Si è ammalata a 14 anni e adesso, all`ospedale di Pisa, cura (da

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Si è ammalata a 14 anni e adesso, all`ospedale di Pisa, cura (da
Si è ammalata a 14 anni e adesso , all'ospedale di Pisa, cura (da sola ) 4.500 pazienti
di ELENA MELI
ra in vacanza quando la
malattia l'ha assalita la
prima volta. Roberta Ricciardi aveva solo 14 anni
e la vita davanti, mentre
con la consueta energia affrontava
una via ferrata in montagna e ali'
improvviso sentì cedere le gambe.
«Per un pelo non sono caduta giù
e non so dove ho trovato la forza
per arrivare in cima - racconta
-. Nelle settimane successive venni sopraffatta da una stanchezza
crescente, sentivo che c'era qualcosa di strano e non capivo il perché.
Nel giro di un mese cominciai a vedere doppio e iniziai una trafila infinita di visite mediche».
In principio i medici dettero la
colpa allo stress , a qualche pena
d'amore adolescenziale, alle fatiche dello studio: nessuno capì che
dietro a quegli strani sintomi covava una malattia neurologica grave.
Intanto, Roberta non riusciva più
nemmeno a masticare e inghiottire, si era ridotta a 4o chili. Si pensò allora a una grave depressione
o a un tumore al cervello. Ci volle
una crisi respiratoria, quasi fatale,
per arrivare alla diagnosi giusta.
«Un giorno smisi di respirare - ricorda -. Mi ripresero per i capelli, attaccandomi a un respiratore.
E lì, in rianimazione , per la prima
volta dopo circa quattro mesi dall'
inizio dei sintomi sentii dare un
nome alla mia malattia: miastenia
gravis». Quasi una condanna, negli anni 70, perché nessuno sapeva come combatterla e non era
chiaro come e perché si sviluppasse.
osì Roberta in pochi mesi finì immobile in un letto di terapia intensiva.
«Nonostante avessi la tracheotomia e fossi costretta a stare attaccata a un respiratore
per sopravvivere , grazie all'ingenuità dei miei 15 anni volevo continuare a credere che la malattia
prima o poi se ne sarebbe andata.
Il mio cervello funzionava benissimo, continuai a studiare , come potevo, anche in quel letto d 'ospedale. Dopo quattro anni di terapia intensiva fu allestita una piccola rianimazione in casa mia, perché potessi stare in un ambiente più confortevole e protetto : grazie a quella scelta coraggiosa ho potuto vivere la mia condizione in modo un
po' meno drammatico, circondata
dall'affetto dei miei car i». Per sette, interminabili anni Roberta restò così, in bilico fra la vita e la
morte. Poi, per caso, uno dei medici che la seguivano lesse un articolo scientifico statunitense in cui si
raccontava di pazienti migliorati
grazie al cortisone : anche lei iniziò
la nuova terapia, ancora sperimentale nella miastenia. «La risposta
dell'organismo fu immediata; nel
giro di tre mesi mi staccarono dal
respiratore e mossi i primi passi
- spiega Roberta -. Cominciai a
riprendermi e fra tantissime difficoltà provai a ricostruire la mia vita. Dopo un anno detti la maturità
e presi la patente, nonostante avessi ancora la tracheotomia. Poi mi
iscrissi a Medicina, anche per capire e curare meglio la mia malattia.
Ogni nozione nuova che apprendevo cercavo di applicarla al mio caso, iniziai ad "aggiustarmi" le terapie da sola. Man mano che andavo
avanti capivo sempre di più che la
mia miastenia non era una malattia inguaribile, come mi avevano
detto fino ad allora, era solo una
malattia curata male». Roberta
scelse di specializzarsi in neurologia e già alla fine degli anni 8o cominciò a spargersi la voce di quella dottoressa che era stata grave-
mente ammalata di miastenia e
che curava i malati come lei, a Pisa. Lì trovavano speranza e cure
adeguate, spesso la remissione totale della malattia. «I pazienti arrivavano demoralizzati, convinti di
avere una patologia invalidante
contro cui non si può fare nulla dice la dottoressa -. Io per loro sono la dimostrazione vivente che
non è vero: sono in remissione totale da più di 15 anni, non assumo
più terapie e non ho più sintomi,
nuoto, sono tornata a percorrere
le mie amate vie ferrate». Roberta
si è sposata e ha avuto un figlio,
una vita del tutto normale. E ama
davvero i suoi malati. Lo si capisce
quando parla di loro come fossero
tutti un po' figli suoi o quando ricorda casi che le si sono conficcati
nell'anima. Per esempio , quella ragazza che come lei si è ammalata
da adolescente e non riusciva più
neanche a salire un gradino, mentre tutti intorno la credevano in
preda all 'esaurimento nervoso.
«Anche lei è diventata un medico,
sta benissimo, poco tempo fa mi
ha mandato una sua foto in cima
al Kilimangiaro . Certo, non tutti e
non sempre possono tornare a scalare montagne, ma si può fare molto per chi ha la miastenia. Innanzitutto riconoscendola: la diagnosi a
volte tarda ad arrivare, perché è
una malattia subdola che colpisce
all'improvviso persone sanissime,
spesso giovani e forti. Così, si pensa a depressione , stress, ad altre
malattie neurologiche».
La patologia
La miastenia è una
malattia autoimmune:
il sistema di difesa
«sbaglia bersaglio» e
rivolge gli anticorpi
contro t'organismo
stesso, in questo il
recettore
dell'acetilcolina,
neurotrasmettitore che
si trova nei muscoli e
che è t'«interruttore»
dei movimento
volontario: stimolato
dai nervi dà inizio a
una catena di reazioni
che fanno contrarre il
muscolo sviluppando
forza. Nei miastenici, il
«bottone d'avvio» è
danneggiato dagli
auto-anticorpi e i
malati sono
«incatenati», con poca
forza per muoversi,
parlare, respirare.
«Non esiste un unico
tipo di miastenia,
anche perché gli
autoanticorpi che la
provocano sono
diversi - spiega
Ricciardi -. I farmaci
sintomatici più usati
sono gli
anticolinesterasici, che
vanno quasi sempre
associati a cure che
agiscono sulle cause
della malattia
(cortisone,
immunosoppressori,
immunoglobuline
endovena o
plasmaferesi);
nell'80% dei casi può
essere necessario
asportare il timo,
iperattivo a causa di un
tumore (timoma) o
un'iperplasia».
oberta ha imparato come affrontare la miastenia. «I medici a volte
l'aggrediscono con terapie esagerate rispetto all'
entità dei disturbi. Contro la miastenia bisogna usare il guanto di
velluto, altrimenti si rischia di renderla ancora più intrattabile spiega -. Ogni caso è un mondo a
sé: bisogna capire come si manifesta la miastenia e, pian piano, "cucire addosso" a ogni ammalato il
suo vestito terapeutico. Serve tempo, ascolto, attenzione e tanta
esperienza, solo così si ottengono
i risultati migliori. Con le giuste terapie si può arrivare alla remissione totale dei sintomi, un traguardo straordinario anche se non è
una vera e propria "guarigione",
perché, come tutte le malattie autoimmuni, la miastenia è cronica e
quindi soggetta a possibili ricadute, in realtà molto rare dopo periodi lunghi senza sintomi. Sono sempre più convinta che non esistano
forme di miastenia incurabili, ma
che ci siano ancora tante miastenie curate male: la mia storia e
quella di tanti altri malati ne sono
l'esempio».
La sola, enorme paura di Roberta non é più la miastenia gravis, è
che cosa succederà al suo ambulatorio e ai suoi pazienti quando lei
andrà in pensione. «Nonostante i
tanti anni di attività e i risultati ottenuti, continuo a non avere una
struttura dedicata dove accogliere
i malati che ho in carico e soprattutto non mi è stato affiancato nessun neurologo cui "passare le consegne". Sarebbe bastato affidarmi
due medici, un infermiere e due o
tre posti letto per poter dare sicurezza e continuità assistenziale a
migliaia di ammalati. Volevo qual cuno a cui insegnare quanto ho imparato in quasi trent'anni dedicati
alla miastenia, qualcuno a cui affidare i miei malati, ma per ora solo
un sogno. Ed è un dolore immenso». I pazienti conoscono la dedizione di Roberta, arrivano a Pisa
da tutta Italia e dall'estero: sanno
che saprà gestire la loro miastenia
caricandosela sulle spalle, come dice lei. Chi lo farà dopo Roberta?
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L'ambulatorio per
la miastenia della
dottoressa Ricciardi,
all'ospedale Cisanello di
Pisa, è letteralmente
assalito dai pazienti. Ma
tutto è lasciato alla sua
buona volontà: non ci
sono medici né infermieri
ad aiutarla e alcune
apparecchiature se le è
comprate da sola. Lei da
sola segue circa 4.500
pazienti (gli italiani con
miastenia sono circa 10
mila). «Ne ho più di 1.200
in lista d 'attesa, ma non
so come fare a prenderli
in carico - spiega -.
Per anni non ho avuto
nemmeno una stanza per
le visite e mi è capitato di
farle perfino all'aperto.
Da alcuni anni ho
"conquistato" un
ambulatorio nel
Dipartimento
Cardiotoracico, dove i
malati possono essere
seguiti anche da chirurghi
toracici e oncologi per le
malattie dei timo spesso
associate alla miastenia,
in un approccio
multidisciplinare
fondamentale nel
percorso di cura. Ma sto
con il fiato sospeso,
perché non c'è ancora
stato alcun
riconoscimento ufficiale
per l'attività assistenziale
dell'ambulatorio».
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