Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa

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Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
Pascal Pichonnaz
Mora e interpellatio nello sviluppo
del diritto privato in Europa*
1. Introduzione.
Sotto l’influenza della Convenzione delle Nazioni Unite
dell’11 aprile 1980 sui contratti di compravendita internazionale di merci (CISG), la divisione tradizionale tra mora, impossibilità e cattiva esecuzione o inadempimento (chiamata
anche «breach of an obligation»)1, che possiamo trovare nel
vecchio BGB tedesco (e in tutti i sistemi da esso influenzati) o
nel codice civile francese (e in tutti i sistemi da esso influenzati), è stata rimpiazzata dalla nozione unitaria di «non
performance» o «breach of contract» (art. 25 CISG)2. L’assenza di esecuzione, il ritardo e la cattiva esecuzione – come
la consegna difettosa – possono tutte essere considerate come
delle «breach of contract» (art. 25 CISG), che generano im* Una presentazione su questo tema è stata data all’incontro annuale
della Société Internationale «Fernand de Visscher» pour l’Histoire des
Droits de l’Antiquité (SIHDA) a Kavala (Grecia) nel settembre 2009. Ringrazio Geneviève Michelet, avvocato e assistente alla cattedra di diritto privato dell’Università di Friburgo, per avere riletto questo testo. Ringrazio anche la Prof. Emmanuelle Chevreau (Paris II) e il Prof. Jean-François Gerkens
(Liège), per avere verificato dei riferimenti su dei libri che non erano
disponibili a Friburgo. Una versione inglese sarà publicata nella rivista Sudafricana Fundamina 16 (1) 2010, 258 ss, con il titolo «The evolving function
of interpellatio in case of default». Ringrazio vivamente Andrea Ermotti, assistente all’Università di Friburgo (Svizzera) per la sua traduzione del testo
originale.
1 Utilizzo il termine “breach of obligations” a ragion veduta. Sotto l’influenza romana, qualsiasi domanda di risarcimento è legata alla violazione
di un’obbligazione (contrattuale) e non al contratto in quanto tale. Quest’ultima è una posizione seguita dalla Common law; ragione per la quale
questi sistemi parlano di “breach of contract”.
2 Cfr. P. SCHLECHTRIEM - I. SCHWENZER (eds.), Commentary on the UN Convention on the International Sale of Goods3 (CISG), Oxford, 2010, 17 s.
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mediatamente il diritto a chiedere un risarcimento (artt. 45 I
b e 64 I b CISG), a meno che non ci sia inadempimento scusabile (art. 79 CISG).
Questo nuovo approccio unitario, che non tiene conto
della colpa, è stato ormai adottato dai principi UNIDROIT dei
contratti commerciali internazionali (PICC), dai Principi di
diritto europeo dei contratti (Principles of European Contract
Law della Commissione Lando - PECL), dal recente Draft
Common Frame of Reference (DCFR), così come, perlomeno parzialmente, dal Codice Civile Olandese del 1992 e dal Codice
Civile Tedesco nella sua versione in vigore dal 2002 (BGB §
280). Per questo sembra utile esaminare come questa visione
generale influenzi l’esistenza o la funzione dell’interpellatio in
caso di mora.
Dopo aver messo in evidenza la funzione punitiva della
mora nel diritto romano (infra, § 2), esaminerò l’evoluzione
nel Medioevo (infra, § 3) e concluderò la nuova funzione dell’interpellatio nel diritto moderno (infra, § 4).
2. La funzione punitiva della mora nel diritto romano.
La mora (mora debitoris) è un istituto che è stato fatto oggetto di svariati studi: Jan Dirk Harke ha pubblicato due libri
sull’argomento3 e sviluppi significativi si trovano nell’Historisch-kritischer Kommentar zum BGB (HKK-BGB) di Sebastian
Lohsse4. Tuttavia, malgrado gli importanti contributi degli
anni ’705, molte questioni restano oggetto di controversie, tra
le altre la questione di sapere se la mora (mora) richieda sem3 J. D. HARKE, Schuldnerverzug, Eine dogmengeschichtliche Untersuchung, Berlin, 2006; ID., Mora debitoris und mora creditoris im klassischen römischen Recht,
Berlin, 2005.
4 M. SCHMOECKEL - J. RÜCKERT - R. ZIMMERMANN (eds.), Historisch-kritischer
Kommentar zum BGB, Band II Schuldrecht: Allgemeiner Teil, 1. Teilband §§ 241304, Tübingen, 2007, ad §§ 286-292 BGB, Verzug des Schuldners, 1312-1387.
5 M. KASER, Perpetuari obligationem, in «SDHI», 46, 1980, 87 ss.; C. A. CANNATA, s.v. Mora, in «ED», 26, 1976, 921 ss.; H. H. JAKOBS, Culpa und Interpellatio bei der mora debitoris nach klassischem Recht, in «TR», 42, 1974, 23 ss.,
ristampato in ID., Kleine Schriften zum Römischen Recht, Goldbach, 2004, 3 ss.;
e già prima H. SIBER, Interpellatio und Mora, in «ZSS», 29, 1908, 47 ss.
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pre un’interpellatio precedente da parte del creditore o se la
semplice esistenza di un termine (dies) sia sufficiente a mettere in mora il debitore6.
2.1. Le conseguenze della mora debitoris. – Prima di confrontarci con la funzione dell’interpellatio, è importante considerare le conseguenze solitamente attribuite alla mora (mora
debitoris). La mora debitoris produceva essenzialmente due conseguenze: anzitutto, una diversa distribuzione dei rischi (infra,
§ 2.1.1.) e in secondo luogo la concessione di un risarcimento
del danno per il ritardo (infra, § 2.1.2.).
2.1.1. Una responsabilità aggravata o una diversa ripartizione
dei rischi. – Non appena il debitore si trovava in mora, diventava responsabile per la perdita della cosa oggetto dell’obbligazione. Proceduralmente questo significa che la finzione
della perpetuatio obligationis si applicava in caso di stricti iuris iudicia, permettendo di stimare il valore della cosa al momento
in cui si produce la mora7, come se la cosa da consegnare esistesse ancora al momento della litiscontestatio.8 Nelle azioni di
buona fede la responsabilità per la perdita non era tecnicamente fondata sulla perpetuatio obligationis, ma aveva come
conseguenza la stessa responsabillità aggravata. Si era quindi
in presenza di una responsabilità generale rinforzata del debitore in mora, in virtù della quale il semplice fatto di essere
moroso non bastava a rendere colpevole per la perdita il debitore9. La mora era quindi una sanzione per il ritardo nell’e6 Sull’idea che nel diritto romano la mora si produca automaticamente,
cfr. p. es. E. CHEVREAU, Le temps et le droit: La réponse de Rome, L’approche du
droit privé, Paris, 2006, 201, secondo la quale l’esigenza di un’interpellatio
appare solamente sotto Giustiniano.
7 KASER, Perpetuari obligationem, cit., 133, nt. 194 e Ulp. 27 ad ed. D. 13, 3,
3 i.f. (quare ad tempus morae in his erit reducenda aestimatio).
8 C. A. CANNATA, Quod veteres constituerunt, Sul significato originario della
‘Perpetuatio obligationis’, in M. J. SCHERMAIER - J. M. RAINER - L. C. WINKEL
(eds.), Iurisprudentia universalis, Festschrift für Th. Mayer-Maly, Cologne - Weimar - Vienne, 2002, 85 ss., in particolare 92; cfr. anche Ulp. 78 ad ed. D. 45,
1, 82, 1: Si post moram promissoris homo decesserit, tenetur nihilo minus, proinde ac
si homo viveret.
9 Pomp. 9 ad Sab. D. 19, 1, 3, 3: Si per venditorem vini mora fuerit, quo minus traderet, condemnari eum oportet, utro tempore pluris vinum fuit, vel quo venit
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secuzione dell’obbligazione, in particolare perché il debitore
non poteva evitare questa responsabilità provando che si
avrebbe in ogni caso avuto una perdita, anche se egli avesse
adempiuto alla sua obbligazione per tempo10. Quando il debitore era in mora, la mora debitoris giustificava un risarcimento (compensatorio).
Tuttavia, se l’inadempimento era dovuto a dolus o a culpa
da parte del debitore, ciò avrebbe messo in moto la sua responsabilità contrattuale (ordinaria). Quindi, il risarcimento
sarebbe stato accordato sulla base delle regole ordinarie, riconoscendo il diritto all’id quod interest (interesse positivo),
senza alcun bisogno di costruire qualcosa di specificamente
legato alla situazione di mora. In altre parole, la mora metteva in moto un trasferimento del rischio per periculum al debitore, se egli non era responsabile altrimenti11. L’ammontare
del risarcimento era calcolato al dies, se ve n’era uno, o altrimenti al momento della litis contestatio12.
La culpa in quanto tale sarebbe stata sufficiente per ricorrere alla finzione della perpetuatio obligationis13. La mora pertanto aveva un ruolo fondamentale nell’aggravamento della
responsabilità del debitore. Il trasferimento del rischio tuttavel quo lis in condemnationem deducitur, item quo loco pluris fuit, vel quo venit vel
ubi agatur; KASER, Perpetuari obligationem, cit., 141.
10 Cfr. KASER, Perpetuari obligationem, cit., 139 ss. e Pomp. 9 ad Sab. D. 45,
1, 23; Pomp. 25 ad Sab. D. 45, 1, 33; Ulp. 46 ad Sab. D. 46, 2, 8 pr.; Afr. 5
quaest. D. 30, 108, 11; Ulp. 21 ad Sab. D. 30, 39, 1.
11 Cfr. anche CANNATA, Quod veteres constituerunt, Sul significato originario
della ‘Perpetuatio obligationis’,cit., 89 ss.; A. MAGDELAIN, Note sur la ‘purgatio morae’, in Jus imperium auctoritas, Etudes de droit romain, Rome, 1990, 679 ss, in
particolare 680, che nota tuttavia che a suo avviso una responsabilità generale per forza maggiore in caso di mora non esisteva; il legame sarebbe con
il dies constituti.
12 Sul diritto di scegliere, basato sulla mora, cfr. HARKE, Schuldnerverzug,
cit., 34 s. e 110; Pomp. 9 ad Sab. D. 19, 1, 3, 3; sul tempo v. Ulp. 27 ad ed. D.
13, 3, 3 (quare ad tempus morae in his erit reducenda aestimatio); per tutti KASER,
Perpetuari obligationem, cit., 133 nt. 194; su questo anche D. MEDICUS, Id quod
interest, Studien zum römischen Recht des Schadensersatzes, Cologne, 1962, 31 ss.;
H. HONSELL, Quod interest im bonae-fidei-iudicium, Munich, 1969, 7 ss.; B. KUPISCH, Id quod interest bei Nichterfüllung und Verzug des Verkäufers, in «TR», 43,
1975, 2 ss.
13 CANNATA, Quod veteres constituerunt, Sul significato originario della ‘Perpetuatio obligationis’, cit., 93.
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via dipendeva da un’azione legale; le conseguenze della mora
non si applicavano senza un’azione, come già sottolineato da
Scaevola: «Nulla intellegitur mora ibi fieri, ubi nulla petitio est»
(Scaev. 5 quaest. D. 50, 17, 88).
2.1.2. L’interesse di mora (usurae moratoriae). – L’interesse
di mora era concepito come una sanzione perché, come diceva Papiniano, «non oportere frustrationem impunitam esse» («non
bisogna lasciare impunita l’inadempienza») (Pap. 20 quaest. D.
22, 1, 3, 4) o per riprendere Paolo (Paul. l. s. de usuris D. 22, 1,
17, 3 i.f.): «usurae enim non propter lucrum petentium, sed propter
moram solventium infliguntur» (l’interesse è imposto non per il
profitto dei querelanti, ma per il ritardo dei debitori)14.
Questo interesse di mora non poteva tuttavia essere ottenuto separatamente, ma doveva essere richiesto contemporaneamente all’esperimento dell’azione nascente dal contratto
che mirava alla concessione di un risarcimento compensatorio, dato che era basato sull’officium iudicis, come nota per
esempio Ermogeniano (Herm. 2 iuris epit. D. 19, 1, 49): «Pretii,
sorte licet post moram soluta, usurae peti non possunt, cum hae non
sint in obligtione, sed officio iudicis praestentur» (l’interesse sul
prezzo non può essere reclamato dopo che il debito di base è
stato pagato, anche se con ritardo; perché l’interesse stesso
non fa parte dell’obbligazione, ma è dovuto al libero apprezzamento del giudice)15. Questo significava che, se la mora era
rettificata da una esecuzione tardiva (purgatio morae), nessun
interesse di mora poteva essere reclamato, dal momento che
non esisteva più una base per una domanda di risarcimento.
La funzione punitiva della mora debitoris nel diritto romano, classico e giustinianeo, era imposta per assicurare che
essa fosse ben giustificata, ed è in questo contesto che gioca
un ruolo importante l’interpellatio.
2.1.3. L’interpellatio e il suo contenuto. – Ai nostri giorni,
l’interpellatio è definita solitamente come una «dichiarazione,
esplicita o implicita, che il creditore rivolge al debitore per14 J. HALLEBEEK, Charging of interest from joinder of issue?, in «RIDA», 35,
1988, 139 ss.
15 GUARINO, Diritto privato romano12, cit., 1019, nt. 92.2.
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ché questi capisca che deve fornire la sua prestazione». Questa è la definizione nel diritto svizzero16. Quindi, l’interpellatio
permette al debitore di capire se il suo ritardo nell’esecuzione sarà considerato come una «violazione dell’obbligazione»17. Tale violazione ha diverse conseguenze, che differiscono da un sistema legale all’altro.
Per quanto concerne il diritto romano, un brano del trattato sulle regole di Marciano, giurista del secondo secolo
dopo Cristo18, dovrebbe aiutarci ad afferrare meglio la portata
dell’interpellatio.
Marc. 4 reg. D. 22, 1, 32 pr.:
Mora fieri intellegitur non ex re, sed ex persona, id
est, si interpellatus oportuno loco non solverit: quod
apud iudicem examinabitur: nam, ut et Pomponius libro duodecimo epistularum scripsit, difficilis est huius
rei definitio. Divus quoque Pius Tullio Balbo rescripsit, an mora facta intellegatur, neque constitutione
ulla neque iuris auctorum quaestione decidi posse,
cum sit magis facti quam iuris19.
Secondo Marciano, l’interpellatio è una condizione per la
mora (mora debitoris). Se il debitore ha ricevuto un’interpellatio
16 Nel diritto svizzero, cfr. in particolare P. TERCIER, Le droit des obligations4, Genève - Bâle - Zurich, 2009, ntt. 1075 e 1283; L. THÉVENOZ, Commentaire romand du Code des obligations, I, (art. 1-529) (eds. F. WERRO - L. THÉVENOZ), Bâle, 2003, n. 17 ad art. 102 CO; F. SCHENKER, Die Voraussetzungen und
die Folgen des Schuldnerverzugs im schweizerischen Obligationenrecht, Fribourg,
1988, 86.
17 THEVENOZ, Commentaire romand du Code des obligations, I, cit., n. 17 ad
art. 102 CO.
18 W. KUNKEL, Die Römischen Juristen, Herkunft und soziale Stellung2, Cologne, 1967, 258.
19 Trad. it.: la mora si capisce se considerata non come dipendente unicamente dai fatti (da elementi oggettivi), ma dalle persone, ciò significa che
il debitore, anche se ha ricevuto un’interpellatio in un luogo opportuno, non
ha pagato: cosa che deve essere esaminata davanti al giudice. Come ha scritto
Pomponio nel libro 12 delle epistulae, la definizione di questo concetto è difficile. Anche Antonino il Pio ha risposto in un rescritto a Tullio Balbo che
l’esistenza della mora dev’essere dedotta dai fatti, e che questa questione non
può essere decisa né tramite una costituzione, né tramite l’avviso di giureconsulti, dal momento che si tratta piuttosto di fatti che di diritto.
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in un luogo adeguato e non ha pagato; a partire da quel
momento, egli è in mora. Le condizioni della mora non sono
tuttavia puramente oggettive, ma dipendono anche dalle intenzioni del creditore, perlomeno in questo caso. Riferendosi ad
altri autori e ad Antonino Pio, Marciano riferisce che la definizione dell’interpellatio non è facile perché essa dipende
molto dall’analisi dei fatti. L’allusione fatta da Marciano all’impossibilità di fissare questa questione in un testo giuridico,
come una costituzione imperiale o un avviso di diritto, sottolinea che l’efficacia dell’interpellatio dipende dal suo contenuto20.
Quale dev’essere dunque il contenuto della dichiarazione
fatta al debitore affinché si possa ritenerlo in mora? Un testo
di Pomponio può aiutarci a trovare una risposta (Pomp. 22
Sab. D. 12, 1, 5)21. In effetti, quando cerca di capire chi è responsabile per la perdita di una cosa che è andata distrutta
mentre spettava unicamente al debitore consegnarla (quam
per te factum erit quominus id mihi dares), Pomponio considera
che il debitore sopporta le conseguenze della perdita quando
gli era possibile adempiere alla sua obbligazione (in potestate
tua fuerit id), ma non lo ha fatto o non può più farlo per causa
sua (aut dolo malo feceris quominus esset). Pomponio aggiunge
tuttavia che la responsabilità per la perdita della cosa sussiste
anche quando vi è una giusta causa (iusta causa) che può indurre il debitore a capire che deve fornire la sua prestazione
(sed etiam si aliqua iusta causa sit, propter quam intellegere deberes
te dare oportere). Questa giusta causa è spesso considerata come
un riferimento diretto all’interpellatio22.
Quest’ultimo punto, quindi, evidenzia che quello che
contava ai fini della mora era anzitutto che la prestazione
20 M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano3, Palermo, 2006, 428, si riferisce a questo passaggio per argomentare che l’interpellatio apparve nel diritto
romano tardo classico.
21 Cfr. D. 12, 1, 5: Quod te mihi dare oporteat si id postea perierit, quam
per te factum erit quominus id mihi dares, tuum fore id detrimentum constat. Sed cum quaeratur, an per te factum sit, animadverti debebit, non solum in potestate tua fuerit id nec ne aut dolo malo feceris quominus esset
vel fuerit nec ne, sed etiam si aliqua iusta causa sit, propter quam intellegere
deberes te dare oportere.
22 R. ZIMMERMANN, The law of obligations, Oxford, 1996, 793, nt. 67; KASER,
Perpetuari obligationem, cit., 107 ss.
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fosse possibile (in potestate) e che il debitore sapesse o, al limite, avrebbe dovuto sapere che doveva fornire la sua prestazione in quel momento specifico.
L’interpellatio consisteva dunque nel «far sapere al debitore che il creditore si aspetta che egli fornisca la sua prestazione». Dunque, se la determinazione dell’esistenza o meno
di un’interpellatio era difficile, era proprio perché si doveva in
ciascun caso individuare se il debitore sapeva o aveva motivi a
sufficienza per sapere che doveva fornire la sua prestazione,
ma poi si era rifiutato di farlo. In altre parole, le conseguenze
della mora dipendevano dalla conoscenza soggettiva del debitore23 (mora ex persona, come dice Marciano in D. 22, 1, 32
pr.): egli sapeva che doveva fornire la sua prestazione e non lo
ha fatto, o ha fatto in modo – per dolo – di non essere più in
grado di fornirla, o ancora, la sua ignoranza riguardo alla sua
obbligazione di fornire la prestazione non era giustificata, dal
momento che vi erano elementi a sufficienza perché egli sapesse di dovere fornire tale prestazione. In tutti questi casi, vi
è allora un inadempimento del debitore che giustifica il ricorso alla perpetuatio obligationis e impone una responsabilità
rinforzata legata alla mora.
Non è necessario, a mio avviso, determinare se tale inadempimento (dovuto a inavvertenza o a dolo) costituiva o
meno una colpa24. Significherebbe avere un approccio troppo
dogmatico, che è stato tuttavia seguito da alcune codificazioni
moderne, come quella del Codice Civile tedesco del 1900, e
sostenuto con forza da alcuni autori francesi del diciannovesimo secolo25. In ogni caso, possiamo constatare che la mora
23 Per un’interpretazione in questo senso, cfr. KASER, Perpetuari obligationem, cit., 111; CANNATA, s.v. Mora, cit., 929 ss.; JAKOBS, Culpa und Interpellatio
bei der mora debitoris nach klassischem Recht, cit., 43 ss.
24 J. F. GERKENS, La mora debitoris est-elle une faute?, in Mélanges Fritz Sturm,
I, (eds. J. F. GERKENS - R. VIGNERON - H. PETER - P. TRENK - HINTERBERGER),
Liège, 1999, 139 ss.; KASER, Perpetuari obligationem, cit., 116 ss. sostiene che la
mora (o moram facere) sia un mezzo per prevenire che il debitore agisca colpevolmente essendo in ritardo; per una teoria senza colpa, cfr. JAKOBS, Culpa
und Interpellatio bei der mora debitoris nach klassischem Recht, cit., pp. 34-44.
25 Cfr. in particolare CH. DEMOLOMBE, Traité des contrats ou des obligations
conventionnelles en général, V, Paris, 1877, 595 ss.: «La demeure du débiteur!
mais c’est aussi une faute! Et une faute, qui doit entraîner, à sa charge,
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aveva come conseguenza che il debitore era responsabile per
la perdita della cosa, anche se non aveva colpa, malgrado il
fatto che il contratto preso in considerazione imponesse la
colpa come condizione della responsabilità del debitore. Gli
autori moderni che aderiscono alla tesi secondo la quale la
mora debitoris si produce automaticamente26, considerano implicito che, al momento di agire in giudizio, il debitore sapeva
di dovere adempiere alla sua obbligazione, circostanza questa
che rende superflua l’interpellatio. A mio avviso, il giudice doveva determinare se, al momento dell’azione, il debitore convenuto era cosciente del suo obbligo di adempiere all’obbligazione. Questo implica che si deve stabilire se c’è stata un’interpellatio o meno. Tra l’altro, era sempre durante il processo
che il praetor stabiliva – per dirlo in termini moderni – se il debitore era già in mora al momento dell’impossibilità di adempiere alla sua obbligazione.
Infine, se il debitore fosse stato cosciente dell’obbligo di
fornire la sua prestazione, gli sarebbe stato possibile evitare le
conseguenze della mora debitoris, anche dopo il momento del
pagamento, offrendo di eseguire la prestazione o eseguendola effettivamente (purgatio morae)27. Ciò implicava evidentemente che l’esecuzione dell’obbligazione doveva ancora essere possibile.
l’obligation de réparer le dommage, qui en est résultée pour le créancier.
Voilà comment la demeure peut le rendre responsable de la perte même
arrivée par cas fortuit; à savoir: lorsque c’est sa demeure, qui est cause que
ce cas fortuit a fait périr la chose; parce que la chose n’aurait pas péri chez
le créancier, si elle lui eût été livrée, dans le temps où elle devait l’être …»
citato da GERKENS, La mora debitoris est-elle une faute?, cit., 139. Cfr. su questo
aspetto rispettivamente Gai. 9 ad ed. prov. D. 16, 3, 14, 1 e Ulp. 22 ad Sab. D.
30, 47, 6; cfr. anche D. DEROUSSIN, Histoire du droit des obligations, Paris, 2007,
591 ss.
26 Tra gli altri, CHEVREAU, Le temps et le droit: La réponse de Rome, L’approche du droit privé, cit., 203; cfr., tuttavia, KASER, Perpetuari obligationem, cit., 115
e JAKOBS, Culpa und Interpellatio bei der mora debitoris nach klassischem Recht, cit.,
53, che argomentano in modo convincente che al limite si può ammettere
che, se un’ interpellatio fosse necessaria o meno malgrado un termine fissato,
andava verificato caso per caso.
27 MAGDELAIN, Note sur la ‘purgatio morae’, cit., 679 ss.; CANNATA, Quod veteres constituerunt, Sul significato originario della ‘Perpetuatio obligationis’, cit., 89
e 91; cfr. anche Paul. 17 ad Plautium D. 45, 1, 91, 3.
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2.1.4. L’interpellatio in presenza di un termine. – L’ulteriore
interrogativo da porsi è se l’interpellatio fosse sempre necessaria per provocare le conseguenze della mora. Sappiamo che,
in ogni caso, non è necessario informare il ladro dell’obbligo
di restituire lacosa rubata. Egli lo sa perfettamente! Quindi,
per il furto, le conseguenze della mora si applicavano senza
nessuna interpellatio particolare in virtù dell’adagio «fur semper
in mora est»28.
In compenso, è più difficile determinare se l’esistenza di
un termine (dies) per adempiere a un’obbligazione era sufficiente a provocare le conseguenze della mora a partire dalla
scadenza del termine. Per riprendere l’opinione di Pomponio
(Pomp. 22 ad sab. D. 12, 1, 5), quello che contava era il fatto
che il debitore sapeva di dovere pagare «propter quam intellegere
deberes te dare oportere»29. Rispetto a un termine (dies), era dunque necessario deteminare se l’indicazione del suddetto dies
bastava a dimostrare che il creditore desiderava che la prestazione fosse eseguita30. In altre parole, l’indicazione di un termine equivaleva a interpellatio?
Se riprendiamo il brano di Marciano, dobbiamo ammettere che il criterio «ex persona» permette di fare un collegamento con Pomponio. La cosa fondamentale era il criterio
personale, ovvero il fatto di determinare se il debitore sapeva
di dover fornire la prestazione a un momento preciso31.
Un’interpellatio era dunque sempre necessaria in presenza di
un termine fissato contrattualmente, entro il quale il debitore
doveva eseguire la sua prestazione? Possiamo immaginare che
i testi lascino questa questione all’interpretazione del giudice.
Tutto dipendeva dalla maniera con la quale il dies era menzionato e ovviamente dalle circostanze specifiche del caso,
28 Ulp. 27 ad ed. D, 13, 1, 8, 1 più precisamente afferma: semper enim moram fur facere videtur; cfr. anche Tryph. 15 disput. D. 13, 1, 20; nel Medioevo
l’adagio fu creato sulla base di questi testi, cfr., tra gli altri, B. WINDSCHEID TH. KIPP, Lehrbuch des Pandektenrechts9, Frankfurt a. M., 1906 (ristampato a
Aachen 1984), 137 ss.; ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., 793; cfr. anche
KASER, Perpetuari obligationem, cit., 115 ss. e 142.
29 In questo senso, cfr. KASER, Perpetuari obligationem, cit., 108 ss.
30 GUARINO, Diritto privato romano12, cit., 1019, nt. 92.2 sembra ammettere questo, almeno per il diritto romano classico.
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che potevano giustificare che la prestazione non fosse fornita
per tempo.
Di fatto, due elementi permettono di affermare che l’interpellatio poteva ancora essere necessaria, anche in presenza
di un termine (dies):
a) La pretesa di un debito esigibile.
Il testo di Marciano non fornisce le condizioni «oggettive»
della mora. Tuttavia, possiamo afferrare tra le righe come la
mora del debitore dipendesse dal fatto che egli doveva pagare, in altre parole che la prestazione fosse esigibile32.
Questa pretesa di un debito esigibile risulta chiaramente
da un frammento di Paolo (Paul. 37 ad ed. D. 45, 1, 49, 3): Si
promissor hominis ante diem, in quem promiserat, interpellatus sit et
servus decesserit, non videtur per eum stetisse (Se colui che ha promesso uno schiavo è stato chiamato [interpellato] prima del
giorno [termine] per il quale l’aveva promesso e lo schiavo
muore, non risulta che sia a causa sua [non appare come responsabile]).
Il frammento appena riportato dimostra che l’esistenza di
un termine non esclude necessariamente il bisogno di un’interpellatio. Difatti, se il termine fosse stato sufficiente per provocare la mora, Paolo avrebbe evocato il decesso unicamente
domandandosi se questi avesse avuto luogo prima o dopo il
termine; egli evoca l’interpellatio per indicarci in quale momento essa rilevi.
b) La funzione dell’interpellatio.
La funzione dell’interpellatio è quella di trasformare il ritardo nell’esecuzione in un «ritardo qualificato», che noi
chiamiamo «mora». Considerando le conseguenze che la
mora implica per il debitore, era necessario assicurarsi che
egli sapesse di dover fornire la propria prestazione e che il
31 In questo senso cfr. ZIMMERMANN, The law of obligations, cit., 792; KASER,
Perpetuari obligationem, cit., 111 ss.
32 M. KASER - R. KNÜTEL, Römisches Privatrecht17, Munich, 2003, § 37, nt. 7;
M. TALAMANCA, Elementi di diritto privato romano, Milano, 2001, 339.
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non averlo fatto dipendesse solo da lui. Marciano (Marc. 4
reg. D. 22, 1, 32 pr.) parla in questo senso di «moram facere»
(produrre la mora [del debitore])33. L’interpellatio aveva così
la funzione di proteggere il debitore contro le severe conseguenze della mora.
Talamanca ritiene che un termine (dies), fissato nell’interesse del creditore, permetteva di ottenere la mora senza interpellatio se la prestazione doveva essere fornita al domicilio
del creditore (Bringschuld)34, come nel caso del denaro. In
presenza di una prestazione che doveva essere fornita al domicilio del debitore (Holschuld), l’interpellatio era collegata all’idea che il creditore dovesse accettare l’oggetto della prestazione, ciò implicava necessariamente un’interpellatio al momento in cui il creditore andava – invano – ad accettare tale
oggetto. La concezione di Talamanca non trova fondamento
nei testi, ma deriva piuttosto da una interpretazione del sistema attraverso il diritto moderno. Questo non significa che
questa concezione sia sbagliata in quanto tale, ma nemmeno
che sia senz’altro corretta.
Si nota dunque che la questione di sapere se un’interpellatio sia richiesta quando si è in presenza di un termine, non è
banale; la posizione tradizionale considera, probabilmente a
giusta ragione, che il giudice deve decidere in ogni caso sulla
base dei fatti. Se si preferisce un approccio procedurale della
mora debitoris, approccio privilegiato per esempio da Emmanuelle Chevreau35, si deve considerare che il giudice doveva
esaminare, al momento dell’esperimento dell’azione, se il debitore conosceva il suo dovere di fornire la sua prestazione,
che doveva essere ancora possibile al momento in cui essa era
dovuta. Quando la risposta a questa questione non era chiara
per delle ragioni legate ai fatti, il giudice doveva allora cercare un’interpellatio per determinare questo punto. E questo
dunque dava il via alle varie conseguenze (punitive) che abbiamo menzionato.
33 KASER,
Perpetuari obligationem, cit., 106.
TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 655; ID., Elementi, cit., 339.
35 CHEVREAU, Le temps et le droit: La réponse de Rome, L’approche du droit
privé, cit., 202 ss.
34 M.
Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
213
3. L’evoluzione nel Medioevo.
Passiamo ora ad analizzare l’evoluzione della funzione
della mora nel Medioevo. Dopo aver esaminato il periodo dei
glossatori e commentatori (infra, § 3.1.), concentrerò brevemente la mia attenzione sul cambiamento di prospettiva che
è apparso con gli umanisti francesi (infra, § 3.2.).
3.1. Il periodo dei glossatori e dei commentatori. – Per i glossatori e secondo la Glossa ordinaria, la mora (mora debitoris) ha
conservato una funzione punitiva. Questo è particolarmente
chiaro nella Lectura super Codice di Odofredo «unde magis puniendus est»36.
In primo luogo, la responsabilità per casus fortuitus vi era
in ogni caso, anche nell’ipotesi in cui la cosa sarebbe andata
distrutta anche se consegnata per tempo37. Tuttavia, Martino
era (cosa non soprendente) dell’avviso che bisognava prendere in considerazione il fatto che la cosa sarebbe andata distrutta anche se il debitore l’avesse consegnata per tempo38;
egli suggeriva quindi che il debitore non doveva essere ritenuto responsabile in un caso del genere, malgrado il fatto che
fosse in mora39. La maggior parte degli autori disapprovava
36 ODOFREDUS, Lectura super Codice, Part II, ad C. 7.47, n. 10, f. 122, Lugduni, 1552 (ristampato a Bologna, 1968).
37 Gl. Detrimentum ad D. 12, 1, 5; Gl. Difficilis ad D. 22, 1, 32 pr.: «…
Quintum habet effectum circa interitum. Nam indistincte morosus de periculo tenetur:
erat res peritura penes actorem, vel non: satis est enim quod potuit non perire …»;
Azonis, Lectura super Codice, ad C 7, 47, Parisii, 1577 (ristampato in: Corpus
glossatorum iuris civilis, III, Torino, 1966, 589): «distinguitur tamen a quibusdam: utrum erat peritura eodem modo penes deponentem, an non: ut in primo casu
non teneatur depositarius, in secundo teneatur. Sed nostri doctores dixerunt depositrium et quemlibet debitorem teneri de casu fortuito quia satis est quod res potuit non
perire penes actorem».
38 Cfr. Gl. Detrimentum ad D. 12, 1, 5, Lugduni, 1627 (ristampato a Osnabrück, 1965, I, col. 1204): «Nota post moram rei periculum ad creditorem non pertinere ut … Nec distinguitur, secundum Ioannem utrum eodem modo periisset penes
creditorem ut … Sed Martinus distinguebat per …»; anche gl. Si ex legati ad D. 45,
1, 23, Lugduni, 1627 (ristampato a Osnabrück, 1965, III, col. 933): «Re debita
post moram interempta debitor non liberatur, nisi fuisset omnino res peritura apud
creditorem, Sic recte M[ARTINUS] ex l.si plures.§.ult. supra depos. … Cuiac.».
39 Cfr. per questa opinione, HARKE, Schuldnerverzug, cit., 17.
214
Pascal Pichonnaz
questa opinione40, circostanza questa che mette in evidenza
che per tali autori lo scopo non consisteva nel compensare i
danni dovuti alla mora, ma nel punire il debitore moroso41.
Gli interessi di mora non erano ancora considerati come
in obligatione, quindi non potevano essere reclamati separatamente42. Questo conferma l’idea di una sanzione legale, come
possiamo vedere in un brano di Bartolo da Sassoferrato, che
scrive, mentre riflette sul divieto degli interessi «sed [usurae] ex
mora, id est, poena per legem statuta sunt, dico illas … licitas» (ma
gli interessi per la mora, cosa che significa che questo è imposto dalla legge come sanzione, dico…questo è lecito)43. Affinché queste conseguenze (e altre)44 si producessero, era necessario, secondo la Glossa ordinaria, che fossero rispettate
due condizioni: la possibilità e l’interpellatio.
3.1.1. La potestas (possibilità). – La prestazione doveva essere possibile. Gli autori non erano tuttavia concordi sulla
portata di questa idea. La Glossa ordinaria ha corretto, in D.
22, 1, 32 pr., il termine «difficilis» con «difficilis est. Id est impossibilis, sicut tertium notitia» (Difficilis est vuole dire impossibilità,
come è notato in terzo luogo).
3.1.2. L’ interpellatio. – La Glossa ordinaria insisteva sul
fatto che il debitore doveva capire o avrebbe dovuto capire
che doveva pagare: «cum intellegat se debere vel intellegere debeat»45.
L’interpellatio non era tuttavia necessaria in caso di furto (fur
semper in mora)46 o in presenza di minori di 25 anni47. Nelle al40 Cfr.
anche HARKE, Schuldnerverzug, cit., 20 ss.
tale argomentazione cfr. HARKE, Schuldnerverzug, cit., 19.
42 Cfr. HARKE, Schuldnerverzug, cit., 32 e i suoi riferimenti a AZONIS
(Summa codicis, ad C. 4, 32 [141]).
43 BARTOLUS DE SAXOFERRATO, Commentaria in primam Codicis partem, C. 1,
1, n. 8 (ed. Augustae Taurinorum, 1574, 3v).
44 Cfr. gl. Difficilis est ad D. 22, 1, 32 pr., I, Lugduni, 1627, col. 2040, che
stabilisce: «Haec autem mora sic commissa habet quinque principales effectus».
45 Gl. Difficilis est ad D. 22, 1, 32 pr., I, ed. cit., col. 2040.
46 Gl. Difficilis est ad D. 22, 1, 32 pr., I, ed. cit., col. 2041: «specialis autem
sit multis modis … Quinto, odio: ut fure et praedone».
47 Gl. Difficilis est ad D. 22, 1, 32 pr., I, cit., col. 2041: «specialis autem sit
multis modis … Secundo, in minoribus xxv annis ubi sit re ipsa ut [C. 2.40.3] et
haec purgatur temporis cursu».
41 Per
Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
215
tre ipotesi, l’interpellatio era sempre richiesta48. La sua definizione tuttavia si è evoluta, dato che l’interpellatio può prodursi
in tre modi diversi, come spiegato nella Glossa ordinaria (gl.
difficilis ad D. 22, 1, 32 pr.)49:
Interpellatus per diem appositae lapsum ut [D. 45, 1,
114 e C. 8, 37[38], 12], vel per litis contestationem ut
[D. 45, 1, 82, 1], vel per eius, cui debetur, denuntiationem congruo loco, et tempore factam ut ut [D. 22,
1, 32 e D. 45, 1, 23], cum intelligat se debere vel intelligere debeat, ut [D. 12, 1, 5], nec omissa sit debiti repetendi instantia, sine causa distulit rei praestationem,
vel solutionem, ut [D. 22, 1, 32 e D. 22, 1, 21].
a) «per diem appositae lapsum»: l’interpellatio poteva prodursi
per la scadenza di un termine inserito («appositus») nell’accordo;
b) «per litis contestationem»: esperendo l’azione, il creditore
segnalava la sua volontà di ottenere l’esecuzione e ciò era
quindi considerato equipollente a una interpellatio;
c) «per eius cui debetur denuntiationem»: la mora era anche
prodotta da un’interpellazione della persona in favore della
quale la prestazione doveva essere eseguita, ovvero il creditore, a condizione che questa interpellatio fosse fatta in un
luogo e in un momento opportuno e a condizione che il debitore avesse capito o avrebbe dovuto capire che doveva fornire la sua prestazione.
Dunque, la nostra questione di sapere se un’interpellatio
fosse necessaria malgrado la presenza di un termine non si
poneva più in questi termini nel Medioevo, dato che la scadenza del termine era considerata come interpellatio. L’espressione «dies interpellat pro homine» deve tra l’altro essere interpretata in questo senso: l’esistenza di un termine era un’interpellatio non (direttamente) fatta dal creditore.
48 ZIMMERMANN,
The law of obligations, cit., 795.
cosa era già affermata da ODOFREDUS, Lectura super Codice, I, ad C.
2, 40, 2, n. 8, Lugduni 1552, (ristampato in Opera iuridica rariora, V.1., Bologna, 1968, fol. 111).
49 La
216
Pascal Pichonnaz
Questo approccio non era tuttavia incontestato. In particolare, l’ultramontanus Petrus de Bellapertica considerava che
l’inserimento di un termine non era costitutivo di mora:
«[D]ico, appositio diei aliquem non constituit in mora»50. Questa
posizione fu poi nuovamente respinta, in particolare da Cino
da Pistoia, così come da altri autori51.
3.2. Un cambiamento di posizione con gli umanisti francesi. –
Una vera svolta si osserva negli scritti dell’umanista francese
Hugo Donellus e dei suoi compatrioti Jacopus Cuiacius e Antonius Faber. Per riassumere la loro posizione basta menzionare due aspetti essenzali: la funzione punitiva della mora
scompare (infra, § 3.2.1) e il fatto che l’interpellatio era fondata
sulla violazione colpevole di un’obbligazione (infra, § 3.2.2).
3.2.1. Il venir meno della funzione punitiva della mora. – Questo non deve esse frainteso. L’esigenza di una colpa apparve
con più vigore ; tuttavia, tutte le conseguenze erano legate all’idea che, a causa del ritardo colpevole, il debitore doveva
compensare il creditore per la sua perdita. In altre parole, il
risarcimento poteva essere accordato solamente se poteva essere collegato all’esecuzione tardiva. In caso contrario, accordarlo non sarebbe stato equo perché, come dice Donellus:
«Quod si verum est, non est aequum id detrimentum dependere te
mora facta, quod peculiariter cessationi tuae adscribi non potest»52.
Questo passaggio da una funzione punitiva a una funzione compensatoria può essere messo in relazione con due
punti.
La responsabilità aggravata per la perdita di una cosa in
caso di mora era applicata solamente se la perdita non
avrebbe colpito la cosa in caso di consegna tempestiva. Donel50 PETRUS DE BELLAPERTICA, Commentaria in Digestum Novum, ad D. 45, 1,
23, n. 4, Francoforti, 1571 (ristampato in Opera iuridica rariora, X, Bologna,
1968, 224); cfr. anche HARKE, Schuldnerverzug, cit., 39.
51 Su questo, cfr. HARKE, Schuldnerverzug, cit., 40, che cita parecchi
estratti.
52 H. DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 7, 47, c. 11, n. 9, in Opera
omnia, IX, Lucae, 1766, (ristampato a Goldbach, 1997, col. 862; per un’analisi, cfr. HARKE, Schuldnerverzug, cit., 54 ss.).
Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
217
lus si sofferma su tale punto. Egli enuclea dapprima la regola
secondo la quale il debitore in mora è responsabile anche
senza colpa o negligenza («quod sic accipiendum est, ut teneatur
etiamsi sine dolo malo et culpa, negligentiave eius perierit»)53. In seguito, Donellus continua e immagina la situazione nella quale
l’evento avrebbe colpito la cosa con una modalità simile, anche se il debitore avesse fornito la sua prestazione per tempo.
Per questo egli dice che il principio deve essere mitigato («se
contineri eius sententiae temperamentum») nel senso che la perdita
che colpisce il creditore («ad actorem pertinere») deve essere
sopportata da quest’ultimo54. Tuttavia, Donellus pone un limite: se il creditore fosse stato capace di vendere la cosa (nel
caso in cui l’avesse ricevuta per tempo) prima dell’evento, allora la perdita non poteva più essere sopportata dal creditore.
Di conseguenza, era il debitore che doveva sopportare la perdita. Donellus aggiunge però che ci sono svariate situazioni
nelle quali la perdita avrebbe colpito comunque il creditore,
per esempio, se il creditore fosse stato su una nave sulla quale
non c’era nessun mercante al quale vendere la cosa55. In un
caso del genere, il debitore non deve essere ritenuto responsabile («in his vero et similibus recte dixerimus naturali interitu …
debitorem liberari»)56. Allo stesso modo, Antonio Faber sottolinea che il debitor deve provare che la cosa oggetto della prestazione sarebbe ugualmente stata colpita dalla perdita se essa
fosse stata consegnata tempestivamente al creditore:
Ergo hoc casu depositarium et alium debitorem quemlibet
liberari aequum est, sed hoc ita, si clarissime probet, quod
plerumque difficillimum est aeque rem penes actorem fuisse
omnimodo perituram, puta si homo debitus statim post interpellatum debitorem repentino percussus morbo perierit, et ut
53 H. DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 16, 2, c. 2, n. 14, in Opera
omnia, IV, Lucae, 1766, (ristampato a Goldbach, ed. cit., col. 619 ss.).
54 DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 16, 2, c. 2, n. 15, in Opera
omnia, IV, ed. cit. (ristampato a Goldbach, ed. cit., col. 620).
55 DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 16, 2, c. 2, n. 15, in Opera
omnia, IV, ed. cit. (ristampato a Goldbach, ed. cit., col. 621 segg.).
56 DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 16, 2, c. 2, n. 15, in Opera
omnia, IV, ed. cit. (ristampato a Goldbach, ed. cit., col. 622).
218
Pascal Pichonnaz
certum sit medium tempus nullum intercessisse quo vendi
potuerit …57.
I danni che possono essere risarciti devono limitarsi alla
perdita causata dalla mora. Donellus restringe i danni dovuti
dal debitore moroso unicamente alla perdita causata direttamente dalla mora; essi devono quindi coprire l’interesse circa
rem, i danni direttamente legati alla cosa. Tale «causa unica»
quindi limitava l’entità dei danni coperti in caso di mora. Se
il creditore poteva ottenere l’esecuzione altrimenti, allora la
perdita risultante dall’inadempimento non era legata alla
mora. Il seguente brano di Donellus è piuttosto efficace al
proposito:
Nostra sic ratio est, neque in emptione et venditione,
neque in ullo alio iudicio, si res quae praestari debuit,
tradita non sit, eam utilitatem esse aestimandam, quae
circa rem non consistit: id est, quae ex re non est, seu
quae talis est, ut quamvis res absit, quae tradi debeat,
ipsa tamen esse, et percipi eodem modo potuerit
aliunde, neque interesse speciesne aliqua, ut triticum,
an pecunia debeatur quae praestita non fuerit …
Quod si verum est, non est aequum id detrimentum
dependere te mora facta, quod peculiariter cessationi
tuae adscribi non potest. Haec ratio, non in uno aliquo genere obligationis aut rei in obligationem deductae tantum valet, sed aeque in omnibus58.
57 A. FABER, Rationalia in tertiam partem pandectarum, in tres tomos divisa,
III, ad D. 16, 3, 14, 1, Lugduni, 1663, 360. Trad. it.: Dunque, in questo caso,
è giusto che il depositario o qualche altro debitore sia liberato, ma questo
solamente se riesce a provare in modo evidente, cosa che spesso è molto difficile, che la cosa sarebbe andata distrutta in ogni caso se si fosse trovata
nelle mani del querelante per esempio se dopo l’interpellatio del debitore lo
schiavo che era dovuto, si ammala e muore, e appare certo che in questo
periodo di tempo non sarebbe stato possibile venderlo.
58 DONELLUS, Commentarii de iure civili, ad C. 7, 47, c. 11, n. 9, in Opera omnia, IX, ed. cit. (ristampato a Goldbach, ed. cit., col. 885 ss.). Trad. it.: Così,
la nostra giustificazione risiede nel dire che se la cosa che doveva essere fornita non è stata trasferita, la sua utilità non deve essere stimata né nel caso
del contratto di vendita, né per un’altra azione, perché detta utilità non sta
Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
219
3.2.2. L’interpellatio fondata sull’inadempimento colpevole di
un’obbligazione. – Secondo Cuiacius, «[m]ora est culpa non respondentis ad conventionem opportunam creditoris, vel debitoris»59;
la mora consisteva quindi nella colpa del debitore o del creditore di non fornire la sua prestazione in modo conforme al
contratto. Di conseguenza, il non rispetto del momento fissato per l’esecuzione (tramite un’interpellatio o un termine
convenuto), era sempre considerato da Cuiacius come una
«violazione contrattuale» colpevole. La responsabilità per la
perdita dopo la mora era quindi dogmaticamente fondata su
una responsabilità convenzionale per colpa. Per questo Cuiacius interpretava l’espressione «dies interpellat pro homine» non
nel senso che il termine dava il via alla mora, ma nel senso
che il debitore stesso aveva accettato di pagare a una data determinata. Il non rispetto di questa intenzione iniziale era
dunque la vera interpellatio60.
Con Cuiacius il ruolo dell’interpellatio cambia in modo
fondamentale. Concepita inizialmente come uno strumento
che permetteva di giustificare il trasferimento del rischio in
caso di perdita a un debitore moroso, e come la sanzione di
un comportamento inappropriato tramite l’obbligazione di
pagare degli interessi di mora in caso di mancata esecuzione
della prestazione prima di una litis contestatio, l’interpellatio è
divenuta un meccanismo di sostituzione della colpa, che giustifica così il risarcimento dei danni per inadempimento colpevole degli obblighi contrattuali.
in quello che deriva direttamente dal valore della cosa: ovvero, che si ritenga
o meno il valore della cosa (ex re), malgrado il fatto che la cosa che doveva
essere fornita non è qua, questa cosa esiste e avrebbe potuto essere ottenuta
nello stesso modo altrove; né il contante né qualsiasi altra cosa contano qui,
come del grano o del denaro che era dovuto e non è stato fornito… Se questo è vero, non è giusto che tale svantaggio, che non può essere attribuito
particolarmente al tuo ritardo, dipenda dal fatto che tu abbia prodotto la
mora. Questo ragionamento vale non soltanto per un certo genere di obbligazioni o di cose che si trovano in un’obbligazione, ma allo stesso modo per
tutte.
59 J. CUIACIUS, Paratitla in libros Digestorum, ad D. 22, 1, in Opera Omnia, I,
Napoli, 1722-1727, col. 780.
60 J. CUIACIUS, Recitationes solemnes in 4-9 libros Codicis, ad C 8, 37, 12,
Francoforte, 1597, 946.
220
Pascal Pichonnaz
4. L’ interpellatio nei tempi moderni.
Le raccolte internazionali di regole, come la convenzione
delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionale di merci (CISG), così come i principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali (PICC), non fondano il risarcimento su una violazione colpevole delle obbligazioni.
Secondo l’art. 7.4.1 PICC («[o]gni inadempimento, sempreché non sia scusabile in conformità con i presenti Principi, attribuisce al creditore il diritto al risarcimento del
danno, sia a titolo esclusivo che congiuntamente ad altri rimedi»)61, l’inadempimento scusabile è legato alla forza maggiore o a una clausola di esenzione, dato che l’eccessiva difficoltà in quanto tale non esclude la responsabilità per danni62.
La stessa cosa vale per la CISG, dato che l’art. 45 par. 1, per il
compratore, e l’art. 61 par. 1 (b), per il venditore, dispongono
che «se il venditore [compratore] non adempie uno qualsiasi
degli obblighi risultanti per lui dal contratto di compravendita o dalla presente Convenzione, il compratore [venditore]
può … (b) chiedere risarcimento giusta gli articoli 74 a 77».
L’interpellatio dunque non è più richiesta per avere il diritto di domandare un risarcimento in caso di mora. L’inadempimento in quanto tale è sufficiente per avere diritto a
un risarcimento. Si può quindi pensare che la nozione di interpellatio non abbia più alcun ruolo in queste moderne raccolte di regole. Difatti, se il compratore o il venditore non è
privato del diritto di richiedere il risarcimento per remora
nell’adempimento (artt. 47 par. e art. 63 par. 2 CISG), egli
non può appellarsi ad altri mezzi in assenza di una violazione
fondamentale, a meno che egli non faccia un’ interpellatio per
un termine più lontano. Una volta trascorso il periodo addizionale senza che ci sia stata esecuzione, il venditore o il compratore può dichiarare sciolto il contratto secondo gli artt. 49
61 Per
un’analisi approfondita di questa disposizione, cfr. E. MCKENin Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial
Contracts (PICC) (eds. S. VOGENAUER - J. KLEINHEISTERKAMP), Oxford, 2009, nt.
1 ss. ad art. 7.4.1.
62 MCKENDRICK, in Commentary on the UNIDROIT Principles of International
Commercial Contracts (PICC), cit., nt. 6 ad art. 7.4.1.
DRICK,
Mora e interpellatio nello sviluppo del diritto privato in Europa
221
par. 1 e 64 par. 1 CISG. L’interpellatio ha quindi una nuova
funzione, che è quella di rendere possibile la risoluzione del
contratto.
Lo stesso regime si riscontra nei principi internazionali,
come all’art. 8:106 PECL e l’art. 7.1.5 PICC, nonché nel recente Draft Common Frame of Reference (art. III-3:503 DCFR)63.
In tutti questi contesti, il diritto di mettere termine al contratto esiste, in primo luogo, in tutti i casi di violazione fondamentale del contratto o di «inadempimento essenziale»
(art. 9:301 PECL; art. 7.3.1 PICC), oppure quando una proroga è stata accordata. Questa proroga compensa allora l’assenza di violazione fondamentale o l’inadempimento (art.
9:303 PECL; art. 7.1.5 PICC)64.
Questa è una funzione che si può già trovare in certi sistemi nazionali; per esempio il diritto tedesco, come quello
italiano e svizzero, prevede un termine supplementare (délai
supplémentaire, Nachfrist), che permette al creditore di mettere
fine al contratto alla scadenza («vom Vertrag zurücktreten»,
BGB, § 32365 e § 325; «il contratto s’intenderà senz’altro risoluto»,
art. 1454 c.c.66; «recedere dal contratto», art. 107, Codice svizzero
delle obbligazioni). Ancora una volta, in questi sistemi nazionali, questa «seconda» interpellatio introduce la possibilità di
risolvere il contratto.
Così, all’epoca attuale, l’interpellatio ha acquisito una
nuova funzione. Dopo essere stata essenzialmente richiesta
63 Art. III-3:503 par. 1: «A creditor may terminate in a case of delay in
performance of a contractual obligation which is not in itself fundamental if
the creditor gives a notice fixing an additional period of time of reasonable
length for performance and the debtor does not perform within that
period».
64 SCHELHAAS, in Commentary on the UNIDROIT Principles of International
Commercial Contracts (PICC), cit., nt. 5 ad art. 7.1.5; S. EBERHARD, Les sanctions
de l’inexécution du contrat et les Principes UNIDROIT, Lausanne, 2005, 166 ss.
65 «Erbringt bei einem gegenseitigen Vertrag der Schuldner eine fällige
Leistung nicht oder nicht vertragsgemäß, so kann der Gläubiger, wenn
er dem Schuldner erfolglos eine angemessene Frist zur Leistung oder
Nacherfüllung bestimmt hat, vom Vertrag zurücktreten».
66 «Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente
detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto».
222
Pascal Pichonnaz
nel diritto romano per permettere delle misure punitive,
come il trasferimento del rischio in caso di mora e la concessione di interessi di mora come sanzione, l’interpellatio è infine
stata considerata come un mezzo, fondato sulla colpa, per costituire una violazione degli obblighi contrattuali.
E solamente nel diritto moderno che la funzione dell’interpellatio è divenuta quella di rendere qualsiasi violazione sostanziale o fondamentale e quindi di permettere la risoluzione del contratto. In questa nuova prospettiva non è più essenziale decidere se la mora sia possibile anche nel caso in cui
il ritardo si produca senza nessuna colpa, dal momento che
un risarcimento è dovuto in tutti i casi, a meno che non si sia
in presenza di un evento inevitabile, imprevedibile e irresistibile (art. 79 CISG). Quello che è davvero importante, è il
fatto di sapere se la parte morosa è cosciente di essere in
mora; se ella insiste nel rifiuto di fornire la sua prestazione, la
violazione diviene fondamentale, cosa che permette all’altra
parte di risolvere il contratto. Comunque, siamo qui in presenza di un continuum dall’epoca romana, nel senso che lo
scopo dell’interpellatio è quello di dare al debitore un avvertimento prima di provocare delle conseguenze sfavorevoli: un
trasferimento del rischio nel diritto romano, dei danni compensatori per gli umanisti, la risoluzione del contratto nel diritto moderno.