Selma - Cinema Primavera
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Selma - Cinema Primavera
Wallace, il governatore razzista interpretato da Tim Roth), dal leader agli accoliti (tra gli altri Oprah Winfrey nel ruolo di Annie Lee Coper), dal personaggio pubblico all’uomo privato (fondamentale in questo senso il taglio protofemminista e l’importanza riconosciuta alla moglie Corette). La progressione a metronomo, figlia di un preciso timing interno e di un corrispondente dinamismo figurativo (prezioso il lavoro alla fotografia di Bradford Young, potente la musica), sintonizza il film sulla ritmica della marcia – quella del ’65, da Selma a Montgomery, senza ritorno: pochi mesi dopo il Congresso avrebbe approvato il Voting Rights Act che consentiva a tutti i cittadini di votare, al netto del colore della pelle – e cattura la corrente della Storia, quella dei singoli e dei popoli, di ieri e – drammaticamente – di oggi. Movimento impetuoso, appassionante, trascinante, chi può chiamarsi fuori? La storia siamo noi. Selma ce lo ricorda. Gianluca Arnone www.cinematografo.it 5 Febbraio 2015 Ava Duvernay è una valida regista che viene dal cinema indie e si vede: nessuna patina hollywoodiana nella ricostruzione d’epoca ritagliata nei luoghi veri; e un ottimo interprete (l’inglese David Oyelowo) che, pur giocando di mimesi, bada soprattutto a esprimere l’uomo dietro il leader carismatico. Tormentato dai dubbi, dal pensiero di una costante prossimità di morte, il King di Oyelowo non è un santino, è un ispirato idealista dolorosamente consapevole che spesso e volentieri la realpolitik è il solo mezzo per conseguire il fine. Alessandra Levantesi Kezich La Stampa 12 Febbraio 2015 Mercoledì 17 febbraio, ore 16.30-19-21 Giovedì 18 febbraio, ore 19.00-21.00 Un film di Piero Messina, con Juliette Binoche e Giorgio Colangeli In un'antica villa nelle campagne siciliane, due donne - Anna, una madre, e Jeanne, la fidanzata del figlio di Anna, Giuseppe - si incontrano e si scontrano. Quando Jeanne si presenta alla villa dicendo di essere stata invitata da Giuseppe, Anna, che non la conosce, decide di trascorrere comunque con lei la Pasqua in attesa che il figlio faccia ritorno e della grande processione che si terrà in paese... MERCOLEDí 10 FEBBRAIO 2016, ORE 16.30-19.00-21.30 GIOVEDí 11 FEBBRAIO 2016, ORE 19.00-21.30 VENERDí 12 FEBBRAIO 2016, ORE 21.00 (VERS. ORIG.) Il cast tecnico. Regia: Ava DuVernay. Sceneggiatura: Paul Webb. Fotografia: Bradford Young. Montaggio: Spencer Averick. Scenografia: Mark Friedberg. Costumi: Ruth. E Carter. Musiche: John Legend. Origine: Gran Bretagna-USA, 2014. Durata: 2h07. Gli interpreti. David Oyelowo (Martin Luther King Jr.), Tom Wilkinson (presidente Lyndon B. Johnson), Cuba Gooding Jr. (Fred Gray), Carmen Ejogo (Coretta Scott King), Tim Roth (gov. George Wallace), Oprah Winfrey (Annie Lee Cooper), Giovanni Ribisi (Lee C. White). La trama. Nella primavera del 1965 una serie di eventi drammatici cambiò per sempre la rotta dell'America e il concetto moderno di diritti civili: un gruppo di coraggiosi manifestanti, guidati dal Dr. Martin Luther King Jr., per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, con l'obiettivo di ottenere l'imprescindibile diritto umano al voto. Selma è una voce, la voce di un grande leader, la voce di una comunità», dice Ava DuVernay del suo "Selma: la strada della libertà". Di chi è la voce? Del leader? Della comunità? O la voce del leader è essa stessa la voce della comunità? Scritta da Paul Webb, l'opera seconda della regista quarantaduenne torna ai fatti che, nella primavera del 1965, portano al Voting Rights Act, con cui Lyndon B. Johnson proibisce ogni discriminazione razziale nelle leggi elettorali dei singoli Stati. Dopo lunghe esitazioni, il presidente degli Usa è stato indotto al provvedimento dallo sdegno degli americani che, in televisione, hanno visto la polizia infierire sui manifestanti in marcia da Selma a Montgomery, in Alabama. A guidarli fisicamente non c'è ancora Martin Luther King, che è già il loro leader. I fatti di quel 7 marzo, una domenica, sono il risultato di una sua scelta consapevole: sfidare il razzismo profondo e il segregazionismo della piccola città di Selma, provocarne la reazione e poi rispondere solo con una resistenza nonviolenta. Raccontando il suo King, DuVernay sceglie di intrecciarne la strategia e la vicenda privata, la prospettiva politica e le paure - la moglie e i figli vengono di continuo minacciati di morte -, la forza etica e la debolezza umana. È un capo, il premio Nobel per la pace, ma è anche un uomo, con i timori di ogni uomo. Sa tener testa a Johnson, sa opporsi al governatore George Wallace, ma non sempre sa ascoltare chi, tra i militanti, non ne condivide le scelte. Decide di esporre i suoi alla violenza, ma più d'una volta dubita di averne il diritto. Insomma, la sua voce non è sicura e netta come vuole la mitologia del capopopolo e del leader. Ed è qui, alla fine, la sua grandezza. Emerge limpida l'11 marzo, questa grandezza. Una seconda volta in marcia da Selma a Montgomery, una folla di uomini e di donne si trova di nuovo la strada sbarrata dalla polizia, pronta a caricare. Alla testa del corteo ora c'è King. L'occhio televisivo degli americani gli sta addosso. Dunque, converrebbe proseguire, lucrando poi i vantaggi di altro sangue. Ma il capo si ferma, e ferma il corteo. Tra la causa e le vite dei suoi, la sua responsabilità decide per le vite. Da lì a due settimane la marcia ripartirà. Ora, però, King sceglie il silenzio, e in quel silenzio la sua voce incontra la voce del suo popolo. Roberto Escobar L’Espresso 12 Febbraio 2015 Segmento di biografia del reverendo Martin Luther King, rievoca i mesi del 1965 (mancano tre anni all’assassinio) che videro svilupparsi nell’Alabama ferocemente segregazionista un imponente movimento per l’effettivo diritto al voto degli afroamericani, trattati come cittadini di serie B con la subdola complicità dei massimi livelli. Pieno di spunti. La figura del presidente Johnson più complessa e “progressista” di quanto abbia voluto la vulgata. La differenza tra King e la sua non violenza con altre espressioni della protesta nera e altri leader come Malcolm X, che cadrà vittima del fanatismo prima di lui. La tempra squisitamente politica di King, tenace nel perseguire gli obiettivi ma pronto al compromesso laddove lo ritiene giusto. Qualche retroscena privato ma senza strafare. Disseminato di informazioni preziose che ne esaltano l’interesse (incredibile che nell’America anni 60 sopravvivesse tanta barbarie) ma, per scelta di stile, ne comprimono le potenzialità emotive. Paolo D’Agostini La Repubblica 12 Febbraio 2015 Mancava un grande film su Martin Luther King. 'Selma' lo è anche se ha il leggero difetto di essere fin troppo corretto e patinato. Esiste ormai un cinema 'obamiano' sul recupero delle loro battaglie. Pellicola gemella di 'The Butler', dove Oyelowo era il figlio problematico del maggiordomo della Casa Bianca Forest Whitaker. Qui è un Martin Luther King eccellente. Francesco Alò Il Messaggero 12 Febbraio 2015 La regista DuVemay non si abbandona del tutto alla retorica del nobile evento, raggiungendo uno standard accettabile d'impegno, accuratezza d'ambientazioni e livello di recitazioni; peccato, però, che i dettagli veristici, l'incrocio dei giochi di potere tra i politici e i travagli privati dei protagonisti comuni si susseguano diligentemente, ma senza particolari picchi d'emozione che non siano quelli canonici promossi dai duelli buoni-contro-cattivi. L'incarnazione dell'inglese Oyelowo nel tormentato reverendo è di tutto rispetto, ma in questo frangente succede che gli spezzoni documentaristici, pur debitamente inseriti, finiscono col penalizzare lui e altri protagonisti a causa dell'inevitabile prevalere della realtà sulla fiction, quando quest'ultima è ordinaria. Valerio Caprara Il Mattino 19 Febbraio 2015 Dopo Malcolm X (Spike Lee, 1992) e Medgar Evers (Ghost of Mississipi di Rob Reiner, 1965), Hollywood recupera un’altra figura centrale nel movimento dei diritti degli afroamericani, Martin Luther King, probabilmente il più carismatico dei tre. Selma non è solo il primo biopic dedicato, ma anche uno dei rarissimi casi in cui il genere non scivola sulla buccia di banana dell’agiografia. MLK resta un meraviglioso fuoriclasse della parola e delle libertà, ma la santità è altra cosa, pizzicato com’è sulle virtù domestiche (amava la moglie, ma non disprezzava le altre donne) e sull’opportunismo politico. Se a questo aggiungiamo la performance tirata e penetrante di David Oyelowo, ecco che abbiamo un ritratto vivo, credibile e assai empatico di King. Ma Selma non si ferma a lui. Il punto di forza del film di Ava DuVernay è la sua potenza centrifuga, la tensione del discorso verso i bordi, in un moto a diaframma che va dal singolo all’insieme, dall’eroe al duellante (il Lyndon Johnson chiaroscurale di Tom Wilkinson), dal protagonista all’antagonista (l’odioso George