confusione monetaria

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CONFUSIONE MONETARIA*
A prima vista, è un paradosso: fino a sei mesi fa, il timore era che
l’economia mondiale si fermasse – per deflazione nei paesi più ricchi, come Stati
Uniti e Germania; e per la SARS in Cina – rendendo le politiche monetarie
incapaci di stimolo ulteriore. Oggi, il timore è esattamente quello opposto: la
crescita è accelerata in Asia (Cina e Giappone, ora assieme) ed è molto rapida
anche nel mondo anglosassone (Stati Uniti e U.K.). Le variabili monetarie
dovrebbero dunque volgersi in direzione restrittiva: salire i tassi di interesse (non
solo quelli a lunga, come già i mercati hanno iniziato a fare; ma anche quelli di
policy, decisi dalle Banche centrali) e apprezzarsi i tassi di cambio dei Paesi che
crescono di più.
Ma questa previsione di buon senso non è condivisa da tutti i Governi; che
in vari casi stanno perseguendo obiettivi contradditori. Il risultato è un grado di
confusione e di incertezza, superiore al normale. Aggravato dai troppi interventi
pubblici (di “bocca aperta” e non solo di “mercato aperto”; come spiritosamente
dicono gli americani) di uomini politici (a cominciare dal Presidente Bush e dal
suo ministro del Tesoro Snow) e autorità (o ex-autorità, come il Presidente
Duisenberg).
Proviamo a rimettere ordine in questo complicato puzzle, che rischia di
provocare qualche incidente di percorso che potrebbe retroagire negativamente
sulle variabili reali, che invece abbiamo detto essere ora assai meglio disposte.
La vicenda monetaria presenta un primo paradosso: da molti mesi, il
Presidente Greenspan sostiene che i tassi di interesse resteranno bassi per molto
tempo, per contrastare rischi di deflazione. Il risultato è che quando – ed è già
successo molte volte – escono buone notizie sulla crescita USA, il mercato dei
titoli subisce uno scossone e i tassi a lunga tendono a salire (anche in Europa!).
Dunque i tassi bassi servono alla ripresa, ma se c’è ripresa i tassi salgono!
Il secondo paradosso è valutario: il dollaro deve deprezzarsi rispetto alle
valute dei Paesi che accumulano dei surplus nei confronti degli USA. Un dollaro
deprezzato concilia un minor deficit esterno degli USA con una loro maggior
crescita. Peccato che quando l’economia americana appare in crescita sostenuta, il
dollaro tenda ad apprezzarsi!
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A cura di G. Vaciago.
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Se ciò già non bastasse, la somma di quei due paradossi è ancora più
grave: quando i tassi USA salgono e il dollaro si rinforza, si registrano rilevanti
minusvalenze per tutti i portafogli degli investitori esteri in titoli USA. Prime fra
loro, le Banche centrali dei paesi dell’Asia, come Cina e Giappone, che hanno
continuamente acquistato titoli USA e comunque dollari, per evitare
l’apprezzamento delle loro valute. Insomma, un dollaro debole – che, sia detto per
inciso, nel breve periodo fa anche salire Wall Street perché rivaluta i profitti esteri
(e svaluta i debiti in dollari) delle società americane – fa bene all’economia USA.
Ma ci sono problemi se la debolezza del dollaro diventa qualcosa che è prevista, e
quindi temuta, da quanti hanno portafogli in dollari. Perché vendere è il modo più
semplice con cui quel rischio viene ridotto, e la storia è già ricca di episodi in cui
la previsione di una discesa del dollaro ha provocato un crollo di Wall Street, che
ha contagiato tutte le altre borse mondiali.
Oltre ai rischi che riguardano l’intero sistema finanziario mondiale, ce ne è
uno specifico per quanto riguarda l’Euro, cioè noi europei. La nostra accresciuta
dipendenza dalla finanza mondiale (che è il contrario di quanto si poteva pensare
che sarebbe avvenuto grazie all’Euro) fa sì che il cambio dell’Euro possa finire
come il classico “vaso di coccio” tra le due forze rispettivamente rappresentate
dagli USA da un lato e da Cina e Giappone dall’altro. Ben si è visto dopo Dubai:
quando alla riunione del G7, l’America ha predicato cambi in apprezzamento sul
dollaro, solo l’Euro è salito! Con l’aggravante che quando il dollaro scende,
qualcuno sui nostri giornali scrive che l’Euro è …. più forte!
In conclusione, alcune contraddizioni – concentrate nelle variabili
finanziarie – continueranno ad accompagnarci nei prossimi tempi:
1)
il dollaro deve scendere, ma non si può dirlo!
2)
chi parla di Euro forte, in realtà è strabico.
Se tutto va bene, dovremmo riuscire a non essere direttamente coinvolti
nelle possibili conseguenze dei forti squilibri della finanza (pubblica e privata)
americana. Ma è chiaro che in un mondo globale anche noi potremmo trovarci a
dover pagare per la fragilità USA. Lo scenario per noi migliore è quello in cui una
previsione di dollaro che si indebolisce fa solo scendere un po’ i nostri tassi a
lunga, ed è quanto pure si è visto, in alcune circostanze. Ma non possiamo fidarci
che vada tutto sempre così bene; e bisognerà quindi mantenere alta la vigilanza
sui mercati finanziari, in giro per il mondo.