Localismi e nuovi sviluppi rurali

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Localismi e nuovi sviluppi rurali
Localismi e nuovi sviluppi rurali
Elina CAROLI (cultrice della materia presso la cattedra di Sociologia dell'ambiente e del territorio
(Prof.ssa Luciana Bozzo) della Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari)
[email protected]
sessione tematica : ricerca
In epoca di globalizzazione, il rapporto tra città e campagna si può leggere a partire dal successo
dei movimenti identitari e dalla riscoperta e valorizzazione del locale in ogni sua forma. Mentre da
più parti si paventa l’uniformazione culturale, proliferano i prodotti locali, non ultime le identità
stesse. Nuovi stili di vita e nuove forme di turismo ne decretano il successo. Alla base di questi
processi sta forse la ricerca, tutta urbana e postmoderna, di un tempo più lento, di una vita più
autentica, di sapori più genuini, di elementi tradizionalmente legati ai piccoli centri e alla
campagna. Questo ritorno è da osservare in tutta la sua complessità, rappresentando una
possibilità di sopravvivenza locale e sviluppo alternativo, diffuso a livello globale, ma anche forse,
in ultima analisi, l’ennesimo piegare il territorio alle logiche dominanti. Questo articolo analizza il
caso del Salento in Puglia, inserendolo in un contesto più vasto.
Rinascimento locale
Nel suo libro del 1967 su un piccolo comune bretone del Finistère e la sua metamorfosi in chiave
moderna, Edgar Morin constatava l’arrivo di « questa nuova tappa del moderno in cui ci si rivolgerà
verso il passato perché è morto, verso le radici perché sono minacciate, verso l’identità perché si fa
incerta, e noi forse sentiamo già qui i primi effluvi di questo neo-arcaismo che è il neo-moderno »1.
Quarant’anni più tardi, la tendenza è confermata ed assistiamo, come afferma l’antropologo francese
Jean-Loup Amselle, all’ « irruzione della società di conservazione »2. La minaccia, avvertita a livello
planetario, è quella dell’omogeneizzazione culturale, eppure, nonostante identità, culture, lingue,
tradizioni siano pensate attraverso metafore di tipo biologico come specie in via d’estinzione, il
numero di quelle riconosciute, protette, valorizzate, grazie anche all’attività di organizzazioni
internazionali, non fa che aumentare. Oggi, « all’enunciato di leggi universali si sostituisce
l’affermazione di specificità culturali »3. In questi decenni, il processo preconizzato da Morin si è
1
Edgar Morin, Commune en France. La métamorphose de Plozévet, Fayard, Paris, 1967, pp.335-336. Mia la
traduzione, come nel resto del testo.
2
Jean-Loup Amselle, L’art de la friche. Essai sur l’art africain contemporain, Flammarion, Paris, 2005, p. 13.
3
Jean-Loup Amselle, L’Occident décroché. Enquête sur les postcolonialismes, Stock, Paris, 2008, p. 272.
1
radicalizzato e sempre più forte si è sentita incombere la minaccia, benché il suo potere fosse più
apparente che reale e, soprattutto, i suoi effetti controintuitivi. Di fronte allo spettro
dell’omogeneizzazione culturale, dell’occidentalizzazione del mondo, della sua mcdonaldizzazione o
anche a dispetto delle supposte « invasioni barbariche » di immigrati che invece che acculturarsi,
annacquerebbero le identità autoctone, il locale risorge, a livello globale, in tutti i suoi aspetti e si
organizza in cittadelle che, anche qualora comunichino multiculturalmente, come si dice, lo fanno da
dentro le loro mura. Per farsi un’idea di questi successi del locale, basti pensare al caso delle lingue
minoritarie e regionali in Europa4 o alle politiche dell’Unesco di salvaguardia e valorizzazione del
patrimonio culturale immateriale, senza citare la nascita di varie leghe e l’affermarsi di movimenti
secessionisti. Anche il successo del turismo culturale e dell’etnoturismo, alla ricerca di culture
« autentiche », si fonda d’altronde su questo timore generalizzato che « suscita l’urgenza di andare a
vedere e raccogliere ciò che il mondo globalizzato di domani non ci permetterà più di vedere »5.
Dovunque, mondialmente, si assiste a rinascite e renaissances locali del tutto assimilabili nelle
loro parabole : da un periodo di declino, oblio, ostilità esterne – dovute spesso, in passato, a politiche
accentratrici – e rinnegazioni interne si è passati negli ultimi decenni alla riscoperta, alla
valorizzazione e alla promozione degli elementi più minuti e squisitamente locali : ciò ha segnato,
per tornare sui luoghi della nostra prima citazione, un certo successo della regione bretone. Altri
esempi possono essere trovati ovunque : nell’estate 2007, in Francia, il Courrier international uscì
con un numero speciale dedicato ai popoli amerindiani, emblematicamente intitolato « Fieri di
essere indiani. Politica, identità, cultura ». Anche in questo caso, i resoconti mostrano come, mezzo
secolo fa, questi popoli stessero per essere culturalmente, economicamente e politicamente assimilati
e si immaginasse che sarebbero presto totalmente scomparsi, dato che le loro lingue non erano più
parlate, le loro tradizioni erano dimenticate ed essi stessi erano dunque vittime di un vero e proprio
genocidio culturale. Oggi, invece, vincono delle importanti battaglie politiche e affermano le loro
identità etniche ; le loro lingue sono insegnate a scuola e perfino all’università e le loro musiche
rivivono. Alla fine di questo excursus, gli autori del dossier parlano di rinascimento, fierezza in
vetrina, etnoturismo e boom economico. Mutatis mutandis e tornando a luoghi più familiari, il
cosiddetto “rinascimento” pugliese, di cui si parla in campo culturale, musicale, enogastronomico,
cinematografico e turistico, è un altro esempio paradigmatico di queste tendenze : al suo interno, si
distingue il caso di un altro finis terrae, quello salentino.
4
Vd. Cécile Canut, Diiana Bodourova et Elina Caroli, Langues à l’encan. Une nuovelle Europe des langues?, Michel
Houdiard Editeur, Paris, 2009.
5
Anne Doquet, « Dans les coulisses de l’authenticité africaine », Les Temps Modernes, 2002, 620-621, pp. 115-116.
2
L’alternativa meridiana6
Il successo proteiforme che conosce ultimamente il Salento deve essere letto, per essere capito
appieno, all’interno di un quadro che comprenda l’affermarsi nella regione di un neo-meridionalismo
che, in alcuni casi, assume i tratti di un sud-alternismo, secondo la recente formula di Amselle7.
Questo è sicuramente il caso del pensiero meridiano del sociologo barese Franco Cassano che, a
partire dal 1996, anno di pubblicazione del suo libro omonimo, ha riacceso il dibattito locale intorno
alla questione meridionale, finendo per inserirla, tuttavia, nel contesto delle critiche alla
globalizzazione e al dominio dell’Ovest e/o del Nord (ciò che Danilo Zolo chiama “universalismo
atlantico”8). Il pensiero sul Sud di Cassano nasce così, inizialmente, dalla critica al
“turbocapitalismo” unidimensionale che si sviluppa al centro del sistema, chiamato anche “impero” 9
: la corsa a cui si sarebbe obbligati, sarebbe per il sociologo, all’origine delle patologie del Sud
d’Italia così come dei Sud del mondo. Negli stessi termini, proprio in quello storico 1989 che
avrebbe ridato speranze e centralità al Sud d’Italia in un Mediterraneo post-muro, Serge Latouche
criticava dalla Francia l’occidentalizzazione del mondo e l’omologazione planetaria :
l’industrializzazione sarebbe la via reale imboccata universalmente e a qualunque costo, secondo un
“mimetismo tecnologico” fabbricatore di “cattedrali nel deserto”, seguendo il falso mito del ritardo
come “male incurabile” e ossessione che spingerebbe i cosiddetti sottosviluppati a lanciarsi in una
corsa infinita o la cui fine viene posticipata man mano che si avanza verso il traguardo10.
Una volta compreso che è inutile partecipare laddove regole e vincitori li dettano sempre gli altri
e dove si diventa poveri naufraghi11 prostituiti del sistema, la modernità alternativa che invoca
Cassano – e che ha, tra l’altro, non pochi punti in comune con quella descritta dal subalternista
6
Per un’analisi più dettagliata e approfondita della situazione salentina e delle politiche identitarie, di marketing
territoriale e di patrimonializzazione che sono state sviluppate a partire dalla Grecìa salentina e dal 1996, rimando alla
mia tesi di dottorato, sostenuta il 18 aprile 2008 all’EHESS di Parigi, dal titolo: “L’alternative méridienne. La
construction du griko et de la pizzica comme éléments d’une culture du Mezzogiorno”. Vd., inoltre, Elina Caroli,
« Entre renaissance culturelle et persistance de la question méridionale », Articulo - revue de sciences humaines [En
ligne],
4|
2008,
mis
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ligne
le
04
octobre
2008,
consulté
le
31
décembre
2009.
URL :
http://articulo.revues.org/index759.html.
7
Jean-Loup Amselle, L’Occident…, op. cit., pp.232-233.
8
Cf. Franco Cassano, Danilo Zolo (a cura di), L’alternativa mediterranea, Feltrinelli, Milano, 2007.
9
Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996, p.5.
10
Serge Latouche, L’Occidentalisation du monde. Essai sur la signification, la portée et les limites de l’uniformisation
planétaire, Editions La Découverte, Paris, 1989, p.73, p.80 e p.82.
11
Ecco un altro termine comune ai due intellettuali. Cf. Serge Latouche, La planète des naufragés. Essai sur l’après-
développement, Editions La Découverte, Paris, 1991.
3
indiano Partha Chatterjee in un lecture tour in Africa nello stesso 199612 - non solo si oppone alla
fallita industrializzazione forzata dei giardini delle Esperidi, ma invoca il valore delle tradizioni e
dei legami sociali, elogia la lentezza e, soprattutto, invita a “riguardare i luoghi”(in una formula
semanticamente due volte valida) di un Sud che deve diventare soggetto autonomo del pensiero. La
necessità dell’autonomia è, infine, un altro tema fondamentale classico del meridionalismo che
Cassano riprende nel suo Homo civicus del 200413 contro l’idea di una passività ontologica imputata
al Sud dai suoi detrattori. Già nel 1955, infatti, Carlo Levi legava il nuovo meridionalismo –
incarnato, secondo lui, in quegli anni, dal movimento contadino che si affacciava per la prima volta
da protagonista sulla scena nazionale– alla fiducia nel mondo contadino, nella sua autonomia e nella
sua capacità di sviluppo14.
Il mercato mondiale delle identità
Quello di Cassano è un pensiero che, fino alle sue più recenti formulazioni15, rimane
essenzialmente teorico. Eppure, al di là del momento analitico, questo pensiero ha creato un
fermento che, uscito dagli atenei e entrato nei palazzi della politica fino a replicarsi nei discorsi
pubblici di operatori culturali, assessori, sindaci e finanche registi e musicisti, ha portato al
passaggio, nel Salento, “dal pensiero all’azione meridiana”16. Nella provincia di Lecce, è stato
perfino suggerito che il libro del 1996 di Cassano fosse utilizzato dagli assessori alla cultura come
una sorta di manuale17.
Epicentro di quella che è stata definita come una vera “rivoluzione territoriale”18 è stata la Grecìa
salentina: associazione di nove piccoli comuni della provincia di Lecce nel 1996; consorzio nel 1998
ed, infine, nel 2001, unione, arrivata, non senza ambiguità e polemiche, a quota undici comuni19.
12
Vd. http://www.sephis.org/pdf/partha1.pdf (sito visitato il 30 dicembre 2009)
13
Franco Cassano, Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo, Bari, 2004.
14
Cf. la prefazione di Carlo Levi alla prima edizione de L’uva puttanella di Rocco Scotellaro, apparsa nel 1956 per i
tipi di Laterza (p.26).
15
Vd. Franco Cassano, Tre modi di vedere il Sud, Il Mulino, Bologna, 2009.
16
Giovanni Pizza, « Lettera a Sergio Torsello e Vincenzo Santoro sopra il tarantismo, l’antropologia e le politiche della
cultura », in Vincenzo Santoro e Sergio Torsello (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del
Salento, Edizioni Aramirè, Lecce, 2002, p.46.
17
Vincenzo Santoro e Sergio Torsello (a cura di), op. cit., p.46.
18
Gino L. Di Mitri, « Fieri, perduti, reinventati o della retorica identitaria », Melissi, 12-13, 2006-2007, p.28.
19
La popolazione dei comuni varia dalle quasi duemila unità di Martignano, ai quasi diecimila abitanti di Martano o di
Cutrofiano. Vd., per ulteriori dati sulla Grecìa, il sito ufficiale: http://www.greciasalentina.org/L_Html/unione.php .
4
Come raccontano i suoi protagonisti, ovvero i sindaci dei piccoli centri, tutti compresi tra Lecce e
Maglie, “nel cuore del Salento”, secondo la promozione che ne viene fatta, e dunque nel triangolo
immaginario che lega il capoluogo di provincia a Otranto e Gallipoli (non a caso, tre dei poli
principali, insieme a Ugento, di attrazione del turismo salentino), l’obiettivo comune era superare i
campanilismi e puntare sulle risorse locali per ottenere uno sviluppo alternativo e, più in particolare,
attirare i flussi turistici dalle coste verso l’interno, aiutando così la provincia intera a
destagionalizzare la sua offerta. Nel corso di questo quindicennio, la Grecìa ha vinto la sfida, se è
vero che è ormai annoverata tra i principali temi del turismo nel Salento, a fianco, per esempio, del
rinomato barocco20.
« La sola materia prima di cui dispone l’area per uno sviluppo sociale, culturale, civile ma anche
economico »21 era, come affermava Manera, ex-sindaco di Sternatia ed ex-presidente dell’Unione, il
dialetto griko, assurto, grazie alla l.482/99, al rango di lingua. Le popolazioni dei comuni inclusi
nell'unione della Grecìa salentina, fanno oggi parte delle dodici minoranze linguistiche storiche
tutelate dallo stato italiano. Tuttavia, il griko, fin dall’inizio è stato più uno strumento per catalizzare
attenzione e fondi che un elemento realmente presente nella vita delle comunità, se non a livello
ideologico, e le operazioni sviluppatesi a questo riguardo hanno inevitabilmente creato dibattiti e
dissidi all’interno e fra gli stessi comuni. Non solo nei nove paesi iniziali il griko non era ugualmente
parlato (per quanto riguarda percentuali di locutori e varianti) e in alcuni non si parlava affatto da
secoli, ma, negli ultimi anni, altri due paesi, tra cui Cutrofiano che è tradizionalmente considerato
non di area grika, sono entrati nell’Unione.
Dopo secoli, invariabilmente descritti nelle pubblicazioni sul griko, di riduzione continua
dell’area di effettiva diffusione della lingua, la cui origine, tra l’altro, resta controversa, si assiste
oggi a un’espansione che però nulla ha a che vedere con la reale presenza del griko, nonostante
questo sia professato. L’inclusione dei comuni nell’unione amministrativa è, invece, frutto di un
volontarismo politico eretto su delle basi d’ordine economico. Se si considerano le effettive pratiche
linguistiche della comunità, ci si rende conto che pochissimi sono i locutori e che questi ultimi
comunque compiono un’alternanza di codice in cui, anche quando non si usi l’italiano, è preferito di
gran lunga il dialetto salentino. Anche tra gli insegnanti nelle scuole e tra gli stessi uomini politici
20
Vd. le pubblicazioni curate dall’Associazione Mecenate90 per la Provincia di Lecce : Piano per lo sviluppo del
sistema turistico-culturale della Provincia di Lecce. Rapporto finale.Analisi di scenario. Volume I e Strategie e aree
prioritarie di intervento. Volume II (2002); I distretti turistico-culturali : un nuovo modello di sviluppo economico
locale per la provincia di Lecce. Rapporto finale (2003).
21
Massimo Manera, «Dalla polis greca all’area metropolitana. Storia e problemi di un processo evolutivo», in Atti del
convegno-seminario Armonizzare Babele. Lingue e culture minoritarie per costruire la nuovs Europa, 21-23 giugno
2001, Corigliano d’Otranto, Editrice Salentina, Galatina, 2001, p. 108.
5
promotori è diffusa la consapevolezza che l’insegnamento del griko alle nuove generazioni non
porterà mai a un vero riutilizzo nella vita quotidiana22. Come diceva Manera, il griko è un mezzo per
comunicare con le proprie radici; in altri termini, più che la lingua materna degli abitanti di questi
comuni, sarebbe da considerare una lingua di lignaggio23 che può anche essere l’opposto della
prima: può succedere infatti che a scuola si insegni una “lingua materna” che i genitori degli allievi
non conoscono affatto. Aggiungiamo, infine, che il griko oggi è una lingua “a pezzi”, inadeguata,
anche solo lessicalmente, a esprimere la vita quotidiana nella sua interezza e complessità. Ecco
perché, anche chi si definisce esperto di griko vede come un’impresa sisifea la traduzione in griko
degli atti ufficiali, pur prevista dalla l.482/99. Eppure, i sindaci della Grecìa hanno affermato che nei
loro comuni il griko era parlato: ecco perché il sindaco Fiore di Corigliano d’Otranto sosteneva che,
non essendo più l’effettivo uso di una stessa lingua, quella grika, a unire i paesi della Grecìa
istituzionale, il trait d’union era invece da trovare nell’accettazione condivisa del « dovere
istituzionale di recuperare questa lingua »24. La Grecìa salentina è, in fin dei conti, il risultato di un
progetto politico di marketing territoriale i cui protagonisti però si trovano adesso di fronte al
difficile compito di rendere la realtà conforme alle loro dichiarazioni ufficiali sullo stato linguistico
delle comunità interessate; altrimenti, come affermava ancora Fiore, « avremo dichiarato il falso »25.
Ciononostante, l’operazione griko si è dimostrata estremamente redditizia: direttamente,
attraverso fondi e finanziamenti pubblici, e indirettamente, grazie anche all’appeal turistico
dell’identità grika, per mezzo della quale la Grecìa ha saputo differenziarsi dal resto del territorio.
Questo è vero anche quando la diversità si fa similitudine se non totale identità, come nel caso del
rapporto con i Greci, estasiati dal ritrovare dei “fratelli”, “monumenti viventi” della grecità, al di là
del mare. Intervistato in un documentario trasmesso a più riprese dal terzo canale dell’emittenza
pubblica greca, un abitante della Grecìa afferma : “Emì den imasta Greci ma i veri Greci!” (“Noi non
siamo greci ma i veri greci!”)26. L’esito di questo connubio tra esaltazione di alcuni abitanti della
Grecìa (soprattutto i più anziani, che acquistano anche nuovo prestigio all’interno delle comunità in
quanto locutori), comunicazione pubblica di politici ed operatori culturali, spesso più attenti al
risvolto economico della faccenda, e “fondamentalismo (o sentimentalismo) delle radici” greco può
essere esemplificato dalla presentazione che fa degli abitanti dell’unione amministrativa dei comuni
22
Comunicazioni personali. Anno scolastico 2003-2004.
23
Cf. Patrick Sériot, « Diglossie, bilinguisme ou mélange de langues : le cas du surzyk en Ukraine », La linguistique,
vol. 41, fasc.2/2005, p.39.
24
Vd. l’intervento di Salvatore Fiore in Atti del convegno-seminario Armonizzare Babele, op. cit., p. 18.
25
ibid.
26
Si tratta del documentario di G. Logothetis “Viaggio nella Magna Grecia”, prodotto nel 1997 per il canale greco ET3,
più volte riproposto, specialmente durante i mesi estivi, in questi ultimi anni.
6
della Grecìa, il sito ufficiale di promozione turistica della regione Puglia in cui ci si riferisce a questi
ultimi in quanto “etnia grico-salentina”27.
A parte i viaggiatori28, richiamati nel Salento alla scoperta, tra l’altro, di “nuove etnie antiche”,
questi stessi luoghi pullulano anche, soprattutto in estate, di migliaia di giovani festanti. Oltre al
griko, infatti, un altro patrimonio salentino rivalorizzato per lo sviluppo alternativo della Grecìa e del
Salento, è stato quello legato al fenomeno del tarantismo29, rivisitato e rivissuto in chiave positiva ed
edonistica come « una grande festa di suoni e di genti che non ha nulla a che vedere con il rituale del
tarantismo »30: ad affermarlo, recentemente, reagendo sicuramente alle critiche che da più parti sono
mosse alla Notte della taranta, festival di cui il sindaco di Melpignano si dice padrino, è lo stesso
Sergio Blasi. Eppure il suo comune, a seguito del successo crescente del concertone che chiude il
festival, è ormai identificato con il “regno della taranta” e largamente si è attinto alla tradizione,
soprattutto demartiniana, del tarantismo. Tant’è che ormai si assiste ad un diffuso uso del termine
“taranta” al posto di “pizzica” per indicare il genere musicale e coreutico. Ciò che è vero,
nell’affermazione di Blasi, consiste nell’aver svuotato questa tradizione di ciò che era privazione,
povertà e dolore e nell’averla resa un simbolo identitario positivo per l’intera comunità.
Come per il griko, un tempo considerato un “greco bastardo”, di cui era vietato l’uso a scuola,
anche con la pizzica tarantata si è passati dalla vergogna dei balli nei bassi delle famiglie delle
tarantate - o fuori dalla piccola cappella di San Paolo a Galatina, all’orgoglio dei giovani, ballerini e
musicisti delle lunghe notti salentine. Come per le operazioni riguardanti il griko, le critiche non
mancano : soprattutto, nei due casi, si sottolinea che esperienze di oggi e gli oggetti patrimonializzati
non hanno niente in comune con le pratiche del passato. Forse, aveva ragione Morin quando
affermava che « è perché il passato è morto che esso resuscita esteticamente »31. Dal palco
dell’edizione 2004 del concertone di Melpignano, Giovanni Lindo Ferretti esortava i salentini a non
vendere la loro identità per un piatto di lenticchie: ora, non sappiamo cosa rappresenti per Ferretti un
27
http://www.viaggiareinpuglia.it/aj/2/it
28
In alcune pubblicazioni locali, viene riproposta la dicotomia, di cui non si sottolineerà mai abbastanza l’origine
discorsiva e i fini distintivi, tra l’esperienza colta dei viaggiatori e quella volgare dei turisti. Cf. AA.VV., Salento
d’autore. Guida ai piaceri intellettuali del territorio, Manni, Lecce, 2004.
29
Anche in questo caso, non potendoci soffermare su questo aspetto, vd. Elina Caroli, « “La tarentule est vivante, elle
n’est pas morte”. Musique, tradition, antropologie et tourisme dans le Salento (Pouilles, Italie) », Cahiers d’études
africaines, 193-194 (“Tourismes. La quête de soi par la pratique des autres”), 2009, pp.257-284.
30
Vd. Sergio Blasi, « Dalla festa la sfida del nuovo Sud », in Dario Quarta (a cura di), La Notte della Taranta 1998-
2007. Breve storia per testi e immagini dei dieci anni che hanno “rivoluzionato” la musica popolare salentina, Guitar
edizioni, Lecce, 2007, pp.3-5. Vd. anche http://www.lanottedellataranta.it/decennale.php.
31
Edgar Morin, op. cit., p.334.
7
piatto di lenticchie, ma è pur vero che le operazioni di marketing territoriale e identitario hanno
fruttato alla Grecìa e al Salento ben più che un piatto di lenticchie. Non a tutti, è ovvio. Ma si tratta
di un’ammissione esplicita di molti dei protagonisti; Blasi, in primis, che cita sempre Cassano per
spiegare le politiche di rivalorizzazione di un territorio povero, secondo l’economia classica, e che
afferma che il Salento ha saputo ricollocarsi negli orizzonti rinnovati della contemporaneità, dopo
anni di dipendenza al rimorchio del continente32. Blasi sa benissimo che quella creata a partire da
elementi selezionati e promossa nella Grecìa è “un’identità per vivere e per vendere”33. Per vivere e
sopravvivere, facendo diventare redditizio ciò che altrimenti deperirebbe, di fronte al rischio di
scomparire, risucchiati dall’omologazione culturale o soggiogati dall’economismo secondo le cui
regole il Salento sarebbe fuori competizione.
E’ in ciò che il caso salentino non si discosta da altri movimenti che, dovunque nel mondo,
spingono le popolazioni locali a una nuovo orgoglio e ad una nuova opportunità di rinascita
investendo sul territorio, a partire da un rapporto e un uso diverso delle tradizioni e del passato
(recuperati, però, reificandoli, essenzializzandoli e estetizzandoli, com’è evidente nel caso
dell’etnicizzazione delle comunità grike o nella riproposizione folklorica dell’esorcismo coreuticomusicale descritto da de Martino34). E’ per questo che possiamo includere gli abitanti dei comuni
griki e salentini in quello che Amselle chiama “forum mondiale delle identità” o, meglio, “mercato
mondiale delle identità”35.
Ne Il pensiero meridiano, Cassano affermava che la modernizzazione al Sud è avvenuta
trasformando qualsiasi cosa in prodotto; le critiche rivolte alla patrimonializzazione del tarantismo,
però, vertono proprio essenzialmente sull’averlo fatto diventare una merce tra altre. Come se tutti i
tentativi di emanciparsi dal sistema neoliberale non portassero che ad esservi di nuovo inglobati. E’
il prezzo del successo, per tutti questi movimenti ma è anche, non bisogna dimenticarlo, la
condizione materiale della loro sopravvivenza. In altre parole, si crea un’industria non
delocalizzabile puntando sull’unicità e la diversità dei tratti identitari locali36. A questo proposito,
32
Vd. Vincenzo Camerino, Nelle utopie del Sud e del cinema. La vita, le passioni, le speranze, Libreria Icaro Editore,
Lecce, 2005, p.118.
33
Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, op. cit., p.184.
34
Ernesto de Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano, 1961.
35
Jean-Loup Amselle, Branchements. Anthropologie de l’universalité des cultures, Flammarion, Paris, 2001, pp.24-25.
36
Un caso estremo di questa strategia è quello delle De.Co. (Denominazioni Comunali), concepite come ulteriori armi
di protezione dei prodotti locali: le De.Co. non sono marchi di qualità bensì semplici certificazioni d’origine che
collegano indissolubilmente un prodotto al suo territorio d’origine. Nel Salento, Specchia, che fa inoltre parte del club
“I borghi più belli d’Italia”, protegge in questo modo il suo olio d’oliva e una trentina di erbe officinali. Vd. Roberto De
8
consideriamo inoltre che, come ricorda Robert E. Wood, il turismo è la principale industria a livello
globale. Sviluppandosi, la diversificazione del suo prodotto si è accentuata. Così, quello del turismo
culturale o etnico è diventato un segmento del mercato sempre più importante37. In conclusione,
potremmo affermare che la modernità alternativa ricercata nel Salento attraverso la rivitalizzazione
delle tradizioni, sulla scorta delle teorizzazioni di Cassano, non è tanto alternativa quanto si potrebbe
credere, dato che il processo resta all’interno della mercificazione che vorrebbe combattere o,
comunque, ne produce altra38.
Questo dunque l’aspetto criticabile. Ciò che è positivo è che oggi, comunque, un certo marketing
identitario può essere lo strumento per riscoprire le culture e le tradizioni locali e può permettere alle
comunità locali di riconsiderare in modo positivo la loro storia, ribaltando lo stigma a cui erano
soggette in passato. Inoltre, come è stato notato a proposito del rapportarsi di una società alla sua
cultura tradizionale, « il modo di mantenere i suoi membri interessati alla perpetuazione della loro
cultura è di implicare i giovani nel marketing della cultura, in particolare sotto forma di spettacoli
turistici, attraverso la musica, le loro danze, la loro cucina (…). Ciò permette ai giovani di avere
delle entrate e perciò la capacità di partecipare al mercato globale più largo »39.
La riscoperta del territorio, tra immagine e realtà
Un esempio emblematico di quanto appena detto è senza dubbio quello della società di
Corigliano d’Otranto Kalòs irtate (dall’espressione grika « benvenuti »), fondata nel 2002 da cinque
giovani del piccolo comune griko che decisero di investire sul territorio e sul « cuore » : il cuore del
paese, con l’organizzazione dell’ospitalità in un albergo diffuso ; il cuore del territorio, con visite e
percorsi culturali alla scoperta di una terra che da « terra bruciata » da cui i giovani devono emigrare
Donno, De.Co. Denominazioni Comunali. Sviluppo locale e strumenti di marketing territoriale, Veronelli Editore,
Treviolo (Bg), 2008.
37
Robert E. Wood, « Tourism and the State: Ethnic Options and Constructions of Otherness », in Michel Picard, Robert
E. Wood (éds), Tourism, Ethnicity, and the State in Asian and Pacific Societies, Honolulu: University of Hawaii Press,
1997, p.1.
38
Il poeta-contadino di Calimera Cici Cafaro, intervistato nel documentario del 2006 di Carlo Pisanelli “Il sibilo lungo
della taranta”, dice che quando era piccolo c’erano le tarante mentre adesso il tarantismo è diventato un grande
divertimento perché le tarante non ci sono più ma sono diventate “merce saporita” da cui tirar profitto. Il simbolo
principale del tarantismo del passato, la taranta, è oggi utilizzato perfino sulle bottiglie di vino locale o diventa il fulcro
di spettacoli (come quello teatrale di degustazione di prodotti tipici dei cantieri Koreja di Lecce, “Il pasto della
tarantola”).
39
Firat citato in Picard et Wood, op. cit., p.viii.
9
alla volta di qualche città con più attrattiva, si fa « terra di speranze »40. Nella campagna tra Sternatia
e Martignano, un giovane imprenditore ha puntato egualmente sul territorio costruendo il Grikò
country hotel, dieci stanze dedicate ai paesi della Grecìa, con la vocazione di richiamare in ogni
dettaglio (dall’arredamento alla gastronomia) il territorio locale e di guidare gli ospiti alla scoperta
della natura e della cultura salentina41. Infine, molti abitanti dei piccoli e piccolissimi centri puntano
nel Salento sul B&B con l’auspicio che gli amministratori locali riescano nell’obiettivo prioritario di
destagionalizzare il turismo.
Il successo della musica salentina è un ottimo biglietto da visita per la regione, così come lo sono
le produzioni televisive e cinematografiche che sempre più spesso scelgono di girare in questi
luoghi42. Persino i piccoli treni locali delle sud-est sono stati « messi in patrimonio » grazie al ruolo
da veri protagonisti che hanno avuto nel docu-fiction Italian sud-est del 2003. Con un movimento
tipico del turismo, di riconversione di ciò che il progresso renderebbe obsoleto, i piccoli convogli
della sud-est che spesso fanno impazzire i pendolari a causa di ritardi, guasti e quant’altro, vengono
promossi in quanto mezzo privilegiato – perché lento – di disvelamento di un territorio
undiscovered.
Jean-Didier Urbain distingue, infatti, la storia industriale e tecnologica dei trasporti, funzionale e
selettiva, da quella turistica che è, al contrario, integrativa43, tant’è vero che oggi si parla di
“rinascimento ferroviario” (pensiamo ai casi celeberrimi dell’Orient Express o della Transiberiana o
al Trinighellu corso, motrice più un solo vagone, molto simile al caso salentino). Laddove
imperversano le “vite di corsa”44 di Bauman, il successo dei treni è in primo luogo imputabile alla «
loro lentezza in un’epoca consacrata alla velocità »45. D’altronde, « poco importa ai turisti di essere
puntuali »46 se, con lentezza, scoprono paesaggi segreti e pittoreschi o borghi dimenticati e magici,
40
Vd. http://www.kalosirtate.it/chisiamo/index.html .
41
http://www.hotelgriko.it/home.html .
42
Un caso televisivo nazionale fu quello della fiction Mediaset Il giudice Mastrangelo. Ricordiamo che recentemente la
Puglia si è dotata di una film commission il cui slogan è : « La Puglia è tutta da girare », da filmare, quindi, ma anche da
visitare. A questo proposito, si veda la pubblicazione sul cinema in Puglia che propone dieci itinerari turistici sui luoghi
di realizzazione di celebri film : AA.VV., Effetto Puglia. Guida cineturistica a una regione tutta da girare, Laterza,
Bari, 2009.
43
Jean-Didier Urbain, L’idiot du voyage. Histoires de touristes, Payot & Rivages, Paris, 1993, p. 135.
44
Vd. Zygmunt Bauman, Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, Il Mulino, Bologna, 2008.
45
Vd. l’editoriale del numero speciale della rivista francese di viaggi e turismo Ulysse, consacrato ai treni come mezzo
privilegiato di scoperta del territorio e come oggetto turistico in sé (n. 111H octobre 2006).
46
C. Marcelin, « Le tortillard préféré des Corses », Ulysse, n. 111H, octobre 2006, pp. 49-51.
10
da dietro i finestrini di treni che sono essi stessi, come i luoghi che attraversano, « una sopravvivenza
di altri tempi e altri ritmi », come afferma Goffredo Fofi riguardo i treni delle sud-est47.
La lentezza, un ritmo diverso che permetta percezioni e conoscenze differenti rispetto a quelle
possibili abitualmente, in contesti urbani, la magia di luoghi promossi come al di là del tempo e
arcaici (si pensi alle descrizioni estetizzanti del Salento magico e sensuale dei film di Edoardo
Winspeare o anche, per esempio, al penchant arcaicizzante, dominato dalla magia, di L’anima
gemella di Sergio Rubini) attirano. D’altronde, anche la pizzica è spesso esaltata nella sua presunta
origine dionisiaca e nelle sue capacità liberatorie per il soggetto danzante. Sic et simpliciter, al di là
delle sfrenatezze dei balli in piazza, spesso è una dimensione più autentica che si cerca in questi
luoghi, lontani dalla vita frenetica urbana. Tant’è vero che, nelle stesse metropoli, diventa un
imperativo ricercare condizioni favorevoli alla lentezza, come nel caso dei quartieri lenti à la
Shiodome nel cuore di Tokio e degli edifici concepiti esplicitamente per far rallentare gli abitanti
delle città giapponesi48.
Ciò spiega inoltre il successo del Salento ed in generale di altri luoghi pugliesi, come la Valle
d’Itria, tra gli stranieri che vi acquistano anche, sempre più spesso, delle residenze secondarie. Che
la Puglia sia assurta ad una dimensione internazionale lo dimostra, per esempio, l’uscita, nell’estate
2008 in Francia, di un numero della rivista Ulysse la cui copertina era dedicata alla Puglia, « l’Italie
sécrète », « "finis terrae" italiano, sorta d’ultima frontiera ancora poco attraversata dai turisti »49. La
regione è presentata come undiscovered eppure il ricco dossier di Ulysse, in otto articoli, è la prova
irrefutabile di un meccanismo già in moto.
I commentatori locali si dilungano nel descrivere, lusingati, l’acquisto di una masseria del XVI
secolo, nella campagna di Tricase, da parte dell’attrice inglese premio Oscar, Helen Mirren. La
regina si dice « incantata » dal Salento che le avrebbe fatto scoprire una dimensione più autentica
della vita50. Sulla stessa pagina del quotidiano che dava notizia dell’innamoramento della Mirren, un
altro articolo riportava invece il caso dell’acquisto di un trullo abbandonato nella campagna di
Ostuni da parte di Raz Degan. Il modello e attore di origine israeliana si diceva similmente incantato
da questa « terra magica », la Puglia, una regione dove, a suo giudizio, il tempo scorre ancora con un
ritmo differente, grazie al quale egli aveva potuto ritrovare l’essenza della sua mediterraneità51.
47
Fluid Video Crew, Marco Saura, Caterina Tortosa, Italian Sud Est. Appunti di viaggio per un docu-western salentino,
Manni, Lecce, 2003, p. 12.
48
Carl Honoré, Eloge de la lenteur, Marabout, Hachette Livres, 2005, pp.97-98.
49
Jean-Christophe Rampal, «Les Pouilles, dernier arrêt avant l’Orient», Ulysse, n° 125, 2008, p. 5.
50
Vd. Antonio Andrea Ciardo, « Un posto nel cuore del Salento per la “regina” Helen », La Gazzetta del Mezzogiorno,
30 marzo 2007, p. 25.
51
Vd. Osvaldo Scorrano, « Il mio trullo magico », La Gazzetta del Mezzogiorno, 30 mars 2007, p. 25.
11
Questi casi non sono certo isolati, rappresentando solo la punta di un iceberg, due casi visibili di
un reticolo invisibile di residenze spesso inimmaginabili. Oggi la Puglia segue la Toscana nella lista
delle regioni più desiderate dagli stranieri alla ricerca di seconde case da acquistare. La regione
sarebbe, anzi, divenuta già troppo cara, proprio come la Toscana o anche le Marche, segno evidente
che ormai il processo in queste regioni è compiuto e il successo fin troppo istituzionalizzato52.
Si dovrebbe riflettere sul fascino che il Salento, la Puglia ed il Sud in generale esercitano su
stranieri stregati dal pittoresco delle loro contrade, le stesse spesso cariche di problemi strutturali e
straordinari per i loro abitanti locali. Spesso, anche nell’entusiasmo delle élites locali che vedono
come un successo delle proprie politiche l’acquisto di ruderi sperduti da parte di stranieri molto
ricchi e un po’ folli, si nasconde una visione estetizzante della nostra terra che dimentica la
dimensione sociale e i problemi politici ed economici. Non a caso, siamo partiti da una questione
meridionale ancora aperta e che questo famoso « rinascimento » locale di cui tanto si parla, non
cancella, purtroppo.
« Di ritorno nei vecchi centri » o nelle campagne abbandonate dai loro abitanti, la comunità
mondiale dei gentrifiers che « sono di qui e di altrove »53 e la loro passione per queste terre non
possono rappresentare, da soli, una vera rinascita. Quando la gentrificazione si applica alla
campagna, bisogna ammettere, se si condivide il punto di vista di Jean-Didier Urbain che a questa
questione ha dedicato una monografia, che i residenti secondari, soprattutto se stranieri, si occupano
poco o per niente della vita locale, essendo « contemporaneamente dentro e fuori. Di qui e non di
qui »54.
Forse la domanda da porsi è : « chi gode di questo rinascimento ? ». E’ corretto definire
« rinascimento all’italiana » l’acquisto di un villaggio, abbandonato nel XIX secolo dagli abitanti
forzati ad emigrare, da parte di uno straniero per cinque milioni di euro, al fine di farne un albergo
diffuso, costruito all’insegna dell’autenticità e la salvaguardia delle buone vecchie cose d’altri tempi,
di cui però non beneficeranno che « turisti ad alto reddito », essendo « questo patrimonio
terribilmente romantico » diventato intoccabile55?
Un tempo, il poeta salentino Vittorio Bodini esprimeva tutto il paradosso di una terra nello stesso
tempo seducente e maledetta affermando perentoriamente : « Qui non vorrei morire dove vivere mi
52
Vd. Federica Brunini, « Febbre d’Abruzzo », L’Espresso, n° 34, a. LIII, 30 août 2007, pp. 152-154.
53
Jacques Donzelet, , «La ville à trois vitesses : relégation, périurbanisation, gentrification», Esprit, n° 303, mars-avril
2004, p.36.
54
Jean-Didier Urbain, Paradis verts. Désirs de campagne et passions résidentielles, Payot, Paris, 2002, p.47.
55
Cf. Emma Tassy, «Une renaissance à l’italienne», Ulysse, n° 123H, 2008, pp. 43-46.
12
tocca, mio paese, così sgradito da doverti amare »56. Rispondendo a quanti esaltino acriticamente
questo « rinascimento », ed il suo discorso è estensibile al ritorno a dimensioni piccole e locali
come reazione, difesa e vittoria contro le tendenze dominanti della contemporaneità, Goffredo Fofi
sostiene che il Salento è di moda e i Salentini ne gioiscono e non sembrano ancora rendersi conto
dei pericoli insiti in questo successo, per loro e per la loro terra. Secondo Fofi, il Salento era uno dei
pochi luoghi rimasti, non ancora divorati dall’aggressività del benessere, di un benessere che
diventa mera festa del consumo. Il punto di vista di Fofi è estremamente negativo ma, in chiusura,
può essere un valido spunto di riflessione : il Salento, come la Lucania, è ancora bellissimo, dice
Fofi, mostra un paesaggio che è ancora paesaggio e propone un rapporto uomo-ambiente di misura
ed armonia antiche ma già si è entrati in una fase discendente (legata alla fase ascendente del
turismo e del marketing territoriale, secondo Fofi) il cui cardine è il denaro57.
56
Vittorio Bodini, Tutte le poesie, Besa, Nardò, 1997, p.70.
57
Fluid Video Crew, Marco Saura, Caterina Tortosa, op. cit., p. 11.
13
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