Il teatro di Luzzati a Venezia

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Il teatro di Luzzati a Venezia
Il teatro di Luzzati a Venezia
by Maria Ida Biggi
Emanuele Luzzati (1921 – 2007)
All’inizio di quest’anno è scomparso Emanuele Luzzati, artista autentico e inconfondibile nel panorama
scenografico italiano del secondo dopoguerra, figura tra le più interessanti per la poliedricità della sua ampia
produzione che lo ha visto protagonista a teatro, ma anche nell’ambito dell’illustrazione, del cinema
d’animazione, della grafica, della ceramica, delle arti applicate e in tutti gli spazi dove la sua vulcanica
creatività poteva esprimersi. Mantenendo sempre una straordinaria coerenza e caratterizzazione stilistica che
lo ha reso immediatamente riconoscibile, una sorta di originale cifra personale, si è spinto fino alla
progettazione di giardini per bambini, di cui ne è esempio indimenticabile il parco giochi di Santa Margherita
Ligure. Nato a Genova nel 1921, diplomato all'Ecole des Beaux Arts di Losanna, Luzzati ha collaborato con
registi, architetti, artisti e scrittori di fama internazionale, da Alessandro Fersen compagno fin dalle prime
sperimentazioni a Losanna, a Vittorio Gasman, Corrado Pavolini, Tatjana Pavlova, Franco Enriquez, Aldo
Trionfo, Aurel Milloss, Gianfranco De Bosio, Giancarlo Corbelli, John Cox, Egisto Marcucci, Filippo
Crivelli, Benno Besson, Sandro Bolchi, Roberto De Simone, Luigi Squarzina, Paolo Poli, Maurizio Scaparro,
Giuseppe Emiliani, attraversando così il miglior teatro italiano del secondo Novecento. Con Aldo Trionfo e
Tonino Conte ha fondato nel 1975 il Teatro della Tosse di Genova, luogo ormai storico della
sperimentazione teatrale. Dal 2001, Genova gli ha dedicato un museo situato a porta Siberia, nei pressi del
porto antico. Molto stimolante è la sua continua frequentazione in moltissimi ambiti dell’espressione
artistica che egli, con leggerezza ed estrema libertà, mette continuamente in rapporto con la realtà teatrale. Si
può dire che la sua dimensione artistica coltiva una idea di teatro del tutto originale basata sulla dimensione
del gioco. Far teatro, per Luzzati, significa stare assieme in modo allegro, disinteressato e serio come quello
dei bambini, quindi un’idea fortemente visiva e ricca di infinite variazioni. Le testimonianze, come i bozzetti
scenici o i figurini per i costumi teatrali che Luzzati ha prodotto nella sua lunga carriera ci restituiscono
proprio questa idea di teatro, pensato e progettato attraverso disegni all’apparenza infantili o elementari,
montaggi-collage di ritagli di giornali o di carte colorate, assemblaggi di materiali diversi che attraverso le
sue mani compongono immagini fantastiche e irreali, ma nello stesso tempo ricchissime di suggestioni e di
rimandi colti e precisissimi. Luzzati sa immaginare spazi scenici e architetture scomponibili con sicurezza e
semplicità; la sua scenografia applica questi metodi all’economia dello spettacolo per rendere più facile il
montaggio e il cambio delle scene, ancora una volta non in maniera banale, ma proprio amando la
funzionalità e l’espressività del colore e della luce derivategli da una profonda conoscenza dei mezzi
comunicativi. Spesso riprende le immagini dal repertorio del mondo infantile, sottolineandone l’estrema
libertà che gli permette di staccarsi dalle ingombranti convenzioni teatrali.
Ugo Volli scrive: “E’ importante capire che l’uso dei materiali dell’infanzia non è una citazione ironica e
complice nel senso praticato ad esempio dai pittori della pop art; tutto al contrario è un invito alla
partecipazione, all’appropriazione, alla sospensione del giudizio critico, alla magia – fosse pure solamente la
magia provvisoria del ricordo”.
A volte le sue scenografie sono semplicemente realizzate con successioni di tele e siparietti dipinti in cui
simulare spazi e ambienti, quindi usando la più tradizionale delle idee scenografiche. Ma i modi da lui
applicati sono sempre originali e creano una forma a effetti di moltiplicazione, rovesciamento e
sovrapposizione assolutamente unici. Inoltre la qualità della pittura in questi casi è tutta opposta alla volontà
illusionistica tipica delle tele teatrali. Luzzati abolisce o deforma la regola prospettica, il risultato visivo è
invenzione pura.
Giorgio Strehler ha scritto nel catalogo della prestigiosa mostra dedicata a Luzzati a Parigi nel 1996: “Di
fronte alle scenografie di Emanuele Luzzati si ha quasi sempre l’impressione di finire mani, piedi e pensieri
dentro un sogno. Ci accompagna poi, piano piano, nelle stanze segrete del teatro e ognuno costruisce i propri
spazi dentro la testa, poi li riverbera sulla scena, per il tramite delle figurine, dei colori, degli occhi spezzati o
dei veli pendenti”.
Una capacità straordinaria dell’artista e scenografo Luzzati è stata quella di riuscire a lavorare insieme ad
altri artisti, spesso grandi personalità, restando sempre, in modo armonioso, se stesso e servendo un’idea
comune a favore del pubblico. Questo procedimento può essere legato ad una matrice profondamente
culturale dell’artista: la tradizione figurativa e le presenze iconografiche sono tratte dalle espressioni
primitive così come da tutte quelle che percorrono la storia dell’arte; questo procedimento molto colto
permette allo scenografo di inventare su invenzioni precedenti, originando nuovi significati sentimentali.
Si è scelto, a titolo esemplificativo, di descrivere alcuni suoi interventi e allestimenti nella città di Venezia
che lo ha visto attivo nel campo del teatro recitato e in quello musicale, dai primi anni di attività fino agli
anni Novanta del Novecento. Il primo incontro professionale di Emanuele Luzzati con Venezia risale al 1951
in occasione di una mostra dedicata alla scenografia e ai costumi teatrali del Seicento italiano, intitolala Il
secolo dell’invenzione teatrale, un’iniziativa del Centro di Ricerche Teatrali di Roma e del Centro
internazionale delle arti e del costume di Palazzo Grassi a Venezia, curata da Gerardo Guerrieri ed Elena
Povoledo e realizzata al Padiglione Italia dei Giardini della Biennale di Venezia. L’allestimento firmato da
Luzzati con Gianni Polidori era basato, come ci ha raccontato Povoledo, su ingrandimenti fotografici e
interventi pittorici dei due giovanissimi scenografi. Luzzati così descrive quell’avventura giovanile:
“Ricordo quando viaggiammo da Roma a Venezia in treno, di notte, in terza classe, allora esisteva ancora la
terza classe, pur avendo un incarico abbastanza prestigioso in fondo per due giovani come noi. Furono viaggi
molto faticosi, ma fummo pieni d’entusiasmo e d’energia. … Mi ricordo ancora molto bene le lunghe
camminate, fatte più volte al giorno per raggiungere la Biennale, ma intanto discutemmo e delineammo
progetti di massima. In quell’occasione io e Gianni ci dividemmo i compiti, si trattava di organizzare tutto il
materiale riguardante il ‘600 e il teatro barocco: bozzetti, stampe dell’epoca, progetti di allestimenti
scenografici, macchine teatrali. Io curai più la parte pittorica, dipingevo sui muri, riproducevo scene di
Giovanni e Ludovico Burnacini e di altri, ero insomma quasi sempre per aria. Gianni invece assunse le
sembianze di un architetto, nel vero senso della parola. I giornalisti ci presero per architetti e la cosa ci fece
sorridere. Fu una bella esperienza e la mostra riscosse grande successo”
L’anno seguente, nell’estate 1952, Luzzati fa il suo primo incontro con il teatro musicale proprio a Venezia,
in una collaborazione per la Biennale, nell’allestimento scenico de La Diavolessa di Baldassarre Galuppi e
Carlo Goldoni. L’opera, con la regia di Corrado Pavolini e la direzione musicale del maestro Carlo Maria
Giulini, è andata in scena al Teatro La Fenice, nell’ambito del XV Festival Internazionale di Musica
Contemporanea. Come dimostrano i documenti conservati all’Archivio Storico dell’Arti Contemporanee
della Biennale, coinvolgere lo scenografo Luzzati è stata una scelta precisa del regista e il segretario del
Festival, Alessandro Piovesan, non fa altro che contattare lo scenografo nella sua casa di Genova; Luzzati
accetta questa nuova esperienza con entusiasmo e cura con passione i costumi poi realizzati dalla sartoria del
Piccolo Teatro di Milano e progetta l’impianto scenico costruito poi da Antonio Orlandini, scenografo
realizzatore del teatro La Fenice. L’azione de La Diavolessa è ambientata a Napoli e Luzzati disegna una
scena coloratissima, praticabile su due livelli, che rappresenta una contrada delimitata da due torri che, nel
primo atto, sono affiancate, poi , negli altri atti, sono collegate da un passaggio aereo che attraversa il fondo
della scena. Lo scenografo vuole ricostruire un ‘700 ispirato alle stampe popolari di Epinal, un mondo
fantastico in cui i costumi si inseriscono nello spazio scenico con gli stessi vivaci colori, creando una
immagine unitaria.
Ancora per il Festival di Musica della Biennale, Luzzati disegna, nel 1959, un complesso impianto scenico
per ospitare ben 9 diverse situazioni di un originale spettacolo intitolato Giuochi e favole per bambini : su
libretto di Luciano Folgore, coinvolge ben 9 compositori con musiche appositamente scritte da Giorgio
Federico Ghedini, Alexandre Tasman, Nino Rota, Virgilio Mortari, Carlo Franci, Ennio Porrino,Nicolas
nabokov, Hans Werner Henze e Giulio Di Majo; la direzione musicale è di Ettore Gracis e la regia di Franco
Enriquez, amico e collaboratore da alcuni anni di Luzzati e maschere di Maria Perego, la mamma di topo
Gigio. Si tratta di uno spettacolo che vuole avvicinare i giovanissimi al teatro e alla musica contemporanea,
proponendo un grande giocattolo attraverso il quale si possa conoscere il fascino misterioso e i mezzi magici
che permettono il rapido succedersi di favole e scherzi sulla scena. E’ quindi ovvio che la scenografia
assume in questo spettacolo un ruolo decisivo e Luzzati progetta un impianto unico con pannelli scorrevoli e
fondali intercambiabili. La struttura poggia su una pedana in legno e due piccole scale danno l’accesso
direttamente dalla platea. Il tutto è concepito come una scatola con, agli angoli, quattro pilastri fissi che a
loro volta sono collegati da travi di legno. Le pareti sono intercambiabili con movimenti a vista: in un primo
momento, ai lati e sullo sfondo si trovano pannelli di tela dipinta, in cui sono rappresentate alcune balconate
di teatro con personaggi seduti, al fine di creare l’illusione di un interno di teatro. La parete verso il pubblico,
invece, è formata da un siparietto molto colorato che, in un primo momento si presenta chiuso, poi si apre
lateralmente. Su questi pannelli sono dipinti personaggi fiabeschi dell’immaginario infantile: un re, una
regina, un uomo a cavallo e altri che suonano il tamburo e il flauto. La scena si arricchisce durante lo
spettacolo di effetti magici come durante L’usignolo dell’imperatore, quando un velario dipinto con una
vegetazione fantastica crea l’illusione di un bosco al centro del quale è situata la stanza del trono. Anche i
costumi sono disegnati da Luzzati e i numerosi figurini esistenti testimoniano il suo impegno anche in questo
settore, dove i personaggi danno modo a Luzzati di sbizzarrirsi con la fantasia.
Nel 1965 Luzzati è impegnato nella progettazione della struttura scenica per La locandiera di Goldoni andata
in scena durante il XXIV Festival Internazionale del Teatro di Prosa della Biennale. Questa commedia è
realizzata dalla Compagnia dei Quattro diretta da Franco Enriquez ed è rappresentata in campo san Zaccaria
dove lo scenografo progetta un intero teatro all’aperto. Qui ancora la scenografia si organizza con pannelli
scorrevoli per permettere facili cambiamenti a vista e costumi molto colorati. Nello stesso anno, ancora
nell’ambito della Biennale, Luzzati partecipa alla realizzazione di uno spettacolo sperimentale e
d’avanguardia su testo di Giuliano Scabia e realizzato dalla Compagnia del Teatro Stabile di Genova che
all’epoca era diretta da Ivo Chiesa e Luigi Squarzina. Si tratta di di Zip Lap Lip Vap Mam Crep Scap Plip
Trip Scrap e la grande Mam alle prese con la società contemporanea. La regia di Carlo Quartucci lavora sui
ritmi delle azioni mimiche e la recitazione si muove tra palcoscenico e platea. Anche la scenografia è quindi
scarna e povera, basata su una struttura di legno grezzo, colorata con il nero fumo e decorata con lettere di
vernice bianca, su cui sono incollati in modo irregolare manifesti pubblicitari strappati e scritte di varia
natura che gli stessi attori portano in scena durante l’azione. In un secondo momento entra in scena una
macchina che si rivela poi composta da un ‘Parossismo di oggetti accumulati: scatole di cartone, pupazzi,
carta, giornali, stracci, bottiglie, ceste, parafanghi, carrozzerie, tram, autobotti …’ come recita la stessa
didascalia scenica. Ovviamente, la fantasia di Luzzati si trova perfettamente a suo agio nell’assemblare
oggetti ‘readymade’ e come ha notato la critica la sua è stata un’opera spiritosa, divertente e di una ferocia
sorridente.
Lo scenografo genovese collabora ancora due volte con i Festival di Teatro della Biennale veneziana, con un
allestimento per La vedova scaltra di Goldoni nel 1967, con la Compagnia dei Quattro diretta da Franco
Enriquez e nel 1970 presentando una riduzione di Aldo Trionfo e Tonino Conte de La dama aux camélias di
Alessandro Dumas con il Teatro Stabile di Trieste. Purtroppo per questi spettacoli esiste una documentazione
scarsa che quindi non permette una descrizione esaustiva delle scenografie.
Dopo un lungo intervallo, Luzzati ritorna sulla scena veneziana, al teatro La Fenice nel marzo del 1984, con
uno sfolgorante allestimento scenico per L’italiana in Algeri di Rossini, con regia di Roberto De Simone e
direzione musicale di Gianluigi Gelmetti. Le scene sono “un salire e scendere di sipari e siparietti, un
innalzarsi di minareti, un accavallarsi di archi turcheschi, un distendersi di arazzi e tappeti, un accumularsi
irrefrenabile di colori, apparentemente senza un ordine, in un’orgia veramente orientale di eccessi. Si pensa a
certe stampe turche o, meglio, a certe immagini che del mondo turco circolavano in Europa, immensi
turbanti, stoffe ricchissime, ampie, luccicanti, veli impalpabili dai colori impossibili. Ma poi ci si accorge
che questo non è Oriente, è il sogno o l’allucinazione europea dell’Oriente”. In accordo con il regista che qui
incontra per la prima volta, Luzzati sottolinea quel clima dell’assurdo accentuato dall’illusione teatrale che
moltiplica gli effetti ottici. Contribuiscono alla creazione di uno spettacolo fantastico anche i fantasiosi e
coloratissimi costumi indossati da splendidi interpreti, tra cui Marilyn Horne, Isabella e Samuel Ramey,
Mustafà.
Luzzatti returned to Venice, at La Fenice in March 1984, with a dazzling stage design for Rossini’s L’italiana in Algeri,
directed by Roberto De Simone and conducted by Gianluigi Gelmetti.
Nel 1985 Luzzati firma, per la stagione d’opera del teatro La Fenice, le scene di Armida di Rossini,
interpretata da una splendida Catia Ricciarelli. Con la regia di Egisto Marcucci e i costumi di Santuzza Calì,
Luzzati crea una scena immaginaria e volutamente ingenua, basata sulla tecnica della pittura, sui cambi
mirabolanti a vista e sulle meraviglie del teatro barocco. Sfrutta a pieno le occasioni che il soggetto esotico
offre con il primo atto ambientato in una Gerusalemme da teatro dei burattini e un esercito crociato in chiave
di teatro dei pupi, seguito da un antro magico e infernale e da un palazzo incantato e, nel terzo atto, da un
giardino orientale, favolistico, arabo moresco, tropicale.
In 1985, Luzzati designed the scenery for Rossini’s Armida for La Fenice opera season, interpreted by Catia Ricciarelli
on splendid form. Directed by Egisto Marcucci, with costumes designed by Santuzza Calì.
Nel maggio 1986, Luzzati propone ancora al teatro La Fenice un interessante allestimento per l’Attila di
Giuseppe Verdi con la collaborazione di Santuzza Calì per i costumi. Questa volta lo scenografo compie
un’operazione di recupero e rivisitazione delle scene storiche della prima rappresentazione veneziana firmata
da Giuseppe Bertoja, scenografo più volte collaboratore del maestro Verdi per le sue prime veneziane.
Luzzati racconta: “Il Bertoja è stata per me una vera scoperta. Sono andato al Correr e vedendo i bozzetti
originali ho colto il gusto della sua pittura: il Bertoja è un pittore che deriva dalla tradizione veneta … Una
volta che mi sono impadronito del suo mondo, ho cercato di vederlo con uno sguardo moderno, anche perché
non sappiamo come egli realizzasse i suoi bozzetti; sicuramente le scene erano dipinte più realisticamente. Io
ho voluto lasciare le tonalità dello schizzo. Quindi più che ricostruire, ho cercato di mettere in valore la
pittura del Bertoja, lasciando perciò la stessa quadrettatura dello schizzo. … non c’è neanche una pennellata
mia, c’è solo un collage di scomposizione e ricomposizione.”
L’ultimo allestimento scenico progettato da Luzzati per un teatro di Venezia è stato un dittico con la regia di
Maurizio Scaparro: L’heure espagnole e L’enfant et les sortilège di Maurice Ravel. Allestita pochi mesi
dopo l’incendio del teatro La Fenice, nell’aprile del 1996, nella tensiostruttura chiamata PalaFenice, questa
scenografia si basa su un impianto scenico per forza di cose semplificato, dove comunque, la fantasia dello
scenografo riesce lo stesso a sbizzarrirsi. Nel primo pezzo, l’ambientazione è costituita da un interno
favolistico con migliaia di orologi a pendolo e a muro, oggetti e carillons che nell’insieme creano una
immagine paradossale della casa dell’orologiaio.
Nella seconda parte, l’azione si svolge nella stanza del fanciullo dove gli oggetti si animano all’improvviso,
si illuminano di un chiarore misterioso e conversano tra di loro. Poi, seguendo la fantasia del ragazzo, una
foresta invade la stanza resa scenograficamente con una chiara allusione al gesto surreale di Magritte.
“L’enfant veniva felicemente travolto dalle scene di Luzzati e dai costumi di Santuzza Calì di tale fantasia e
finezza e perfezione (attese le difficoltà pratiche di un palcoscenico che è quello che è: chissà cosa sarebbe
stato alla Fenice!) da entusiasmare ….grazie ad un ingegnoso sistema di proiezioni di ombre in movimento
….uno spettacolo che traduce le due partiture impossibili da visualizzare”.
Purtroppo, nella sera del 26 gennaio 2007, Lele Luzzati, serenamente, se n'è andato, lasciandoci una
straordinaria memoria della sua attività teatrale attraverso una grande quantità di stupendi bozzetti, figurini e
modellini. Questi veri e propri capolavori grafici rendono perfettamente l’impressione della teatralità da lui
cercata e ci offrono, con intensità, l’illusione scenica che, poi, le sue scenografie costruite rispettavano in
pieno. Siamo di fronte ad un artista capace di realizzare concretamente e con mezzi semplici e leggeri,
quanto la sua immensa immaginazione sapeva creare.
©The Scenographer 2007