Wounded Erin. La storia e la cultura irlandese come un corpo ferito

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Wounded Erin. La storia e la cultura irlandese come un corpo ferito
Wounded Erin. La storia e la cultura irlandese come un corpo ferito.
di Pierluigi Vaglioni
Siamo nel 1990. Ad un oceano di distanza due poeti distanti lasciano che la loro voce sia presa
in prestito da un personaggio che, nella sua universalità e nella sua atavicità li unisce molto
più di quanto possano fare altre similitudini nello stile, intenzioni creative o percorsi artistici.
Derek Walcott, caraibico dell’isola di Santa Lucia. Seamus Heaney, irlandese della contea di
Derry, Irlanda del Nord, una delle sei contee irlandesi che, nonostante l’indipendenza ottenuta
nel 1923 e la proclamazione della Repubblica d’Irlanda avvenuta subito dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale, resta tutt’ora sotto il dominio e il controllo politico e
amministrativo del Regno Unito.
Derek Walcott scrive un’opera lunga e complessa, Omeros, una sorta di romanzo in terzine,
che narra la storia di un autista di furgoni, Ettore, innamorato di una cameriera, Elena, il cui
amore viene insidiato dal pescatore Achille. Filottete è il primo personaggio che incontriamo
nel poema narrato per gran parte da un vecchio cieco, Omeros appunto, da un albergo di New
York: è un pescatore anche lui, che per arrotondare fa la guida turistica e si fa fotografare per
pochi spicci. Lui e la sua ferita che lo fa soffrire e zoppicare.
Seamus Heaney fa un’operazione più lineare ma non meno complessa al contempo: una
versione del Filottete di Sofocle, The Cure at Troy, in un momento in cui il conflitto in Irlanda
del Nord è a un punto di stallo. Dopo i movimenti di popolo degli anni ’70 in cui si chiedono a
gran voce diritti civili ed equità di trattamento per cattolici e protestanti, dopo gli anni ’80 in
cui il terreno della lotta si trasforma da civile a militare, il conflitto sembra non riuscire ad
intravedere una via di uscita.
Filottete è forse l’archetipo dell’eroe ferito nel mondo classico. È un valoroso arciere, che
durante il tragitto tra la Grecia e Troia, in una sosta, viene morso da un serpente. La ferita che
ne deriva è maleodorante, e sembra non riuscire a guarire. Odisseo, dopo qualche giorno di
navigazione in coesistenza con questa ferita putrida e puzzolente, convince gli altri marinai ad
abbandonare Filottete sull’isola di Lemno. Gli eroi greci proseguiranno per la guerra, che nei
dieci anni successivi, arriverà ad un punto di stallo, momento in cui ad Odisseo viene
suggerita la necessità di ricorrere agli straordinari poteri dell’arco di Filottete. L’eroe ferito
viene curato e riportato nel vivo della battaglia.
Heaney scrive la versione di Sofocle lasciando fondamentalmente il testo così com’è, con
l’eccezione dell’aggiunta di un coro, nel finale, una poesia i cui toni, registro terminologico e
immaginario esulano dal resto del testo, trasportandoci nel presente, ricordandoci che lo
stallo della guerra di Troia è lo stallo della guerra civile in Irlanda del Nord, che la ferita che
non riesce a guarire in Filottete è la ferita che una parte del popolo irlandese si trascina da
secoli; che per guarire questa ferita servirà l’aiuto di un qualcosa di sovrannaturale, visto che
le azioni degli umani sono andate in direzione opposta.
Chorus
From The Cure at Troy, Seamus Heaney - 1990
Human beingssuffer,
they torture oneanother,
theygethurt and get hard.
No poem or play or song
can fully right a wrong
inflicted or endured.
The innocent in gaols
beat on theirbarstogether.
A hunger-striker'sfather
stands in the graveyarddumb.
The policewidow in veils
faintsat the funeral home.
Historysays, Don'thope
on this side of the grave.
Butthen, once in alifetime
the longed for tidalwave
of justice can rise up,
and hope and historyrhyme.
So hope for a greatsea-change
on the far side of revenge.
Believethat a furthershore
isreachable from here.
Believe in miracles
and curesandhealingwells.
Call the miracle self-healing:
The utter self-revealing
double-take of feeling.
Ifthere'sfire on the mountain
Or lightning and storm
And a godspeaks from the sky
Thatmeanssomeoneishearing
the outcry and the birth-cry
of new life atitsterm.
Gli esseri umani soffrono,
Si torturano l’un l’altro,
Si feriscono e si induriscono.
E non c’è poesia, non c’è canzone
O dramma che possacurare un torto
Inflitto e perdurato.
Gli innocenti in galera
Percuotono le sbarre insieme.
Il padre di un prigioniero
Che ha fatto lo sciopero della fame
Sta muto nel cimitero. La vedova di un poliziotto
Sviene in casa, dov’è la camera ardente.
Dice la storia, Non sperate
Da questa parte della tomba.
Ma poi, una volta nella vita,
Quell’onda di giustizia così attesa
S’innalza per fare
Di storia e speranza una rima.
E dunque speriamo nel cambiamento oceanico
Dalla sponda più lontana della vendetta.
Crediamo che una parte più lontana sia possibile raggiungerla, da qui.
Crediamo nei miracoli, e nelle cure, e nei pozzi miracolosi.
Chiamiamo il miracolo autoguarigione:
quell’improvvisa autorivelazione
un sentire a scoppio ritardato.
Se c’è del fuoco sulla montagna
O tuoni e fulmini
E un dio che parla dal cielo
Allora vuol dire che c’è qualcuno lassù che ascolta
Le urla e il pianto del neonato
Di una vita che arriva al traguardo.
Direttamente dalle brume dell’antichità ecco apparire il padre di un hungerstricker e la
vedova di un poliziotto, sintesi efficace di una parte di quel conflitto che sta dilaniando il
corpo dell’Irlanda del Nord. La morte di Bobby Sands risale al maggio del 1981, nove anni
prima, ma la ferita che una tale morte – e le morti degli altri nove hungerstrickers – ha portato
è ancora aperta e sanguinante. Heaney ce la rende con un emblema adatto alla situazione che
sta vivendo, utilizzando un’espressione mutuata da W.B. Yeats, “images and symbolsadequate
to ourpredicament”. E Yeats risuona anche nei versi del poeta di Co. Derry – come potrebbe
essere altrimenti – quando descrive i sentimenti induriti degli esseri umani che sono
sottoposti alle pressioni e alle violenze della guerra civile con due phrasalverbs che giocano
sull’idea di trasformazione: “gethurt e get hard”. La sofferenza indurisce il cuore, metafora
quantomai comune, che però, ripeto, fa risvegliare echi yeatsiani “Too long a sacrificemakes a
stone of the heart”, scriveva in “Easter 1916” il poeta di Co. Sligo, subito dopo che i sedici
uomini della rivolta di Pasqua erano stati brutalmente fucilati, dopo un processo sommario.
Se in “Easter 1916” Yeats in un certo senso rimpiange di non aver fatto parte di quel corpo
così coraggioso, così sanguigno e fisico da aver avuto il coraggio, in mezzo a tante parole, di
mettere il petto in fuori, di allineare la dichiarazione di indipendenza, firmata dal comitato
direttivo dell’Irish RepublicanBrotherhood alla vigilia della rivolta con i loro corpi esposti,
prima al fuoco dell’artiglieria inglese piazzata poco prima dell’Ufficio Postale Centrale in
O’Connellstreet a Dubino, e poi a quello delle pallottole secche del plotone di esecuzione nel
carcere di Kilmhainam. Yeats era rimasto distante da tutta quella fisicità e in Easter 1916 se
ne duole, sembra quasi cercare il dolore che lui, come uomo, sul suo corpo, non ha provato,
evocando i nomi dei rivoluzionari morti, passati nel giro di poche settimane, da personaggi di
una commedia a eroi, figure indelebili tatuate sul corpo di una nazione.
L’identità nazionale irlandese si configura così come un corpo, un insieme che difficilmente
riesce ad essere unito e coeso, ma che, come un corpo, vive, soffre, muore, si rigenera.
La ricerca di unità è un sottotemaestremamente sentito dalla maggior parte degli scrittori
irlandesi. Chi più apertamente, chi più direttamente, chi in maniera più accennata, sono in
molti a cercare un unicum in cui identificarsi. Esempio tra i tanti è il tentativo di raffigurare
l’Irlanda con un personaggio, una donna spesso, che soffre perché le hanno portato via i suoi
quattro campi verdi (Four Green Fields – le 4 regioni dell’Irlanda), o raffigurata come
un’aisling, uno spirito dei boschi leggiadro ed etereo, nome che verrà associato alla poesia in
quanto il poeta, ispirato dalla visione di questa fanciulla, lascerà libero il suo spirito creativo
di produrre arte. Yeats la raffigura come la Shan Van Bhocht, la poorold woman, le dà un nome
– CathleennìHoulihan – e un aspetto non dissimile dall’anziana signora che piange per i suoi
campi perduti. Cathleen piange i suoi figli perduti che vanno alla guerra e non torneranno. La
guerra è quella contro l’invasore inglese, il pianto sarà quello, anche in teatro, della musa
ispiratrice yeatsiana Maud Gonne, vedova di uno dei sixteen men dead dell’Insurrezione di
Pasqua.
Unità significa quindi, oltre che una visione unitaria del corpo identitario irlandese, anche un
desiderio di simbiosi con il corpo di questa madre irlanda. È significativo come questo tema
ricorra in molti scrittori irlandesi, in special modo a cavallo tra fine ottocento e inizio
novecento. È sintomatico come Patrick Pearse, l’ispiratore e principale ideologo, insieme a
James Connolly, dell’EasterRising, scriva una poesia in cui una madre dà voce alla sofferenza
del corpo collettivo, che quindi diventa il proprio corpo.
The Mother
Patrick Pearse – 1916
I do notgrudgethem: Lord, I do notgrudge
My two strong sonsthat I haveseen go out
To break theirstrength and die, they and a few,
In bloodyprotest for a gloriousthing,
Theyshall be spoken of amongtheirpeople,
The generationsshallrememberthem,
And call themblessed;
But I willspeaktheirnames to myownheart
In the long nights;
The littlenamesthatwerefamiliar once
Round my dead hearth.
Lord, thou art hard on mothers:
Wesuffer in theircoming and theirgoing;
And tho' I grudgethemnot, I weary, weary
Of the long sorrow---Andyet I havemyjoy:
My sonswerefaithful, and theyfought.
La madre
Non serbo loro rancore: O Signore, non ce l’ho
Con i miei due figli, forti, che ho visto andar via
A spezzar la loro possanza, a morire, loro e pochi altri,
In proteste sanguinose per una cosa gloriosa,
Si parlerà di loro tra le loro genti,
Le generazioni li ricorderanno,
Li chiameranno santi;
Ma io chiamerò i loro nomi nel mio cuore
Nelle notti lunghe;
I loro piccoli nomi che una volta suonavano quotidiani
Tutt’intorno al mio defunto focolare.
Signore, come sei duro con le madri:
Soffriamo quando vengono al mondo e quando se ne vanno;
Ma anche se non serbo loro rancore, come sono esausta esausta
Di un lungo dolore – Ed eppure conservo la mia gioia:
I miei figli sono stati fedeli, hanno combattuto.
1966. SeamusHeaney, per celebrare i 50 anni dell’insurrezione di pasqua, scrive un sonetto
che in sé contiene alcune tra le tematiche portanti della cultura irlandese cattolica. Va a tal
proposito ricordato come nel 1966 l’Irlanda è governata da un partito che rappresenta
REQUIEM FOR THE CROPPIES
Seamus Heaney - 1966
The pockets of ourgreatcoats full of barley -No kitchens on the run, no striking camp -Wemovedquick and sudden in ourown country.
The priestlaybehindditches with thetramp.
A people, hardlymarching - on the hike Wefound new tactics happening eachday:
We'dcutthroughreins and rider with the pike
And stampedecattleintoinfantry,
Thenretreatthroughhedgeswherecavalry must be thrown.
Until, on Vinegar Hill, the fatal conclave.
Terracedthousandsdied, shakingscythesatcannon.
The hillsideblushed, soaked in ourbrokenwave.
Theyburieduswithoutshroud or coffin
And in August the barleygrew up out of the grave.
REQUIEM PER I CROPPIES
Le tasche dei nostri grandi cappotti piene d'orzo-Niente cucine da campo, né tende da levare-Ci muovevamo veloci e repentini nel nostro paese.
Dietro al fosso, sdraiato col vagabondo, il prete .
Un popolo, a fatica marciava-in gitaOgni giorno scoprivamo nuove tattiche:
Con la picca tagliavamo tra redini e cavaliere
E una mandria in fuga impazzata sulla fanteria,
Poi in ritirata tra siepi dove la cavalleria si sarebbe scagliata.
Finché, su Vinegar Hill, il fatal conclave.
Migliaia morirono terrazzati, agitando falci davanti al cannone.
Rosseggiò il pendio, imbevuto della nostra onda spezzata.
Ci seppellirono senza sudario o bara
E in agosto l'orzo cominciò a crescere dalla tomba.
Il sonetto fa riferimento ad una sanguinosa battaglia, accaduta il 21 giugno 1798, durante il
fallito tentativo di insurrezione che gli irlandesi tentarono con l’ausilio dei francesi, sfruttando
l’onda ideologico emotiva della rivoluzione francese e americana e dei moti di
autoaffermazione nazionale che cominciavano a circolare in tutta Europa. Le truppe
britanniche accerchiarono un esercito irlandese raffazonato e armato malissimo. Molti
irlandesi non avevano che picche, contro gli inglesi ben organizzati, ben armati con armi da
fuoco. Fu un massacro epocale, con gli irlandesi, assediati sulla collina Vinegar che, nel giorno
della battaglia, tentarono, prima di essere massacrati, un improbabile attacco. Il contraccolpo
della sconfitta su Vinegar Hill fu micidiale in quanto disperse le forze emotive e ideologiche
che con fatica gli irlandesi avevano raggruppato.
Un’immagine simile a quella dei croppies seppelliti senza sudario ce la dà Edmund Spenser,
che negli ultimi due decenni del 1500 fu Luogotenente d’Irlanda, il rappresentante della
Regina sul suolo irlandese. Al di là dei giudizi etici e politici che si sono fatti del suo scritto “A
View of the PresentSate of Ireland”, che hanno spesso messo in evidenza il disprezzo del poeta
elisabettiano nei confronti della popolazione e della cultura irlandesi, quello che mi preme
sottolineare è la sua visione dei corpi dilaniati dalla povertà – materiale e morale – e
l’individuazione della necessità di cura, che spesso assumeva in Spenser dimensioni e
modalità estreme.
Descrivendo gli irlandesi che girovagavano in disperata ricerca di cibo, li chiamava anatomie
della morte, “Theylookedanatomies of death, theyspakelikeghostscrying out of theirgraves”,
utilizzando una parola chiave, anatomia, paradigmatica della visione razionalistica del
periodo.
L’Irlanda è vista come una porzione dello stato che ha la particolarità di essere malata:
“Irelandis a diseasedportion of the State, it must first be cured and reformed, beforeitcould be
in a position to appreciate the good sound laws and blessings of the nation”
Siamo alla fine del XVI secolo e Spenser sembra estremamente moderno nel leggere il
dramma del popolo irlandese con una metafora nosologica, che appunto introduce l’immagine
dell’identità del popolo irlandese sotto forma di un corpo da dover curare.
1845-1849. Great Famine. Causata da una malattia, la peronospora della patata, costringe
all’emigrazione centinaia di migliaia di irlandesi, in special modo all’ovest, particolarmente i
parlanti nativi gaelico. Si tratta di un trauma collettivo che contribuirà alla formazione
dell’identità irlandese moderna e contemporanea, eppure, come osserva in un contributo il
critico Terry Eagleton, la Grande Carestia sembra essere assente, per la gran parte se non del
tutto, dalle grandi narrazioni degli scrittori irlandesi. Un po’ come – obietta Eagleton – se gli
scrittori Afro-Americani avessero ignorato la tratta degli schiavi. Joseph O’Connor ha il merito,
tra gli altri, di ambientare il suo romanzo Star of the Sea, proprio nel periodo della Famine,
riaccendendo un faro sulle dinamiche culturali che la carestia e l’emigrazione di massa ad essa
conseguente, hanno generato nel tessuto socio-culturale irlandese.
Il titolo fa riferimento a una CoffinShip, una nave bara, per l’alto numero di decessi che
intercorrevano tra il momento in cui la nave salpava dalle coste irlandesi a quando
raggiungeva quelle americane (o canadesi).
Il personaggio di David Meredith è significativo, al di là delle trame narrative del romanzo, che
si tingono di noir, in quanto rappresenta un mondo in via di estinzione. Così come Spenser
aveva avuto visioni profetiche dei corpi malati degli irlandesi autoctoni devastati dalla
mancanza di nutrimento (sia fisico che culturale), O’Connor decide di impersonare la
tradizione Anglo-Irlandese proprietaria terriera, che a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento vede iniziare un declino neanche tanto lento (basti pensare alla Lega della
Terra, la Land League, che iniziò nel 1879 a rappresentare su un terreno politico quelle che
erano state le istanze spontanee di tutti gli anni ’70 del XIX Secolo, con la Land War iniziata
appunto nel 1870).
Meredith fa abuso di tintura di oppio, frequenta i bordelli e si ammala di sifilide, malattia
quantomai diffusa all’epoca, per morirne. Una parte del tessuto sociale irlandese si spegne in
questo modo, agli occhi di O’Connor – ma è una visione quantomai condivisa, basti pensare
alla rappresentazione, non molto differente, fatta nel film di un Americano di origine irlandese
quale Ron Howard, Cuori Ribelli (Far and Away), dove un proprietario terriero Anglo
Irlandese decide, vedendo l’insorgere di moti pro land di salpare a cercare nuova fortuna e
nuova terra in America.
Si è detto di come la ricerca di unità sia un leitmotiv stilistico e tematico di gran parte degli
scrittori irlandesi. Questa ricerca di unità, come dimostra la rappresentazione che O’Connor fa
di una parte importante, anche se non originaria, non omogenea del tessuto sociale (e quindi
anche culturale) irlandese, non può escludere una più pragmatica e realistica visione delle
varie parti di questo corpo smembrato che è la storia e l’identità irlandese. Se i corpi dei
croppies si decompongono lentamente per generare nuova vita, il corpo di Henry Smart Sr si
scompone, lasciando un pezzo di sé in eredità al figlio Henry Jr che lo usa per riaffermare la
sua potenza. Henry jr viene già acclamato alla sua nascita al mondo come un bimbo sano in un
contesto in cui malattia e salute cagionevole rappresentavano la norma, ribadisce la sua
potenza attraverso il corpo (è incredibilmente forte) e attraverso la mente, come suggerisce
proprio il suo cognome “smart”. La gamba di legno del padre viene utilizzata da Henry come
arma per assassinare i nemici politici di Micheal Collins. Siamo in un contesto di guerriglia
urbana, in cui le poche forze militari irlandesi devono necessariamente trovare strategie
nuove per non soccombere allo strapotere militare ed economico inglese come è successo in
passato in troppe occasioni. Nella visione di RoddyDoyle, nel suo racconto quasi epico delle
avventure di Henry Smart, la rivincita militare irlandese passa per una parte del corpo, un
arto sopravvissuto alla vita di stenti e di espedienti vissuta da Henry Smart Sr e che di lui
segna una possibile continuità. La gamba, è bene ricordarlo, è l’eredità – morale e materiale
che Smart senior passa a Smart junior.
Ulysses. James Joyce. 1922. Nel corso della stesura dell’Ulisse, Joyce invia al suo traduttore
italiano Carlo Linati, il noto schema da cui si evince chiaramente come il corpo umano, nella
mente di Joyce, rappresenti un sottotesto imprescindibile per attuare la lettura epica
dell’uomo moderno che Joyce si era prefissato. Joyce – è noto – mira ad andare al di là dei
confini irlandesi e rappresentare l’uomo moderno, non l’irlandese dei suoi tempi.
Eccezion fatta per i primi tre capitoli dell’Ulisse, la Telemachia, Joyce associa uno o più organi
del corpo umano a ogni capitolo nei successivi 15.
È interessante notare come il capitolo 12, Ciclope, che nello schema è associato ai muscoli e
alle ossa, sia quello che rappresenti il senso dell’identità nazionale. Nella visione joyciana
infatti il Citizen nazionalista che si contrappone a Bloom è rappresentato in termini iperbolici,
il suo linguaggio ha la retorica vuota della propaganda politica e il suo corpo sembra quasi
essere malato di gigantismo. Questo esondare fisico dell’identità nazionale agli occhi di Joyce
ci racconta del suo disagio nel porsi in modo equilibrato in rapporto con il nazionalismo
irlandese dell’epoca (ricordiamo come la stesura dell’Ulisse comincia già nei primi due
decenni del 1900, sebbene la pubblicazione sia del ’22), anni in cui la propaganda politica
utilizza molto anche la letteratura e Yeats stesso rimane in qualche modo vittima di un tale
linguaggio propagandistico, tanto da domandarsi, molti anni dopo, se non avessero alcuni suoi
drammi mandato a morire uomini per mano degli inglesi.
Quando scrive Ulysses, Joyce non è certamente interessato a rappresentare – in modo positivo
o negativo che sia – l’identità irlandese, più di quanto non abbia già fatto in Dubliners e nel
Portrait. Il suo ricorso al sottotesto immaginario corporeo è il sintomo del suo interesse per
l’anamnesi, interesse che gli viene dalla sua iniziale passione per la medicina, e della sua
preoccupazione per una scrittura che sia palpabile, realistica, che abbia in altre parole un
riscontro fisico. Ulysses è un libro estremamente viscerale, in cui la fisicità fuoriesce
continuamente in forme differenti, oltrepassando le linee tracciate da Joyce stesso per Linati,
e per tutti noi che lo abbiamo letto e studiato.
Nei giorni odierni l’Irlanda è tornata ad essere un corpo infestato, se non ferito, da vecchi
fantasmi di carestie e di emigrazione. Il crollo di quella debole illusione di ricchezza senza
fondamenta che è stata la Tigre Celtica ha lasciato aperte voragini di incertezze, ansie che le
scritture, come molto spesso accade, avevano letto in nuce, anticipando timori e
preoccupazioni collettive, come dimostrano i romanzi di O’Connor e di Doyle che abbiamo
menzionato, scritti qualche anno prima della presa di coscienza della fine della Tigre Celtica.
La percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo che ci circonda passa in modo
prorompente e ineluttabile attraverso il nostro corpo, che diviene lo strumento di lettura e
quello di scrittura, l’una che riecheggia e rimbalza l’altra. Come i tatuaggi che sul corpo delle
persone dovrebbero rappresentare delle storie, come le cicatrici la cui presenza ricorda eventi
del passato, e la cui posizione è già di per sé una parte fondamentale della storia che racconta,
così le scritture, le percezioni collettive trascritte sulle pagine dei romanzi, segnano momenti
di passaggio, così come preoccupazioni latenti le cui dimensioni potrebbero non essere mai
palesate.
Leggere la storia di un popolo e di una nazione come se si trattasse di un corpo dà la
dimensione di quanto l’aspetto fisico – sebbene sottovalutato come territorio di
investigazione da parte di letterati e critici – sia determinante per poter leggere
correttamente – e possibilmente con un certo anticipo – le direzioni che una nazione e la sua
impostazione culturale possono assumere. La lettura retrospettiva e l’intuizione preventiva
possono dunque corrispondere ai concetti di prognosi e anamnesi, dove la lettura dei segni e
dei sintomi consente una visione più ampia, corretta e comprensiva del fenomeno che si
intende analizzare.
È dunque possibile leggere il corpus della cultura e della letteratura irlandese contemporanea
come un corpo, quello ad esempio di un guerriero, che si sfiora le cicatrici più profonde e
cristallizzate, le confronta con i tatuaggi recenti e con le ferite in via di rimarginazione, per
ottenere finalmente, seppure in diacronia, un tutto coerente e omogeneo. Essere dunque un
corpo senza amputazioni, riportando tutto in superficie, tutte le storie di cui le cicatrici, i
tatuaggi, le ferite sono il principale e più istintuale veicolo narrativo. È in questo modo che,
storicamente, l’Irlanda e gli irlandesi hanno ricercato quella unità che nel mondo reale della
politica ha rappresentato una chimera quasi eterna e che con tutta probabilità è ancora
lontana dal poter essere realizzata, se non nell’ambito di una più ampia unità di intenti, radici
culturali ed espressioni europee.