Gigolò - 3. Certezza

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Gigolò - 3. Certezza
Anaïs Miller
Gigolò
Certezza
Volume 3
Copyright © Anaïs Miller
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Art Director: Anaïs Miller
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La prima volta che ebbi un orgasmo con John piansi,
perché era stato così forte e meraviglioso che non riuscivo a
credere
che si sarebbe ripetuto ancora tante volte.
I soli momenti dolorosi erano quelli che passavo ad aspettare.
Il Delta di Venere - Anaïs Nin
Si leva da un mare di facce e mi abbraccia,
mi abbraccia con passione;
mille occhi, nasi, dita, gambe, bottiglie, finestre, borse, piatti,
tutti ci fissano e noi uno nelle braccia dell'altro, dimentichi.
Mi siedo accanto a lei ed ella parla, un fiume di parole.
Frenetici vaneggiamenti di isteria, perversione, lebbra.
Non sento una parola, perché lei è bella e io l'amo e
ora sono felice e sarei pronto a morire.
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Gigolò
3. Certezza
Da quella sera non si fece più né vedere né sentire.
Come un adolescente mi illudevo che, dopo averlo
fatto, fra di noi sarebbe cambiato tutto. E invece,
non era stato così.
Alessia era tornata alla sua routine, al suo
fidanzamento, al suo uomo, come se nulla fosse
successo. Per lei ero stato solo un giocattolo con il
quale divertirsi una sera.
Erano passati quindici giorni da quella notte,
quindici giorni di silenzio assoluto.
Chi invece iniziò a farsi sentire quasi tutti i giorni
fu Igor, il bastardo russo. Mancava un mese e
mezzo alla scadenza e iniziava a farmi pressione
per avere i suoi fottuti soldi.
Li avevo quasi tutti. Quasi.
Mi mancavano 3.000,00 euro per avere l’intera
cifra; spiccioli in condizioni normali, mi
sarebbero bastate due clienti la settimana per
averli. Eppure l’idea di dover andare con donne
che non fossero lei mi sembrava una bestemmia.
C’era qualcosa di sbagliato nel toccare un’altra,
qualcosa che però non riuscivo a comprendere.
Nemmeno il sesso svuota pensieri con Erica dava
più soddisfazione, non era lei la donna che volevo.
All’ennesima minaccia di morte del russo mi resi
conto che non potevo permettermi di andare avanti
così, Igor non si sarebbe fatto molti scrupoli nel
farmi uccidere dai suoi uomini.
Lei era tornata alla sua vita, avrei dovuto fare lo
stesso. Per questo motivo accettai di
accompagnare una cliente a un ricevimento, non si
era parlato di sesso e quindi mi era sembrata una
buona idea. Mi avrebbe pagato per starle accanto,
nient’altro.
Perfetto.
Diana, mai vista prima, aveva una cena in uno dei
locali più chic di Milano. Uno di quei luoghi alla
moda che viene frequentato solo da persone tristi
che fingono di avere una vita eccezionale.
L’andai a prendere, Diana mi pagò i mille euro
pattuiti per la serata e ci dirigemmo al locale con
la sua macchina: lo Happy Lounge.
Che nome del cazzo per un locale.
Fu soltanto quando misi piede all’entrata che
compresi che qualcuno lassù si stava divertendo
alla grande con me.
Di solito le mie clienti volevano che le
accompagnassi a serate di beneficenza oppure di
gala. Non quella sera; in quel salone addobbato
per l’occasione si festeggiava una Laurea, quella
di Alessia.
Perché? Solo una domanda: perché?
Proprio non lo capivo il senso dell’umorismo di
Dio. Voleva forse punirmi così?
- Conosci la festeggiata?
Chiesi a Diana. Doveva conoscerla per forza.
- Sì. È la figlia di Loredana, una mia carissima
amica d’infanzia. Si è laureata all’Accademia di
Belle Arti di Brera con lode.
Sì, qualcuno lassù mi odiava proprio tanto.
Quante probabilità c’erano che dovessi lavorare
proprio lì quella sera? Una su un milione? Ecco, io
ero l’uno che pagava per i peccati di tutti.
- Tutto bene Roberto?
- Sì. Certo. Tutto bene.
E invece non andava bene per niente.
Alessia era bellissima nel suo abito blu, era
l’anima della festa e tutti la coprivano di
attenzioni.
- Congratulazioni cara. Sono orgogliosa di te.
Le disse Diana nell’avvicinarsi per salutarla. La
seguii a occhi bassi e mi fermai poco distante
dalle due.
Calmo, è una serata come tutte le altre.
- Grazie Diana, finalmente mi sono tolta il
pensiero!
- Vieni caro? Alessia volevo presentarti Roberto,
il mio accompagnatore.
Le disse strizzando l’occhio.
- Salve Roberto, è un piacere conoscerla.
Sorridi.
Sorrisi.
- La ringrazio. È un onore per me e...
Congratulazioni.
Sorrise.
- Vorrei prendere qualcosa da bere. A più tardi
cara.
Le disse Diana prendendomi per un braccio. Un
bacio sulla guancia alla vecchia babbiona che mi
aveva portato lì, una stretta di mano a me e ce ne
andammo dall’altra parte della sala.
Fu doloroso lasciar andare quella mano che
soltanto quindici giorni prima mi aveva fatto
godere come un ragazzino.
- Respira Roberto. Respira.
Mi disse sottovoce.
Cosa? Ma che vuole?
Era palese che quell’occhiolino complice nel
presentarmi non era stato un tic nervoso.
- Non credo sia un caso che io sia qui. Giusto?
- Giusto.
L’intesa che c’era stata fra le due nello scambiarsi
quelle poche battute era così sfacciata che se ne
sarebbe accorto chiunque.
- Chi sei Diana e perché sono qui?
- Te l’ho detto. Ero una carissima amica d’infanzia
della madre di Alessia e da quando sono morti i
suoi genitori sono io che mi occupo di lei. Sei qui
perché lei voleva che ci fossi e per essere sicura
che non ti rifiutassi di venire, ti ho ingaggiato. Non
ti sarai mica offeso, vero?
Alessia era orfana? Cosa sapeva Diana di me e
lei?
Da quando avevamo fatto l’amore, sì perché
quello non lo si poteva definire sesso, era sparita
dalla circolazione e ora avevano architettato tutto
quello affinché partecipassi alla serata. Davanti a
tutti i suoi amici. Davanti al suo fidanzato. E per di
più, ignorandomi totalmente e facendo finta di non
conoscermi.
Rabbia, ecco cosa stavo provando. Rabbia perché
non mi ero mai sentito così preso in giro da
qualcuno. Rabbia perché nessuna mai, nemmeno
quando mi pagava, mi aveva umiliato in quella
maniera.
Le chiamate, le mail, gli SMS. Mi sentii ridicolo e
patetico. Io avevo perso la testa per lei, come
avevo fatto a cascarci in quella maniera?
Diana dovette comprendere le seghe mentali che
mi stavo facendo perché le interruppe parlandomi
sempre sottovoce affinché nessuno sentisse la
nostra conversazione.
- Le piaci molto.
Davvero?
- Non lo sapevo.
- Non è scesa nei dettagli, ma posso immaginare
vista la professione che svolgi.
Disse con una smorfia affondando la lama in
profondità.
Ero uno gigolò, mi prostituivo per denaro, e poco
importava il perché mi servissero quei soldi.
- Ne deduco che non approvi. Perché l’hai
accontentata allora?
- Perché sono quindici giorni che non fa altro che
parlare di te. Sono stata io a chiederle di ignorare
tutte le tue chiamate. Lo sai che è fidanzata con uno
dei migliori partiti in circolazione e non sarà uno
come te a mandare tutto all’aria.
Sì, lo sapevo e avrei preferito rimanere
nell’ignoranza. Mi girai e la vidi accanto al suo
Piero. Le cingeva la vita con un braccio mentre
parlavano con alcuni invitati alla festa.
Ero stato l’amante di centinaia di donne ma è
facile esserlo quando ritorni a casa e le
dimentichi. Non lo è per niente quando provi
fastidio nel vedere qualcuno che le stringe in
quella maniera.
- Sì, lo so.
Ammisi con difficoltà. In che guaio mi ero
cacciato?
- E allora, se ci tieni a lei, smettila. Ti ho portato
qui per far sì che lei ti dicesse addio. Questa cosa,
qualunque cosa sia che c’è fra di voi, deve
terminare questa sera stessa. Fra poco più di un
mese quei due si sposeranno e tu non dovrai far
più parte delle loro vite. Intesi Roberto?
Fottiti.
Parlava come se certe cose si potessero decidere.
Non le risposi. Il vecchio Roberto, la macchina
del sesso, avrebbe mandato a fanculo entrambe e
si sarebbe allontanato il più velocemente possibile
da quel locale. Quello che rimaneva di me, con lei
a pochi passi di distanza, non ne ebbe la forza.
- Aspettala alla macchina, le dico di raggiungerti.
Annuii e feci come mi disse; lasciai la sala con la
consapevolezza che da lì a poco le avrei detto
addio.
Sebbene fossi incazzato da morire, Diana aveva
ragione. Che vita le avrei potuto offrire io?
Per saldare il mio debito con Igor avrei dovuto
lavorare ancora due anni, più o meno. E lei? Cosa
avrebbe fatto nell’attesa?
Non sarebbe stato giusto, non potevo far soffrire
una creatura come Alessia, era palese che avesse
già sofferto abbastanza. Era meglio sparire e
lasciarle vivere la sua vita accanto a quel coglione
del fidanzato, almeno lui si sarebbe occupato di lei
così come meritava una donna del suo calibro.
- Ciao...
Alessia arrivò che ero appoggiato alla macchina di
Diana parcheggiata poco distante dallo Happy
Lounge, sì, nome decisamente del cazzo per un
locale.
- Ciao.
- Scusa se ti ho fatto venire qui con l’inganno...
- Non c’è problema.
- Senti io ho riflettuto su quello che è successo...
No, non le avrei permesso di mandarmi a quel
paese. Un moto di orgoglio maschile non le fece
completare la frase.
- Alessia, non è successo nulla. Stai serena.
- Io...
- Va bene così. Non è successo nulla, non
dimenticare che sono un professionista.
Dissi più a me stesso che a lei.
Non le detti modo di replicare, tutte le parole che
sarebbero seguite non avrebbero avuto senso.
Me ne andai dandole le spalle, a passo fiero mi
incamminai verso casa. Lei non mi bloccò e io non
rallentai.
Fu il nostro addio, anche se non era stato
ufficializzato a parole era chiaro a entrambi che
non ci saremmo più rivisti.
Non andai a casa mia, non potevo. Faceva troppo
male per rimanere solo.
Com’è potuto succedere?
Durante il tragitto non mi capacitavo del fatto di
esser stato così coglione. Era bastato un bel
faccino per farmi perdere la testa e mandare
all’aria tutti i miei piani.
- È una vita che non ti si vede, come stai fratello?
Una merda.
- Bene.
- Che ti porto?
- Long Island senza ghiaccio.
- È da un po’ che non vieni, ma se ricordo bene
quello non è il cocktail per i giorni migliori...
Non gli risposi e lui iniziò a preparare gli
ingredienti per la miscela distruttiva.
Non potevo andare a casa, ero troppo incazzato e
deluso. Non sarebbe servito nemmeno scoparmi
Erica fino allo sfinimento.
Per una sera, un’unica sera, non volevo pensare a
niente e nessuno e quindi andai al Roxy, il bar che
frequentavo prima di Igor, prima dei biglietti da
visita, prima di tutto. Era il bar che frequentavo
con i miei amici, amici che a causa della mia
professione, non avendo più tempo per vederli,
avevo allontanato.
Un Long Island non fu sufficiente per mettermi a
tappeto, ce ne vollero cinque, assieme a due shots
di vodka, un Cuba libre e un Pampero
Aniversario.
Li ingoiai così come avrebbe fatto un assetato nel
deserto e ogni sorso era un pezzo di Alessia che
bruciava dentro di me.
Marco, il barista del Roxy, mi fece accompagnare
a casa da un cliente fisso suo amico. Non ce
l’avrei mai fatta ad arrivare senza il suo aiuto.
Sul pianerottolo, proprio accanto alla porta,
c’erano i due scagnozzi di Igor ad aspettarmi.
- Signori, buona sera a voi. Qual buon vento vi
porta da queste parti?
Dissi completamente ubriaco.
- Igor vuole vederti.
- Igor, vorrebbe vedermi. Abbiamo ancora qualche
problema con i tempi verbali...
A differenza della maggior parte delle persone che
quando sono ubriache vaneggiano, io diventavo
molto più sfacciato e acquisivo una parlantina
notevole.
Uno dei due non dovette gradire, mi rifilò quindi
un pugno alla bocca dello stomaco facendomi
vomitare quello che avevo mangiato fino alle due
settimane precedenti.
- Domani a mezzogiorno. Se non viene, sai già.
L’incontro è fissato per domani a mezzogiorno e
se non vieni ti apriamo il culo.
Tradussi in automatico nella mia mente.
Non era la prima volta che incontravo quei due, io
stavo sul cazzo a loro e loro stavano sul cazzo a
me.
Nonostante pagassi il russo con puntualità, quei
due trovavano sempre un pretesto per darmele di
santa ragione e cazzo, erano nati per picchiare la
gente.
- Già so.
Se ne andarono lasciandomi nel mio vomito
davanti la porta di casa.
Che giornata di merda.
Mi svegliai alle prime luci dell’alba, presi
un’aspirina per far passare il cerchio alla testa e
andai a lavorare ai mercati generali come facevo
tutti i giorni.
- Teresa vado via prima oggi.
- Perché?
- Non mi sento molto bene.
- Che hai?
Non capiresti. Nessuno capirebbe cosa cazzo sto
passando.
- Credo di essermi preso l’influenza.
- Va bene, tanto non c’è molta gente.
Andai dal russo come mi era stato suggerito la sera
prima dai suoi uomini.
A mezzogiorno in punto ero nel suo negozio. Igor
aveva una specie di alimentari, dico una specie
perché vendeva giusto un paio di scatolette e delle
bibite vecchie di dieci anni. Era nel retrobottega
che avvenivano gli affari veri e propri, il negozio
era solo una copertura.
Nina, la commessa dell’alimentari, mi riconobbe e
non fece quindi la solita scena che faceva con gli
altri clienti. Mi aprì la porticina che dava sul retro
dove il russo aveva il suo ufficio.
- Roberto, amico mio!
Amico il cazzo.
- Ciao.
- Quanto tempo è passato?
- Cinque mesi.
Si facevano presto i calcoli, da cinque anni ci
vedevamo ogni primo giugno e ogni primo
dicembre.
- Giusto! Ancora un mese alla scadenza.
- Sì. Non capisco infatti perché sono qui. Non li ho
ancora tutti e manca un mese.
Dissi riferendomi ai 50.000,00 euro che gli davo
ogni sei mesi per ripagare il debito di quel
bastardo del mio patrigno.
- Sì, non sei qui per i soldi, sei un bravo ragazzo,
so che me li darai in tempo.
E allora che cazzo vuoi da me?
- Sei qui per nuova attività. Sto aprendo un locale,
locale per donne e so come tu trovi i soldi da
darmi. So anche che sei molto bravo, hai tante
clienti...
Disse lanciando un’occhiata complice a suoi
uomini che iniziarono a sghignazzare senza
nasconderlo.
Mi controllano?
Doveva essere divertente per loro vedere che
andavo con delle vecchie rachitiche per saldare il
mio debito.
- Ho un affare per te. Grande affare.
Disse nel tirare una striscia di coca lunga quanto
tutta la tangenziale.
- Ecco: tu lavori una sera la settimana in locale per
sei mesi e io cancello debito.
Dov’è la fregatura?
Avevo imparato sulla mia pelle che era bene non
fidarsi di nessuno.
- Cosa dovrei fare di preciso?
L’idea era allettante, c’era da ammetterlo.
- Tu balli, spogli, fotti. Solite cose che piacciono
alle donne in locali. Tu piaci donne e non c’è
problema per te di far divertire loro. Tu grande
stallone amico!
Disse ridendo sguaiatamente assieme ai suoi
compari.
Fattibile.
Poco mi importava che mi stessero prendendo per
il culo, se il russo avesse mantenuto la sua parola
sarei andato in pensione molto prima.
- Solo per sei mesi?
- Solo per sei mesi. Sabato, dalle otto di sera alle
sei di mattina.
- E tu mi cancelli il debito?
- Debito non esiste se tu lavori in locale.
Accetta.
Suggerì la vocina nella mia testa e così feci,
accettai.
- Quando comincio?
- Dopo pagato ultima scadenza.
Con l’aiuto del Cialis, una pasticchetta di colore
giallo per la disfunzione erettile, riuscii a
racimolare quasi tutti i soldi, mi mancava un’unica
cliente e li avrei avuti tutti.
Ci incontrammo a casa sua, un loft gigantesco
situato in un palazzo a pochi metri dal Duomo.
Isabel, questo il nome della cliente facoltosa che
aveva bisogno dei miei servizi, mi attendeva con
solo una vestaglia di seta viola addosso.
- Benvenuto.
Mi disse nel richiudere la porta di casa.
Fu solo quando la ebbi davanti che la riconobbi.
Era Isabel Candori, una showgirl parecchio
conosciuta, anche da uno come me che non seguiva
la spazzatura televisiva.
Perché una donna così ha bisogno di uno gigolò?
Era veramente bella, con uno schiocco delle dita
avrebbe potuto avere chiunque, gratis.
- Ti pregherei di non raccontare a nessuno del
nostro incontro.
- Non rivelo mai l’identità delle mie clienti.
- Nemmeno delle clienti famose?
Disse nell’indicare se stessa con una nota di
disgusto.
- No. Così come non rivelo a nessuno cosa accade
nelle loro camere da letto. Non ho avuto molte
clienti famose ma per quanto mi riguarda, non
cambia molto.
Ammisi con sincerità. Tranne un paio di attrici che
non lavoravano più da tempo, non ero mai stato
con donne del grande schermo.
- Forse sono più brave di me nel nascondere la
propria vita privata. Io proprio non ci riesco, ho
un talento innato nello scegliere uomini che dopo
avermi scopata vanno a raccontarlo ai giornali.
Vorrei potermi divertire per una volta senza farlo
sapere in giro. Credi sia possibile?
- Certamente.
Risposi e iniziai a spogliarmi. La conversazione
poteva
concludersi,
avevo
già
troppe
preoccupazioni di mio in testa, non potevo
occuparmi anche delle sue.
- Ottimo, allora questi sono tuoi.
Disse nel mettere seicento euro sul tavolo, Isabel
mi aveva prenotato per due ore.
- Ci sono dei limiti?
Mi chiese togliendosi la vestaglia.
- Non potrai baciarmi né sulle labbra né lui.
Dissi nel togliermi i boxer e rimanendo
completamente nudo. Il Cialis stava facendo
effetto, era duro e ben eretto.
Lei non avrebbe mai saputo che non era per merito
suo.
- Posso sapere perché? Fa molto Pretty Woman...
Si sdraiò sul letto nascosto in un angolo della
stanza dietro un paravento. Era molto più grande
del normale due piazze.
King size, ci trattiamo bene signorina.
- Sì, all’incirca per lo stesso motivo. Vengo pagato
per fare del sesso senza coinvolgimenti
sentimentali e quelle zone sono decisamente
troppo coinvolgenti.
- Va bene, nemmeno io voglio coinvolgimenti ma
solo un uomo che mi faccia godere. Ne sarai
capace?
Colsi la sfida sdraiandomi accanto a lei.
Iniziai baciandole il collo per scendere poi verso i
seni. Li strinsi fra le mani e li condussi uno alla
volta alla bocca. I capezzoli non si inturgidirono
subito, dovetti leccarli un bel po’ per farli
spuntare.
- Posso toccarti?
Chiese nell’appoggiare la mano a pochi centimetri
dal mio pene.
- Devi.
Le presi la mano e la misi sopra; iniziò a farla
scorrere avanti e dietro sull’asta d’acciaio per
qualche minuto.
- È bello grosso...
- Dovresti sentirlo dentro, ti assicuro che non è
solo bello.
Le sussurrai all’orecchio.
Isabel mi prese in parola. Lasciò la mano e si mise
a cavalcioni su di me.
Si portò una mano sulla fichetta e iniziò a toccarsi
con le dita. Partiva dal clitoride e seguiva il
canale fino ad arrivare all’entrata. Ci guizzava un
po’ dentro e poi ritornava al clitoride. Con l’altra
mano invece me lo menava lentamente, molto più
piano della velocità che usava su se stessa.
Lasciò perdere il clitoride per concentrarsi solo
sul buchetto d’entrata. Vedevo le dita entrare e
uscire tutte bagnate, impazienti di rientrare nella
fessurina il prima possibile.
- Uhm...
Si stava tirando un Signor Ditalino davanti a me,
era proprio una che le piaceva mettersi in mostra.
Tolse le dita per farmi assaggiare i suoi umori, ne
approfittai per metterle un po’ di saliva e aiutarla
così nello sfregamento.
Comprese subito e infatti si riportò subito la mano
dentro che con quel lubrificante naturale scivolava
con molta più facilità.
Fece lo stesso con la mano sul mio uccello, la
bagnò di saliva e iniziò a farla scorrere molto più
velocemente.
- Sì, toccamelo, brava continua così.
La incitai e lei mi accontentò subito.
- Oddio! Sì!
Iniziò a strusciarsi sulla cappella inzuppandomi di
umori e saliva.
Porca miseria!
Era raro che mi capitasse una cliente così, di
solito stavano ferme a cosce aperte e toccava a me
fare tutto.
In preda alla frenesia del momento mosse la mano
che me lo stringeva per infilarselo nella fessurina.
Era calda e bagnata, Dio se lo era!
- Roberto, è enorme.
- Sì, vai piano.
- Piano? No no caro, io lo voglio tutto!
- Lo vuoi tutto?
- Sì... Tutto dentro!
Disse assestandosi meglio alla base per poi
risalire di qualche centimetro e riabbassarsi verso
il basso.
Stava prendendo venti centimetri di pisello dentro
di sé ed era come se non le bastassero.
Le lasciai carta bianca, poteva cavalcarmi quanto
voleva, aveva pagato per due ore e io l’avrei
accontentata.
- Sì, vengo. Sì!
Alzai leggermente il busto per aiutarla nell’aderire
meglio, la spostavo su e giù prendendole i fianchi
con le mani.
Divenne tutta rossa in viso e lanciò un urlo che
credo lo sentì tutto il centro storico.
Tu sì che sai come venire!
- Sei proprio sicuro che proprio non posso
prendere questo bel pisellone un po’ in bocca?
Dai... Una leccatina soltanto...
- No, mi dispiace. Se vuoi però posso farti sentire
com’è godere sul serio mettendolo un po’ qui.
Le dissi infilando l’indice dietro. Iniziai a
muoverlo mentre lei mi cavalcava e godeva; si
dimenava nell’accoglierlo dentro di sé come se
fosse seduta su di un toro meccanico.
Si staccò dal mio uccello tenendo il preservativo
alla base per girarsi dandomi le spalle.
Le abbassai la schiena con una mano alzando in
automatico quel signor culo verso l’alto.
Continuai a stuzzicarle il buco con le dita mentre
lei si toccava davanti fino a quando, in preda
all’eccitazione, non iniziò a toccarsi avanti e
dietro da sola.
Mi alzai per mettermi in ginocchio, lo presi con
una mano glielo infilai dietro un po’ alla volta.
Dopo qualche istante Isabel iniziò a muoversi
avanti e dietro con velocità, lo voleva sentire
proprio tutto dentro. Assecondò il ritmo finché non
iniziò a impazzire di piacere godendosela alla
grande.
- Voglio che vieni fuori.
- Va bene.
Acconsentii. Non era la prima volta che una
cliente mi chiedesse di farlo, avevano paura che i
preservativi fossero bucati.
- Vienimi addosso.
- Sulla schiena?
- Sì, bagnami tutta, fammi sentire quanto ti è
piaciuto!
La feci venire e continuai a darle piacere con le
dita. Con l’altra mano invece mi tolsi il
preservativo e iniziai a smanettarmelo con la
cappella appoggiata su di lei.
Le spruzzai tutto lo sperma sulla schiena così come
mi aveva chiesto e glielo spalmai sulla pelle. Il
primo round era stato strepitoso e qualcosa mi
diceva che non le sarebbe bastato...
Iniziai a lavorare al Los Locos il sabato dopo la
consegna dei soldi; avevamo fatto un patto ed era
mia intenzione mantenerlo.
La vita dello stripper era molto più facile di quella
dello gigolò. Salivo sulla pedana, ballavo, mi
spogliavo, mi davano delle mance e me ne
ritornavo in camerino.
Le mance erano solo mie e non dovevo dividerle
con nessuno, tutto il resto che pagavano le clienti
andava invece a Igor. L’accordo sembrava essere
vantaggioso per entrambi; riuscivo a guadagnare
duecento euro circa a serata, niente male.
- Roberto, hai due privè in lista, il primo è fra
trenta minuti, preparati.
Mi avvisò Paolo, l’unico italiano oltre a me a
lavorare lì dentro.
Igor aveva portato mezza madre patria Russia a
Milano per l’apertura di quel locale, ma avevo
capito il perché volesse me. Erano quasi tutti
ballerini di danza classica e tendevano più al
pisello che alla figa.
- Ciao bellezza.
Dissi nell’entrare nel privè per conoscere la prima
cliente del mio nuovo lavoro.
Era una donna che aveva all’incirca la mia età,
molto più giovane quindi delle mie clienti abituali.
- Ciao...
Gli incontri appartati, chiamati privè, avvenivano
in una delle stanze del locale. Era stata
ammobiliata in stile orientale con statue del
Buddha che fissavano sorridenti il letto a forma di
cuore posizionato in un angolo della stanza. Questi
russi avevano uno strano senso dell’umorismo.
- Senti, è la prima volta per me che vengo in un
locale come questo... E non ho mai pagato per...
- Tranquilla, non preoccuparti, mi occuperò io di
tutto.
Ogni privè doveva durare al massimo trenta minuti
per non occupare troppo a lungo la stanza, iniziai
quindi a spogliarmi per accelerare i tempi.
La tipa non era nulla di eccezionale, scopabile.
Non aveva mai pagato per fare sesso con qualcuno
ma di certo non era una timida, appena mi tolsi la
maglietta mi saltò addosso e iniziò a baciarmi i
pettorali e gli addominali facendo dei piccoli
cerchi concentrici con la lingua.
Nel risalire si avvicinò troppo alla bocca, voleva
baciarmi.
No. Non credo proprio.
La presi per il busto e la girai appoggiandola allo
schienale del divanetto in velluto rosso; nonostante
avessi cambiato le modalità di lavoro la regola del
bacio rimaneva salda, nessuna cliente mi avrebbe
mai baciato né le labbra né il pisello.
Ero ritornato a essere la macchina del sesso;
seguii le procedure come da manuale e quando
sentii che stava per venire accelerai per farlo a
mia volta.
Nessuna passione, nessun interesse. Mi pagavano
per scopare e io lo facevo.
Soddisfai anche la cliente successiva, per fortuna
il suo privè era stato fissato a qualche ora di
distanza.
Rientrai a casa che il sole era già sorto con un
pezzo di anima in meno. Il lavoro nel locale era
molto più deprimente di quel che credevo.
Lavorando come gigolò potevo scegliere io con
chi andare, fissare gli appuntamenti, decidere le
tempistiche e tutto il resto. Ora non avevo più il
controllo, stavo agli ordini del russo.
Sei mesi, sei mesi e sarà tutto finito.
Mi ripetevo mentalmente nell’andare a letto mentre
Milano si risvegliava.
Un mese, trenta giorni, 720 ore. Questo il lasso di
tempo che vissi come in una bolla; ero diventato
una specie di
emozioni. Era
interruttore, ero
solo pensare
automa incapace di provare
come se avessi spento un
stato costretto a farlo perché il
avrebbe potuto creare danni
devastanti.
Un sabato, uno qualsiasi per me, Dio si prese
ancora una volta gioco di me.
- Roberto, hai un solo privè stasera, è un addio al
nubilato.
- Va bene.
Nel mio primo mese al Los Locos ne erano capitati
diversi, stupide feste senza senso prima del
matrimonio. Volevano che ballassi, che mi
spogliassi e in alcuni casi che limonassi con le
invitate. Nessun contatto illecito con le spose, non
avrebbe avuto senso, no? Tradire il proprio uomo
a pochi giorni dal matrimonio, quale donna sana di
mente lo farebbe?
Entrai nel privè e la vidi, bellissima come sempre
con quelle tette da capogiro e le labbra color
rubino.
Era seduta al centro della stanza con una benda
sugli occhi e le amiche tutte intorno semi-ubriache.
- Vieni bel maschione!
- Wow! Lui sì che è una bella sorpresa!
Esclamavano le sue amiche, nessuna di loro
sapeva in realtà chi fossi né quello che c’era stato
fra me e Alessia, la futura sposa.
Proprio lei?
Fra tutte le donne, tutti gli spogliarellisti che
lavoravano lì e tutti i locali di Milano, quante
probabilità c’erano che ci ritrovassimo io e lei in
quella stanza?
- Dai carino, balla per noi!
- Sì dai, facci vedere come sei messo sotto!
- Che bel culetto che hai... Si può toccare?
Continuavano a civettare le sue amiche mentre lei
attendeva impaziente a occhi bendati.
No. Non potevo spogliarmi per lei. Non potevo
farla divertire o eccitare. Non potevo perché
faceva male da morire. Potevo farlo per tutte,
tranne che per lei.
Mi avvicinai e le tolsi la benda dagli occhi.
Il tempo si fermò nell’attimo esatto in cui lei aprì
gli occhi.
Mi aveva contattato un paio di mesi prima perché
aveva bisogno del mio aiuto, dovevo farle passare
un paio di fobie riguardo il sesso e c’ero riuscito.
Ero stato così bravo che da ragazzina terrorizzata
l’avevo trasformata in una donna sicura di sé.
Donna che però apparteneva a un altro.
Non l’amavo, perché non era amore quello che
provavo per lei. Ma mai avevo desiderato così
tanto una persona quanto desideravo Alessia.
- Roberto.
E poteva dire quel che voleva, ma nemmeno per
lei fu facile vedermi. Le si velarono gli occhi di
lacrime e tutto l’entusiasmo per l’addio al nubilato
passò in un lampo.
Le sue amiche, sebbene fossero più che brille, si
resero conto che qualcosa non stesse andando
come avrebbe dovuto.
- Non posso ballare per te. Non posso farlo.
Perdonami.
Ebbi la forza di dirle e feci per ritornare nel mio
camerino quando lei mi afferrò per un braccio.
- Voi due vi conoscete?
Chiese una delle sue accompagnatrici.
- Sì, potreste lasciarci un attimo soli per favore?
Annuirono e uscirono tutte dalla stanza un po’
frastornate.
Attese che se ne fossero andate tutte per parlare.
- Non sapevo lavorassi qui ora. Giuro che non lo
sapevo altrimenti non sarei venuta.
Cazzo quanto mi manchi.
- Roberto, giuro.
- Sì, ti credo.
Le dissi nel voltarmi e gli occhi furono subito
attratti dal suo sguardo ammaliatore.
Quanto sei bella.
Ammisi mentalmente nel fissarle gli occhi blu, non
un blu qualsiasi, un blu lucente, di quelli ipnotici
che riescono a catturare lo sguardo anche del più
distratto dei passanti.
- Sabato prossimo mi sposo.
Già.
- Auguri.
- Grazie.
E per me la conversazione era finita. Che cazzo
avrei potuto dire senza sembrare patetico?
- Mi manchi.
Disse facendomi tremare. Non poteva dire una
cosa del genere, non le era permesso. Io non glielo
avrei permesso.
- Scusa ma, devo andare.
- Roberto, parlami. Dimmi qualcosa. Qualsiasi
cosa.
Mi bloccò di nuovo.
- Cosa vuoi che ti dica?
- Perché non hai voluto ballare per me per
esempio.
- Non mi sembrava giusto visti i nostri trascorsi.
- Quindi tieni ancora a me...
Stronza.
Voleva che ammettessi tutto. Per quale motivo poi?
Per soddisfare il suo ego?
- Assolutamente no. È soltanto perché sei una
vecchia cliente e io ho chiuso con quella vita.
Con i tacchi raggiungeva tranquillamente la mia
altezza, le bastò poco quindi per avvicinarsi e
baciarmi.
Era il primo bacio che davo a una donna da cinque
anni e lo stavo dando a lei, ad Alessia, colei che
mi aveva fatto perdere la testa come mai nessuna
ci era riuscita prima.
Cazzo.
Era meraviglioso. Meraviglioso. Troppo per
tirarmi indietro e andarmene. Troppo per non
ammettere che mi piaceva. Troppo per non
continuare.
Le presi la testa fra le mani e lei appoggiò le sue
dietro la mia schiena in un abbraccio che aveva
tutto il calore della passione e la purezza
dell’amore.
Le nostre lingue si sfiorarono per diversi minuti in
una sorta di danza d’altri tempi, era come se si
conoscessero da una vita. Appena ritirai la mia, lei
continuò a baciarmi premendo le sue labbra
carnose contro le mie schiudendole il tanto che
serviva per inglobarle e proseguire il bacio.
Rimanemmo non so quanto lì, con le labbra
incollate e i Buddha a fissarci da ogni angolo della
stanza.
- Privè terminato.
Disse Paolo nel bussare alla porta. Avevo cinque
minuti di tempo per congedarmi altrimenti le
avrebbero conteggiato un’altra mezz’ora per una
cifra esorbitante.
- Alessia, devo andare.
Ci staccammo da quel lungo abbraccio tenendoci
per mano.
- Era un addio?
- Sì.
- E se io invece volessi rivederti?
Era l’ora di lasciarla andare, per il suo bene, per
il mio, per sempre.
- So che non incontrerò mai più una donna come te
e se lo so è perché ne ho avute tante in vita mia,
ma mai nessuna mi ha fatto provare quello che ho
provato con te ma tu Alessia, tu appartieni a un
altro che sicuramente è un compagno migliore di
quel che potrei essere io. Per questo motivo non ci
rivedremo mai più. Sarebbe stupido farci del male
così.
Resisti.
Erano anni, da quando ero un piccolo ragazzino di
cinque anni al funerale di mio padre, che non
piangevo.
Alessia era capace di tutto, anche di fare piangere
uno come me.
Dovetti andarmene alla svelta da lì altrimenti mi
avrebbe visto e quello non sarebbe più stato un
addio.
Le cose dovevano andare in quella maniera, per
quanto facesse male dovevamo prendere strade
differenti.
Se ne andò dal locale assieme alle sue amiche; le
vidi mentre ballavo sulla pista principale nel mio
bel costumino da pompiere.
Addio.
Le augurai mentalmente.
Addio, amore mio.
- Stasera siamo belli pieni, te la senti di fare tre
privè?
- Quanti ne vuoi.
Forse sarei dovuto andare da uno strizzacervelli.
Facevo sesso con altre per non pensare a lei, si era
sposata da poche ore e un macigno si era piazzato
all’altezza del cuore trasformandolo in pietra.
L’avevo persa definitivamente.
Paolo mi prese in parola e mi tolse dai turni al
pubblico per affidarmi tutti i privè della serata. Le
avrei scopate tutte, non per loro, non per i soldi,
ma per me. Per non pensare.
- Ciao...
Scopare.
Non dovevo parlarci, né sapere della loro vita o
raccontare della mia. Erano lì per avere un pisello
dentro, e a quello mi sarei limitato.
- Aspetta... Subito così... Possiamo parlare un po’
prima?
No.
Ero già in boxer per ottimizzare i tempi. Me li tolsi
e lo lasciai sventolare in avanti. Venti centimetri di
pisello tolgono il fiato, e infatti la voglia di
parlare le passò subito.
Le aprii le cosce e le sfilai gli slip mentre lei era
ancora ipnotizzata dal palo che avevo fra le gambe
grazie al Cialis.
Misi il preservativo e le andai subito sopra, quella
sera non ero in vena di preliminari.
- Vacci piano... mi raccomando.
Disse nell’indicarmi l’uccello.
- Non è mia intenzione farti del male, anzi...
Iniziò a godere quasi subito; entrai lentamente per
paura che non fosse bagnata abbastanza per poi
accelerare fino a farla urlare di piacere.
- Tu lavori sempre qui?
Mi chiese mentre si ripuliva, i nostri trenta minuti
erano terminati e Paolo era già venuto ad
avvisarmi.
- Solo il sabato. Tutti i sabati.
E fu così che iniziai a farmi delle clienti abituali
anche dentro il locale. Venivano soltanto il sabato
sera per poter stare con me.
Inutile dire che a Igor questa cosa piacque
parecchio, gli stavo fruttando un bel po’ di soldi.
Iniziai ad avere una media di sette clienti in privè
a settimana. Calcolando che faceva pagare loro
mille euro a prestazione, erano settemila euro la
settimana circa.
Trascorsero così i miei sei mesi al Los Locos e
cancellai il mio debito con Igor. Mi chiese se
volessi rimanere un altro po’ a percentuale ma
dissi di no. Volevo chiudere con quella vita; avevo
35 anni, era arrivato il momento di iniziare a
vivere come tutti gli altri e di poter camminare per
la strada a testa alta.
Se fossi stato un avido avrei continuato, non avrei
mai trovato un altro lavoro così remunerativo. Ma
io non ero uno avido e non lo sarei mai stato.
Ritornai alla mia vita. Mi svegliavo all’alba per
andare ai mercati generali, dormivo nel
pomeriggio, due volte la settimana andavo in
palestra perché comunque mi piaceva allenarmi e
me ne tornavo a casa.
Una volta saldato il debito con Igor mia madre non
si fece più sentire né vedere, non le interessavo da
piccolo, figurarsi ora che ero adulto e vaccinato.
Avevo salvato entrambi e mi stava bene così.
Le versavo una piccola somma sul conto corrente
per far sì che non rimanesse senza soldi perché al
contrario suo, io avevo una coscienza. Era sbucata
fuori nell’istante esatto in cui avevo conosciuto
Alessia.
- Pizza o cinese?
Mi chiese Chiara seduta sul mio sofà. Già, avevo
anche iniziato a frequentare seriamente una tipa.
Nulla di fantasmagorico ma faceva compagnia e il
sesso era... passabile. Nulla di eccezionale, ma
dopo Alessia, nulla lo era più.
Ne ebbi la certezza un sabato, un anno esatto dal
nostro ultimo incontro.
- Potrebbe aiutarmi per favore?
Alessia era venuta ai mercati generali e se ne stava
immobile davanti al banco con delle zucchine in
mano.
Gioia, paura, eccitazione, desolazione. Provai tutto
assieme nel vederla a pochi metri da me.
Se esisti, uccidimi ora!
No. Per quanto mi illudessi di aver cambiato vita,
lei era una costante che non sarebbe cambiata mai.
Rimaneva fissa nel tempo e nello spazio.
- Mi dispiace, non aiuto più le persone.
Le dissi in memoria del nostro primissimo
incontro.
- Capisco.
Posò le zucchine nella cassetta dove le aveva
prese e fece il giro del banco per venirmi accanto
e parlarmi all’orecchio.
- E se fossi io ad aiutare te?
Chiese prendendomi la mano.
- Chi ti dice che ho bisogno del tuo aiuto?
Le risposi liberandomi da quel tocco magico per
non rimanervi bloccato in eterno.
- La parte di me che ancora ti ama.
Boom.
E tutti i pensieri, i desideri e le immagini che
avevo accantonato in un angolo remoto della mente
tornarono a galla travolgendo tutto come uno
tsunami. Cancellò tutto quello che avevo passato
lasciando un’unica certezza: anche io l’amavo.
Segue...