora
Governatore Civile di Mosca e figlia del conte Ssumarokow, vecchio militare di carriera. Parla di lei con
grande rispetto e simpatia, esaltandone le doti di fermezza e le sue potenzialità rivoluzionarie. Dalle sue
espressioni già si intravedono i prodromi dell’idillio
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
17
che sboccerà tra i due l’anno successivo fra i roseti e i lunghi viali
ombreggiati dai gelsomini di Villa
Arbusto. Michele l’aveva incontrata
per la prima volta a Napoli e subito
aveva contratto con lei una profonda
amicizia.
La comune fede, la lontananza dalla terra d’origine, il rifiuto di vivere
nella società zarista che entrambi
disprezzavano, li aveva subito spiritualmente avvicinati. Ma non dovette essere una componente secondaria
l’indubbio fascino che la imponente
figura di Bakunin emanava sia come
uomo che come agitatore sociale.
Sta di fatto che la Obolenskaja, l’anno successivo, dopo aver lasciato il
principe consorte e i figli, raggiunse
Michele a Villa Arbusto dove rimase con lui fino a settembre. E se è
vero che il credo sociale di Bakunin
arrivò a piena maturazione proprio
durante il suo soggiorno a Villa Arbusto, la presenza della principessa
non dovette essere né superficiale né
fuorviarne, ma di vivificazione spirituale intensa, che solo la dedizione
autentica può generare. E la cornice
romantico-bucolica della Villa, tramandataci anche dai dipinti dell’epoca, dovette avere un suo ruolo di
amalgama nella vicenda.
Ai primi di settembre del 1867, Bakunin lasciò Villa Arbusto per Ginevra dove il giorno 10, con un gruppo
di democratici napoletani, partecipò
al congresso della “Lega della Pace
e della Libertà”. Quando entrò nella sala, il mitico abbraccio con Garibaldi che presiedeva l’assemblea,
mandò in visibilio il gran numero dei
congressisti, fra cui tanti italiani. E il
discorso che pronunziò al Congresso era stato preparato e approfondito
nella dimora di Villa Arbusto, con la
sua celebre espressione: «Guai alle
Nazioni, i cui condottieri ritornano
vittoriosi dalle battaglie. I lauri e le
corone dei vincitori si trasformeranno in strumenti di sofferenza per i
popoli!... Noi dobbiamo innalzare la
Giustizia umana al di sopra di ogni
interesse nazionale». Concludeva:
«Finché esistono gli attuali Stati
centrali, la pace generale è impos-
Bakunin, Michail Alexsandrovitc. Uomo politico russo (30 maggio 1814-Berna 1 luglio 1876). Trasferitosi in Italia vi fondò l’Alleanza internazionale della
democrazia socialista. Nel 1866-67 soggiornò a Lacco Ameno, ospite della principessa russa Olga Obolenskaïa, che aveva fittato parte di Villa Arbusto. Michail
organizzava escursioni, concerti e rappresentazioni teatrali, svolgendo il ruolo
di colui che negli alberghi svizzeri è detto “maître des plaisirs” e in Francia più
prosaicamente “animateur de collectivité”, come si legge in una sua biografia, in
cui tale periodo è esposto in un capitolo intitolato “Les délices d’Ischia” (18661867), pur aggiungendo che “la dolce vita” d’Ischia non gli impediva di ricevere
misteriosi emissari e di continuare a spedire una intensa corrispondenza in tutta l’Europa (Madeleine Grawitz, Bakounine, France, 2000); «… La princesse
(Obolenskaïa) avait loué pour l’été la moitié d’un hotel à Ischia, afin de loger
sa famille et ses amis. Les Bakounine en faisaient partie et Michel organisait
pique-niques, promenades en bateau, concerts et pièces de théâtre. Il dirigeait,
commandait, jouant le rôle de celui que dans les hôtels suisses on nomme si
joliment “maitre des plaisirs” et en France, plus prosaïquement, “animateur de
collectivité. Ischia représente une halte dans la vie difficile des Bakounine».
18 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
sibile. Noi ci dobbiamo augurare
la loro distruzione, affinché sulle
rovine di queste unità di strapotere,
che furono organizzate dall’alto in
basso col dispotismo e le conquiste, possano organizzarsi unità più
libere, organizzate dal basso in alto,
come libere federazioni da comuni a
province, da province a nazioni, e da
nazioni a Stati Uniti d’Europa».
Impegnato com’era Bakunin ad approfondire temi politici, nelle tre
lettere-saggio da lui scritte durante il
suo soggiorno a Villa Arbusto (7 e 23
maggio, e 22 giugno 1867) accenni
all’Isola d’Ischia non ce ne sono, né
al paesaggio né alla vita quotidiana.
Solo nella prima, fra l’altro, scriveva: «Ora siamo venuti a Ischia, dove
forse trascorreremo un mese o due
o anche tre e aspetteremo il denaro dalla Russia». Denaro che probabilmente non arrivò mai, ma che
poi per Michail Aleksandrovic non
dovette più rappresentare un problema con la presenza della sua ricca
compagna principessa Obolenskaja.
Da Villa Arbusto inviò anche delle
corrispondenze politiche che furono
pubblicate sul giornale napoletano
Libertà e Giustizia. Dopo e prima di
Bakunin, altri personaggi soggiornarono a Villa Arbusto, ma lasciarono
solo un nome, non un’impronta!
*
Il film liberamente ispirato dal romanzo di Stephen Amidon diretto da Paolo Virzì
Il capitale umano
di Carmine Negro
È notte fonda, vigilia di Natale, un cameriere da catering,
neanche più giovane, percorre la provinciale di una città brianzola per tornare a casa. La sua bicicletta fa fatica a
squarciare il gelido freddo della strada. In una curva cieca un
SUV che sopravanza spavaldo e sparato lo schiaccia lasciandolo agonizzante, vittima predestinata di un pirata anonimo.
Questo incidente diviene l’espediente grazie al quale narrare la vita di diversi personaggi appartenenti a due famiglie:
quella Bernaschi composta da Giovanni (Fabrizio Gifuni),
sua moglie Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) e il loro
figlio Massimiliano (Guglielmo Pinelli), appartenenti all’opulenza di un mondo legato alla speculazione finanziaria, e
quella Ossola, in cui Dino (Fabrizio Bentivoglio), compagno
di Roberta (Valeria Golino), psicologa, rappresenta un ambizioso e spregiudicato immobiliarista sull’orlo del fallimento.
La famiglia Ossola è completata da Serena (Matilde Gioli),
una ragazza legata sentimentalmente al figlio dei Bernaschi.
L’incidente entra nella vita di queste due famiglie con un
lento affiorare di indizi e dettagli che sembrano coinvolgere
Massimiliano, il figlio di quella più ricca, che abita nella villa che sovrasta il paese, e Serena, la figlia dell’altra, piccolo
borghese con aspirazioni di ribalta.
“an engrossing if anxiety-provking tale about two families
whose destinies are tied together by a road accident” (“…
un avvincente e ansiogeno racconto di due famiglie i cui destini sono legati insieme da un incidente stradale”1) Deborah
Young, Hollywood Reporter2
it dice di aver visto il film e di averlo molto amato. “La cosa
che più mi ha colpito è l’abilità con cui Paolo ha saputo trasportare la storia dal Connecticut alla Brianza. Ci è riuscito
perché credo si sia concentrato sulle relazioni umane e sui
temi più profondi del romanzo. Invece di girare un film sulle
caratteristiche peculiari di una certa regione, ha riflettuto su
argomenti fondamentali come la famiglia e l’avidità.”
“Capital” confirms Paolo Virzi as one of the more dynamic
directors on the peninsula, blending biting commentary with
expert narrational skills. (“Capital”, conferma Paolo Virzì
come uno dei registi più dinamici della penisola, mescolando il commento pungente con esperte capacità di narrazione5) Jay Weissberg Variety6
“All’origine di questo progetto c’è innanzitutto un vero
colpo di fulmine per lo splendido romanzo di Stephen Amidon, Human capital, ambientato nel decennio scorso in un
sobborgo residenziale del Connecticut. Quei personaggi,
quella vicenda, ci sono apparsi subito come emblematici
di questo nostro momento, anche in Italia: la ricchezza che
non trae origine dal lavoro, ma dalle più spregiudicate speculazioni finanziarie, le speranze mal riposte di elevazione
sociale, l’ansia procurata dal denaro, una generazione di figli
costretti a pagare il prezzo più alto in termini di felicità, a
causa della spasmodica ambizione dei loro genitori, o della
loro frustrazione”.3
Così parla del suo film Paolo Virzì nel giorno in cui viene
presentato nelle sale italiane. Ed il primo fans del film è proprio l’autore4 che in una intervista per la rivista cineforum.
In quella notte l’auto non si è fermata a soccorrere il ferito
e il giorno dopo la polizia ha cominciato a indagare. Mentre
la vita pian piano abbandona il corpo di quell’uomo in ospedale, scopriamo, attraverso i classici canoni del thriller, cosa
sia la vita per le persone i cui destini si sono incrociati quella
notte, su quella strada. Lo sconcerto che si prova andando a
guardare da vicino i protagonisti di un banale fatto di cronaca, che sul giornale locale avrebbe meritato poco più di un
trafiletto, consente di sviluppare il racconto dell’incidente da
angolazioni diverse. Il dispositivo di filmare la stessa scena
da diversi punti di vista è gestito con grande raffinatezza dal
regista. Il ripassare ogni volta per certi snodi narrativi arricchisce la storia di particolari, consente allo spettatore di
sentirsi coinvolto nella ricerca del colpevole. Dopo un prologo sull’incidente del ciclista il film si articola in quattro
“capitoli”, con i primi tre a caratterizzare i personaggi. Per
prima osserviamo la realtà sotto lo sguardo di Dino Ossola,
immobiliarista che la crisi ha messo in difficoltà. Chiacchie-
1 Deborah Young Human Capital (Il Capitale Umano): Film
Review Hollywood Reporter 14.01.2014
2 http://www.hollywoodreporter.com/review/human-capitalfilm-review-671023
3 Paolo Virzì Il Capitale Umano http://www.primissima.it/film/
scheda/il_capitale_umano/
4 Roberto Manassero “Una comunità unita dal denaro”
Intervista a Stephen Amidon, autore del romanzo “Il capitale
umano” 22 gennaio 2014 http://www.cineforum.it/Interviews/
view/Una_comunita_unita_dal_denaro
5 Jay Weissberg Tribeca Film Review: ‘Human Capital’ Variety
14 aprile 2014
6http://variety.com/2014/film/reviews/tribeca-film-reviewhuman-capital-1201157301/
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
19
a lei è richiesta solo accondiscendenza. Per far rivivere un
teatro fatiscente chiede aiuto senza successo al marito. Carla ha un breve flirt con il direttore artistico Donato (Luigi
Lo Cascio); Virzì include una scena esilarante dei due nella
sua home cinema a guardare “Nostra Signora dei Turchi” di
Carmelo Bene. Le pretese di Donato tratteggiano la supponenza e l’egocentrismo di certi intellettuali cosiddetti illuminati. Il terzo punto di vista è di Serena Ossola, la figlia di
Dino, la voce più autentica tra le tante pressate da apparenze
e ambizioni asfissianti. Vuole per sé l’amore vero che ricerca in Luca (Giovanni Anzaldo) artista inquieto. Un quarto
capitolo, a epilogo, chiuderà il tutto, svelando il mistero del
guidatore-investitore.
Paolo Virzì’s Human Capital borrows some elements from
American Beauty — unscrupulous or unloving fathers, philandering mothers, and somber daughters lusting after unstable boys — but is overall a far more searing, scathing
story of greed and familial self-destruction, told from multiple viewpoints.”7 (Il capitale umano di Paolo Virzì prende
in prestito alcuni elementi da American Beauty - padri senza
scrupoli o senza amore, madri insoddisfatte, figlie tristi alla
ricerca di un’atmosfera ragazzi instabili - ma nel complesso
è una graffiante e incandescente storia di avidità e autodistruzione familiare, raccontata da più punti di vista). Sam
Weisberg, Village Voice8
rone, accento lombardo, sorrisetto spesso inopportuno, inconsapevole delle barriere sociali Dino ha un bisogno patologico di essere considerato un pezzo grosso. Approfittando
della relazione della figlia Serena con il rampollo della ricca
e potente famiglia Bernaschi, aspira ingenuamente all’ascesa sociale e all’arricchimento facile. Gli apre la porta dello
scintillante mondo della finanza lo speculatore senza troppi
scrupoli Giovanni Bernaschi. Il secondo capitolo è dedicato a Carla, ex attrice dilettante, moglie di Giovanni e poco
più che un complemento nevrotico nella famiglia Bernaschi;
20 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Il termine “capitale umano”, termine legale che designa
il patrimonio netto della vittima di un incidente in una richiesta di risarcimento ci impone una domanda: ma qual
è il valore economico della vita di una persona? Il capitale
umano può rappresentare alternativamente il prezzo di una
vita, la somma di un’ora di lavoro dopo l’altra, oppure il
valore, unico e irripetibile, che possiede l’intensità dell’esistenza. Paolo Virzì nel suo film ha il merito di tematizzare
il doppio significato di questa espressione: di confonderla e
poi di scioglierla amaramente. E nei rapporti tra genitori e
figli sottolinea un mancato passaggio fra le generazioni, una
abdicazione di ruolo da parte dei genitori, incapaci o troppo
“indaffarati” per educare i propri figli.
Boris Sollazzo sul giornale “Il sole 24 ore” sintetizza bene il messaggio del film “Un thriller in cui una
morte diventa il prisma attraverso cui guardare una società senza pudori di sorta, un luogo in cui tutto è monetizzabile: un amore, una figlia, un teatro, una vita”9.
Con un avvincente costruzione e un perfetto gioco di squadra, il Capitale umano, sa raccontare con sapienza e capacità affabulatoria una faccia dell’Italia contemporanea, ma
soprattutto narrare “… di come il denaro, l’ansia di moltiplicarlo, l’angoscia di perderlo, determini la vita affettiva, il
destino, il valore delle persone10.
Carmine Negro
7
http://www.villagevoice.com/2014-04-16/film/tribeca-filmfestival-2014/
8 Sam Weisberg Tribeca Film Festival Offers Almost 100
Tough-Minded Flicks 16 aprile 2014
9 Boris Sollazzo Con «Il capitale umano» Virzì firma il suo
film più bello. - Il Sole 24 Ore -Giovedì 9 gennaio 2014
10 Paolo Virzì Il capitale umano op. citata
Sculture trecentesche
nel Museo Diocesano di Ischia
I PARTE
Monumenti
dei Taliercio
di Ernesta Mazzella
Nella preziosa collezione lapidea
del Museo Diocesano di Ischia è
custodita un’inedita e sconosciuta
scultura trecentesca il monumento
sepolcrale di Bornese Taliercio. La
storia, ovvero la “fortuna o la sfortuna”, di questo monumento è molto
interessante.
Dell’intero monumento è stato ritrovato solo una parte, esso fu tagliato verticalmente e reimpiegato nella
Cattedrale d’Ischia come soglia
del gradino dell’altare maggiore. Il
frammento venne alla luce durante i
lavori fatti eseguire nella Cattedrale
nel 1968-69 da Mons. Dino Tommasini.
L’opera è stata catalogata dalla
Soprintendenza nel 1985. L’autore
della scheda afferma che la scultura “apparteneva alla famiglia,
Bornese”1. Bornese in verità è il
nome del defunto, mentre il cognome è Taliercio. Di Bornese Taliercio
abbiamo poche notizie, che si ricavano dall’iscrizione frammentaria;
dall’armatura indossata pensiamo
che doveva essere un “miles”. L’iscrizione è in rilievo con caratteri
gotici a destra del defunto:
[…] EDIFICATA DOTATA P(er)
NOBILEM VIRU(m) (quon) DAM
BORNESE TALERCI […] - ([…]
Edificata e dotata dal nobiluomo
Bornese Taliercio […])
L’Ughelli scrive che nel 1392
Bornese Taliercio fece costruire
1 Catalogo della Soprintendenza di Napoli,
scheda della Cattedrale di Santa Maria
Assunta d’Ischia n° 33.
Sepolcro di Bornese Taliercio
Museo Diocesano di Ischia
il sacello di Santa Caterina nella Cattedrale, quando era vescovo di Ischia mons. Paolo Strina2.
Lo storico Camillo d’Ambra, riprendendo una notizia data dall’Onorato nel suo Ragguaglio istorico
topografico dell’isola d’Ischia3, ci
2 F. Ughelli, Italia Sacra sive de episcopis
Italiae, voll. 10, cura et studio di N. Coleti,
Venezia 1720, VI, p. 234.
3 V. Onorato, Ragguaglio istorico topografico dell’isola d’Ischia, Napoli, Biblioteca
Naz. Vitt. E. III, Fondo San Martino Ms. 439.
documenta che nel 1725 il vescovo
Giovanni Maria Capecelatro trasformò l’antica Cattedrale in stile
barocco: “si applicò ai restauri della Cattedrale per i quali, però, essa
perdette l’architettura originaria.
Forse l’intenzione era buona, ma
in effetti con l’esecuzione di quei
lavori si provocarono irreparabili guasti. Volendo barocchizzare la
precedente struttura, le colonne di
marmo che reggevano gli archi furono inglobate in tozze colonne di
fabbrica, fu svelto l’antico pavimento maiolicato e fu distrutto l’ambone
in mosaico facendo scempio di alcune fronti di sarcofagi i cui marmi,
segati longitudinalmente, furono riutilizzati per soglie e per gradini”4. Il giudizio espresso dall’Onorato
in merito ai restauri è stato più severo del d’Ambra infatti scrisse:
“L’innovazione fattasi dall’anzidetto prelato recò del pregiudizio
notabile, mentre si levarono delle
urne, de’ lavori musaici e de’ mausolei, che delle lapidi ed iscrizioni,
e si andiedero gettando per luoghi
ignobili e per campagne, dove si
osservano sin agli penultimi tempi,
oltre di quelli che furono secati ed
impiegati per incrocicchiare il pavimento. Quindi, esso prelato già che
volle fare la navata dovea tenere
cura ed attenzione di far conservare
e nelle navate e nelle officine della Cattedrale e dell’episcopio tutte
l’opere, e tutti li pezzi d’opera onde
s’avesse in ogni tempo potuto guardare l’occorrente della chiesa cattedrale, e la dimostranza de’ segni
e documenti della sua antichità”5.
A causa di quest’operazione poco
4 C. d’Ambra, Ischia tra fede e cultura,
Edizione Rotary Club isola d’Ischia, A. C.
M. stampa Torre del Greco 1998, pp. 92-9
5 V. Onorato, Ragguaglio istorico topografico cit., f 142v.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
21
accorta furono scompaginati i sarcofagi che si trovavano lungo le
pareti, le lastre terragne nel pavimento della chiesa e i marmi furono riutilizzati per uso di soglie o
di gradini. Quando, nel primo decennio dell’800, fu abbandonata la
Cattedrale antica, i canonici fecero
trasferire nella chiesa di Santa Maria
della Scala, nel borgo di Celsa, tutti
quei marmi che poterono svellere e
li riutilizzarono per ricostruire nella
nuova cattedrale l’altare maggiore, il battistero e il trono vescovile.
La scultura del Taliercio, dunque
proviene dalla Cattedrale del Castello. Essa per molti anni è stata
collocata in un deposito annesso
alla sagrestia dell’attuale Cattedrale, in seguito trasferita nel Museo
Diocesano. La provenienza la si
può ricostruire grazie alla breve
iscrizione superstite ove si legge il nome di Bornese Taliercio.
L’Ughelli, come già detto, documentò il sepolcro e l’iscrizione. Nel Ragguaglio l’Onorato
trascrisse in diversi fogli l’iscrizione di Bornese Taliercio:
“Esisteva ancora nel medesimo
Castello la nobile famiglia Talercia, oggi detta Talercio e Taliercio,
della quale la seguente iscrizione
si leggeva nella Cattedrale: Haec
Capella edificata et dotata fuit per
nobilem virum quondam Bornese
Talaricium ubi jacet” e vi aggiunge
“si leggeva” 6. È chiaro, quindi, che
la tomba non era più in loco già nella prima metà dell’800. Aggiunge
nel foglio 151v: “Aedificatum fuit
sacellum divae Catharinae in cattedrali a Bernese Taliercio nobili viro.
In lapide vero: Haec capella edificata, et dotata fuit per nobilem virum quondam Bernese Taliaricium
ubi jacet. … Cotesta cappella è sita
nel fondo della terza navata, a destra, ma nel quadro ci era ben vero
la figura di san Lorenzo. In essa li
signori Cossa ci vantavano iusso e
6 V. Onorato, Ragguaglio istorico topografico, ff. 122v-123 r.
22 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
l’arcivescovo di Brindisi, forsi ultimo di tale famiglia, ne fece cessione
a beneficio de’signori De Manso, di
cui feci parola.”
La scultura è la parte residua del
monumento sepolcrale della tipologia terragna7 di Bornese Taliercio,
opera di uno scultore della seconda
metà del XIV secolo. Questo genere di tomba è più importante della
semplice lapide epigrafica, grazie al
suo carattere personalistico, ma minore rispetto al sepolcro parietale.
In genere, ma non sempre, questo
tipo di tomba è riservato alla nobiltà
“minore”, in quanto era una tomba
economica. Il defunto è rappresentato giacente supino con le mani
incrociate sull’addome. Scolpito
all’interno di un edicola poggiante
su colonna con capitello fogliaceo.
Indossa un’armatura formata da
una maglia metallica a metà coscia
e un surcotto e porta una cintura
bassa da cui pende la misericordia
con semplice impugnatura. Alla
gamba ha cosciale e ginocchiera,
al braccio bracciale e gomitiera8.
L’abbigliamento del milite è caratteristico degli anni settantaottanta del Trecento; tra i possibili riscontri si ricordano le effigi
di Roberto d’Artois (†1383) in
San Lorenzo Maggiore, del milite
Tommaso (†1380) nell’Incoronata a Napoli e quello dell’Abbate nel Museo della Casa del Sole
del castello Aragonese ad Ischia9.
I ritratti dei gisant distesi sulle arche o nel pavimento e le immagini
raffigurate sulle fronti delle arche ci
7 Cfr. E. Mazzella, Sculture trecentesche
nel Castello di Ischia, in “La Rassegna
d’Ischia”, 1, 2011, pp. 6-10; Tipi e forme
della scultura funeraria a Ischia in età
angioina, in “Ricerche Contributi e
Memorie”, Centro Studi d’Ischia, vol. IV,
in c.d.s..
8 L. G. Boccia, L’armanento difensivo, in
Enciclopedia dell’Arte Medievale, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da
Giovanni Treccani, Roma 2000, II, p. 465.
9 E. Mazzella, Sculture trecentesche nel
Castello cit., pp. 6-ss.
Sepolcro di Tommaso Abbate
Ischia - Castello aragon., Museo del Sole
offrono un campionario della moda
del’300, che è parte viva e integrante dell’espressione artistica. Le modificazioni del costume maschile
forniscono inoltre allo studioso preziose indicazioni anche ai fini della
datazione del monumento. Sul piano stilistico per quello che si scorge
si tratterebbe di un’opera di qualità
corrente.
Nella stessa cappella vi era il monumento sepolcrale di Antonio Taliercio del 1400, attualmente conservato anch’esso nel Museo Diocesano10.
Del monumento sepolcrale di Antonio Taliercio11 si conserva la fron10 Guida al museo diocesano di Ischia,
Grafiche Somma Industria Poligrafica, Castellammare di Stabia 2002, pp. 18-19.
11 Cfr. G. Alparone, Sculture del Medio
Evo ad Ischia, in “Ricerche Contributi
Sarcofago della famiglia Taliercio - Museo Diocesano d'Ischia
te del sarcofago. Questa tipologia
sepolcrale è costituita dal sarcofago
pensile su colonne con la fronte e le
testate scandite da sculture. Essa è
d’origine toscana ed è trasmessa alla
corte angioina dal grande Tino di
Camaino. Sul coperchio leggermente spiovente porta raffigurata l’immagine del gisant a bassorilievo.
Quest’ultima variante del gisant è
molto interessante, perché è il risultato di una contaminazione di tipologie: la struttura duecentesca, probabilmente creata da Nicola Pisano,
in seguito adottata da Giraldo da
Como, diffusa poi nel Meridione da
Tino, si coniuga poi con l’effigie del
defunto, che è un retaggio d’Oltralpe,
già adottato per gli alti ecclesiastici
a Roma dagli scultori Pietro d’Oderisio e Arnolfo di Cambio12. Esempi
di questa tipologia sono le tombe di
Dialta Firrao e Letizia Caracciolo in
San Domenico Maggiore in Napoli.
Il Taliercio13 era sostenitore degli Angioini contro gli Aragonesi e
dovette vedere decadere ben presto
il suo prestigio; infatti fu costretto all’esilio e ne fa testimonianza
lo spazio vuoto sulla tomba, difatti
aveva fatto scolpire il suo nome e i
e Memorie”, atti relativi agli anni 19441970, Centro di Studi d’Ischia, I ed. 1971,
ed. cons. Tipografia A. Cortese, Napoli
1984, pp. 391-397.
12 S. Colucci, Sepolcri a Siena tra Medioevo e Rinascimento, Edizioni del Galluzzo,
Firenze 2003, p. 129.
13 Biblioteca Antoniana Ischia, Ms., Al
Signor Tenente Colonnello N. N. in nome
de’ Patrizi della città d’Ischia.
suoi titoli nobiliari, lasciando lo spazio per aggiungere la data di morte.
Quello spazio è rimasto vuoto, prova che il Taliercio non ha compiuto
i suoi giorni nell’isola d’Ischia. Nel
1423 Ischia era divisa in due fazioni: l’una faceva capo a Michele
Cossa, l’altra a Cristofaro Manocio,
con il quale si schierò la famiglia
Taliercio e la Monti. Poiché la regina aveva concesso in pegno l’isola
a Sergianni Caracciolo, a copertura
di un prestito ricevuto di 2000 ducati, il Cossa si schierò a favore di
Alfonso d’Aragona. I Taliercio al
tempo degli angioini furono tra le
famiglie più illustri. Avevano vasti
possedimenti sul Castello, nell’isola
in un territorio chiamato Cufa14. Un
Bartolomeo Taliercio aveva lo ius
patronato di una cappella nella chiesa degli agostiniani di Santa Maria
della Scala15, nel borgo di Celsa ai
piedi del Castello, oggi attuale cattedrale16.
La più antica attestazione relativa
alla tomba di Antonio Taliercio è
anch’essa nell’opera dell’Ughelli.
Lo storico documentò il sepolcro
nella cappella di Santa Caterina nel14 Archivio della diocesi d’Ischia, Platea
corrente dei beni del convento agostiniano
di Santa Maria della Scala d’Ischia, XVIII
secolo, f. 359 r.
15 Cfr. A. Lauro, La chiesa e il convento
degli Agostiniani nel borgo di Celsa
vicino al Castello d’Ischia, in “Ricerche
Contributi e Memorie”, cit., pp. 651 – 67.
16 A. Di Lustro, Ecclesia maior insulana.
La Cattedrale d’Ischia dalle origini ai nostri giorni, Punto Stampa, Forio 2010.
la Cattedrale sita sul Castello Aragonese, e trascrisse l’iscrizione. Ed
aggiunse che nella stessa cappella vi
fu sepolto Bornese Taliercio, come
già detto17. L’Onorato nell’800 confermò la stessa ubicazione del sepolcro ed aggiunse: “Nella Cattedrale,
e nella navata a mano dritta, esisteva tale cappella, e propriamente
nel fondo e con pittura continente
l’Annunciata e Santa Caterina. Gli
ultimi Cossa vantavano tale diritto su la detta Cappella di Santa
Caterina”18. L’Algranati nel 1930
colloca la lastra murata “a sinistra
dell’altare nella cappella del seminario d’Ischia”19 successivamente
la cappella è stata trasformata ad ingresso per il Palazzo del Seminario.
Oggi conserva ancora la medesima
ubicazione e fa parte della collezione lapidea del Museo Diocesano.
La lastra costituiva la parte
frontale di un sarcofago con gisant
ad altorilievo. La tipologia dell’arca
con medaglioni figurati fu documentata per la prima volta a Napoli nel
monumento di Caterina d’Austria
in San Lorenzo Maggiore (circa
1324)20. Il monumento di Antonio
17 F. Ughelli, Italia Sacra sive de episcopis
Italiae, voll. 10, cura et studio di N. Coleti,
Venezia 1720, VI, p. 234.
18 V. Onorato, Ragguaglio istorico cit., f.
123 r.
19 G. Algranati, Ischia, I ed., Istituto
italiano d’arti grafiche, Bergamo 1930,
ed. cons. a cura di Ilia Delizia, Editore
Tommaso Marotta, Napoli 1994, p. 79.
20 F. Aceto, Tino di Camaino a Napoli.
Una proposta per il sepolcro di Caterina
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
23
Ragguaglio istorico topografico
dell'isola d'Ischia
Paliotto dell'altare maggiore
Arciconfraternita di S. Maria di Costantinopoli
Taliercio non è un capolavoro, ma una stanca ripetizione di modelli noti e comuni della ricca produzione funeraria napoletana. La condotta del rilievo è alquanto
dura, la stilizzazione delle figure raggiunge esiti quasi
grotteschi nelle posture e nelle fisionomie. Probabilmente l’artista si è ispirato al sarcofago della famiglia Assante, in origine sul Castello Aragonese, oggi
smembrato, i cui medaglioni sono stati divisi, alcuni
adornano l’altare del Crocifisso nel Santuario di Santa
Maria del Soccorso in Forio e il medaglione centrale
del sarcofago è nel paliotto dell’altare dell’Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli in Ischia.
La fronte del sarcofago è scandita da tre clipei modanati, contenenti al centro la Madonna Regina col
Bambino, a mezza figura fiancheggiata alla sua destra da santa Caterina d’Alessandria, e a sinistra da
sant’Antonio Abate. Negli spazi di risulta ai lati della Madonna in alto sono rappresentati due angeli, in
basso due oranti raffigurati in ginocchio. Gli angoli
sono occupati dagli stemmi della famiglia Taliercio,
formati da uno scudo appuntato interzato in banda21.
Sulla fronte è vergata in rilievo l’epigrafe continua in caratteri gotici, nell’incipit del margine superiore è scritto: † [HIC IACET] CORPUS NOBILIS
VIRI ANTONII TALERCII DICTI INBRICII ET
FILIO(rum) SUO(rum) QUI OBIIT nel margine inferiore: ANNO D(omi)NI M CCCC … DIE … M(en)
SIS … QUO(rum) ANIME REQUIESCANT IN
[PACE] AMEN (†Qui giace il corpo del nobiluomo
Antonio Taliercio, detto Inbricio, e dei suoi figli, il
quale morì nell’anno del Signore 14…, nel giorno…,
del mese …, le loro anime riposino in pace amen).
Ernesta Mazzella
d’Austria e altri fatti angioini, in “Dialoghi di Storia dell’Arte”,
1, 1995, p. 10.
21 Cfr. G. C. Bascapè – M. Del Piazzo, Insegne e simboli.
Araldica pubblica e privata medioevale e moderna, Editrice
Felice Le Monnier, Roma, 1983.
24 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Si pubblica, su concessione del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali, il testo del
manoscritto adespoto identificato come "Ragguaglio istorico topografico dell'isola d'Ischia",
conservato presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Napoli, Fondo S. Martino, ms
439, ritenuto, secondo quanto scrive A. Lauro
(1970), «degno di attenzione da parte di chi si è
interessato alla storia d'Ischia negli ultimi trenta
anni».
Ma «le conclusioni alle quali sono pervenuti i
diversi studiosi, dopo esame più o meno diligente di esso, non sono concordi sul valore, sul tempo della compilazione, sull'autenticità dell'opera» (A. Lauro1).
Rimandando ad altra occasione il riferimento
specifico a coloro che hanno voluto ricercarne
e valutarne gli aspetti controversi sopra indicati,
diciamo che il manoscritto è diviso in tre parti
con i seguenti titoli:
1) Ragguaglio istorico topografico dell'isola
d'Ischia (fogli1-101).
2) Ragguaglio istorico topografico del castello
d'Ischia (fogli 102-129).
3) Ragguaglio istorico ecclesiastico d'Ischia
(fogli 130-174).
Trascrizione del testo di
Giovanni Castagna
Parte VI
Ragguaglio Istorico Ecclesiastico d'Ischia
Precedenti inserti
n. 3 giugno/luglio 2013
n. 4 agosto/settembre 2013
n. 5 ottobre/novembre 2013
n. 6 dicembre 2013
n. 2 aprile/maggio 2014
1) Lauro Agostino, A proposito di un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Archivio storico per le Province napoletante, terza serie, anni VII-VIII - LXXXV-LXXXVI dell'intera
collezione, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1970.
Ragguaglio istorico ecclesiastico
dell'isola d'Ischia
VI
Nel comune di Casamicciola, in dove ci fu sempre il
lavorio della creta, che pure dell’Alume, oltre le tante acque minerali, prima del 13 secolo aveva de’ molti abitanti,
e del clero; In fatti all’orché avvenne l’eruzione vulcanica delle cremate, o sia dell’arso, il popolo col clero formalmente nel tempiuccio di Santa Restituta si condusse,
affine d’implorare grazie, onde si venisse esentatto dal
flagello, e dalla calamità, e tale processione in memoria
del funesto avvenimento, e delle grazie ricevute il popolo
col clero prosiegue costantemente a fare celebrare nel 2°
giorno di Pasqua; e contro l’opposizione si have sostenuta
la costumanza.
Se ci era parrocchia effettiva, o chiesa parrocchiale in
esso comune, non ci è veruno lume, se non che si sa di
certo, che nello spirituale, nello giudicare, e nell’amministrare si stava soggetto alli rispettivi governi, che esistevano nel Castello; Quello, che con raggionevole congettura si rileva, che coll’andare del tempo moltiplicandosi
la gente ne’ comuni di Casamicciola, e del Lacco, si fu
nella condizione di costruirsi una chiesa parrocchiale, la
quale si denominò l’Annunciata, e si situò in un confine
de’ sudetti due comuni, che avesse potuto somministrare
li sacramenti e le occorrenze spirituali a tutti due li popoli
ad eguaglianza.
Per tanto Casamicciola essendosi in maggior modo
moltiplicata, e la gente via più dispersa per il suo ben lungo, e disteso territorio, si dovè venire a formare una parrocchia, ed una chiesa parrocchiale, siccome fu costruita
sotto il titolo della Maddalena, la di cui erezione conta
molto poco: Anzichè nella stessa non essendoci notizia,
e comparenza di chiesa antica, e diruta, si rileva in essa
comune non esserci stata, né antica parrocchia, né antica
chiesa; e forsi gli antichi per le cose sacre facevano uso di
qualche Cappella; e ciò prima della detta chiesa parrocchiale, che fu costruita tra gli additati due confini.
Li libri parrocchiali di Casamicciola benvero fanno evidentemente conoscere l’erezione della parrocchia essere
di ben poche centinaia di anni. La parrocchia è della comune, ed il Parroco è di nomina degli Amministratori.
Nella chiesa parrocchiale della Maddalena ci è un distinto quadro di essa Santa: Opera insigne del Cavaliere
Farelli, ammirabile per il disegno, per il bel colorito, per
il risalto, e per la bellezza: come della stessa mano è il
quadro del Rosario.
L’anzidetta chiesa è ben grande, e di buon’architettata
costruzione.
La congregazione di San Francesco Saverio, eretta dal
Padre Francesco di Gironimo, contiene una pittura di esso
Santo della mano, e del pennello del celebre Muto.
La Cappella di San Rocco have il quadro della Vergine
del gran pennello di Giordano.
La congregazione detta Oratorio della Pietà, in cui sono
ascritti moltissimi fratelli di quella popolazione, tiene una
segnalata, e cospicua opera del Vaccaro, divisante il Divin Redentore deposto dalla Croce.
Ci è di più la Cappella dell’Anime purganti.
Esiste ancora un bel tempiuccio dedicato a Santo Antonio, bentenuto, e ben servito da un Cappellano salariato.
Nel distretto d’essa comune ci è benvero un bel tempio
della Casa Corbera dedicato a San Pasquale; in cui si fanno delle funzioni compite ecclesiastiche, ed in dove s’incontrano l’occorrenze spirituali della gran gente dispersa
nel luogo denominato li Cittadini.
Per la via della stessa comune si osservano ancora più
cappelle con altari, che anticamente prestavano l’occorrenza della messa a vicini, ed a viandanti.
Quanto sin ora si è descritto, fa rilevare, che tutte le
opere di tale comune sono da poco tempo costruite; ed in
essa, all’infuori di alcune buone pitture di tempo fresco,
non ci è stato, e non ci è qualsiasi menomo monumento,
che avesse fatto ravvisare idea di antichità, o di cosa memorabile: solo in certi luoghi si sono scoverti de’ gran ziri
dinotanti antichità.
Nella mentovata comune esiste benvero la grande pia
publica opera del Monte della Misericordia di cui si è
scritto distintamente nel ragguaglio dell’Isola, e sotto il
titolo, ed epigrafe di Casamicciola.
La chiesa parrocchiale del Lacco posta tra confini delli due accennati comuni, a quali ne’ primi tempi soleva
prestare lo spirituale servizio, rimase solo per uso degli
abitanti del Lacco.
La stessa dappoi venne ridotta ad essere di molto distante dal corpo dell’abitazione, e nello stato di diruta, e
di quasi cadente per un so chè di antichità veramente della
sua costruzione di fabrica.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
25
Causa per cui pochi anni sono a ragione ben calcolata
l’intendenza, e la sottointendenza particolarmente presero gli alti, e risoluti espedienti di far passare il parroco
co’ sacramenti, e co’ sacramentali nella bella e benfatta
chiesa del Rosario sistente nel mezzo, e nel vicino della
popolazione di esso comune, in dove il parrocco fa le sue
funzioni parrocchiali spirituali. Nella stessa il governo
amministrativo per effetto di particolare dritto del comune, e del popolo ci aveva, e ci ha della giurisdizione;
per cui il publico erario somministra l’occorrente e per il
mantenimento, e per il sostegno.
Il Parroco è di nomina di tutta la famiglia Monti; ed è
il più proprio, ed aggiato per la rendita tra tutti li parrochi
dell’Isola: Have belli territori vignati la parrocchia.
In mezzo alla spiaggia, e seno di esso comune, ed in
dove al presente ci è del molto abitato, esiste un bel tempiuccio, attualmente non ben tenuto in vero, di speciale
spettanza della famiglia Monti. Opera costruita dal Signor Sebastiano Monti nel secolo 17, il quale in tale utile,
e vantaggiosa costruzione da vicini, e congrui soffrì delle
grandi, e forti opposizioni; e forsi all’effetto non ci sarebbe arrivato, se non fusse stato per il gran mezzo, per la
massima autorità, e per l’eloquenza, e cristiana persuasiva dell’immortale Monsignor Rocca, che mettendo pace,
e seminando le massime di Dio; fece venire al desiato fine
l’enunciata opera; la quale sta sotto il titolo di….
Tra la campagna di tale comune ci è ancora alcuna cappella, che dà, ed apporta utile, e comodo alla gente per
essa dispersa.
Ne’ succennati luoghi più niun monumento si è rinvenuto, o pure, che ci fusse stato, e ci fusse, il quale avesse potuto far rilevare dell’antichità, o taluno confacente
lume; Anzichè nè meno si è potuta tenere notizia di qualche illustre pittura: Solo nel tempiuccio de' Monti si osserva una statuetta di marmo bipalmare ritrovata a caso
tra scavi, che si fece riputare per un’ercole.
Ciò che fa distinguere cotal comune, onde può andare
trionfante, e altero, è il tempiuccio dedicato a Santa Restituta, edificato ne’ troppo rimoti, ed antichi tempi: costruzione che in se stessa, e per se stessa, come in vigore
di una costante tradizione porta, e dimostra tutti li veri
caratteri dell’antichità, è formata in quel luogo allora si
chiamava Eraclio.
In questo luogo appunto la buona donna Lucina seppellì, ed ascose, la vergine, e martire Santa Restituta, siccome uniformemente colla fedele tradizione lo contestano
li diversi antichi codici describenti gli atti della Santa: È
vero che molte memorie, e leggende della chiesa fanno
intendere, che Lucina nell’additato luogo vi fece erger
una memoria in forma di tempiuccio, ma quello si osserva attualmente dà a divisare essere opera costruita verso
la fine del quinto, o principio del sesto secolo; il quale in
sé racchiude il caro pegno, e tesoro della Santa.
26 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Gli antichi divisavano il sito a mano sinistra, in dove
verso l’altare, e sopra la piccola paraustrata si volta l’arco, ivi, e dove si osservava una rozza lapide con alcune
parole, e lettere fratte, che non danno a dinotare verun
significato, o intelligenza, dicevano essere recondito il
sacro Tesoro.
Le favolette inventate della venuta di Costantino il
Grande Imperatore in Napoli, della cura, e della pena si
prese per fare trasportare le sacre reliquie nella basilica
da esso a tale uopo costruita, che la gloria fama de’ gran
prodigi, e miracoli da Dio operati nel sepolcro della Santa, danno evidentemente a significare, che li cittadini di
Napoli con ansia somma le desideravano; Pertanto ad
oggetto di evitarsi ogni attentato, ed aggressione gli abitanti del Lacco con savio consiglio trattarono di levare
ogni indizio, e notizia, che poteva individuare l’esistenza
del corpo della Santa in uno speciale luogo, e sito; e così
la lunga tradizione fece poi cancellare la prima effettiva
memoria; onde al presente se ne congettura il particolare punto dell’accennato sito, e luogo nel dato spazio del
tempiuccio, salvo sempre però l’intiero spazio, ove è di
somma certezza esistere il sacro Corpo.
La gran divozione di tali abitanti, e di tutti gli isolani,
che ancora delle città vicine, il gran concorso degli stessi
nel riferito santuario per venerarsi il corpo della Santa, le
antiche processioni per implorare le grazie in tempo di
publiche calamità, gli antichi nomi apposti sempre alle
donne isolane nel battesimo, il publico attestato degli antichissimi, e odierni governi dell’Isola per unica Padrona, e protettrice di tutta l’isola, e de’ particolari comuni
dell’isola, ed infine la ferma credenza, la costante tradizione, gli atti della Santa, taluni scrittori, che di proposito
si sono impegnati su l’assunto, e l’antichissima lodevole
canonica prattica, e consuetudine di non farsi sotterrare,
e di non sotterrarsi, e seppellire giamai nel sudivisato, ed
enunciato tempiuccio cadaveri de’ cristiani, e di qualunque grado, e condizione essi fussero, e sarebbero stati,
patentemente fanno conoscere, e rilevare esistere con effetto il sacro pegno, e il sacro corpo della Santa Restituta
vergine, e martire nell’additato tempiuccio, luogo unicamente inteso, e nomato Eraclio, indi, e da rimoto tempo
Santa Restituta.
A cotale antichità, e verità ci si unisce un’iscrizione incisa in una tavola di marmo situata, ed apposta al muro
destro di esso tempiuccio, che attacca all’arco, ed all’entrata dell’altare, della quale situazione non ci è affatto memoria, né notizia di tempo; Però tale iscrizione essendo
composta in lingua veramente latina, ed in tempo, che
correva ancora la purità delle iscrizioni, e degli adattati
vocaboli latini, fa divedere, e conoscere di essere composizione o della fine del terzo secolo, o del principio del
quarto:
Anziché lo stesso nome proprio non usato, né inteso nel
propagamento della cristianità fa confermare l’intelligen-
za, e la verità del tempo rimoto, ed antico dedotto. L’iscrizione è la seguente.
M E M O R IAE
SALLVVIAE
N E V I L LAE
F I LIAE
PIENTISSIMI
PAR E N T E S
Si nota, che se nel tempiuccio della Santa si permetteva
l’apposizione di un marmo, tutta volta era con fermezza negato il seppellimento di qualunque sia soggetto, per
dimostrarsi una perfettissima venerazione verso l’insigni
reliquie della Santa; e se taluni per la cordiale divozione
verso la stessa si volevano accostare verso il tempiuccio,
venivano seppelliti in un cimitero costruito all’aria aperta
avanti la porta del medesimo.
Pertanto avanzando sempre la divozione de’ fedeli, e
con essa il concorso degli stessi da per ogni dove, affine di visitare la Santa, siccome avanzarono le solenni
funzioni, e con tale pompa, onde l’Imperatore Carlo V
fu mosso per il maggiore splendore ad accordare la fiera,
e le nundine, o sia l’immissione de’ generi da vendersi
coll’esenzione de’ pesi nel giorno della festività del 17 di
maggio, che prima, e dopo ancora; e la gran moltitudine, e la gran concorrenza non potendo tenere comodo nel
tempiuccio gli accennati divoti, e fedeli s’impegnarono,
e si cooperarono a far costruire immediatamente attaccata al tempiuccio una piccola bella basilica, di modo,
che un di lui lato forma buona parte della stessa, per cui
si entra ancora nel medesimo tempiuccio, e con disegno,
che siccome la porta dell’entrata dell’istesso corrisponde
all’Est, e l’altare maggiore al Vest, nella medesima forma
corrisponde la nuova basilica.
In essa ci venne situata l’immagine della Santa assai
bene scolpita, e colorita in legno; ed acciò il culto fusse
mantenuto con ogni attenzione, de’ predetti due tempii se
ne incaricò la cura alli frati del Monte Carmelo, o sia ordine Carmelitano, che dimesso, venne costituito un Rettore.
Cotale opera esiste al piano di sotto al monte di Vico,
che riguarda l’Est, e il Sud; è poco distante dal luogo detto alle rive, e proprio da quella parte dello stesso monte,
che mira il vest.
Sì nel conventino, e sì nell’anzidetta basilica non si osserva il menomo monumento, che recasse distinzione, o
curiosità, o ammirazione.
Il Baronio nelle note al martirologio romano assenta,
che in Napoli, ed in Cartagine vennero eretti dei tempii
in onore della Santa: Ma quanto avrebbe l’uomo dotto
scritto assai meglio, se avesse notato, che un tempio fu
eretto nell’isola d’Ischia, e propriamente nel Lacco, dove
arrivò per divina provida disposizione il Sacro pegno, ed
ove si conserva: Mentre per Napoli si disdice lo scrittore,
e fa intendere di avere abbagliato: Per Cartagine poi è
certo, che né monumento, né scrittore lo fa rilevare, come
non lo dice, e non fa intendere. Solo in Sicilia ci è pittura
antica, e ci è speciale memoria in quel martirologio.
Dal descritto luogo, e confine per una tirata di via carozzabile costruita su l’altura di una lunga, larga, antichissima, terribile, e spaventevole vulcanica eruzione si và
ad uscire, e calare ne’ tenimenti, e nella giurisdizione del
comune di Forio, il quale siccome contiene una lunghissima, larga, distesa, e ferace pianura tendente sin al confine di Serano, e Fontana nomato il Ciglio, così contiene un
maggior numero d’industriosi abitanti al disopra di ogni
altro comune dell’isola, abbenchè fusse stato l’ultimo ad
abitarsi.
Sicchè calatosi ne’ tenimenti di Forio s’incontra una
chiesa molto bella dedicata alle Anime del Purgatorio di
totale padronato della famiglia Ascia; come verso il mare,
ed in totale vicinanza della cennata eruzione, un’altra bella chiesa amministrata da un Romito; e sì l’una, che l’altra somministrano tutto il comodo, e servizio spirituale
agli abitanti dispersi per quelle campagne. La seconda
chiesetta è dedicata alla Madonna di Monte Vergine, il
di cui quadro originale sistente nel dimesso monastero di
Montevergine ne’ tenimenti di Avellino si vuole traslato
da Costantinopoli.
Immessesi nell’abitato di Forio, si trovano due chiese
parrocchiali: una sotto il titolo di San Sebastiano, e l’altra
sotto il titolo di San Vito: le quali sono di attinenza del comune; e li Parrochi sono di nomina degli Amministratori.
In esse, e fin dal tempo delle di loro istituzioni ci erano
due rispettivi parrochi, che rispettivamente tenevano, ed
usavano la cura sopra quelli naturali parrocchiali a medesimi tra confini assegnati.
Da pochi anni a questa parte per effetto di nuova disposizione spirituale li due parrochi si sono ridotti ad uno
solo; e colla condizione, che nelle due chiese parrocchiali
standosi destinati due sacerdoti economi per la rispettiva
amministrazione de’ Sacramenti, e cura, dipendenti però
essi sempre dal Parroco, il medesimo è passato a fare le
funzioni parrocchiali, e ad amministrare la cura, e le cose
spirituali della comoda, atta, e bella chiesa, che esiste al
centro dell’abitato, nominata Santa Maria di Loreto.
Si nota, che in appresso il tutto venne cambiato, e ridotto all’antico primiero stato; onde nelle due parrocchie sistono due Parrochi, ed in esse antiche chiese parrocchiali
li due Parrochi esercitano distintamente le di loro funzioni, e spirituali amministrazioni.
Cotale chiesa è laicale, è ricca, e viene amministrata
puntualmente da quattro economi amministratori del comune, i quali hanno ancora la cura, e l’amministrazione
delle rendite di un luogo che pota il nome di ospedale.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
27
L’istituzione delle parrocchie di Forio è l’ultima de’ comuni dell’isola.
Al lato di Santa Maria di Loreto ci è una gran cappella
d’istituzione laicale per uso di confraternita.
Nel medesimo abitato s’incontrano due altre chiese sotto li titoli di San Gaetano, e di Sant’Antonio Abate, che
per le cose sacre, e per la celebrazione delle messe danno
ancora comodo a quelli naturali.
Un poco fuori l’abitato ci è la chiesa di San Francesco
di Assisi, amministrata, e servita da Frati di tale ordine
con ogni possibile cura, attenzione, e pulizia; e che presta
del gran comodo, e dell’opportunità spirituale ad essi naturali.
In tutte le divisate chiese, forsi nulla ci è di raro, di distinzione, e di ammirazione, e come nulla ci è di particolare, e di considerazione nelle stesse, così niuna notizia si
è tenuta, e si è potuta tenere.
Una cappella sembra avere qualche lume di antichità, la
quale sotto il titolo di S. M. del Soccorso esiste su certo
masso di pietra, o di scoglio, ed è di gran divozione di
quelli naturali: Ci era un conventino, il quale dimesso, le
rendite furono destinate per incorporarsi ad un seminario,
come avvenne.
Quella Cappella sistente in Forio è veramente cospicua,
fatta all’ultimo buon gusto, e dispendiosissima: Un sacerdote di cognome Regine ben comodo a suo carico, e
dispendioso fece costruire in un luogo alquanto ignobile
vicino alla propria abitazione, e di sopra al mare l’accennata cappella, e con altare di finissimo, e ben lavorato
marmo la guarnì intieramente dello stesso, siccome dappoi ci aggiunse una sacristia, la quale benanco guarnì di
marmi fini ed è tale, bella, e sì ben costruita la sacristia,
che la bella, ed adornata cappella pare servirla, che essere
servita.
per le popolazioni sono utili; siccome tiene una villa denominata Panza, in dove ci è una parrocchia, sotto il titolo
di San Gennaro: per essere povera non si è più provvista
di parroco, ma viene amministrata, ed è in cura di un sacerdote curato.
Il comune di Fontana tiene una chiesa parrocchiale:
essa è la più antica di tutta l’isola, all’infuori dell’antica chiesa parrocchiale, ed indi cattedrale sistente nel Castello; e dell’antica chiesa parrocchiale sita nella falda di
Campagnano sotto il titolo di San Vito: la detta chiesa
parrocchiale essendo divenuta diruta, e sotto il titolo
dell’Assunta, il parroco è stato costretto ricercare un’asilo dentro una chiesa di padronato della famiglia Mattera
sotto il titolo di Sant’Antonio; ma senza dritto.
L’antichissima parrocchia sotto il titolo di Santo Andrea, che si rese diruta, e profanata ne’ rimoti tempi ha
perduta la memoria del proprio sito, mentre li vicini si
usurparono tutto lo spazio, e lo fecero divenire territorio;
se non chè facendosi de scavi, sempre s’incontrano pezzi
di fabriche, e ruderi.
Cotale parrocchia è stata sempre riputata per una cattedrale, essendo sicura notizia, che la casa, ed abitazione
vescovile era congrua, ed attaccata alla stessa, siccome la
tradizione è stata sempre fedele, e costante.
Li Vescovi pro tempore o perché tenevano in Serano
Inoltre trattò comprare quanti piccoli quadri li riuscì di
ottenere, de primi pittori di Europa, e li situò nell’enunciata cappella, e sacristia: Bastando dire, che l’anzidetta
opera è di tale perfezione, e splendore, che spinge la curiosità, e la ricerca de forestieri per vederla, osservarla, e
notarla.
L’arricchì di argenterie, di mobili, e di suppellettili preziose: Del pari che l’adornò di quattro grosse statue d’argento fatte, e lavorate a posta: ma queste con sommo giudizio degli eredi non comparvero più, quando principiò
sentirsi, che gli argenti superflui delle chiese si dovevano
impiegare per le necessità, ed occorrenze dello stato.
Il mentovato sacerdote si chiamava D. Pietro Regine.
Si nota, che anco il Rè Ferdinando Borbone s’indusse a
vedere, e visitare la prefata opera.
Forio tiene per le campagne delle Cappelle, che anco
28 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Pagina originale del Ragguaglio
una Baronia, o perché un tale luogo era sicurissimo, ed
al coverto di ogni aggressione, o perché si trovavano alle
volte inviluppati nelle fazzioni delle quali il Castello era
solito soffrire, spesso erano soliti condursi in Fontana,
ed ivi dimorare, che solennizzare le funzioni vescovili in
essa chiesa di Sant’Andrea.
Il possesso in cui si trova costantemente, e pacificamente la chiesa parrocchiale di Fontana, che nel canto della
Gloria il Sabato Santo sonando le campane, all’ora possono sonare, e sonano le campane delle parrocchie di Serano, di Testaccio, di Barano, e di Monopane; altrimenti
non possono sonarsi, se quella non suona; ha fatto in ogni
tempo rilevare che un tale possessorio, e giurisdizione
è derivata dal dominio de’ Vescovi, e dal rispetto che si
portava a Santo Andrea, quando nella gloria sonavano le
campane della stessa, all’ora potevano sonare le campane
delle divisate parrocchie.
Lo stesso lodevole uso si osservava, e si osserva in ordine alla Cattedrale vescovile, che all’ora possono sonare
le campane delle chiese del Castello, e di tutte le chiese
dell’attuale città, e ville, quando nella gloria del Sabato
Santo si sono sonate nella Cattedrale.
La prefata chiesa di Sant’Andrea ne’ tempi antichi veniva chiamata col sopranome di Sacra, perché il Vescovo
dimorando in Fontana, e trovandosi presso di lui altri Vescovi rifuggiati, si determinò a consacrarla.
Quando la medesima divenne diruta, e profanata tutti li
pezzi, e li ruderi della consacrazione passarono nella nuova chiesa parrocchiale dell’Assunta, causa per cui venne
benvero denominata, e chiamata la Sacra.
Colli ruderi della dimessa chiesa di Sant’Andrea si trasportò ancora una tavola marmorea, in dove stava incisa
una iscrizione, e stava sita su la porta maggiore, siccome
poi si situò su la porta della parrocchia dell’Assunta, in
dove al presente esiste.
Questo desiderabile documento e per la cancellatura, e
per la lingua quelli preti non furono mai capaci intendere, e copiare; Anzichè si sono scusati, dicendo, che taluni
viaggiatori passando per Fontana, impegnati ad esaminare, leggere, e capire l’iscrizione non poterono divenire
all’intento, ed all’effetto. Tutta volta però si è osservata
da buon’occhio la sopramentovata lapide, e si è rilevato
che le arma, e le insegne siano vescovili: donde sempre
viene confermata la notizia di aver tenuto li vescovi antichi speciale assistenza spirituale e giurisdizione in Fontana, e nella chiesa di Sant’Andrea.
Ciò invero fa distinguere, fa risplendere, e fa rilevare
l’antichità della predetta chiesa, e quella colonna trovata
tra li ruderi di Sant’Andrea: colonna di marmo apprezzabile, della quale ci è stata occasione farne replicata menzione; e fa meraviglia come ne’ tempi antichi, e rimoti si
potè trasportare sopra Fontana tale colonna, quando nè
per mare, nè per terra all’ora ci era via per potersi trasportare.
Essa è di colore, che batte al verde, lunga palmi sei, e
mezzo, e del diametro di un palmo, e mezzo, e più.
Ci è in Fontana la confraternita sotto il titolo della Vergine delle Grazie, come ci è una Cappella di Sant’Antonio padronata delli Mattera.
Il Parroco di Fontana have una buona rendita; e ciò non
ostante se ne fa cadere la chiesa parrocchiale senza riattarsi.
In Serano ci è un’altra parrocchia sotto il titolo della
Madonna del Carmelo: essa è povera, e viene amministrata da un sacerdote curato. Nella medesima nulla ci è
da osservarsi, e da notarsi.In tale territorio ci è una confraternita sotto il titolo del Rosario.
Perchè il territorio è disteso assai, disperse tra luoghi
si sogliono incontrare delle cappelle, le quali danno agli
abitanti di campagna il comodo della messa ne’ giorni festivi.
Ne’ tenimenti del comune di Fontana, e Serano esiste il
monte Epomeo, nella di cui cima sta costruita una cappella sotto il titolo di San Nicola di Mira, e Bari.
Nella stessa cima ci stanno incavate delle celle, e delle
officine.
Negli troppo antichi tempi, come al presente veniva
tale luogo servito da un Romito, che soleva nelle feste
far celebrare la messa da un sacerdote; ma attualmente
un sacerdote si è ritirato in esso romitaggio; e pure l’have
abbandonato.
Costì appunto D.na Beatrice de la Quadra colle di lei
compagne voleva fondare un monastero di perfetta clausura, ma fu costretta a levarsi da tale dimora verso la fine
del 14 (sic) secolo per l’intemperie dell’aria, e ritirarsi nel
Castello, dove eresse un monastero di gentildonne sotto
la regola di San Francesco d’Assisi con titolo della Madonna della Consolazione.
In esso romitaggio alcun’anno prima della mettà del secolo 18 si ritirò il Capitan tedesco Monsieur D’Argout,
essendo al comando del Castello in qualità di castellano.
Egli aiutato da Dio si determinò ad abbandonare il mondo
all’insaputa di ognuno: Rannicchiato in una di quelle celle, esercitato da malori di podacra, e chiragra, confinato in
un letto, appena due, o tre volte uscì dal suo ritiro per vantaggi del suo romitaggio. Sempre ilare, sempre costante,
sempre uniforme al divino volere, ed in alto grado sereno
nell’anno 1748 passò all’altra vita.
Ridusse il romitaggio ad un reale, e sacro santuario, lo
pose sotto la regola, e si recitavano nella cappella l’ore
canoniche, e si celebrava giornalmente la santa messa al
suo tempo, e nella forma rigorosa, che lo più stretto ritiro
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
29
camaldolese celebrare poteva, e doveva.
curato ha dovuto ricercare un’asilo precario per l’amministrazione de’ sacramenti, e delle funzioni in un tempiuccio di famiglia… sotto il titolo….. sistente in mezzo
all’abitato.
Tirando il mezzo soldo, lo erogava per il bene de romiti,
e per la decorosa, e splendida tenuta, e comparenza del
romitaggo, e della Cappella.
L’attuale curato ave rimessa in decoroso, e risplendente
aspetto la Parrocchia, e ci ave fatto della buona spesa; ed
in dove si fanno già le funzioni parrocchiali.
La stessa adornò di tante diverse reliquie, e sacre ceneri,
che si fece venire da Roma; e tale cappella la portò a tale
lodevole condizione, che avrebbe potuta fare la sua luminosa figura in mezzo di città religiosa, e civilizata.
In essa all’infuori di riputarsi di essere un’opera costruita da molti, e molti secoli, nulla ci era, e ci fu da osservarsi, e da notarsi.
Colla morte del sudetto fra Giuseppe Monsieur D’Argout finirono lo splendore, l’ordine, e la buona tenuta, e
le sacre funzioni nell’enunciato romitaggio, e cappella,
dove attualmente esiste un solo romito, ed un sacerdote
ivi ritiratosi. Nell’intelligenza di essere stato impossibile
a poter stare uniti, e dimorare due romiti nello istesso luogo; siccome l’accennato sacerdote ancora se n’è dimesso,
ed è passato ad abitare altrove.
L’altra chiesa parrocchiale è di Barano sotto il titolo
di… ed in essa nè meno ci è cosa rimarchevole da segnarsi.
Nel di lei distretto ci è la Cappella di San Sebastiano, ed
una numerosa confraternita.
Nella di lei villa di Pieo ci è la bella, e ben tenuta cappella dell’Immacolata Concezione di padronato di Meglio, che dà il comodo a grande popolazione.
San Nicola comparisce in una statuetta di marmo, che
dà a divisare un’antichità.
Nello stesso eremo nel principio del secolo 18 morì con
fama di santa vita un tale fra Giorgio di Baviera.
La chiesa parrocchiale di Monopane sotto il titolo di….
È di padronato di talune famiglie cittadine della Città, la
quale non contiene, nè indica cosa distinta da notarsi, e da
segnarsi.
Tre contrade che formano tre parrocchie, e due comuni,
uno di Testaccio, l’altro di Barano, hanno tre parrocchie,
di Testaccio, di Barano, di Monopane.
Ciò che ha di particolare l’è quello di essere una parrocchia di buona rendita, e che somministra al parroco
il mezzo da sostenersi, onoratamente, e di poter portare
li pesi della parrocchia; ed è una delle tre parrocchie
comode delle diocesi; una del Lacco, la seconda di Monopane, la terza di Fontana: essendo tutte le altre prive di
rendite, e di comodità.
La parrocchia di Testaccio sotto il titolo di San Giorgio
è la chiesa più antica degli additati luoghi, che ne’ rimoti
tempi somministravano li sacramenti, e la cura alli di loro
rispettivi abitanti: Essa per la lunghezza del tempo, e per
la mancanza delle rendite, e del soccorso caritativo si è
resa in tal modo diruta, e cadente, che quello economo
Fine
30 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Tempo di compilazione e
autenticità del Ragguaglio
Il Padiglione1, che pubblicò il catalogo del fondo di
S. Martino della Biblioteca Nazionale di Napoli, fa risalire il manoscritto al secolo XVIII. Secondo uno studio di Mons. Agostino Lauro, si deve concludere che
«la sua stesura deve essere avvenuta in un arco di nove
anni circa tra il 1816 e il 1824».
Il “terminus a quo” viene fissato dall’espressione «…
nel castello (d’Ischia), all’infuori di pochissimi militari, appena, nel 1816, esistono tre o quattro paesani»
La compilazione certamente perdurava negli anni posteriori al 1818, come si ricava dal tono della periodazione e dai tempi usati nel descrivere quale avvenimento lontano negli anni il solenne ingresso in diocesi dell’ultimo vescovo conosciuto dall’autore, mons.
Giuseppe Scotto d’Amante (1818-1843). Inoltre, mentre il testo si dilunga sulla sicurezza di ancoraggio della
rada di sant’Anna, presso il castello, in una nota marginale, evidentemente molto posteriore al 1819, riferisce
il fatto inaudito di un bastimento spagnolo carico di
mercanzie, che per errata manovra del capitano «…
nella notte de 17 a 18 gennaio 1819... trascinandosi le
ancore andiede ad imbattersi in una scogliera… dove
naufragò». Questa come altre note a margine, che si
richiamano al 1818 furono apposte in anni lontani da
quello precisato, giacché vi si riferiscono in forma retrospettiva, come ad un passato molto remoto.
Il 1824 si deduce quale termine massimo «ad quem»
da altra espressione del testo: «… nell’anno 1759 (Carlo III)... rinunziò li suddetti due regni al figlio il re Ferdinando, che li sita oggi possedendo pacificamente».
Poiché Ferdinando IV morì il 2 gennaio 1825, la stesura del manoscritto dev’essere anteriore a quell’anno.
Maggiormente controversa è l’autenticità dell’opera.
Dal contesto si desume inequivocabilmente che l’autore ne sia un sacerdote.
Gina Algranati, che utilizza abbondantemente dati,
notizie ed affermazioni del manoscritto, ritenne che
l’anonimo debba identificarsi con il sacerdote di Forio,
don Domenico Verde2.
II Verde però non può essere chiamato in causa a nessun titolo. L’opinione dell’Algranati viene scalzata da
ragioni perentorie e definitive.
1 C. Padiglione, La biblioteca del Museo Nazionale nella Certosa
di S. Martino in Napoli ed i suoi manoscritti, Napoli 1876.
2 Gina Algranati, Ischia, Bergamo 1930, pp. 62-64.
Al foglio 86 l’autore divaga su un particolare di cronaca e scrive, tra l’altro: «… nella divisata spiaggia
(di Cetara, a Forio) a 23 aprile 1770 un pesce di gran
mole morto… si fermò… In quel tempo mio padre si
trovò eletto ed amministratore ed in tale occorrenza mi
presi la cura di farne da un pittore dilettante di Forio
tirarne e formarne un ritratto…». L’Algranati ne argomenta che, siccome un sacerdote di nome Domenico
era figlio di un tal Francesco Verde in carica di sindaco
di Forio in quell’anno 1770, a lui deve attribuirsi la
paternità del manoscritto.
Si deve escludere per le medesime ragioni, come
autore del manoscritto, anche il sacerdote Raffaele
Onorato, canonico arciprete della cattedrale, proposto
anch’egli, in modo risolutivo, sia da Maria Algranati3,
sia da mons. Onofrio Buonocore4.
Bisogna convergere e concordare a favore di un terzo personaggio, per il quale si aggiunge una prova che
sembra definitiva.
L’autore del ms. è la stessa persona che ha steso di
suo pugno alcune deliberazioni capitolari, diversi testi
di corrispondenza ufficiale ed altri documenti contenuti nel registro 1803-1814 delle sedute del Capitolo
cattedrale d’Ischia5. Anche ad un esame comparativo
sommario tra questi atti e il ms, non può sfuggire che
in ambedue i testi ha operato la stessa mano; vi si nota
uguale stile e la medesima forma; ma, ciò che è più evidente e che più conta, vi si ravvisa identica grafia. C’è
una sola differenza: mentre nel «Ragguaglio» l’estensore non ha apposto la firma, tutte le carte capitolari
sono autografate dal nome dell’arcidiacono Vincenzo
Onorato, zio paterno di Raffaele6.
Egli nacque in Ischia il 25 aprile 1739 da Ignazio e da
Isabella Conti; studiò nel seminario diocesano e fu pro3 Maria Algranati, Storia dello Scuopolo, Milano 1957, pp. 2426.
4 Onofrio Buonocore, Ischia, piccola Atene del golfo partenpeo,
Napoli 1958, pp. 60-64.
5 Archivio del capitolo della cattedrale d’Ischia, Registro delle
sedute capitolari dal 1803 al 1814, v. verbali e fogli inseriti tra
l’anno 1809 e l’anno 1813.
6 Ibidem, a f. 27, per due volte vi è affermato che don Raffaele
Onorato sia nipote dell’arcidiacono Vincenzo Onorato. Questi, a
causa di tale parentela, viene inabilitato nell’esercizio delle sue
funzioni di giudice prosinodale durante il concorso bandito per
la provvista della parrocchia dello Sp. Santo, al quale partecipava
don Raffaele nel 1804.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
31
mosso alla prima tonsura ed ai primi due ordini minori
il 25 giugno 1758. Venne ordinato sacerdote il 28 marzo 1763. Gli fu conferita la seconda dignità capitolare,
l’arcidiaconato, nel luglio del 1789.
Vincenzo Onorato dunque, nel 1757, contando diciotto anni, aveva già concluso il ciclo degli studi classici, per i quali dimostrò intelligente predilezione durante il corso della sua vita; si giustifica, in tal modo la
sua iniziativa di voler trascrivere il testo delle iscrizioni
incise sulle «bentirate tavole di marmo».
Nel 1770 poi, quando il mare rigettò il cetaceo morto
sulla spiaggia di Forio, suo padre Ignazio era effettivamente «eletto» dell’università d’Ischia in coppia con
Gennaro Cardilli.
Dal registro delle sedute capitolari l’Onorato risulta
assente dal 1828 fino a quando non compare come suo
successore nella carica di arcidiacono don Giovanni
Garofalo.
Egli morì il 20 agosto 1829 all’età di novant’un
anno «nella casa di sua abitazione … a Ischia contrada Stradone7; perciò era domiciliato senza dubbio nel
palazzo sito allo Stradone che fu già del protomedico Buonocore, e costruito su degli scogli a picco sul
mare. Questo particolare ci conferma essere lui e non
altri l’autore del ms. Difatti quando si sofferma nella
descrizione delle acque termali che sgorgano sulla costa settentrionale dell’isola, accennando alla sorgente
cosiddetta «dei sassi», già fin d’allora sommersa dalle
onde a causa del bradisismo negativo cui va soggetta
l’isola intera, scrive: «Questi bagni esistevano sotto la
casa di mia abitazione, la quale sta edificata sugli accennati sassi ed immediatamente sul sito laterale alle
dette acque». Chi si affacci dal loggiato, al primo piano
di quel palazzo in via Stradone, guarda precisamente
sul sito dove una volta sgorgavano le acque.
Che l’autore del manoscritto sia l’Onorato e non il
Verde ci viene connfermato, infine, dal dott. Chevalley
de Rivaz nella sua opera sulle acque termo-minerali
7 Comune d’Ischia, Archivio di stato civile, Registro degli atti di
morte dell’anno 1829, f. 21, n. 41.
32 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
d’Ischia8. A p. 50 in nota, il De Rivaz lo cita in maniera
così esplicita da non lasciar dubbio alcuno: «Onorato,
Saggio istorico ecclesiastico sull’isola d’Ischia, manuscript inédit qui se trouve entre les mains d’un neveu
de cet auter».
Illustrando la figura del vescovo Michele Cossal
(1453-1464) il De Rivaz traduce quasi letteralmente il
giudizio che l’autore del ms. esprime su quel prelato. È certo che il De Rivaz voglia riferirsi a questo e non
ad altro ms., giacché lo ebbe presso di sé nel 1840; ne
numerò i fogli di suo pugno, annotò sull’ultima facciata: «sono fogli 174. Ch. De Rivaz… MDCCCXL» e vi
impresse, al di sotto (oltre che sul margine sinistro, in
alto, della prima facciata) il timbro del «Vice Consolato Pontificio in Ischia», che egli stesso reggeva, come
già rilevò il Padiglione.
Il D’Ascia9 poi, a proposito del vescovo Cossal, scriveva: «In un’opera ecclesiastica, manoscritto inedito,
il fu canonico Onorato del Comune d’Ischia, lasciò
notato che questi fu modello de’ vescovi ed il re Alfonso
ne fece la più grande stima».
Nel periodo in cui fu composto il manoscritto adespoto ed inedito vivevano nel Comune d’Ischia altri
sacerdoti dal cognome Onorato, ma oltre a Raffaele
già menzionato, nessun canonico della cattedrale porta
quel cognome se non Vincenzo.
Queste riflessioni critiche dimostrano con sufficiente
chiarezza che l’opera manoscritta non è stata composta né dall’arciprete Raffaele Onorato, né dal sacerdote
Domenico Verde, bensì dal canonico arcidiacono Vincenzo Onorato.
Note tratte dallo studio proposto da Agostino Lauro, pubblicato nell’Archivio Storico per le Province Napoletane (a
cura della Società Napoletana di Storia Patria) - Terza serie
anni VI-VIII, LXXXV-LXXXVI dell’intera collezione. Napoli 1970.
8 J. E. Chevalley De Rivaz, Description des eaux minérothermales et des étuves de l’île d’Ischia, Napoli 1859.
9 G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli 1867, p. 140.
La conoscenza
ai tempi della "rete"
di Carmine Negro
II *
I risultati di una ricerca pubblicata nel 2011, dal
titolo: “Il digital divide nel mondo giovanile”, svolta
dall’Area “Risorse Strutturali ed Umane dei Sistemi
Formativi” dell’Isfol, indicano che le nuove tecnologie rivestono un ruolo importante nella vita dei
giovani italiani1. Il 94% di essi possiede un personal
computer che, nell’80,8% dei casi, viene utilizzato
quotidianamente o quasi. Relativamente all’utilizzo
della rete il 77,5% degli intervistati dichiara di utilizzare Internet molto frequentemente, ovvero tutti i
giorni o quasi. Altri dati evidenziano che, nel nostro
paese, l’utilizzo di Internet tra i giovani è soprattutto una pratica che attiene alla sfera privata e
che riguarda poco il luogo di lavoro e ancor meno
altre postazioni o altri strumenti di collegamento.
Conoscendo l’estensione del fenomeno torniamo
alla domanda che ci siamo posti precedentemente.
Qual è l’impatto che le nuove tecnologie di acquisizione dell’informazione e della conoscenza hanno
sulla formazione e sull’identità giovanile? Per avere
una conoscenza è ovviamente necessario avere una
o più informazioni. Le informazioni non costituiscono di per sé la conoscenza e non l’agevolano se
non subiscono una elaborazione che le inserisca in
modo organico nel bagaglio cognitivo di ciascuno di
noi. Le facoltà intellettive razionali e critiche della
persona sono indispensabili per tale lavoro. Senza
la capacità di distinguerle, discriminarle selezionando quelle importanti da quelle che in un determinato
momento non sono necessarie in altre parole senza
un lavoro cognitivo non è possibile trasformare le
informazioni in conoscenza. Vincenzo Policreti, psicologo e psicoterapeuta chiama questo lavoro “di* La prima parte è stata pubblicata nel n. 2/2014.
1 ISFOL “Il divario digitale nel mondo giovanile” Il rapporto
dei giovani italiani con le ICT (a cura di Paolo Botta) Agosto
2011
gestione mentale”2. Internet può fornire validi elementi informativi per tale trasformazione ma senza
una buona critica dipendente da una personalità ben
strutturata l’eccesso di informazione non giova alla
conoscenza. Di fronte a tali massicci attacchi mediatici un giovane in formazione si trova indifeso
o peggio convinto in buona fede di avere acquisito
un solido bagaglio culturale attraverso la televisione, il cinema, la radio e internet, mentre vaga in una
massa di informazioni slegate che non riescono ad
essere cultura. La perdita dell’abitudine alla lettura,
della parola scritta e l’acquisizione delle conoscenze
verso il canale visivo rendono più difficile il conseguimento delle facoltà critico-razionali, più facilmente esposti al pericolo di conoscere tutto senza
sapere niente. La lettura nella pra­tica risulta costituita da due componenti distinte e par­zialmente sovrapponentisi. Ci riferia­mo alla lettura intesa come
decodifica e alla lettura intesa come comprensione3.
Una particolare attenzione va riservata ad un ulteriore livello della lettura-comprensione che è la trasformazione dei significati desunti dal testo in dati
interiori: informazioni, conoscenze, emozioni, mutamenti dei propri repertori mentali. Qui siamo di
fronte a qualcosa che attiene di più alla memorizzazione, alla elaborazione di conoscenze, al riuso
del “prodotto” della lettura: aspetti che sembrano
trascendere il duplice livello lettura-comprensione,
ma che sono ovviamente decisivi per quell’ulteriore aspetto che ad essi è strettamente connesso che
è l’elaborazione della conoscenza. La connessione
è stretta perché spesso le modalità con cui si elabora (individualmente o collettivamente) la conoscenza sono legate a quelle con cui si estrapolano dati
e significati dai testi o dall’osservazione del reale,
che non a caso si chiama anche “lettura” della re2 Vincenzo Policreti “Diacronico o Sincronico? Conoscenza,
Dipendenza, Personalità”. http://www.agorascuola.it/
3 Silvia Bonino (diretto da) (1994), Voce lettura e scrittura, pag.
407
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
33
altà. Ciò che sappiamo alla fine di una lettura e di
un processo di comprensione dipende da che cosa
abbiamo ricavato dal testo e anche (soprattutto?)
da come l’abbiamo fatto4. Naturalmente nulla vieta
l’utilizzo di strumenti moderni come possono essere i libri elettronici, ostinatamente chiamati e-book.
George Steiner nel volume “I libri hanno bisogno di
noi” così definisce la lettura:
“Il concetto di lettura, considerato un processo
che fondamentalmente appartiene alla collaborazione, è intuitivamente convincente. Il lettore impegnato collabora con l’autore. Comprendere un testo,
«illustrarlo» nel quadro della nostra immaginazione, della nostra memoria e della nostra rappresentazione combinatoria, equivale, seppur nei limiti
delle nostre capacità, a ricrearlo. I più grandi lettori di Sofocle e di Shakespeare sono gli attori e gli
sceneggiatori che animano le parole. Imparare una
poesia a memoria è come incontrare il testo a metà
strada nel viaggio ogni volta sorprendente della sua
venuta al mondo.
In una «lettura ben fatta» (Péguy), il lettore lo
rende qualcosa di paradossale: un’eco che riflette
il testo e contemporaneamente entra in sintonia con
esso attraverso le percezioni, i bisogni e le sfide che
lo caratterizzano. I nostri momenti d’intimità insieme con un libro, dunque, sono a tutti gli effetti dialettici e reciproci: leggiamo il libro, ma, più profondamente forse, è il libro a leggere noi»5.
Nella ricerca dell’Isfol precedentemente richiamata la maggioranza dei ragazzi (70,8%) dichiara di aver imparato da solo ad utilizzare il
computer, ma rilevante è anche la presenza di
una consistente minoranza (16,1%) che afferma
di aver imparato a utilizzare le nuove tecnologie
a scuola. Questo dato dimostra che le istituzioni
scolastiche del nostro paese hanno iniziato ad attrez-
zarsi e a modernizzarsi dal punto di vista tecnologico. È curioso che il processo di modernizzazione
che sembra aver investito le scuole non trova un
corrispondente analogo nel mondo dell’occupazione. Computer e nuove tecnologie risultano, infatti, ancora poco utilizzati sul posto di lavoro: solo
il 47,5% dei giovani lavoratori ne fa uso. L’utilizzo
delle tecnologie informatiche, espandendo la scuola
e le classi fuori dalle proprie mura, rischia di cancellare il concetto stesso di scuola, almeno nell’accezione conosciuta oggi. Con i tempi velocissimi in
cui operano tali strumenti la scuola non può competere: essa è strutturalmente lenta sia sotto l’aspetto
cognitivo che sotto l’aspetto metodologico. Sul piano della trasmissione delle conoscenze il confronto
è insostenibile. Come può allora la scuola conservare il suo primato e le sue peculiarità preservando
dall’estinzione le abilità intellettive, razionali e critiche? Probabilmente proprio la lentezza della scuola
può essere una delle caratteristiche su cui far leva
per accreditarsi come agenzia culturale formativa.
Nell’epoca del tempo senza attesa, non sappiamo
partecipare ad un incontro senza essere disturbati
dal cellulare, vogliamo “tutto e subito”, in tempo reale, c’è una riflessione di quanti ruotano attorno al
mondo della scuola sul senso del tempo educativo e
sulla necessità di adottare strategie didattiche di rallentamento per una scuola lenta e riflessiva6. In una
intervista George Steiner alla domanda: Crede che
le nuove tecnologie minaccino il silenzio e l’intimità
necessarie a comprendere le grandi opere? risponde
Sì. La qualità del silenzio è legata intrinsecamente a quella del linguaggio. … Il silenzio è diventato
un lusso. La gente vive nel fracasso. Nelle città non
esiste più la notte. I giovani hanno paura del silenzio. Come si fa ad affrontare letture difficili? Si può
leggere una pagina di Platone mentre si ascolta la
musica con un walkman? Tutto questo mi spaventa.
Le nuove tecnologie trasformano il dialogo con un
libro. Abbreviano, semplificano, collegano. Lo spirito è “cablato”. Non leggiamo più nello stesso modo
di prima. Una scuola lenta e riflessiva, ma anche
capace di valorizzare il silenzio, può continuare a
costruire il futuro delle nuove generazioni, cercare
di trasformare trasformandosi, puntare su quelle
che sono le sue due più importanti specificità. La prima trattare l’informazione, che è pur sempre la base
della conoscenza, per attivare un discorso cogniti-
4 La distinzione fra lettura-decodifica e comprensione http://
puntoeduri.indire.it/poseidon/lo/102/390.htm
5 George Steiner “I libri hanno bisogno di noi” Garzanti Editore
Milano 2003 pag.17
6 Zavalloni Gianfranco “La pedagogia della lumaca. Per una
scuola lenta e nonviolenta” Edizioni EMI 2012 (collana Educare
21)
I più grandi lettori di Sofocle e
di Shakespeare sono gli attori
e gli sceneggiatori che animano
le parole. Imparare una poesia
a memoria è come incontrare
il testo a metà strada nel viaggio
ogni volta sorprendente
della sua venuta al mondo.
34 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
«Più che mai abbiamo bisogno
dei libri, ma anche i libri
hanno bisogno di noi.
Quale privilegio più grande se non
quello di essere al loro servizio?»
(George Steiner)
vo che prediliga l’incremento delle attitudini critiche
mediante un impiego massivo e massiccio della lettura basata su una visione alfabetica e sequenziale.
La seconda, anche questa molto importante, puntare su un discorso affettivo sapendo che lo sviluppo
armonico della personalità esige un’adeguata formazione sia a livello intellettivo quanto a livello emotivo. Un bambino prima e un ragazzo dopo hanno
bisogno del sapere ma anche dell’amare, necessario
presupposto di ogni sviluppo e indispensabile premessa per un uso equilibrato del sapere. Per Steiner,
scrittore e saggista francese, il computer non ama7
ed il vero limite della cibernetica è affettivo. In internet si può cercare di tutto ma per trovare affetto
o amore si può solo fare riferimento ad un rapporto
interpersonale. L’insegnante dovrà fornire prima di
tutto affetto che non vuol dire solo comprensione ma
anche conflittualità; un rapporto aperto alle proprie
emozioni capace di creare una relazione produttiva
e feconda, un rapporto capace di motivare ad apprendere. Stabilire una tale relazione pone la scuola
senza concorrenti nel mondo mediatico o informatico. Senza questo tipo di completamento affettivo
le emozioni possono prorompere in modo incontrollato e poiché in questo caso sono generate da una
carenza sarà l’aggressività, sua fedele compagna,
a esplodere travalicando ogni altra emozione. Ci si
troverà davanti a giovani e spesso giovanissimi incapaci a gestire l’affetto e ad invocarlo in modo sbagliato. Giovani che finiscono per procurarsi l’ostilità
al posto dell’amore, che si arrabbiano con se stessi e
con gli altri e che divengono sempre di più sgradevoli e violenti. Bonino e altri nel volume Empatia.
I processi di condivisione delle emozioni8 tratteggiano bene l’importante relazione di empatia che si
stabilisce tra alunno e docente e quali siano i processi cognitivi ed emotivi che mediano la condivisione
delle emozioni degli altri. Attraverso un’analisi della
letteratura sull’argomento, propongono un modello
7 George Steiner “L'Amore farà vivere” L’Espresso N. 44 del
10/11/2005
8 Silvia Bonino, Alida Lo Coco, Franca Tani Empatia. I processi
di condivisione delle emozioni Giunti editore 1998
complesso e multidimensionale dell’empatia e del
suo sviluppo, sostenuto e discusso alla luce di ricerche originali realizzate dalle stesse autrici. Il testo si
rivolge agli studenti per ripensare alla loro esperienza di vita e agli educatori e a quanti si occupano di
relazioni umane come invito a riflettere sulla propria
esperienza professionale per meglio comprenderla
ed indirizzarla.
In conclusione per gestire la velocità e gli eccessi
del mondo contemporaneo sarà importante fornire
dalle famiglie e dalla scuola ai più giovani un bagaglio strutturale composto di emozioni e raziocinio.
Deprivati di un proprio sviluppo, saranno tanti soggetti arrabbiati, aggressivi e violenti, alla continua
ricerca di un punto di riferimento, facile preda di
agenzie economiche e politiche. La ricerca di una
guida li renderà facilmente manipolabili. Scopriranno sulla loro pelle che la ricerca di una guida risulterà effimera perché nessuna reale sicurezza può
essere trovata dall’uomo all’esterno del proprio sé.
In queste condizioni, non ci sarà competizione per
diventare migliori ma per compensare sul piano del
confronto la mancanza di dimensioni reali. In mancanza di una dimensione spirituale ed affettiva ci
potrà essere solo un confronto materiale, ci si potrà
consolare con il consumismo anche di informazione
che come tutti i consumismi generano dipendenza,
si avrà la sensazione di controllare il mondo con la
propria virtualità fantastica e onnipotente in realtà
solamente fittizia. Ci si sentirà illusoriamente liberi
mentre si resta incoscientemente, tragicamente e irreversibilmente schiavi9.
In questa ricerca eravamo partiti narrando del nostro quotidiano, spesso concitato e tumultuoso, e
della nostra epoca che una tecnologia, in veloce trasformazione, rende esaltante ed eccitante ma anche
convulsa e frenetica. Di fronte al nuovo che avanza
una riflessione personale e collettiva è necessaria e
doverosa, per gli operatori dell’educazione obbligatoria e indispensabile.
C’è chi insegue un orologiaio che sappia riparare
l’orologio del nostro tempo. Tale ricerca è vana. L’unica indagine valida è quella che cerca di analizzare
e di rispettare la persona che è in noi sospesa tra un
prima e un dopo.
Carmine Negro
9 Vincenzo Policreti op. citata
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
35
Rassegna LIBRI
Terrae Motus Animi - A 130 anni dal sisma del 28 luglio 1883
A cura di Agostino Di Lustro e di Lucia Annicelli
Biblioteca diocesana di Ischia - Nota introduttiva di Aniello
Pascale - In copertina: Matania, Panorama di Casamicciola visto dalle macerie dell’Hotel Piccola Sentinella, 1883
- Alla memoria di Mons. Carlo Mennella, del Venerabile
Giuseppe Morgera, e di tutte le vittime dell’evento tellurico
del 1883. Edizione 2014.
Il libro raccoglie ed illustra il fondo librario dovuto
soprattutto al “certosino lavoro dei documenti del prof.
Nunzio Albanelli” relarivo ai terremoti del 1881 e del
1883, custodito nella moderna Biblioteca diocesana,
che sembra quasi presentarsi in territorio isolano/isclano
come (o in) competizione (alter ego) di quella che avviò un tempo Onofrio Buonocore e successivamente per
anni curò, in un modo o nell’altro, la stessa diocesi, fino a
quando subentrò anche il Comune d’Ischia.
Come si sa, il materiale sull’argomento è molto vasto
e non si finisce mai di apprezzare una sempre dinamica
ricerca di acquisizione, di valutazione e di valorizzazione che oggi si auspicherebbe maggiormente e continuamente estesa ad altri settori come i vari archivi, comunali
soprattutto; cosa che i comuni non hanno mai pensato di
inserire nelle principali attività programmatiche.
Ha curato e illustrato il lavoro di amalgama del materiale la dott.ssa Lucia Annicelli, che nella Introduzione
metodologica così si esprime:
«La prima sezione della monografia è costituita da una
bibliografia descrittiva di una parte del Fondo Terremoti
della Biblioteca Diocesana di Ischia che si è sviluppato
a partire da un nucleo originario raccolto sapientemente
da Prof. Nunzio Albanelli, illustre ricercatore e cultore di
storia locale. Oggi questo patrimonio, relativo ai terremoti del 4 marzo 1881 e del 28 luglio 1883, data la rarità
dei “pezzi”, conferisce valore ad una raccolta libraria
che, a partire dal già notevole fondo originario, continua
ad implementarsi attraverso donativi di illustri bibliofili
e ricercatori e si pone all’attenzione del mondo culturale mediante il proprio catalogo on-line, sia attraverso il
Sistema Bibliotecario Nazionale (SBN) che il Polo delle
Biblioteche Ecclesiastiche della CEI (www.polopbe.it).
L’eterogeneità del materiale proposto è stata volutamente indotta da un criterio selettivo che ha tenuto conto del
primo obiettivo di questo lavoro: la valorizzazione.
Era opportuno che emergesse la poliedricità bibliografica della raccolta nella quale confluiscono tanto la
stampa d’occasione, quanto le fonti del dibattito scientifico (estratti, rendiconti...) nonché la stampa periodica
e con essa l’approccio che ebbe all’immane catastrofe.
Il rapporto genetico che collega tutto questo materiale
36 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
è tuttavia rintracciabile proprio nel sisma e allo stesso
tempo prodromicamente nella sua percezione. Attraverso un imponente apparato iconografico, è stato possibile
dissotterrare dalle macerie della memoria l’immagine
che emerse di Casamicciola e misurare l’onda d’urto che
generò nell’animo di tutti coloro che con il proprio contributo concorsero alla sua ricostruzione.
Ogni singola scheda, corredata della rappresentazione
grafica del frontespizio o della coperta dell’esemplare, è
stata valutata a partire da tre livelli di indagine: quello
bibliografico, quello critico-descrittivo e quello contenutistico. Quest’ultimo seppur apparentemente «soporifero» sotto il profilo della discorsività rappresenta uno
strumento utile alla preservazione degli esemplari e dei
loro fruitori. La descrizione carta per carta del contenuto
di ogni singola pubblicazione salva il documento dall’afflizione della manipolazione dovuta nella maggior parte
dei casi ad inutili consultazioni che, tra l’altro, abitualmente sottraggono allo studioso tempo ed entusiasmo.
Il primo contenuto informativo indica la paternità autorale ed editoriale del volume e di seguito alla prima
pone il titolo della pubblicazione mentre alla seconda
succedono le note tipografiche che, infine, introducono
alla descrizione delle peculiarità fisiche.
Il secondo livello, quello critico-descrittivo, mira ad
introdurre il lettore nella dimensione interna del volu-
me e talvolta anche dell’esemplare; lì
nasce l’interesse per la consultazione
ed emerge il concreto messaggio che
questo lavoro intende trasmettere.
La bibliografia presenta un corredo
iconografico modulato su due precisi
piani: uno teso alla valorizzazione del
prodotto editoriale, l’altro alla rappresentazione dell’isola alla luce della percezione che ne ebbero gli specialisti dell’informazione. Coesistono,
infatti, immagini indicative della testata giornalistica dei frontespizi delle
monografie nonché delle rappresenta-
zioni descrittive dello stato dei luoghi
e della drammaticità delle operazioni
di soccorso.
A partire dall’approccio iconografico per poi incedere in quello panofskyanamente iconologico sono state
poi passate in rassegna le incisioni
che compongono il catalogo artistico
della pubblicazione. A quest’ultimo
segue la sezione musicale e quella
poetica. La schedatura dei “documenti” selezionati, proposta secondo
un criterio alfabetico, ha permesso la
numerazione di ogni singolo pezzo dal
quale sono state selezionate incisioni,
partiture e poesie indicizzate attraverso il richiamo numerico della scheda
corrispondente.
In calce al lavoro un indice dei pezzi e dei relativi elementi estrapolati.
Il fondo Terremoti si compone anche
di altre pubblicazioni, catalograficamente descritte sull’opac della Biblioteca diocesana di Ischia, che non hanno subito ancora questo trattamento
bibliografico ma il cui valore rimane
indubbio.
*
L’Arciconfraternita
Santa Maria Visitapoveri a Forio
Quattro secoli di storia
di Agostino Di Lustro
Seconda edizione , Forio 2014
Seconda edizione dell’opera che il prof. Agostino Di Lustro presentò nella prima
edizione nel maggio 1983. Da allora la ricerca documentaria sull’arciconfraternita
Visitapoveri di Forio, come su ulteriori fonti della storia dell’isola d’Ischia, non si
mai è fermata. Anzi si è ulteriormen­te allargata con l’acquisizione di nuovi documenti ed elementi. Per questo, quando l’assessore Luciano Castaldi «mi ha proprosto – scrive il prof. Di Lustro -, di ristampare il testo del 1983, ho subito rifiutato,
e solo dopo varie insistenze, ho promesso di ampliare il testo, anche in rapporto ai
tempi di lavoro concessi».
Ai vari capitoli è stato conservato lo stesso titolo della precedente edizione, an­che
se si è cercato di allargare un poco la conoscenza dei vari argomenti.
In realtà la ricerca, secondo quanto dice l’autore, non è, comunque, terminata,
perché si aprono sempre nuove piste che debbono essere percorse.
L’iniziativa dell’assessore Luciano Castaldi, forse anche senza volerlo, è venuta a
innestarsi nella celebrazione del quarto centenario della nascita della confraternita di
Visitapoveri che ricorre in questo anno.
Ischia patrimonio dell’umanità. Natura e cultura
A cura di Ugo Leone e Pietro Greco
Editore Doppiavoce, Napoli 2014
In questo volume sono individuati alcuni caratteri che fanno di Ischia
un patrimonio naturale dell’umanità:
la sua geologia, la sua morfologia, la
sua ecologia, terrestre e marina. Ischia
continua a essere bella e interessante,
malgrado le ferite recentissime inferte,
anche da parte di coloro continuano a
predicare, al suo ambiente naturale.
Candidare l’isola a patrimonio naturale dell’umanità significa non dimen-
ticare, ma assumere consapevolezza
di queste ferite, cercando di risanarle
ed evitando di infliggerne di nuove, a
tutto vantaggio di chi si trova ad essere, consapevolmente o inconsapevolmene, favorito da quelle vecchie.
Tra i caratteri che fanno di Ischia
un patrimonio culturale dell’umanità,
non va dimenticata la sua storia antica.
Specialmente quella di Pithekoussai,
la prima colonia greca del Mediter-
raneo occidentale. «Ma anche Ischia
come avamposto di quella grande
potenza navale che è stata Siracusa.
Ischia al tempo dei Romani. Ischia
che svolge un ruolo non marginale
nella storia – anche nella storia della
scienza – fino ai nostri tempi. E poi,
ancora, l’isola che ospita la “conoscenza oggettificata”. Nelle sue case,
nei suoi paesini, nelle sue stazioni termali. L’isola raccontata dagli storici:
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
37
da Strabone a Buchner. L’isola rappresentata dai pittori
e dagli scrittori. L’isola visitata da grandi scienziati». Sono davvero pochi i luoghi al mondo con uno scrigno
culturale così ricco e variegato; e del tutto fondate sono
le ragioni per proporre Ischia come patrimonio naturale e
patrimonio culturale dell’umanità.
Il volume contiene i seguenti scritti:
Ischia Mondo di Ugo Leone,
Origine della radioattività sull’isola d’Ischia di Paolo Gasparini,
Ischia, isola radon-attiva di Agostino Mazzella,
Elementi salienti su sismicità, storia vulcanica e alluvioni
dell’isola d’Ischia per un modello concettuale di rischio geologico di Giuseppe Luongo,
Il Monte Epomeo e la sua ‘preziosa pietra’: il tufo verde di
Maria Rosaria Mazzacane,
Ischia, isola verde anche sotto il mare di Maria Cristina
Buia,
L’isola d’Ischia: un osservatorio speciale per lo studio del
cambiamento climatico globale a mare di Maria Cristina
Gambi,
Ischia: fauna, gestione e conservazione di un patrimonio
naturale di Domenico Fulgione,
La sorgente di Nitroli, dal rito al mito di Giuseppe Sollino,
La storia di Ischia, storia di innovazione di Pietro Greco,
Pithekoussai: le ultime novità degli scavi degli abitati di
Costanza Gialanella,
L’antico mito di Ischia ed i suoi (nuovi) percorsi di Rossana
Valenti,
Ischia luogo di mito e di bellezza nella Letteratura Latina
Umanistica di area meridionale di Antonietta Iacono,
Il futuro del passato di Francesco Rispoli,
Riflessioni in tema di patrimonio e di umanità di Rosario
de Laurentiis,
Ischia tra continuità e cambiamento di Guido D’Agostino,
Ischia, patrimonio “naturale e culturale” dell’umanità di
Pietro Greco
Disturbare il manovratore. Politica e chiesa
in Tonino Bello
di Magarelli Sergio
EMI (Editrice Missionaria Italiana),
Collana Pietre angolari, gennaio 2013
Tonino Bello non fu un teorico
dei rapporti chiesa-stato, ma la
sua parola e la sua azione incrociarono spesso le vie della politica
e dell’economia. Il libro, dopo un
profilo biografico, attento soprattutto agli anni della formazione
del futuro vescovo di Molfetta e
presidente di Pax Christi, presenta la sua filosofia politica e fino
a quale punto il Vangelo ispirò il
suo ministero episcopale, sempre
esercitato in modalità profetica.
***
38 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
*
«Don Tonino Bello ha sempre
discusso sui rapporti tra Chiesa
e politica e il suo merito consiste
nell’ aver aperto un dialogo con
le istituzioni. Ha organizzato incontri di spiritualità per coloro
che ha sempre definito “ operatori della politica”. Nel primo incontro con i politici don Tonino
ha definito la politica “ arte nobile e difficile”. È arte perché non
deve essere lasciata nelle mani
di uomini che non conoscono le
leggi ed è nobile perché ha come
fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella
sua dimensione individuale e comunitaria e deve rispondere alle
esigenze di pace, di giustizia, di
libertà e di progresso».
*
Poesia di Gaetano Ponzano
La mia realtà (16-05-2014) All'alba sulla spiaggia
che si desta
giunge dal largo
il pescator errante
con la copiosa pesca
ancora avvolta nell'umida rete.
Adagio, piano piano
mentre il bel sole
all'orizzonte sorge,
con la barchetta salpo,
un po' remando
mentre sicuro ora m'allontano.
Dondola cullata, ora la
barchetta
da quell'onde lievi
che donano la pace.
L'azzurro ed il turchese,
il cobalto ed il verde chiaro
del mio, grande mare
abbracciano estasiando
l'intera mia barchetta.
Ora, non remo più e
sostando nel bel mezzo
di questa meraviglia,
osservo in alto a destra
un'altra meraviglia:
la candida maestosa, mia
piccola chiesetta
del Santuario della Madonna del Soccorso,
di tutti i naviganti che
con fede e devozione La
vanno a supplicare.
Coi remi tra le mani
e una lacrima sul volto
osservo quel Divino e
assai mitico Santuario,
che in tempi assai remoti
fu meta e fede intensa
di tutti i naviganti e
meta, sosta, e punto di ristoro
per un cuore che come il mio
viveva e si temprava
al cospetto di quel mitico
luogo così ancestrale
della mia mitica Forio.
Sostando in mezzo al mare
intenso blu cobalto...
ora non remo più, e
mi lascio dondolare...
mi lascio accarezzare
dal mio amato Eolo
che con la sua soave brezza
leggero, mi sospinge
con la mia piccola barchetta
incontro alla scogliera
del bastione del Santuario
della Madonna del Soccorso,
dove mi è dolce naufragare.
Ora piano mi dibatto
mentre il mare, mio amato,
azzurro e blu cobalto
dolcemente ora m'avvolge
ed io, ora annaspando,
inerme e ormai esausto
mi lascio inabissare
in quel mitico mio mare
che ora mi accarezza e
dolcemente pare dirmi:
non temere mio Gaetano,
ora giaci nel mio seno e
nella tua mitica Forio.
*
Mostra di Giovanni De Angelis
al Castello Aragonese di Ischia
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
39
Premio Ischia Internazionale
di Giornalismo 2014 – XXXV edizione
Lacco Ameno 27 e 28 giugno 2014
Il 27 e 28 giugno 2014 si svolgerà il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, giunto
alla XXXV edizione, promosso
dalla Fondazione Valentino:
tradizionale appuntamento annuale che premia i migliori
giornalisti della stampa italiana e internazionale che si sono
distinti per la loro professionalità e deontologia. Tema centrale sarà Il ruolo della cultura
e dell’informazione nell’Europa
dei nazionalismi.
Quest’anno la Fondazione, diventata partner istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
assegna anche la Penna d’oro, istituita nel 1957 alla memoria di Giovanni Papini come riconoscimento
ai grandi della cultura italiana, in
sostituzione del premio alla carriera. In passato hanno ottenuto tale
riconoscimento, tra gli altri, Salva-
tore Quasimodo, Eugenio Montale,
Emilio Gadda, Giuseppe Prezzolini,
Alberto Moravia, Mario Soldati.
La cerimonia della Penna d’oro,
nel corso della sua storia, si è sempre tenuta a Roma al Campidoglio
o al Quirinale e per la prima volta
si terrà a Ischia. Per la Fondazione e
per l’isola rappresenta un punto di
svolta che “istituzionalizza” sempre
più il premio e che rappresenta un
riconoscimento al lavoro svolto in
questi anni.
Il vincitore di quest’anno è il giornalista e saggista italiano Paolo Mieli, attuale presidente di RCS libri; lo
ha deciso, all’unanimità, la giuria
presieduta da Luca Lotti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e composta da Luigi Contu, Andrea Vianello, Fabiano
Fabiani, Antonio Macaluso e Luigi
Vicinanza. La scelta della giuria ha
voluto sottolineare il ruolo svolto da
Paolo Mieli non solo come giornalista e direttore de “La Stampa” e del
Premio Ischia Internazionale di Giornalismo - Riunione della Giuria
40 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
“Corriere della sera” ma soprattutto
come autore di libri di storia e come
scrittore.
La giuria del Premio, composta da
Giulio Anselmi presidente “Fieg”,
Alessandro Barbano, direttore de
“Il Mattino”, Luigi Contu, direttore
de “L’Ansa”, Virman Cusenza, direttore del “Messaggero”, Massimo
Franco, editorialista del “Corriere
della Sera”, Raffaele Genah, vice
direttore “Tg1”, Clemente Mimun
direttore “Tg5”, Antonio Polito,
direttore de “Il Corriere del Mezzogiorno”, Maarten Van Aalderen, presidente della Stampa estera in Italia,
Sarah Varetto, direttore “SkyTg24”
Giovanni Maria Vian, direttore de
“L’Osservatore romano”, Luigi
Vicinanza, direttore editoriale del
gruppo “Espresso-Repubblica”, dal
presidente della giuria Paolo Graldi e dal Segretario Generale, Carlo
Gambalonga, ha deliberato le seguenti decisioni:
Lina Ben Mehnni, la blogger
tunisina, che ha avuto un ruolo di
rilievo nella informazione durante
la Primavera araba, è la vincitrice
del Premio Ischia Internazionale di
giornalismo.
A Mario Orfeo, direttore del “TG1”,
e a Fiorenza Sarzanini del “Corriere
della Sera”, sono stati assegnati i premi “giornalisti dell’anno”, per la TV
e per la carta stampata.
Per la sezione del giornalismo “on
line” il riconoscimento è andato al
rinnovato sito Ansa.it.
Il Premio Mediterraneo è assegnato a Lucetta Scaraffia per l’inserto mensile “Donne Chiesa Mondo” sull’Osservatore Romano”.
Un riconoscimento speciale della
Fondazione “Giuseppe Valentino” è
andato ad Antonio Manzo del quotidiano “Il Mattino” per le interviste
realizzate nel corso dell’anno.
La giuria ha ritenuto altresì di segnalare con una menzione particolare la redazione del quotidiano
’L’Ora della Calabria” che recentemente è stato chiuso dopo essere
stato pesantemente censurato.
si svolge sotto l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica, con il
Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è promossa
dalla Fondazione “Giuseppe Valentino” con il sostegno della Regione
Campania, Assessorato alla Cultura, della Camera di Commercio di
Napoli e dell’Istituto per il Credito
Sportivo.
La cerimonia di consegna del Premio Ischia sarà interamente trasmessa da SkyTg24. La manifestazione
La “due giorni” del Premio 2014
che si terrà a Lacco Ameno nella
tradi­zionale cornice dell’hotel della
Nella Torre di Michelangelo ad Ischia,
in concomitanza con il vernissage “Idee
per Ischia”, l’Associazione Pida, il
Comune di Ischia e l’Ordine degli Architetti di Napoli hanno presentato il
VII Premio Internazionale Ischia di
Architettura_“Alberghi nutrono il pianeta”, che si svolgerà dal 21 al 26 luglio
2014: un grande festival dell’architettura e dell’ospitalità.
Alla presentazione sono intervenuti,
tra gli altri: Giovannangelo De Angelis,
presidente Associazione PIDA che ha illustrato la settimana del festival dell’architettura e dell’ospitalità tra seminari,
mostre, escursioni guidate ai luoghi più
suggestivi dell’isola grazie al partner
Imperatore Travel; Silvano Arcamone, organizzatore della mostra “Idee
per Ischia”, promossa dal Comune di
Ischia, il quale ha raccontato la mostra
dei progetti partecipanti al concorso
sulla riqualificazione, valorizzazione
e riuso dell’ex mercato comunale sito
nella traversa Buonocore; Toti Semerano membro della giuria del concorso
sulla riqualificazione, valorizzazione e
riuso dell’ex mercato comunale; Carmine Barile vicesindaco di Ischia che
ha sottolineato l’importanza dell’investimento dell’amministrazione pubblica
nell’architettura.
tità dei luoghi e degli spazi. Il premio
PIDA quest’anno vuole dunque accogliere la sfida lanciata dall’EXPO 2015,
instaurando un dibattito sul ruolo del
turismo ed implementando una nuova
sezione del premio che contenga il DNA
dei principi “Nutrire il pianeta, energia
per la vita”.
Il premio si articola in varie sezioni: le
opere possono essere nuova architettura
oppure recupero, riqualificazione, ampliamento di edifici esistenti, purché sia
leggibile un dialogo con la contemporaneità.
- Alla sezione premio PIDA (Alberghi
e SPA) potranno partecipare architetti
e ingegneri di qualsiasi nazionalità che
abbiano realizzato opere sul territorio
nazionale e internazionale coerenti con
il tema.
- Alla sezione premio PIDA Concept
(Alberghi e SPA) potranno concorrere
progettisti, designer e studenti di qualsiasi nazionalità che abbiano realizzato
progetti coerenti con il tema del concorso.
- La sezione premio PIDA Ottagono, in collaborazione con il magazine
Ottagono, affronterà il tema dell’EXPO 2015: alimentazione, sostenibililtà,
ricerca e sviluppo nel concept di una
struttura per l’ospitalità che possa divenire realtà nel 2030.
- La sezione premio PIDA CasaClima, in collaborazione con l’Agenzia per
l’Energia Alto Adige – CasaClima premierà l’opera di architettura che meglio
avrà interpretato i temi dell’efficienza
Re­gina Isabella il 27 e 28 giugno sarà
ricca di eventi collaterali: dibattiti e
focus sui temi di mag­giore attualità
con ospiti di altissimo livello. Oltre
a giornalisti partecipe­ranno economisti, politici e rappre­sentanti della
cultura italiana. Venerdì 27 giugno si
parte con il di­battito su “L’Italia, un
paese con il freno a mano tirato” per
concludere con il dibattito finale che
vedrà coin­volti i direttori dei principali quotidiani europei.
*
PIDA 2014 - Premio Internazionale Ischia
di Architettura: “Alberghi nutrono il pianeta”
Il tema del Concorso Internazionale
PIDA 2014 è la qualità dell’ospitare:
ospitare, accogliere, ricevere sono vocazioni ataviche dell’architettura che ha
da sempre il compito di definire l’iden-
energetica e sostenibilità legati all’uso e
riuso dei materiali, coniugando l’aspetto
estetico con quello energetico.
- Il premio Pida Analist, in collaborazione con Analist Group, è un premio
speciale attribuito da una giuria popolare composta dagli utilizzatori di Facebook: la selezione avverrà tra i progetti
candidati a tutte le sezioni del Premio.
La partecipazione al concorso è gratuita: tutti gli elaborati dovranno pervenire
entro il giorno 22 giugno 2014.
La giuria delle sezioni Premio PIDA
e PIDA Concept è composta da: Luigi
Prestinenza Puglisi (presidente), Monica Maggioni, Paola Pierotti, Luca
Gibello, Francesco Pagliari, Francesco Scardaccione e Antonio Coppola
dell’Ordine degli Architetti di Napoli,
il vincitore del PIDA alla carriera, Ermando Mennella referente nominato da
Feredalberghi, un referente nominato
da Ottagono e un referente nominato
dall’Agenzia per l’Energia Alto Adige –
CasaClima.
La giuria della sezione Ottagono è costituita da: Valentina Auricchio, coordinatrice di Ottagono, Aldo Colonneti art
director Ottagono, Gian Luigi Colin art
director Corriere della Sera, Paolo Baldessari architetto.
Le giurie pubblicheranno la graduatoria per tutte le varie sezioni il giorno 4
luglio 2014; i primi tre classificati verranno invece resi noti durante la serata
di premiazione del 25 luglio.
Info e bando su: www.pida.it
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
41
Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia
A cura di Agostino Di Lustro
Il Convento e la Chiesa
di San Domenico d'Ischia
I
Continuando la presentazione dei luoghi sacri del territorio della città d’Ischia, e avvicinandoci sempre più
alla città, vogliamo ora presentare quelli ubicati nella
parte montana del territorio, cioè nella zona del Calosirto, di Salito e di Campagnano, e cominciamo dal
convento domenicano di San Domenico.
Ma nelle scorse settimane ci è giunta la notizia che
il Capitolo Provinciale dei Padri Predicatori avrebbe deliberato la chiusura e l’abbandono del convento
napoletano di S. Domenico Maggiore, privando così
la città della presenza dei figli di San Domenico non
solo, ma abbandonando un complesso monumentale
di grande portata storico-culturale e artistica nonché
religiosa non solo nella storia dei Frati Predicatori,
ma della cultura e dell’arte. Basti citare S. Tommaso
d’Aquino e Giordano Bruno che sono vissuti e hanno
operato per qualche tempo proprio nel convento di San
Domenico Maggiore di Napoli.
Anche per questo desidero soffermarmi sulla presenza domenicale ad Ischia resa ancora più incisiva dalla
presenza di un convento di frati e, forse, anche di monache, che sarebbe da ubicare sul castello.
Il culto a S. Domenico sull’isola d’Ischia affonda le
sue radici nei secoli del medioevo. Lo troviamo presente anche nei secoli successivi non solo nel territorio
della città d’Ischia, ma anche fuori di essa. Infatti nella
chiesa parrocchiale del Lacco, alla Fundera, troviamo
una statuetta lignea del secolo XVIII; nella Basilica di
Santa Restituta si venera un’altra statua lignea del secolo XVIII. A Forio troviamo alla contrada Bocca una
chiesetta dedicata al Santo che risale al secolo XVIII.
Fino agli anni Settanta del secolo scorso era una cappella rurale immersa nei vigneti; oggi è al centro di
una zona diventata residenziale. Un altare dedicato al
Santo si trovava anche nell’antica chiesa parrocchiale
di S. Sebastiano a Forio, come ci fa sapere il parroco
Francesco Pezzillo in un documento del 30 nov.16991.
1) Archivio Diocesano di Ischia (ADI), Fondo Parrocchie, S. Sebastiano di Forio.
42 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Questo altare scomparve a metà secolo XVIII quando
la chiesa fu abbattuta per essere ricostruita su progetto
di Ferdinando Fuga2 ma che non fu mai completata e
definitivamente abbattuta all’inizio del secolo scorso3.
Quando sia stato introdotto a Ischia il culto a questo Santo, non lo sappiamo. La notizia più antica risale agli anni 1308-1310 e riguarda un «monasterium
Sancti Dominici Ordinis Sancte Clare qui valet uncias
duas solvit tarenos duos». Questo però non è il convento di S. Domenico che noi conosciamo, che forse
all’epoca non ancora esisteva, bensì un monastero
2) G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli Stabilimento tipografico Gabriele Argenio, 1867 p. 371; A. Di Lustro, A Forio
un’insigne opera di Ferdinando Fuga, in La Rassegna storica dei
Comuni, anno III nn. 5-6, 1971.
3) G. Castagna-A. Di Lustro, La diocesi d’Ischia e le sue chiese,
Forio 2000.
Napoli - Chiesa di San Domenico Maggiore
Facciata vista dall'omonima piazza
femminile abitato da Clarisse. Da ciò dovremmo dedurre che Ischia abbia avuto nel corso della sua storia due monasteri di Clarisse: questo documentato nel
1308-1310, scomparso non sappiamo quando, e quello
fondato nel secolo XVI da Beatrice della Quadra. Questa notizia, però, sarebbe in contrasto con l’Onorato il
quale, parlando del periodo in cui il Card. diacono di S.
Eustachio, Baldassarre Cossa, fu amministratore della
chiesa «Insulana », scrive che intorno al 1415 «occorrendo di provedersi di un vicario un monastero di
monache sotto la regola di San Domenico, il Capitolo
d’Ischia capitolarmente, si radunò, ed elesse e destinò
per vicario delle cennate monache il Rev.do Salvatore
Amalfitano, e si disse, e si enunciò, che la sede vescovile d'Ischia era vacante; cotale notizia si rilevò da una
legale pergamena sistente in uno stipo dell’antica cattedrale d’Ischia notata colla lettera C, e dove si conservano altre pergamene»4. Risulta piuttosto difficile mettere insieme queste due
notizie, anche perché tra loro intercorre oltre un secolo.
Penso che possano riferirsi a monasteri diversi dei quali non sappiamo altro. Sembra, comunque, che sarebbe da escludere che si riferiscano ad una stessa realtà
monastica e che nessuna delle due possa riferirsi al
convento di S. Domenico di cui ci stiamo occupando.
L’esistenza di questo convento nella seconda metà
del secolo XIV è comunque documentata dall’Ughelli
il quale ci ha trasmesso notizie su alcuni monumenti
funebri esistenti nella chiesa di questo convento che
si riferiscono ai due fratelli Bussolaro: Bartolomeo,
agostiniano, vescovo d’Ischia tra il 13595 e il 13846,
e il fratello Jacopo, domenicano, rifugiatosi qui dalla
nativa Pavia perché perseguitato da Giovan Galeazzo
Visconti. Il vescovo Bartolomeo nel 1384 fu processato e privato della diocesi alla cui guida fu posto Paolo
Strina, di obbedienza avignonese, che resterà alla guida della chiesa di Ischia per pochi anni perché presto
cambiò il clima politico a Napoli che divenne avverso
all’antipapa avignonese.
Sulla lastra tombale di fra Jacopo che si trovava nella
chiesa di S. Domenico, la figura del frate agostiniano
recava nelle mani un libro aperto sul quale si leggeva:
«Liber excusatorius de gestis per eum de tota vita sua».
L ’epigrafe a sua volta diceva:« Beatus frater Jacobus
Busularius nuncupatus sub isto altari MCCCCLXXX
die XVJ Augusti fuit traslatus. Per annos XIIII a Joanne Galeacio Mediolanense, martirium carceris pro
4) V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’isola d’Ischia,
in Biblioteca Nazionale di Napoli manoscritto fondo S. Martino n.
439, f. 135 v.
5) C. d’Ambra, Ischia tra cultura e fede, Torre del Greco 1998 p.
35.
6) Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi …per Curradum Eubel, vol. I Patavii MCMLX, p. 286.
veritate suscepit Papiam, Alexandriam de omni malo
ad omne bonum reduci, omnes dignitates abborruit, et
numquam propriam habuit. Deo Gratias. Amen. Ad
dexteram tumuli insigna sculpta sunt Busulariae gentis, Leo nempe, sub quo tria lilia. Ad sinistram Crux
magna, civitatis Papiensis, symbolum, in media haec
verba: C. Communitatis Papiae. Bartholomeus vero
cum bene per annos omnino triginta hanc rexit Ecclesiam7 ex hoc mortali ergastulo ereptus anno 1389
sepeliri voluit juxta Beati tumulum, quod nunc eidem
superpositum ….., cum hoc epitaphio; in hoc coemeterio reconditus fuit Batholomeus Lombardus de Papia
de Busulariis, Episcopus Isclanus MCCCLXXXIX die
IIII mensis dicembris»8.
C’è da osservare ancora che possediamo notizia di un
«monastero di S. Domenico d’Ischia» senza alcun’altra indicazione, nella cronistoria della fondazione
del convento francescano di S. Maria delle Grazie o
«all’Arena», in riferimento al territorio ubicato attorno
alla cappella di S. Maria della Misericordia che il 7
gennaio 1489, con atto rogato dal notar Gaspare Mellusi, il vescovo d’Ischia con i canonici della cattedrale,
il governo della città d’Ischia e i cittadini concessero
ai Padri Francescani perché fondassero un convento.
Questi beni consistevano, oltre ad una «cappella sotto il titolo di S. Maria della Misericordia, seu dell’Arena», un «certo poco edificio contiguo, et suo poco
di orticello, sito nel territorio di detta città d’Isca nel
luogo lo pantano, iusta li beni del monastero di San
Domenico d’Isca, e la via publica, ed altri confini»9.
C’è da pensare che questo «monastero di S. Domenico» possa essere quello dei Domenicani di cui ci occupiamo.
Testimonianza inequivocalibe della sua esistenza ci
viene fornita dal vescovo Innico d’Avalos il quale nella
sua «Platea» del 159810 scrive: «Nella pertinentia di
detta Città vi è il convento di santo Domenico, vi stanno da tre frati dell’istesso ordine, rende ducati 40»11.
Nelle successive relazioni ad limina, quando il vescovo parla dei vari conventi esistenti nella sua Chiesa,
usa quasi sempre solo poche scarne parole per ricor7) In effetti Bartolomeo Bussolaro è stato vescovo legittimo di
Ischia fino alla morte perché allontanato dalla sua chiesa da un
papa illegittimo quale era Clemente VII.
8) F. Ughelli, Italia Sacra sive de Episcopis Italiae, Venetiis
MDCCXVII, vol. VI coll. 233-34.
9) Archivio di Stato di Napoli ( ASN ), Corporazioni Religiose
Soppresse (CRS) vol. 5226, Platea piccola di Santa Maria delle
Grazie di Ischia, f. 1 r.
10) Si tratta della prima relazione ad limina presentata nel 1598 e
pubblicata integralmente da P. Lopez, Ischia e Pozzuoli due diocesi nell’età della controriforma, Napoli Adriano Gallina Editore
1991, pp. 209-219.
11) P. Lopez, op. cit. p. 219.
12) Questo vescovo ha presentato regolarmente le relazione ad li-
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
43
darne solo l’esistenza12. Allo stesso modo si comporta
anche il successore Francesco Tontoli ( 1637-1662 )
per cui del convento di S. Domenico riusciamo a sapere molto poco. Ed è molto scarsa di notizie anche la
relazione che i frati presentarono nel 1649 in seguito
alla pubblicazione il 17 dicembre della bolla «inter coetera» da parte di papa Innocenzo X13 che portò alla
soppressione delle piccole comunità religiose. Sulla
nostra Isola, oltre al convento di S Domenico dei Padri
Predicatori, furono soppressi anche i conventi agostiniani di Santa Maria del Soccorso di Forio, di S. Gennaro di Panza14 e di S. Sebastiano di Barano.
Questi piccoli conventi vennero soppressi per decreti
della Sacra Congregazione del Concilio il 18 aprile e
11 novembre 1653 i quali stabilirono anche come utilizzare le rispettive rendite.
Le vicende successive dei conventi di San Domenico
e di Santa Maria del Soccorso le conosciamo grazie
ad una pagina delle costituzioni sinodali del vescovo Luca Trapani che desidero qui riportare perché mi
sembra molto puntuale ed eloquente. È in latino, purtroppo, e so molto bene che non tutti i miei venticinque
lettori lo conoscono. Ma i documenti debbono essere
riportati nella loro lingua. Per questo me ne scuso con
loro.
pag. 213
Synodo provide excogitatorum pro constituendis cer-
tis redditibus ad Collegii fabricam construendam, praeceptorum, ac ministrorum mercedem solvendam, ac
juventutem alenda, necessariis; et cum aliunde annui
redditus parvulorum Conventuum sub titulo Santi
Dominici Villae Campagnani, et Sanctae Mariae Succursus Terrae Forigii, a sanctae memoriae Innocentio
X suppressorum, ab eodem Pontifice applicati fuerint
Seminario erigendo, assignata certa portione cappellanis respective ab Episcopo eligendis, pro decore
Ecclesiae conservando, ac supportandis oneribus, ut
plenius in ejusdem Pontificis Bullis, ac Sacra Congregationis Concilii decretis continetur; quae tamen
applicatio, ac dispositio Apostolica, temporis iniuria
e Praedecessorum nostrorum memoria delapsa, non
solum executioni non fuit demandata, sed dicta Sancti
Dominici Ecclesia in Parochialem erecta postmodum
fuit, assignatis Rectori redditibus ejusdem, et item Sanctae Mariae Succursus annui redditus, nullo Exactore
costituto, pro majori parte perditi sunt, ut ad praesens vix Cappellani congrua habeatur: Hinc salvis
juribus actu possidentis dictam Parocchialem ( si, et
quatenus ei competunt) mandamus , quod contingente
vacatione dictae Parrochialis, Ecclesia, domus, possessiones, fructus, et redditus omnes ad praedictam
Ecclesiam, et Conventum olim suppressum quomodolibet spectantes, applicentur, et incorporentur, seu
applicata, et incorporata declarantur juxta Apostolicam designationem, praedicto Seminario erigendo; et
Parocchialis transferatur ad Ecclesiam Sanctissimae
Annunciationis dictae Villae Campagnani, providendo Rectori de congrua ex fructibus dictae Ecclesiae
Annunciationis, aliisque remediis, prout de jure. Item
mandamus duobus Canonicis a Nobis deputatus ad
mentem Tridentini, quod omni diligentia curent, ut
redditus Sanctae Mariae Succursus deperditi, recuperentur, et proinde lites instruant contra injustos detentores, et super observantia hujus Decreti invigilent.
Recuperatis autem praedictis, aliisque redditibus ad
Seminarium erigendum quomodolibet spectantibus,
praecipimus. Quod donec Seminarium erigatur, iidem
applicentur pro substentatione tot puerorum a Nobis
eligendorum ex Civitate, vel Dioecesi, qui in Seminario Metropolitanae Ecclesiae Napolitanae convivere,
ac alii possint, cum conditionibus, aliisque praescriptis in Synodo Provinciali Neapolitana anno 1699 sub
titulo de Seminario15.
mina allo scadere dei vari trienni del suo lungo episcopato protrattosi dal 1590 al 1637. La prima relazione fu presentata nel 1598.
13) Bullarium Romanorum Pontificum, Romae MDCCLV, tomo
VI, pars III, p. 201.
14) Sui conventi di Forio e Barano cfr. P. Monti, Ischia archeologia e storia, Napoli 1980, p. 640-646 e 750-752; A. Di Lustro, I
conventi agostiniani di Forio, in Ischia oggi, anno V nn. 8…..13
(1974); e: Il convento agostiniano di Barano, in ibidem nn. 14-15
(novembre-dicembre 1974).
15) Il Concilium Provinciale Neapolitanum ab Eminentissimo
et Reverendissimo Domino D. Jacobo Cardinali Cantelmo, Romae, ex Typographia Reverendae Camerae Apostolicae MDCC
a p. 117, infatti, così recita: «In Civitate, aut Dioecesi Isclana pro
Seminario ibi erigendo curet loci Episcopus omni conatu, et diligentia, ut erectio praedicta per opportuna remedia a Sacro Tridentino Concilio praescripta perficiatur, et interim eadem erectione
pendente, curet educari in aliquo Seminario intra Provinciam tot
pueros, quot vires patiuntur, etiam ad formam Tridentini».
SYNODUS DIOECESANA ISCLANA ab Illustrissimo et Reverendissimo D. Luca Trapani Utriusque
Juris et Sacrae Theologiae Doctore et Magistro
Episcopo Isclano celebrata Romae, ex Typographia
Reverendae Camerae Apostolicae 1716- Pars Secunda : De Ecclesiastica Disciplina, Caput XV De
Capitulo, caeterisque Ministris nostrae Sanctae Cathedralis Ecclesie.
pag. 212
XXVII= Cum Seminarii erectio magnopere a Tridentino commendata, stricteque Episcopis injuncta, ac a
Nobis omni solertia conquista, usque adhuc in hac
Cathedrali effectum suum sortiri non potuerit, nec sit
proxima spes sortiendi, ob Mensae Episcopalis, ac
Capitularis inopiam, Beneficiorum tenuitatem, Scholasteriarum deficinentiam, ac inefficaciam omnium, et
singulorum mediorum a Tridentina
44 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
Al margine delle pagine, vi sono due note esplicative al paragrafo XXVII. Quella alla pagina 212 dice:
«Tridentinus, sessio 23. Synodus Provincialis Neapolitanus titulus 10 capitulum unicum. Bulla Innocentii
X suppresssionis parvorum Conventuum, et Sacrae
Congregationis Concilii in una Isclana applicationis
Conventuum Suppressorum 18 aprilis et 11 Novembris 1653 cujus authographum conservatur in Archivio
Episcopali». Al margine di pagina 213, la nota dice:
«contra hoc decretum (cioè il decreto del sinodo di
Trapani che ordina il trasferimento della sede della parrocchia di San Dominico nella chiesa dell’Annunziata
di Campagnano), reclamantibus aliquibus parochianis
dictae Paroeciae, fuit partibus auditis causa remissa
Illustrissimo er Reverendissimo Domino, ab Eminentissimo et Reverendissimo Domino Cardinali Spinola
Camerae Apostolicae Generali Proauditore, sub die 11
Decembnris 1716 cujus authographum conservatur in
Archivio Episcopali»16.
La parrocchia, in effetti, era stata fondata dal vescovo
Girolamo Rocca che non aveva tenuto conto dei decreti della Sacra Congregazione del Concilio per cui nella
relazione ad limina del 1678 così scrive: «Extabat non
longe ab eadem Civitate Monasterium olim Patrum
Sancti Dominici per Sanctae Memoriae Innocentii X
suppressum, quod in Visitatione habita, anno praeterito in Ecclesiam Parochialem erigi omnino debere
exisistimavi certis finibus assignatis, et a Parochia existente in Suburbio eiusdem Civitatis dismembratis, accedente Parochi consensu, cum ab eadem, ob locorum
distantia, viarumque asperitates, hyemali potissimum
tempore, non sine maximo incommodo sacramenta
administrari potuerint»17.
Così i decreti di papa Innocenzo X rimasero lettera
morta e l’idea di costruire il seminario rimase solo un
auspicio. La parrocchia continuò a restare nella chiesa di S. Domenico, anche perchè il sinodo di Trapani
qualche anno dopo la sua pubblicazione fu ritirato e
Luca Trapani trasferito ad Avellino18.
Le motivazioni che hanno indotto il vescovo Rocca
a non tener conto dei decreti della Congregazione del
Concilio e procedere alla fondazione della parrocchia,
sembra che siano conseguenza della mutata situazione
che si era evoluta in modo tale da creare nuovi problemi di carattere sociale e demografico che richiedevano
adeguate soluzioni.
Dopo la sospensione del sinodo del vescovo Trapani,
16) Synodus di Luca Trapani cit. pp. 212-214.
17) Cfr. in ACC (Archivio Congregazione del Concilio), relazione
ad limina del vescovo Girolamo Rocca del 1678.
18) Su questo aspetto della vicenda del sinodo del vescovo Luca
Trapani, cfr. A. Lauro, Collaterale e Curia Romana per la sospensione del sinodo d’Ischia nel 1717, in Archivio Storico per le Province Napoletane, vol. CXI ( 1993 ) pp. 213-253.
per alcuni anni non si parlò più di sospensione o di
trasferimento della sede parrocchiale di S. Domenico,
neppure nelle relazioni ad limina del vescovo Giovanni Maria Capecelatro, che era succeduto al Trapani
nel 1717, effettuate negli anni 1718, 1721, 1731, 1735.
Il successore Nicola Antonio Schiaffinati, agostiniano, nella sua unica relazione ad limina presentata nel
1739, ci informa che il suo predecessore Capecelatro
al momento in cui si rese vacante la parrocchia di S.
Domenico, tentò di attuare il trasferimento della sede
parrocchiale per devolverne le rendite a beneficio
dell’erigendo seminario, ma da parte dei filiani della
parrocchia ci fu nuovamente un movimento di protesta contro la decisione del vescovo. Essi si rivolsero
immediatamente alla Sacra Congregazione del Concilio e al cardinale Protodatario per cui fu costretto a
indire il concorso per la nomina del nuovo parroco
che sarebbe rimasto nella sua sede storica e naturale.
Il vescovo Schiaffinati nella sua relazione presenta lo
stato della parrocchia in questi termini. Egli afferma
che la popolazione della parrocchia è costituita da 722
anime, tra cui ci sono sette sacerdoti e due chierici. Aggiunge però che la maggior parte della popolazione di
essa vive lontana dalla chiesa parrocchiale, in modo
particolare intorno alla chiesa della SS.ma Annunziata
a Campagnano. La parrocchia ha circa ottanta ducati
di reddito; la chiesa è di struttura mediocre ed è fornita
di buone suppellettili sacre. La chiesa dell’Annunziata,
invece, è governata da laici con circa cinquanta ducati
annui di rendita e fornita anch’essa di buone suppellettili, ma ha bisogno di urgenti lavori di restauro come
è già stato ordinato nel corso della precedente visita
pastorale.
Nell’ambito della parrocchia vi sono ancora la cappella di S. Michele Arcangelo, di patronato della famiglia Canetti, molto piccola però e priva di adeguate
suppellettili sacre. Vi si celebra a stento il giorno della
festa del titolare ad anni alterni da parte del Capitolo
della cattedrale o dagli Agostiniani.
La seconda cappella, di patronato della famiglia Cervera, presenta lo stesso Santo titolare, ma è priva di
redditi e vi si celebra nei giorni festivi per devozione e
comodità di quelli che abitano nei pressi che provvedono in proprio anche all’elemosina da dare al sacerdote che va a celebrare.
Vi è ancora la chiesa di S. Antonio Abate, di patronato della famiglia Garrica, con il relativo beneficio e
35 ducati di rendita con l’obbligo della celebrazione di
alcune messe19.
Agostino Di Lustro
19) Vedi la relazione ad limina del vescovo Schiaffinati.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
45
Note Località isolane
San Montano - Spiaggia incantevole di Lacco Ameno. Non saprei perché gli antichi dedicarono tale località a questo santo, il quale fu arrestato perché cristiano
e a Terracina fu torturato e condannato a morire annegato nel mare, dove fu buttato con una pietra al collo.
Non essendo affondato, la tradizione vuole che abbia
raggiunto a nuoto l’isola di Ponza dove visse ancora
un anno e operò prodigi, risuscitando anche un morto. Morì in quell’isola ma il suo corpo fu poi portato
a Gaeta, ove è venerato. La sua memoria ricorre il 17
giugno1.
Borgo di Celsa - Borgo corrispondente all’attuale
Ischia Ponte, così detto, secondo alcune interpretazioni, perché vi erano piantagioni di gelsi. Le foglie del
gelso servivano per nutrire i bachi da seta. C’era anche
a Ischia questa industria. I fili di seta prodotti dai bachi
1 “Né tacerò del bagno locato ai piedi del Monte Vico, sacro al
patrio eroe Montano…” (de Quintiis, Inarime, lib. I, 1726).
46 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
di don Camillo D'Ambra
venivano rivenduti agli opifici che da quella materia
prima formavano gli abiti e le stoffe di seta. In Campania era fiorente quest’industria durante il regno borbonico. Nel 1853 in tutto il regno delle Due Sicilie furono
prodotte un milione e quattrocentomila libbre di seta.
‘A lumera – Luoghi di Porto d’Ischia e di Casamicciola, ove c’è l’industria delle mattonelle e dei vasi di
terracotta. Si chiamava “Lumera” (allumiera), perché
un tempo lì, ma anche in molte altre località dell’isola
vi erano miniere da cui si estraeva l’allume da un’industria molto fiorente. L’Onorato, nel suo Ragguaglio,
a proposito di queste miniere, scrive: «.. fin dal tempo,
che Bartolomeo Pernice Genovese ne fece conoscere
il vantaggio, e il profitto, si pose in opera, ed in lavoro l’arte di cacciare, e di formare l’allume; ed un
tale lavoro fu esercitato nel 14, nel 15, e nel 16 secolo;
e si arrivò a tirarne in un anno lavorato, formato, e
purificato sin a mille, e cinquecento cantaia. Dappoi
una tale miniera, ed un tale genere mancò, o perché
si estinse, e terminò, o perché poté ricevere modificazione, e così venne a mancarne il lavoro, e la fattoria.
Quindi ne derivò, che le fornaci, e le costruzioni, che
servono per la cottura de vasi, e del lavoro di creta, si
seguitarono a chiamare, come si chiamano, lumiere. Il
prodotto dell’allume era di ricchezza, e di vantaggio
grande per Casamicciola, e per la città d’Ischia. Bartolomeo Pernice imparò, ed apprese l’arte dell’allume
in Rocca della Siria, e nel conoscerne il genere nell’isola, tenne tutta la cura d’insegnarla all’isolani».
Il vescovo di Ischia godeva del diritto della decima
sulla produzione dell’allume dell’isola d’Ischia e sulla
bagliva. Tale diritto fu concesso dal re di Napoli con un
suo decreto datato da Capua il 4 marzo 1273. E il 23
marzo dello stesso anno dette mandato al suo Procuratore di vigilare sull’osservanza di tale diritto, perché
nessuno osasse contestare al Vescovo il diritto della
decima sull’allume, e vi aggiunse anche quello sullo
zolfo.
Nei primi anni del 700 Agostino Santamaria e figli
fabbricarono e fecero una piazza seu Lumera da realizzare mattoni ed altro di creta, una bottega seu basso o
camera con loggetta sopra di esso.
Il Gurgitello – Sorgente termale esistente a Casamicciola. Lungo i secoli, tali terme ebbero fortune
e sfortune. Si sa che la duchessa Geronima Colonna
(1534-1587), moglie di un Pignatelli e sorella di Marcantonio, il vincitore della battaglia di Lepanto, prese a
cuore queste terme nei lunghi soggiorni che fece nell’isola, e pose a disposizione una generosa somma per il
ripristino della sorgente2. De Rivaz (1836): “È la principale e la più celebre delle acque minerali d’Ischia, e
di conseguenza la più frequentata di quest’isola, come
anche di tutte le altre terme che si trovano nei dintorni
di Napoli”.
Il Castiglione – Sorgente termale di Casamicciola
famosa perché le sue acque guarirono il principe di
Bisignano Pompeo Tuttavilla e la contessa di Briatico Delia Sanseverino. Castiglione si nomina anche la
collina, sulla quale fu portato alla luce un villaggio di
capanne con un abbondante materiale archeologico.
Frammenti di ceramica micenea, databili tra la fine
del XV e l’inizo del XIV secolo a. C., testimoniano
precoci fenomeni di contatto con il mondo egeo e le
coste tirreniche. Nell’età del ferro il villaggio fu abitato
da gente appartenente al popolo italico degli Opici o
Oschi. Il nome deriverebbe dalla presenza di un castello e di una antica città3.
Punta Mulino – Ad Ischia è chiamata così una loca2 “Di tutti i bagni d’Ischia questo (preziosissimo bagno,
volgarmente detto Gurgitello) noi prima abbiamo provato
e felicissimamente esperimentato”; “Eccellente bagno” (G.
Iasolino, De’ rimedi naturali che sono nell’isola d’Ischia, 1588).
3 De Quintiis, Inarime: “…nome assunto per quei ruderi di un
vecchio castello e per le vestigia di antico borgo”.
lità sul mare, ove recentemente è stato anche costruito
un albergo; qui esisteva uno dei mulini, probabilmente
“a vento”, per la macinazione del grano. In tempi successivi quei locali furono adibiti a carcere; ora sono in
parte demoliti, in parte usati a sede per mostre.
Anche a Casamicciola fu costruito un mulino nella
seconda metà del ‘700, come si rileva dalla Platea degli Agostiniani di S. Maria della Scala d’Ischia, ove si
dice che il 20 giugno 1765 fu redatto dal Notar Filippo Di Costanzo di Casamicciola un atto con il quale il
Convento di S. Maria della Scala vendeva due misurelle e mezzo di terreno sito in Casamicciola in località “la pezza” e propriamente “dalla parte della lava
dell’acqua corrente4 tenuto in fitto da Alessio Monte e
suoi nipoti Pasquale e Bartolomeo, al Sig. Enrico Doblet della Repubblica di Liegi e per ordine del suo delegato, per poter ivi fabbricare un molino per uso pubblico dell’Università di Casamicciola, con l’obbligo al
Sig. Doblet di costruire da capo a capo un muro di cinta
di nove palmi d’altezza e di due palmi di larghezza.
Nella stessa Platea degli Agostiniani, al foglio 893, si
fa cenno al mulino già esistente in località “la pezza”
nel secolo XVI e funzionante sino alla fine del 1513:
«1564 . a dì 13 gennaio il magnifico Marcantonio Rabicano in enfiteusi perpetua si censua dal Convento di
S. Maria della Scala un mulino diruto con corso d’acqua, case e corticelle, siti nelle pertinenze di Casamicciola, dove volgarmente si dice “alla Pezza”, giusta li
beni del medesimo convento, della cappella di S. Caterina dei Baldaia tenuta a censo da Silvestro Barbiero,
la cava dove corre la lava e che da anni cinquanta non
macina per essere stata rivolta altrove l’acqua dal Marchese di Pescara. La lava dirupò mesi scorsi il predetto
molino, per l’annuo censo di ducati otto pagabili il 15
agosto con l’obbligo di ridurre il predetto mulino in
buono stato fra anni sei».
Buceto – Sorgente potabile presso Fiaiano. Abocoetus, dice il Pontano; così detta perché ivi si raccoglievano gli uccelli per dissetarsi alla sorgente.
Francesco De Siano5: «... Buceto, o sia docceto, perché vi doccia da una ripa argillosa l'acqua di questo
nome, la quale con acquedotti è stata trasportata sino
alla città situata a levante circa due miglia e mezzo distante. (...) Altri vogliono il nome da buceto dal greco
che dinota pascolo di bovi; forse una volta vi pascolavano i bovi quando il luogo era demaniale».
4 “La lava dell’acqua corrente” non è altro che il piccolo ruscello
formato dall’acque di fonti perenni” indicato dal D’Aloisio
“picciol rio che in altri tempi forniva il bisognevole ad un molino
ed ora con tortuosi giri placido per la valle scendendo in mare si
vede dove s’incontra con la Marina che dicese l’Alumiere”.
5 Francesco De Siano, Brevi e succinte notizie di storia naturale
e civile dell'isola d'Ischia, 1801.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
47
Ischia Ponte - Castello e Scogli di Sant'Anna
Ischia, Via S. Anna - In Ischia, dalla via G. Battista Vico, e precisamente a ridosso della cappella della
Madonna del Carmine, s’apre una stradetta denominata “Via S. Anna” che conduce alla zona del cosiddetto
“cimitero vecchio” ai margini del quale c’è la chiesetta
di S. Anna, il cui atrio si affaccia sul mare ove vi sono
degli scogli che sono anch’essi chiamati "di S. Anna”. La zona, prima di essere adibita a cimitero temporaneo durante l’epidemia colerica del 1836, era chiamata
“Giardino delle Ninfe” o “Ninfario”6 e serviva anche
come raduno dei cacciatori, per cui prendeva anche il
nome di “Parata delle quaglie”. Lo specchio di mare
antistante la località è conosciuto col nome di “Scogli di S. Anna”, dove fin dagli anni trenta del secolo
XX viene fatta la festa detta di S. Anna (26 luglio) in
quell’incantevole specchio d’acqua che va dal Castello
a Cartaromana.
Quei pezzi di terra isolati gli uni dagli altri che chiamiamo “scogli di S. Anna”, originariamente, non erano
scogli, come lo sono i Faraglioni di Capri, ma sono
diventati tali per il bradisismo di cui soffrì tutta quella zona orientale d’Ischia. Il mare lì tendeva sempre
6 “In questo luogo si vede il piacevole e deliziosissimo giardino
dell’illustre Signor Don Giovanni di Guevara. Il quale luogo per
la sua amenità ed eccellente copia di frutti chiamarono il Ninfeo
o Ninfario” (G. Iasolino, De’ rimedi naturali che sono nell’isola
d’Ischia, 1588).
48 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
ad entrare nelle terre, per questo c’è quel muraglione,
anch’esso rimontante al 1400 che serve ad arginare
l’onda che continuamente il mare reca alla terra, strappandole dei pezzi. Un tempo tutta l’area, ora occupata
dal mare, a comnciare dalla “Corteglia” fino alla spiaggia di Cartaromana, era terra. V’erano le attrezzature
portuali che servivano il porto duecentesco, fiorente
in quella zona. Sul primo scoglio si notano ancora dei
residui di costruzione; altrove vi è un cunicolo che porta in un vano invaso dal mare. Sugli scogli si notano
strati di lapillo. Sono resti dell’eruzione di cui parla
Paolo Buchner in “Formazione e sviluppo dell’isola
d’Ischia”, il quale scrive. «Finora l’eruzione dell’Arso, della quale parlano diverse cronache e i registri
angioni, pareva l’unica medievale. Perciò fu una grande sorpresa, quando ci accorgemmo che ne avvenne
anche un’altra, quasi contemporanea, ma molto meno
importante, al margine del cratere di S. Michele, che
seppellì ruderi di case coloniche e moltissimi cocci
smaltati insieme con qualche moneta dello stesso Carlo II».
Camillo D'Ambra
Iosif Brodskij
Ischia ad ottobre
A Fausto Malcovati
Una volta qui ribolliva un vulcano.
Poi fu un pellicano a bucarsi il petto.
Non lontano viveva Virgilio,
Auden ci beveva vino a fiumi.
Когда-то здесь клокотал вулкан.
Потом – грудь клевал себе пеликан.
Неподалеку Вергилий жил,
и У.Х. Оден вино глушил.
Oggi lo stucco si scrosta dai palazzi,
prezzi e conti non son più quelli di una volta.
Ma io faccio quadrare in qualche modo
i miei versi svolgendo un’appannata “r”.
Теперь штукатурка дворцов не та,
цены не те и не те счета.
Но я кое-как свожу концы
строк, развернув потускневший рцы.
Il pescatore s’inoltra nell’oltremarino
via dalle coperte stese sul balcone,
l’autunno sferza i colli con un mare diverso
da quello che la deserta spiaggia frusta.
Dalla balaustra mia moglie e la mia bambina
guardano lontano, adocchiando il pianoforte
di una vela o un pallone aerostatico –
colpo smorzato di campana.
All’isola come variante del fato,
impensabile come bilancio del cammino,
si addice soltanto lo scirocco. Ma
neppure a noi è vietato
sbattere le imposte. E la corrente
che sparpaglia le carte è il segno
- sbrigati a voltarti! che qui non siamo soli.
Il guscio tenuto insieme con la calce,
che salva dall’impeto della fronte,
del sale, del vetusto martelletto,
rivela tre tuorli all’imbrunire.
Attorcendo i monogrammi delle buganvillee,
con il loro alfabeto mascherando
la sua vergogna, l’esigua terra
si vendica dello spazio con il verde.
Persone - poche, e sentendo “tu”
si induriscono i tratti, quasi
il linguaggio, a guisa di lente,
separasse il paesaggio dai volti.
E più volentieri che verso il continente,
nel sentire “a casa” la mano tende il dito
in direzione della montagna
dove crollano e crescono mondi.
Siamo qui in tre, e scommetto
che quanto vediamo insieme è tre volte
più senza fissa dimora e più azzurro
di ciò a cui Enea guardava.
Isosif Brodskij, Poesie italiane. Milano, Adelphi, 1996.
Traduzione di Serena Vitale.
Рыбак уплывает в ультрамарин
от вывешенных на балкон перин,
и осень захлестывает горный кряж
морем другим, чем безлюдный пляж.
Дочка с женой с балюстрады вдаль
глядят, высматривая рояль
паруса или воздушный шар –
затихший колокола удар.
Немыслимый как итог ходьбы,
остров как вариант судьбы
устраивает лишь сирокко. Но
и нам не запрещено
хлопать ставнями. И сквозняк,
бумаги раскидывая, суть знак
– быстро голову поверни! –
что мы здесь не одни.
Известкой скрепленная скорлупа,
спасающая от напора лба,
соли, рыхлого молотка
в сумерках три желтка.
Крутя бугенвиллей вензеля,
ограниченная земля,
их письменностью прикрывая стыд,
растительностью пространству мстит.
Мало людей; и, заслышав "ты",
здесь резче делаются черты,
точно речь, наподобье линз,
отделяет пейзаж от лиц.
И пальцем при слове "домой" рука
охотней, чем в сторону материка,
ткнет в сторону кучевой горы,
где рушатся и растут миры.
Мы здесь втроем и, держу пари,
то, что вместе мы видим, в три
раза безадресней и синей,
чем то, на что смотрел Эней.
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
49
L’immagine del Sud
nelle vedute dei Pittori Russi a Capri *
Lucia Tonini
La storia della fortuna di Capri nella pittura russa è
un argomento composito che partecipa contemporaneamente ad altri percorsi tematici in stretta simbiosi. Da
una parte, è ovvio, alla storia della fortuna dell’Italia
nella cultura russa, un rapporto che ha radici antiche
e implicazioni di grande interesse per la storia del
ruolo dell’Italia nella cultura europea dell’Ottocento.
Dall’altra la ‘scoperta’ dell’isola di Capri da parte dei
pittori russi si intreccia e entra a far parte della storia
dello sviluppo della pittura in Russia come anche della
fortuna pittorica dell’isola1.
Anche per la Russia sono state le motivazioni e le
modalità legate al Grand Tour a costituire l’inizio e la
spinta per un rilancio del viaggio in Italia, concepito
nel secondo Settecento principalmente come itinerario
nella classicità, per mutare nel tempo, in contatto
con la realtà italiana, nelle sue caratteristiche e nelle sue finalità. Sul viaggio in Italia, sul suo influsso e
sul suo significato nell’ambito della pittura russa sono
apparsi anche in Italia a partire dagli ultimi dieci anni
del secolo scorso alcuni studi specifici pubblicati in
occasione di mostre, fra cui ricordiamo in particolare
i saggi di Nicoletta Misler, Claudio Poppi, Evgenija
Petrova, Grigorij Goldovskij2. La grande quantità di
* Dal sito www. russinitalia.it/risorse/pubblicazioni - autorizzazione dell'autrice.
Alla fortuna pittorica dell’isola di Capri sono state dedicate
svariate pubblicazioni fra le quali ricordiamo: Il Mito e
l’Immagine: Capri Ischia e Procida nella pittura dal ‘600 ai
primi del ‘900, Torino, Nuova ERI, 1988; A. Basilico Pisaturo,
Pittori a Capri 1850-1950. Immagini, personaggi, documenti,
Capri, La Conchiglia, 1997; in particolare notizie sui pittori russi
a Capri si possono trovare in P. Cazzola, Artisti e scrittori russi
a Capri dall’Ottocento a oggi, in “Le pagine dell’Isola”,
Quaderni del Centro Caprense “Ignazio Cerio” I (1992), n. 33;
Capri 1905-1940. Frammenti postumi, a cura di Lea Vergine,
ricerche e testi di E. Fermani e S. Lambiase, Capri, La Conchiglia,
1993.
2
Si ricordano ad esempio i saggi contenuti nel catalogo della mostra La pittura russa nell’età romantica, a cura di G. Goldovskij,
E. Petrova, C. Poppi, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1990: G.
Goldovskij, Russia e Italia: rapporti artistici, pp. XXIII- XXXI;
N. Misler, La luna italiana e il sole del Nord, pp. XXXIII-XLII;
C. Poppi, Idea, Sentimento, Natura e Storia, pp. XLIII- LX. I
cataloghi delle mostre Nostalgia d’Italia, a cura di E. Petrova,
C. Poppi, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991. Viaggio in Italia, la
veduta italiana nella pittura russa dell’800, a cura di G. Goldovskij, E. Petrova, C. Poppi, Milano, Electa, 1993. Il catalogo
1
50 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
materiale inesplorato che essi rivelano rende il tema
tanto più affascinante e mette in evidenza la necessità
di collegare la storia del rapporto con la Russia a quello
più noto con le altre culture europee in Italia.
L’occasione di fare un’indagine specifica su Capri,
se pur da un lato ha la difficoltà di ritagliarsi da un imprescindibile contesto più vasto, quello napoletano con
cui è in relazione, dall’altro mette in luce un ruolo peculiare dell’isola, documentato, pur limitatamente alla
pittura, da un materiale talmente vasto che può essere
qui solo sfiorato.
La fortuna dell’Isola per eccellenza si gioca prima
di tutto in termini visivi, sebbene spesso nella loro trasposizione letteraria, ed è possibile quindi parlare di
una ‘immagine’ di Capri ancor prima della valenza
simbolica che essa esprime e incarna di volta in volta
nella storia della cultura internazionale3. La descrizione verbale appare precedere la sua rappresentazione
pittorica, ma condivide con essa i termini figurativi di
riferimento. Indubbiamente la silhouette di Capri rimane sullo sfondo di tante vedute nella pittura di paesaggio del Settecento e del primo Ottocento: raffigurazioni
della costa, della città di Napoli, della sua baia, del suo
mare, del Vesuvio. Se fino alla fine del Settecento il
Grand Tour aveva avuto Napoli come estremo confine
Proizvedenija russkich chudožnikov iz muzeev častnych kollekcij
Italii (Opere di artisti russi da musei e collezioni private italiane), Venezia, Marsilio, 1991. G. Goldovskij, Grigorij e Nikanor
Černecov, due artisti russi nell’Italia di metà Ottocento, in “800
italiano” I (1991), n. 4, pp. 28-37. Fra i saggi del volume I russi
e l’Italia, a cura di V. Strada, Milano, Scheiwiller, 1995, in particolare D. Sarab’janov, Artisti russi in Italia nel XIX secolo, e
I. Revjakina, I russi a Capri, 1906-1913: un caleidoscopio di
personaggi e situazioni. R. Giuliani, Vittoria Caldoni Lapčenko:
la fanciulla di Albano nell’arte, nell’estetica e nella letteratura russa, Roma, La Fenice, 1995. S. Khachaturyan, Ajvazovsky e l’Italia, in Roma - Armenia, a cura di C. Mutafian, Roma,
Carte segrete, 1999. Il catalogo della mostra Kandinskij, Vrubel’,
Javlensky e gli artisti russi a Genova e nelle Riviere. Passaggio
in Liguria, a cura di F. Ragazzi, Milano, Mazzotta, 2001. R. Giuliani, La meravigliosa Roma di Gogol’: la città, gli artisti, la vita
culturale nella prima metà dell’Ottocento, Roma, Studium, 2002.
F. Mazzocca, Da Oriente a Occidente: nuovi protagonisti sulla
scena romana, in Maestà di Roma. Da Napoleone all’Unità
d’Italia, Catalogo della mostra, Milano, Electa, 2003
3
Alla rappresentazione di Capri è stato dedicato un convegno e
una mostra alla Certosa di san Giacomo, di cui è testimonianza in
L’immagine di Capri, Napoli 1981
meridionale della penisola4, Capri vi si inseriva partecipando da lontano all’incanto dell’immagine classica
della baia, come ad esempio la descrive Goethe nella
sua ‘veduta’ dalla finestra del palazzo di Lady Hamilton nel 1787:
La vista che si gode [...] è forse unica. Ai piedi il mare, in
faccia Capri, a destra Posillipo, a fianco la passeggiata della
Villa Reale e a sinistra un vecchio palazzo di Gesuiti e, più
lontano, la costa di Sorrento fino a capo Minerva. Difficilmente si troverebbe qualcosa di somigliante in Europa5.
Alla descrizione di Goethe corrisponde la pittura di
paesaggio di tanti artisti stranieri arrivati in Italia sulla scia del Grand Tour, quali Philipp Hackert, Robert
Cozens, Abraham Louis Ducros, Anton Sminck van
Pitloo e altri, fra cui ricordiamo anche il russo Fedor
Matveev che nel 1806 esegue Vid Neapolja (Veduta di
Napoli - Pietroburgo, Museo Russo), ricomponendo
gli schizzi presi dal vero secondo quinte prospettiche
nel chiuso del suo studio romano6. Silhouette familiare
ma lontana, quella di Capri nel vedutismo neoclassico,
semplice ‘segno’ riconoscibile in un paesaggio rappresentato attraverso le convenzioni accademiche e ancora a quel tempo in via di esplorazione.
È solo negli ultimi anni del Settecento e nei primi
decenni dell’Ottocento che avviene la scoperta più
ravvicinata di quella silhouette, una sorta di ‘avvicinamento a cannocchiale’ che si può dire inizia con alcune
opere di pittori stranieri, come le tempere eseguite da
Hackert nel 1792 per la regina Maria Carolina e gli
schizzi e i bozzetti di Karl Friedrich Schinkel del 1804,
artisti fra i primi a raggiungere l’isola.
Per quanto riguarda i pittori russi, l’inizio della fortuna di Capri risale a qualche anno più tardi e può esser
messo in relazione con la fortuna della veduta italiana
legata a Sil’vestr Ščedrin. Trasferitosi da Roma a Napoli negli anni ‘20, Ščedrin si sposta sulla costa fra Pozzuoli, Sorrento e Amalfi in cerca di punti di vista stimolanti per le sue indagini pittoriche e per
soddisfare le innumerevoli richieste dei suoi committenti7. L’avvicinamento alla realtà paesaggistica locale,
la ricerca di nuovi spunti che stimolino la sua attività,
Cf. ad esempio il capitolo “Napoli e la scoperta del Sud”, in C.
de Seta, L’Italia del Grand Tour. Da Montaigne a Goethe, Napoli,
Electa, 1992; D. Richter, in Alla ricerca del Sud, tre secoli di
viaggi ad Amalfi nell’immaginario europeo, Firenze, La Nuova
Italia, 1989; i saggi contenuti nei due volumi Viaggio nel Sud, a
cura di E. Kanceff e R. Rampone, Genève, Slatkine, 1993.
5
J. W. Goethe, Viaggio in Italia, trad. E. Castellani, Milano,
Garzanti, 1997, p. 241
6
L’opera valse a F. M. Matveev (Pietroburgo 1758 - Roma 1826)
la nomina a membro dell’Accademia di Belle Arti di Pietroburgo
per la classe di Paesaggio
7
Cf. il saggio di P. Cazzola, Il colore del Sud, in Viaggio nel Sud,
cit., vol. II, Dalla Campania alla Calabria.
4
nella quale la luce è componente essenziale, lo portano
a esplorare le coste capresi scoprendo qui, forse più
forte che sulla riviera napoletana, il fascino della natura ancora incontaminata e l’aura classica del paesaggio
meridionale. Fra il 1826 e il 1828 Ščedrin soggiorna
a Capri a più riprese, riportandone una serie di vedute
che segnano quelli che saranno i topoi della rappresentazione dell’isola: marine, baie, grotte8, in un itinerario
parallelo a quello percorso in quegli stessi anni da Giacinto Gigante e dagli altri pittori della scuola di Posillipo. Lo studio degli effetti di luce che ritroviamo in tante vedute, soprattutto nella serie delle grotte capresi di
Ščedrin, la rappresentazione di una natura inviolata
ma non nemica e le scene intime di vita popolare, in cui
l’idillio è cercato in scorci di primo piano, o per mezzo
di quinte create da grotte o da terrazze e pergole (si
veda ad esempio Na verande – na ostrove Iskii – Sulla veranda. Ischia, 1829, Pietroburgo, Museo Russo),
producono una sensazione di armonia in una mediterraneità carica di suggestioni classiche mai direttamente
richiamate, ma evocate dall’equilibrio tonale della rappresentazione della realtà. Capri, come punto di vista
allontanato dalla costa brulicante di vita e di richiami
colti, si presta in particolar modo ad immergersi in uno
stato di soffusa ebbrezza e di dionisiaco abbandono avvertibile anche nella morbidezza della pennellata. Di
questo stato d’animo testimoniano anche le lettere.
In una di queste, ad esempio, l’evocazione delle rovine della villa di Tiberio è l’occasione per una visione
di sogno, in un clima solare di abbandono al dolce far
niente:
La mia fervida immaginazione vi porterà a Capri e vi farà
ricordare il Palazzo di Tiberio su uno scoglio inaccessibile
dal mare, da terra piano piano, come dice Pulcinella, voi
arriverete alle recenti scoperte di scale, corridoi, stanze e
persino di una chiesa, come dice il custode, perché, secondo lui, gli antichi erano ‘Cristiani turchi’. [...] È così caldo
che non si può far niente e sono concorde col grasso cappuccino che nei giorni di calura non fa altro che stare a
sedere immobile a sventolarsi9.
Le suggestioni della solarità meridionale intervengono fortemente anche sul più noto dei pittori russi in
Italia: Karl Brjullov, indubbiamente colui che ha creato
Si ricordano ad esempio le diverse versioni di Bol 'šaja
gavan’ na ostrove Kapri (Marina Grande nell’isola di Capri) del 1827 e del 1828 conservate alla Galleria Tret’jakov di Mosca,
Grot Matromania na ostrove Kapri (La Grotta di Matromania
nell’isola di Capri, 1827, Galleria Tret’jakov), le due versioni di
Skaly maloj gavani na Kapri (Scogli di Marina Piccola a Capri)
del 1827, conservata al Museo Russo di Pietroburgo, e del 1828,
conservata alla Galleria Tret’jakov
9
Lettera del 27 luglio 1828 da Capri allo scultore russo Samuil
Ivanovič Gal’berg, in Sil’vestr Ščedrin, Pis’ma, Moskva,
Iskusstvo, 1978, pp. 177-178
8
La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
51
l’immagine di un’Italia primigenia e solare secondo un
genere ‘all’italiana’ che avrà larga diffusione nella pittura russa. Il rinnovamento della pittura di paesaggio e
di genere, che procedeva parallelamente a quanto avveniva in patria con Aleksej Venecianov e la sua scuola,
in Italia si nutriva anche di un mito della felicità delle
terre del sud che ha in Ital’janskij polden’ (Mezzogiorno italiano, 1827) di Brjullov l’icona che a lungo è stata
sinonimo di Italia in Russia. Fra le sue numerose opere
ambientate a Napoli e nell’Italia meridionale, pur mancando vedute specificamente capresi, l’evocazione più
diretta della Classicità di Poslednij den’ Pompei (L’ultimo giorno di Pompei, 1830-1833) si alterna ai bozzetti di vita quotidiana come Devuška, sobirajuščaja
vinograd v okresnostjach Neapolja (Foto 5, pag. 55 Fanciulla che coglie l’uva nei dintorni di Napoli, 1827,
Pietroburgo, Museo Russo), che nella ricchezza tonale
e nella freschezza della pennellata rendono l’armonia
di una rappresentazione ‘naturale’.
Questo profondo rinnovamento di un sentimento
della classicità mediterranea al di fuori di riferimenti
diretti e concreti, la partecipa- zione emotiva e quasi fisica alla natura ritratta en plein air che riflette un nuovo
rapporto con la realtà rappresentata è quanto vediamo
anche nella pittura di Aleksandr Ivanov. Di lui, vissuto lungamente in Italia e presente a più riprese anche
sulla costa napoletana che ha ritratto in opere di fresca
e quasi fisica immedesimazione10, tuttavia non siamo
a conoscenza di soggiorni o soggetti specificamente
capresi.
Sull’esempio di Ščedrin Capri diventa soggetto cercato da una serie di pittori russi dell’età romantica,
come ad esempio Ivan Ajvazovskij, emozionali dovuti
agli effetti luministici11. Negli stessi anni ‘40 Grigorij Černecov ritrae la Grotta Azzurra12 (Foto3 pag.
55) e le marine capresi in acquerelli che hanno luce e
natura come protagonisti e conservano l’impostazione
documentaria degli album di viaggio dei pittori settecenteschi. È di qualche anno più tardi la veduta di
Bol’šaja gavan’ v Kapri (Marina Grande a Capri) di
Aleksej Bogoljubov13 , pittore dell’Accademia di Pietroburgo giunto anch’egli in Italia nella seconda metà
degli anni ‘50 con una borsa di studio, così come Lev
Lagorio che nel 1859 ritrae scorci capresi dal taglio
Aleksandr Ivanov soggiornò a Napoli nel 1843 e fra il 1846 e il
1848. Tra le opere dedicate a Napoli ricordiamo, ad esempio, Vid
Neapolja iz Posillipo (Veduta di Napoli da Posillipo, 1840 circa),
Pietroburgo, Museo Russo.
11
Lunnaja noč’. Kapri (Al chiar di luna. Capri, 1841), Rostov,
Museo di Arti figurative, Vid Kapri (Veduta di Capri), Kiev,
Museo dell’arte russa.
12
Kapri, grot (La Grotta Azzurra a Capri, 1842), Pietroburgo,
Museo Russo
13
Bol’šaja gavan’ v Kapri (Marina Grande a Capri, 1855),
Pietroburgo, Museo Russo
10
52 La Rassegna d’Ischia n. 3/2014
inedito e dai raffinati effetti di luce14. Anche i pittori
russi partecipano così alla celebrazione dei luoghi emblematici della topografia caprese che nel 1827 aveva
ufficialmente inaugurato la fama della Grotta Azzurra. Baie, grotte, pergolati, marine inseriscono Capri nella storia della pittura romantica anche russa e il
repertorio caprese si consegna al secondo Ottocento,
entrando a far parte anche del bagaglio di immagini
del turista europeo e russo che raggiunge il sud d’Italia,
fino a fissarsi nell’iconografia riprodotta e moltiplicata
della cartolina novecentesca.
La potenzialità suggestiva del paesaggio mediterraneo di Capri non si limita tuttavia ad ispirare la pittura
russa di paesaggio, ma diventa elemento determinante
anche di figurazioni allegoriche, la cui più chiara realizzazione si trova forse nell’opera di Genrich
Semiradskij (1843-1902): Orgija vremen Tiberija na
ostrove Kapri (Orgia sull’isola di Capri ai tempi di
Tiberio, 1881, Galleria Tret’jakov), cupa evocazione
dionisiaca di gusto tardoromantico, e la veduta solare
Capri, Villa Jovis (1881, collezione privata) ricreano
l’epopea classica in visioni costruite con l’attenzione ai
particolari e ai modi della pittura di genere. La luce del
plein air e il paesaggio mediterraneo rimangono anche
in questo caso i moventi di allucinate trasposizioni nel
tempo che esaltano i valori di un’idealizzata classicità
secondo il gusto simbolista per l’Antico.
Il grande successo che Semiradskij ebbe sia in Russia che in Italia conferma la stretta corrispondenza fra
il mondo fantastico rappresentato nelle sue tele e l’immaginario collettivo della civiltà classica, che aveva la
sua ambientazione ideale a Capri. A proposito del quadro Frina na prazdnike Posejdona v Elevzine (Foto 4
pag. 55 - Frina alla festa di Poseidone a Eleusi), il cui
sfondo paesaggistico può far pensare al mare di Capri, Semiradskij scrive: “Il sole, il mare, l’architettura, la bellezza femminile e la muta ammirazione dei
greci alla vista della più bella donna del loro tempo
- l’ammirazione del popolo artista non somigliano per
niente al cinismo contemporaneo degli ammiratori di
cocottes”15.
In Russia i pittori, tornati nella seconda metà dell’Ottocento su temi nazionali, hanno comunque acquisito la
consuetudine del viaggio italiano, diventato ormai quasi di routine anche al di fuori delle missioni dell’Accademia. Alla fine del XIX secolo l’Italia viene percepita
nella cultura russa non più soltanto come portatrice
Na ostrove Kapri. Rybackij domik (Sull’isola di Capri. Casetta
di pescatori, 1859), Na ostrove Kapri. Beregovye utesy (Sull’isola
di Capri. Scogli in riva al mare, 1859), Na ostrove Kapri. Bereg
v nenast’e (Sull’isola di Capri. Riva in tempesta, 1859), Mosca,
Galleria Tret’jakov
15
Lettera a P. F. Iseev del 1/13 dicembre 1886, in OR RGB, Fond
498, Kart. 1, Ed. chr. 18, l. 17
14
di un’idea del mondo classico o di una visione solare
della natura del sud. Altre componenti intervengono a
determinarne la valenza storica. Il Medioevo e il Rinascimento italiano, ad esempio, entrano come elementi
estetici e morali determinanti e l’arte russa fra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ne avverte il
fascino. In questo ambito sono le città d’arte italiane ad attrarre l’attenzione, non più solo Roma, Napoli
e Venezia, ma anche Firenze, Pisa, Siena, le città del
Veneto e dell’Umbria. Su un percorso di questo genere, celebrato all’inizio del Novecento dal diario-guida
del viaggio in Italia per antonomasia di Pavel Muratov,
Obrazy Italii (Immagini d’Italia), si trovano fin dalla
fine dell’Ottocento tanti nomi dell’arte russa. Capri ne
è considerata una tappa canonica. Immagine diventata
ormai abituale anche per la cultura russa, mantiene fino
al debutto del nuovo secolo le sue caratteristiche suggestive di paradiso naturale e di antiche civiltà e la descrizione fissata da Muratov rievoca quella di Goethe:
Chi viene [a Napoli] può arrivare qui con qualsivoglia
prevenzione contro la ‘banale’ bellezza del paesaggio napoletano. [...] La linea della costa che sfuma nella macchia scura di Sorrento, i tenui contorni di Capri e di Ischia
risvegliano nell’animo memorie di un paradiso terrestre
antiche come il mondo.
Quale fedele compagno della vita a Napoli diventa la lontana sagoma di Capri! Svegliandoti al mattino e andando alla finestra, la vedi come una sfumata nuvola azzurra
all’orizzonte. A metà giornata scompare nell’aria accecante di luce e la sera nuovamente compare per ardere
purpurea al tramonto e, fattasi viola intenso, unirsi con la
notte. Al napoletano è cara questa silhouette che conosce
dall’infanzia [...]16.
Anche artisti come Vasilij Surikov, campione dell’epopea nazionale, ha nel suo bagaglio formativo una
visita in Italia della quale si conserva, fra l’altro, un
acquerello di estrema delicatezza che ritrae l’isola di
Capri in una lontananza di sogno: Neapol’, Morskaja
naberežnaja (Napoli. Lungomare, 1884, Mosca, Galleria Tret’jakov).
Fra i pittori impegnati in un recupero della tradizione figurativa nazionale e della sua ispirazione religiosa Michail Nesterov compie il suo viaggio in Italia e
soggiorna a Capri nel 1889, ritornandovi nel marzo del
1908 con la sorella e la figlia Ol’ga. Scrive allora:
Sin dai primi giorni del mio arrivo qui ho cominciato a
lavorare intensamente. Ho dipinto il mare e una deliziosa
chiesetta - resti di un lontano passato. La chiesetta mi serviva per lo sfondo di uno dei quadri del monastero17.
P. Muratov, Obrazy Italii, a cura di V. M. Tolmacˇ ëv, Moskva, Respublika, 1994, p. 319
17
M. Nesterov, Davnie dni, Moskva 1959, p. 218
16
È per il monastero di Marta e Maria a Mosca che
ritrae la chiesetta caprese18, le cui forme immerse nella
luce vivace del mezzogiorno evocano genericamente
un paesaggio meridionale dagli echi lontani, funzionale alla sua ricerca per una rappresentazione quanto
più possibile realistica della Palestina. Anche gli altri
bozzetti prodotti in questo mese di intenso lavoro, fra cui Kapri. More (Capri. Mare, 1908), Kapri.
Etjud (Capri. Studio, 1889), Kapri. Cvetuščij mindal’
(Capri. Il mandorlo fiorito, 1908) ritratto nel giardino
dell’albergo Pagano dove il pittore soggiornava, conservano la forte luminosità mediterranea nella quale
sono immersi e che si trasmette all’insolita vivacità di
colori delle pitture del monastero moscovita alle quali
lavora al suo ritorno in Russia.
Ma se Nesterov nel 1908 a Capri cerca spunti per i
suoi paesaggi mistici isolandosi dalla vita mondana locale ed evitando di frequentare il “noto compatriota”19,
indubbiamente all’inizio del Novecento Capri per la
cultura russa non è più solo un’isola lontana, illuminata da sole e benedetta dalla grazia di Dio: dopo il 1908
Capri è l’isola di Gor’kij che vi si era stabilito a partire
dal 1906 e intorno al quale si stringono anche le vicende dei pittori che vi soggiornano.
L’episodio dell’arrivo festante di un gruppo di pittori russi sull’isola, venuti per ritrarre lo scrittore quasi
come nuova divinità, genio del luogo, è noto anche se
non sufficientemente indagato. Lo testimonia una fotografia del 1910 che ritrae Gor’kij circondato da alcuni
di essi, fra cui Semen Prochorov, Jakov Pavlov, Michail Pečatkin e Isaak Brodskij, fra questi la personalità forse di maggior rilievo sia per il talento artistico,
sia per l’importanza che ha nella sua opera il soggiorno
nell’isola di Capri20.
Brodskij arriva a Capri una prima volta nel 1910
grazie al finanziamento dell’Accademia di Belle Arti
di Pietroburgo. Vi arriva durante un viaggio in Italia
nel quale si è fermato a Roma, Venezia, Firenze, ma
anche a Padova, Orvieto, Siena, secondo un percorso
per l’Italia medievale che proprio il libro di Muratov
celebrava in quegli stessi anni. A Capri il richiamo
Si tratta probabilmente della Chiesa della Croce raffigurata nel
bozzetto Kapri. Vchod v monastyr’ (Capri. Ingresso al monastero,
1908), Mosca, collezione privata.
19
Nesterov intende naturalmente Maksim Gor’kij, col quale,
dopo un periodo di intensa amicizia, i rapporti si erano raffreddati.
“Il noto compatriota l’ho visto e sentito di sfuggita, come
‘bestemmiava’. La villa dove abita è grande e si affaccia con le
finestre e le terrazze sul mare, sui Faraglioni. [...] Da Gor’kij non
sono andato; non avevo voglia di andare incontro a una sicura
discussione” (Lettera di M. Nesterov a L. V. Sredin del 20 aprile
1908 da Kiev, in M. Nesterov, Iz pisem, Leningrad 1968, pp.186187).
20
M. Gor’kij con un gruppo di pittori russi a Capri, Mosca,
Museo Gor’kij
18
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principale era proprio Gor’kij. Di lui, Brodskij, come
gli altri compagni citati, esegue un ritratto dal vero21,
confrontabile tuttavia con una foto che ne ripete la posa
e testimonia, nella dedica, il rapporto di simpatia instauratosi fra i due22.
Ma l’incontro del pittore con l’isola risulta essere anche estremamente ricco per il determinarsi di una immagine del mito italiano legato al genius loci. Il grande
quadro intitolato Skazka (Favola, 1911)23, che aveva
già iniziato a Roma, ma che porta a termine in seguito
al soggiorno a Capri, vuole essere una metafora dell’Italia, terra solare e mediterranea. Il carattere decorativo
e simbolico dell’opera non impedisce una rappresentazione quasi grafica e fortemente realistica dei vari
elementi. Il quadro era stato concepito come immagine
della inesauribile ricchezza della natura meridionale italiana con il richiamo sullo sfondo a un’antichità
senza tempo, rinnovata da una fertilità primigenia rappresentata dal bambino in fasce. La tessitura simbolica
dell’opera recupera anche elementi di un immaginario
meridionale di ispirazione orientaleggiante, come ad
esempio i pavoni. In una lettera Brodskij così descrive
l’opera:
Ho raffigurato una città italiana strana, inesistente. Quando la guardi, nella mente ti si delinea una lunga catena
di secoli che arrivano all’eternità. E accanto un bambino
appena nato. Sullo sfondo della vecchia città appare una
nuova vita. L’antichità trae nuove forze dalla giovinezza.
La giovinezza, viva, pura, continuamente rinnovantesi,
confluisce nell’eternità: nasce così la ‘favola eterna’24.
Questo quadro, per il quale ebbe il premio al concorso del 1911 della Società promotrice delle Belle Arti,
non è l’unico ispirato al genius loci italiano evocato
dall’isola di Capri, dove Brodskij ritorna l’anno seguente, 1911, per soggiornarvi tutta l’estate. Frequenta assiduamente il circolo di Gor’kij eseguendo anche
alcuni ritratti, come quelli di Šaljapin e della moglie
dello scrittore Marija Andreeva (Pietroburgo, CasaMuseo I. I. Brodskij). Anche l’autoritratto con la figlia,
eseguito durante il soggiorno caprese, condivide l’amMaksim Gor’kij, Capri 1910, Mosca, Museo Gor’kij
“Vi auguro felicità con tutto il cuore Isaak Izrail’evič! M.
Gor’kij, Capri 1910”, Mosca, Museo Gor’kij. Il rapporto di
amicizia fra i due è documentato da numerose testimonianze,
fra cui una lettera dello scrittore del 25 maggio 1910 a Ljubov’
Markovna Brodskij: “Adesso ho accompagnato per Capri Isaak,
a cui in questo periodo ho voluto bene come a uno di famiglia. Ha
un’anima stupenda, un talento luminoso, sono molto contento di
averne fatto la conoscenza”.
23
Dell’opera esistono bozzetti conservati al Museo Russo di
Pietroburgo, e una variante nella Raccolta del fondo regionale
Chanto-Mansijskij, mentre dell’originale cui ci si riferisce nel
testo non è nota la collocazione
24
I. A. Brodskij, I. A. Brodskij, Moskva 1973, p. 106
21
22
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bientazione paesaggistica delle opere di quel periodo:
lo sfondo architettonico allude ad antichi villaggi e il
primo piano è affollato di frutti, stoffe, oggetti variopinti in un fitto tessuto decorativo.
Ma l’opera che raggiunge l’apice della sua esperienza
italiana e che trova compimento durante il soggiorno
nell’isola di Capri nel 1911 è l’allegoria Italija (Italia,
1911, Galleria Tret’jakov), icona in chiave modernista
del rigoglio e della sensualità meridionale, dove elementi dell’ambiente circostante reale vengono esaltati e interpretati in chiave simbolica: la cornucopia di
frutti, vegetazione, conchiglie, perle compone uno scenario teatralizzato nel quale si dispongono personaggi
rappresentati secondo il gusto locale e espressione di
una piena gioia di vivere25. Sullo sfondo nuovamente una fantasia architettonica, summa di vedute italiane. Il quadro, che aveva suscitato l’ammirazione di
Gor’kij durante la sua complessa esecuzione26, verrà
presentato nel 1912 alla mostra primaverile dell’Accademia di Belle Arti a Pietroburgo e, come gli altri di
tema italiano esposti a mostre in Russia e in Europa in
quel periodo, riscosse notevole successo27.
Le grandi tele capresi di Brodskij, Italia, come anche
Fiaba e Autoritratto con la figlia, riassumono in nuove
forme valenze che abbiamo visto avere radici antiche
e che compongono l’immagine di una Italia mediterranea persistente nella cultura russa e nella quale Capri
ha un ruolo privilegiato facendosi talvolta, come
in questo caso, essa stessa in primo luogo specchio e
simbolo dell’idea stessa di Italia.
Lucia Tonini
I personaggi rappresentati nel quadro appartengono in realtà alla famiglia stessa del pittore, secondo quanto testimonia
la moglie Ljubov’ Markovna: “A Capri Isaak dipinse tutta l’estate ‘Italia’. Nel quadro rappresentò sotto forma di italiani me,
Lidočka, le sorelle Raja e Paša e se stesso”; cit. da V. Bjalik, Isaak
Brodskij, Moskva, Belyj Gorod, 2002, p. 20.
26
Brodskij stesso ricorda: “Aleksej Maksimovič spesso veniva
da me nello studio, mi tranquillizzava in modo commovente e gli
piaceva molto guardare il mio lavoro. Più volte disse che imparare
a dipingere era il suo sogno. Con grande interesse studiava la
tecnica dei miei lavori e cercava di seguire con attenzione
tutto il processo di costruzione dell’opera”; cit. da I. I.
Brodskij, Moj tvorčeskij put’, Moskva-Leningrad 1940, p. 53.
27
Le opere di tema italiano vennero esposte nel 1911 alla mostra
di “Mir Iskusstva” e a quelle dell’Accademia di Belle Arti di Pietroburgo e dell’Unione degli Artisti russi, dove furono
presenti anche nel 1912.
25
1 - Ščedrin - Notturno con Vesuvio
2 - Černecov - Veduta
del Vesuvio da Capri
3 - Černecov - Grotta
azzurra
4 - Semiradskij - Frina alla festa di Poseidone a Eleusi
5 - Brjullov - Fanciulla che coglie l'uva
nei dintorni di Napoli
Il romanzo di
Sergio Schiazzano
Melchi
vi racconto una storia
Raffaele Castagna
La Flora
dell'isola d'Ischia