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venerdì 20 gennaio 2017 09:29
APPROFONDIMENTI_COM_2017_016: "Approfondimenti - Temi di interesse"
OGGETTO: “Temi di interesse – In breve (a cura dell’Avv. Giuseppe Giangrande)”
Si segnalano alle Associate i seguenti temi di interesse:
Trust autodichiarato: l’imposta ipotecaria è fissa
Nell’ipotesi di trust autodichiarato il trasferimento di beni e diritti deve esser tassato unicamente al
momento del concretizzarsi dell’effettivo arricchimento in capo al beneficiario. In particolare, non
realizzandosi un trasferimento di beni e diritti si deve applicare unicamente l’imposta fissa, dal momento
che i beni apportati rimangono all’interno della sfera giuridica del disponente. Brusca virata della Corte di
Cassazione in materia di tassazione indiretta applicabile al trust: la Suprema Corte ha rinnegato con forza
quanto affermato dalla stessa Corte in numerosi precedenti. La sentenza n. 21614 del 26 ottobre 2016
affronta, per l’appunto, la spinosa tematica della tassazione indiretta dei trust autodichiarati e si presta a
fornire interessanti principi, anche sotto il profilo civilistico.
Fonte: Stefano Loconte, Trust autodichiarato: l’imposta ipotecaria è fissa, in Ipsoa.it<http://Ipsoa.it>, 10
gennaio 2017.
Le incredibili storie dei fondi nati prima del 1929 (e tuttora in salute)
Il più antico è il MFS Massachusetts Investors Trust (ticker MITTX), fondato nel luglio del 1924 e tuttora
quotato, con un patrimonio di sei miliardi di dollari. Il più ricco è il Vanguard Wellington (ticker VWELX),
lanciato nel luglio del 1929 e arrivato oggi a gestire 93 miliardi di dollari. E assieme a questi fondi aperti ci
sono una mezza dozzina di fondi chiusi, dal Tri-Continental all’Adams Diversified Equity, dal Central
Securities al General American Investors. Sembra incredibile, ma negli Stati Uniti esistono tuttora fondi
comuni di investimento che hanno quasi un secolo di storia. E che sono passati più o meno indenni
attraverso crolli dei listini, crisi economiche, guerre mondiali e regionali, recessioni, mutamenti dell’assetto
politico mondiale. Vista dall’Italia, che ha visto i primi fondi comuni apparire solo nel 1984, la storia di
questi “mutual funds” appare ancora più affascinante. Prendiamo il Central Securities, lanciato nell’ottobre
1929 (una manciata di giorni prima del grande crollo di Wall Street) come braccio finanziario della Central
Illinois Bank & Trust. A gestirlo oggi è il 75enne Wilmot Kidd, stockpicker abile e schivo, che ne ha preso
le redini dal 1973 portando a casa risultati affatto disprezzabili: negli ultimi 15 anni, il Central Securities ha
generato un rendimento del 6,8% annualizzato (contro il 6,6% dello S&P500). «Nei nostri investimenti
manteniamo una prospettiva di lungo termine - ha spiegato Kidd in una delle sue rarissime interviste - senza
preoccuparci troppo delle perfomance di breve». Lui e la sua famiglia sono i primi a essere interessati a un
buona performance del fondo, visto che ne controllano (direttamente o tramite una fondazione) circa il 44%.
Un altro di questi mitici funds, le cui quote spesso si tramandano di generazione in generazione, è l’Adams
Diversified Equity, diventato un fondo chiuso poco prima del crack di Wall Street dell’ottobre 1929. Il
“closed- end fund” venne lanciato per finanziare la Adams Express, società fondata nel 1854 all’epoca del
vecchio West come società postale del Massachusetts e successivamente divenuta secondo azionista delle
Pennsylvania Railroad. Ha costi di gestione bassi (0,61%, la metà di una media di mercato che negli Stati
Uniti si aggira sull’1,2%) e distribuisce regolarmente un dividendo ai sottoscrittori ogni anno dal 1935.
Come sopravvissero Adams Diversified Equity e Central Securities al cosiddetto “Big Crash”, il crollo del
29 ottobre 1929, preceduto dall’altrettanto micidiale “giovedì nero”? Probabilmente al momento del crack i
fondi, essendo appena stati fondati, erano ancora pieni di liquidità non investita in titoli azionari: seduti sul
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cash, rimasero indenni durante l’implosione del mercato salvo poi approfittare della ripresa di Wall Street
dalla metà degli anni Trenta.
Fonte: Enrico Marro, Le incredibili storie dei fondi nati prima del 1929 (e tuttora in salute), in Il Sole
24Ore, 11 gennaio 2016.
Transazione fiscale nel concordato e negli accordi di ristrutturazione
La transazione fiscale di cui all’articolo 182-ter L.F., così come disciplinata fino allo scorso anno,
prevedeva la possibilità di dilazionare, ovvero di stralciare parzialmente, alcuni debiti fiscali, ivi compresi i
contributi previdenziali ed assistenziali; tuttavia, tale previsione trovava un’eccezione per quanto riguarda
l’IVA (in virtù della possibile natura comunitaria di tale imposta) e le ritenute, per le quali era possibile
proporre esclusivamente la dilazione del pagamento, essendo esclusa la possibilità di stralciare il valore
nominale del relativo debito. Tale preclusione normativa, ha impattato negativamente in parecchie crisi di
impresa, laddove il pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute risultava non sostenibile sulla base
dell’attivo disponibile, causando il conseguente fallimento della società, a scapito di una possibile procedura
concorsuale, magari in continuità. Tale disciplina ha subito una sostanziale rivisitazione, almeno per quanto
riguarda il trattamento dell’IVA e delle ritenute, nella legge di Bilancio 2017 (si veda l’articolo 1, comma
81, L. 232/2016) che ha modificato l’articolo 182-ter L.F. prevedendo che con il piano di cui all’articolo
160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi (IVA e ritenute compresi)
e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti
gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori; resta inteso che la possibilità
si stralciare i debiti tributari è possibile laddove il piano ne preveda la soddisfazione (in coerenza con
l’articolo 160, 2 comma, L.F.) in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione
preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o
ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. L’articolo 182-ter, così come modificato dalla legge di
Bilancio 2017, stabilisce inoltre che in presenza di un pagamento parziale di un debito tributario o
contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo dovrà essere sempre inserita in
un’apposita classe, e non “confusa” con gli altri creditori chirografari. Laddove invece il debito tributario o
contributivo abbia natura chirografaria, il trattamento riconosciuto nella proposta concordataria non potrà
essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in
classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.
Fonte: Andrea Rossi, Transazione fiscale nel concordato e negli accordi di ristrutturazione, in
Ecnews.it<http://Ecnews.it>, 16 gennaio 2017.
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