Quel che resta delle scuole speciali

Transcript

Quel che resta delle scuole speciali
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale 70% - Milano
IL MAGAZINE PER LA DISABILITÀ / APRILE 2015 / NUMERO 4
ISTRUZIONE
Le scuole speciali
esistono ancora
ALEX ZANARDI
INTRATTENIMENTO
Un videogioco
solo in formato audio
Le mie “piccole” imprese
Ispirare gli altri mi scalda il cuore
l’inchiesta L’altra istruzione
In Italia sono una settantina
e vengono scelte soprattutto
per insoddisfazione verso
i percorsi tradizionali. Molte
si appoggiano a un centro
di riabilitazione. Poi ci sono
gli Istituti per l’istruzione dei
sordi, le scuole per ciechi e
quelle integrate, mentre la
filosofia steineriana propone
la pedagogia curativa. Ma
Belgio, Germania e Olanda
preferiscono le scuole
differenziali, che spesso
rappresentano un’eccellenza
Quel che resta
Michela Trigari
A
ngela ha lasciato la Calabria
per iscrivere la figlia disabile alle medie del centro “La
nostra Famiglia” di Bosisio Parini (Lecco) «dopo un’esperienza
non buona con la scuola ordinaria». Ana, invece, residente a Pesaro ma originaria della Moldavia
– dove ha frequentato le scuole speciali per non udenti –, ha scelto l’Istituto statale per l’istruzione dei
sordi di Padova «per via della possibilità di seguire le lezioni anche in
lingua dei segni». Nell’Italia dell’integrazione scolastica quasi nessuno
ne parla, forse perché sono poche
o forse perché sono un tabù, ma le
scuole speciali, quelle cioè per bambini e ragazzi con disabilità, esistono ancora: sono una settantina (24
solo in Lombardia). A frequentarle circa 1.800 alunni, anche stranie-
SuperAbile INAIL
8 Aprile 2015
ri, su 189.500 studenti disabili nella
fascia d’età dell’obbligo formativo, e
solo lo 0,3% sono private (dati 2012
dell’Agenzia europea per i bisogni
speciali e l’educazione inclusiva).
La normativa italiana infatti – dalla legge 118 del 1971 alla legge 517 del
1977 – non le ha abolite: ha semplicemente spinto affinché l’istruzione
avvenisse nelle classi “normali” della scuola pubblica, vietando le classi
differenziali all’interno del sistema
scolastico ordinario e istituendo la
figura dell’insegnante di sostegno.
Così le scuole speciali sono sopravvissute, dal nido alle superiori
fino ai corsi di formazione professionale. Ma le più numerose sono le
primarie. Molte si appoggiano a un
centro di riabilitazione o a una comunità alloggio, soprattutto quelle per ragazzi con disabilità gravi o
plurime – per esempio quelle che si
delle scuole speciali
trovano presso Casa Serena di Trento, la Fondazione don Gnocchi di
Milano, l’Istituto “Vaccari” di Roma, facenti capo a un circolo didattico o a un istituto comprensivo –,
mentre la “Rodari di Seregno (in
provincia di Monza e della Brianza)
e la “Paolo e Larissa Pini” di Milano sono scuole pubbliche tout court.
In quest’ultima c’è spazio anche per
l’italiano segnato, la comunicazione aumentativa alternativa e vari tipi di ausili; si lavora sull’autonomia
e agli alunni è garantita la somministrazione di farmaci, l’assistenza medica e l’alimentazione tramite
Peg in collaborazione con il personale sanitario dell’Unità operativa
Sopra, un momento di lezione in una
delle scuole con particolari finalità dei
centri dell’Irccs “Medea-La nostra Famiglia”
di neuropsichiatria dell’infanzia e
dell’adolescenza.
Per le disabilità sensoriali, invece, meritano attenzione soprattutto l’Istituto “Smaldone” di Roma,
Salerno e Napoli (dai 3 ai 14 anni),
l’Istituto statale per l’istruzione specializzata dei sordi “Magarotto” di
Torino, Padova e Roma e le scuole
per non vedenti “Keller” di Torino,
“Nicolodi” di Firenze e “Colosimo”
di Napoli (la prima è una secondaria
di primo grado, mentre gli altri sono istituti statali di secondo grado).
Ad Assisi, poi, l’Istituto comprensivo per ciechi e pluriminorati va
dalla scuola dell’infanzia “Casoria”
fino alle medie. Accanto ad alcuni di questi plessi sorgono i relativi convitti perché spesso gli studenti
provengono da altre città. Esistono
inoltre esperienze integrate: si tratta quasi sempre di ex istituti reliSuperAbile INAIL
9 Aprile 2015
giosi per non udenti che aprono la
didattica a tutti – come per esempio
la scuola dell’infanzia “San Francesco di Sales” di Pianezza (Torino), il
Centro scolastico Effetà di Marola
di Torri di Quartesolo (Vicenza), le
scuole “Figlie della Provvidenza” di
Modena e Carpi, il nido e la scuola
dell’infanzia della Fondazione Gualandi di Bologna – oppure come la
scuole media “Vivaio” per ciechi
di Milano. Ma ci sono anche istituti ordinari che adottano programmi ad hoc, come al comprensivo
di Cossato (Biella) e al “Barozzi” di
Milano per il bilinguismo italiano/
lingua dei segni o come il progetto
“Il Braille a scuola” al comprensivo
1 di Chieti, a cui partecipano tutti i
compagni di classe di Sofia.
E non mancano nemmeno i corsi
di formazione professionale per non
vedenti offerti dagli istituti per cie-
l’inchiesta L’altra istruzione
chi (Rittmeyer” di Trieste, “Cavazza” di Bologna, “Configliachi” di
Padova, “Falqui” di Cagliari, Istituto
dei ciechi di Milano) che, dagli anni Settanta in poi, hanno pian piano
abbandonato la didattica per convertirsi ad altre attività di consulenza e supporto. Si tratta soprattutto
di corsi di informatica, per ottenere il patentino Ecdl (European computer driving licence), per diventare
centralinisti e operatori di call center: professione, questa, per cui la
legge prevede ancora un Albo nazionale e il collocamento obbligatorio.
ni che permettono loro di operare,
il modello pedagogico di riferimento, le caratteristiche degli alunni disabili, le motivazioni che portano i
genitori a sceglierle.
L’unica indagine degna di nota è la ricerca Le scuole speciali in
Lombardia a cura di Luigi D’Alonzo (edita da Vita e Pensiero nel
2012), finanziata dall’Ufficio scolastico regionale. Delle 24 scuole
censite 17 sono primarie e 19 sono
statali, la maggior parte sono inserite in centri di riabilitazione o istituti fondati da ordini religiosi dove
a volte i ragazzi trascorrono l’inteUn caso di studio chiamato Lombar- ra settimana scolastica per fare ridia. A livello nazionale, però, non entro a casa solo nel weekend, non
esiste un quadro generale capace
di fotografare e analizzare la realtà Sotto alcuni studenti delle scuole
delle scuole speciali italiane, le sov- con particolari finalità dei centri di
venzioni e le eventuali convenzio- riabilitazione “Medea-La nostra Famiglia”
SuperAbile INAIL
10 Aprile 2015
sono capillarmente presenti in tutta la regione e rappresentano solo lo
0,35% dell’offerta formativa. Nessuna chiede contributi alle famiglie,
comprese le paritarie e le private.
Ogni scuola speciale propone un’organizzazione variabile, con un numero di alunni disabili che va da
3 a 13 per ciascuna classe e un rapporto medio di circa un insegnante
ogni tre studenti (coadiuvato da un
educatore). L’età degli alunni è molto eterogenea: la scuola dell’infanzia
accoglie bambini che superano i canonici sei anni di età previsti, mentre la primaria e la secondaria di
primo grado hanno al loro interno
studenti disabili che arrivano fino
ai 18 anni. Tutti gli allievi presentano disabilità gravi: prevale il ritardo mentale (45%), seguito dalle
alterazioni dello sviluppo (24%). Le
Qui Europa. In Olanda una scuola
internazionale per bambini autistici
B
convenzioni che permettono a queste scuole speciali di operare sono
stipulate direttamente tra l’Ufficio
scolastico regionale della Lombardia e gli enti coinvolti, in base a un
accordo ad hoc.
Per quanto concerne la scelta delle famiglie, il 49% ha deciso autonomamente di far frequentare questa
tipologia di scuola al proprio figlio,
mentre la restante metà si è affidata
al consiglio di un esperto. Dai dati
analizzati si evince poi che la scelta delle scuole speciali è spesso determinata da insoddisfazione verso
i percorsi tradizionali: i genitori intervistati giudicano invece positiva l’esperienza delle scuole speciali,
capaci di offrire (in un unico ambiente) risposte multidisciplinari di
natura riabilitativo-sanitaria e didattico-educativa per la presa in carico globale e continua del bambino.
L’unico neo? La scarsa interazione
con ragazzi che non siano disabili.
“Medea-La nostra Famiglia”: liste
d’attesa nelle sue scuole particolari.
La signora Angela e sua figlia tredicenne si sono trasferite in provincia di Lecco due anni fa. Vengono da
Reggio Calabria: il marito e gli altri due figli maggiorenni sono rimasti là. «Federica ha dei problemi di
udito che risolve con le protesi e un
lieve ritardo cognitivo. La materna
e la primaria pubbliche frequentate
nella nostra città non offrivano risposte adeguate e così, per le medie,
abbiamo optato per quelle del centro di riabilitazione “La nostra Famiglia” di Bosisio Parini, dove mia
figlia era già in cura da anni. Qui lavorano molto sull’autonomia, come
anche sull’istruzione, e le classi sono omogenee per grado di disabilità. Siamo contenti dei risultati».
elgio e Germania sono
i Paesi in cui le scuole
speciali sono la regola. Nel
primo per la quasi totalità
degli studenti, nel secondo
per 378mila alunni disabili
su 480mila. In Svezia e
in Grecia, invece, vige il
modello delle classi differenziali all’interno del
sistema scolastico ordinario. Solo in Italia, Islanda,
a Malta e Cipro regna il
principio della piena integrazione. In tutti gli altri
Paesi infatti – nell’80% dei
casi –, le scuole speciali,
le classi separate o un
sistema misto tra queste
due coprono buona parte
dell’offerta formativa e
vengono frequentate da
circa la metà dei ragazzini
con disabilità (in Lettonia il
numero sale a 7.200 alunni
su 9.700). I dati sono contenuti nel rapporto 2012
dell’Agenzia europea per i
bisogni speciali e l’educazione inclusiva. In Olanda,
poi, esiste una scuola
speciale internazionale
che adotta l’inglese come
prima lingua e rappresenta
un’eccellenza. A raccontare
la propria esperienza alla
“Lighthouse” è Eugenio
Pastorboni, padre di Pietro,
un ragazzino autistico di
13 anni, a L’Aia con tutta la
sua famiglia per motivi di
lavoro. «Il sistema scolastico
olandese prevede vari tipi
di scuole speciali per diversi
gradi di disabilità, quindi
anche per l’autismo. Il vantaggio è l’affiancamento
all’insegnamento di attività
come logopedia, fisioterapia, terapia occupazionale
e metodi Aba e Teacch,
che vengono forniti nella
stessa scuola favorendo così
l’interazione tra maestri e
terapisti, e il rapporto di un
insegnante e un assistente
ogni sei-sette ragazzi (che
poi è il numero di alunni per
classe). I bambini fra i tre e
i cinque anni frequentano
un gruppo prescolare misto
(con prevalenza di bambini
“normodotati”), mentre
con l’inizio della scuola
dell’obbligo gli alunni disabili vengono inseriti in una
classe dedicata all’insegnamento specifico e seguiti
fino ai 14 anni». Ai bambini
vengono dati obiettivi di
aritmetica, lettura, scrittura
e socialità secondo un
piano educativo individuale, valutato e aggiornato
nelle riunioni tra genitori e
team educativo.
Alla “Lighthouse” non
mancano momenti di integrazione con la scuola
ordinaria adiacente, che
per Pietro si sono tradotti
in matematica, musica ed
educazione fisica. «Siamo
molto soddisfatti di aver
trovato questa piccola oasi
speciale – commenta –:
Federica, al di fuori della scuola, fa ginnastica artistica e segue un
corso di chitarra per non correre il
rischio di sentirsi emarginata. Anche Luca va alle medie: ha 16 anni, è
in sedia a ruote, ha difficoltà a usare le mani, non comunica verbalmente ma il livello di comprensione
è buono. «È rimasto disabile per via
di un arresto cardiorespiratorio avvenuto dopo un intervento, che tra
SuperAbile INAIL
11 Aprile 2015
maestre e assistenti sono
qualificate, competenti e
molto coinvolte nell’educazione degli alunni». Per
quanto riguarda le diete e
altre terapie alternative, lo
staff preferisce rimanere
neutrale. I risultati ottenuti
da Pietro sono molto buoni
per la parte didattica e sociale, non altrettanto per la
parte linguistica: «Mio figlio
usa ancora poche parole e
poche frasi, sia in inglese
sia in italiano, ma almeno
mostra interesse per la
comunicazione e ama la
geografia».
Nota dolente: il costo
elevato della retta annuale, dal momento che
la scuola non riceve alcun
sussidio governativo. «Noi
fortunatamente siamo
supportati dal mio datore
di lavoro, che paga il 90%
della quota, mentre gli altri
pagano in base alle proprie
possibilità». Purtroppo questo sarà l’ultimo anno alla
“Lighthouse” di Pietro: dal
prossimo dovrà frequentare
un’altra scuola speciale e
imparare l’olandese, «ma
noi rimaniamo ottimisti. La
società, qui, ha l’obbligo
di trovare un posto per
tutti, secondo le possibilità di ciascuno – spiega
Pastorboni –. È anche per
questo motivo che probabilmente non torneremo
più a vivere in Italia». [M.T.]
l’altro era riuscito, per risolvere un
tumore cerebrale. All’epoca aveva
tre anni e frequentava una materna parrocchiale – racconta la madre Anna Maria –. Quando però è
stato il tempo di rientrare, la scuola
ha iniziato ad avanzare alcuni problemi come l’assenza del montascale e le difficoltà durante i pasti. Così,
vista anche la scontentezza dei genitori di un bambino con sindrome
l’inchiesta L’altra istruzione
Ianes: «È la logica di partenza che è sbagliata»
N
on le demonizza,
anzi è convinto
che possano lavorare
bene, ma le considera
un passo indietro nel
processo di integrazione
scolastica intrapreso
dall’Italia a partire dagli
anni Settanta. Il giudizio
sulle scuole speciali
arriva da Dario Ianes
(nella foto), docente di
Pedagogia e didattica
speciale alla Libera
Università di Bolzano
e fondatore del Centro
studi Erickson di Trento,
casa editrice che fa
anche formazione
ed è specializzata in
disabilità, difficoltà di
apprendimento, bisogni educativi specifici,
sostegno, psicologia e
psichiatria, lavoro sociale e welfare.
Perché si parla così poco di
scuole speciali?
Credo che nell’immaginario collettivo
del nostro Paese si sia
radicato il concetto che
l’integrazione scolastica
degli alunni disabili sia
un bene, mentre per
le scuole speciali sia
passata l’idea che rappresentino una forma di
segregazione, visto che
i ragazzi sono separati
dal resto dei loro coetanei. Per questo esiste un
timore generale nell’affrontare l’argomento.
Ma servono ancora?
Io sono convinto che
non servano perché si
possono trovare delle
forme di integrazione
efficaci anche nella
scuola ordinaria: è
difficile, ma non impossibile. Le scuole speciali
italiane possono anche
lavorare bene, soprat-
insieme che si trasforma
in amicizia e li legherà
per sempre. Ecco, penso
che il significato sia proprio questo.
Che senso hanno, allora?
Danno una risposta
più semplice a quei
genitori delusi che si
sono scontrati con il
processo degenerativo
in atto in alcune scuole
ordinarie: ragazzi parcheggiati in classe, tagli
alle ore di sostegno,
insegnanti impreparati. Effettivamente le
scuole speciali spesso
forniscono risposte più
adeguate, che soddisfano i genitori pure
tutto per il fatto di avere rispetto all’apprendipochi alunni e molti
mento, ma tutto quello
insegnanti tutti per
che possono offrire è
loro, ma è la logica di
replicabile anche nella
partenza a essere sbascuola ordinaria.
gliata. Rappresentano
Se l’integrazione scolaun passo indietro,
stica è in affanno, lei cosa
una sorta di ritorno al
propone?
passato. È vero che dal
Bisognerebbe riformare
punto di vista strettail sistema. Per esempio
mente tecnico c’è più
trasformando gli inriabilitazione, ma manca segnanti di sostegno,
completamente il rapche ora sono una figura
porto con compagni
separata, una specie
di classe che non siano
di insegnanti di serie
disabili.
B che non hanno una
E questo per lei non va
piena contitolarità della
bene...
didattica, in insegnanti
In un libro di Stephen
curricolari veri e propri
King, L’acchiappasogni,
coadiuvati dalla conuno dei protagonisti
sulenza tecnica e dal
è un bambino Down
supporto operativo di
che frequenta una
alcuni esperti. Chiaro
scuola “diversa”: gli altri che è complesso, ma
ragazzini la chiamano
l’integrazione scolastica
“l’Accademia dei rinco”. è la direzione giusta.
Poi vivono un’avventura [M.T.]
SuperAbile INAIL
12 Aprile 2015
di Down in classe con l’altra mia figlia più grande, che ha frequentato
la scuola ordinaria, abbiamo deciso
di iscrivere Luca in questo istituto».
Si chiamano “scuole con particolari finalità” e sono previste dalla
stessa legge 118/71. Questo ha permesso ad alcuni centri di riabilitazione per disabili di sviluppare
anche una parte relativa a istruzione e formazione. L’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico
“Eugenio Medea-La nostra Famiglia” è uno di questi: così, nelle sedi di Bosisio Parini (Lecco), Vedano
Olona (Varese), Ponte Lambro (Como), Treviso e Conegliano Veneto,
Pasian di Prato (Udine), San Vito al
Tagliamento (Pordenone), Cava de’
Tirreni (Salerno), Brindisi e Ostuni,
i ragazzi con disabilità complesse o
associate a situazioni familiari e sociali difficili vanno anche a scuola.
fino a 18 anni perché non trovano
sbocchi adeguati nella scuola o nei
centri diurni». Per questo le sedi di
Bosisio Parini, Conegliano Veneto e San Vito al Tagliamento organizzano anche corsi di formazione
professionale (artigianato artistico
e pasticceria). E all’obiezione della scarsa interazione scolastica con
il mondo della non disabilità, Carla
Andreotti risponde così: «Prendiamo un ragazzino fortemente spastico, ipovedente e con un ritardo
mentale. Cosa può fare in una classe
ordinaria? E come fanno le superiori ad accoglierlo? Che integrazione è
questa, se resta fuori dall’aula come
si sente spesso dire? Si deve lavorare prioritariamente per il benessere
della persona e della sua famiglia:
la scuola è solo uno dei tanti periodi della vita di un uomo e la sfida
dell’integrazione è da vincere su alSono poco più di 200 gli alun- tri livelli e ben oltre la scuola».
mondo del lavoro fatto in prevalenni che frequentano le “scuole partiza da udenti». Ne è convinta anche
colari” del centro di Bosisio Parini,
“Magarotto”, non solo lingua dei se- il direttore di sede del “Magarotgestito dall’associazione La nostra gni. Vanessa ha deciso di iscriver- to”, Elisa Garieri: «Un ambiente doFamiglia: vanno soprattutto alla si all’Istituto tecnico commerciale ve i ragazzi sono tutti uguali, dove
primaria e alla secondaria di pri- “Antonio Magarotto” di Padova, un la formazione è alla pari, migliora
mo grado, seguono un progetto di- istituto statale per l’istruzione spe- l’autostima e aiuta a crescere. Nelle
dattico-riabilitativo individuale e cializzata dei sordi, «perché nelle scuole ordinarie questo non avviene
sono accompagnati, oltre che dagli scuole comuni l’insegnante di so- e capita spesso che gli studenti sordi
insegnanti, anche da pedagogisti, stegno o l’assistente alla comuni- si sentano diversi, svantaggiati, difisioterapisti, logopedisti, psico- cazione è presente pochissime ore sabili. Da noi, invece, la crescita perlogi, educatori e assistenti sociali. e quindi non avrei potuto seguire sonale e il bilinguismo – alla lingua
«Il problema sono le liste d’attesa la maggior parte delle lezioni». Le dei segni è sempre affiancato il parper entrare: abbiamo più doman- elementari le ha fatte in una scuo- lato – facilitano il loro inserimento
de di quelle che riusciamo a sod- la pubblica calabrese, infatti è nata lavorativo».
Al “Magarotto” di Padova – che
disfare, segno di un bisogno reale a Maierato (in provincia di Vibo Va– dice Carla Andreotti, responsabi- lentia), mentre le medie allo “Smal- conta 65 studenti non udenti provele Sviluppo e formazione per La no- done” di Salerno, una scuola per nienti da tutta Italia, vanta anche un
stra Famiglia –. Inoltre incontriamo non udenti gestita dalle suore. Fre- indirizzo amministrazione, finanza
delle difficoltà anche a far uscire i quenta la terza C a indirizzo siste- e marketing e un liceo artistico per
ragazzi, che spesso restano da noi mi informativi aziendali, vive in l’audiovisivo e il multimediale – la
convitto, è contenta della sua scelta Lis viene insegnata pure come maIn alto a sinistra, un alunno dell’Irccs “Medea-La e pensa che questo istituto la possa teria a sé da docenti che collaborano
nostra Famiglia”. A destra, una lezione in Lis
«preparare meglio ad affrontare un con l’Università Ca’ Foscari di Venenell’Istituto per sordi “Magarotto” di Padova
SuperAbile INAIL
13 Aprile 2015
l’inchiesta L’altra istruzione
zia in quanto, «in alcuni casi, i ragazzi provengono da famiglie che
non la usano e, vivendo per la stragrande maggioranza in convitto, si
troverebbero isolati», commenta la
preside. Tutti gli insegnanti dell’istituto sono specializzati e in tutte
le aule sono presenti la Lim (lavagna
interattiva multimediale), il collegamento a Internet e un monitor da 42
pollici per le comunicazioni scolastiche che vengono videoregistrate
in lingua dei segni. «Insegnamento
e didattica da noi sono visivi – spiega Garieri –: se i ragazzi non ti guardano li hai persi». Come in tutte le
scuole superiori si fanno gite, progetti e sport, ma in più qui c’è anche un parco avventura con percorsi
sospesi in aria e una parete per l’arrampicata. L’obiettivo? Unire alle
attività all’aria aperta quelle di problem solving e di team building.
L’Isiss “Antonio Magarotto” vanta anche altre due sedi “sorelle”: una
a Torino, con un diploma in servizi commerciali e l’altro in manutenzione e assistenza tecnica, e una
sede a Roma con il liceo scientifico e gli indirizzi elettrico, grafico
e aziendale. Qui, oltre alle superiori, per l’istruzione dei sordi ci sono anche la scuola dell’infanzia e la
primaria “173° circolo didattico” (in
un plesso diverso) e la secondaria di
primo grado “Severino Fabriani”.
“Colosimo”, dove Braille e tiflo-informatica sono la norma. Se Roberto
avesse conosciuto prima l’esistenza dell’Istituto statale d’istruzione superiore per ciechi e ipovedenti
“Paolo Colosimo” di Napoli vi si sarebbe iscritto già anni fa, non nel
luglio scorso. Originario di Atripalda, in provincia di Avellino, la sua è
una storia tutta particolare: 31 an-
SuperAbile INAIL
14 Aprile 2015
ni, ipovedente, soffre di una malattia degenerativa della retina che lo
ha costretto a tornare indietro nel
suo percorso di studio. «Ho un diploma di ragioniere programmatore, ma ho dovuto abbandonare la
facoltà di Giurisprudenza di Salerno perché ci vedevo sempre peggio
e non sarei mai riuscito a fare l’avvocato o il consulente legale. Così ho
cercato su Internet qualcosa che mi
offrisse un’opportunità di lavoro e
ho trovato il “Colosimo”. Ho scelto
la qualifica regionale di centralinista telefonico e mi sono trasferito»,
spiega. Roberto risiede nel convitto regionale annesso alla scuola
(gli studenti convittori sono 50 circa, provenienti dal Centro-Sud) e, a
parte i 30 euro per l’iscrizione, non
spende un soldo. «Libri, cd e quaderni li fornisce l’istituto, mentre
l’alloggio è a carico della Provincia
di appartenenza. Quando frequentavo le scuole ad Avellino, invece, i
libri di testo ingranditi li dovevano pagare i miei genitori – racconta
Roberto –. Qui, per fortuna, sintesi
vocale e pc rendono tutto più semplice, anche perché conosco poco il
Braille, mentre le attività extrascolastiche come sport, musica e teatro
facilitano la socializzazione».
Oltre alla qualifica professionale
di centralinista, l’Istituto “Colosimo” di Napoli offre quella di operatore del benessere (con competenze
nel campo della massofisioterapia)
e due diplomi di maturità: uno come tecnico dei servizi commerciali e l’altro come tecnico dei servizi
sociosanitari. A frequentarlo sono
180 studenti, di cui un terzo vedenti. Computer e apparecchi elettromedicali sono dotati di sintesi
vocale; abbondano scanner e ausili tiflotecnici, dal display in Brail-
A sinistra, un pc con la tastiera in Braille
all’Istituto per ciechi “Colosimo” di Napoli.
A fianco Raffaella Brambilla, responsabile
del progetto di pedagogia curativa della
scuola “Steiner” di Milano, con un’alunna.
A pag. 16 un gruppo di pedagogia curativa
della scuola steineriana di Milano
le alle dattiloritmiche, dai percorsi
podotattili per orientarsi all’interno della scuola ai calcolatori parlanti. I docenti sono specializzati
sulla disabilità, c’è il servizio di sostegno psicologico e di assistenza
alla comunicazione. «Il nostro istituto rappresenta un’opportunità
per quei giovani non vedenti o ipovedenti che, non amando gli studi umanistici o scientifici, optano
per l’istruzione professionale e per
un inserimento più rapido nel mondo del lavoro – dice la dirigente scolastica Maria Rosaria Perez –. Ma,
al di là di questo, l’offerta formativa del “Colosimo” punta sulle competenze che i ragazzi non vedenti
devono possedere. Arrivano spesso alunni che conoscono appena il
Braille, non hanno dimestichezza
con il computer con sintetizzatore vocale, non hanno mai posseduto un registratore come strumento
per l’apprendimento uditivo, per cui
non hanno sviluppato la capacità di
comprendere e rielaborare un testo.
È triste ammettere che molti adolescenti pagano lo scotto del pietismo
generalizzato che aleggia intorno
alla cecità. Gli sconti sull’istruzione
concessi dal buonismo della scuola
ordinaria hanno prodotto delle lacune gravissime nel loro bagaglio
culturale. In questi casi la scuola
speciale resta ancora l’ultima occasione formativa che consente un
futuro lavorativo e d’integrazione
sociale».
I gruppi di pedagogia curativa targati Steiner. Anche la pedagogia stei-
neriana – un ciclo unitario di otto
anni con un maestro unico responsabile degli insegnamenti principali
– si occupa di disabilità. Lo fa attraverso la pedagogia curativa antro-
posofica, dove le attività educative
vengono svolte come fossero processi terapeutici e dove i bambini
con bisogni speciali vengono suddivisi in piccoli gruppi. In Italia, però,
non tutte le scuole steineriane hanno “classi” di pedagogia curativa. La
scuola “Rudolf Steiner” di Milano sì.
«I 15 bambini con disabilità (soprattutto ritardo cognitivo) che frequentano i due gruppi, uno per la fascia
9-10 anni e l’altro per la fascia 12-13
anni, sono iscritti alle relative classi di appartenenza, a seconda della loro età anagrafica, ma seguono
un piano educativo individualizzato in cui la didattica è proposta in
modo differente, più concreto ed
esperienziale – spiega la responsabile del progetto di pedagogia curativa Raffaella Brambilla –. Questo
significa che l’insegnante agisce in
modo sottilmente diverso per ogni
SuperAbile INAIL
15 Aprile 2015
bambino, pur all’interno di una lezione corale, cercando di armonizzarne i tempi di apprendimento di
ciascuno. L’integrazione con gli altri
compagni di classe avviene quando il bambino è realmente pronto e
durante le feste, i momenti di gioco
condiviso, l’intervallo, le gite: lo stare semplicemente nello stesso luogo
non significa inclusione vera. Infatti alcuni alunni disabili arrivano da
noi demotivati da una precedente esperienza scolastica», commenta Brambilla. Oltre alla normale
didattica, nei gruppi di pedagogia
curativa si fanno lavori manuali,
educazione motoria, musica, attività artistico creative, giardinaggio ed
euritmia terapeutica (ovvero un’arte
del movimento che unisce la gestualità al suono, al linguaggio e allo
spazio interiore ed esteriore dell’uomo) e i bambini vengono seguiti da
l’inchiesta L’altra istruzione
un team che comprende anche un
medico e alcuni arte-terapeuti.
In Italia le scuole steineriane sono tutte a pagamento – in altri Paesi, invece, sono una delle possibilità
offerte dal sistema di istruzione statale – e solo una decina portano
avanti gruppi di pedagogia curativa (per esempio la “Educare Waldorf Fvg” di Borgnano di Cormons,
in provincia di Gorizia).
«Riuscire a rientrare nella sfera
giuridica della legge 104/92 sull’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili, infatti, è
una delle difficoltà che si incontrano nel dar vita a gruppi di pedagogia curativa, insieme agli ostacoli
di natura economica e a quelli legati alla scarsità di personale appositamente formato», dice Rossana
Celeghin, docente della Scuola di
SuperAbile INAIL
16 Aprile 2015
pedagogia curativa “Raphael” della
Libera accademia per la formazione antroposofica “Aldo Bargero” di
Oriago (Venezia), chiarendo: «L’importanza di un insegnamento che
passa anche dalle arti come terapie
e come preludio della didattica e che
coinvolge pure il medico, prestando
attenzione allo sviluppo sia fisico sia
dell’anima, è ormai riconosciuta in
tutta Europa».
Canevaro: «L’integrazione? Didattica plurale e sostegno di prossimità»
E
voluzione, rinnovamento,
contaminazione. Sono
le tre parole d’ordine che
l’integrazione scolastica
dovrebbe sempre essere
capace di assorbire secondo
Andrea Canevaro (nella foto),
classe 1939, uno dei massimi
esperti italiani in materia. Già
docente di Pedagogia speciale
all’Università di Bologna, ex
direttore del dipartimento di
Scienze dell’educazione, ex
delegato del rettore per gli
studenti disabili, da pochi mesi
è stato nominato “professore
emerito” dall’ateneo in
cui ha insegnato per anni,
l’Alma Mater. Una vita spesa
per migliorare il diritto allo
studio dei ragazzi disabili.
Tanto che nel 2008 si dimise
dalla commissione tecnicoscientifica dell’Osservatorio
permanente per l’integrazione
degli alunni con disabilità,
istituito in seno al ministero
dell’Istruzione, denunciando
una «politica fatta di
tagli e gestita da finalità
economicistiche volte al
risparmio».
Dagli anni Settanta a oggi
l’integrazione scolastica ne ha
fatta di strada. Una lettura critica
della situazione attuale?
Nella storia dell’educazione
speciale c’è stata una brusca
virata, una specie di deviazione
dal percorso immaginato. La
didattica non si è rinnovata
come le previsioni facevano
sperare per lo sviluppo
dei gruppi eterogenei di
apprendimento. Gli alunni o
sono tutti uguali oppure sono
tutti diversi, originali, unici.
Quando c’è uno studente con
disabilità certificata, invece,
la classe non è più formata da
21 ragazzi ma da 20 più uno.
È il singolo a doversi adattare
al gruppo, mentre l’ideale
sarebbe adottare una didattica
plurale. Il colpo di grazia l’ha
poi dato la riforma della scuola
voluta dall’ex ministro Gelmini,
con l’aumento del numero
di alunni per classe. Dove
invece la disabilità è diventata
è giusta. L’ispirazione è
buona, ma bisogna fare
attenzione che la pratica
non diventi settarismo. La
stessa cosa vale per il metodo
Montessori. Servirebbe una
contaminazione che prenda il
meglio di ciascun sistema.
L’inclusione scolastica ha dato vita
ai piani educativi individualizzati
(o piani didattici personalizzati).
Che valore hanno?
I piani educativi individualizzati
sono validissimi quando
funzionano come strumento
di dialogo tra i dirigenti
scolastici e gli insegnanti. Ma
occasione per allargare gli
il moltiplicarsi delle dirigenze
orizzonti, l’inclusione ha
su più istituti, spesso distanti
funzionato meglio.
tra loro, ha creato un problema
Anche se in Italia restano
serio: ha portato i piani
confinate esclusivamente alle
didattici personalizzati a essere
disabilità sensoriali, hanno
uno strumento di controllo
ancora un senso oggi le scuole
burocratico e non di dialogo,
speciali?
trasformandosi più in una
Le scuole speciali hanno
pratica di segreteria che non
senso se rientrano nel
in una pratica pedagogica.
concetto di evoluzione e non Ci sono maestre o professori
di conservazione. In alcuni
che fanno cose bellissime e
Paesi – conosco esperienze
i presidi neanche lo sanno
in Svizzera, Bosnia e Serbia
perché non mettono mai piede
– sono delle eccellenze. Ma
in classe. Anche il sistema
allora dovrebbero essere
nazionale di valutazione degli
aperte a tutti, e a disposizione istituti, voluto dal dpr 80/2013
di tutti, per essere davvero
e citato nel documento “La
utili. Certe didattiche pensate buona scuola” del governo
per un determinato tipo di
Renzi, rischia di produrre solo
disabilità possono andare
altra carta.
bene anche per altre. Faccio un Il sostegno agli studenti disabili
esempio: i libri tattili destinati è sempre nell’occhio del ciclone:
ai bambini non vedenti sono
tagli delle ore, turn over degli
perfetti anche per chi ha
insegnati, ricorsi al Tar... Il suo
problemi di comunicazione
parere?
come gli autistici. La sordità,
Il sostegno è uno strumento
poi, può essere paragonata a nato male in quanto ha
una “minoranza linguistica”:
dato l’impressione che si
la lingua dei segni serve, ma
potesse fare integrazione
occorre anche saper leggere
scolastica solo attraverso
il labiale. La scuola deve
di esso. Il sostegno o ha la
insegnare a integrarsi nel
capacità di attrarre a sé altri
mondo, non creare ghetti.
soggetti oppure è dannoso.
Il suo giudizio su pedagogia
Non serve solo un sostegno
curativa ed euritmia terapeutica specializzato, serve soprattutto
praticate nelle scuole steineriane? un sostegno di prossimità:
L’idea del rispetto delle
un’organizzazione collettiva
differenze dei ritmi di ognuno vicina all’alunno disabile,
SuperAbile INAIL
17 Aprile 2015
in grado di coinvolgere gli
insegnanti, i compagni di
classe, quelli che una volta si
chiamavano bidelli, gli autisti
degli scuolabus. La scuola deve
poi aprirsi anche all’esterno per
creare una rete con il territorio,
compreso il barista di fronte
all’istituto. La battaglia sulle
ore di sostegno è una lotta di
retroguardia, è semplicemente
la ricerca di una colpa quando
invece si dovrebbe esigere una
pluralità di interventi. Anche
la continuità del sostegno non
è la panacea di tutti i mali: per
crescere è meglio avere più
figure di riferimento piuttosto
che una sola.
Cos’altro bisognerebbe fare per
dare piena attuazione al diritto
allo studio degli alunni con
bisogni speciali?
Le necessità più evidenti sono
due: l’adeguamento delle
tecnologie e l’orientamento
al lavoro. Un ausilio si evolve
sempre, vista la sua rapida
obsolescenza. Ma la dotazione
di nuovi strumenti non è
economicamente sostenibile
dalle scuole: ecco un elemento
su cui bisognerebbe ragionare
per trovare una soluzione.
L’orientamento professionale,
invece, andrebbe fatto dalle
aziende, non dalla scuola, e
in maniera nuova. Sulla scia
di quello che già avviene
negli Stati Uniti, il gruppo
multimediale Impronta di
Santarcangelo di Romagna
(in provincia di Rimini) si
sta occupando di videocurriculum delle persone
disabili: leggere su un cv
“tetraparesi spastica” è
penalizzante, vedere cosa
un giovane sa fare e come
si presenta no. Inoltre il
diritto allo studio è un diritto
per la vita e, come tale,
dovrebbe riguardare anche le
biblioteche, i musei e gli altri
poli di attrazione della cultura.
[M.T.]