Impaginato 05:*Impaginato 05 - Associazione Nazionale Magistrati

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Impaginato 05:*Impaginato 05 - Associazione Nazionale Magistrati
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Anna Maria Seganti
Avvocato, Osservatorio
di Genova
L’obiettivo di questa sessione
congressuale è di ricognizione ed
esame delle principali questioni
processuali, ordinamentali e organizzative emergenti in tema di attività del giudice di pace. Quanto
emergerà da questo dibattito, unitamente a quanto emerso ieri per la
magistratura onoraria di tribunale,
consentirà - nella terza sessione che
si terrà oggi pomeriggio - un dibattito/confronto di particolare attualità tra le categorie interessate, alla
luce delle proposte di legge (Vitali
e Ranieli), d’iniziativa parlamentare, che, seppur in modo divergente,
predispongono una riforma organica del settore della magistratura
non togata.
L’intervento conclusivo di questa sessione è affidato al sen.
Modestino Acone, già presidente
della Commissione ministeriale che
nel luglio 2002 presentò una relazione ed una bozza di disegno di
legge per una riforma complessiva
della magistratura onoraria, rimasto
però senza sbocchi.
Il punto di partenza, condiviso
da tutte le categorie interessate, ciò
che sottende anche questa iniziativa
congressuale, è la censura, la stigmatizzazione, ai continui interventi
normativi, in tema di magistratura
onoraria, disomogenei succedutisi
nel tempo, in circostanze caratteriz-
zate spesso dall’urgenza.
Come affermava un noto processualcivilista (Mortara, Manuale
della procedura civile, 1187) «massimo rispetto per la volontà del
legislatore, ma piena libertà di critica!».
Volendo avviare i lavori di questa sessione, non si può prescindere
dal rilievo che la magistratura onoraria, con un corpo di circa 11.000
unità, svolge, nel nostro Paese, una
funzione ormai fondamentale nella
risposta di giustizia che, sempre più
massicciamente, occorre offrire ai
cittadini.
L’aumento delle sopravvenienze
delle cause civili innanzi al giudice
di pace è stato interpretato dal Procuratore generale della Repubblica,
Francesco Favara, come il sintomo
di una sempre maggior fiducia dei
cittadini in questa nuova figura del
processo, ma appare legittimo
domandarsi anche se il giudice di
pace non abbia esaurito la sua forza
di smaltimento.
In effetti, chiunque frequenti le
aule del giudice di pace, non può
non avvedersi della vocazione - da
preservare - dello stesso come giudice di prossimità, ossia, come
chiarito dal prof. Chiarloni ieri
sera, come “giudice del quotidiano”, che tende ad esercitare la giurisdizione in una chiave culturale
attenta agli interessi concreti dedotti in giudizio dalle parti, piuttosto
che all’esasperazione del formalismo… Si tratta di una giurisdizione
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intesa, non come espressione di
potere, ma come offerta di un servizio per la collettività, reso in tempi
accettabili (300 giorni circa è la
durata media dei processi civili) e
con una percentuale di gravame
pressoché insignificante.
Ciò non significa che non esistano problemi e anche gravi: perplessità e critiche provengono sia dall’avvocatura che da buona parte
della magistratura professionale.
Criticabile - come già anticipato
ieri dal consigliere Luigi Marini - è
la tendenza del legislatore ad attribuire, diciamo con una certa disinvoltura, nuovi filoni di contenzioso
al giudice di pace (stranieri, stupefacenti…) che lo allontanano dalla
dimensione di “giudice di prossimità”, caricandolo di gravose funzioni di garanzia della libertà personale, che si pensava riservate
dalla Costituzione alla magistratura
professionale!
L’Osservatorio genovese sulla
Giustizia civile ha cercato di evidenziare le questioni più concrete
ed urgenti riguardanti il servizio (o
disservizio) giudiziario erogato dal
giudice di pace a livello locale che,
senza alcuna pretesa di esaustività,
possono indicarsi nei seguenti
punti:
Uffici periferici del giudice di
pace - Si tratta di una peculiarità
tutta genovese per cui l’ufficio del
giudice di pace è ripartito territorialmente in: 1) giudice di pace di
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Genova, 2) giudice di pace di Pontedecimo, 3) giudice di pace di
Sestri Ponente e 4) giudice di pace
di Voltri: ricalcando i mandamenti
delle ex Preture. Si tratta, peraltro,
di una suddivisione “virtuale”, atteso che tutti gli uffici si trovano nei
medesimi locali di via De Amicis,
2. Tale circostanza determina, principalmente, comportamenti eterogenei tra le cancellerie dei vari uffici, con conseguenti disagi per l’utenza e per i professionisti.
Piante organiche incomplete - A
fine marzo del 2004 risultavano
scoperti 10 posti del settore civile,
ove a fronte di una pianta organica
di 42 posti erano in servizio 32 giudici. Tale circostanza determina un
rapporto sempre più squilibrato tra
l’aumento del contenzioso e il
numero, inadeguato, di magistrati.
Carenza di spazi - L’attuale
dislocazione, oltre ai problemi di
igiene e salubrità dei locali, soffre
di una cronica carenza di spazi per
affrontare la quale si è ricorsi alla
turnazione delle stanze e alla ripartizione delle aule, con gli evidenti
disagi connessi.
Carenza di organico di personale di cancelleria - Tale circostanza
ha comportato anche riduzioni
degli orari di apertura di alcuni
uffici.
Supplenze - L’attuale sistema
retributivo “a cottimo” determina
pregiudizi alla funzionalità dell’ufficio del gdp, atteso che, per evitare che in caso di assenza il supplen-
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te possa “beneficiare” economicamente della circostanza, non si fa
luogo a supplenze, con evidenti
pregiudizi a danno della collettività.
Attività conciliativa - La pressoché totale assenza di formazione
alla conciliazione ha reso tale attività decisamente residuale, mentre,
al contrario, andrebbe incentivata.
Formazione e professionalità Manca una formazione, sia iniziale
che permanente, adeguata soprattutto in materia processuale con
conseguente divario culturale tra
gdp e magistrati ordinari.
Incompatibilità - Atteso che un
discreto numero parte dei gdp risultano iscritti all’albo forense, l’attuale sistema ha consentito e consente facili elusioni all’incompatibilità tra esercizio della professione
forense e funzione giurisdizionale
nello stesso ambito territoriale.
Assenza Urp - Manca l’Ufficio
relazioni con il pubblico, dislocato
solo presso il Palazzo di Giustizia,
con notevoli disserti soprattutto in
merito alle istanze presentate direttamente dai cittadini come quelle di
opposizioni alle sanzioni amministrative (689).
Questo a grandi linee il quadro
della situazione genovese.
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Ernesto Aghina
Consigliere del Consiglio
superiore della magistratura
Mi è difficile affrontare il tema
della giustizia di pace, come imposto dal programma dell’incontro,
poiché penso che il tema della
magistratura onoraria di tribunale
sin qui affrontato con tanta ricchezza di interventi, meriti ulteriori
riflessioni (specie dopo l’intervento
del prof. Chiarloni), in particolare
per quanto attiene al ruolo ed alle
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funzioni assunte dai viceprocuratori onorari, di cui non molto si è sin
qui detto, ma che pure costituiscono forse la categoria onoraria in
maggiore “espansione” giurisdizionale, probabilmente destinata ad
accrescere ancor più la sua importanza nella gestione dell’accusa
nell’udienza penale, ormai in regime di quasi monopolio dinanzi al
giudice di pace.
Il compito affidatomi dal collega
Braccialini, che vorrei pubblicamente ringraziare per la solerzia e
la puntualità organizzativa di questo convegno, mi impone comunque di affrontare il tentativo di operare una radiografia giudiziaria
ricognitiva dei principali problemi
di identità ed organizzazione emersi per l’attività del gdp, il che non
potrà non avvenire sulla base del
punto di vista prospettico offerto
dal ruolo di componente del Csm.
Per distinguere l’ambito di valutazione dai got di cui si è sin qui
parlato, occorre da subito premettere che i giudici di pace presentano
rispetto ai primi minori difficoltà di
inquadramento
ordinamentale
(basti ricordare la dignità costituzionale loro garantita dall’art. 116
Cost.), una presenza istituzionale
all’interno del circuito di autogoverno (per quanto l’assetto attuale
preveda una interlocuzione dei rappresentanti dei gdp all’interno dei
Consigli giudiziari limitata solo
alle nomine ed alla procedura disciplinare), una più ampia autonomia
(derivata sia dall’autodirezione
degli uffici che dall’assenza di
posizione vicaria rispetto alla magistratura togata), minori problemi di
convivenza con l’avvocatura (si è
avviata anche nella competenza
penale una progressiva metabolizzazione delle nuove attribuzioni) ed
anche (non è inutile ricordarlo) un
più adeguato trattamento economico (anche se resta ancora irrisolto il
problema del trattamento previdenziale).
In definitiva nell’ambito della
magistratura onoraria può affermarsi come il versante della magistratura di pace sia ormai consolidato, mentre quella vicaria si
muova invece su un terreno sconnesso.
Per restare nella metafora sportiva cui si è fatto in precedenza riferimento, i gdp nel nostro sistema
giudiziario non possono quindi
essere definiti magistrati di serie B,
quanto almeno di A2, e la considerazione può essere avvalorata anche
dalla comparazione con le altre
magistrature di pace presenti nel
contesto europeo, atteso che in un
recente convegno organizzato a
Torino dall’Associazione nazionale
dei giudici di pace il “modello italiano” è risultato indubbiamente il
più avanzato, anche rispetto alla
Francia, antesignana della figura
del “giudice di prossimità”.
Lo sviluppo complessivo della
giurisdizione di pace è incontestabile e qualche riferimento statistico
può essere utile per convalidare la
progressiva affermazione di una
giustizia onoraria cui è ormai devoluta oltre la metà dell’intero contenzioso civile di primo grado nel
nostro Paese.
Nel 2004 difatti le sopravvenienze civili dinanzi agli uffici del
giudice di pace hanno raggiunto le
848.000 unità, rispetto alle 896.000
dei tribunali, una forbice ravvicinatissima che però, considerando
anche l’incidenza dei goa e dei got
sull’attività degli uffici giudiziari di
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primo grado, non può che ufficializzare un “sorpasso” di cui ancora
in molti non sembrano essere consapevoli.
Il confronto assume termini
peculiari in considerazione della
percentuale di definizione dei procedimenti sul carico complessivo
(al 29,9% dei tribunali si contrappone il 52,6% degli uffici del giudice di pace), ed ancor più con riguardo alla durata media dei giudizi:
888 giorni in tribunale, solo 328
giorni presso il giudice di pace,
anche se si tratta di un dato temporale in lieve incremento che deve
indurre ad attenta considerazione.
Non diversa e positiva valutazione deriva dall’analisi dei dati statistici relativi alla recente competenza penale dei giudici di pace, dove
si è prossimi ad una deflazione per
i tribunali vicina al 12%, ma soprattutto si è in grado di monitorare la
progressiva affermazione di un’orditura processuale ricca di istituti di
grande interesse incentrati sulla
maggiore attenzione riservata alla
vittima del reato (il ricorso immediato, la riparazione del danno,
ecc.), e che ha sin qui resistito - ad
onta delle iniziali e pessimistiche
prognosi infauste - a tutti i sindacati di costituzionalità operati dalla
Corte costituzionale.
A questa crescita del ruolo della
giurisdizione di pace nel nostro
ordinamento non ha però corrisposto un’adeguata e corrispondente
modifica di carattere ordinamentale
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ed organizzativa, e credo che in
questi settori possano incentrarsi i
principali problemi odierni dei giudici di pace.
Il Csm, come è noto, è struttura
di eterogoverno della magistratura
onoraria, esclusa dal processo di
formazione attivo e passivo dell’organo, ma devo dire che negli ultimi
anni si è acquisita piena coscienza
di questa maggiore responsabilità
nei confronti della magistratura
onoraria,
concretizzatasi
sia
mediante una serie di interventi
particolarmente incisivi su proposta
dell’ottava commissione del Consiglio sia in virtù di una costante
interlocuzione con i rappresentanti
delle organizzazioni sindacali di
categoria.
Un’attenzione del tutto particolare è stata destinata alla formazione, non solo dei giudici di pace ma
di tutti i magistrati onorari.
Nella consapevolezza dell’analoga valenza centrale della formazione rispetto alla magistratura
togata, si è inteso fornire anche ai
magistrati onorari una “cassetta per
gli attrezzi” funzionale alla loro
massima preparazione, sul presupposto che quanto più il giudice di
pace (ma anche il got, il goa o il
vpo) è professionalmente preparato, tanto maggiore sarà la sua autonomia e la sua indipendenza.
Nel settore specifico non deve
essere trascurata l’ulteriore valenza
“strategica” della formazione,
destinata sia ad attenuare quella
distanza ancora esistente dall’avvocatura e dalla magistratura togata,
sia ad accentuare la qualità di una
risposta giudiziaria alla domanda di
giustizia che si deve affiancare ad
un dato quantitativo che può dirsi
ormai felicemente raggiunto.
Il giudice di pace è ormai giudice tecnico, con problemi di specificità professionale e formativa, di
cui il Csm si è fatto carico con maggiore attenzione rispetto al passato.
Così alla formazione cd iniziale,
rivisitata l’organizzazione del tirocinio e valorizzato il suo esito finale, si è affiancata per la prima volta
un’offerta formativa a livello centrale, destinata esclusivamente a
gdp, vpo e got.
Ma l’intervento innovativo di
maggiore portata in tema di formazione deve ricondursi alla recente
istituzione delle Commissioni per
la formazione della magistratura
onoraria, previste presso ciascun
distretto con composizione mista
(un rappresentante per ogni categoria onoraria, due magistrati togati
ed un esponente dell’avvocatura),
che ha realizzato un’iniziativa di
particolare impegno (anche economico) e di significativa valenza culturale, elevando i destinatari della
formazione al rango di soggetti
compartecipi, prevedendo altresì (a
differenza dell’analoga e ormai collaudata rete di formazione decentrata attiva per la magistratura togata), un’obbligatorietà della partecipazione alle iniziative di formazio-
ne valutabile in sede di conferma
dell’incarico.
Si è così qualificata un’offerta
formativa stabile e capillare sul territorio che, specie per quanto concerne i giudici di pace, ha già avuto
modo di intervenire in modo proficuo successivamente all’attribuzione ai giudici di pace della nuova
competenza in materia di convalida
delle espulsioni degli immigrati
clandestini, secondo una forma di
leale collaborazione istituzionale in
alcun modo vulnerata dalle perplessità pure manifestate in sede consultiva da parte del Csm sulla predetta novella normativa.
L’espansione della domanda di
giustizia rivolta agli uffici del giudice di pace ha messo a dura prova
l’organizzazione degli uffici, per
cui si è rimodulata la circolare di
indirizzo per la predisposizione
delle tabelle, incontrando persistenti difficoltà derivanti dalla modesta
“cultura tabellare” presente presso i
giudici di pace ed i coordinatori
degli uffici, sovente non sufficientemente consapevoli della delicatezza del progetto organizzativo
loro deputato e che connota l’autonomia gestionale del servizio.
Ancora troppo frequente è l’intervento consiliare diretto a dirimere contrasti interni correlati ad
un’insufficiente trasparenza nei criteri di assegnazione dei procedimenti ovvero ad una loro non equa
ripartizione tra i giudici di pace del85
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l’ufficio, evidenziando l’opportunità di una rivisitazione dei vigenti
criteri normativi meramente anagrafici preposti all’individuazione
della delicata figura del coordinatore.
La deludente attività di sorveglianza espletata nella stragrande
maggioranza dei casi sugli uffici
del giudice di pace del circondario
dal Presidente del tribunale (che è
alla radice di una molteplice serie
di problemi) suggerisce l’opportunità, quanto meno negli uffici del
giudice di pace di più ampie dimensioni, di destinare all’attività di
coordinamento un presidente di
sezione, raccogliendo del resto
un’indicazione maturata nell’ambito degli stessi giudici onorari.
Alcun accorgimento organizzativo, per quanto utile e necessario,
potrà peraltro supplire le croniche
carenze di risorse che caratterizzano gli uffici del giudice di pace
(alcune isole felici, come quella di
Genova, sulla base di quanto riferito in precedenza, costituiscono solo
delle eccezioni…), che nel generale deficit strutturale che connota un
agonizzante “servizio giustizia”
costituiscono tradizionalmente il
più lontano indirizzo per l’inoltro
di personale amministrativo, presìdi informatici, strutture di supporto,
ecc.
Maggiore attenzione va altresì
destinata al problema dell’incompatibilità delle funzioni di giudice
di pace con l’attività forense.
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Tanto non solo con riferimento
all’insufficiente sistema di controlli, cui si è fatto in precedenza riferimento, sull’attività forense svolta
dal magistrato onorario nel medesimo circondario di svolgimento del
mandato, quanto piuttosto alla delicata fattispecie relativa all’attività
forense svolta in loco dai congiunti
del giudice di pace che non eserciti
l’avvocatura, per cui non è prevista
alcuna delimitazione significativa,
nonostante le intuibili ricadute sull’immagine di terzietà di cui deve
godere anche la giurisdizione di
pace.
Si tratta di situazioni non episodiche, che richiedono strumenti di
intervento adeguati, ove non si
intenda (come pare dubbio) estendere alla magistratura di pace il
disposto dell’art. 2 della Legge
sulle guarentigie della magistratura.
Carattere di attualità riveste il
sistema dei concorsi per l’accesso
alla funzione di giudice di pace.
Ad una progressiva specializza-
zione tecnicistica di un magistrato
onorario che deve comunque progressivamente recuperare le originarie caratteristiche prettamente
conciliative, non può non accompagnarsi una rivisitazione dei criteri
di selezione vigenti, fondati esclusivamente su titoli, senza alcuna
verifica concreta preliminare.
Non può conferirsi particolare
affidamento al vigente sistema di
verifica della professionalità nel
corso dell’attività giurisdizionale,
attesa la modesta percentuale di
non conferme derivante anche da
un sistema di valutazione poco
approfondito, anche per l’ingente
numero di valutandi, nonostante il
previsto ed opportuno sistema di
esame di un campione di provvedimenti giudiziari redatti dal giudice
di pace, solo da pochissimo tempo
“esportato” in sede di valutazione
periodica per la progressione in
carriera anche alla magistratura
professionale.
Per la selezione di un giudice di
pace onorario ma specializzato, cui
vengono progressivamente delegate
sempre più competenze, lontano
dal modello originariamente prefigurato, si impongono più rigorosi e
selettivi criteri di scelta, atteso
anche il progressivo aumento di
vocazioni verso una funzione evidentemente ritenuta gratificante.
Il problema rischia però di essere confinato nel virtuale per l’inopinata paralisi di tutti i concorsi,
oggetto di un recente decentramen-
to su base distrettuale, determinata
dall’art. 1 comma 6 ter del d.leg 14
settembre 2004, n. 241 (convertito
in legge 12 novembre 2004, n.
271), che ha previsto la sospensione delle nuove nomine (e financo
delle ammissioni al tirocinio, bloccando così anche i concorsi già
definiti), fino alla definizione delle
nuove dotazioni organiche degli
uffici del giudice di pace.
Oggi pertanto è consentita solo
la mobilità territoriale per trasferimento dei giudici di pace ma non
l’accesso alla funzione, nonostante
siano stati banditi molteplici concorsi, per un numero complessivo
di aspiranti vicino alle 15.000 unità
(più di 3000 domande solo nel
distretto di Roma), per coprire un
organico che presenta circa 900
vacanze.
E tutto questo dopo un complesso iter procedurale che ha visto
impegnate le Corti d’appello ed i
Consigli giudiziari, per l’esame
delle domande e la predisposizione
delle classifiche, successivamente
verificate dal Csm: un’attività rivelatasi, a seguito del “blocco” inserito nella legge di modifica della
Bossi-Fini, del tutto inutile, e che
quantomeno avrebbe potuto essere
evitata a seguito di una interlocuzione preventiva, come spesso
accade del tutto assente.
Veramente difficile nella situazione attuale operare una programmazione, peraltro doverosa, che
attenga alla distribuzione dei giudi87
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ci di pace sul territorio.
Impossibile pianificare alcuna
prospettiva razionale, sia pure
diretta ad una più razionale distribuzione delle risorse sul territorio
(sicuramente da correggere radicalmente rispetto alle primitive piante
organiche), nel momento in cui si
ancora la sospensione dei concorsi
ad un dies incertus, atteso che la
declamata “definizione delle nuove
piante organiche” evoca il sinistro
precedente della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, attesa da
oltre un secolo.
Illusorio affidare il riequilibrio
degli organici ai trasferimenti su
domanda dei giudici di pace, per
cui nel breve periodo il raggiungimento del limite massimo di età (se
non la scadenza del mandato, del
tutto prevedibilmente prorogato)
comporterà disagi in più di un ufficio, nell’impossibilità di un ricambio.
Non può essere altresì trascurato
che l’attuale assetto comporta la
preclusione ad una naturale ed anzi
auspicabile mobilità orizzontale
all’interno della magistratura onoraria, inibendo ai got ed ai vpo, titolari di una specifica esperienza sul
campo e per questo doverosamente
privilegiati in sede concorsuale, di
accedere alle funzioni di giudice di
pace, secondo un percorso che salvaguarda la temporaneità dell’incarico, senza espellere dal circuito
giurisdizionale soggetti su cui si è
operato un investimento formativo
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e che hanno dimostrato una particolare idoneità alle funzioni onorarie.
La panoramica sin qui svolta
non è completa senza un esame
obiettivo e sereno del problema
retributivo dei giudici di pace, da
cui derivano conseguenze a volte
allarmanti.
Il sistema a cottimo previsto per
retribuire i giudici di pace non sta
offrendo risultati confortanti, con
picchi retributivi troppo spesso
patologici.
A fronte di compensi ragionevoli se non addirittura modesti, si
verificano guadagni estremamente
elevati, sovente (ma non solo) localizzati in aree meridionali del
Paese.
C’è anche ad alimentare il fenomeno un problema di irrazionale
distribuzione delle risorse sul territorio (e la magistratura togata conosce bene l’argomento…), ma le
diversificazioni dei compensi si
vanno progressivamente dilatando,
con “punte” clamorose intorno agli
80.000/ 100.000 euro annui procapite, enfatizzate anche mediaticamente, con conseguente danno
per la categoria, da cui derivano
perplessità e sfiducia per l’intera
categoria dei giudici di pace.
So che il tema è stato affrontato
responsabilmente anche dai dirigenti dell’Associazione sindacale
dei giudici di pace tra cui l’avv.
Longo, che non ha mancato di
denunciare l’inadeguatezza e le
discrasie dell’attuale modello retri-
butivo, e ritengo particolarmente
significativo che siano (anche) gli
stessi giudici di pace a segnalare la
necessità di una rivisitazione del
sistema del cottimo, che ha rivelato
costi maggiori dei benefici preconizzati.
Né può ritenersi risolto il problema in virtù del limite massimo
dei compensi annuali recentemente
introdotto per via normativa.
Al di là della singolarità di un
“mondo rovesciato”, quale quello
dei giudici di pace, cui non è agevole abituarsi nella comparazione
con la magistratura professionale
(si chiedono un maggior numero di
fascicoli processuali, si rifiuta un
incremento di organico negli uffici,
si ricercano i ruoli più impegnativi
e con maggior carico di lavoro…),
vanno rilevate con preoccupazione
le progressive distorsioni della giurisdizione riconducibili eziologicamente al sistema del compenso.
Esiste il pericolo che il giudice
di pace possa diventare giudice dell’accoglimento in funzione dell’incentivazione alla proposizione dei
ricorsi, ed allarmano sia i risultati
delle sempre più frequenti verifiche
ispettive sugli uffici del giudice di
pace, sia alcune indagini che hanno
rivelato commistioni tra magistrati
onorari e vere e proprie organizzazioni malavitose operanti nel
campo della rca.
L’analisi delle procedure disciplinari di competenza del Csm
sembra confermare la necessaria
attenzione da dedicare al profilo
deontologico della categoria poiché, nonostante la più volte ricordata carenza di efficaci e tempestivi
controlli, si è passati da 17 procedimenti disciplinari con 3 condanne
del 1999, a 70 procedimenti disciplinari con 39 condanne del 2004
(dato allarmante ove si consideri
l’operatività del breve termine
annuale di prescrizione dall’iscrizione nell’apposito registro istituito
presso ciascuna Corte d’appello),
ed il trend non accenna a modificarsi.
Non può in proposito dimenticarsi come - in assenza di una “carriera” analoga a quella dei magistrati togati - le sanzioni disciplinari inflitte ai giudici di pace (ove non
si concretino in quella più grave
della revoca dall’incarico) spieghino un modesto effetto concreto, in
particolare se intervenute nel
secondo periodo del mandato, in
quanto non valutate ai fini di una
successiva conferma.
Resta comunque inteso, e tanto
va sottolineato a scanso di equivoci,
che in alcun modo le valutazioni
disciplinari consiliari hanno affrontato il merito dei provvedimenti
giurisdizionali (salvo le ipotesi di
conclamata abnormità), la cui
insindacabilità è oggetto di doverosa custodia anche con riferimento
alla magistratura onoraria.
Si tratta di dati che se pure non
devono ingenerare eccessivo allarme impongono però una particolare
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attenzione, in primis da parte della
stessa categoria dei giudici di pace,
che pure si è dotata di un codice
etico, per evitare di ripetere alcuni
eccessi corporativi che hanno caratterizzato la magistratura togata e
che sono stati concausa della infausta riforma (anche disciplinare)
ordinamentale.
La magistratura di pace, la cui
prossimità all’utenza, che trova
riscontro nell’elevato livello di
fiducia, si fonda anche sulla trasparenza, deve salvaguardare un patrimonio di credibilità ed affidamento
da parte del corpo sociale, base fondante per collegare chi amministra
la giustizia ai cittadini e che non
può certo derivare come rendita
vitalizia dal superamento di un concorso, quanto piuttosto dalla condotta quotidiana, serena, professionale e qualificata nelle aule di giustizia.
Ormai lontane le discussioni sul
modello “forte” o “debole” che
hanno accompagnato l’istituzione
della magistratura di pace nel
nostro ordinamento, deve acquisirsi
coscienza che oggi il giudice di
pace non è un giudice minore quanto un giudice diverso, anche e
soprattutto in virtù di un rito diretto
ad esaltarne le caratteristiche pacificatorie, secondo una finalizzazione direttamente riferibile alla sua
denominazione originaria.
Le indicazioni statistiche non
ancora soddisfacenti in ordine a
numero di definizioni compositive
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delle controversie devono costituire
stimolo per ulteriori sforzi formativi in vista di un traguardo difficile
ma ineludibile, poiché ontologicamente connesso alla giurisdizione
di pace, che su questo percorso
trova gran parte della sua stessa
ragione di esistere.
Senza dimenticare come la diffusione capillare sul territorio ha
determinato per i giudici di pace
nel comune sentire quella valutazione di “giudici di prossimità” del
quotidiano con peculiarità positive,
in larga parte metabolizzate in settori topici del vivere civile, potendo
altresì contare su una celerità nella
risposta garantita alla domanda di
giustizia che costituisce ancora la
prerogativa fondamentale della giurisdizione di pace, in un sistema
giustizia in cui il fattore tempo è
sempre più una variabile indipendente.
Su questo sfondo complessivamente positivo si innesta anche per
i giudici di pace, se pure con minori difficoltà e problemi rispetto a
quelli evidenziati per i “meno protetti” settori dei got e vpo, l’esigenza di un riassetto ordinamentale che
faccia tesoro delle esperienze emerse in questo ormai prolungato
periodo di decollo della funzione.
Ma su questo fondamentale
tema non ci si può che unire alla
monotona litania che accompagna
qualsiasi tipo di valutazione sul
futuro della magistratura onoraria:
anche la politica ordinamentale dei
giudici di pace si caratterizza unicamente come politica di rinvii.
Le uniche interessanti e coraggiose iniziative propositive sono
state canalizzate in circuiti diversi
da quelli istituzionali (penso al
tavolo sulla riforma della magistratura onoraria organizzato dall’Associazione italiana giovani avvocati), ma non hanno sin qui prodotto i
frutti sperati.
L’attualità ci impone però una
valutazione più concreta su un disegno di legge delega che ha ambizioni riformatrici onnicomprensive.
L’iniziativa legislativa dell’on.
Vitali di cui si è qui discusso (ed
ancora certamente si parlerà in
seguito) sulla “magistratura di
complemento” quale approdo delle
categorie onorarie, esaminata dalla
visuale dei giudici di pace risulta
assi più problematica (e forse anche
meno interessante), rispetto alle
aspettative che su di essa vanno
riponendo got e vpo.
Aperta alla stabilizzazione in
ruolo di un numero complessivo di
magistrati onorari (4500) inferiore
all’organico attuale dei soli giudici
di pace (4700), finalizzata alla
dispersione della peculiarità specifica compositiva precipua dei giudici di prossimità (diretti a confluire in un ruolo unico ed indistinto
con i got), impositiva di un’incompatibilità rispetto alla libera professione forense (esercitata da molti
giudici di pace in età matura), la
novità della cd magistratura di
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complemento somma, con riguardo
ai giudici di pace, ulteriori difficoltà di accettazione rispetto a
quelle (già rilevanti) di ordine
costituzionale e di spesa.
Si prefigura pertanto una risposta inadeguata ad un problema
reale, cui deve essere imputata
anche la prefigurazione di una soluzione possibile alle legittime aspettative dei vari acronimi che caratterizzano il variegato mondo della
giustizia onoraria nel nostro ordinamento.
Per restare, come da copione
iniziale, al settore della giustizia di
pace, va piuttosto maturata la consapevolezza dell’impossibilità di
un ritorno alle origini (come pure
auspicato dai “padri fondatori”
proff. Taruffo, Chiarloni ed Acone),
affrancandosi dalle suggestioni pur
presenti nel loro auspicio di riproporre un giudice dell’età matura
svincolato da una particolare tecnicità giuridica.
Il modello vigente di giudice di
pace è stato in qualche modo imposto dalla necessità di fronteggiare
una crescente domanda di giustizia
ed ha offerto risultati tutto sommato incoraggianti.
Occorre quindi rilanciarne la
funzione, mediante il recupero di
una funzione mediatrice che non
può ridursi a mera petizione di
principio, per esaltarne l’inserimento in un circuito di pacificazione sociale.
E per questo occorrono risorse,
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strumenti specifici di formazione,
strutture di supporto qualificate
funzionali alla conciliazione (idonee anche a garantire la parità delle
parti), acculturazione e maggiore
consapevolezza anche degli avvocati, che devono favorire e non
ostacolare la mediazione.
Vanno riordinate (ed aumentate)
le competenze del giudice di pace
sia in ambito civile che penale,
incrementando gli investimenti di
risorse in quella che, quanto meno
sulla base dei dati statistici cui ho
fatto riferimento, non può certo
essere confinata al rango di giustizia marginale.
Un celere riassetto degli organici, mediante interventi drastici
imposti dalla neutra legge dei
numeri, già in possesso del ministero, possono portare ad una più ordinata distribuzione dei giudici di
pace sul territorio, sbloccando le
nuove nomine e consentendo così
quella mobilità interna al circuito
onorario che consente di non
disperdere professionalità salvaguardando la temporaneità dell’incarico connessa alla sua onorarietà.
Si tratta di obiettivi raggiungibili nel breve periodo, che non eludono il problema complessivo della
riforma della giustizia onoraria, di
cui è illusorio attendersi l’avvento
in tempi rapidi, ricordando che il
gap di rappresentatività dei giudici
di pace potrà trovare ancora parziale soluzione nell’imminente riforma ordinamentale, atteso che l’art.
4 del ddl amplia le attribuzioni del
Consiglio giudiziario in composizione integrata con i rappresentanti
dell’avvocatura e dei giudici di
pace anche alla materia dell’organizzazione del tirocinio, delle
tabelle e dell’organizzazione degli
uffici.
Si tratta di una delle poche
disposizioni incontestate ed anzi
utili della (contro)riforma ordinamentale che per il resto (ed oserei
dire per fortuna, vista l’ottica com-
plessiva di intervento), della magistratura onoraria, come in effetti
delle più autentiche esigenze della
giustizia italiana, non si occupa
affatto.
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