Reportage La Repubblica - Università di Macerata
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Reportage La Repubblica - Università di Macerata
VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003 LA REPUBBLICA 43 DIARIO di TOMASZ KIZNY E LE IMMAGINI DEL DOLORE Una ricerca durata 17 anni Così un fotografo ha raccontato il mondo dei campi Perché torniamo a parlare di gulag e degli effetti drammatici che ha prodotto su milioni di persone? Tomasz Kizny, fotografo polacco, per 17 anni ha raccolto immagini rare e inedite sull’universo concentrazionario sovietico. Documenti fotografici cercati con ostinazione, frutto di autori che hanno vissuto dall’interno quell’esperienza. Un uomo ossessionato da una missione e un mondo da raccontare visivamente. Ne è scaturito un libro eccezionale che compare oggi in Francia. Tutte le foto sono tratte dal libro “Gulag” del fotografo Tomasz Kizny (segue dalla prima pagina) GULAG nche quando tutti gli archivi saranno stati aperti (e non è questo il caso ancora), anche quando migliaia di storici avranno avuto accesso a tutti i testi e a tutti i documenti esistenti per tentare di trarne delle sintesi e organizzare un resoconto, resterà l’indicibile, l’essenziale, l’esperienza ultima, che lentamente si sta spegnendo con gli ultimi sopravvissuti. Ed è proprio ciò a far sì che questo libro (Gulag, edizioni Acropole / Balland / Geo, pagg. 480, euro 59), che queste foto ritrovate e pubblicate da Thomasz Kizny, debbano figurare in tutte voi e me, non ha più alcunché di le biblioteche, essere mostrate, difumano». fuse a livello di massa, come ReEsito. C’è qualcosa di sacrilego pubblica ha l’onore di fare oggi. nel voler spiegare l’innominabile, Esse aiutano a rappresentare nel tappezzare con le nostre parole l’altro inferno del XX secolo, l’altra di persone felici quelle ferite abisAuschwitz, inferni tanto diversi sali dell’anima e del corpo. Esito, quanto simili, perché ugualmente ma al contempo, in questo caso, si inconcepibili per lo spirito umano pone un dovere di tradimento, che, d’altronde, li ha creati, l’uno e quello che porta a violare le tombe l’altro. Prendete la parola “morte”. per capire chi siamo. Andrej Siniavskij, uno Il comunismo fu la dei più nobili scrittori fede del secolo. Dalla russi, se ne appropria I PRIMI violenza sociale della nella sua prefazione ai rivoluzione industriaRacconti della Kolyma, DEPORTATI le all’epopea di Soliil più vasto degli scritti darnosc, dagli inizi del FURONO NEGLI del Gulag, per dire che movimento operaio al essa non ha lo stesso si- ANNI VENTI crollo sovietico, il cognificato per noi e per munismo fu la speranloro, per noi che sareza che portò centinaia mo colpiti tutti dalla morte, un di milioni di convinti, in tutti i congiorno, e per loro che l’hanno vistinenti, a mobilitarsi, con la volontà suta, ora dopo ora, giorno dopo di liberare l’uomo dalle leggi del giorno, anno dopo anno, una quoprofitto. Il nazismo divideva l’umatidianità senza fine. «Noi intendianità, attribuendo una gerarchia almo la morte in maniera astratta», le razze, organizzando lo sterminio dice Siniavskij. «È una fine, moriadegli uni e la dominazione degli almo tutti. Ma vedere la morte come tri. Il comunismo, invece, prometuna vita che si trascina eternamenteva l’uguaglianza dei popoli e la te nell’esaurimento totale delle ulscomparsa delle classi, un Eden time forze fisiche - ecco che la mortemporale nel quale ciascuno te è qualcosa di ben più spaventoso avrebbe avuto secondo i propri bi(…). C’è di peggio della morte: il sogni; ma l’uno e l’altro, i due totadissolversi della vita mentre si è litarismi del secolo maledetto, hansempre vivi, quando quest’uomo, no lasciato alla memoria i loro camun uomo comune e buono come pi, formidabili macchine per stritolare, ben oliate, calme e pensate, con holding e filiali della morte. Tra i due sussiste una differenza sostanziale. Nei campi nazisti, lo Le foto inedite dell’inferno sovietico BERNARD GUETTA ROY MEDVEDEV GULAG. “ PER me la parola gulag ha un significato molto personale, intimo direi. Lager uguale dolore. E' una parola che suscita pensieri molto cupi, perché io, a differenza forse di molti altri cittadini dell'Urss, ho sempre saputo che cosa fossero. Mio padre fu arrestato e condannato a otto anni nel 1939. Fu arrestato durante una purga di massa, accusato di aver detto o fatto qualcosa d sbagliato molto tempo prima, negli anni Venti. Accuse del tutto pretestuose, ma in quei giorni arrestarono circa duemila ufficiali come lui. Ci scrivevamo, perché aveva avuto questo diritto. Io gli mandavo vitamine e soldi avvolti nella carta. Ma lui nel 1941 morì. Lo venni a sapere quasi per caso nel mese di marzo. Dopo la guerra, era ancora vivo Stalin, cominciarono a tornare i primi prigionieri che mi raccontarono la loro vita nel lager e come morì mio padre. Fu allora che cominciai a pensare che un lager staliniano fosse più o meno un campo di concentramento tedesco. sterminio era un obiettivo. In quelli del comunismo era un effetto indotto, per nulla escluso, anzi acquisito. Ma coloro che erano inviati in quei campi, lo erano perché non erano stati uccisi sotto la tortura o con uno sparo nella nuca. Il comunismo deportava coloro che graziava, il nazismo coloro che condan- “ A “Gulag” è una sigla, sta per “Amministrazione centrale dei campi di lavoro e di rieducazione”, creata nel 1930 e smantellata, qui i documenti si contraddicono, nel 1956 o nel 1960, nel periodo, in ogni caso, del disgelo successivo al XX Congresso del Partito comunista sovietico. Il Gulag nasce dalla consacrazione della vittoria politica di Stalin sugli altri dirigenti bolscevichi. Muore con lui, ma, al di là del fatto che i campi gli sopravvivranno fino alla perestrojka, il Gulag è preesistito a se stesso fin dalla primavera del 1920, quando il bolscevismo cominciò a deportare i suoi avversari della guerra civile tempo, tre volte di più le vittime, ma nelle isole Solovki, terre di monaperché fece dell’utopia comunista steri e luogo scelto dall’ortodossia. e di tutti coloro che ci credettero dei Quell’arcipelago, l’Arcipelago complici inconsapevoli, sordi e cieGulag, dirà Solgenitsyn, in seguito chi, non direttamente colpevoli, sciamerà, si allargherà e s’istituzioma certamente responsabili della nalizzerà al ritmo delle purghe opesua opera di morte. rate all’interno del partito bolsceviNei campi comunisti, l’ambizioco, della repressione dei suoi avverne del bene partorì la barbarie, cosari politici e delle battaglie lanciame fece l’ambizione del male nei te dall’Urss contro i suoi nemici campi nazisti. Ed è in questo senso reali o presunti tali. La storia del guche sul gulag resta anlag è così lo specchio cora molto da riflettedella storia sovietica. re, più che su Au- QUALE Guardate queste foschwitz. L’uno, Autografie! Lo sguardo schwitz, è il frutto di LEZIONE vuole distogliersi, ma una decisione da nulla guardatele! È AuPOLITICA SI imposta, da nessun inschwitz senza le cameteresse strategico, ter- PUÒ TRARRE re a gas. È Auschwitz ritoriale o politico, più la sua durata, una perché l’esistenza deAuschwitz senza fretta, gli ebrei non impediva in alcun mouna Auschwitz congelata della do la costruzione del Terzo Reich. quale Andrej Siniavskij ha detto: Era il male per il male. Senza dub«Non c’è niente. Non la morte. Il bio si trattò della volontà di annitempo si è fermato, si è paralizzato. chilire il popolo che aveva inventaL’evoluzione storica non si riflette to la trascendenza e i Dieci Comannel ghiaccio. La guerra è scoppiata: damenti prima di dare origine al la conseguenza? Meno minestra. cristianesimo, ma resta un mistero La vittoria sulla Germania? Nuovi che disarma l’analisi. Non è questo detenuti. La Storia è un deserto nel il caso del gulag. seno di “l’Eterna indifferenza del Ci sono delle lezioni politiche da campo”». trarre dal comunismo, perché il guGuardate e riflettete. Loro l’hanlag ebbe la sua logica. Fu una conno vissuto. catenazione, quella di una Rivoluzione che aveva avuto la pretesa di (traduzione di Guiomar trasformare l’uomo e che non cesParada) sò di fuggire alla propria sconfitta, di negare, a ferro e fuoco, la vanità del suo fine, l’impossibilità della sua vittoria. nava a morte. In termini filosofici, nella disumanizzazione dell’uomo, Hitler vince, alta la mano, sopra Stalin, ma nella pratica? Qui il “piccolo padre dei popoli” è il grande vincitore. Non soltanto perché ha provocato ben più vittime del nazismo, non soltanto perché si prese il suo tempo, tre volte il 44 LA REPUBBLICA LE TAPPE PRINCIPALI VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003 1923 Il primo campo di prigionia per gli oppositori viene creato nella Russia sovietica già nel 1923, vivente ancora Lenin, nelle isole Solovki sul Mar Bianco, in un monastero ortodosso sconsacrato. 1930 Fu Stalin, con un decreto del 26 aprile del 1930, a sistematizzare l’esistenza del Gulag, forma privilegiata per lo sfruttamento di manodopera a costo zero per l’industrializzazione forzata. 1939 Nel luglio del ’39 venne approvato un decreto che accoglieva le proposte di Beria per moltiplicare la produttività dei gulag. Per i prigionieri sono previsti non più di tre giorni di riposo al mese. INTERVISTA A TOMASZ KIZNY L’AUTORE DEL LIBRO FOTOGRAFICO QUEI CRIMINI PER ME ERANO UN’OSSESSIONE ANDREA TARQUINI I LIBRI ALEKSANDR SOLGENITSYN Una giornata di Ivan Denisovic Einaudi 1963 EVGENIJA GINZBURG La vertigine Mondadori 1967 ROBERT CONQUEST Il grande Terrore Mondadori 1970 ALEKSANDR SOLGENITSYN Arcipelago Gulag Mondadori 1974 DANTE CORNELI Il redivivo tiburtino La pietra 1977 VLADIMIR BUKOVSKIJ Il vento va e poi ritorna Feltrinelli 1978 GUARNASCHELLI EMILIO Una piccola pietra Garzanti 1982 GUSTAW HERLING Un mondo a parte Feltrinelli 1994 VARLAM SALAMOV I racconti della Kolyma Adelphi 1995 JACQUES ROSSI Com’era bella questa utopia Marsilio 2003 ANNE APPELBAUM Gulag. A history Doubleday 2003 BERLINO — Tomasz Kizny, il fotografo polacco cui si deve la straordinaria raccolta di cinquecentocinquanta foto della vita nel gulag, frutto di diciassette anni di ricerche, è soddisfatto del suo gran lavoro. Raggiunto al telefono a Breslavia, racconta a Repubblica la storia del suo progetto. Come è nata l’idea di raccogliere queste foto del gulag? «Del progetto discussi molto col poeta Svetan Todorov. Pensavamo di dare delle immagini al dibattito aperto in Europa dal Libro nero del comunismo. Abbiamo vissuto entrambi sotto il comunismo, ci colpiva che — mentre contro i crimini del nazismo la memoria vince, perché li ricorda sempre — i crimini del comunismo, settant’anni di orrore, vengono dimenticati. Raccolsi così foto degli anni dai Venti ai Cinquanta. E poi mi recai nell’ex Urss per fotografare i luoghi della memoria del Gulag oggi». Come ha potuto procurarsi le foto del passato? «Era il 1986, lavoravo per un’agenzia fotografica della stampa clandestina polacca. Un mio amico e collega, Krzysztof Gulbinowicz, mi raccontò una storia straordinaria. La storia delle migliaia e migliaia di ex combattenti dell’Armia Krajowa, i partigiani bianchi anticomunisti polacchi che combatterono contro la Wehrmacht. A migliaia finirono nel gulag dopo il 1945. Poi con la destalinizzazione krusceviana furono liberati. Tornati in patria, formarono una forte comunità del ricordo». E cosa fece allora? «Grazie a Gulbinowicz riuscii a contattare alcuni di questi vecchi coraggiosi. Scoprii che molti di loro avevano raccolto foto dei Gulag più orrendi dove erano stati rinchiusi. Dopo la svolta di Kruscev i prigionieri polacchi furono liberati, ma per le lentezze burocratiche dovettero aspettare mesi a Vorkuta — un enorme centro industriale siberiano dove tutta la produzione era legata al lavoro forzato dei deportati — prima del rimpatrio. Lavoravano ma retribuiti. Acquistarono macchine fotografiche in città, scattarono centinaia di foto». Cosa mostrano le loro immagini? «Sono straordinarie. In molte si vede la miseria umana dei prigionieri dell’universo concentrazionario, la loro vita quotidiana. Alcune mostrano persone morenti o affamate. Tutte documentano le condizioni disumane e igienicamente spaventose della detenzione. E ci consentono di illustrare la mappa dell’ “arcipelago gulag”». Cosa l’ha colpita di più tra le foto “antiche”? «L’estensione dell’arcipelago della morte. Pensi che a un certo punto l’amministrazione del gulag della regione di Kolyma, che controllava importanti attività economiche affidate al lavoro da schiavi dei deportati, amministrò il dieci per cento del territorio sovietico. E poi l’assurdo del teatro nel campo di concentramento». Di che si trattava? «Comandanti e ufficiali del gulag volevano svaghi culturali. Costrinsero moltissimi attori, artisti, intellettuali arrestati a inscenare recite teatrali per loro. Amavano il teatro classico ma ancor più l’Operetta. L’amministrazione dei campi spese grandi somme ordi- ‘‘ ,, Diciassette anni di lavoro e più di cinquecento foto che in modo inedito raccontano l’orrore dei campi Un internato nando al Bolscioi costumi e scenografie. I detenuti accettarono per sentirsi vivi. Tanto, mi dissero, tutti i cittadini del blocco comunista e tutti gli artisti erano prigionieri. La loro condizione era vivere in una prigione nella prigione». Perché non ci sono foto di 384 mucchi di cadaveri, come quelle dei lager nazisti? «I nazisti fotografarono a volte i loro crimini, i comunisti no. Comunque la maggior parte delle foto dei lager hitleriani furono scattate subito dopo la Liberazione. Qualcuno parla di un archivio segreto della presidenza russa con I LAGER Erano disseminati dalle isole Solovki alla Kolyma 20 milioni ANNA AKHMATOVA C’è stato un tempo in cui solo i defunti potevano sorridere, liberati. E l’anima di Leningrado dondolava fuori dalla prigione. E i reggimenti dei condannati sfilavano sui binari. La stella della morte era sopra di noi. Requiem 1935-40 VARLAM SALAMOV Dare ordini è il peggiore dei peccati in un gulag, là dove si paga col sangue, prendere su di sé la responsabilità di disporre della volontà altrui per la vita e la morte è un peccato troppo grande, mortale, un peccato che non può essere perdonato. I racconti della Kolyma foto del genere scattate nel gulag. Non so se sia vero, non credo». Accosta il gulag all’Olocausto? «Assolutamente no. L’Olocausto fu unico, fu un progetto di genocidio scientifico non paragonabile ad altri crimini. D’altra parte le vittime del comunismo su scala mondiale furono molte di più delle vittime del nazismo. E nella memoria del mondo sopravvive un’asimmetria nel giudizio etico sui crimini delle due dittature. A San Pietroburgo ho notato un gruppo di turisti occidentali scherzare per i souvenirs acquistati: magliette con il volto di Stalin o la sigla del Kgb. È inimmaginabile che turisti in Germania acquistino divertiti delle tshirts con la svastica o il volto di Hitler». LO STERMINIO Le cifre sono ancora incerte ma comunque impressionanti -50° LA TEMPERATURA Kolyma era soprannominata il “Crematorio di ghiaccio” PARLA LEV MISHENKO: DOPO BUCHENWALD FINÌ NELL’INFERNO DEI GULAG “DALLE MANI DEI TEDESCHI CADDI IN QUELLE DI STALIN” «E Mosca ra il ‘45 e la guerra stava per finire. Per tutti, ma non per me. Io me ne tornai a casa dopo la lunga prigionia in mano ai tedeschi, ma a casa mi aspettava un altro lager, quello di Stalin». Seduto nel suo studio pieno di libri nella lontana periferia di Mosca, Lev Mishenko parla con leggerezza del suo terribile passato. E’ una persona molto gentile e vivace a cui è difficile dare i suoi 86 anni di età. Ne aveva appena 24 quando fu fatto prigioniero dai tedeschi durante la grande battaglia di Vjazma, nei pressi di Smolensk. «Eravamo un milione di soldati, come me. Io parlavo tedesco, e questo mi aiutò. All’inizio mi mandarono nel campo di prigionia a Katyn. Volevano che diventassi una spia. Quando rifiutai pensavo che mi avrebbero ammazzato. Invece finii prima nel lager di Smolensk, poi a Buchenwald». Lev Mishenko riuscì a fuggire durante un trasferimento notturno, con gli americani già alle porte. «Era l’11 aprile del ‘45. Ci buttammo giù e cominciammo a correre. All’alba ci ritrovammo tra le braccia degli americani. Io ero fisico, da poco laureato, e mi chiesero se non avessi preferito andare in America. Ma, sa com’è?, io sognavo solo casa mia, e poi a Mosca avevo la ragazza, eccola lì, Svetlana, alla fine ci siamo sposati, quasi cinquant’anni fa». «Gli americani ci accompagnarono al punto di raccolta degli ex prigionieri con le macchine addobbate a festa, i fiori rossi, gli striscioni. Ci facevano sentire amici, quasi eroi. Dall’altra parte tutto cambiò all’istante. Noi venivamo dall’altro mondo, l’avevamo visto e conosciuto e perciò eravamo pericolosi. La gente aveva paura perfino di avvicinarci. Tre settimane dopo mi arrestarono». E scontò nove anni di reclusione nel campo di Pecjora, in Siberia, con l’accusa di «tradimento». Lì i detenuti erano costretti a lavorare alla costruzione della ferrovia nordsiberiana nel tratto che da Mosca porta a Salekhard. «Non voglio VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003 LA REPUBBLICA 45 1953 Il punto di rottura fu la morte di Stalin, nel marzo del 1953. I grandi scioperi avevano portato in vari casi i detenuti alla conquista dei campi, governati da capi-rivolta come il polacco Buca. 1956 Al XX Congresso del Pcus, Kruscev sancì la liberazione in massa dei detenuti politici, di buona parte di quelli comuni e dei deportati in località speciali, determinando la fine del lavoro forzato. 1987 La chiusura dell’intero “Arcipelago gulag” si avrà nel 1987 con Gorbaciov. Il coraggioso leader della Perestrojka è stato comunque accusato di aver imprigionato diversi nazionalisti ucraini. L’ESPERIENZA DI ELENA BONNER VEDOVA DI ANDREJ SAKHAROV LE NOSTRE VITE VIOLATE DAL TERRORE FIAMMETTA CUCURNIA MOSCA — «Tutta la mia vita è stata segnata dai gulag. Ora che sono vecchia, il tempo lontano torna vicinissimo nella memoria e i ricordi si affacciano sempre più spesso, sempre più vivi, come se tutto fosse accaduto solo ieri». La voce di Elena Bonner, vedova del premio Nobel per la pace Andrej Sakharov scomparso nell'89, risuona decisa attraverso il telefono dalla sua casa americana, dove ha scelto di consumare l’ultimo esilio. Le parole si rincorrono ripercorrendo il film della sua travagliata esistenza: i genitori deportati nei gulag, il padre che non farà mai ritorno, e poi le battaglie al fianco del marito, nel lungo esilio di Gorkij, fino alla liberazione, voluta da Gorbaciov. «Era il 1937. Per noi russi, que- 5 milioni I CONTADINI Le famiglie furono deportate senza condanna 58 ‘‘ ,, Prima portarono via papà. Seppi che venne fucilato. Poi presero mia madre e pensare che eravamo staliniani Elena Bonner sta data significa tutto. Tempi bui e di terrore. Avevo solo 14 anni. Si portarono via mio padre, in una notte di maggio. E non lo vidi mai più. Mia madre fu arrestata a dicembre. La mia era una famiglia della nomenclatura staliniana. Mio padre era il capo della sezione quadri del Comintern. Abitavamo IL NUMERO Era quello del famigerato articolo sull’attività controrivoluzionaria 37 a Mosca, nel famoso hotel Lux, proprio accanto a Togliatti, noi stavamo al nono piano e loro al decimo. Io li conoscevo bene, ero molto amica dei figli di Pastore, che da noi si era cambiato il cognome in Rossi. Non mi ero quasi accorta di nulla, non vedevo la paura che serpeggiava nel paese, GLI ULTIMI Quelli rimasti nel 1956, tre anni dopo la morte di Stalin ALEKSANDR SOLGENITSYN Il fotografo polacco Tomasz Kizny ha raccolto cinquecentocinquanta immagini sul gulag, e fotografato alcuni superstiti raccontare la fame e il freddo, la morte che troppe volte ho visto con gli occhi miei. All’inizio è stata durissima. La notte mi interrogavano e il giorno non potevo dormire. Ero costretto a lavorare senza sosta, 11 ore al giorno. Dovevamo pulire il terreno dal ghiaccio e dalla neve, poi scavare enormi buche nella terra gelata. Malnutriti, stanchi, disperati. In quel campo, fino a qualche anno prima, la mortalità era altissima, morivano anche mille persone ogni anno. Le baracche erano distribuite in due lager, da un lato la segheria, dall’altro gli operai che trasportavano i tronchi e costruivano le fabbriche. Io in fondo sono stato fortunato, perché grazie a Dio ho le mani d’oro, so fare l’elettricista e molto bene, così nel lager piano piano ho fatto carriera, se così si può dire, prima nel reparto d’essicamento del legno, dove non avevo più freddo, poi responsabile della centrale elettrica. Per voi non vuol dire niente, ma io sono vivo grazie questo. Fare l’elettricista voleva dire che ti puoi portare via la segatura per bruciarla la sera e riscaldarti, che da te dipende il lavoro degli altri. Mangi, hai diritto al riposo e quando ti lavi nel banja, i guardiani non ti rubano la biancheria». Erano circa venti milioni, a quei tempi, i prigionieri di Stalin. Vivi, oggi, ne restano forse qualche centinaio. «A volte racconto la mia storia ai miei nipoti, ma penso che non possano capire. Perché il dramma più terribile di noi zek non era solo la privazione fisica, quanto l’offesa per l’accusa ingiusta. E poi non poter sperare in niente. Ero certo che sarei morto da zek». (F.C.) Quando una brigata non adempiva la quantità prevista, i lavoratori tornavano al campo solo all’alba, per mangiare la cena insieme alla colazione e tornare nuovamente sul lavoro. Non c’è più chi lo possa raccontare: sono morti tutti. Arcipelago Gulag GUSTAW HERLING L’intero sistema del lavoro forzato nella Russia sovietica non è inteso a punire il colpevole ma piuttosto a sfruttarlo economicamente e a trasformarlo psicologicamente. Lo scopo reale è la disgregazione completa della sua personalità. Un mondo a parte non conoscevo il terrore di quelle notti insonni vissute nell'attesa che una macchina nera arrivasse all'improvviso per portar via una persona. Vivevo spensierata. Fino a quel giorno...». Cosa ne fu di voi, dopo l'arresto? «Mio padre fu fucilato quasi subito. Ma lo seppi molto tempo dopo. Prima di essere presa, mia madre era riuscita a trasferire me e mio fratello dalla nonna, a Leningrado. Lei lo sapeva di non avere scampo. Eravamo "nemici del popolo", non c'era speranza. Ma non eravamo un'eccezione. Di bambini come noi ce n'erano tanti. Nella mia classe eravamo ventiquattro: in undici crescevano senza genitori, arrestati, forse fucilati. Ilja Ehremburg ci chiamava gli "strani orfani", perché noi i genitori ce li avevamo, ma nel contempo non c'erano più. Ci erano stati rubati. C'era un poeta che scrisse una bellissima poesia su di noi. I versi mi tornano in mente ogni tanto. Diceva che noi viviamo in un'epoca in cui le mamme non ci sono, e i bambini si aggirano soli, in compagnia delle nonne. Mia madre tornò 10 anni dopo, nel '47. Io ne avevo ventiquattro». Così cominciò la sua battaglia contro il potere? «All'inizio non mi rendevo conto. Poi cominciai a fare le file per spedire qualche pacco e qualche lettera a mia madre. Per loro, lontani, al freddo e senza più speranze, quei miseri pacchi, quelle lunghe lettere, erano l'unico filo che ancora li legava al mondo. Mamma mi scrisse che c'erano tante povere donne che non avevano più nessuno, i figli magari morti al fronte. E io cominciai a mandare pacchi a tutti. Potevamo inviare qualcosa solo ai parenti stretti, ma era la mia prima piccola sfida. Stavo ore in fila e mi firmavo sempre con lo stesso nome, Ljusja, scrivevo così, col nomignolo che usavamo in casa. Poi mettevo il cognome della donna a cui stavo mandando il mio messaggio di vita. Il Kgb non se ne accorse mai, o fece finta di non vedere. I miei pacchi arrivavano e la mamma mi raccontò poi che nelle baracche del gulag, mi chiamavano “vsjashnaja Ljusja”, la Ljusja di tutti». E per suo marito, Andrej Sakharov, era lo stesso? «Lui veniva da una famiglia più fortunata. Loro erano stati solo sfiorati dalle purghe. Io lo portai a conoscere le amiche della mamma, come la scrittrice Elisaveta Drovkina, che aveva vissuto con lei nel gulag. Ascoltava i racconti terribili, ma anche teneri, e gli piacque molto il mio soprannome. Anche lui a volte mi chiamava così. Poi venne il tempo in cui lui, Andrej, lavorava nelle città chiuse, e vedeva passare sotto le finestre le colonne dei zek, i carcerati del gulag, ai tempi di Breznev. Uomini sfiniti nel corpo e nello spirito, destinati ai lavori più duri e sporchi. Lui abbassava lo sguardo, diceva di non poter sopportare lo strazio». Dunque il dissenso per voi nasce da lì? «Per tutti noi. Qualcuno lo ha capito prima e ha trovato il coraggio di dirlo. Altri lo hanno fatto quando la pressione del regime si è indebolita. Non dimenticherò mai il XX congresso e il rapporto segreto di Krusciov. Mai più nella mia vita ho provato un sentimento così profondo. Un misto di gioia, di stanchezza e di speranza». I FILM IL SOLE INGANNATORE Unione Sovietica, 1936, dopo dieci anni Mitja torna nella dacia dove è vissuto. In realtà è un pericoloso agente della polizia segreta. La regia è di Nikita Michalkov, Oscar come miglior film straniero nel 1994 IL PROIEZIONISTA Il proiezionista personale di Stalin che ama i western e i film musicali americani e vive nell’esaltazio acritica del dittatore. Non si accorge di spingere la moglie tra le mani del capo del Kgb. La regia è di Andrej Koncialovskij. 1991 UNA GIORNATA DI IVAN DENISOVIC Dal racconto di Aleksandr Solgenitsyn la cronaca di una giornata di un soldato che, creduto una spia dei tedeschi, è stato condannato a 10 anni di reclusione in un gulag AMORE E LIBERTÀ Aleksej Golobin da Parigi risponde all’invito di Stalin di rientrare in patria. Molti tra i rimpatriati però finiranno nei gulag. Regia di Régis Wargnier 2000 Fondatore Eugenio Scalfari ALVOHXEBbahaajA CHDPDEDPDE 31010 9 770390 107009 Anno 28 - Numero 239 Direttore Ezio Mauro € 1,20 in Italia (con “EVA KANT” € 6,10) SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax 06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b, legge 662/96 - Roma. venerdì 10 ottobre 2003 PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada $ 1; Danimarca Kr. 15; Egitto Pt. 700; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania € 1,85; Grecia € 1,60; Irlanda € 2,00; Lussemburgo € 1,85; Malta Cents 50; Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole € 1,40); Regno Unito Lst. 1,30; Rep. Ceca Kc 56; Slovenia Sit. 280; Spagna € 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr. 2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 300; U.S.A $ 1. Concessionaria di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941 INTERNET www.repubblica.it A B Nove vittime per l’attentato di un kamikaze ad un posto di polizia. Agguato sulla porta di casa ad un funzionario dell’intelligence di Madrid. Muore un altro soldato Usa CON REPUBBLICA StrageaBagdad,uccisouno007spagnolo È in edicola “Eva Kant” Scontro sui poteri del governo Per la collana I Classici del fumetto a richiesta a soli 4,90 euro in più LA LUNGA OMBRA DELL’INTROVABILE RAÌS Braccio di ferro con Arafat si dimette il nuovo premier Anp nel caos BERNARDO VALLI LI iracheni sono sensibili agli anniversari. A modo loro li rispettano. Appartengono a una terra di grandi tradizioni, di forti passioni e di intensa violenza. Persino quando scelgono la data di un attentato tengono conto, nei limiti del possibile, delle ricorrenze, al fine di risvegliare le memorie. Rafforza questa convinzione quel che è accaduto ieri. L’autobomba esplosa nel mattino vicino a un commissariato di polizia, nel quartiere sciita di Sadr-City, a Bagdad, ha ricordato (con funerea puntualità) l’incruenta presa della capitale irachena, avvenuta esattamente sei mesi prima. SEGUE A PAGINA 17 G MARCO MAROZZI e ALBERTO STABILE A PAGINA 4 Il luogo dell’attentato a Bagdad MASTROGIACOMO e FLORES D’ARCAIS ALLE PAGINE 2 e 3 Domani con “D” il supplemento casa Telefonata tra Berlusconi e il leader di An, ma senza chiarimento. Castelli accusa: “Abbandona il programma dell’alleanza” DIARIO Immigrati, Fini sfida il Polo L’orrore del Gulag nelle foto delle vittime “In aula la legge può passare”. La Lega: così va all’opposizione IL CASO I mulini a vento di Ferrara e Tabucchi FRANCESCO MERLO PARIGI, capitale del provincialismo italiano, si può persino scoprire l’ennesimo paradosso nazionale, e cioè che Antonio Tabucchi è berlusconiano e che Giuliano Ferrara è comunista. Tabucchi è berlusconiano nella maniera più sostanziale, e non solo perché ha fatto su Le Monde quel che Berlusconi aveva fatto sullo Spectator qualche settimana fa. Anche Tabucchi infatti ha dato corpo alle sue ossessioni. Il regime, l’Italia imbavagliata, la fine della democrazia raccontati da Tabucchi sono come i comunisti di Berlusconi e i suoi giudici matti. Del resto, sempre ricorre all’appesantimento dei toni chi vuol cingersi la testa con l’aureola dell’eroismo civile. Questo gioca a fare il Gramsci davanti ai francesi e quell’altro giocava a fare il de Gaulle davanti agli inglesi. Ma soprattutto, alla maniera di Berlusconi, anche Tabucchi vive e crede solo nel virtuale, in un mondo inesistente e tuttavia verosimile, come il famoso bastone nell’acqua, dove sono reali sia il bastone e sia la rifrazione, ma sono virtuali il senso, la direzione, e la forma del bastone immerso. Dunque su Le Monde Tabucchi si è magistralmente esibito in quell’antichissimo genere che è l’Italia vista fuori dall’Italia, o sindrome dell’esule, o ancora, secondo gli storici del Meridione, sindrome dell’immigrato, perché erano soprattutto gli immigrati meridionali che ricorrevano ad ogni genere di esagerazione per accattonare la generosità dei loro ospiti e per aureolare la propria inadeguatezza. Quel che i siciliani raccontarono della Sicilia ai torinesi somiglia davvero a quel che Tabucchi va raccontando dell’Italia, oggi ai francesi, ieri agli spagnoli, domani a chissà chi. SEGUE A PAGINA 17 A ROMA – Sul diritto di voto per gli immigrati Gianfranco Fini insiste e sfida il Polo: «Penso che in Parlamento, al di là degli elogi strumentali del centrosinistra, ci siano i numeri per l’approvazione della legge», ha detto ieri il vicepresidente del Consiglio. La tensione nella maggioranza resta altissima. Una telefonata tra il leader di Alleanza nazionale e Silvio Berlusconi si è chiusa senza una ricomposizione. Secondo la Lega, Fini a questo punto è passato all’opposizione. Per il ministro Roberto Castelli, «ha abbandonato il programma della Casa delle libertà, facendo una svolta di 180 gradi di cui si deve assumere tutta la responsabilità». L’Udc accusa il Carroccio: «Maccartismo desolante». Appello del presidente Carlo Azeglio Ciampi, a Rovigo: «Le riforme non nascono dalle provocazioni e dagli scontri». FUSANI e TITO ALLE PAGINE 6 e 7 Attesa in Vaticano: “Non rifiuterà il premio” In carcere anche altri 5, ricercati imprenditori Nobel per la pace il Papa tra i favoriti oggi l’annuncio Tangenti a Brindisi su calcio e appalti arrestato il sindaco ALLE PAGINE 43, 44 e 45 ON si trovano le parole. Non è possibile parlare di un tale assoluto orrore, perché le parole dei superstiti del gulag sono, per forza, le parole di tutti i giorni, parole che rimandano alle esperienze di chi ascolta o legge le cronache di “laggiù”, a una realtà diversa, dunque, ben “al di qua” di quella vissuta dai milioni di persone che sono passate dai campi sovietici, diciotto, venti milioni di uomini, donne e bambini si dice, ma nemmeno questo si sa, non esattamente, non veramente. SEGUE A PAGINA 43 N “Le logge riprendono potere” Parla Cossiga “Gelli riammesso nella massoneria” CONCITA DE GREGORIO A PAGINA 9 BERNARD GUETTA POLITI e VISETTI A PAGINA 13 PARISE A PAGINA 11 DOSSIER Inversione di rotta nella natalità: nell’Italia settentrionale cresce più del 10%. Ma è in calo al Sud Nord, il ritorno delle culle Volpe rivela: fu Vito a chiamarmi Telekom Serbia Il capo dei Servizi “Fonti deviate usate ancora oggi” BOFFANO, BONINI e CUSTODERO ALLE PAGINE 22 e 23 La sede di Telekom Serbia ROMA – L’Italia cambia rotta e ricomincia a fare bambini, tranne che al Sud. I dati dei primi due mesi del 2003 rispetto allo stesso periodo del 2002 parlano di un aumento di nascite che tocca punte del più 15% nelle città del Nord. Una ripresa che viene confermata dai dati degli ultimi 7 anni. Le nascite sono aumentate mediamente del 2,3%: del 12,2 al Nord Est, del 17,4 al Nord Ovest e del 9 al Centro. Ma al Sud i figli continuano a diminuire. MARIA STELLA CONTE ALLE PAGINE 14 e 15 con un commento di LIVI BACCI