Newsletter - Fedespedi

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N.25–ottobre2016
SOMMARIO • SERGIO BOLOGNA, LA PERFEZIONE DEI DISASTRI • L’INTERVENTO DI FEDESPEDI NEL CASO HANJIN • DETASSAZIONE DEI PREMI DI RISULTATO E WELFARE AZIENDALE • CLECAT FREIGHT FORWARDERS’ FORUM 2016: BRUXELLES – 16 NOVEMBRE 2016 Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione del prof. Sergio Bologna sui recenti fatti che hanno coinvolto la compagnia di navigazione coreana Hanjin. Sergio Bologna, La perfezione dei disastri Gli analisti lo aspettavano da tempo e finalmente è arrivato, il perfect storm. A guardarlo un po’ da vicino è uno spettacolo sconvolgente ma affascinante, perché con un colpo d’occhio ti permette di vedere l’essenza della logistica, la sua vera natura, capisci perché la chiamano the physical Internet, ti rendi conto di cos’è la globalizzazione. È accaduto nello shipping specializzato nel traffico container: la settima compagnia marittima mondiale, la coreana Hanjin, ha fatto bancarotta. Gravata da 4,5 mld di dollari di debiti degli ultimi cinque anni, non è riuscita a convincere le banche a tenerla in piedi ancora. In realtà non ha convinto il governo della Corea del Sud, perché il principale finanziatore di Hanjin è la Korean Development Bank, istituto pubblico, che già è alle prese con la situazione critica dell’altra compagnia marittima importante Hyundai Merchant Marine (HMM) e con quella dei due cantieri navali, Stx Offshore&Shipbuilding e Daewoo, quest’ultimo una potenza nel suo settore, in grado di applicare sulle sue costruzioni le più sofisticate tecnologie, ma caduto nelle mani di manager molto discutibili. A dirla così, sembra cosa di ordinaria amministrazione, immaginate però cosa significa avere una flotta di circa 100 navi, cariche di merci valutate sui 14 miliardi di dollari, che vagano per i mari in quanto, se toccano un porto, rischiano di essere sequestrate su richiesta dei creditori con tutto il loro carico. Ed in effetti la Daily Edition di Lloyd’s List del 13 settembre dava per 14 il numero delle navi già sequestrate, oggi a più di due settimane dal crack, la situazione è ancora confusa e cambia di ora in ogni ora. Alcune navi sono ferme in porto in attesa della decisione dei magistrati, altre sono alla fonda davanti al porto di destinazione e non possono muoversi. Come la ‘Hanjin Rome’, abbordata davanti a Singapore da una troupe della BBC, cui però è stato negato l’accesso, ma che comunque ha potuto intervistare su Facebook il comandante, per farsi dire che lui non ne sapeva nulla, la sua compagnia non lo aveva informato di niente e, mentre si apprestava ad entrare in porto, si era visto piombare addosso un rappresentante legale dell’ente, che gli aveva intimato di non muoversi e stava lì da quasi due settimane senza sapere che poter fare… Si valuta che siano sui 2.500 uomini d’equipaggio bloccati in giro per il mondo, che non trovano un provveditore di bordo disposto a vendere loro una scatoletta di tonno o una bottiglietta d’acqua, ma chiedono soprattutto tessere SIM per poter comunicare coi loro cari. In un porto per scambiarsi i carichi, secondo una serie di agreement complicati di slot sharing e quindi un container affidato a Hanjin può viaggiare sulle navi di un’altra compagnia e viceversa. Quindi la richiesta di arresto o di sequestro può teoricamente coinvolgere la nave di una compagnia che opera normalmente, solo perché trasporta dei container di Hanjin. La quale era specializzata nei traffici Asia‐West Coast USA, dove operava con 33 navi e una quota di mercato molto importante, attorno all’8%, più che altro perché aveva quasi il monopolio delle spedizioni di Samsung e di altri colossi manifatturieri coreani. Sicché le notizie più dettagliate sul crack sono quelle che riguardano i grandi retailer USA esercitare pressioni anche su Obama, oltre che sui porti degli stati della costa ovest e sui terminal, perché le merci possano essere scaricate e consegnate a chi le ha acquistate. Hanjin ha presentato istanza di fallimento negli USA per godere della protezione accordata dall’art 15 della legge fallimentare. canadese ha dovuto soccorrerli la missione Stella Maris. Su un’altra nave Hanjin è invece bloccata una performer (si può dire così?) dell’absurdist art (quante cose s’imparano in casi come questi!) impegnata in un progetto culturale finanziato da una Galleria d’arte di Vancouver e intitolato “23 giorni in mare”. Era al suo 22mo giorno di navigazione e di cose assurde ne avrà viste e continuerà a vederle, per cui rischia di scoprire che la sua absurdist art non è poi così lontana dall’iperrealismo di Duane Hanson. Spettacolare è l’intreccio delle ramificazioni di questo crack. Sono 43 gli Stati dove Hanjin deve affrontare le corti di giustizia. Per cominciare: le navi non sono di proprietà e quelle di sua proprietà in buona parte non valgono un accidente, secondo SeaIntel, sono navi piccole, messe fuori mercato dall’allargamento del Canale di Panama, troppo giovani per essere mandate in demolizione. Il 60% della flotta è a noleggio e Hanjin non paga il noleggio da tempo, rischiando di mandare a picco società di antico nome, come Peter Döhle di Amburgo, la Danaos greca, la Seaspan canadese, sono una quindicina le società che hanno noleggiato a Hanjin le loro navi ma in termini di capacità di carico le prime 4 fanno più del 50%. In Italia Fedespedi ha sottoscritto una polizza fideiussoria a garanzia dei creditori per poter scaricare la merce. Da tutto questo si può capire il rompicapo delle compagnie di assicurazione di mezzo mondo (e il volume delle parcelle degli avvocati). Perché è successo, perché doveva succedere? Perché da anni le compagnie marittime viaggiano in perdita, hanno messo in servizio troppe navi, hanno continuato a ordinarle ai cantieri sempre più grandi, i cantieri si sono fatti concorrenza spietata e le hanno costruite, malgrado siano dei gioielli tecnologici, a prezzi stracciati, i noli sono andati a picco, i volumi crescevano ma il guadagno per unità di carico trasportata diminuiva. Poi ci sono i porti a cui non sono state pagate le tasse di ancoraggio o i servizi (rimorchio, ormeggio), i terminal che hanno caricato e scaricato le navi Hanjin a credito, il Canale di Suez che deve avere dei grossi crediti, perché oggi non lascia passare le navi sudcoreane, i fornitori di bordo, le agenzie di reclutamento degli equipaggi, quelle di gestione della nave ecc. ecc.. E qui non finisce, comincia. Perché il grosso è rappresentato dalle migliaia di società, di spedizionieri, di operatori logistici che hanno affidato la loro merce a Hanjin, qualcosa come tre‐quattrocentomila contenitori (la capacità totale della flotta Hanjin viene valutata in 600 mila TEU), merce che rimane bloccata a bordo. Ma fosse solo questo…Le compagnie marittime di container oggi operano in consorzi o “alleanze” Poi la Cina ha rallentato l’export ed è arrivato il perfect storm. E adesso? Quante delle dieci‐
quindici compagnie che contano rimaste sul mercato sono dei zombie carrier? Così vengono chiamate quelle che stanno in piedi solo perché le banche decidono di non farle fallire (a proposito, quasi l’80% delle compagnie armatoriali italiane è in queste condizioni). 2 business delle compagnie marittime del container. Niente, si preferisce andare avanti sulla stessa strada, quasi sempre a spese della forza lavoro. E di riflesso si comportano alla stessa maniera i manager portuali, che in questi ultimi anni, con un mercato sempre più fuori controllo, hanno continuato a costruire porti sempre più grandi, in un delirio infrastrutturale favorito e incentivato dalle politiche insane dell’Unione Europea, che continua a credere nella teoria che la costruzione d’infrastrutture fisiche rilancia l’economia. L’Economist segnala che delle prime 12 mondiali 11 hanno segnato pesanti perdite quest’anno (già, ma la 12ma è la MSC, che nella sua storia non ha mai fatto trapelare una notizia che sia una sui suoi conti…). La Maersk, prima al mondo, sempre secondo la stessa fonte, perde 11 dollari per ogni container trasportato, mica male, Hanjin ne perdeva 100. E chi sarà la prossima a cadere? La Daily Edition del sito di Lloyd’s List riportava in prima pagina il 16 settembre il nome di Rickmers, come società a rischio (Rickmers warns of liquidation if debt restructuring fails). Rickmers, glorioso nome dello shipping tedesco, traslocata a Singapore, è piccolina però in confronto a Hanjin. Oggi, a disastro avvenuto, c’è chi dice che è colpa dei clienti, a voler pagare sempre meno ed a fidarsi di chi offre il prezzo migliore anche se si sa che è alla canna del gas e può fallire da un momento all’altro. Ma non si è mai visto un logistico replicare a un trasportatore che gli chiede 1.000 per portargli un container oltremare: “No amico, te lo pago 1.100”. Come si è visto nel settore bancario, la filosofia del too big to fail, tipica della debt economy è semplicemente il riflesso della pigrizia mentale del management moderno. Solo di recente, solo nel 2015 si sono avvertiti i primi segnali di un ripensamento, si sono denunciati i rischi del gigantismo navale, si è messo il dito, in Europa, su porti costruiti ex novo e rimasti vuoti, come in Spagna o nei paesi del Nord Europa e qualcuno anche in Italia. La riforma portuale che il governo Renzi sta portando avanti è debole e difficile da attuare, ma bisogna dare atto al Ministro Delrio di aver cambiato rotta e di operare, con gli ottimi tecnici di cui ha saputo circondarsi, per fermare, finché si è in tempo, i progetti più inutili e discutibili, sostenuti, come al solito, da governatori di Regioni, sindaci e lobby cementizia diffusa. Che ancora una volta appare quasi come il cancro del capitalismo contemporaneo. Questi manager di alto livello, dagli stipendi favolosi, privi di idee di business, privi di animal spirit, del tutto irresponsabili, tanto se va a picco la società loro non ci rimettono, non sembrano persone, sono oggetti intercambiabili, tutti uguali. Uno di loro ha confessato: “Come ci muoviamo? Beh, guardiamo quello che fa il più forte di tutti (in questo caso la Maersk, prima compagnia mondiale, NdA) e lo copiamo.” Sul piano globale che succederà ora? I noli si sono alzati, i concorrenti si sono già gettati sulle spoglie di Hanjin. Maersk e MSC, le due prime compagnie mondiali, hanno riempito in pochi giorni il buco lasciato da Hanjin sulla rotta transpacifica. Ogni giorno viene fuori qualcuno a dire che questa crisi è salutare, che ci voleva proprio. Invece la mia opinione è che non cambierà nulla, così come non è cambiato nulla nel mondo bancario dopo il crollo di Lehman Brothers. Oltretutto non si vede chi potrebbe avere la forza e l’autorità di cambiare qualcosa e di far cambiare agli altri qualcosa. Gli analisti di Alphaliner hanno usato parole durissime sia verso il governo coreano che verso il management per non aver agito in tempo ma soprattutto, una volta constatata l’impossibilità di salvare Hanjin, per non aver nemmeno tentato di fare in modo che la bomba scoppiasse con i minori danni possibili. Il mare continua ad essere terra di nessuno. Gli organismi di regolazione continuano a sfornare norme ma il potere costrittivo per farle applicare non c’è. Sono anni che i migliori analisti ed esperti predicano la necessità di cambiare modello di 3 Se non tira l’economia, lo shipping non marcia. Aggiungiamo a questo la fragilità del sistema bancario cinese, su cui molti acuti osservatori stanno puntando il dito da anni, e ci accorgiamo che, dopotutto, la crisi di Hanjin forse non è poi così drammatica. Anche in questo caso la solerzia normativa produce inutile burocrazia, un capitano di nave deve riempire tante scartoffie quando naviga che ci si chiede come abbia tempo di fare altro, ma quando si arriva al dunque casca l’asino. In questi ultimi anni ho seguito alcuni grandi incidenti in mare nel settore cargo, dalla dinamica dell’accaduto ai report degli organi investigativi ai processi ai responsabili (o alle teste di turco), per constatare una volta di più che i colpevoli o se le cavano sempre o nemmeno vengono alla luce. C’è di peggio, il problema è alla radice. Purtroppo siamo talmente impotenti che non ci resta che sperare che un nuovo crack stile 2008, ma stavolta sarebbe una deflagrazione molto più devastante, non debba accadere, magari domani… o nel 2017, centenario della rivoluzione di ottobre. Perché allora vedremmo affiorare sul volto del povero Lenin, che in questi decenni si dev’essere rivoltato nella tomba come una trottola, un sarcastico sorriso di Schadenfreude (locuzione tedesca per colui che ride della sfortuna altrui). Ci sarebbe un solo modo per cambiare le cose: una rivolta generalizzata della forza lavoro coinvolta nella catena di trasporto, ma sappiamo che è utopia, le condizioni materiali d’isolamento in cui vive un equipaggio sono di per sé garanzia di assoggettamento. Tuttavia è un dato di fatto che la conflittualità all’interno della Global Supply Chain è in aumento, è una conflittualità endemica con talune punte molto alte, riguarda le condizioni di lavoro, il salario, l’occupazione, ma anche, in misura crescente, la sicurezza. L’intervento di Fedespedi nel caso Hanjin Come noto, dalla scorsa estate, al diffondersi della notizia che i principali istituti di credito non avrebbero più sostenuto le attività del colosso coreano, il mondo dello shipping sta vivendo momenti di estrema tensione. Last but not least. Alcuni organi di stampa molto accreditati nell’universo finanziario si sono chiesti se la crisi di Hanjin può restare confinata al settore dei traffici marittimi e della logistica o può investire anche la grande finanza. Con un fatturato 2015 di 6.7 miliardi US$, ma con debiti superiori ai 5 miliardi di US$ e con una perdita di 261 milioni di US$ nel solo I trimestre dell’anno in corso, Hanjin, una delle maggiori compagnie di navigazione specializzata nel container, si è trovata improvvisamente nella condizione di non poter far più fronte ai propri impegni e ha chiesto alla fine di agosto, al tribunale di Seul, l’amministrazione controllata. Da tempo le banche specializzate nel credito navale sono sull’orlo della crisi, si barcamenano tra bail out e cessioni dei crediti in sofferenza, i fondi d’investimento tedeschi specializzati nel noleggio e gestione di naviglio conto terzi, sono falliti a centinaia (era il tema del mio scritto “Il crack che viene dal mare”, redatto in epoca non sospetta: dicembre 2012). Ciononostante l’insieme del capitale mobile ed immobile investito nel settore navale è una parte modesta del sistema finanziario mondiale. L’effetto è stato che le sue navi, o hanno incominciato a vagare senza entrare nei porti per paura di sequestri da parte dei creditori, o non sono state accettate dai terminalisti per paura che non fossero in grado di pagare le spese dovute per lo stato d’insolvenza della Compagnia, con la conseguente impossibilità da parte degli aventi diritto di ricevere la merce. Molto più preoccupante mi sembra invece dover constatare che l’unica ricetta oggi in voga per rilanciare l’economia, quella del quantitative easing delle Banche Centrali, sembra non funzionare, in particolare in Europa ma ormai anche, dalle ultime notizie, negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, Hanjin ha chiesto e ottenuto la protezione della legge fallimentare statunitense 4 dal tribunale di Newark (N.J.). Altre richieste dello stesso tipo sono state avanzate ai tribunali di altri paesi, per evitare il sequestro delle navi. Al momento di uscita di questa Newsletter, la situazione è estremamente fluida. Se la Corte darà parere positivo, le navi entrate nel Mediterraneo (Hanjin Italy e Hanjin Kabul con circa 5.000 container destinati ai nostri porti) e quelle che arriveranno nelle prossime settimane, potranno scaricare in Italia, altrimenti scaleranno, con molta probabilità, il porto di Valencia, come già accaduto nel recente passato, con enormi costi aggiuntivi per l’intero sistema economico italiano. (S.C.) Gli effetti di tale situazione hanno coinvolto in breve tempo anche il nostro Paese, con tutte le conseguenze logistiche, legali e di business immaginabili. Migliaia di container in arrivo rischiavano di non poter essere sbarcati nei porti di destinazione, Genova e La Spezia in primis, con danni rilevanti per l’economia italiana. Non solo. Hanjin richiedeva anche il doppio pagamento delle THC, ISPS Charge nonché delle altre spese accessorie e del deposito cauzionale relativo al container. Tutte somme non dovute dagli spedizionieri e di cui Fedespedi ha contestato la legittimità. Detassazione dei premi di risultato e welfare aziendale Come noto la Legge di Stabilità 2016 (art. 1, commi da 182 a 190 della legge n. 208/2015) ha ripristinato da quest’anno, rendendola strutturale, la detassazione dei premi di risultato corrisposti ai lavoratori in virtù di accordi collettivi di secondo livello (aziendali o territoriali) previamente depositati in via telematica alla competente Direzione Territoriale del Lavoro; parallelamente, ha eliminato per il 2016 la decontribuzione INPS sugli stessi premi a favore dei datori di lavoro. Dopo una serie di serrate riunioni con i rappresentanti di Hanjin Italia e dei terminalisti, in presenza dei rispettivi legali, Fedespedi, Spediporto e Assagenti hanno individuato una soluzione per sbloccare la situazione, di fronte alla irremovibilità delle richieste della compagnia coreana. La soluzione, come noto, è stata la sottoscrizione da parte di Fedespedi, a proprio onere e ad esclusivo favore degli Associati, di una polizza fideiussoria globale valevole , sia nei confronti dei terminal contenitori, sia della Compagnia, che garantisse sul ritiro dei pieni e sulla successiva riconsegna dei vuoti. Si ricorda che sono detassabili le somme di ammontare variabile erogate a titolo di premi di risultato, anche sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione. Tale soluzione ha permesso, allo stato attuale, lo sbarco di circa 3.500 contenitori, per un valore stimato della merce superiore ai 100 milioni di Euro. Nel frattempo Confetra ha sollecitato il Governo italiano, attraverso i ministri delle Infrastrutture e dei trasporti, dello Sviluppo economico e degli Esteri a premere sul Governo coreano, tramite la sua rappresentanza italiana, affinché si attivi per trovare ogni possibile soluzione al caso, sollecitando anche Hanjin Shipping a ricorrere alla Corte di Appello di Roma per ottenere protezione delle navi attraverso il riconoscimento anche nel nostro Paese, della procedura di amministrazione controllata avviata in Corea del Sud. Il Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 112 del 14 maggio scorso, ha stabilito quali sono gli indici per misurare la produttività: questi possono consistere nell’aumento della produzione o nel risparmio dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile. Detti indici devono essere previsti negli accordi collettivi così che il raggiungimento degli incrementi di produttività sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di 5 indicatori numerici o di appositamente individuati. altro defiscalizzazione delle misure di welfare riconosciute dal datore di lavoro, non più unicamente su base volontaria, ma anche attraverso accordi collettivi territoriali o aziendali. genere La misura del beneficio consiste nell’applicazione sulle somme in questione di un’imposta agevolata al 10% applicabile entro il limite complessivo di 2 mila euro lordi annui per ciascun lavoratore che abbia percepito nell’anno precedente un reddito imponibile annuo non superiore a 50 mila euro. Il limite anzidetto è elevato fino a 2.500 euro se l’accordo collettivo sul premio di risultato prevede strumenti e modalità di coinvolgimento dei lavoratori da parte dell’azienda nell’organizzazione del lavoro finalizzati al miglioramento e all’innovazione di sistemi di produzione (ad esempio la costituzione di gruppi di lavoro o di strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire). Ciò detto, si segnala che i temi della detassazione e del welfare aziendale continuano ad essere al centro dell’attenzione delle aziende, degli operatori del settore, ma anche – secondo quanto si legge – del Governo, il quale potrebbe intervenire ulteriormente per rafforzare e favorire il ricorso a tali strumenti (ad esempio, innalzando il limite complessivo lordo annuo per lavoratore e il limite di reddito che consentirebbe di fruire della tassazione agevolata). Staremo a vedere quali saranno, dunque, le novità contenute nella Legge Finanziaria del prossimo anno e quali riflessi avranno sul mondo aziendale. (L.P.) Un secondo tema su cui è intervenuta in modo rilevante la Legge di Stabilità 2016 è quello del welfare aziendale, intendendosi con quest’espressione opere e servizi riconosciuti per scopi di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale o culto che il datore di lavoro può erogare per sostenere il potere d’acquisto e migliorare la qualità di vita personale e familiare dei propri dipendenti e che, per la loro funzione, non vengono considerati retribuzione e quindi non sono gravati da imposizione fiscale. Clecat Freight Forwarders’ Forum 2016: Bruxelles – 16 novembre 2016 L’appuntamento annuale a cura della Segreteria del Clecat, divenuto ormai un’apprezzata consuetudine, quest’anno sarà dedicato al trasporto aereo ed avrà come tema: “Air cargo logistics: ground for change?” Nell’allegare la locandina del programma, si prega di voler consultare il sito del Clecat, per maggiori informazioni, aggiornamenti e registrazione: www.clecat.org. (A.S.) In pratica le aziende, sfruttando la leva fiscale, possono rispondere in modo più efficace ai bisogni dei lavoratori, remunerandoli non solo in termini monetari, ma anche di utilità. Per favorire l’adozione di piani di welfare da parte delle imprese il Legislatore ha, innanzitutto, ampliato il catalogo dei servizi agevolabili fiscalmente. AGENDA
4‐8/10, DUBLINO, CONGRESSO FIATA 10/10, CUNEO, CONSULTA DEI SEGRETARI Tra le principali novità introdotte si ricordano inoltre (I) la possibilità, per i dipendenti, nell’ambito di un eventuale accordo aziendale o territoriale, di poter scegliere se scambiare il premio retributivo con prestazioni di welfare integrativo (in tal caso beneficiando dell’esenzione totale delle tasse, non trovando applicazione l’imposta sostitutiva del 10%) e (II) la 20/10, BERLINO, CLECAT ROAD E SUSTAINABLE LOGISTICS INSTITUTE 21/10, BERLINO, CLECAT AIR LOGISTICS E SUPPLY CHAIN SECURITY INSTITUTE 6 7 Fedespedi, Via Cornalia 19, 20124 Milano ‐ [email protected] www.fedespedi.it
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