Economia del lavoro

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Economia del lavoro
Economia del lavoro
L’offerta di lavoro
Gli individui cercano di massimizzare il loro benessere consumando beni e tempo libero. I beni
devono essere acquistati sul mercato. Poiché la maggior parte di noi non è sufficientemente ricca da
potersi permettere di non lavorare, dobbiamo avere il denaro necessario per acquistare i beni che ci
servono. Questo trade-off (scambio) economico è evidente: se non lavoriamo consumiamo molto
tempo libero, ma dobbiamo vivere senza i beni ed i servizi che ci rendono la vita più piacevole. Se
lavoriamo, possiamo permetterci molti beni e servizi, ma dobbiamo rinunciare ad un po’ del nostro
prezioso tempo libero. Nel modello di scelta lavoro/tempo libero, il salario ed il reddito sono
variabili economiche chiave che spiegano l’allocazione del tempo tra il mercato del lavoro e le
attività del tempo libero.
Misurare la forza lavoro
Ogni trimestre l’Istituto nazionale di statistica (Istat) pubblica le stime sul tasso di disoccupazione.
Un individuo è considerato partecipante alla forza lavoro se è occupato o disoccupato. Per essere
considerato disoccupato, una persona di età compresa tra i 15 ed i 64 anni deve aver svolto almeno
un’azione di ricerca nelle 4 settimane precedenti ed essere disposto a lavorare entro le 2 successive.
Gli individui che invece hanno rinunciato o smesso di cercare lavoro non sono considerati
disoccupati, ma “fuori dalla forza lavoro”, cioè inoccupati.
Le preferenze del lavoratore
Lo schema analitico classico che gli economisti usano per analizzare il comportamento dell’offerta
di lavoro si chiama modello neoclassico della scelta lavoro/tempo libero. La teoria ci consente di
prevedere come i cambiamenti delle condizioni economiche o nelle politiche del governo
influenzeranno gli incentivi per il lavoro.
Utilità e curve di indifferenza
Sappiamo
che ci dà
soddisfazione il consumo sia
di beni che di tempo libero.
Facciamo
l’ipotesi
di
consumare beni per un valore
pari a 500 € e 100 ore di
tempo libero alla settimana.
Questo paniere di consumo ci
porta ad un livello particolare
di utilità, diciamo 25.000
unità. E’ facile immaginare
che combinazioni diverse di
beni di consumo e ore di
tempo libero portino allo stesso livello di utilità. Per esempio, si potrebbe dire di essere indifferenti
tra consumare 500 € di beni e 100 ore di tempo libero o consumare 400 € di beni e 125 ore di tempo
libero. Il luogo di questi punti si chiama curva di indifferenza e tutti i punti lungo questa curva
danno 25.000 unità. Supponiamo però che una persona voglia consumare 450 € di beni e 150 ore di
tempo libero; il consumo di questo paniere si sposta su una curva di indifferenza più elevata,
producendo 40.000 unità. Possiamo in genere costruire una curva per ogni livello di utilità. Le curve
di indifferenza hanno quattro importanti proprietà:
1) le curve sono inclinate verso il basso: l’unico modo per guadagnare tempo libero è rinunciare
ad un po’ di beni;
2) le curve più alte indicano livelli più alti di utilità;
3) le curve non si intersecano;
4) le curve sono convesse rispetto all’origine: questa convenzione è stata generata dalla necessità
di suddividere equamente il tempo dedicato alle due attività.
Le differenze di preferenze tra i lavoratori
La mappa delle curve di
indifferenza presentata il fig.
1.2 illustra il trade-off tra
tempo libero e consumo di un
lavoratore. Lavoratori diversi
avranno diversi trade-off.
Alcuni possono dedicare gran
parte del tempo al lavoro,
mentre altri preferiscono
dedicarsi al divertimento. La
fig. 1.3 illustra le curve di
indifferenza di Anna e Silvia.
Le curve di Anna tendono ad
essere molto ripide, quindi il
suo tasso marginale di sostituzione ha un valore molto alto (Anna richiede una notevole ricompensa
monetaria per rinunciare ad un’ora di tempo libero); Anna ama dunque il divertimento. Silvia ha
curve più piatte, che indicano che il suo tasso marginale di sostituzione ha un valore basso (Silvia
richiede una bassa ricompensa per rinunciare ad un’ora di tempo libero).
Fig 1.3
Il vincolo di bilancio
Il consumo di beni e tempo libero di una persona è vincolato sia dal suo tempo libero che dal suo
reddito. In altre parole, il valore del consumo di beni deve essere uguale a quello dei guadagni.
Come vedremo, il salario gioca un ruolo fondamentale nella decisione sull’offerta di lavoro. La
retta di bilancio è illustrata in fig. 1.4; il punto E nel grafico indica che, se l’individuo decide di non
lavorare e dedica T ore ad attività fi tempo libero, si può spostare in alto sulla retta di bilancio per
acquistare w beni di consumo in più. Infatti, per ogni ora in più di tempo libero a cui l’individuo
rinuncia, può acquistare più beni di consumo per un valore pari a w. In altre parole, ogni ora di
tempo libero consumata ha un prezzo ed il prezzo è dato dal salario. Se il lavoratore rinuncia a tutte
le attività di tempo libero, si
collocherà
nel
punto
dell’incrocio tra la retta di
bilancio e l’asse del
consumo. I panieri di
consumo e tempo libero che
si trovano sotto la retta di
bilancio sono accessibili al
lavoratore mentre quelli al di
sopra non lo sono. La retta di
bilancio, quindi, delinea la
frontiera
del
set
di
opportunità del lavoratore,
l’insieme di tutti i panieri di consumo che un lavoratore può permettersi di comprare.
Fig 1.4
La decisione sulle ore di lavoro
Facciamo
l’ipotesi
che
l’individuo
scelga
la
particolare combinazione di
beni e tempo libero che rende
massima la sua utilità.
Questo
significa
che
sceglierà il livello di beni e
tempo libero che gli permette
di raggiungere il livello più
alto possibile di utilità, date
le limitazioni del vincolo di
bilancio. La fig. 1.5 illustra la
soluzione a questo problema.
Il punto P indica il paniere ottimale del consumo di beni e ore di tempo libero scelto per
massimizzare l’utilità del lavoratore. La curva di indifferenza più alta raggiungibile si posiziona nel
punto P; in questo punto, il lavoratore consuma 70 ore di tempo libero la settimana, lavora 40 ore e
acquista 500 € di beni. Ovviamente il lavoratore preferirebbe consumare un paniere sulla curva di
indifferenza U1 che offre un livello più elevato di utilità. Dato il salario, il lavoratore non potrebbe
mai permettersi questo paniere di consumo perché al di sopra del suo vincolo di bilancio. Al
contrario, il lavoratore potrebbe scegliere un punto come A, che sta sulla retta di bilancio, ma non lo
fa perché A offre un livello di utilità inferiore a P. Il consumo ottimo di beni e tempo libero è quindi
dato dal punto di tangenza tra la retta di bilancio e la curva di indifferenza.
Fig 1.5
Cosa accade alle ore di lavoro se il salario varia?
Fig 1.6
Considerate un aumento del salario da 10 € a 20 € all’ora. L’aumento del salario fa ruotare la retta
di bilancio intorno al punto delle dotazioni, come illustrato in fig. 1.6. La rotazione della retta di
bilancio sposta il set di opportunità da FE a GE. I due grafici presentati nella fig. 1.6 illustrano i
possibili effetti di un aumento del salario sulle ore di lavoro. Nella fig. 1.6°, l’aumento del salario
sposta il paniere di consumo ottimo dal punto P al punto R. Nel nuovo punto di equilibrio,
l’individuo consuma più tempo libero (da 70 a 75 ore), così che le ore si riducono da 40 a 35. La
fig. 1.6b illustra il caso opposto. L’aumento del salario sposta il lavoratore su una curva di
indifferenza più alta e sposta il paniere di consumo ottimo dal punto P al punto R. Questa volta
però, l’aumento del salario riduce le ore di tempo libero (da 70 a 65 ore), e la lunghezza della
settimana lavorativa aumenta da 40 a 45 ore. Sembra quindi che non possiamo fare una previsione
certa su questa importante questione senza fare ulteriori ipotesi. Entrambi i grafici illustrano che un
aumento del salario espande il set di opportunità del lavoratore. In altri termini,un lavoratore ha più
opportunità quando guadagna 20 € all’ora rispetto a 10 €. Sappiamo che un aumento del reddito
aumenta la domanda per tutti i beni, compreso il tempo libero. Un aumento del salario aumenta
quindi la domanda di tempo libero e riduce le ore di lavoro. L’aumento del salario rende anche il
tempo libero più costoso; quando un lavoratore guadagna 20 € l’ora, rinuncia a 20 € ogni volta che
decide di prendersi un’ora libera. Ne deriva che il tempo libero è un bene molto costoso per i
lavoratori ad alto salario e relativamente conveniente per quelli a basso salario. Un aumento del
salario quindi riduce la domanda di tempo libero e aumenta le ore di lavoro. Questa discussione
mette in risalto la ragione che sta alla base della relazione ambigua tra ore di lavoro e salario. Un
lavoratore che guadagna molto vuole godersi il suo ricco reddito e consumare più tempo libero.
Nello stesso tempo, però, il suo tempo libero è molto costoso e quindi non può permettersi di
togliere tempo al lavoro. Queste due forze in conflitto sono illustrate nella fig. 1.7a. Bisogna
pensare lo spostamento dal punto P al punto R come uno spostamento in due tempi. Lo spostamento
dalla posizione iniziale P alla posizione finale R può essere diviso in un primo spostamento da P a
Q e un secondo spostamento da Q ad R. Lo spostamento da P a Q è l’effetto reddito e deriv
Fig 1.7
da una variazione del reddito del lavoratore. Il secondo spostamento da Q ad R è chiamato effetto
sostituzione e mostra quello che accade al paniere di consumo del lavoratore, se il salario aumenta
mantenendo costante l’utilità. Spostandosi lungo la curva di indifferenza, l’utilità del lavoratore è
mantenuta fissa. L’effetto sostituzione quindi isola l’impatto dell’aumento del prezzo del tempo
libero sulle ore di lavoro, mantenendo costante l’utilità. Come disegnato in fig. 1.7a, la diminuzione
delle ore di lavoro generata dall’effetto reddito (15 ore) è superiore all’aumento delle ore di lavoro
associate all’effetto sostituzione (10 ore). Poiché domina l’effetto sostituzione, c’è una relazione
positiva tra ore di lavoro e salario. Il motivo dell’ambiguità nella relazione tra ore di lavoro e salario
merita un chiarimento; quando il salario aumenta, un lavoratore ha un più ampio set di opportunità e
l’effetto reddito aumenta la sua domanda di tempo libero e diminuisce l’offerta di lavoro, ma
quando il salario aumenta il tempo libero diventa anche più costoso e l’effetto sostituzione genera
incentivi per il lavoratore a sostituire il consumo di tempo libero con il consumo di beni. Per
riassumere la relazione tra consumo di tempo libero e consumi:
un aumento nel salario aumenta le ore di lavoro se l’effetto sostituzione domina sull’effetto
reddito;
un aumento nel salario riduce le ore di lavoro se l’effetto reddito domina sull’effetto sostituzione.
La curva di offerta del lavoro
La relazione prevista dalla teoria tra ore di lavoro e salario si chiama curva di offerta del lavoro. La
fig. 1.8 illustra come la curva di offerta di lavoro individuale possa essere derivata dal problema di
massimizzazione dell’utilità visto in precedenza. Il grafico a sinistra della figura indica il paniere di
consumo ottimale di un individuo con diversi tassi di salario. Come illustrato, il salario di 10 € è il
suo salario di riserva, il salario al quale è indifferente tra lavorare e non lavorare. Questa persona,
quindi, non offre ore sul mercato del lavoro per qualsiasi salario inferiore ai 10 €. Una volta che il
salario aumenta sopra i 10 €, sceglie di lavorare alcune ore. Per esempio, lavora 20 ore quando il
salario è pari a 13 €, 40 ore quando è pari a 20 € e 30 ore quando è 25 €. Osservate che il grafico
evidenzia che gli effetti sostituzione dominano per i salari più bassi e che gli effetti reddito
Fig 1.8
dominano per i salari più elevati. Il grafico a destra nella figura descrive la curva di offerta del
lavoro, la relazione tra il numero di ottimo di ore lavorate e il salario. All’inizio l’offerta di lavoro è
inclinata positivamente e le ore ed i salari crescono insieme; non appena il salario aumenta sopra i
20 €, invece, domina l’effetto reddito e le ore di lavoro diminuiscono al crescere del salario,
creando un segmento della curva di offerta del lavoro che ha inclinazione negativa. Questo tipo di
curva di offerta è chiamata curva rivolta all’indietro perché alla fine ritorna indietro e ha
un’inclinazione negativa. Possiamo usare il contesto analitico della massimizzazione dell’utilità per
derivare una curva di offerta del lavoro per ogni individuo nell’economia; la curva di offerta
aggregata nel mercato del lavoro si ottiene quindi dalla somma delle ore che tutte le persone sono
disposte a lavorare a quel dato salario.
La domanda di lavoro
I risultati che si ottengono sul mercato del lavoro non dipendono solo dalla volontà dei lavoratori di
offrire il loro tempo per il lavoro, ma anche dalla disponibilità delle imprese di assumerli.
Analizzeremo ora il mercato del lavoro dal lato della domanda. Le decisioni delle imprese di
assumere e licenziare in ogni momento creano e distruggono molti posti di lavoro. Le imprese
assumono lavoratori perché i consumatori vogliono comprare beni e servizi; agiscono cioè da
intermediarie che assumono lavoratori per produrre quei beni e servizi. La domanda di lavoro
dell’impresa, proprio come la domanda dell’impresa per gli altri fattori produttivi come terra,
immobili, macchinari, è una “domanda derivata” dalle necessità e dai desideri dei consumatori.
La funzione di produzione
Iniziamo lo studio della domanda di lavoro con la definizione della funzione di produzione
dell’impresa: essa descrive la tecnologia che l’impresa usa per produrre beni e servizi. Per
semplicità, facciamo l’ipotesi che inizialmente ci siano solo due fattori produttivi: il numero di
ore/uomo impiegate dall’impresa e il capitale (lo stock aggregato di terra, macchinari ed altri imput
fisici). La funzione di produzione individua quanto è prodotto da una qualsiasi combinazione di
lavoro e capitale. La definizione del fattore lavoro implica due ipotesi molto restrittive. Primo, il
numero di ore/lavoro è dato dal prodotto del numero dei lavoratori assunti per il numero medio di
ore lavorate per individuo. Secondo, nella funzione di produzione i lavoratori possono essere
aggregati in un unico fattore chiamato lavoro, anche se sono molto eterogenei tra loro.
Prodotto marginale e prodotto medio
Il concetto più importante
della
funzione
di
produzione dell’impresa è
il prodotto marginale. Il
prodotto marginale del
lavoro è definito come la
variazione del prodotto
finale
che
deriva
dall’assunzione di un
lavoratore
in
più,
mantenendo costanti le
quantità degli altri fattori.
Analogamente, il prodotto
marginale del capitale è
Fig 1.9
definito
come
la
variazione del prodotto che deriva dall’aumento di un’unità dello stock di capitale, mantenendo
costanti le quantità di tutti gli altri fattori. Facciamo l’ipotesi che sia il prodotto marginale del
lavoro che quello del capitale siano numeri positivi, così che aggiungendo più lavoratori o più
capitale si ottenga un output maggiore. Per comprendere meglio come calcolare il prodotto
marginale del lavoro utilizzando un esempio numerico. La fig. 1.9 riassume la funzione di
produzione dell’impresa quando assume un numero diverso di lavoratori, mantenendo costante il
capitale. Se l’impresa assume un lavoratore, produce 11 unità di output ed il prodotto marginale del
primo lavoratore è 11. Se l’impresa assume due lavoratori, la produzione aumenta di 27 unità di
prodotto, ed il prodotto marginale del secondo lavoratore è 16. La fig. 2.0 utilizza i dati del nostro
Fig 2.0
esempio per illustrare le ipotesi standard sulla forma della funzione di produzione. La 2.0a illustra
la curva del prodotto totale. Questa curva descrive cosa accade al prodotto finale quando l’impresa
assume più lavoratori. La curva del prodotto totale è ovviamente inclinata verso l’alto. Il prodotto
marginale del lavoro è l’inclinazione della curva del prodotto totale, cioè il tasso di variazione del
prodotto quando vengono assunti più lavoratori. La forma della curva del prodotto totale, quindi, ha
implicazioni importanti per la curva del prodotto marginale, che è illustrata nella fig. 2.0b. Nel
nostro esempio numerico, all’inizio l’output aumenta prima ad un tasso crescente al crescere dei
lavoratori assunti; alla fine, però, il prodotto aumenta ad un tasso decrescente. In altre parole, il
prodotto marginale del lavoro inizia a diminuire così che il successivo lavoratore assunto aggiunge
meno prodotto all’impresa di quello precedentemente assunto. Nel nostro esempio, il prodotto
marginale del terzo lavoratore assunto è di 20 unità, quello del quarto è di 19 unità e quello del
quinto si riduce ulteriormente a 17 unità. L’ipotesi che il prodotto marginale del lavoro diminuisca
deriva dalla legge dei rendimenti decrescenti dove il livello di capitale è fisso: i primi lavoratori
assunti possono aumentare di molto il prodotto finale perché possono specializzarsi in compiti
definiti con precisione. Quanti più lavoratori vengono aggiunti allo stock fisso di capitale (cioè al
numero fisso di macchinari o ad una quantità fissa di terra) tanto più i guadagni della
specializzazione si riducono e si riduce il prodotto marginale dei lavoratori. Possiamo inoltre
definire il prodotto medio del lavoro come la quantità di output prodotta dal lavoratore tipo. Nel
nostro esempio, l’impresa produce 66 unità di prodotto quando assume quattro lavoratori, così il
prodotto medio è pari a 16,5 unità. La fig. 2.0b illustra la relazione tra le curve del prodotto
marginale e del prodotto medio. Una regola facile da ricordare descrive la relazione geometrica tra
queste due curve: la curva marginale sta sopra alla curva media quando essa è crescente e la curva
marginale giace sotto la curva media quando essa è decrescente. Questo implica che la curva
marginale interseca la curva media nel punto di massimo della curva media. Dovrebbe essere chiaro
che l’ipotesi di rendimenti decrescenti implica anche che la curva del prodotto medio del lavoro da
un certo punto in avanti diminuirà.
Massimizzazione del profitto
Per analizzare le decisioni di assunzione di un’impresa, facciamo un’ipotesi sul comportamento
della stessa. Facciamo l’ipotesi che l’impresa non sia in grado di influenzare i prezzi del prodotto
attraverso la quantità prodotta e venduta e che nemmeno i prezzi di lavoro e capitale dipendano
dalla loro quantità utilizzata dall’impresa; per essa, tutti questi prezzi sono costanti, cioè al di là del
suo controllo. Un’impresa che non può influenzare i prezzi è definita perfettamente concorrenziale.
Dato che un’impresa perfettamente concorrenziale nono può influenzare i prezzi, tale impresa
massimizza i profitti impiegando la “giusta” quantità di lavoro e capitale.