DETERMINAZIONE DI ALLERGENI NASCOSTI IN ALIMENTI

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DETERMINAZIONE DI ALLERGENI NASCOSTI IN ALIMENTI
DETERMINAZIONE DI ALLERGENI NASCOSTI IN ALIMENTI MEDIANTE
CROMATOGRAFIA LIQUIDA-SPETTROMETRIA DI MASSA
1.1.Allergie alimentari
Le allergie alimentari sono causate da una risposta immunitaria avversa, comunemente mediata
dalle immunoglobuline E (IgE), in conseguenza all’ingestione di allergeni alimentari attraverso il
tubo orale. E’ noto come queste risposte avverse siano causate da proteine naturalmente presenti
negli alimenti, e si presentano spesso in individui esposti o aventi familiarità ad altre patologie
atopiche.
Nell’ultimo decennio le allergie alimentari sono diventate un grave problema in tutto il mondo, e
sono in progressivo aumento specialmente nei Paesi industrializzati, dove il 2% della popolazione
adulta e il 5-8% dei bambini ne sono affetti.
Gli individui affetti da allergie alimentari non hanno una possibilità effettiva di trattamento, se non
la totale esclusione degli alimenti contenenti allergeni. L’esclusione è difficile quando gli allergeni
sono proteine ubiquitarie nei cibi o quando questi sono presenti in tracce in alimenti nei quali non
dovrebbero essere contenuti; tali alimenti si dicono perciò contaminati e la contaminazione può
avvenire durante il trasporto, stoccaggio o la preparazione. Quest’ ultimo caso, in particolare, si
verifica quando, per ragioni economiche, vengono utilizzate le stesse linee produttive per la
preparazione di alimenti diversi.
Certi soggetti possono essere così sensibili a questi allergeni, da manifestare gravi reazioni
sistemiche, in risposta a minime concentrazioni di allergeni presenti negli alimenti.
La prima forma di legislazione europea riguardante l’etichettatura degli alimenti risale al 1999,
quando la Commissione Europea istituisce la Codex Alimentarius Commission, secondo la quale
dovevano essere riportati come ingredienti solamente quelli la cui quantità totale nel prodotto finito
fosse superiore al 25%.
Con la Direttiva Europea 200/13/EC, è stato introdotto l’obbligo di riportare sull’etichetta tutto ciò
che veniva aggiunto intenzionalmente durante la preparazione dell’alimento, questa direttiva ha
inoltre emesso una lista di ingredienti che potevano causare allergie o intolleranze. Il superamento
di questa norma si è avuto con la Direttiva Europea 2003/89/EC, che contiene un elenco, diviso in
12 gruppi, di quei potenziali allergeni responsabili di oltre il 90% delle reazioni allergiche; questa
lista viene periodicamente riesaminata dalla Commissione, con l’ausilio dell’Authority alimentare
europea, ed eventualmente aggiornata in base alle più recenti scoperte scientifiche; la Direttiva non
esclude la possibilità di eliminare dall’elenco sostanze per le quali si pervenga ad un diverso
giudizio relativamente alla loro allergenicità, ma è molto probabile che la lista conosca in futuro
solo estensioni.
La Direttiva 2003/89/EC stabilisce inoltre che la soglia per l’indicazione dei composti come
ingredienti scenda dal 25% del prodotto finito al 2%.
Tuttavia per evitare eventuali problemi legali, le industrie riportano sulle confezioni diciture quali
“prodotto in uno stabilimento dove si utilizzano frutta a guscio, latte, soia e derivati” oppure “può
contenere tracce di frutta a guscio” dal momento che le leggi attuali impongono di riportare nella
lista degli ingredienti solo quelli la cui quantità è superiore al 2%.
Per ridurre i rischi al minimo è necessaria la collaborazione delle industrie alimentari e dei
produttori, che devono avvisare della reale o potenziale presenza di tali allergeni nei prodotti. La
corretta preparazione delle ricette e i controlli garantiscono che il prodotto alimentare contenga
soltanto gli ingredienti specificati in etichetta.
Il 90% delle allergie alimentari è ascrivibile a otto alimenti: latte vaccino, uova soia, grano,
arachidi, frutta secca con guscio (nocciole, mandorle, noci, anacardi, pistacchi). Il 90% delle
allergie alimentari è ascrivibile a otto alimenti tra cui frutta secca con guscio arachidi, nocciole,
mandorle, noci, anacardi, pistacchi.
La frutta secca può essere annoverata in due categorie: quella glucidica (ricca di zuccheri e povera
di grassi) e quella lipidica (ricca di grassi e, viceversa, povera di zuccheri). Nello specifico si parla
di frutta secca (noci, nocciole, mandorle, arachidi, ecc.) e di frutta essiccata (prugne, datteri,
albicocche, etc.). Essi hanno mediamente un seme edibile racchiuso in un guscio duro non
commestibile. Sono comunemente considerati frutta secca anche alcuni frutti quali le arachidi ed i
pistacchi che, sebbene non rientrino nella categoria dal punto di vista botanico, di fatto sono
caratterizzati da un analogo contenuto in nutrienti e da un simile aspetto esteriore.
Le proteine, costituenti principali, rappresentano dal 13 al 40% del peso secco di questi semii e in
base alla loro solubilità, vengono classificate in quattro gruppi:
• Albumine, solubili in acqua a pH neutro o debolmente acido
• Globuline, solubili in soluzioni saline
• Prolamine, solubili in etanolo
• Gluteline, solubili in alcali o acidi forti
1.2. Arachidi
Le arachidi (Arachis hypogeae) sono un frutto che fa parte della famiglia dei legumi e il consumo di
pochi milligrammi di arachide può indurre una reazione allergica avversa negli individui sensibili.
A causa della persistenza dell’allergia alle arachidi ,nei soggetti sensibili, per tutta la vita e dato che
la cura di questa allergia non è possibile, è estremamente importante per questi pazienti evitarne
l’ingestione. Le arachidi possono essere presenti come ingrediente o in tracce in alimenti
contaminati come ad esempio i biscotti. Per proteggere i consumatori si stanno facendo intensi
sforzi per sviluppare metodi immunochimici rapidi per l’identificazione delle arachidi presenti
anche come contaminanti alimentari. Le arachidi contengono circa il 29% di proteine tra cui le
proteine allergene più abbondanti sono proteine di riserva del seme: Ara h 1(63,5 kDa), Ara h 2 (17
kDa), Ara h 3, Ara h ¾, Ara h 5, Ara h 6. Ara h 3, Ara h 3/4 sono delle globuline con una massa
molecolare di circa 60 kDa.
I metodi utilizzati per la determinazione delle proteine allergeniche delle arachidi, principalmente
Ara h 1, Ara h 2, Ara h 3, in alimenti in cui queste non dovrebbero essere presenti, sono vari.
Il metodo RAST ha permesso di valutare la contaminazione del burro di girasole dovuto a burro di
arachidi compresa tra lo 0,3% e il 3,3%, mentre il Dot Immunoblotting si preferisce per la
determinazione di arachide in prodotti a base di cioccolato, biscotti e gelato con limite di
rivelazione 2,5mg/kg.
Un metodo altamente specifico per l’analisi di questi allergeni è il RIA (solid-phase Radioimmuno
Inhibition Assay), usato per monitorare prodotti finiti grazie all’analisi di sieri mescolati prelevati
da pazienti allergici. La sensibilità è dello 0,00875% (w/w), ovvero di 87,5mg arachide/
kg
alimento.
Il test ELISA viene utilizzato in entrambe le sue varianti: il sandwich ELISA è in grado di
immobilizzare proteine di arachide con peso molecolare compreso tra 14 e 44 kDa, ha limite di
rivelazione inferiore ai 40 mg/kg e una sensibilità che si sta cercando di aumentare via via con
opportuni accorgimenti; il competitive ELISA permette un recupero che può arrivare al 90% e ha
limite di rivelazione inferiore a 2 mg/kg nell’analisi di arachide sia native sia tostate. Il test ELISA è
stato anche combinato con la cromatografia di affinità per valutare la contaminazione della
cioccolata, in modo da aumentare la sensibilità, raggiungere un recupero del 72-84% a avere limite
di rivelazione pari a 0,1 mg/kg.
Il dipstick test, combinato con il sandwich ELISA, si utilizza invece per l’analisi di marzapane e
cioccolata, con limiti di rivelazione rispettivamente di 100 e 1000 mg/kg.
La cromatografia liquida abbinata alla spettrometria di massa tandem (LC/MS/MS) è stata utilizzata
per confermare la presenza della proteina Ara h 1 nel gelato, ottenendo un limite di rivelazione di
10 ppm.
La spettrometria di massa permette l’identificazione e la simultanea quantificazione degli allergeni
negli alimenti indipendentemente dalla sensibilità individuale di ciascun individuo affetto da
allergia alimentare e dall’uso di siero. E’ una tecnica largamente usata in proteomica e nello studio
di allergeni soprattutto negli ultimi anni in conseguenza dello sviluppo di tecniche di ionizzazione
soft e di processi alternativi alla reazione di Edman per caratterizzare proteine e peptidi. Negli studi
proteomici vengono utilizzate come sorgenti ioniche MALDI (matrix assisted laser desorption
ionization) e ESI (electrospray ionization), che prevedono dei processi di ionizzazione soft, poiché
sono in grado di convertire grandi molecole, proteine e peptidi, in fase gassosa senza intaccare la
loro integrità; permettono inoltre l’acquisizione di spettri di massa con minime quantità di analita.
In particolare, l’ESI viene accoppiato a tecniche separative a monte come l’HPLC che permettono
la separazione cromatografica di campioni complessi. Per identificare le proteine di interesse è
possibile utilizzare una strategia proteomica definita bottom up, che prevede, in un primo caso, la
digestione delle proteine in esame in piccoli peptidi, i quali, mediante la loro unicità, permettono
l’identificazione della proteina da cui derivano (peptide mass fingerprint). Al fine di incrementare la
specificità del metodo è possibile determinare la sequenza aminoacidica di specifici peptidi
mediante eventi collisionali con gas inerti (Elio, Azoto o Argon), processo definito CID (collision
induced dissociation). Attraverso questo processo si producono due tipi di frammenti: frammenti b
e y. I frammenti y conservano il C-terminale mentre i b l’N-terminale, grazie a questi frammenti è
possibilie risalire alla sequenza amminoacidica e sono quindi specifici di ogni peptide.
1.3. Obiettivo dell’esperienza
La presente esperienza ha come scopo di mostrare un metodo di estrazione e di analisi basato sulla
cromatografia liquida-spettrometria di massa tandem per la determinazione simultanea, sensibile e
selettiva dei principali allergeni di arachide presenti in tracce in alimenti, attraverso
l’identificazione dei loro peptidi biomarkers.
1.4. Preparazione del campione
Ogni matrice alimentare è stata preventivamente macinata nel mixer, quindi pestata con mortaio e
pestello e congelata con azoto liquido in modo da ridurla ad una polverina fine. I campioni sono
stati conservati in frigo a 4ºC.
-Estrazione
1g di campione è stato sospeso in 10 ml di tampone NH4HCO3 50mM pH 8.00, ed è stato
sottoposto a 6 h di agitazione in vertex a 60ºC. Successivamente l’estratto è stato sottoposto a
centrifugazione a 9000 rpm a 4ºC per 20 minuti. Il surnatante recuperato è stato filtrato mediante
filtri di cellulosa rigenerata a 0.2 µM.
Digestione in soluzione
Per la digestione delle proteine delle diverse matrici alimentari è stato utilizzato l’enzima tripsina,
proteasi serinica che è in grado di tagliare il legame peptidico tra aminoacidi basici come l’arginina
e la lisina non seguite da proline. Nel sito attivo presenta una sequenza specifica che prende il nome
di triade catalitica, ovvero Ser195-His57-Asp102. Questi residui amminoacidici, nonostante siano
distanti nella struttura primaria, si trovano vicini nella struttura terziaria della proteina. Il substrato
della tripsina è rappresentato da una proteina basica. Il pH ottimale per l'attività catalitica della
tripsina è in un range tra 7 e 9. Per la digestione di 50 µg di proteine derivate dal processo di
estrazione nelle 5 matrici prese singolarmente, sono stati prelevati diversi volumi da ogni estratto
filtrato in modo da avere un rapporto proteina:tripsina 50:1 a partire da una soluzione di tripsina 200
ppm. La reazione di digestione è stata condotta in condizioni piuttosto stringenti, a 50ºC per 24 ore,
ed è poi stata smorzata mediante l’aggiunta di 2µL di TFA al 100%.
Analisi HPLC-ESI-MS/MS
La separazione cromatografica è stata eseguita mediante impiego di un cromatografo liquido
equipaggiato con autocampionatore e accoppiato ad uno spettrometro di massa dotato di interfaccia
ESI e analizzatore a trappola ionica lineare (LTQ-XL, Thermo Electron Corporation, USA). La
separazione LC è stata eseguita mediante colonna Kinetex C18 dotata di precolonna (100 mm x 2.1
mm, con particelle di 2.7 µm) termostatata alla temperatura di 25°C, usando un gradiente costituito
da una miscela di H2O [(A) 0.1% (v/v) di acido formico] e acetonitrile [(B) 0.08% (v/v) di acido
formico]. La velocità del flusso utilizzata è stata pari a 250 µl/min.
Il sistema è controllato dal software X-calibur (ThermoElectron Corporation, San Josè, CA, USA).
La sorgente ESI, messa a punto per la prima volta da Whitehouse e Fenn nel 1985, è una sorgente
ionica che opera a pressione atmosferica e permette la formazione di molecole ionizzate in fase
gassosa da una soluzione liquida mediante la creazione di un aereosol di goccioline cariche in
presenza di un forte campo elettrico. Il campione liquido entra nella sorgente attraverso un capillare
d’acciaio, del diametro di 100 µm, sulla cui punta è applicato un potenziale dell’ordine dei kV (2-6
kV) che produce un intenso campo elettrico sufficientemente forte da disperdere la soluzione che
emerge, portando alla formazione del cono di Taylor (Fig. 1).
Figura 1: Rappresentazione del processo di ionizzazione in sorgente ESI.
Il potenziale applicato sulla punta del capillare, se positivo, determina la formazione di ioni positivi.
Ad alti flussi, la nebulizzazione del solvente è assistita pneumaticamente da flussi di gas inerte, in
particolare azoto, che escono coassiali rispetto alla fuoriuscita del campione dal capillare, definiti
sheat gas e auxiliary gas. Lo sweep gas invece esce in verso opposto rispetto ai primi, riduce le
eventuali contaminazioni che possono interessare lo skimmer cone, ovvero l’elettrodo che circonda
l’accesso nel capillare di trasferimento. Per azione della temperatura e dei gas, il solvente evapora
riducendo il diametro delle gocce, fino a quando la forza di repulsione fra cariche dello stesso segno
non è più compensata dalla tensione superficiale del solvente e gli analiti fuoriescono dalle gocce
ionizzati e in forma gassosa. Dopo essere stati ionizzati in sorgente gli analiti sono attratti nel
capillare di trasferimento e quindi nella regione a vuoto intermedio che permette il trasferimento
degli ioni dalla sorgente all’analizzatore che si trova ad alto vuoto (10-9 Torr). Il capillare di
trasferimento è riscaldato ad elevate temperature per assicurare la completa desolvatazione degli
analiti e per evitare quindi che gocce di solvente possano raggiungere l’analizzatore. Dal capillare
di trasferimento gli ioni attraversano le tube lens, ovvero un sistema di lenti sulle quali è applicato
un potenziale che ha il compito di focalizzare gli ioni nell’apertura dello skimmer. Il fascio di ioni è
ulteriormente focalizzato dal sistema di lenti che precedono l’entrata nell’analizzatore: la trappola
ionica. Quest’ultima, rappresentata in figura 2A, è costituita da 3 elettrodi quadrupolari, su ognuno
dei quali è applicato un potenziale a corrente diretta (dc), uno per ogni sezione, che insieme
determinano l’intrappolamento degli ioni, nella direzione assiale (z), abbassando il potenziale della
sezione centrale rispetto al potenziale della prima e ultima sezione. Ogni sezione quadrupolare è
costituita da quattro barre metalliche, connesse elettricamente a due a due, dove per ogni coppia è
applicato un potenziale RF della stessa ampiezza e segno. Questi voltaggi durante la scansione
variano continuamente creando un campo elettrico oscillante nella cavità dell’analizzatore che
guida il moto degli ioni lungo l’asse x e y. Per ogni coppia di potenziali applicati esiste un solo
ione, con un determinato rapporto m/z, che acquista una traiettoria oscillante stabile nella direzione
radiale (x, y). Durante la scansione infatti, il sistema produce un’instabilità massa-dipendente che fa
sì che tutti gli altri ioni, rispetto a quello selezionato, escano dall’analizzatore nella direzione
radiale. Quando l’ampiezza del potenziale RF è bassa, tutti gli ioni al di sopra di un minimo valore
di m/z sono intrappolati nella cavità e questo potenziale è definito storage voltage. Durante una
scansione, questo potenziale aumenta gradualmente, per cui ioni con m/z via via crescente
assumono una traiettoria radiale instabile e sono espulsi dalla trappola. Il fascio di ioni esce dalla
trappola attraverso due fenditure laterali, dalle quali giunge a colpire i due detector, disposti ai due
lati della trappola ad angolo retto rispetto alla direzione del fascio di ioni. Il sistema è molto
sensibile sia per la presenza di due detector, sia per la disposizione off-axis rispetto alla direzione
del fascio di ioni per cui garantisce un elevato rapporto segnale/rumore (Fig. 2B). All’interno della
trappola ionica esiste una cavità che contiene elio. Questo gas entra nell’analizzatore attraverso
un’apertura fra le barre metalliche delle sezioni quadrupolari. La presenza di questo gas, all’interno
della cavità della trappola aumenta significativamente la sensibilità e la risoluzione dello spettro di
massa. Gli ioni infatti, prima di essere espulsi dall’analizzatore, collidono con le molecole di elio,
riducendo la propria energia cinetica e quindi l’ampiezza delle loro oscillazioni, garantendo una
maggiore focalizzazione del fascio di ioni all’interno dell’analizzatore. L’elio, inoltre, è il
responsabile della frammentazione degli ioni precursori che entrano nell’analizzatore durante lo
step CID (collisional induced dissociation) di un MS/MS. I peptidi si frammentano
nell’analizzatore in conseguenza degli urti con il gas dando origine a due serie di frammenti: b e y. I
frammenti b contengono l’N-terminale i frammenti y il C-terminale.
A)
B)
Figura 2: A) Raffigurazione delle tre sezioni quadrupolari che compongono la trappola
ionica lineare. B) Rappresentazione del sistema di detection degli ioni.