14 aggiornamento - Assistenza Infermieristica e Ricerca

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14 aggiornamento - Assistenza Infermieristica e Ricerca
Il paziente terminale con scompenso
In Inghilterra muoiono di scompenso circa
60.000 pazienti all’anno. Nei pazienti in classe
NYHA IV la mortalità è del 40-50% anno1. La
maggior parte muore con uno scarso controllo dei sintomi: dispnea, dolore toracico, ma anche distress mentale (ansia, confusione, depressione) ed una serie di sintomi non cardiaci che non vengono trattati adeguatamente in
ospedale2.
Il decorso di questi pazienti è caratterizzato da
ricadute, seguite da miglioramenti. Qualunque
esacerbazione può essere fatale e circa il 50%
dei pazienti con scompenso muore entro 5 anni dalla diagnosi. Il 50% dei pazienti con scompenso muore di morte improvvisa3, anche se
questa è più comune tra i giovani che non tra
gli anziani4. Da dati statunitensi si ricava che il
58% dei pazienti con scompenso cardiaco muore in ospedale, il 27% a casa ed il 3% in hospice.
Tutti concordano sul fatto che la logica e la filosofia del trattamento di un paziente terminale
debba tener conto delle condizioni dei pazienti ed avere l’obiettivo di aumentare il
comfort, controllare i sintomi e migliorare la
qualità di vita (e non prolungare a tutti i costi
la vita). Questo prevede che si parli con il paziente (ed i suoi familiari), che ci sia accordo
nell’equipe e che, soprattutto, si riesca a definire quando passare da un trattamento attivo
ad uno palliativo: in altre parole, che si riesca
a riconoscere quando il paziente va considerato terminale.
Mentre in oncologia esiste una cultura diffusa
dell’accompagnamento del paziente e delle cure palliative, per patologie non oncologiche, tra
le quali lo scompenso cardiaco, continua a prevalere una cultura di presa in carico interventistica. Questo dipende da numerosi problemi,
ta i quali, principalmente:
a. Mancanza di conoscenze sulla gestione
dei sintomi nel paziente terminale con scom-
penso. I dati sul controllo dei sintomi e dei
problemi, e sul miglioramento della qualità
di vita derivano da sperimentazioni cliniche
che, in genere, escludono proprio i pazienti più anziani, con polipatologie, gravi e in
fase terminale (e spesso il campione non è
rappresentativo neanche della popolazione
generale dei pazienti con scompenso). Le conoscenze che derivano da questi studi, in
questo caso per il controllo dei sintomi e dei
problemi, non sono necessariamente trasferibili ai pazienti in fase terminale5.
b. Mancanza di cultura delle cure palliative
in cardiologia. Solo di recente anche la cardiologia ha iniziato a prendere in carico e
confrontarsi con le patologie croniche.
c. Difficoltà a capire quando un paziente è
in fase terminale. Il decorso tipico di un paziente con scompenso consiste in un aumento delle ospedalizzazioni, un peggioramento progressivo dell’edema e dell’insufficienza renale, in assenza di cause iatrogene. Riuscire a prevedere in questi pazienti
quando avverrà il decesso è particolarmente complesso. Infatti il peggioramento dello
scompenso non è sempre il risultato della
progressione della malattia. In molti casi esistono cause reversibili, ad esempio un’infezione, un’anemia, un’aritmia, il dosaggio subottimale della terapie, la cui correzione
provoca una remissione della sintomatologia6. Spesso una modifica della terapia può
portare ad un miglioramento, anche se temporaneo.
Aggiornamento
Paola Di Giulio1,
Patrizia Massariello2
1 Professore associato
di Infermieristica Clinica
2 DDSI, docente
di assistenza infermieristica e
geriatrica, Coreso di Laurea
per infermieri
Università degli Studi
di Torino
La difficoltà a definire la fase
terminale
Definire quando un paziente viene considerato terminale, e quindi quando si può passare
ad un trattamento che ha come obiettivo prevalente il controllo dei sintomi, è un passaggio
importante.
Nonostante i numerosi studi pubblicati, non esiAssistenza infermieristica e ricerca, 2005, 24, 2
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ste ad oggi un metodo utilizzabile in clinica e
nell’assistenza, per stratificare il rischio nei pazienti ospedalizzati con scompenso in fase
avanzata.
Il 25% dei pazienti muore senza avere un peggioramento dei sintomi. Nello studio di Levenson7 et al, sugli ultimi sei mesi di vita di 539
pazienti con scompenso, nel 54% dei casi era
stata prevista una sopravvivenza di 6 mesi anche per pazienti morti entro 3 giorni.
Nonostante i tentativi di identificare le variabili predittive del decesso8, in particolare per
definire delle priorità nelle liste di pazienti in
attesa del trapianto, non è ancora chiaro quali segni e sintomi prevedano la fase terminale.
La scarsa numerosità dei campioni, il fatto di
valutare popolazioni non rappresentative molto selezionate, le diverse modalità di misurare
i sintomi e problemi e la durata limitata dei follow-up hanno reso questi tentativi poco affidabili.
La prognosi, in genere, è legata alla capacità
funzionale, indipendentemente dalle modalità
di misurazione: classe NYHA, six minute
walking test, picco di PO2. In molti pazienti però
è difficile misurare la capacità funzionale per
la presenza di sintomi non cardiaci, ad esempio un’artrite o una broncopneumopatia. La sola frazione di eiezione è scarsamente predittiva, come anche l’iponatremia.
In genere il paziente viene considerato terminale quando6:
a. viene ricoverato più volte con un peggioramento progressivo dello scompenso, pur ricevendo una terapia ottimale;
b. non si identificano cause reversibili,
c. si verifica un peggioramento della funzione
renale e
d. non si osserva una risposta ai cambiamenti
della terapia nel giro di 2-3 giorni
La sopravvivenza viene predetta dalla gravità
dei sintomi dopo il trattamento e non durante
le esacerbazioni9. Altri elementi che predicono una prognosi infausta sono ipotensione, insufficienza renale, anemia, depressione ed età
adulta1. I tentativi di identificare marker biochimici o emodinamici che consentono di riconoscere la fase terminale per il singolo paziente, a tutt’oggi non hanno avuto successo.
Tra i 1312 pazienti arruolati nel SUPPORT, il
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58% che avevano i criteri per essere ammessi
ad un programma di cure palliative erano ancora vivi a 6 mesi10.
In prossimità della fine aumentano sia i sintomi fisici (in particolare dispnea e dolore) e quelli psicologici (ansia e depressione). Aumenta
anche il carico di lavoro assistenziale, ed economico, per le famiglie7.
Un recente lavoro11 basato sui dati di più di
33.000 pazienti del registro scompensi (ADHERE) indica come un’azotemia al ricovero superiore o uguale a 43mg/100ml sia il miglior
discriminante tra sopravvivenza (se inferiore)
e mortalità (se superiore), seguito da una pressione sistolica <115 mmhg ed una creatinina di
2.75 mg 100ml o superiore. Queste variabili consentirebbero di stratificare i pazienti a lieve, medio ed alto rischio di mortalità. Anche se importanti dal punto di vista prognostico, questi
fattori sono ancora poco utilizzabili dal punto
di vista clinico per prevedere la terminalità dei
pazienti. Infatti una revisione sistematica che
analizza 11 studi che valutano la prognosi nei
pazienti con malattie non oncologiche a prognosi infausta, conclude affermando che non
esistono criteri univoci né modelli in grado di
prevedere il momento in cui iniziare le cure
palliative12.
Come muoiono i pazienti
con scompenso
Il decorso dei pazienti con scompenso presenta
numerose somiglianze, sia quantitative che
qualitative con quello dei pazienti oncologici:
prognosi infausta, maggiore suscettibilità alle
infezioni, ridotta autonomia, disturbi del sonno, confusione, depressione, paura del futuro13.
Con la differenza che il decorso del paziente
oncologico è caratterizzato da un progressivo
declino, quello del paziente con scompenso da
esacerbazioni, recuperi, seguiti da altri episodi di esacerbazione. In prossimità della fine aumentano il tempo speso in ospedale e la dipendenza fisica.
In uno studio14 che metteva a confronto i sintomi dei pazienti oncologici con quelli dei pazienti con scompenso, emergeva che molti problemi erano comuni ad entrambi i gruppi. Ai
problemi legati allo scompenso si aggiungono
quelli, non meno disturbanti, provocati dalle
patologie concomitanti: nei pazienti con scom-
P. Di Giulio et al.: Il paziente terminale con scompenso
penso i sintomi non cardiaci erano dovuti alle
comorbidità (ad esempio BPCO, diabete, artropatie); agli effetti collaterali dei farmaci ed
alle conseguenze fisiche e psicologiche della
malattia. Molti di questi sintomi venivano controllati in modo inadeguato. Spesso questo succedeva per mancanza di documentazione e comunicazione.
I pazienti con scompenso muoiono con sintomi non controllati. McCarthy e Lay2 nel loro studio hanno intervistato i caregiver di 600 pazienti
morti di malattie cardiache (non necessariamente di scompenso cardiaco). I problemi principali emersi sono stati:
■ scarso controllo dei sintomi non cardiaci e
psicologici, considerati anche i più disturbanti
(durante l’ospedalizzazione nel 70% dei pazienti il controllo dei sintomi è stato inadeguato);
■ in circa 1/3 dei casi non sono state rispettate le volontà dei pazienti di non essere rianimati né sottoposti a trattamenti invasivi
(questo dato in particolare è stato confermato
anche da altri studi15;
■ un paziente su sei aveva sintomi gravi quanto quelli dei pazienti oncologici.
I principali sintomi identificati sono riportati nella Tabella 1.
I pazienti percepiscono come più gravosi e difficili da tollerare la dispnea ed il dolore14.
La presenza di sintomi importanti e non controllati è confermata anche da altri studi. Nel
SUPPORT15, che ha raccolto dati su un ampio
campione di pazienti terminali morti in ospedale, per identificare quanto la comunicazione delle condizioni e delle volontà del paziente
(Do Not Resuscitate) modificasse le decisioni
del medico, sono stati intervistati anche i parenti di 236 pazienti morti per scompenso. La
maggior parte dei pazienti, nelle 48-72 ore precedenti il decesso ha avuto dispnea (66%), dolore (45%) e grave confusione mentale (15%).
Il trattamento non è sempre adeguato: Lynn e
Teno16 riportano interventi (saltuari) da parte
di un’infermiera specializzata, senza nessun
impatto sui sintomi o altre misure di esito. Inoltre nello stesso periodo il 40% dei pazienti era
stato sottoposto ad interventi quali alimentazione per sonda o ventilazione meccanica e rianimazione cardiopolmonare, nonostante avrebbero preferito un trattamento meno aggressi-
Tabella 1 - Sintomi non controllati nei pazienti con scompenso cardiaco
Sintomi
% di pazienti
terminali2
% in pazienti che accedono ad un
ambulatorio per scompenso11
Dolore
78
41
Dispnea
61
83
Depressione
59
41*
Insonnia
45
ND
Ansia
30
ND
Anoressia
43
21
Stipsi
37
12
Nausea/vomito
32
17
Stanchezza
ND
82
Difficoltà a camminare
ND
65
Edema
ND
33
Tosse
ND
44
Sete e bocca secca
ND
45
Fonte: Ward 20025 (modificata)
* ansia o depressione ND = non determinato
vo. Questo dato indica anche che probabilmente i medici non avevano riconosciuto l’imminenza della morte.
Lo studio di Levenson et al7, sull’esperienza degli ultimi 6 mesi di vita di 539 pazienti morti
per scompenso, riporta come i sintomi peggiorino in prossimità della morte: i parenti riferiscono che il 41% dei pazienti aveva dolore
grave ed il 63% dispnea grave e non controllata nei tre giorni precedenti il decesso. Una
recente indagine retrospettiva17 mette in luce
come fossero poco utilizzate, negli ultimi sei
mesi di vita dei pazienti con scompenso, strategie ed interventi per il controllo dei sintomi.
I risultati degli studi, tutti di piccole dimensioni e con disegni qualitativi, concordano sul fatto che i pazienti con scompenso in fase terminale provano sintomi sovrapponibili a quelli
provati dai pazienti oncologici, ma non ricevono lo stesso tipo di sostegno 18-19.
Una lamentela comune da parte di pazienti e
parenti è la mancanza di comunicazione 15, 2,
18-19. Murray et al20 nel loro studio hanno intervistato 219 pazienti che morivano per scompenso cardiaco o cancro del polmone. Raramente i pazienti con scompenso ricordavano
di aver ricevuto informazioni scritte sulla malattia ed il suo trattamento. I pazienti avevano
una scarsa comprensione della propria prognosi; in assenza di dolore toracico non colleAssistenza infermieristica e ricerca, 2005, 24, 2
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gavano sintomi quali dispnea ed edema alle proprie condizioni cardiache. La lamentela comune era di non sentirsi coinvolti nei processi decisionali
I pazienti riferiscono il bisogno di sapere e la
necessità di un approccio palliativo, che tenga
conto della qualità di vita e del controllo dei
sintomi15, e giudicano poco affrontati nell’assistenza i problemi relativi alla sfera fisica e psicologica (rispettivamente nella metà ed 1/3 dei
casi negli studio di Anderson14 et al, Ward5 e
Boyd18.
Come migliorare il controllo
dei sintomi e la gestione dei
pazienti terminali
Non ci sono raccomandazioni specifiche per il
trattamento dei sintomi in questi pazienti e mancano, in generale, studi che valutino in modo
controllato l’efficacia dei trattamenti sintomatici e degli interventi assistenziali in questi pazienti. Un aspetto fondamentale è la conoscenza del paziente, ritenuto dagli infermieri
l’aspetto principale per poter controllare e modulare gli interventi21. Infatti, oltre ad ottimizzare la terapia, l’aspetto principale è l’attenzione.
I protocolli per il trattamento dello scompenso refrattario, ad esempio, consistono in check
list per garantire di aver preso in esame tutti i
problemi potenzialmente reversibili e di aver
ottimizzato i trattamenti5. La recente Conferenza
di consenso sulle cure palliative e di supporto
per i pazienti con scompenso avanzato22 da cui
sono tratti i contenuti che seguono, dà alcune
raccomandazioni per il trattamento e la presa
in carico di questi pazienti.
Dispnea. Il 60% dei pazienti prova dispnea2.
Quando persiste si possono somministrare oppioidi (la somministrazione di solfato di morfina 2 mg ogni 2-3 ore può alleviarla molto23).
Si conosce però molto poco sugli effetti degli
oppioidi nello scompenso avanzato. Gli interventi infermieristici che si utilizzano per i pazienti con dispnea (posizione comoda e che favorisca la respirazione, aerazione della stanza)
generalmente sono utili. Si devono naturalmente escludere, e se necessario trattare, le cause concomitanti, ad esempio un versamento
pleurico; va valutata e se necessario ottimizzata, la terapia a base di diuretici e vasodilata100
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tori. La somministrazione di ossigeno può alleviare la dispnea ma non migliora necessariamente la performance. L’ottimizzazione della
terapia medica con ACE inibitori, betabloccanti
e spironolattone può migliorare sintomi quali
la dispnea da sforzo e l’edema e anche la prognosi, ma non ci sono prove che migliori la qualità di vita nei pazienti anziani.
Dolore. Tra i pazienti con scompenso ospedalizzati, il 41% prova un dolore moderato-grave negli ultimi 3 giorni di vita 2, 15. Gli studi non
descrivono la causa ma il dolore, indipendentemente dal fatto di essere di origine cardiaca,
andrebbe sedato, se necessario con oppioidi,
alle stesse dosi consigliate per la dispnea1.
Vanno evitati i FANS (inclusi i cox2) perché antagonizzano direttamente l’effetto di ACE inibitori e diuretici, e possono portare ad un peggioramento dei sintomi, peggiorando la ritenzione di liquidi. Il paziente va naturalmente
informato sugli effetti collaterali dei farmaci, anche se spesso non è semplice distinguere un
effetto collaterale da un peggioramento della
malattia.
Depressione. La depressione è un sintomo frequente, riduce la qualità di vita residua, ad esempio peggiorando il sonno e la difficoltà ad addormentarsi, riducendo l’appetito ed aumentando l’astenia. Può essere utile il trattamento
con antidepressivi.
Cachessia cardiaca. Si intende una grave perdita di peso e di massa muscolare. È un problema relativamente frequente tra i pazienti con
scompenso terminale. L’obiettivo del trattamento è di aumentare il peso.
Disturbi del sonno si verificano in almeno la
metà dei pazienti con scompenso, peggiorano
la capacità di esercizio, le aritmie e la prognosi. Il trattamento con CPAP migliora la funzionalità meccanica del ventricolo sinistro e contrasta l’attivazione neurormonale nei pazienti
con apnea da sonno e respiro di CheynesStokes.
Non vanno trascurati nella presa in carico gli
effetti collaterali dei farmaci quali prurito, crampi; la riduzione del benessere psicologico con
P. Di Giulio et al.: Il paziente terminale con scompenso
depressione, ansia, paura dei sintomi e paura
di morire. Questi pazienti non hanno necessariamente un accesso privilegiato da uno psichiatra rispetto a pazienti non depressi. Nell’assistenza si deve tener conto anche degli altri problemi legati a malattie invalidanti quali
la perdita di ruolo, l’incapacità a mantenere relazioni sociali etc.13.
Nonostante i trattamenti, i pazienti possono continuare ad avere sintomi. La somministrazione
endovenosa di dobutamina e milrinone può migliorarne il controllo. Come anche l’uso di tecnologie avanzate quali i defibrillatori impiantabili. In questi casi è difficile definire confini
precisi tra un trattamento palliativo ed una terapia aggressiva, e il ruolo delle tecnologie come anche i criteri di selezione dei pazienti vanno ancora discussi. L’obiettivo, principale dovrebbe essere il controllo dei sintomi; le strategie dovrebbero essere discusse con i pazienti.
Le caratteristiche
di un approccio palliativo
Migliorare la comunicazione con questi pazienti è una delle strategie per migliorare la qualità della presa in carico. Anche se è molto utile porre le domande giuste e raccogliere i dati corretti (chiedere al paziente “quali sono i
sintomi che le danno più fastidio rivelava ai clinici informazioni non note14) una buona comunicazione prevede soprattutto5: capacità di
ascolto; di comunicare brutte notizie; dialogo
terapeutico. Quando si riesce a riconoscere un
peggioramento irreversibile delle condizioni, sarebbe utile discutere le modalità di trattamento con il paziente ed i parenti. Questo però non
viene fatto12 soprattutto se non si conosce il
paziente, perché a volte si preferisce ignorare
il problema.
Non è facile acquisire le capacità per discutere di temi delicati, e metterle in pratica richiede tempo. I pazienti pensano che medici ed
infermieri siano riluttanti a parlare della morte
e del morire e auspicano di poter avere una discussione franca 24. Confusione, perdita della
memoria a breve termine rendono la comunicazione ancora più difficile. Le situazioni che
si incontrano poi sono le più diverse: anche se
molti pazienti vogliono discutere, altri preferiscono che siano i familiari ad essere informati
e prendere le decisioni22.
La valutazione del paziente, dei suoi desideri
e preferenze è un aspetto fondamentale nella
presa in carico, in particolare in cure palliative. La progressione da un trattamento attivo ad
uno palliativo può avvenire gradualmente: è utile avere un approccio positivo (stiamo facendo tutto quello che è possibile, e non non c’è
più niente da fare)5.
Un approccio palliativo prevede:
a. disponibilità per una valutazione multidisciplinare, per fornire sostegno sia al paziente
che alla famiglia. Gli esiti del paziente, in genere, migliorano quando la famiglia viene informata, coinvolta ed integrata nella presa in carico. Questo può ridurre lo stress sia del paziente che dei familiari e migliora la qualità di
vita sia fisica che mentale24.
b. modello di assistenza centrato sul paziente.
La valutazione accurata e il controllo dei sintomi sono aspetti importanti tanto quanto la discussione con i pazienti sulle strategie di trattamento. Molti pazienti hanno paura del dolore, altri invece preferiscono tollerarlo perché
non vogliono provare alterazioni della coscienza e vogliono mantenere la lucidità22.
c. la collaborazione con le equipe di cure palliative. Gli hospice sono ancora una risorsa limitata per questi pazienti. Nel 2001 solo il 10%
dei pazienti ammessi in hospice avevano una
diagnosi di scompenso1.
L’integrazione di un trattamento palliativo nella gestione del paziente con scompenso può
migliorare gli esiti. Mancano però conoscenze
e va potenziata la ricerca per:
a. migliorare la comprensione del decorso della malattia nelle fasi terminali, compresa l’epidemiologia e l’intensità dei sintomi e delle comorbidità nelle diverse fasi della malattia
b. valutare l’efficacia dei trattamenti farmacologici ed assistenziali,
c. comprendere i bisogni di informazione e comunicazione di pazienti e familiari,
d. comprendere il vissuto e le preferenze dei
pazienti.
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