Espaces Environnements Métamorphoses
Transcript
Espaces Environnements Métamorphoses
Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne Università Ca’Foscari di Venezia Espaces Environnements Métamorphoses Programme détaillé du colloque franco-italien Auditorium Santa Margherita- Venise Mardi 2 novembre 2004 Jacques LEENHARDT, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales L’espace du seuil En rhétorique, c’est la captatio benevolentiae, en architecture, l’entrée, en littérature l’incipit, le moment du contact, l’espace de la rencontre, le seuil et ses mystères. L’œuvre est toujours un tout, elle clôt un espace autour d’elle. Se pose dès lors, quel que soit le media, la question de l’abordage, du pas à franchir pour rentrer dans cette altérité qui s’offre et se refuse à la fois. La mise en scène, organisation de la cohérence du spectacle, repose traditionnellement sur le rituel théâtral, dans l’obscurité bienveillante de la salle lorsque les lumières ont été éteintes, qui arrachent le spectateur à son quotidien et le restituent à l’espace imaginaire du théâtre. Dans les arts plastiques, ce rituel du seuil est réduit au silence qui s’impose dans les lieux d’art, musées ou galeries. C’est sans doute peu comparé à l’enjeu. Pourtant l’architecture des musées ne lésine pas en signes et en espaces destinés à organiser cette prise de contact : escaliers, porches et péristyles imposants de la tradition classique introduisent au rituel de l’art sous l’angle de la transcendance cultuelle, boutiques et librairies du merchandazing contemporain familiarisent en faisant prévaloir son accessibilité marchande. Le diaporama et les audio-guides placent quant à eux l’idée de familiarité savante au centre de leur dispositif d’accueil. Reste que la rencontre avec l’art, avant d’être un rituel religieux, la forme initiale d’une appropriation ou le rangement d’un objet dans une classification historique se définit aujourd’hui, ou devrait se définir, comme le choc imprévisible naissant d’une rencontre. Comment les partenaires, artistes et spectateurs, de cet événement majeur qu’est l’expérience esthétique, savent-ils amadouer cet espace du seuil enrichissant et inquiétant à la fois ? Éliane Chiron, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne La métamorphose et la question du regard. L¹Amour, le Kairos, la Mètis. Si Les métamorphoses d¹Ovide ont pu servir de modèle descriptif aux scènes de l¹art occidental depuis la Renaissance, nous questionnerons la valeur opératoire de ces descriptions aujourd¹hui, pour penser les métamorphoses actuelles de l¹espace et de l¹environnement artistique. Nous nous appuierons sur l¹analyse du groupe Orphée et Eurydice (1777) sculpté par Canova (salle de bal du Museo Correr de Venise), pour tenter de saisir le regard créateur qui s¹y joue, fondateur d'espaces du monde contemporain, à travers les concepts de kairos et de mètis. Daniele Goldoni, Université Ca’Foscari de Venise Prendere tempo Giuseppina Dal Canton, Université Ca’Foscari de Venise Domande e considerazioni sul rapporto fra arte e critica nell’ultimo decennio L’arte dell’ultimo decennio pone numerosi interrogativi alla critica, che deve adeguare i propri modelli interpretativi a tendenze nelle quali da tempo sono mutati le tradizionali nozioni di spazio e di ambiente e, con queste, le modalità di fruizione dell’opera – quando vi è opera – o dell’evento definito come artistico. Da un lato infatti troviamo le ricerche, avviate nei decenni precedenti, di un’arte concepita per il video o per il computer, “in presa diretta”, che non può che essere lasciata vivere sullo schermo o sul monitor, e poi la realizzazione di tipo ambientale, che sintetizza esperienze un tempo separate come l’installazione, la scultura, la musica, la video-art e la performance, dall’altro, invece, un rifugiarsi nella manualità, non solo riprendendo i pennelli e dipingendo più o meno nostalgicamente, ma anche ricuperando una specie di artigianalità, puntando a una ritrovata decorazione o semplicemente perseguendo la gioiosa naïveté 1 del bricoleur. Di fronte a tutto questo certamente non bastano più le vecchie, ancorché utili, categorie puro-visibilistiche di “aperto” e “chiuso”. Occorrono altri strumenti per un approccio il più possibile adeguato ad opere ed eventi che fanno ormai parte di un’esteticità diffusa. Occorre non limitarsi a descrivere – come sempre più frequentemente viene fatto –, ma occorre trovare strumenti interpretativi capaci di far sì che si possano alla fine esprimere dei giudizi di valore, che permettano di stabilire se ciò che viene di volta in volta proposto come arte sia veramente tale. Marylène MALBERT, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne L’Arsenal de Venise : quand la monumentalité architecturale fait œuvre Ce propos cherche à analyser en quoi la force intrinsèque de l’espace de l’Arsenal en fait un espace privilégié pour accueillir des œuvres d’art contemporain, sans pour autant occulter la mémoire historique du lieu. On pourra également faire la différence entre des œuvres qui restent indifférentes au lieu de l’exposition et celles qui engagent un dialogue fructueux avec l’environnement qui les accueille pour tenter de mesurer le succès du dispositif lieu historique / art contemporain. Sandrine MAHIEU, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne S. ne retient que le rouge Espaces Environnement Métamorphoses est ce que j’appellerais une problématique nouée. Ces trois mots forment un nœud. C’est l’environnement qui métamorphose l’espace. Le terme central « environnement » attrape donc la « métamorphose » et l’utilise pour la lier à « l’espace » qu’il transforme. En quoi le travail d’un artiste métamorphose t-il l’espace dans lequel il s’installe ? L’espace du Magazzino del ferro est-il transformé par la photographie que j’y dépose ? Dino Marangon, Université Ca’Foscari de Venise Per, forse un incontro L’esposizione di opere di artisti operanti a Parigi e a Venezia nell’ambito degli scambi possibili fra diverse istituzioni culturali e, in primo luogo , le rispettive Università: ecco le motivazioni e il senso della presente iniziativa. Non vi sono infatti imposizioni tematiche o criteri stilistici da rispettare. Ciononostante si può probabilmente dire che gli artisti partecipanti appartengono a una vasta area espressiva caratterizzata dalla, per altro ormai diffusa, creazione di opere che si pongono al di fuori dei parametri, dei generi e delle discipline tradizionalmente riconosciute quali la Pittura, la Scultura etc. , alla ricerca di una sorta di comune alveo interestetico, spesso volto alla manifestazione di molteplici presenze oggettuali, considerate queste, per lo più, non per le loro supposte proprietà e qualità intrinseche, ciò che le rinchiuderebbe in una sorta di rinnovato e chiuso concretismo, ma per le relazioni, i nessi, i rapporti che sono in grado di suscitare al proprio interno, come pure nelle eventuali contiguità con altri elementi o contesti in qualche modo tematizzati e messi in atto. Si assiste infatti, pressoché costantemente, a una varia mescolanza di presenze fisiche e artifici linguistici, in un universo in cui le convenzioni comunicative non sembrano più godere di consolidate certezze e di gerarchie stabili e definite. Tra l’altro, si troveranno così, le une accanto alle altre, stratificate trasparenze e sovrapposizioni d’immagine in funzione evocativa, ribadite, ritmiche enucleazioni archetipiche analogamente indirizzate, accentuate dilatazioni di contenitori e oggetti, forse a simboleggiare vigorose potenze in espansione, o, viceversa forze regressive, dispersive divergenze, o ancora si assisterà a calibrate fusioni di raffinati echi e risonanze musicali con gli avvolgenti transiti di una quotidianità iterativa oppure si seguirà l’avvilupparsi di ritornanti linearità volte a elaborare trasparenti ma insidiosi luoghi di segregazione. Ugualmente si potrà contemplare l’oculata dislocazione di misteriose giustapposizioni oggettuali in grado di acquisire fascino dal loro celarsi in perfetti involucri: quasi una sorta di nobili e austere livree, capaci altresì di far affiorare il sottile imporsi di non ideali, ma tangibili geometrie e spazialità esistenziali. A tali raffinati reperti verranno inoltre, probabilmente affiancandosi altrettanto complessi flussi di significato emanati dal calibrato assemblaggio di istantanee impronte della memoria che trovano nella associazione con la presenza scabra di materiali volutamente grezzi e primari, la carica energetica per ulteriori sviluppi immaginativi, mentre non mancherà neppure chi sembrerà prescindere da qualsiasi delineazione d’oggetto, riproponendo un mondo intercettato in una sorta di momento zero della sua genesi, anche se, con tutta probabilità, si tratterà comunque di una situazione che si potrebbe per molti versi definire addirittura post-oggettuale: indirizzata cioè alla riconquista di quello che potrebbe apparire come un universo primordiale, che però non è tale, dandosi in realtà in effigie, attraverso una specie di sofisticata riesumazione delle ritualità e delle alchimie della pittura. O, infine, basterà forse una porta, quale simbolo di passaggio tra interno ed esterno, tra il conosciuto e l’incognito, tra il qui ora e ogni possibile ulteriorità - insistente invito a superare qualsiasi ostacolo o 2 impedimento – a richiamare e come coagulare l’attenzione: apertura sull’orrore che forse ci attende, o, viceversa, speranza beneaugurante. Se queste sono in qualche modo le aspettative, sarà comunque la mostra stessa far vedere se le differenti opere sapranno dialogare tra di loro innestando nuovi e forse inattesi percorsi, nuovi, stimolanti orizzonti di significato. In ogni caso, non potrà non avere il suo peso il fatto che l’esposizione troverà spazio in un ambiente così connotato e ricco di storia come quello dell’antico Arsenale della Serenissima, dove , tra l’altro, pressoché contemporaneamente avrà luogo l’importante appuntamento della Biennale Architettura, oltretutto all’insegna di uno stimolante titolo, quale Metamorph. Sarà allora particolarmente interessante verificare non solo se le singole opere verranno isolandosi nel proprio particulare o, al contrario sapranno aprirsi a molteplici collegamenti e relazioni, riuscendo altresì a catalizzare esperienze in grado di superare i pur essenziali confini di una esistenzialità in qualche modo individualistica, magari proponendosi quale implicita interrogazione, sui destini della polis, intesa quale fondamentale modalità di organizzazione e convivenza umana, o, più in particolare, sul presente e sul futuro di una città come Venezia la quale, fino a qualche tempo fa, secondo le parole di Sergio Bettini, si poteva definire come “la … più attuale”, dal momento che la sua stessa “… forma non è data, per così dire una volta per sempre, ma continuamente si discioglie e si ricompone di nuovo entro il nostro tempo”, ma che, da qualche decennio sembra purtroppo come essersi atrofizzata in mera immagine turistica, o, al più, in un palcoscenico più o meno ambito di rappresentazioni che alla fine le risultano estranee. Si vedrà insomma se anche la presente iniziativa potrà essere annoverata tra gli innumerevoli spettacoli di una scena spesso annoiata e sazia, se non ormai definitivamente svuotata, oppure, se al di là persino delle sue stesse peculiari potenzialità, questo specifico incontro verrà configurandosi quale seppur minuscolo tassello di un rinnovamento che non potrà non trovare, proprio nel riuso delle immense ricchezze – ahimè, per adesso ancora solamente virtuali – dell’Arsenale ( la più stupefacente fabrica del mondo, già nel 1312, allorché lo visitò Dante, dandone mirabile testimonianza nel Canto XXI dell’Inferno) uno dei suoi capitoli fondamentali. Valérie ARRAULT, Université Montpellier III L’ici-maintenant, à l’image de l’Hypermodernité L’actualité construit le regard, lequel, par l’instant photographique artistique, tente de traduire des environnements mentaux, idéologiques, où le réel des fantasmes et des désirs se teinte d’incertitude et de tragique. Partant de l'hypothèse que, de la métamorphose d’un espace-temps comprimé, naît une temporalité recentrée autour d’une hypermodernité multicarte, je retiens des repères sociaux contemporains qu'ils se fondent sur une hétérogénéité faite de toujours plus d’entrecroisements éphémères. Malgré ces atours séduisants, cette hypermodernité ultra technologique opère des bouleversements, parmi lesquels les plus tragiques sont la violence relative à l’accroissement du chômage en Occident et l’éclatement de guerres fratricides en Orient comme en Afrique. Christine O’LOUGHLIN, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne Mauro SAMBO, artiste Vittorio Urbani, Nuova Icona, Venezia 1) Metamorfosi o “Metamorph” è l’idea guida della corrente Biennale di Architettura di Venezia. Nei recenti anni architetture bio-morfe, spazi multiuso, riuso industriale hanno caratterizzato non solo un periodo di economia meno prospera e sprecona, ma anche seguito un trend contemporaneo di sensibilità al riciclo, al rispetto dell’ambiente e al riuso. Guardare con occhi nuovi e creatività a spazi già disponibili e “dati” è una tendenza ormai affermata. Gli artisti in questo hanno fatto da battistrada, sia recuperando spazi abbandonati ad uso di studio e di abitazione (es.: il riuso dei loft a New York dagli anni ‘50 in poi) sia iniziando a riempire di segni e significati luoghi abbandonati o periferici delle città col loro fare artistico. Tutto il lavoro site-specific nasce completamente al di fuori dello spazio della galleria e del museo, e perfino dei luoghi socialmente privilegiati delle città. In questo contesto a Venezia l’esperienza di Nuova Icona ha portato artisti internazionali a dialogare con la città, nei suoi luoghi e aspetti meno ovvi. Esempi: il lavoro di Stefan Dornbush e di Mike Nelson. 2) Per quanto riguarda la relazione – e reciproca influenza – tra artista e spazio, è cosa non certo contemporanea. Duccio ha dipinto la Maestà per l’altare maggiore della cattedrale di Siena. Pensando a quella specifica luce e quella particolare altezza. Anche nei contesti mussali, installazioni forti come la Galerie du Rubens al Louvre o l’Altare di Pergamo al Pergamonmuseum di Berlino formano un contesto 3 organico che sarebbe difficile immaginare differente o migliore. L’arte quindi non da oggi ma da sempre si situa e interagisce nello spazio, che ne è non solo contenitore, ma contestualizzatore. 3) Si vuole infine introdurre la consapevolezza i un nuovo modo di operare al di fuori della galleria e del museo, in cui l’artista dialoga e lavora con e per l’organizzazione culturale. Nello scenario del nonprofit italiano, questa è la realtà innovativa, fortemente sotto-rappresentata dai media e dalla cultura ufficiale, ma intensamente vissuta dai reali protagonisti. Nostra teoria è che – a differenza del sistema galleria/museo, in qualche modo più passivo nei confronti dell’artista, a priori selezionato su criteri critici o di mercato - il soggetto organizzativo non-profit è parte integrante del processo creativo, che conduce a fianco dell’artista con notevoli margini di rischio sulla validità del risultato finale. Il soggetto non-profit introduce elementi pratici e di connessione alla realtà sociale nel processo creativo condotto dall’artista, quasi infettandolo di realtà. Alcuni esempi illustreranno questo tipo di lavoro (Graham Fagen, Hans Winkler). Mercredi 3 novembre 2004 Marc Jimenez, Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne L’esthétique après le postmoderne Récemment, Arthur Danto affirmait que l’art avait achevé « sa mission conceptuelle ». L’esthétique et la philosophie sont là pour démentir ce genre d’ineptie. Il y a près d’un demi-siècle, la théorie de l’architecture a fait cadeau à l’esthétique de la notion de postmodernité. Les artistes ont mis cette notion en pratique ; les philosophes, notamment Jean-François Lyotard ont élargi l’extension et la compréhension de ce concept, au point d’en faire un usage heuristique indispensable pour comprendre l’évolution du monde et de la société. Est-il vraiment surprenant que l’art le plus spatialisé – et donc comme tel le plus proche de l’existence quotidienne et du social – ait renouvelé nos modes d’interprétation ? De nos jours, ce concept, devenu obsolète, a perdu de sa pertinence. La « mission » continue… Maryvonne Saison, Université Paris X – Nanterre L'espace mental : réflexions à partir de la pratique théâtrale de Claude Régy Il s'agira de présenter la volonté de Claude Régy d'instaurer "un lieu unique entre spectateurs et acteurs" et de s'interroger sur ce "lieu mental qui englobe l'aire de jeu et l'aire du public". Les dispositifs réalisés par le metteur en scène remettent en cause l'équilibre convenu entre le réel et l'imaginaire. La présence spécifique du spectacle vivant, qui n'a de sens que dans le temps de la représentation, est liée à la proximité corporelle entre acteurs et spectateurs et la dissociation du texte et de l'image, quasi systématique chez Régy, se matérialise par la différence et la complémentarité entre un jeu silencieux et une écoute aiguë de la parole proférée ; la scène réelle donne peu à voir, un nouvel espace-temps est donné par l'écriture et la représentation s'opère sur la scène intérieure de l'espace mental tout à la fois singulier et commun, réel et virtuel. Maurizio PELLEGRIN, artiste, New York University Jac FOL, Ecole d’Architecture Paris Malaquais Arts quelconques Comprises dans de nouvelles circonstances : la dérive marchande du politique et l’axialité de la question environnementale, des pratiques artistiques (arts visuels et architecture) préconisent un autre rapport au politique. Contradictoire ou complémentaire, et peut-être sans précédent, ce double mouvement circonstanciel lance d’autres perspectives. Les croisements de ces deux pratiques artistiques entremêlent une volonté renouvelée d’archiver/inventer le réel et de lui procurer de meilleures conditions. Ainsi, l’architecture fait figure d’exemple, à la fois comme acte de projet et comme opportunité structurelle et culturelle. Alain CHAREYRE MEJAN, Université de Provence Le sur-place de l'art L'art est d'abord spatial par son mode d'expression dans la simple mesure où il n'est pas prédicatif. Il passe par une "opération corporelle" (Klossowski) dans laquelle son mystère s'égale à lui-même et devient évident parce que ce que veulent dire les choses qu'il fait, elles le sont physiquement. L'oeuvre expose le sur-place de l'événement le plus simple, soit celui dans lequel le monde paraît identique à son exister. Elle constitue l'explication totale du supérieur par l'inférieur, la solution sensible de tous les 4 problèmes à chaque fois Ici. "Ici" indique la proximité atomique entre l'oeuvre et elle-même, en même temps que l'intensification du caractère existant de sa matière. (oeuvre référence : "Om" de Paul-Armand Gette). Dominique PINCHI, artiste Francine LEVY, Ecole Nationale Supérieure Louis Lumière De l’interstice La technologie informatique de l’image provoque, comme le notait Paul Virilio à propos de la vitesse, « l’enlèvement perpétuellement répété du sujet, hors de son contexte spatio-temporel »1. C’est dans cette problématique, et dans le cadre des images cinématographiques, à partir d’une expérience plasticienne de « traitement d’images », que je me suis interrogée sur « l’espace interstitiel », cet espace de l’ « entre » que creusent les outils numériques dans les créations artistiques. Je suis allée à sa recherche en peinture, dans la trame urbaine, en musique, et c’est en cinéma, que l’interstice, en tant qu’espace-temps, est devenu pour moi, matière à expérimentation. Je traiterai du « Slit-Scan » qui produit des formes visuelles objectives et quantifiables de la manipulation de l’interstice temporel au cinéma. Il autorise des représentations spatiales qui, tout en conservant leur homogénéité perspective, admettent, simultanément, la désynchronisation temporelle des mouvements des corps qui les traversent. La dislocation de l’espace-temps cinématographique produit des endométamorphoses formelles qui révèlent quelques surprises. Comme l’horizon qui recule sans cesse, lorsque nous avançons, l’observation de l’espace interstitiel produit sur l’oeuvre, lorsque nous nous en approchons, une nouvelle perspective. Michele di Monte, Université Tor Vergata de Rome Spazio delle ragioni e spazio delle pretese nell’esperienza dell’arte contemporanea In che modo e in quale misura la fruizione (non solo quella criticamente orientata) può prendere sul serio la rivendicazione spesso implicita (ma non di rado esplicitata dagli autori stessi) in molte forme della produzione artistica contemporanea – dal minimalismo alla Installation Art – di voler riorganizzare e promuovere una inedita esperienza dello spazio? Di ridefinirne i confini e persino le modalità di percezione? In questi termini, pare legittimo chiedersi dove reperire le condizioni di “senso” (inteso qui nella sua originaria radice estetica) della possibilità dell’arte di intervenire su, o modificare “realmente” categorie d’esperienza, spesso dialetticamente connotate, come quelle di “luogo”, “ambiente”, “territorio”, “spazio”. Richiamandosi ad alcune nozioni fondamentali elaborate e discusse nell’ambito dell’epistemologia (e derivativamente dell’estetica) contemporanea – dall’ontologia delle entità fittive e dei mondi possibili, al concetto di “spazio delle ragioni”, allo statuto di una “seconda natura” – si possono suggerire degli spunti di riflessione sulla questione dei “confini”, tanto dal punto di vista di una qualificazione dell’esperienza di ricezione, quanto in ordine alla possibilità di un criterio di demarcazione per il momento poietico Manuel CECCHINATO, artiste Chantal BERET, MNAM – CCI, Centre Georges Pompidou Frederick Kiesler et la question de l’endless Frederick Kiesler (1896-1965) est une figure atypique et énigmatique : architecte et/ou artiste, habité par la Vienne de Kraus, Wittgenstein et Schoenberg il joua le rôle de l’enfant terrible de la modernité, sa part maudite en quelque sorte. Formée par cette modernité viennoise où les frontières entre disciplines s’annulaient – on était à la fois philosophe et architecte, physicien et écrivain -son œuvre à la fois singulière et radicale, plurielle et polymorphe , ponctuée par quelques projets emblématiques ( “ city in space ”, “ endless house ”…) est parcourue par deux thèmes majeurs : la notion de continuité, d’un espace sans fin, “ endless ” donc , où le flux de l’expérience n’est jamais interrompu qu ‘il confronte à cet autre thème, quasi obsessionnel, la vision. Soit l’œuf et l’œil. 1 Paul Virilio, Esthétique de la disparition, p. 115, ed. Galilée, 1989, Paris. 5