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Giovanna
Cenerentola e il Falco
racconto eroticomico
Prefazione:
Un diabolico fantasma si aggira per il web! Una figura oscura, svolazzante: ma non
è Paperinik.
La sua preda preferita (l’ho saputo troppo tardi) sono le indifese scrittrici di racconti
erotici e così, l’uccello che non perdona, ha ghermito, purtroppo, anche me.
Con quell’eleganza che non gli si può negare, il figlio della notte mi ha trovata, mi ha
riempita di parolacce e poi, non pago, mi ha anche dato un saggio della sua bravura,
giusto per reiterare i maltrattamenti che mi aveva appena inflitti: una specie di
firma del Male!
Il realtà mi aveva offesa a oltranza ma con una precisa motivazione: “scrivo una
merda e mi dovrei solo vergognare di pubblicare le mie cazzate!”
Alla fine, giusto per dimostrarmi come si tratta un romanzo, proprio per darmi una
lezione di stile, di sagacia e di originalità Lui mi ha voluto donare un suo scritto.
Giusto per mortificarmi ancora; per umiliarmi e per mostrarsi in tutto il suo
splendore.
Dopo aver letto le sue righe, la perfezione della sua prosa, avrei voluto bruciare ogni
manoscritto pubblicato... non era che robaccia al confronto del “novello Pirandello
dal bel pisello” (almeno lui asserisce di avercelo così) ma non potevo rifiutare
l’onore che lui mi aveva ha concesso!
La sfida era stata lanciata.
Mi ha scritto:
- Ecco come si scrive, stronzetta! Prova a misurarti con la mia prosa celestiale e la
sapienza sottile del mio costrutto! –
Avrei voluto baciargli le mani ma mi tremavano le labbra!
Lui, l’essere notturno, l’uccello che eccelle, mi donava un’opportunità, una
speranza...
Lui si era accorto di me e mi dava l’ultima chance e io sapevo che non potevo
perderla perchè... il Falqui, non perdona.
Ops! Chiedo venia... volevo dire: il Falco!
Documento storico: Il manoscritto del Maestro.
1° capitolo (e sembrerebbe anche unico) 1
“Sei a una festa con il tuo ragazzo. Ci sono tutti i tuoi compagni di scuola. la
festicciola e' per festeggiare il tuo ragazzo che compie gli anni. Gli hai preparato una
festa con i fiocchi. Ti stai divertendo. Sei innamoratissima di lui e non potresti mai
tradirlo. Lo ami alla follia. Peccato che durante un ballo con il tuo fidanzato noti Me
(un estraneo di 33 anni che alcuni dicono che il mio nome sia "IL FALCO") in piedi in
un angolo che ti sta fissando con insistenza. Sei imbarazzata, ma ti accorgi che sei
anche molto eccitata. Ad un tratto mi vedi andare in bagno e finito il ballo dici al tuo
ragazzo che devi andare in bagno. Una volta li non mi trovi e cominci a disperarti
(gia' ti manco). Ad un tratto sbuco e ti prendo da dietro ti sollevo la gonnellina, ti
strappo le mutandine e ti sfilo le ballerine che annuso come un cocainomane
sussurrandoti "Ti puzzano i piedi lercia puttanella". Mi inginocchio e ti lecco le piante
dei piedi mentre tu mi dici che ti scappa la pipi' da quanto sei eccitata. Io ti dico di
pisciarti addosso e cosi' fai (una pozza di pipi' sulle mattonelle del cesso...pensa a
chi verra' dopo...che vedra' la tua pisciatina da adolescente stordita) Io ti infilo due
dita in quel culetto stretto finche' non me le ciuccio assaporando l'afrore della tua
cacca. Poi te le infilo in bocca e tu ciucci avidamente e ti prendo da dietro... cacci
un urlo (ti avranno sentita...la santarellina puttanella) e ti scopo come un treno fino
a sborrarti nel culetto. Alla fine ti lascio scalza, smuatandata e sudata (mi sono
fregato le ballerine e le mutandine) fino a quando non esci e dici al tuo ragazzo che
non trovi piu' le tue scarpe (e quando lui ti chiede perche' quell'alito di "merda" tu
per giustificarti gli dirai che ti sei sentita male e hai vomitato).
FINE 2 (e si, idee poche ma ben confuse)
Questo è il testo integrale del “Vate” non ve lo perdete perchè è un esemplare più unico che
raro! (per fortuna)
2
Qui sotto troverete il miserabile tentativo di scopiazzare la Sua traccia, pur degna di
divenire un best seller mondiale.
1
Cenerentola e il Falco
(alias Ricokketto; alias Roberto-poketto)
“Il Falco, pur orrido nelle tenebre, con l’avvento della luce si trastulla il passero, solitario.”
Anonima
1
Quelle scarpette, oh!
Quelle scarpette erano il regalo più bello che avessi mai ricevuto da sempre.
Arrivarono come per magia: non avrei mai creduto possibile possederle.
Persino su Zelindo, costavano na’ cifra!
Invece Papy (il mio primo e unico amore, anche se spesso non si rende conto
assolutamente delle esigenze vitali di una “raga”) aveva dato un calcio alla tirchieria
e aveva investito un sacco di soldi in una causa… diciamo pure “planetaria”!
Ora esse erano tra le mie mani, con il loro colore, talmente evanescente che non
aveva un nome… forse potrei definirle: color sogno!
I piccoli strass segnavano una virgola iridescente, stellare, sui punti essenziali.
Un’ombra di tacco, nascosta dalla stoffa, nella soletta segreta, di seta pura,
rappresentava la loro alchimia: pur essendo “ballerine” non ti appiattivano i piedi
per terra, facendoti procedere a “Nonna Papera”.
Grazie alla loro metafisica fattura davano al piede un costante, preciso anelito verso
l’alto, verso il cielo: come fossero una preghiera.
Allora, la tua gamba si slanciava, permettendo alla minigonna quel lievissimo,
impercettibile, sollevamento sul di dietro. Da qui, da questo tocco di classe
indicibile, nasceva una differenza impercettibile: solo quei pochi millimetri che la
sollevavano di più dal lato del culo.
Quei pochi millimetri che facevano la differenza!
Da quei pochi millimetri nasceva tutto “l’arrapamento” di decine di “raga” che non
avrebbero potuto più staccare gli occhi dal mio sedere, dalla mia minigonna nera...
raffinatissima.
Quei pochi millimetri, infatti, permettevano a chi avesse guardato dalla giusta
angolazione, il “vedo non vedo” sulle parigine, spesse e nere, che finivano in quello
spazio misterioso sotto la gonna ma non abbastanza misterioso da nascondere,
all’osservatore allupato e fantasioso, uno spicchio, più o meno sostanzioso, delle
mie cosce, chiare come il latte, che filtravano come romantiche mezze lune, nella
notte sotto la gonna.
“Tutto, per la mia Principessa!” aveva detto babbo.
“Si, si… le scarpette di Cenerentola! Ridicolo!” aveva aggiunto, schiumante, la mia
sorella più grande: ma lei mi odia, lo sanno tutti!
- Scappiamo, è tardissimo! – dissi scendendo le scale, mio padre era pronto, in
cucina, e non osò lamentarsi anche se mi aspettava da un’ora.
La sua pazienza era frutto dell’addestramento che, negli anni, gli aveva inferto mia
mamma.
2
La festa era meravigliosa.
La family di Gianfilippo (il mio Fidanzato) era quello che era, in città.
Ricchi stratosferici, grazie alle firme che portavano addosso, sembravano più dei
cartelloni pubblicitari che dei normali esseri umani.
Il papà di Gianfilippo, aveva comprato l’Hammer da pochi giorni; ora era
parcheggiato, lucente come una stella, al posto d’onore, fuori Villa Pomposa.
Un giorno, forse, i miei piedi avrebbero salito il predellino di quella specie di carro
armato con l’interno “animalier”.
Dipendeva solo da me e io dipendevo solo dalle mie scarpette da favola.
Era la festa per i diciotto del mio raga. Doveva essere unica, indimenticabile!
Gianfilippo aveva apprezzato moltissimo le mie scarpette e forse anche l’effetto
mini-calze-carne nuda, poiché appena poteva mi toccava il culo; si era accanito
specialmente da quando si era accorto che, sotto, indossavo solo un perizoma.
Per fortuna la festa era troppo divertente e gli amici lo tenevano occupato con una
serie di scherzi troppo fighi; era troppo protagonista, in quella magica serata, per
cercare di incularmi alla prima occasione.
Per Gianfilippo era diventata un’ossessione. Quando scoprì che non ero più vergine
non si lamentò più di tanto. E’ un ragazzo emancipato e, pur di scopare, gli va bene
tutto.
Ha creduto ciecamente che fosse lui, il primo, a cui lo prendevo in bocca.
Ha creduto anche alla storia che non ero mai “venuta” veramente, con un ragazzo e
ha bevuto pure il mio stupore, quando gli ho confessato che il suo cazzo era il più
grande, il più duro che avessi mai provato.
Nonostante tutti questi primati, non demordeva: continuava a cercare di farmi il
culo.
Anche i suoi amici, aspettavano la sua testimonianza a riguardo… ma nessuno ne
parlava davanti a me, per fortuna.
Lory, la mia amica del cuore, mi aveva raccontato che il suo raga, aveva detto che
il mio raga, aveva detto che, appena riusciva a farmi il culo, avrebbe filmato l’evento
e postato il tutto su Youtube, così, giusto per condividere.
Aveva anche detto che il problema nasceva da me: ero troppo abbondante, troppo
bona, diciamo.
Le altre ragazze, a scuola erano o filiformi o ciccione. Invece io, nonostante la
giovane età, avevo un corpo da donna. Tutto prorompeva dal mio fisico: i seni
quarta misura, tondi e sodi come due meloni e anche il culo, non scherzava. Lo
avevo molto alto, “a brasiliana” come lo definiva la mia maestra di lingue, che
spesso, con la scusa di controllarlo tecnicamente, me lo palpava… anche lei,
purtroppo!
3
Avevamo una grande sala tutta per noi ragazzi. Credo che in quella Villa enorme, si
stessero tenendo, contemporaneamente, altri ricevimenti.
Dopotutto era la location più in della città. Stupenda, un tripudio di luci, fari e colori.
C’erano persino i Bodyguard in smoking, che scortavano il festeggiato, dalla
macchina al locale: che figata.
- Questo è il nostro, Baby. – Mi sussurrò Gianfilippo, tirandomi per il braccio per
invitarmi a ballare.
Lo amavo una cifra!
Fu un ballo spettacolare, era la nostra canzone eterna, per quel mese.
Gianfi doveva essersi messo d’accordo col DJ, perché le luci si abbassarono e,
romanticamente, un grosso riflettore illuminava solo noi, al centro della sala.
Gli altri ragazzi facevano cerchio intorno e, nei momenti clou, sottolineavano il
nostro amore con i loro “Wow”; “Spettacolo”; “Ah, fanatici!!!” eccetera.
Qualche imbecille lo trovi sempre in una classe. Quelli che non si sentivano parlare,
invece, pomiciavano approfittando del momento di buio. Eh, da “piccola” c’ero
passata anch’io.
Le mie scarpette Zanocchi da 380 euro, sotto il riflettore, stavano ricevendo il giusto
tributo.
Avevo le lacrime agli occhi.
Pensai che era meglio morire in un momento così bello, tanto non sarei mai potuta
essere più felice nella vita: tutto era perfetto. Persino l’erezione di Gianfilippo, che
mi premeva sotto il pancino.
Mi baciò davanti a tutti e io pensai che era fatta… al più presto mi avrebbero
permesso di salire sull’Hammer di famiglia: ora ero, praticamente, una di “Loro”.
Un giro di ballo.
Due occhi penetranti brillano, nella penombra.
Un altro giro.
Quell’uomo mi fissa!
Ha uno sguardo magnetico, mi entra dentro l’anima e la rimesta tutta: mai provato
niente di simile!
Con espressione dolce ma strafottente, come se si chiedesse che ci facevamo tra
tutta quella gente, mi sorrideva in modo tanto lieve da lasciarmi perplessa.
Una domanda si formulò nella mente senza che io potessi farci niente:
- Che cosa vuole da me? –
Continuammo a girare, seguendo la musica e io, frastornata, cercai rifugio tra le
braccia forti del mio ragazzo, abbandonandomi a lui.
Ma non bastò.
Anche con gli occhi chiusi, rivedevo lo sguardo di quell’uomo.
Uno sguardo ferino, che non ammetteva equivoci, inutile prendersi in giro: quello
sguardo era inequivocabile come una dichiarazione di guerra.
La belva aveva posato gli occhi sulla sua preda… inutile chiedersi
“Cosa vuole da me?”. Quell’uomo voleva tutto, quell’uomo voleva me!
E io provavo i brividi a sentirmi tanto impotente davanti al suo evidente strapotere.
Cercai la forza nell’amore infinito, che da oltre tre mesi, mi legava a Gianfilippo ma
mi sentivo ancora molto debole, ero in pericolo.
Quando le luci si riaccesero cercai di riprendermi. Presi una coca dal buffet, poi
rintracciai Marianna, la ragazza più pettegola della scuola, lei di certo avrebbe
potuto illuminarmi.
Intanto quell’uomo, andava e veniva dalla sala attigua, partecipava ad un'altra
festa, forse. Era adulto: di certo aveva più di trent’anni, anche se i suoi occhi erano
freddi, profondi come il tempo...
Marianna, che amava bere alcoolici, era poco lucida in quel casino. Prima non capì
un cazzo, poi, quando l’uomo tornò nella nostra sala, glielo indicai e lei ebbe un
sussulto:
- Quello, lo conosco di vista, non so come si chiama, però si chiama “il Falco”. –
- Il Falco? – chiesi io, innocente.
- Si… gira per feste e locali, approfitta del buffet a sbafo e pare si scopi le ragazze più
belle, così, all’improvviso… ha un potere forse, chissà? – poi qualcuno la chiamò e lei
sparì nella ressa, stringendo tra le mani due flute di spumante.
Passarono alcuni minuti; mi davo un tono, chiacchieravo con qualche amica,
sorseggiavo dal mio bicchiere… insomma cercavo di non pensare al Falco, anche
perché sembrava sparito nel nulla.
Meglio.
No, peggio: non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Era un uomo basso, abbronzato, il suo viso sembrava intagliato nel legno antico. Le
sopracciglia spesse, scure, nascondevano la forma degli occhi, di cui si vedevano
perfettamente le pupille, nere come la pece, infuocate, come sprizzassero dei piccoli
barlumi rossi… ma sperai che fosse solo un riflesso delle luci.
Ad aggiungere ulteriore mistero al suo sguardo già sconcertante, contribuiva
l’evidente strabismo, che rendeva enigmatico ogni suo pensiero.
Nell’insieme era un po’ ridicolo ma, si sa, il cuore di una donna si conquista col
sorriso.
4
Il Falco, sotto la camicia bianca, aveva un fisico che non passa inosservato. Grosso,
il petto un po’ villoso, con un la pancetta da ragioniere stupenda, lasciva: una pancia
da capobranco.
Le gambe erano robuste e corte, davano un’impressione di solidità, di sicurezza,
esprimeva saggezza e libidine, entrambe, contemporaneamente.
Come sfuggire alla morsa d’acciaio di un maschiò così?
Un attimo dopo me lo trovai di fronte. Saldo e sicuro mi era comparso praticamente
davanti.
Non disse una sola parola. Mi fissò, in maniera ancora più implacabile, per alcuni
istanti senza che io riuscissi a distogliere lo sguardo; soprattutto perchè cercavo di
capire se fissava me o una lampada Swarovsky, sulla destra.
Un lieve impercettibile movimento della testa.
Il Falco voleva che lo seguissi ma io, con tutte le mie forze residue, dissi dentro di
me: No! Fu il “No” più deciso e potente della mia vita!
Il Falco mi voltò le spalle e, incurante del mio diniego, si allontanò senza voltarsi con
una sicurezza tale che mi dava i brividi.
Inciampò solo due volte nei pantaloni troppo lunghi e senza piega, la secondo fu la
più rovinosa.
Ma si rialzava, sempre con un certo stile: si infilò nel vano scale, che portava ai
bagni. Lo sentii rotolare una terza volta, era per le scale: live, una bestemmia
biascicata... poi nulla più.
La musica riprese, incalzante e ritmata, al top.
Avevano messo “My name is Stain”: mitico!
Troppe emozioni, troppa coca, troppo… Falco!
Lo stomaco brontolò ed io... non ebbi dubbi: dovevo correre al bagno!
Certo era il fascino magnetico di quell’uomo ad attrarmi ma anche il bisogno di
liberarmi rapidamente. Si sa, noi ragazze abbiamo il metabolismo veloce, e poi
nell’eccitazione dei preparativi per la festa, non avevo avuto il tempo per evacuare
a casa mia.
Avevo bisogno di un momento intimo, solamente mio, per riprendere in mano le fila
della mia vita e anche per fare i bisognini.
Il bagno porta consiglio!
Feci un cenno al Gianfi: strinsi i pugni agitandomeli davanti al petto e strinsi anche
le labbra, rendendole sottili.
Lui dovette capire al volo e mi rispose con un: “OK!”
Non gli sarei mancata, al porco, stava facendo lo stronzo con Clarissa, la più troia
del quinto anno.
Me l’avrebbe pagata, ma dopo! Ora un’attrazione fatale mi reclamava altrove…
Scesi le scale con attenzione e, finalmente, raggiunsi il bagno delle donne.
La musica arrivava ovattata. Trovai un posticino tranquillo nell’ultimo gabinetto e mi
sedetti su un w. c., abbassando il tanga appena in tempo.
Ci volle poco… dopo sono stata subito meglio.
La mia mente tornò al Falco. “Chissà dove sarà adesso, quel mattacchione!” pensai
mentre cercavo la carta igienica che, naturalmente, era finita.
Mi sentivo disperata, avevo lasciato anche la pochette al guardaroba.
Poi, lentamente, la porta del cesso si aprì!
Come mi avesse letto nella mente, me lo trovai di fronte in tutto il suo tenebroso
splendore.
Mi fissò (o almeno credo che intendesse fissarmi) ormai ci avevo fatto l’abitudine a
quel suo sguardo strano: “vedo non vedo”.
- Sei disperata, vero? – disse il Falco con una vocetta querula che aggiungeva
drammaticità a quei difficili momenti.
Volevo spiegargli di no, anzi volevo pregarlo di procurarmi della carta o, almeno, dei
fazzolettini ma lui fu implacabile.
Forse era anche un po’ arrapato, perché in realtà io dovevo essere uno spettacolo
eccitante: avevo la mini tirata sopra e avvolta su se stessa, che mi lasciava
completamente nuda dalla cintola in giù. Le mutandine, ovviamente erano sotto le
ginocchia.
Insomma lui vedeva perfettamente il mio culo, grande e candido, e anche la fica,
che avevo depilata completamente per una promessa fatta a Gianfilippo.
Poco dopo la pelle nuda delle cosce veniva schermata dalle mie francesine nere,
bellissime e semplici, arricchite da un solo fiocchetto di nastro bianco, di dietro.
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- Piscia per terra! – disse il Falco, lasciandomi perplessa – Sai che ridere quando
entreranno gli altri? –
Non trovavo divertente lasciare la pipì per terra ma forse erano cose che non potevo
capire.
- L’ho appena fatta, la pipì... – dissi, cercando una giustificazione.
Era contrariato ma incalzò:
- Allora fai la cacca! – disse perentorio.
- Nemmeno, ho appena fatto pure quella… Mi interruppe, infuriato. Ero sempre più a disagio ma quello non mi faceva
esprimere: era troppo uno volitivo.
- Ma che cazz’ !? – Imprecò il Falco – Allora ti strappo le mutande! –
Quella frase era troppo cruda per resistere ancora.
A parte l’irrefrenabile eccitazione mi ricordai che il mio perizoma costava una cifra e
mi affrettai a togliermelo, consegnadoglielo anche piegato alla meno peggio.
- Ma cosa gli faccio alle donne? – borbottava il Falco fra se e se, mentre i suoi occhi
roteavano liberamente nelle orbite; non lo volli contraddire, avevo fretta, ero
sporca, impacciata. Il Falco non demordeva:
- Ora ti strappo le scarpe. – poi, dopo un momento di perplessità aggiunse (per
fortuna) - No, te le tolgo, senza strapparle. –
Il terrore mi aveva percorso la schiena ma mi ripresi: le scarpette erano salve!
Gliele consegnai con delicatezza e lui si mise a odorarle come un setter irlandese.
- Ah, ahhh … - e sniffava nelle scarpe poi, non contento, si esibì in un numero che mi
fece capire quanto ancora avessi da imparare riguardo ai misteri dell’eros estremo.
Mise il mio slippino usato nelle scarpe, prima nell’una e poi nell’altra… e riprese a
sniffarci dentro, tirando su col naso fino a sbandare lievemente.
Credo cominciasse a girargli la testa.
Per un attimo ho temuto che inciampasse ancora una volta ma lui si ristabilì.
- Ti puzzano i piedi, piccola! –
Arrossii.
“Cazzo” pensai “ ho scordato di metterci il Timodore.”
Sorrise col sorriso di chi la sa lunga:
- E ti puzzano anche le mutandine... di piedi! – questa invece non me l’aspettavo,
stavo per chiedere se l’avesse notato prima o dopo aver passato il mio perizoma
nelle scarpe.
- Dai adesso, non farmi incazzare, fa una pisciatina da adolescente stordita. –
“Come sei strano, Falco!” pensai in cuor mio: non riuscivo a immaginare a che tipo
di piscio facesse riferimento.
Mi premetti un po’ la vescica per lui e aprendo bene le gambe riuscii comunque a
lasciar andare, qualche piccolo scroscio di orina sul pavimento.
- E’ poca! – disse lui – Comunque non perdiamo altro tempo, stasera ne devo punire
ancora un paio! Ho fretta. – Quell’uomo era oppressivo.
- Non ne ho più ti dico... non è che ti trovi un fazzoletto di carta, per caso? –
- Taci, puttanella! – mi zittì il Falco – Fammi controllare. Mi prese per i capelli, mi fece voltare verso lo sciacquone e poi giù, giù, fino a farmi
mettere ad angolo retto.
Avevo il viso proprio sulla tazza; per fortuna avevo tirato l’acqua.
Pregai con tutte le mie forze che quella storia strana terminasse. In qui momenti
eccitanti e pregni di lussuria pensavo al bidet di casa mia... avrei voluto
abbracciarmelo.
Il Falco intanto, si era inginocchiato dietro il mio sedere e mi studiava, mi scrutava,
poi iniziò a esplorarmi la figa gocciolante con la lingua, mentre di sopra, con le dita
affondò nel culo, senza troppi complimenti.
Non ero pulita e arrossii come un peperone, per non essere fraintesa ancora una
volta, preferii sopportare aspettando gli eventi.
- Oh cazzo – esclamò il Falco – ma anche qui c’è puzza! –
6
Me l’aspettavo ma ci rimasi male lo stesso:
- Te lo sto ripetendo da... - Zitta, bambina; ci può stare... non crederai che il Falco si lasci intimidire dalla tua
scarsa igiene personale? – sorrise – Conosco il trucchetto, ragazza! Chi te lo ha
suggerito: mammina? –
Non lo capii e preferii non sforzarmi di capire. Preferii addirittura ignorarlo, quando
incurante di ogni ostacolo, il Falco iniziò a leccare a tutta birra anche l’ano.
Feci una smorfia di disgusto ma non mi opposi... dopotutto, pochi istanti prima, non
avevo forse sognato di fare il bidet?
Forse era solo la mano santa della provvidenza.
Dopo aver gozzovigliato nelle mie interiora il Falco disse:
- Sei buona. Adesso alza il piede! –
- Quale? - gli chiesi, remissiva.
- Non fare la furba con me, uno qualunque, basta che puzza! –
Non potevo sapere quale puzzava dei miei piedi, sperando fosse una caratteristica
comune alle due estremità, alzai il sinistro e, per mantenere l’equilibrio, poggiai le
mani sulla tazza di ceramica.
Mentre gli porgevo il mio piedino da principessa cercai di avvertirlo:
- Ma, ho le calze... –
- Meglio, puzza di più, non ci pensare e sta zitta, bambola. –
Il maschione, già col muso imbrattato dai lavorii precedenti, si lasciò andare,
enfatico sotto i miei piedi. Odorava e leccava le calze sporchissime; ero senza
scarpe, in un cesso pubblico, per oltre dieci minuti...
Ma poco dopo l’idillio terminò: il Falco reclamava la colomba e io, ero pronta a
cedere: soprattutto perchè volevo recuperare le scarpe.
Quando si alzò in piedi, pago, ne approfittati per rialzarmi e guardarlo in faccia.
Non era uno spettacolo edificante, comunque... promisi a me stessa che, se avesse
provato a baciarmi in bocca, dopo tutte le schifezze che aveva combinato, lo avrei
steso con un calcio nelle palle.
Ma non lo fece: lento, studiato, inesorabile, la sua mano iniziò a fare quel gesto che
noi ragazze temiamo e amiamo, contemporaneamente: slacciò la cintura e si
abbassò i pantaloni, fino alle ginocchia.
Che spettacolo.
Il Falco non terminava mai di stupirmi: aveva delle mutande mai viste se non nel
cartoon di Spoonge Bob.
Slipponi bianchi, anni trenta, con la cucitura al centro e uno spacco laterale a V
capovolta: forse serviva a passarci il pisello, come una cannola.
Il Falco allora, per rompere il ghiaccio, si stava avvicinando per baciarmi ma io gli
gridai:
- Fermati, Falco... ho l’herpes sulla lingua! –
Arretrò inorridito:
- Hai l’herpes anche al culo? – chiese con un certo stile e io, irresponsabilmente dissi
di no ma poi me ne dovetti pentire.
Il Falco, allupato come una iena, prendendosi un po’ di tempo fece passare il suo
uccello attraverso lo sfiatatoio del mutandone.
- Non hai le palle? – dissi scioccamente, lui la prese come un offesa e riprese ad
armeggiare: soffriva ma non demordeva.
Alla fine riuscì a far passare anche i due coglioni attraverso la stretta asola.
Tutto l’apparato genitale, onestamente, era ben poco “ingombrante”.
- Ora te lo metto in culo! – disse, ad effetto, quel maschio imprevedibile.
Valutai il suo cazzo; mi resi conto che, adesso che era barzotto, aveva uno spessore
simile a quello di certi wurstel di pollo che avevo provato a infilarmi nel sedere,
giusto per vedere che cosa si provava.
Insomma, decisi tra me e me: non temevo il Falco né la penetrazione del suo
uccelletto, l’importante era sbrigarsi e recuperare le scarpette. Quindi mi voltai
senza fare storie.
Il Falco era impreparata a tanta sottomissione.
7
Più tempo passavo col Falco e più mi ispirava un sentimento di pena. Stupendo...
non avevo mai sentito una cosa del genere per un ragazzo.
- Ok, l’hai voluto tu, aspetta che mi monto il preservativo, mia madre... – si corresse
tossendo. - Niente, niente... – aggiunse mentre arrossiva – dicevo che devo mettere
il preservativo perche voi ragazze siete tutte zoccole! –
- E chi te lo ha suggerito, mammina? – dissi, abbastanza sull’offeso.
- Niente mamma! Quale mamma? Io sono il Falco... non ho famiglia! –
Lo trovai patetico, anche perchè avendo un cazzo decisamente piccolo, il
preservativo gli andava largo, dando della sua virilità, uno spettacolo grinzoso e
squallido.
Ma il Falco non perdonava, mi si mise dietro e si sollevò sulle punte annaspando per
raggiungere il mio culo. Provò anche a centrarmi saltellando ma niente, proprio non
ci arrivava.
Per tagliarla a corto, decisi di abbassarmi io.
Per fortuna il cazzo del giovane si irrigidì abbastanza, certo lo spettacolo del mio
culo chiaro e remissivo, doveva essere eccitante.
Sentivo il suo bastoncino piegarsi sotto le sue pressioni senza infilzare il buchetto
del piacere. Sperai che lo mettesse in figa per provare qualche stimolo al più
presto... mi stavo annoiando.
Alla fine me lo sentii.
Mi aveva divaricato l’ano ma viste le dimensioni era un gioco piacevole, una specie
di solletico godereccio: non gridai, anzi mi scappava da ridere.
Lo lasciai accanirsi, trionfante, sul mio sedere.
Non aveva più come spingerlo dentro pur di guadagnare qualche millimetro ma,
purtroppo, la sua natura quella era!
Dopo una ventina di stantuffate si abbracciò al mio corpo e, dopo averlo spinto
dentro al massimo, iniziò a vibrare.
Ora era appeso su di me, con gli anfibi a mezz’aria, che ballonzolavano. Pesava e mi
si piegarono le ginocchia sul cesso. Non ebbi tempo per lamentarmi, il Falco,
scalciando e fremendo, se ne venne nel suo preservativo.
Uscì subito dal culetto perchè perse all’istante la sua breve erezione.
Il profilattico con la sua acquiccia opalescente gli cadde sulle scarpe, sporcandole.
- Porca vacca - disse lui – e adesso? Chi glielo dice a mammà? –
- Lo sapevo – dissi subito additandolo – avevo capito, sai? Sarai pure un Falco ma
ancora non hai lasciato il nido... ah ah – gli risi in faccia, e poi sbagliai.
La vendetta di quel maledetto fu tremenda, recuperando il cazzetto incastrato nello
slip, il porco corse verso l’uscita dai bagni, portando con se le scarpette e le
mutandine. Una risata satanica riecheggiò per i cessi.
Ero perduta!
Cominciai a piangere su me stessa e, lentamente, risalii le scale e tornai nel locale.
Ritrovai, tra la folla che si diradava, il mio Gianfilippo che si accorse che qualcosa
non andava.
- Amore – disse - e le scarpette... dove sono andate a finire? –
Presa alla sprovvista non sapevo cosa rispondere ma poi mi ripresi e gli dissi:
- Perdute, tesoro: e questa è una brutta notizia ma... – attirai la sua attenzione con
quella strana affermazione. – Ma ho perso anche le mutandine e... –
- E questa è una bella notizia? – disse lui mentre il suo “tubero” cominciava a reagire
nelle mutande.
- Credo di si, almeno lo spero. Anche perchè sarei pronta a darti il mio “regalo”,
adesso. –
- Ma, Ciccia, il regalo me lo hai già fatto, ricordi? –
- No, Giangino mio, quello era “un regalo” e basta... adesso voglio donarti qualcosa
di mio e gli presi la mano, portandomela sulla natica nuda sotto la veste, attenta che
nessuno vedesse.
Gianfilippo iniziò a sudare freddo e gli occhi gli brillarono.
Io lo lasciai nella sala mezza vuota e imboccai di nuovo la strada dei bagni,
dopotutto erano confortevoli eormai mi ci ero acclimatata.
Mentre scendevo le scale, sentii Gianfilippo che gridava al papy:
- Babbo, lasciami le chiavi dell’Hammer e prendi tu la cinquecento, per stasera! –
Il mio cuore batteva forte.
Poco dopo, in un tripudio di sensi, cedetti alla pressione del cazzo significativo del
mio ragazzo e me lo lasciai infilare nel culetto, fino alla radice.
Non mi fece male; il lavorio del Falco mi aveva preparata e bendisposta, anzi, mi
vergogno a confessarlo, persino vogliosa di prenderne ancora, e bene.
Gianfilippo mi venne dietro gongolante di piacere, anche per lui era la prima volta.
Epilogo
Un’ora dopo sotto casa, accompagnata dalla carrozza in acciaio, la povera
“Cenerentola” torno a casa, con un velo di tristezza nello sguardo, addolorata per le
scarpette perdute ma, una sorpresa l’attendeva: nel buio del cortile, proprio
all’ingresso del cancelletto di casa sua, poggiate per terra le sue favolose scarpette
di seta.
Sconvolta e felice, le raccolse e le strinse al cuore poi, guardando meglio, si accorse
che dentro ad una era nascosto un pezzetto di carta.
Era un messaggio del famigerato Falco:
“Brutta zocolona, ti restitrutisco le scarpe perchè non servono a un cazzo: no
puzano, sono troppo nuove. Mi tengo la mutanda invesce, percè quella si sente. Il
Falco no perdona!”
Che serata!
Cenerentola sorrise con un pizzico di simpatia.
Il Falco aveva lasciato il segno, è vero, ma come comico, però.
Poi pensò, salendo gli ultimi gradini e massaggiandosi l’ano con la mano libera:
“Invece, sto cazzo di Gianfilippo c’è andato giù pesante!”
Ma già si gustava quel piacevole indolenzimento, sapeva che lo avrebbe provato
altre volte, felice e contenta, nella sua lunga vita da principessa.
FINE
Capri, giugno 2013