Dollaro, deficit estero e politica

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Dollaro, deficit estero e politica
Lettera finanziaria
02/2004
Dipartimento Asset Management
Dollaro, deficit estero e politica
Il lancio dell’euro coincise con una forte ascesa del dollaro, almeno fino all’inizio del 2001, ma in verità quell’ascesa
del biglietto verde aveva origini più lontane. Come evidente dal grafico, su base effettiva la valuta americana guadagnò circa il 30% dalla metà del 1995. Quello fu uno dei due grandi trend ascendenti del dollaro dalla fine del regime
a cambi fissi di Bretton Woods. Entrambi coincisero con un marcato deterioramento della bilancia dei pagamenti
USA, attualmente in deficit per il 5% del PIL, e questo sembra essere il motivo per cui il mercato ha recentemente
deprezzato il dollaro del 20% dal picco di inizio 2002. Siccome nell’episodio precedente, un deprezzamento del 40%,
fu “necessario” per riportare al pareggio le partite correnti, sembrerebbe naturale prevedere un ulteriore calo del
20% nel dollaro su base effettiva, dai livelli attuali.
È questo ragionamento corretto ed affidabile? Non ne siamo così sicuri, per vari motivi.
Innanzi tutto, e non ci dilunghiamo sul perché, l’economia non è una scienza esatta. In particolare, non avendo la possibilità di condurre esperimenti controllati come nelle scienze naturali, è impossibile dedurre leggi deterministiche del
tipo: di quanto deve scendere il cambio per riportare le partite correnti in pareggio.Tale legge può essere sperabilmente estrapolata da episodi passati, ma questi sono troppo pochi oltre che non strettamente comparabili per trarre ferree conclusioni. Ad esempio, il forte apprezzamento del dollaro tra il 1980 e l’85, e conseguente deficit esterno, fu causato da un’insolita combinazione di politica fiscale molto espansiva e monetaria restrittiva (“Reganomics”).
Nell’episodio recente, invece, la politica fiscale, sia pur espansiva, è stata più moderata che sotto il presidente Reagan
mentre quella monetaria molto meno restrittiva. Inoltre, mentre l’apprezzamento del dollaro negli anni ’80 sembra
fosse legato maggiormente agli elevati tassi di interesse reali, conseguenza della Reaganomics, l’apprezzamento post1996 sembra essere stato legato al boom di borsa e ai conseguenti forti afflussi di capitali negli USA.
USA: Cambio effettivo e bilancia delle partite correnti (proporzione del PIL)
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T4 '97
T3 '99
T2 '01
T1 '03
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T1 '89
T1 '96
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T2 '87
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T3 '85
T2 '94
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T4 '83
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T1 '82
T3 '92
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T2 '80
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T3 '78
Cambio effettivo del dollaro (scala sinistra)
T4 '90
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T4 '76
T1 '75
135
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90 __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
140
Bilancia delle partite correnti (scala destra)
2%
1%
0%
-1%
-2%
-3%
-4%
-5%
-6%
Lettera finanziaria
Dipartimento Asset Management
02/2004
Spesso si sente dire che il calo del dollaro era ed è inevitabile perché il deficit esterno è troppo elevato. Ma in realtà non sappiamo con certezza che un deficit al 4-5% del PIL è insostenibile. Analisi empiriche suggeriscono che quella può essere un affidabile livello di guardia per paesi in via di sviluppo; crediamo veramente che una tale regola sia
applicabile al paese con valuta di riserva mondiale? Siamo d’accordo che il deficit non può aumentare indefinitamente senza creare problemi collaterali, ma di soglie specifiche non possiamo discutere. (Tra l’altro nostre analisi statistiche suggeriscono che il legame tra partite correnti e cambio USA è abbastanza tenuo.) Ciò detto, è indubbio
che, nel medio termine, un deprezzamento del cambio aiuta a migliorare i conti con l’estero. Ancor di più se il
deprezzamento è accompagnato da un raffreddamento della crescita economica ergo della domanda interna.
A nostro parere bisogna andare oltre il fattore bilancia dei pagamenti, che sembra essere una delle varie cause del
dollaro debole. Notiamo come il biglietto verde abbia smesso di apprezzarsi proprio mentre il boom di borsa si
affievoliva, per poi implodere. Da lì in poi gli afflussi di capitale netti sono diminuiti ed è stato, secondo noi, il calo
nell’offerta di valuta estera dovuto a questi, piuttosto che all’aumento del deficit corrente, a causare il forte deprezzamento del dollaro. Se tale diagnosi fosse corretta, l’attuale miglioramento di sentimento sulla borsa dovrebbe, col
tempo, contribuire a sostenere il dollaro. Ciò detto, fintanto che il deficit esterno non cala, vi saranno correnti di politica economica (vedi recente accordo del G7) che spingono verso un apprezzamento, soprattutto, delle valute asiatiche contro il biglietto verde. Infatti, il G7, soprattutto l’amministrazione Bush, vede negativamente i forti surplus
commerciali cinese e giapponese – una minaccia ai lavoratori americani? – e invoca un apprezzamento del cambio
Asia/USA come soluzione al problema. Senza dilungarci, a nostro parere quella sarebbe soluzione parziale a un problema che è meno tale di quanto si pensi (gli USA importano dalla Cina beni a basso valore aggiunto che comunque non potrebbero/vorrebbero più produrre a casa). Inoltre un totale ripianamento del deficit estero USA necessiterebbe di un calo relativo della crescita USA, accompagnato da un trend opposto nel resto dell’area OCSE.
In conclusione, valutazioni fondamentali e sulle probabili dinamiche di flussi di capitale finanziario (FDI, borsa ecc.)
suggerirebbero che il potenziale ulteriore declino del dollaro è abbastanza limitato.Tuttavia considerazioni di politica economica - non dimentichiamo l’elezione presidenziale USA - ci fanno “correggere il tiro” e prevedere quindi
che l’USD possa perdere un altro 5-10%, su base effettiva entro la fine del 2004 - probabilmente più verso Asia che
Europa.
Giorgio Radaelli
Analisi e Strategie
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