Il Mistero Pasquale celebrato

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Il Mistero Pasquale celebrato
Il mistero pasquale
Ricordiamo il tema della lezione scorsa: “Celebrare la liturgia”.
Si è sottolineato, come essenziale del celebrare, la partecipazione vitale ed il clima di festa e di
gioia. Al n° 1136 del Cat. d. CC. troviamo una sintesi di quanto si è voluto spiegare e
soprattutto far intendere e sentire. Leggiamo:
“La liturgia è azione di Cristo tutto intero.” - il Christus Totus - “Coloro che qui la celebrano,
al di là dei segni, sono già nella liturgia celeste, dove la celebrazione è totalmente comunione
e festa”.
Fin qui il catechismo. Pare evidente che il segno della liturgia, celebrata nelle nostre chiese,
debba manifestare la comunione e la festa della liturgia celeste di cui è parte. Se certe nostre
liturgie, come quelle dei defunti, possono manifestare la mestizia del cuore di noi viandanti
su questa terra, non possono però togliere o sminuire il rapporto con la liturgia celeste, dove è
solo festa. È del cristiano essere sempre ‘lieto nella speranza’, dice la Scrittura.
A tema della lezione di oggi abbiamo ‘il mistero pasquale celebrato’. Ebbene: la Chiesa
celebra, la Chiesa fa festa, addirittura esiste, si fa, è generata e cresce, verificando se stessa,
perché Gesù Cristo in essa, oggi, è vivo ed agisce; ma ancor più precisamente perché è vivo.
Che fa? Compie la sua grande opera, la sua sola azione, che per lui e per l’umanità è stata la
salvezza. Vi è un versetto del Vangelo di Giovanni che ce lo dice: “Prima della festa di
Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo
aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Nella Pasqua - che era il
passaggio degli Ebrei dall’Egitto alla terra promessa - Gesù pone il suo passaggio, il suo salire
al Padre. Il Cat. d. CC. parla a lungo della Pasqua di Gesù e, nelle pagine che ci interessano,
dal n° 1135 in poi, la inserisce nella trattazione della liturgia. Infatti è nella liturgia celebrata,
nell’oggi della Chiesa, che tale mistero è attuale, cioè è insieme atto di Cristo e del suo corpo
intero. Il mistero di Cristo agisce - è efficace - nel mio oggi, e viene realizzato come
celebrazione insieme comunitaria e del tutto personale.
È importantissimo e decisivo che comprendiamo questo: vi è un passato come memoria, e vi è
un futuro come attesa e speranza, a partire dal presente e solo a partire dal presente.
Leggiamo, dal Cat. d. CC., il n° 1165:
“Quando la Chiesa celebra il mistero di Cristo, una parola scandisce la sua preghiera: oggi ,
come eco della preghiera che gli ha insegnato il suo Signore e che è l’invito dello Spirito
Santo. Questo oggi del Dio vivente, in cui l’uomo è chiamato ad entrare, è l’ora della Pasqua
di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne è il cardine”.
Dio è vivente e quindi nell’oggi, nel suo oggi. Quindi ancora una parola: Dio è eterno, ma non
dobbiamo pensare all’eternità di Dio come a un fluire da un passato infinito in un futuro
indefinito. La sua eternità, propriamente, non ha passato e non ha futuro, perché è un puro
presente. Tutto è in Lui in atto: presente. Egli non deve acquisire niente di nuovo. È già tutto
perfetto e completo in Lui. Per Lui e in Lui il passato è dunque presente; e così il futuro è già
esistente.
Ecco allora che nel mio presente di creatura, dove il passato più non esiste, certamente, ed il
futuro non c’è ancora, ecco che può farsi presente, e si fa presente, ciò che per Dio è presente.
Ed allora, in qualche modo, noi partecipiamo all’eternità di Dio. Così diventiamo
contemporanei di Dio - possiamo dirlo - come attratti dal suo essere puro presente.
Attenzione però, perché solo Dio - e ciò che è in Dio - diventa nostro contemporaneo, mentre
ciò che è umano non gode della stessa proprietà. Ad esempio: noi non possiamo in alcun
modo essere contemporanei - che so? - di Napoleone. Nel mio presente Napoleone è soltanto
una memoria, presente sì, ma come ricordo. Non avviene lo stesso quando la Chiesa ricorda e
fa memoria di quanto partecipa del presente, e cioè dell’eternità, di Dio. Noi, o meglio ancora
il sacerdote che ricorda, come fosse lui stesso Cristo, l’Ultima Cena, compie l’atto di Cristo che
è Dio. E perciò quell’atto che ricorda è insieme memoria dell’Ultima Cena e presenza
dell’Ultima Cena, e di quanto l’Ultima Cena ovviamente conteneva (o - diciamo - contiene,
perché è presente) e quindi nell’ora - e proprio ora - è contenuto nella celebrazione della
Chiesa. È, cioè, l’atto supremo del Signore Gesù che si offre al Padre e all’umanità in dono
totale di amore, amore che è offerta della vita umana propria e offerta della vita nuova: la sua
vita da Risorto. Questo è possibile perché quest’uomo Gesù è Dio e tutto in Lui e di Lui è nel
presente di Dio, partecipa dell’eternità di Dio.
Il Cat. d. CC. presenta Gesù Uomo-Dio come contenuto, oggetto, soprattutto soggetto attivo
della liturgia, e quindi Cristo oggi. Ma la liturgia, allora, diventa un po’ come Cristo stesso:
Cristo celebra la sua liturgia. Per noi, vi è liturgia dei tempi liturgici, che ripercorrono i
momenti diversi della vita terrena del Cristo; vi è liturgia di specifiche azioni di Cristo, e sono
i singoli sacramenti; vi è liturgia di diverse presenze di Cristo nell’oggi della Chiesa, come
sono il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune dei fedeli. Sempre Cristo Sacerdote è
presente. Vi sono liturgie diverse nella Chiesa, e cioè riti: rito orientale, rito occidentale...
Il Cat. d. CC. tutto esamina nei particolari, perché niente sfugga della misteriosa ricchezza.
Possiamo usare questi termini. Ma non deve sfuggire il concetto base che guida il catechismo,
e che il catechismo appunto insegna. La liturgia è una, perché uno e unico è Cristo, e uno è
Dio. “Credo in un solo Dio”, seppure in tre persone. Questa indicazione dell’unità è
chiarissima al n° 1200 del Catechismo. Leggiamo:
“Dalla prima comunità di Gerusalemme fino alla parusia le chiese di Dio fedeli alla sede
apostolica celebrano in ogni luogo lo stesso mistero pasquale. Il mistero celebrato nella
liturgia è uno, ma variano le forme nelle quali esso è celebrato.”
È un’occasione, per il Catechismo, per affermare l’unità fondamentale dell’atto liturgico.
Come si legge, l’unità profonda deriva dall’unità intima del mistero pasquale. Anzi è evidente
che persino la vita di Cristo, tutta, è unificata e ha sintesi in quel mistero, è un unico mistero.
Quindi Cristo è ridotto al suo mistero, a questo mistero? ma proprio tutto Cristo? Compresi i
tempi della sua nascita, della predicazione del Regno, il Vangelo stesso, il Vangelo persino
come è giunto a noi, la Sacra Scrittura? Sì. Ma abbiamo sbagliato la parola: non è ridotto.
Avremmo dovuto dire è incluso, è compreso, è manifestato, agisce, è qui, è nell’oggi. Unità e
sempre soltanto unità, che viene e conduce all’unità di Dio, rende uno il suo Cristo. E appunto
nella preghiera è diffuso questo pensiero: nell’unità dello Spirito Santo fa di noi una sola cosa
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con Dio e ci viene dato il mistero di Cristo, intero. Ed è reso attuale nel mio oggi. C’è qui una
specie di punta di cono rovesciato che ci tocca, e tocca il mio oggi. Possiamo chiederci: perché
il mistero di Cristo, uomo-Dio, lo chiamiamo pasquale?
Certamente potremmo limitarci a chiamarlo ‘mistero di Cristo’. Ma il Cat. d. CC., che altro
non è che la coscienza, l’insegnamento della fede della Chiesa nell’oggi (Ci sono stati molti
catechismi nella Chiesa: il catechismo del concilio di Trento, il catechismo di San Pio X... :
diverse espressioni, diverse scritture dell’unico contenuto). Ebbene, il Cat. d. CC., quello di
oggi, ripropone con maggiore evidenza quella che è la tradizione più importante che ci sia, di
tutte le chiese diffuse nel mondo, e cioè la Pasqua e la sua celebrazione.
Non possiamo fermarci più di tanto, ma come non ricordare che la Pasqua è stata la Festa? la
Festa: la celebrazione della Chiesa dei primi secoli? Come appunto, per fare un esempio,
dimenticare le dispute - e accesissime! - sulla data della Pasqua, addirittura la scomunica per
chi digiunava nel giorno di Pasqua? Il giorno stesso del Signore, la domenica, è il primo della
settimana, il giorno della Risurrezione, cioè il giorno del passaggio di Cristo alla nuova sua
vera vita. Pasqua, passaggio, certamente come conclusione e perfezione della sua offerta al
Padre e a noi. Offerta anche a noi, offerta al Padre, culto al Padre, e offerta di amore a noi,
nella Passione. Questa dalla Chiesa è vissuta certamente nella compassione, per noi triste, del
Cristo sofferente e morto, ma la tradizione della Chiesa ci dice proprio questo: che la stessa
croce del Signore, la sua morte, è vittoria: vittoria sulla morte, e quindi viene detta ‘beata
Passione’. Quell’aggiunta del beata non è strana, per chi da sempre vive il mistero pasquale. In
tutti i secoli si è fatto festa per la Pasqua. E nella Pasqua c’è la Passione, c’è il triduo pasquale,
tutto una sola cosa; e quindi la stessa Passione partecipa della beatitudine della Risurrezione.
Il mistero di Cristo è pasquale, perché tutto Cristo è passaggio dal peccato alla grazia, dalla
condanna alla redenzione, da una vita che ha per destino la morte, a una morte che ha per
destino la vita eterna e la risurrezione.
La vita si celebra e celebrare è atto di vita, atto vitale di gioia, nella festa.
Interessa, a questo punto, dare uno sguardo retrospettivo al programma svolto l’anno scorso.
L’anno passato si sono studiati, in questa parte del Cat. d. CC., i sacramenti. Ricordiamo,
spero molto bene, che molto poco tempo si è dedicato all’Eucaristia, pochissimo alla messa,
purtroppo, per consentire, però, una visione d’insieme di tutti e sette i sacramenti. Vediamo
di completare questo studio prendendo ancora in esame tutti i sacramenti, presentandoli però
nella prospettiva della celebrazione. Noi diciamo infatti che i sacramenti, tutti, si
amministrano, si fanno. Ad esempio: “mi sono confessato”. Ma dovremmo meglio dire ‘si
celebrano’, anche se ci sarà difficile usare questa parola nel linguaggio corrente e poi
diffonderla nel linguaggio del popolo di Dio.
Vediamo i singoli sacramenti.
Il Battesimo.
È indubbio che il Battesimo è vissuto oggi nelle famiglie e nella Chiesa come festa.
Parallelamente al Matrimonio ed alla Cresima, viene considerato occasione di inviti, di
pranzi, certamente di allegria, di gioia interiore. Sinceramente questa celebrazione dobbiamo
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ritenerla come umana, ma anche espressione di un sentire religioso profondo.
Che cos’è il Battesimo? È l’immersione nell’acqua vivificante del mistero pasquale di Cristo.
Cristo battezza, unendo il battezzato alla sua morte, facendolo risorgere con Lui a vita nuova.
Non è necessario citare i passi della Scrittura da cui prendiamo queste espressioni: tutti le
conosciamo. Non sfugga però l’importanza di esaltare nella catechesi proprio l’inizio della
vita cristiana come abbandono della vita destinata alla morte. Non a caso, è antichissima
l’unione tra la rinuncia a Satana e la proclamazione e la decisione per la fede. La rinuncia a
Satana e alle sue opere è il primo sguardo, è ciò che noi dobbiamo compiere per poter poi
proclamare la fede nella nuova vita data da Cristo. La fede è appunto vita, conduce alla
pienezza della vita. Festa, quindi? Di certo. Ma festa totale, che non può essere che pasquale,
cioè vero passaggio da uno stato di vita che è mortifero, ad un altro stato di vita, la vera vita:
la vita dei figli di Dio, oltretutto.
E così la Confermazione, come perfezione della vita cristiana. Ai ragazzi tutta una serie di
problemi, di impegni, di scelte, vanno presentati e fatti vivere, perché la celebrazione del rito
sia un atto vitale e non formale, sia festa e non divertimento.
L’Eucaristia, ancora.
L’Eucarestia come messa e come sacramento della presenza di Cristo nella Chiesa è con me e
in me. È il sacramento che apparentemente è il più scontato come festa, diciamo, essendo
celebrazione per eccellenza. E la Chiesa d’oggi è cresciuta molto sia nella consapevolezza che
nella catechesi e con la catechesi circa l’Eucaristia come festa. Oggi, direi, è un’esperienza
scontata, oltre che un’istruzione catechistica scontata. Non va assolutamente sottovalutato,
attenzione, il rischio opposto, quello che incrinerebbe, diciamo così, farebbe un po’ da velo
alla realtà misterica dell’Eucaristia. L’Eucaristia infatti è memoriale che fa presente la Pasqua,
cioè il passaggio dalla morte alla vita, ed anche i celebranti, tutti i celebranti, popolo e
sacerdote, con ruoli diversi, accolgono, fanno comunione e vivono tale passaggio. È
importante sottolineare che ciascuno, sia il sacerdote che ciascun fedele, deve unire se stesso e
la propria vita all’offerta cultuale di Cristo e passare come Lui, anzi fare il passaggio che Lui
ha compiuto, il passaggio pasquale. L’Eucaristia è ancora conversione, purificazione e
partecipazione alla beata Passione di Cristo, che ci coinvolge, ci porta con sé, in fondo, nel suo
rientro, nel suo ritorno al Padre, attraverso la porta stretta della sua morte. Allora, celebriamo
veramente quando passiamo per questa porta stretta. E la sua porta stretta è la nostra porta
stretta. Allora è vera festa cristiana.
La Riconciliazione.
Il ritorno del figliol prodigo a suo Padre non sarà una festa? Anche qui il mistero deve essere
celebrato ed è chiaramente pasquale. Molto si fa e ancora molto rimane da fare, perché il
sacramento della Riconciliazione sia vissuto come la festa della misericordia di Dio che si
china su di noi e del nostro umile accettare questa misericordia. È un problema di
prospettiva, però anche catechetico; e insieme un impegno continuo per la pastorale, perché è
difficile non vedere come è permanente la difficoltà dell’uomo a morire in Cristo, ad accettare
una vera morte per risorgere a vita nuova.
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Altro sacramento, l’Unzione degli infermi. È ancora quasi tutto da fare, perché il dolore, la
morte, la loro esperienza, il loro senso vanno rivisitati del tutto nella vita della Chiesa. La
dottrina, e anche il cuore nostro, è già rinnovato in fondo, ma nel popolo di Dio è un’altra
cosa, un altro problema. Come fare senza rivisitare, d’altra parte, alla luce del mistero
pasquale, lo stesso evento della morte e quindi gli stessi funerali? I funerali, quante volte
abbiamo ascoltato che devono essere un po’ da tutti considerati come un’ottima occasione di
evangelizzazione e catechesi! In proposito vi consiglio di leggere il n° 81 della Costituzione
conciliare sulla Sacra Liturgia.
Altri due sacramenti: l’Ordine e il Matrimonio, i sacramenti che diciamo istituzionali.
Vengono celebrati certamente come festa. Sono anche celebrazione pasquale? In ciascuno dei
due sacramenti, diversa può essere la consapevolezza e l’accettazione vissuta che ancora oggi
ci si immerga nel Cristo che dà la vita nella dimenticanza di se’ e nell’adorazione. Pensiamo al
Matrimonio e all’amore coniugale, alla donazione di un sacerdote per la vita, per la vita della
Chiesa, per la vita dei fratelli. Donazione a Dio innanzitutto e donazione ai fratelli. Però
penso che non ci sia alcun problema ad affermare che la struttura di questi sacramenti è
effettivamente pasquale. È per le vita e passa attraverso il rinnegamento di se’. La morte di
Cristo è anche la nostra salvezza.
E con questo abbiamo finito.
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