[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica

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[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
IGNAZIO SANNA
“Dignità della persona umana ed eugenismo”
1. La persona e le sfide della cultura contemporanea.
1.1. La concezione dell'uomo come persona ed in modo particolare la categoria cristiana
dell'uomo immagine di Dio costituisce il contributo specifico che il cristianesimo ha dato alla
costruzione dell'identità umana. Per l’antropologia cristiana, la persona è tale in forza di ciò che
è e non di ciò che ha e di ciò che fa, e tanto meno in forza del riconoscimento che può ricevere
dalla società e dall'altro. Pertanto, per avere la persona non si richiede che questa abbia già
sviluppato le sue potenzialità. Se si identificasse la persona con l'esercizio delle sue
potenzialità, non si troverebbe nessun ostacolo teoretico per dare via libera all'aborto,
all'eutanasia, alla soppressione dei ritardati mentali e dei deformi. Ciò che deve essere in atto
per avere una persona non sono le sue potenze ma il suo essere. Va comunque precisato che
se la dignità dell'uomo consiste nell'essere il tu di Dio e nell'essere destinato alla comunione
con Lui, "allora l'esistenza di ogni uomo è legittimata prima di qualsiasi incontro interumano,
indipendentemente dalla misura più o meno adeguata in cui egli possiede o non possiede i
contrassegni naturali che distinguono l'essere umano dalle altre creature". Questa verità cristiana è continuamente sottoposta a verifica critica dagli interrogativi cruciali
che le scienze umane e naturali, soprattutto quelle biologiche, continuamente le pongono, e con
le quali non può non confrontarsi, nel rispetto della propria epistemologia e di quella delle altre scienze. Uno degli ultimi interrogativi che sfidano questa concezione teologica di persona, per
esempio, è posto dalla "procreatica". La cosiddetta procreatica è una nuova scienza dai
contorni ancora imprecisi, nata da quando si è cominciato a conoscere le fasi attraverso cui la
natura forma un nuovo essere vivente, e l'oscuro mondo della riproduzione ha perso l'alone
sacro che lo circondava per diventare oggetto di interventi che spaziano dai gameti surgelati
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alla fecondazione in vitro, alla manipolazione e conservazione degli embrioni, fino alla
possibilità della clonazione umana. Questa nuova scienza ha fatto comparire un nuovo
microscopico protagonista, l'embrione, prodotto non dalla naturale unione di due esseri umani,
ma dalla sapiente manipolazione di gameti all'interno di un laboratorio. In effetti non si è ancora concordi nel definire che cosa sia l'embrione così prodotto in
laboratorio, conservato nell'azoto liquido, manipolato in provetta, inserito in un utero che
potrebbe essere anche diverso da quello della donatrice. Ci si interroga su quale sia il suo
statuto giuridico e sociale, se, cioè, sia "persona", titolare dei diritti di tutela di quell'essere
umano che potenzialmente è destinato a divenire, oppure sia un semplice grumo di cellule che
si può manipolare, su cui si possono fare esperimenti, che si può impiantare o, se necessario,
eliminare quando sono stati prodotti in sovrannumero rispetto alla richiesta della coppia. Rimane ancora aperto, dunque, almeno dal punto di vista della scienza biologica, l'interrogativo
sullo statuto dell'embrione, su dove cominci la persona umana, e dove si debba arrestare la
capacità scientifica di manipolare la vita. [1]
1.2. Nel linguaggio comune, dire persona significa dire uomo. I due termini, persona e uomo,
sono interscambiabili, e vengono usati per indicare la stessa realtà, perché la persona
è
l'uomo e non già una proprietà dell'uomo. Nel linguaggio comune, dunque, uomo è sinonimo di
persona. Ma mentre tutti si è d'accordo su che cosa sia uomo, non tutti si è d'accordo su che
cosa sia persona, su quando l'uomo cominci ad essere persona e quando cessi di esserlo.
Mentre l'uomo è legato alla natura umana, alla specie, all'insieme di dati fenomenologicamente
osservabili e verificabili, la persona è legata ad una interpretazione dell'essere vivente, mutuata
da una visione religiosa della vita. Uomo è in rapporto alla vita come organismo biologico,
determinabile, quantificabile, misurabile. Persona è in rapporto alla vita come
zoe
, come dinamismo interiore, come esistenza carismatica, non sempre misurabile e
quantificabile. Negli ultimi decenni, di fatto, hanno cominciato ad affermarsi correnti di pensiero per le quali
l’equazione uomo=persona è messa in discussione, per il fatto che non ogni persona sarebbe
un uomo e non ogni uomo sarebbe una persona. [2] Il concetto di persona viene allargato ad
altri esseri viventi, diversi dagli uomini, purché provvisti di un minimo grado di coscienza. Per i
filosofi morali Engelhardt e Singer, discriminante per il riconoscimento di un diritto alla vita non
è l'appartenenza a una determinata specie biologica, ma soltanto il grado di autocoscienza, di
uso della ragione e di capacità di pianificare il futuro che un essere vivente raggiunge.
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[3]
P. Singer, in modo particolare, afferma che i due termini "vita umana" ed "essere umano" non
coincidono. Tutti gli esseri che appartengono alla specie
homo sapiens
hanno una vita umana, per cui hanno tale vita sia il feto che è concepito da genitori umani, sia i
"vegetali umani", irreparabilmente menomati. Anche se questi ultimi si possono chiamare
"esseri umani", in realtà, sono veramente "umani" soltanto quegli esseri che possiedono gli
"indicatori di umanità", che sono l'autocoscienza, l'autocontrollo, il senso del futuro, il senso del
passato, la capacità di porsi in rapporto con gli altri, il riguardo per altri, la comunicazione, la
curiosità. Soltanto gli esseri umani che possiedono questi indicatori di umanità sono "persone
umane"; gli altri esseri umani che non li hanno fanno parte della specie umana, ma non sono
persone umane. Ciò significa che possono esserci membri della specie umana che non sono
persone, perché non hanno i due indicatori essenziali di umanità, quali sono la razionalità e
l'autocoscienza. La vita di questi membri della specie umana, che non sono persone, non è
sacra, come vorrebbe il cristianesimo, cha ha imposto quest'idea alla civiltà occidentale. Invece,
ci possono essere animali non-umani che sono persone, perché dotate di autocoscienza, come
gli scimpanzé e altri animali, mentre non sono persone i feti, i neonati e i cerebrolesi. In
conclusione, Singer sostiene che l'appartenenza alla specie biologica
homo sapiens
non autorizza un comportamento "specista" ed il conseguente riconoscimento di particolari
diritti dell'uomo.
[4]
Nell'odierno linguaggio della bioetica, dove non esiste il concetto di persona, il massimo cui si è
arrivati è l'aver accettato l'espressione di "individuo umano". Il progetto di una Convenzione
Europea di Bioetica, per esempio, discusso nel gennaio del 1995 dall'Assemblea del Consiglio
d'Europa, non ha trovato un accordo su una definizione comune di persona e di essere umano,
e si è limitata ad affermare che secondo un principio generalmente accettato "la dignità umana
deve essere rispettata dall'inizio della vita", e che "all'essere umano va dato il suo senso più
largo, tanto nella sua individualità quanto nella sua appartenenza alla specie". 1.3. L’allargamento del concetto di persona è stato reso possibile per il fatto che, nella cultura
contemporanea, il concetto di persona viene elaborato più dal punto di vista psicologico che
ontologico ed indica soprattutto la coscienza che si ha di se stessi. E' noto come Karl Barth
prese atto che il cambiamento di linguaggio del XX secolo aveva dato al concetto di persona un
senso differente da quello della Chiesa antica e del Medio Evo, e lo faceva consistere
praticamente in una "coscienza di sé". Egli, perciò, pur ritenendo utile la conservazione del
termine persona nella teologia trinitaria, se non altro per riguardo alla continuità storica, propose
di spiegare la triplicità divina ricorrendo all'espressione "maniera d'essere", per cui si potrebbe
dire che "Dio è uno in tre maniere d'essere, il Padre, il Figlio e lo Spirito".
[5] Ma il grande
teologo evangelico era molto cosciente dei limiti della sua proposta ed ammetteva: "Noi
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abbiamo provato a trovare una risposta relativamente migliore di quella che contiene il concetto
di "persona". Il semplice fatto che non abbiamo potuto far altro che riprendere le indicazioni
suggerite da quell'antico concetto, per raggruppare sotto la nozione, secondo noi, più adeguata
di maniera d'essere, ci deve rendere perfettamente umili e coscienti dei nostri limiti. Un
semplice cambiamento di terminologia non è sufficiente a risolvere i problemi di fondo".
2. Definibilità e indefinibilità della dignità umana.
Se è controversa la concezione di persona umana, non meno controversa è quella di dignità
umana. La parola "dignità", dal latino dignitas, significa eccellenza, nobiltà, valore. Di
conseguenza, "degno" è ciò che ha valore e perciò merita rispetto. La "dignità" della persona
umana significa, quindi, che questa, per la sua eccellenza e nobiltà, per il suo valore, merita
rispetto, che sarà tanto maggiore quanto più la persona è "degna". Nel vocabolario italiano del
Palazzi, la dignità viene definita come "la nobiltà che una persona ha per sua natura, per i suoi
meriti; il rispetto che per tali ragioni ha di se stesso ed esige dagli altri; il contegno nobile e
dignitoso". Alcuni autori legano il concetto di dignità ad un determinato ruolo sociale che viene ricoperto,
per cui quanto più alto è il ruolo che si ricopre, tanto più alta è la dignità che si riveste. Altri,
invece, pur riconoscendo l'importanza del ruolo sociale, collocano la ragione della dignità nella
stessa umanità di cui è dotato ogni essere vivente. Charles Taylor, nella determinazione della
base del riconoscimento e del rispetto dell'uomo, parla di un passaggio dalla considerazione
dell'onore a quella della dignità. La coscienza moderna nascerebbe dal declino del codice
aristocratico dell'onore, che imponeva l'identificazione dell'io con i propri ruoli istituzionali e
l'adesione alle norme ideali della comunità; essa si fonda sulla inedita rivendicazione della
propria dignità e dei propri diritti, al di là, o anche contro, i ruoli socialmente imposti. Cercando i
fondamenti dell'identità al di fuori dei ruoli istituzionali, l'io perde la propria dimora e acquisisce il
diritto all'affermazione della propria singolarità, della propria intrinseca umanità
indipendentemente da norme e valori socialmente presupposti. [6] 4 / 24
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Secondo R. Mancini, si possono individuare alcune componenti con le quali si può descrivere,
se non proprio definire, la realtà della dignità. Queste componenti sono: la dignità umana è
intrinseca in ogni uomo e non è posta in essere dalla volontà di qualcuno; essa non coincide
con il semplice fatto di esistere, ma con una plusvalenza di senso che trascende la stessa
esistenza dell'uomo; essa è fondante delle antropologie e delle culture, perché è sempre alla
loro base, e, quindi, non è fondata da esse; in quanto tale, essa è incondizionata, irrevocabile
ed il suo riconoscimento non può essere negato a nessuno, neppure al "nemico"; la dignità
costituisce la fonte della responsabilità di ognuno per sé e per gli atri; poiché, infine, essa non
appartiene, come realtà di valore, solo al singolo, ma è il legame stesso tra gli esseri umani, è
un valore transculturale e universale. [7]
3. Sviluppo storico dell’idea di dignità umana.
L'idea della dignità umana deve senza dubbio moltissimo all'influsso esercitato dal vangelo e
dalla fede cristiana nella storia. Essa, tuttavia, sotto il profilo storico, non può esser fatta
risalire soltanto al contributo culturale storico del cristianesimo, né la validità che tutt'oggi le si
riconosce è legata al perdurante influsso di questo. Il concetto della dignità umana,
dispiegantesi nel riconoscimento di diritti umani pre-statali e meta-positivi, è frutto nella sua
estensione e validità odierna del concorso di diversi fattori storici e di diverse concezioni
filosofico-religiose, passibili di differenti interpretazioni e valutazioni. Tra i più significativi fattori
storici del mondo moderno, che hanno per lo meno contribuito al perfezionamento dell'idea
della dignità umana, vanno ricordati la scoperta delle culture latino-americane, l'aspirazione
all'indipendenza delle colonie nordamericane e i cambiamenti politici e sociali seguiti alla
rivoluzione francese. Tra le concezioni filosofico-religiose, che hanno condotto alla formazione
dell'ethos dell'evo moderno, vanno ricordate, invece, la convinzione stoica dell'uguaglianza
naturale di tutti gli uomini e l'idea di una cittadinanza mondiale e cosmica, la dottrina cristiana
dell'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, l'idea della fraternità universale fra gli
uomini. In ultima analisi, queste concezioni filosofico-religiose si possono ridurre alla filosofia
classica, all'etica cristiana e all'umanesimo europeo. Nella filosofia dei greci si verifica il primo
passo dell'autoliberazione dell'uomo dal suo legame mitico con il cosmo, passo che conduce
già a questo livello alla concezione di una cultura universale, che deve compenetrare l'azione e
il pensiero degli uomini. Nel messaggio del cristianesimo, l'idea dell'uguaglianza naturale di tutti
gli uomini si sposa con l'idea che davanti a Dio ogni singolo individuo rappresenta la dignità
del genere umano. 5 / 24
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Il contributo specifico dell'umanesimo europeo e del tempo moderno sta soprattutto nel
riconoscimento che la libertà e la dignità del singolo hanno bisogno di essere efficacemente
protette sotto il profilo politico-giuridico. Con il riconoscimento, però, che l'idea della dignità
umana non è radicata solo in un'immagine filosofica o religiosa dell'uomo, ma è ancorata nello
spazio politico-istituzionale si verifica un certo allontanamento dal contributo originario del
cristianesimo. Si verifica, in altri termini, una specie di secolarizzazione dell'idea religiosa di
dignità umana. Ciò corrisponde anche al dato storico che le proclamazioni dei diritti umani dei
tempi moderni sono avvenute in larga misura prendendo consapevolmente le distanze dalle
loro fonti cristiane. Se, tuttavia, si guardano le cose in retrospettiva, si può affermare che non la
disparità filosofico-religiosa, bensì la convergenza su importanti affermazioni antropologiche di
fondo caratterizza il risultato dello sviluppo storico. Il confronto culturale storico fra le radici
antiche, cristiane e moderne dell'idea della dignità umana porta ad ammettere che "le tre
correnti, per quanto diversi siano i loro punti di partenza ed il loro modo di argomentare, sono
contraddistinte da una forte reciproca affinità, che si spiega storicamente con le loro molteplici
reciproche relazioni." [8] E' convinzione abbastanza comune, quindi, che l'idea di dignità umana e della difesa dei diritti
dell'uomo ad essa collegata, sia il risultato di uno sviluppo storico a più strati e sia,
conseguentemente, soggetta a interpretazioni diverse e contrastanti. Accanto alla tradizione
liberale occidentale c'è la concezione dei diritti sociali di origine marxista e c'è la visione dei
diritti dell'uomo propria del Terzo mondo. Queste interpretazioni diverse e contrastanti dei diritti
dell'uomo hanno indotto talvolta i politici e i giuristi a tacere sulle motivazioni che stanno alla
base della loro eticità universalmente vincolante. Si racconta, infatti, che uno dei membri della
commissione dell'Onu per la preparazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, d
el 1948, considerata dai più come il manifesto del nuovo
ethos
mondiale, avrebbe affermato: "Noi concordiamo su questi diritti, ma a condizione che non ci si
chieda il perché". 4. Il ruolo delle tradizioni giuridiche
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Un ruolo importante, nello sviluppo della concezione della dignità umana, viene svolto dalle
tradizioni giuridiche. Le tappe principali della determinazione della dignità dell'uomo, garantita
per diritto, sono la Magna Charta del 1215, considerata il documento fondamentale delle libertà
inglesi. Essa, composta da 63 articoli, afferma il principio dell'
h
abeas corpus,
che vieta ogni arresto arbitrario da parte del re. Seguono le
Dichiarazioni del 1776-1789,
proclamate dalla Virginia, dal Maryland, dalla Carolina del Nord e dal Vermont, le quali si
richiamano al diritto naturale di tutti gli uomini alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. La
Dichiarazione
francese del 1789
sancisce la titolarità dei diritti del cittadino in quanto uomo, e definisce i diritti specifici attinenti
alla libertà personale, di culto, di riunione, associazione, domicilio. La
Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo
delle Nazioni Unite
del 1948 è concepita sulle quattro libertà lanciate da Roosvelt nel 1941 (di parola, pensiero,
religione e dal bisogno). Ogni stato deve rispettare i diritti della persona. La
Convenzione
di Ginevra
del 1949 sui diritti dei prigionieri di guerra afferma che questi devono essere trattati sempre con
umanità e devono essere protetti contro atti di violenza e d'intimidazione. La
Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione Europea
approvata a Nizza il 7 dicembre del 2000 sancisce la parità dei diritti dei cittadini europei e si
pone come la garanzia dei valori comuni dell'Europa, ribaditi dal Trattato costituzionale del
2004. In particolare, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, afferma nel preambolo: "il
riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti,
uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia, e della pace nel
mondo"; e l'art. 1 afferma: "tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi
sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
Questi principi sono ripresi da molte Covenzioni Internazionalie dalle Carte Costituzionali degli
stati. Così la costituzione italiana afferma che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
uguali davanti alla legge" (art. 3), e la costituzione tedesca nell'art.1 stabilisce: "la dignità
umana è inviolabile. Ogni potere pubblico è tenuto a rispettarla e a proteggerla". Il principio della dignità della persona umana è stato ripreso dal Consiglio d'Europa con la
"Convenzione sulla protezione dei diritti umani e della dignità dell'essere umano con riguardo
alle applicazioni della biologia e della medicina" (la cosiddetta Convenzione sulla biomedicina,
firmata a Oviedo il 4 aprile 1997 ed entrata in vigore il 1 dicembre 1999). Essa definisce come
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propria finalità "la protezione della dignità e dell'identità di tutti gli esseri umani" e "il garantire a
ciascun individuo, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi diritti e libertà
fondamentali nei confronti della biologia e della medicina" (art.1). Impone, inoltre, di considerare
il bene dell'essere umano prevalente rispetto all'esclusivo interesse della società e della scienza
(art. 2). La tutela della dignità umana comporta che siano da ritenersi contrarie a tale dignità le azioni
tese alla riduzione o alla subordinazione di tale valore al perseguimento di altri beni,
particolarmente di ordine materiale (quali la commercializzazione del corpo umano), ma anche
di ordine simbolico, quali, ad esempio, la clonazione. Infatti, alla Convenzione sulla biomedicina
è stato allegato un protocollo addizionale, concernente il divieto di clonazione: questa non deve
essere praticata in quanto "la creazione di esseri umani geneticamente identici" è una
strumentalizzazione dell'essere umano "contraria alla dignità umana e costituisce un uso improprio della biologia e della medicina". "Tali principi vanno ribaditi anche per quanto
concerne le applicazioni delle biotecnologie, che non possono mai essere utilizzate in modo
lesivo della dignità umana." [9] Anche nella Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell'uomo, adottata
dall'Unesco nel 1997 e poi dall'Assemblea generale dell'Onu, ha un posto centrale il termine
"dignità umana". Infine, l'art. 2 del Trattato costituzionale europeo, del 2004, afferma che
"L'Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia,
dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Questi valori sono comuni
agli stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla
solidarietà e sulla non discriminazione".
5. Il fondamento teologico della dignità umana
Anzitutto, bisogna precisare che la fondazione teologica della dignità dell'uomo e dei diritti
umani non è, in ultima analisi, una semplice sovrastruttura apposta ai moderni diritti umani
generalmente riconosciuti. Essa non può limitarsi a ripetere con parole teologiche solenni ciò
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che altri hanno conquistato combattendo in duri scontri, e che a loro appare chiaro anche
senza un tale rivestimento teologico. La fondazione teologica è piuttosto un aiuto originario e
originale, per una comprensione autentica della dignità umana e dei diritti dell'uomo, che ci
permette non solo di decifrarne il vero significato, ma anche di difendere l'una e gli altri da una
loro possibile strumentalizzazione ideologica. Il fondamento ultimo della dignità dell'essere umano risiede nel fatto che egli partecipa della
natura di Dio (Ef 2,18; 2Pt 1,4), il Filantropo (Tt 3,4), l'Emanuele, il Dio con l'umanità (Mt 1,23).
Il nucleo centrale di questa fondazione teologica è senz'altro la concezione dell'uomo come
immagine di Dio.
Teologicamente, questa affermazione fondamentale è fondata sulle asserzioni di
Gn
1,26 e
Sal
8,6-9, interpretate cristologicamente da
2 Cor
4,4-6,
Col
1,15,
Eb
1,3. Filosoficamente, essa si basa sul fatto che l'uomo, per natura, si esprime e si realizza
all'interno di una fiducia originaria in Qualcuno, e solo nella misura in cui può ancorarsi a questo
Qualcuno, può vedere garantite le sue attese e le sue aspirazioni umane fondamentali. Non il
fato, non le energie dell'evoluzione, ma Lo Spirito divino è ciò che dà origine all'essere vivente,
e il punto di riferimento per l'autocomprensione non è il cosmo, ma Dio stesso. L'uomo non è un
piccolo cosmo, un microcosmo, ma un piccolo Dio. La
Gaudium
et Spes,
nell'offrire un abbozzo di antropologia cristiana, tutta centrata sul tema dell'immagine di Dio,
dedica il primo capitolo della prima parte alla dignità della persona umana, e collega ad essa la
costituzione corporea e spirituale dell'uomo, la sua intelligenza, con cui egli partecipa della luce
della mente di Dio, la coscienza, considerata come il nucleo più segreto e il sacrario dove
l'uomo è solo con Dio, la libertà, segno altissimo dell'essere creato ad immagine di Dio. In
ultima analisi, è la dimensione teologica che fonda e protegge l'unicità ed irripetibilità d'ogni
essere umano, che rende ogni uomo una persona, un interlocutore di Dio, l'unica creatura che
Dio ha voluto per se stessa (
GS
, 24). Come scrive Giovanni Paolo II, "l'affermazione più radicale ed esaltante del valore di ogni
essere umano è stata fatta dal Figlio di Dio nel suo incarnarsi nel seno d'una donna" (
ChL
, 37). 9 / 24
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L'origine più vera della concezione della persona, quindi, è teologica, anche se, per un verso,
una sua idea seppure ancora confusa è già presente nella letteratura classica antica, e per un
altro verso, nel corso dei secoli, questa origine teologica si è andata perdendo ed il concetto di
persona si è progressivamente secolarizzato, divenendo appannaggio della filosofia e del
diritto. Dalla Persona divina si passò alla persona umana, dalla teologia alla filosofia e al diritto,
in una sorta di movimento circolare ove antropologia e teologia si intrecciano reciprocamente. Ora, in forza di questa origine teologica della concezione della persona, l'uomo si
autocomprende come soggetto spirituale dotato di valori eterni, capace di entrare in rapporto
dialogico con un Dio trascendente. Quando Dio crea l'uomo non crea un oggetto in più, accanto
ad altri oggetti, ma crea un tu, e lo crea chiamandolo per nome (Is 43, 1: "Ti ho chiamato per
nome: tu mi appartieni"), ponendolo davanti a sé come un essere responsabile, un essere, cioè,
che può rispondere, un partner del dialogo inter-personale. Ma l'uomo non è soltanto terra,
materia. Dio gli ispira dentro un alito di vita, cioè la luce dell'autocoscienza, come è definita,
appunto, l'alito di vita (
Pro
20,27), così che l'uomo diventa un essere vivente, una persona. Benché tratto dalla terra e,
quindi, essenzialmente legato ad essa, l'uomo è aperto a Dio, che lo fa vivere e gli conferisce la
sua precisa identità personale. Ogni uomo e tutti gli uomini sono qualcosa di unico e irripetibile; ogni uomo è un valore a sé e
per sé. Il fatto che Dio abbia creato l'uomo per se stesso, come fine e non come mezzo, fa di
costui un valore assoluto, che non può essere posto in funzione di nessuna realtà, sia essa la
produzione, la classe, lo stato, la religione, la società. L'uomo, come persona, è un valore
assoluto, perché Dio lo considera in modo assoluto. Cristo, uomo fra gli uomini, con la sua vita
e la sua opera di redenzione, ha confermato il valore assoluto della persona umana, perché è
morto per ogni uomo, per ogni fratello (I Cor 8,11; I Tm 2, 5-6). 6. La dimensione cristologica della persona.
Se è vero che la prima e fondamentale dimensione della persona è quella teologica, che fa
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riferimento alla trascendenza di Dio, è anche vero, però, che questa trascendenza di Dio si
rivela a noi nell'evento storico di Cristo. Per rapportarsi a Dio, nella sua trascendenza, e anche
per rapportarsi agli uomini, nella loro prossimità, è ormai necessaria la mediazione del Cristo.
Perciò, la persona ha una dimensione cristologica, sia quando la si vuole definire nei confronti
di Dio, sia quando la si vuole definire nei confronti degli altri uomini. Gesù Cristo, nella sua condizione di Figlio, è sì unico e irripetibile, perché solo Egli ha la
relazione al Padre che lo costituisce nella sua sussistenza personale, ma, nella sua
risurrezione, Egli ha donato al credente il suo Spirito, lo stesso principio della sua attuazione, in
virtù del quale ha condotto a termine la sua esistenza storica e dalla cui forza è stato risuscitato
dai morti. Gesù, così, è diventato il principio della nuova vita per tutti gli uomini. Il suo essere
uomo è diventato paradigmatico per quello di tutti gli uomini. Grazie allo Spirito Santo che si
concede a noi come Spirito di Gesù, possiamo partecipare tutti nella filiazione divina, che solo
Egli possiede originariamente. Il principio della nostra esistenza è lo stesso che animò quella di
Gesù. Come in Gesù l'unione ipostatica non significa diminuzione né detrazione dell'umanità
ma il suo potenziamento massimo, così anche nel credente la presenza dello Spirito che
riproduce l'immagine di Gesù implica la massima perfezione del suo essere personale. Se
Gesù è persona in quanto pura relazione al Padre, anche il credente sarà persona nella misura
in cui è chiamato a partecipare a questa relazione, benché a partire dalla sua contingenza
creaturale. Lo Spirito di Gesù, presente in lui, rende possibile la sua apertura a Dio, la sua
essenziale relazione a Dio, e contribuisce così a realizzare la sua perfezione umana. Maggiore
unione con Dio significa, infatti, maggiore realizzazione possibile della propria essenza e del
proprio essere creaturale. [10] E' chiaro che nell'esporre la dimensione teologica e cristologica come costitutiva della persona
non intendiamo circoscrivere al solo credente la possibilità di riconoscere sè stessi e gli altri
come soggetti personali e valori assoluti. Anche gli umanesimi laici possono e devono rendere
ragione della loro affermazione del singolo individuo come fine incondizionato. La ragione
umana può dimostrare che l'uomo è un essere intelligente e libero, dunque di natura spirituale,
e, come tale, un essere fine a se stesso. [11] Basti pensare a come Kant stesso abbia insistito
efficacemente sulla non strumentalizzazione della persona nei rapporti con gli altri uomini e con
la società. Dal principio che la natura ragionevole esiste come fine in se stesso, il filosofo di
Königsberg ricavò l'imperativo categorico che si deve agire in modo da trattare l'umanità, sia
nella propria persona, sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come
mezzo.
[12] Ciò che, però, in primo luogo,
bisogna comunque riconoscere è che quando si attribuisce un valore assoluto ad un tu umano,
indirettamente, si afferma l'esistenza di un Assoluto come fondamento del rispetto e della
dignità di questo tu umano. In realtà, al di fuori di una visione religiosa che veda nell'uomo per
lo meno una lontana presenza di Dio, è assai problematico fondare la dignità assoluta, e
dunque l'intangibilità dell'uomo. Giovanni Paolo II affermando che il senso dell'uomo è
strettamente collegato con il senso di Dio, sostiene che "il vangelo dell'amore di Dio per l'uomo,
il vangelo della dignità della persona e il vangelo della vita sono un unico e indivisibile vangelo."
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[13]
D'altra parte, "pur tra difficoltà e incertezze, precisa il pontefice, ogni uomo sinceramente
aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della
grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf
Rm
2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il
diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario."
Bisogna, tuttavia, riconoscere che, dal punto di vista storico, "solo la dottrina cristiana di
un'incarnazione di Dio nell'uomo ha formulato e portato fino alle sue ultime conseguenze
l'intuizione umanistica che l'uomo è l'essere supremo per l'uomo, postulando così con efficacia
ineguagliabile l'imperativo etico di relazioni interumane rette dalla dignità personale di ciascun
soggetto, e opponendosi decisamente ad un modello di relazioni dove la natura prevale sulla
persona, l'io trasforma l'altro in una cosa, le entità astratte (lo stato, la razza, la società, la
classe) diventano mediatrici degli individui concreti; dove, insomma, non si arriva a capire sul
serio che ogni uomo deve essere trattato come Dio, perché Dio ha voluto essere e lasciarsi
trattare come uomo".
[14]
7. Dignità e indegnità della persona umana
Dall'esame comparato di tutte queste tradizioni che abbiamo finora esaminato risulta evidente
un fatto del tutto particolare, e, cioè, che molto spesso la dignità è riconosciuta e promossa a
partire da una condizione di "indegnità". Ciò è chiaramente documentato dalla concezione
cristiana della persona che abbiamo già esaminato. Secondo questa concezione, l'uomo non
perde mai la sua dignità di persona umana, neppure nelle peggiori condizioni di vita e di salute,
perché la dignità dell'uomo ha la sua radice nella "sussistenza spirituale", nel fatto cioè che è
uno spirito, sia pure incarnato in una materia. L'uomo è uno spirito che, a motivo della sua
incarnazione nella materia, può andare incontro a condizioni di vita dolorose e gravemente
deficitarie, ma che conserva sempre la propria dignità di essere spirituale. E' ovvio che se si ha
una visione soltanto materialista dell'uomo, per cui egli fa parte dell'universo materiale e ciò che
in lui si designa come spirito, che si esprime nell'intelligenza e nella volontà libera, non è che un
prodotto della materia nel suo processo evolutivo, non ha senso parlare di dignità umana,
quando l'uomo è colpito nel suo corpo e nelle sue capacità intellettive e volitive ed è ridotto a
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[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
vivere una vita quasi solamente vegetativa. Se, invece, si ha dell'uomo una visione spiritualista,
per cui egli conserva il suo essere spirituale anche quando le sue capacità intellettive e volitive
sono gravemente colpite nella loro funzionalità e il corpo non è capace di svolgere le sue
funzioni essenziali, la dignità della sua persona resta intatta e la sua vita non diviene indegna di
essere vissuta. C'è, dunque, anche nell'apparente indegnità della vita umana una dignità
permanente, che non può mai essere perduta e che merita rispetto. Si tratta, cioè, di rispettare
la persona umana anche nella sua "indegnità". Anzi, è proprio la condizione di "indegnità", in cui
vivono alcune persone, che costituisce la loro dignità, che li rende degni di rispetto. In realtà, tanto le tradizioni religiose e in modo particolare la tradizione evangelicale quanto le
grandi tradizioni morali basate sulla razionalità convergano su questo punto centrale
concernente il rispetto della dignità della persona umana. Quest'ultima, cioè, non è rispettabile
in primo luogo per le sue qualità eminenti, per i suoi tratti nobili ed elevati, ma proprio laddove
perde i tratti di questa elevazione. Quando, cioè, la persona, avendo perduto forma umana, è
interamente affidata alla sollecitudine degli altri. [15] Per quanto riguarda le tradizioni morali della sapienza classica, Sofocle fa dire a Edipo, in Edip
o a Colono
, "E' quando io non sono niente che divento veramente un uomo". E' l'Edipo uccisore del padre
e adultero nei confronti di sua madre, è l'uomo che ha trasgredito questi interdetti fondamentali
in cui l'umanità ha tracciato universalmente la frontiera oltre la quale l'uomo sfugge alla comune
umanità socializzata, è proprio costui che rivendica di non essere più niente, e che in questa
sua rivendicazione avanza la pretesa di un'umanità autentica. Non di un'umanità gloriosa, ma di
un'umanità che non rivendica alcun titolo di nobiltà, se non di fare appello a ogni altro uomo per
essere riconosciuto come tale, nonostante tanti aspetti o atti contrari. Nella tradizione biblica veterotestamentaria, la figura misteriosa del servo sofferente di Isaia non può nemmeno più mostrare un'apparenza umana tale da valergli il riconoscimento
dell'altro, o di Dio, e tuttavia rimane il rappresentante di tutto il popolo e dell'uomo stesso nella
sua miseria. Le figure di Edipo della tragedia greca e del Servo di Jawéh della Bibbia
convergono nell'affermazione che si rimane pur sempre persona umana e degni di rispetto
anche quando non si possono vantare le qualità di una specificità dell'essere umano quali
vengono enunciate da un razionalismo antropologicamente corretto. Il riconoscimento della dignità nella persona "indegna" è la grande novità che Gesù ha portato
nel mondo, quando ha proclamato che il Regno di Dio appartiene ai poveri, agli umili, a coloro
che sono disprezzati, a coloro che soffrono nel corpo e nello spirito; quando ha guarito ogni
sorta di malattie e di infermità, anche le più disumanizzanti come la lebbra; quando ha legato il
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destino eterno degli uomini alle opere di misericordia verso le persone bisognose o viventi in
condizioni di vita indegne, come erano le persone chiuse nelle orribili carceri del suo tempo;
quando ha affermato che ciò che viene fatto a queste persone viene fatto a lui, perché egli è
presente in quelle persone.
Questo principio nuovo nella storia umana per cui l'uomo è tanto più "degno" di rispetto e di
amore quanto più è debole, è misero, è sofferente, fino a perdere la stessa figura umana, ha
cambiato il volto del mondo, così spesso duro e crudele, dando origine a un aspetto, che è
specifico della civiltà cristiana: la creazione di istituzioni che si prendono cura delle persone che
si trovano in condizioni disumane, i neonati abbandonati, gli orfani, i malati mentali, le persone
affette da malattie incurabili o comportanti gravi malformazioni, i vecchi invalidi abbandonati. [1
6]
Gesù di Nazareth, dunque, ha messo al centro del suo messaggio e come orizzonte della sua
azione il riconoscimento della dignità umana a favore di quelle persone e gruppi sociali esclusi
per motivi religiosi, sociali, politici, etnici o sessuali - malati, poveri, pubblicani, donne, ecc. - e il
loro inserimento nel progetto di salvezza da cui erano esclusi. E lo ha fatto con parole e azioni.
Quando si produce un conflitto tra la legge e la dignità dell'uomo, egli ha preso le difese di
quest'ultima. Ciò lo portò a correggere la legge e perfino a non ottemperare ad essa se in gioco
c'è la vita. La religione è al servizio della vita e non viceversa. La salvezza, e non la condanna,
costituì il centro della predicazione e della prassi di Gesù. Le parole di recupero della dignità
non rimangono a livello di mera enunciazione, ma vengono accompagnate da gesti di
liberazione che rendono reale il recupero annunciato. I miracoli sono gesti di compassione e di
solidarietà attraverso i quali Gesù di Nazareth ha restituito la dignità e l'integrità a coloro che ne
erano privati, riconosciuto come persone coloro che venivano trattati come non-persone, li ha
reintegrati nella comunità da cui erano stati esclusi e ha ricostruito il tessuto sociale distrutto dal
codice di purità. La riabilitazione ha avuto luogo non solo a livello individuale o dello stesso
gruppo di seguaci, ma pure a livello pubblico, di fronte ai capi religiosi e alla società. Le persone
e i gruppi che la società e la religione consideravano indegni, Gesù li ha dichiarati degni dinanzi
a Dio e dinanzi agli esseri umani. Coloro che erano esclusi dalla cittadinanza Gesù li ha
riconosciuti cittadini a pieni diritti.
La sapienza evangelica della parabola del buon samaritano rafforza la motivazione della novità
storica introdotta dall'insegnamento di Gesù. Il samaritano che si ferma per soccorrere lo
sventurato non lo fa perché vede in lui i titoli inerenti alla ragione, alla libera volontà o alla
memoria. Non lo ha rispettato nemmeno in quanto membro della sua comunità religiosa o per
una solidarietà obbligante in nome dei principi religiosi trascendenti, ma semplicemente perché
ridotto a niente, quello sconosciuto senza qualità si affidava alla sua mansuetudine, alla
compassione umana. E' il samaritano a dare prova di dignità, ad elevarsi alla dignità umana
non tirando dritto sul suo cammino, a differenza del sacerdote o del levita. 14 / 24
[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
Secondo P. Valadier, la parabola apre le prospettive di una morale della solidarietà, che fonda il
rispetto della dignità nella nostra comune indegnità, in nome della nostra umanità debole o
degradata, sprovvista dei tratti onorevoli che dovrebbero distinguerla in base a qualità
specifiche. Noi ci onoriamo, come fa il samaritano, quando onoriamo nell'altro la sua umanità
spoglia, anche quando questa umanità non può esibire i titoli di un'umanità antropologicamente
corretta o non presenta più le caratteristiche che costituiscono agli occhi del razionalista la
specificità dell'essere umano. La dignità non è dunque un attributo peculiare della persona nella
sua singolarità, è una relazione o piuttosto si manifesta nel gesto con cui ci rapportiamo all'altro
per considerarlo come uomo, ugualmente uomo, anche se l'apparenza denuncia una non
umanità o anche un'inumanità. La reciprocità non è miserabilismo, non è commiserazione
legata al rifiuto della sofferenza, ma si identifica con la presa in carico della nostra comune
umanità, in quanto ognuno sa bene di non esistere senza questa relazione con l'altro, e che noi
tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e a tutti i livelli dell'esistenza, in maniera particolare nei
nostri momenti di debolezza, di solitudine, di abbandono e di paura di fronte alla sofferenza e
alla morte. Tale reciprocità assume la nostra comune umanità ma non prescrive la giusta
condotta, come nella parabola non si canonizza la condotta del samaritano che avrebbe potuto
fare altre scelte concrete. Essa sollecita un'intelligenza delle situazioni e una sensibilità per
individuare il giusto comportamento. Le convergenze tra le varie tradizioni sapienziali e la
parabola evangelica mostrano che esiste una possibile base comune tra le indicazioni della
Rivelazione e i dettami della ragione. Il samaritano non agisce per osservanza religiosa, o per
fedeltà a una regola eteronoma di origine trascendente. Il suo gesto è conseguenza logica di un
dovere di umanità, in cui egli manifesta la sua dignità di persona umana e al tempo stesso
riconosce nel ferito senza voce un'uguale dignità umana. 8. Il contributo della Chiesa per la difesa della dignità umana.
La Chiesa, dice il Concilio, può contribuire molto "a umanizzare di più la famiglia degli uomini e
la sua storia","risanando ed elevando la dignità della persona, consolidando la compagine
dell'umana società e conferendo al lavoro quotidiano degli uomini un
più
profondo senso e significato"(
GS
15 / 24
[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
,40). Nel fare ciò, la Chiesa "desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti" e
contribuisce così a "illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l'umanità" (
GS
, 33). La fede getta una luce nuova su ogni cosa, manifesta il disegno di Dio per la vocazione
totale
dell'uomo e così orienta la mente verso soluzioni che sono
pienamente
umane (
GS
11). “La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione
con Dio. Fin dal suo nascere, l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non
perché, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente
secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e non si affida al suo Creatore” (
GS,
19). Per questo, “l’uomo è la sola creatura sulla terra che Dio ha voluto per se stessa” (
ivi
, 24). L’uomo, pertanto, è sempre superiore ad ogni sabato, ad ogni struttura, da quella sacrale
a quella civile, da quella politica ed economica a quella culturale. La centralità assoluta di
questo essere privilegiato fa sì che ogni sistema e ogni istituzione sia da vedere come
funzionale alla sua crescita. La tentazione della superiorità del sabato di ogni tipologia è alla
base della drammaticità delle oppressioni dell’uomo e delle soppressioni degli spazi della sua
libertà.
[17]
Nel caso specifico, la Chiesa risana ed eleva la dignità umana, non limitandosi solamente a
chiedere che la dignità inalienabile di ogni uomo sia giuridicamente garantita, ma anche che sia
concretamente rispettata e che non venga mai messa a libera disposizione della società
neppure nei casi conflittuali. Inoltre, la Chiesa promuove e difende la dignità di ogni persona,
sostenendo che il non poter disporre della vita umana neppure in situazioni difficili dipende dalla
convinzione di sentirsi sempre sorretti dalla potenza infinita di Dio, amante della vita e non della
morte. Per la fede cristiana, infine, la verità definitiva dell'uomo è manifesta solo nella verità di
Dio su di lui; l'uomo non è in grado di procurarsela da solo, ma la può percepire unicamente
nella fede, facendo propria la verità di Dio. E' noto come nell’epoca della modernità, l 'approccio
del magistero, per quanto riguarda l’affermazione dei diritti dell’uomo, inizialmente, con Pio VI,
Gregorio XVI e Pio IX, fu critico sia sul versante della libertà religiosa, sia su quello delle libertà
civili, soprattutto a causa della prospettiva individualista in cui essi venivano affermati. Inoltre, i
diritti umani ebbero una formulazione precisa nella cultura illuminista, la quale riprese spunti
precedenti del giusnaturalismo europeo, e spesso e volentieri interpretò tali diritti in modo
antiecclesiale e laicistico. Una prima svolta si verificò con il pontificato di papa Pacelli. Fu Pio
XII, infatti, che nel radiomessaggio natalizio del 1942, parlando della dignità originaria
dell'uomo, giunse a fare un elenco di "fondamentali diritti della persona" (n.21) a cui ispirare la
ricostruzione postbellica. Tale atteggiamento influenzò molto la nuova stagione culturale che
portò l'Assemblea dell'ONU nel 1948 a emanare la solenne Dichiarazione universale dei diritti
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dell'uomo
. In seguito, Papa
Giovanni XXIII da una parte, con l'enciclica
Pacem in terris,
e il Concilio Vaticano II dall'altra, con i documenti relativi al rapporto della Chiesa con il mondo e
alla libertà religiosa, riconobbero espressamente nei diritti umani un progresso per l'umanità. La
dichiarazione
Dignitatis Humanae
sulla libertà religiosa comincia con le parole: "Nell'età contemporanea gli esseri umani
divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone". Questo documento
dichiara in modo solenne che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa
dignità della persona umana. Il magistero di Giovanni Paolo II, infine, sin dalla sua prima
enciclica su Cristo Redentore dell'uomo, è tutto costellato di frequenti e solenni richiami al
rispetto e alla promozione sia della dignità umana che dei fondamentali diritti della persona.
Nella
Centesimus Annus,
egli ha affermato che “Ciò che fa da trama a tutta la dottrina sociale della Chiesa è la corretta
concezione della persona umana e del suo valore unico” (
CA
, 49). E nel
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa
, in continuità con Paolo VI, che, nella
Populorum Progressio
aveva auspicato la creazione di un “umanesimo plenario” (
Populorum Progressio,
42), egli ha ribadito che “la Chiesa intende proporre a tutti gli uomini un umanesimo all’altezza
del disegno d’amore di Dio sulla storia, un umanesimo integrale e solidale, capace di animare
un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni
persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà” (
CO,
19). Il Compendio qualifica la dignità dell’uomo come una e unica (
CO
, 84; 128), trascendente (
CO,
4), inalienabile (
CO,
105), uguale per tutti (
CO
, 437), eminente (
CO,
448). Se si dovesse, ora, sintetizzare la funzione della Chiesa nella difesa e promozione della dignità
dell’uomo e nell’affermazione dei suoi diritti fondamentali, si può dire che essa svolge
sostanzialmente il ruolo di "sentinella di umanità", in una posizione che non la colloca
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[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
all'esterno, come dirimpettaia della storia, per intervenire solo con denunce e documenti, ma
che la coinvolge con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei
poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, non essendovi nulla di genuinamente umano
che non trovi eco nel suo cuore (GS, 1). Il decalogo dei comportamenti morali verso Dio e gli
uomini, scrive Von Rad, non sono un codice di perfezione, non rappresentano un itinerario di
vita perfetta, non segnano distinzioni sacrali, ma, molto elementarmente, “vegliano sul carattere
umano dell'uomo".
[18] Ciò che la Chiesa annuncia è il Dio
di tutti gli esseri umani, il soggetto della liberazione del popolo di Israele, ma anche dei processi
di liberazione degli altri popoli, il Creatore e il Fondamento dell'unità escatologica di tutta la
storia. Dio è allo stesso tempo il creatore e il liberatore di Israele e di tutte le genti, e produce
salvezza nella e attraverso la stessa storia umana, e non solo nella e attraverso la Chiesa, che è
sacramentum della salvezza
universale. La Chiesa svolge il ruolo di sentinella di umanità , in modo particolare, con l’offrire al mondo
un'antropologia della persona, rispettosa dei valori umani e aperta alla trascendenza. La fede
cristiana, con la sua particolare visione dell'uomo creato ad immagine di Dio, redento dal
sangue di Cristo e destinato a vivere eternamente con Dio, contribuisce enormemente a dare
un fondamento molto solido alla concezione dell’eminenza della persona e della inviolabilità
della sua dignità. Non siamo lontani dal vero se affermiamo che in assenza di una visione
religiosa dell'uomo, ogni difesa razionale della dignità assoluta e inalienabile della persona, per
quanto sempre possibile, rimane problematica e precaria. In realtà, solo chi ha un concetto alto
di Dio ha anche un concetto alto dell'uomo, e chi ha un concetto alto dell'uomo non può non
avere un concetto alto di Dio. Il futuro dell'umanità è segnato dalle conquiste della scienza e della tecnica. Queste, dopo aver
preso sempre più le caratteristiche di un'ideologia, dominano ormai tutti gli spazi della vita e
della cultura, dalla nascita alla morte, dalla difesa alla guerra, dall'organizzazione e
trasmissione del sapere all'organizzazione e trasmissione dei valori e dell' ethos. Il pensiero
scientifico moderno ha ridotto il mondo a una totalità puramente fattuale e le applicazioni
tecnologiche dello sviluppo e del progresso hanno alterato in modo sostanziale il profilo della
condizione umana. In questa condizione umana, l'uomo è diventato per la natura più pericoloso
di quanto un tempo la natura lo fosse per lui. La tecnica moderna ha acquisito un dinamismo
totalizzante ed è diventata estremamente pericolosa e ambigua a causa dell'irresistibilità dei
suoi imperativi e la globalità spaziale e temporale delle sue conseguenze. L'"homo faber" si è
prima trasformato in "homo creator", cioè in soggetto produttore di natura artificiale e poi in
"uomo materia", cioè in oggetto di illimitate manipolazioni dell'ingegneria genetica. La ragione
tecnica ha reso la vita più confortevole, ha respinto la morte più avanti nel tempo, ha salvato più
bambini, ma nello stesso tempo fa dimenticare l'unicità del bambino nascituro o dell'anziano
che muore. Senza regole e senza principi, la scienza può subire la tentazione del potere
demiurgico, dell'interesse economico, delle ideologie utilitaristiche. 18 / 24
[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
In questa situazione di monismo epistemologico, per il quale solo la scienza produce verità, e di
monismo ontologico, per cui ciò che esiste è solo la physis, ed ogni realtà è una realtà fisica, la
fede cristiana può colmare con un supplemento di riflessione teoretica basata sulla verità
dell'essere persona, le insufficienze di tutte quelle concezioni che esplorano la natura e il
destino dell'uomo. La questione di ciò che è bene per l'uomo ha un apporto decisivo proprio da
una concezione integrale della persona umana, che non veda quest'ultima ridotta alle sole sue
manifestazioni esterne, né alle sue più elevate espressioni di autocoscienza e di
autodeterminazione. La ricerca scientifica che "oggi raggiunge le strutture più elementari e
profonde della vita, come i geni, e i momenti più delicati e decisivi dell'esistenza di un individuo
umano, come il momento del concepimento e della morte, nonché i meccanismi di ereditarietà e
le funzioni del cervello" ha bisogno della "luce dell'etica razionale e della rivelazione cristiana".
[19]
La comunità cristiana, nel rendere ragione della propria speranza con modestia e timore (
I Pt,
15-16), offre questa luce per aiutare tutte le persone in ricerca a trovare le risposte più vere alle
domande difficili che pongono gli sviluppi scientifici. [1] Cf Palazzoni L., Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Torino: Giappichelli, 1996; Melc
hiorre V.
,
Corpo e persona
, Genova: Marietti, 1997;
Kemp P.
,
L'irremplaçable. Une éthique de la technologie
, Paris: Du Cerf, 1997;
Viafora C.
,
Dire persona in bioetica
, in
Pavan A.
, (Ed.),
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[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
Dire persona. Luoghi critici e saggi di applicazione di un'idea
, Bologna: Il Mulino, 2003, 147-173;
Balduzzi R. – Cirotto C.– Sanna I.,
Le mani sull’uomo. Quali frontiere per la biotecnologia?
, Roma: Ave, 2005.
[2] Singer P., Etica pratica, Napoli: Liguori, 1989, 102; Engelhardt H.T., Manuale di bioetica, M
ilano: Il Saggiatore, 1991, 126ss. Cf
Cadoré B.
,
L'argument de la dignité humaine en éthique biomédicale
, in
Le Supplement
, 3(1995)73-98;
Pessina A.
,
Bioetica e antropologia.
Il problema dello statuto ontologico dell'embrione umano
, in
Vita e Pensiero
, 79(1996)402-424, qui 407;
Schockenhoff E.
,
Etica della vita. Un compendio teologico
, Brescia: Queriniana, 1997, 43.
[3] Engelhardt H.T., Manuale di bioetica, cit., 126ss; Singer P., Etica pratica, cit., 62.80.
[4] Cf Singer P., Liberazione animale, Milano: Milano, 1991. Cf anche Id., Liberazione animale,
Milano: Net, 2003.
[5] Barth K., Die kirchliche Dogmatik. Die Lehre vom Wort Gottes. Prolegomena zur
Kirchlichen Dogmatik,
I/1, Zollikon-Zürich: Evangelischer
5, 386-387.
Verlag,1947
[6] Cf Taylor Ch., Radici dell'io. La costruzione dell’identità moderna, Milano: Feltrinelli, 1993,
20 / 24
[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
266ss;
modernità
Roma-Bari: Laterza, 1994, 54ss.
Il disagio della
,
[7] Mancini R., La dignità come legame originario. Per un'antropologia della fraternità-sororità,
in
Alici L.-Chiodi M.- Mancini R.,- Riva F.,
,
Interpersonalità e libertà
, Padova: Messaggero, 2001, 133-156, qui 146.
[8] Cfr. Schockenhoff E.,, Etica della vita. Un compendio teologico, cit., 176.
[9] Comitato nazionale per la bioetica, Considerazioni etiche e giuridiche sull'impiego delle
biotecnologie
, 30 novembre 2001, 26ss.
[10] Sanna I., Chiamati per nome. Antropologia teologica, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2004,
326-327. Cf anche
Ladaria L., La
unciòn de Jesùs y el don del Espìritu
, Gregorianum,
71(1990)547-571. Secondo Bonhoeffer, "l'esistenza dell'uomo può essere colta, posta nella
verità e trasferita in un nuovo modo di esistenza solo nella persona di Cristo. E poiché la
persona di Cristo si è rivelata nella comunità, per questo l'esistenza dell'uomo può essere colta
solo nella comunità. E' solo a partire dalla persona di Cristo che ogni persona diviene tale nei
confronti dell'uomo":
21 / 24
[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
Bonhoeffer D.
,
Atto ed Essere. Filosofia trascendentale ed ontologica nella teologia sistematica
, Brescia: Queriniana, 985, 126. H. Ott, molto opportunamente, precisa che il costitutivo ultimo
della persona umana finita è la personalità una e trina di Dio:
Ott H.
,
Il Dio personale
, Casale Moferrato: Piemme, 1983, 327. Per P. Coda, proprio a partire dall'evento di Cristo e
dal conseguente dischiudersi dell'orizzonte cristologico e pneumatologico, la persona umana
accede alla sua piena definizione trinitaria ed acquista una costitutiva dimensione trinitaria:
Coda P.
,
Personalismo cristiano, crisi nichilista del soggetto e della socialità e intersoggettività trinitaria
, in
Sanna
I
., (ed.),
La teologia per l'unità d'Europa
, Bologna: Edb, 1991, 181-205, qui 201.
[11] Schockenhoff E., Etica della vita. Un compendio teologico, cit., 479: "Soltanto se il
vangelo della vita trova una eco nella ragione naturale umana, le sue esigenze possono
risultare chiare a ogni uomo".
[12] Kant I., Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali (ed. P. Chiodi), Utet,
Torino 1980, 97. "Si può quindi fondare la dignità della persona umana sul fatto che l'uomo è un
essere di natura spirituale, senza riferimento immediato e diretto a Dio, che resta il fondamento
"ultimo" di tale dignità, mentre la natura spirituale dell'uomo ne è il fondamento "prossimo" e
"immediato". A una condizione tuttavia: che si abbia dell'uomo una concezione spiritualistica, e
non puramente materialistica, meccanicistica o vitalistica": Editoriale
Promuovere e difendere la dignità della persona umana
, in
La Civiltà Cattolica
, IV (1992) 231.
[13] Giovanni Paolo II, Evangelim vitae, 2; cf anche 21.
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[I. Sanna] Dignità della persona umana ed eugenetica
[14] Ruiz De La Peña J.L., Immagine di Dio. Antropologia teologica fondamentale, Roma:
Borla, 1992, 184. La stessa considerazione è fatta dall'editoriale della rivista dei gesuiti italiani,
che scrive: "Non è un caso che, storicamente, la visione dell'uomo come persona sia nata e si
sia affermata con il cristianesimo, e sia dovuta a una riflessione sulla rivelazione dell'Antico e
del Nuovo Testamento. Infatti, proprio grazie al discernimento sulla creazione dell'uomo com'è
narrata nella Genesi e sulla redenzione dell'uomo com'è stata attuata da Gesù Cristo con la sua
morte e la sua risurrezione, il cristianesimo ha compreso l'altissima dignità dell'uomo, creato ad
immagine di Dio, redento dal sangue di Cristo e destinato a vivere eternamente con Dio, in
qualità di figlio suo per la partecipazione, non metaforica ma reale, alla sua stessa natura
divina":
Pro
muovere e difendere la dignità della persona umana
, cit., 231.
[15] Facciamo nostre le considerazioni esposte da Valadier P., nel saggio La persona nella
sua indegnità
, in C
oncilium,
39/2(2003)78-88.
[16] Cf De Rosa G., La "dignità" della persona umana, in La Civiltà Cattolica, III (2004)370-380.
[17] Cf Palumbieri S., L’antropologia, radice dell’etica nel Compendio della Dottrina Sociale
della Chiesa
, in Studia Moralia 43(2005)49-96, qui 53.
[18] Von Rad G., Teologia dell'Antico Testamento, I, Brescia: Paideia, 1972, 228.
[19] Giovanni Paolo II, Allocuzione ai Membri della Pontificia Accademia per la Vita, in L'Oss
ervatore Romano
20-21.XI. (1995) 8. Cf
Ammicht R. - Quinn-M.
Junker-Kenny-E. Tamez
, a cura di,
Il dibattito sulla dignità umana
, in
Concilium
39/2(2003)13-177.
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