Reportage La Repubblica - Università di Macerata

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Reportage La Repubblica - Università di Macerata
VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003
LA REPUBBLICA 43
DIARIO
di
TOMASZ KIZNY E LE IMMAGINI DEL DOLORE
Una ricerca
durata 17 anni
Così un fotografo
ha raccontato il
mondo dei campi
Perché torniamo a parlare
di gulag e degli effetti
drammatici che ha
prodotto su milioni di
persone? Tomasz Kizny,
fotografo polacco, per 17
anni ha raccolto immagini
rare e inedite sull’universo
concentrazionario
sovietico. Documenti
fotografici cercati con
ostinazione, frutto di
autori che hanno vissuto
dall’interno
quell’esperienza. Un
uomo ossessionato da una
missione e un mondo da
raccontare visivamente.
Ne è scaturito un libro
eccezionale che compare
oggi in Francia.
Tutte le foto sono
tratte dal libro
“Gulag” del
fotografo Tomasz
Kizny
(segue dalla prima pagina)
GULAG
nche quando tutti gli archivi
saranno stati aperti (e non è
questo il caso ancora), anche
quando migliaia di storici avranno
avuto accesso a tutti i testi e a tutti i
documenti esistenti per tentare di
trarne delle sintesi e organizzare un
resoconto, resterà l’indicibile, l’essenziale, l’esperienza ultima, che
lentamente si sta spegnendo con gli ultimi
sopravvissuti. Ed è
proprio ciò a far sì che
questo libro (Gulag,
edizioni Acropole /
Balland / Geo, pagg.
480, euro 59), che queste foto ritrovate e
pubblicate da Thomasz Kizny, debbano figurare in tutte
voi e me, non ha più alcunché di
le biblioteche, essere mostrate, difumano».
fuse a livello di massa, come ReEsito. C’è qualcosa di sacrilego
pubblica ha l’onore di fare oggi.
nel voler spiegare l’innominabile,
Esse aiutano a rappresentare
nel tappezzare con le nostre parole
l’altro inferno del XX secolo, l’altra
di persone felici quelle ferite abisAuschwitz, inferni tanto diversi
sali dell’anima e del corpo. Esito,
quanto simili, perché ugualmente
ma al contempo, in questo caso, si
inconcepibili per lo spirito umano
pone un dovere di tradimento,
che, d’altronde, li ha creati, l’uno e
quello che porta a violare le tombe
l’altro. Prendete la parola “morte”.
per capire chi siamo.
Andrej Siniavskij, uno
Il comunismo fu la
dei più nobili scrittori
fede del secolo. Dalla
russi, se ne appropria I PRIMI
violenza sociale della
nella sua prefazione ai
rivoluzione industriaRacconti della Kolyma, DEPORTATI
le all’epopea di Soliil più vasto degli scritti
darnosc, dagli inizi del
FURONO
NEGLI
del Gulag, per dire che
movimento operaio al
essa non ha lo stesso si- ANNI VENTI
crollo sovietico, il cognificato per noi e per
munismo fu la speranloro, per noi che sareza che portò centinaia
mo colpiti tutti dalla morte, un
di milioni di convinti, in tutti i congiorno, e per loro che l’hanno vistinenti, a mobilitarsi, con la volontà
suta, ora dopo ora, giorno dopo
di liberare l’uomo dalle leggi del
giorno, anno dopo anno, una quoprofitto. Il nazismo divideva l’umatidianità senza fine. «Noi intendianità, attribuendo una gerarchia almo la morte in maniera astratta»,
le razze, organizzando lo sterminio
dice Siniavskij. «È una fine, moriadegli uni e la dominazione degli almo tutti. Ma vedere la morte come
tri. Il comunismo, invece, prometuna vita che si trascina eternamenteva l’uguaglianza dei popoli e la
te nell’esaurimento totale delle ulscomparsa delle classi, un Eden
time forze fisiche - ecco che la mortemporale nel quale ciascuno
te è qualcosa di ben più spaventoso
avrebbe avuto secondo i propri bi(…). C’è di peggio della morte: il
sogni; ma l’uno e l’altro, i due totadissolversi della vita mentre si è
litarismi del secolo maledetto, hansempre vivi, quando quest’uomo,
no lasciato alla memoria i loro camun uomo comune e buono come
pi, formidabili macchine per stritolare, ben oliate, calme e pensate,
con holding e filiali della morte.
Tra i due sussiste una differenza
sostanziale. Nei campi nazisti, lo
Le foto inedite dell’inferno sovietico
BERNARD GUETTA
ROY MEDVEDEV
GULAG.
“
PER me la parola gulag ha un significato molto personale, intimo direi.
Lager uguale dolore. E' una parola
che suscita pensieri molto cupi, perché io, a differenza forse di molti altri cittadini dell'Urss, ho sempre saputo che cosa fossero. Mio padre fu arrestato e condannato a otto anni nel 1939. Fu arrestato durante una
purga di massa, accusato di aver detto o fatto qualcosa d sbagliato molto tempo prima, negli anni Venti.
Accuse del tutto pretestuose, ma in quei giorni arrestarono circa duemila ufficiali come lui. Ci scrivevamo,
perché aveva avuto questo diritto. Io gli mandavo vitamine e soldi avvolti nella carta. Ma lui nel 1941 morì.
Lo venni a sapere quasi per caso nel mese di marzo.
Dopo la guerra, era ancora vivo Stalin, cominciarono
a tornare i primi prigionieri che mi raccontarono la loro vita nel lager e come morì mio padre. Fu allora che
cominciai a pensare che un lager staliniano fosse più
o meno un campo di concentramento tedesco.
sterminio era un obiettivo. In quelli del comunismo era un effetto indotto, per nulla escluso, anzi acquisito. Ma coloro che erano inviati in
quei campi, lo erano perché non
erano stati uccisi sotto la tortura o
con uno sparo nella nuca. Il comunismo deportava coloro che graziava, il nazismo coloro che condan-
“
A
“Gulag” è una sigla, sta per “Amministrazione centrale dei campi
di lavoro e di rieducazione”, creata
nel 1930 e smantellata, qui i documenti si contraddicono, nel 1956 o
nel 1960, nel periodo, in ogni caso,
del disgelo successivo al XX Congresso del Partito comunista sovietico. Il Gulag nasce dalla consacrazione della vittoria politica di Stalin
sugli altri dirigenti bolscevichi.
Muore con lui, ma, al di
là del fatto che i campi
gli sopravvivranno fino
alla perestrojka, il Gulag è preesistito a se
stesso fin dalla primavera del 1920, quando il
bolscevismo cominciò
a deportare i suoi avversari della guerra civile
tempo, tre volte di più le vittime, ma
nelle isole Solovki, terre di monaperché fece dell’utopia comunista
steri e luogo scelto dall’ortodossia.
e di tutti coloro che ci credettero dei
Quell’arcipelago, l’Arcipelago
complici inconsapevoli, sordi e cieGulag, dirà Solgenitsyn, in seguito
chi, non direttamente colpevoli,
sciamerà, si allargherà e s’istituzioma certamente responsabili della
nalizzerà al ritmo delle purghe opesua opera di morte.
rate all’interno del partito bolsceviNei campi comunisti, l’ambizioco, della repressione dei suoi avverne del bene partorì la barbarie, cosari politici e delle battaglie lanciame fece l’ambizione del male nei
te dall’Urss contro i suoi nemici
campi nazisti. Ed è in questo senso
reali o presunti tali. La storia del guche sul gulag resta anlag è così lo specchio
cora molto da riflettedella storia sovietica.
re, più che su Au- QUALE
Guardate queste foschwitz. L’uno, Autografie! Lo sguardo
schwitz, è il frutto di LEZIONE
vuole distogliersi, ma
una decisione da nulla
guardatele! È AuPOLITICA
SI
imposta, da nessun inschwitz senza le cameteresse strategico, ter- PUÒ TRARRE
re a gas. È Auschwitz
ritoriale o politico,
più la sua durata, una
perché l’esistenza deAuschwitz senza fretta,
gli ebrei non impediva in alcun mouna Auschwitz congelata della
do la costruzione del Terzo Reich.
quale Andrej Siniavskij ha detto:
Era il male per il male. Senza dub«Non c’è niente. Non la morte. Il
bio si trattò della volontà di annitempo si è fermato, si è paralizzato.
chilire il popolo che aveva inventaL’evoluzione storica non si riflette
to la trascendenza e i Dieci Comannel ghiaccio. La guerra è scoppiata:
damenti prima di dare origine al
la conseguenza? Meno minestra.
cristianesimo, ma resta un mistero
La vittoria sulla Germania? Nuovi
che disarma l’analisi. Non è questo
detenuti. La Storia è un deserto nel
il caso del gulag.
seno di “l’Eterna indifferenza del
Ci sono delle lezioni politiche da
campo”».
trarre dal comunismo, perché il guGuardate e riflettete. Loro l’hanlag ebbe la sua logica. Fu una conno vissuto.
catenazione, quella di una Rivoluzione che aveva avuto la pretesa di
(traduzione di Guiomar
trasformare l’uomo e che non cesParada)
sò di fuggire alla propria sconfitta,
di negare, a ferro e fuoco, la vanità
del suo fine, l’impossibilità della
sua vittoria.
nava a morte. In termini filosofici,
nella disumanizzazione dell’uomo, Hitler vince, alta la mano, sopra Stalin, ma nella pratica?
Qui il “piccolo padre dei popoli”
è il grande vincitore. Non soltanto
perché ha provocato ben più vittime del nazismo, non soltanto perché si prese il suo tempo, tre volte il
44 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
PRINCIPALI
VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003
1923
Il primo campo di prigionia per
gli oppositori viene creato nella Russia
sovietica già nel 1923, vivente ancora
Lenin, nelle isole Solovki sul Mar Bianco, in
un monastero ortodosso sconsacrato.
1930
Fu Stalin, con un decreto del 26 aprile
del 1930, a sistematizzare l’esistenza
del Gulag, forma privilegiata per
lo sfruttamento di manodopera a costo
zero per l’industrializzazione forzata.
1939
Nel luglio del ’39 venne approvato
un decreto che accoglieva le proposte
di Beria per moltiplicare la produttività
dei gulag. Per i prigionieri sono previsti
non più di tre giorni di riposo al mese.
INTERVISTA A TOMASZ KIZNY L’AUTORE DEL LIBRO FOTOGRAFICO
QUEI CRIMINI PER ME
ERANO UN’OSSESSIONE
ANDREA TARQUINI
I LIBRI
ALEKSANDR
SOLGENITSYN
Una giornata di
Ivan Denisovic
Einaudi 1963
EVGENIJA
GINZBURG
La vertigine
Mondadori
1967
ROBERT
CONQUEST
Il grande
Terrore
Mondadori
1970
ALEKSANDR
SOLGENITSYN
Arcipelago
Gulag
Mondadori
1974
DANTE
CORNELI
Il redivivo
tiburtino
La pietra 1977
VLADIMIR
BUKOVSKIJ
Il vento va e poi
ritorna
Feltrinelli 1978
GUARNASCHELLI
EMILIO
Una piccola
pietra Garzanti
1982
GUSTAW
HERLING
Un mondo
a parte
Feltrinelli 1994
VARLAM
SALAMOV
I racconti della
Kolyma
Adelphi 1995
JACQUES
ROSSI
Com’era bella
questa utopia
Marsilio 2003
ANNE
APPELBAUM
Gulag. A
history
Doubleday
2003
BERLINO — Tomasz Kizny, il fotografo polacco cui si deve la
straordinaria raccolta di cinquecentocinquanta foto della vita nel
gulag, frutto di diciassette anni di
ricerche, è soddisfatto del suo
gran lavoro. Raggiunto al telefono a Breslavia, racconta a Repubblica la storia del suo progetto.
Come è nata l’idea di raccogliere queste foto del gulag?
«Del progetto discussi molto
col poeta Svetan Todorov. Pensavamo di dare delle immagini al dibattito aperto in Europa dal Libro
nero del comunismo. Abbiamo
vissuto entrambi sotto il comunismo, ci colpiva che — mentre
contro i crimini del nazismo la
memoria vince, perché li ricorda
sempre — i crimini del comunismo, settant’anni di orrore, vengono dimenticati. Raccolsi così
foto degli anni dai Venti ai Cinquanta. E poi mi recai nell’ex Urss
per fotografare i luoghi della memoria del Gulag oggi».
Come ha potuto procurarsi le
foto del passato?
«Era il 1986, lavoravo per un’agenzia fotografica della stampa
clandestina polacca. Un mio amico e collega, Krzysztof Gulbinowicz, mi raccontò una storia
straordinaria. La storia delle migliaia e migliaia di ex combattenti dell’Armia Krajowa, i partigiani
bianchi anticomunisti polacchi
che combatterono contro la
Wehrmacht. A migliaia finirono
nel gulag dopo il 1945. Poi con la
destalinizzazione krusceviana
furono liberati. Tornati in patria,
formarono una forte comunità
del ricordo».
E cosa fece allora?
«Grazie a Gulbinowicz riuscii a
contattare alcuni di questi vecchi
coraggiosi. Scoprii che molti di loro avevano raccolto foto dei Gulag più orrendi dove erano stati
rinchiusi. Dopo la svolta di Kruscev i prigionieri polacchi furono
liberati, ma per le lentezze burocratiche dovettero aspettare mesi a Vorkuta — un enorme centro
industriale siberiano dove tutta la
produzione era legata al lavoro
forzato dei deportati — prima del
rimpatrio. Lavoravano ma retribuiti. Acquistarono macchine fotografiche in città, scattarono
centinaia di foto».
Cosa mostrano le loro immagini?
«Sono straordinarie. In molte si
vede la miseria umana dei prigionieri dell’universo concentrazionario, la loro vita quotidiana. Alcune mostrano persone morenti
o affamate. Tutte documentano
le condizioni disumane e igienicamente spaventose della detenzione. E ci consentono di illustrare la mappa dell’ “arcipelago gulag”».
Cosa l’ha colpita di più tra le
foto “antiche”?
«L’estensione dell’arcipelago
della morte. Pensi che a un certo
punto l’amministrazione del gulag della regione di Kolyma, che
controllava importanti attività
economiche affidate al lavoro da
schiavi dei deportati, amministrò
il dieci per cento del territorio sovietico. E poi l’assurdo del teatro
nel campo di concentramento».
Di che si trattava?
«Comandanti e ufficiali del gulag volevano svaghi culturali. Costrinsero moltissimi attori, artisti,
intellettuali arrestati a inscenare
recite teatrali per loro. Amavano il
teatro classico ma ancor più l’Operetta. L’amministrazione dei
campi spese grandi somme ordi-
‘‘
,,
Diciassette anni di
lavoro e più di
cinquecento foto che in
modo inedito raccontano
l’orrore dei campi
Un internato
nando al Bolscioi costumi e scenografie. I detenuti accettarono
per sentirsi vivi. Tanto, mi dissero, tutti i cittadini del blocco comunista e tutti gli artisti erano
prigionieri. La loro condizione
era vivere in una prigione nella
prigione».
Perché non ci sono foto di
384
mucchi di cadaveri, come quelle
dei lager nazisti?
«I nazisti fotografarono a volte i
loro crimini, i comunisti no. Comunque la maggior parte delle foto dei lager hitleriani furono scattate subito dopo la Liberazione.
Qualcuno parla di un archivio segreto della presidenza russa con
I LAGER
Erano disseminati dalle isole
Solovki alla Kolyma
20 milioni
ANNA AKHMATOVA
C’è stato un tempo in cui solo i
defunti potevano sorridere,
liberati. E l’anima di
Leningrado dondolava fuori
dalla prigione. E i reggimenti
dei condannati sfilavano sui
binari. La stella della morte era
sopra di noi.
Requiem
1935-40
VARLAM SALAMOV
Dare ordini è il peggiore dei
peccati in un gulag, là dove si paga
col sangue, prendere su di sé la
responsabilità di disporre della
volontà altrui per la vita e la morte
è un peccato troppo grande,
mortale, un peccato che non può
essere perdonato.
I racconti
della Kolyma
foto del genere scattate nel gulag.
Non so se sia vero, non credo».
Accosta il gulag all’Olocausto?
«Assolutamente no. L’Olocausto fu unico, fu un progetto di genocidio scientifico non paragonabile ad altri crimini. D’altra
parte le vittime del comunismo su
scala mondiale furono molte di
più delle vittime del nazismo. E
nella memoria del mondo sopravvive un’asimmetria nel giudizio etico sui crimini delle due
dittature. A San Pietroburgo ho
notato un gruppo di turisti occidentali scherzare per i souvenirs
acquistati: magliette con il volto
di Stalin o la sigla del Kgb. È inimmaginabile che turisti in Germania acquistino divertiti delle tshirts con la svastica o il volto di
Hitler».
LO STERMINIO
Le cifre sono ancora incerte
ma comunque impressionanti
-50°
LA TEMPERATURA
Kolyma era soprannominata il
“Crematorio di ghiaccio”
PARLA LEV MISHENKO: DOPO BUCHENWALD FINÌ NELL’INFERNO DEI GULAG
“DALLE MANI DEI TEDESCHI
CADDI IN QUELLE DI STALIN”
«E
Mosca
ra il ‘45 e la guerra stava per finire. Per
tutti, ma non per me. Io me ne tornai
a casa dopo la lunga prigionia in mano ai tedeschi, ma a casa mi aspettava un altro
lager, quello di Stalin». Seduto nel suo studio
pieno di libri nella lontana periferia di Mosca,
Lev Mishenko parla con leggerezza del suo terribile passato. E’ una persona molto gentile e vivace a cui è difficile dare i suoi 86 anni di età. Ne
aveva appena 24 quando fu fatto prigioniero dai
tedeschi durante la grande battaglia di Vjazma,
nei pressi di Smolensk. «Eravamo un milione di
soldati, come me. Io parlavo tedesco, e questo
mi aiutò. All’inizio mi mandarono nel campo di
prigionia a Katyn. Volevano che diventassi una
spia. Quando rifiutai pensavo che mi avrebbero ammazzato. Invece finii prima nel lager di
Smolensk, poi a Buchenwald». Lev Mishenko
riuscì a fuggire durante un trasferimento notturno, con gli americani già alle porte. «Era l’11
aprile del ‘45. Ci buttammo giù e cominciammo
a correre. All’alba ci ritrovammo tra le braccia
degli americani. Io ero fisico, da poco laureato,
e mi chiesero se non avessi preferito andare in
America. Ma, sa com’è?, io sognavo solo casa
mia, e poi a Mosca avevo la ragazza, eccola lì,
Svetlana, alla fine ci siamo sposati, quasi cinquant’anni fa». «Gli americani ci accompagnarono al punto di raccolta degli ex prigionieri con
le macchine addobbate a festa, i fiori rossi, gli
striscioni. Ci facevano sentire amici, quasi eroi.
Dall’altra parte tutto cambiò all’istante. Noi venivamo dall’altro mondo, l’avevamo visto e conosciuto e perciò eravamo pericolosi. La gente
aveva paura perfino di avvicinarci. Tre settimane dopo mi arrestarono». E scontò nove anni di
reclusione nel campo di Pecjora, in Siberia, con
l’accusa di «tradimento».
Lì i detenuti erano costretti a lavorare alla costruzione della ferrovia nordsiberiana nel tratto che da Mosca porta a Salekhard. «Non voglio
VENERDÌ 10 OTTOBRE 2003
LA REPUBBLICA 45
1953
Il punto di rottura fu la morte di Stalin,
nel marzo del 1953. I grandi scioperi
avevano portato in vari casi i detenuti
alla conquista dei campi, governati
da capi-rivolta come il polacco Buca.
1956
Al XX Congresso del Pcus, Kruscev sancì
la liberazione in massa dei detenuti politici,
di buona parte di quelli comuni
e dei deportati in località speciali,
determinando la fine del lavoro forzato.
1987
La chiusura dell’intero “Arcipelago gulag”
si avrà nel 1987 con Gorbaciov.
Il coraggioso leader della Perestrojka
è stato comunque accusato di aver
imprigionato diversi nazionalisti ucraini.
L’ESPERIENZA DI ELENA BONNER VEDOVA DI ANDREJ SAKHAROV
LE NOSTRE VITE
VIOLATE DAL TERRORE
FIAMMETTA CUCURNIA
MOSCA — «Tutta la mia vita è stata segnata dai gulag. Ora che sono
vecchia, il tempo lontano torna vicinissimo nella memoria e i ricordi si affacciano sempre più spesso,
sempre più vivi, come se tutto fosse accaduto solo ieri». La voce di
Elena Bonner, vedova del premio
Nobel per la pace Andrej Sakharov
scomparso nell'89, risuona decisa
attraverso il telefono dalla sua casa americana, dove ha scelto di
consumare l’ultimo esilio. Le parole si rincorrono ripercorrendo il
film della sua travagliata esistenza: i genitori deportati nei gulag, il
padre che non farà mai ritorno, e
poi le battaglie al fianco del marito, nel lungo esilio di Gorkij, fino
alla liberazione, voluta da Gorbaciov.
«Era il 1937. Per noi russi, que-
5 milioni
I CONTADINI
Le famiglie furono deportate
senza condanna
58
‘‘
,,
Prima portarono via
papà. Seppi che venne
fucilato. Poi presero
mia madre e pensare
che eravamo staliniani
Elena Bonner
sta data significa tutto. Tempi bui
e di terrore. Avevo solo 14 anni. Si
portarono via mio padre, in una
notte di maggio. E non lo vidi mai
più. Mia madre fu arrestata a dicembre. La mia era una famiglia
della nomenclatura staliniana.
Mio padre era il capo della sezione
quadri del Comintern. Abitavamo
IL NUMERO
Era quello del famigerato articolo
sull’attività controrivoluzionaria
37
a Mosca, nel famoso hotel Lux,
proprio accanto a Togliatti, noi
stavamo al nono piano e loro al decimo. Io li conoscevo bene, ero
molto amica dei figli di Pastore,
che da noi si era cambiato il cognome in Rossi. Non mi ero quasi
accorta di nulla, non vedevo la
paura che serpeggiava nel paese,
GLI ULTIMI
Quelli rimasti nel 1956, tre anni
dopo la morte di Stalin
ALEKSANDR SOLGENITSYN
Il fotografo polacco Tomasz
Kizny ha raccolto
cinquecentocinquanta
immagini sul gulag, e
fotografato alcuni superstiti
raccontare la fame e il freddo, la morte che troppe volte ho visto con gli occhi miei. All’inizio è
stata durissima. La notte mi interrogavano e il
giorno non potevo dormire. Ero costretto a lavorare senza sosta, 11 ore al giorno. Dovevamo
pulire il terreno dal ghiaccio e dalla neve, poi
scavare enormi buche nella terra gelata. Malnutriti, stanchi, disperati. In quel campo, fino a
qualche anno prima, la mortalità era altissima,
morivano anche mille persone ogni anno. Le
baracche erano distribuite in due lager, da un
lato la segheria, dall’altro gli operai che trasportavano i tronchi e costruivano le fabbriche. Io in
fondo sono stato fortunato, perché grazie a Dio
ho le mani d’oro, so fare l’elettricista e molto bene, così nel lager piano piano ho fatto carriera,
se così si può dire, prima nel reparto d’essicamento del legno, dove non avevo più freddo, poi
responsabile della centrale elettrica. Per voi
non vuol dire niente, ma io sono vivo grazie
questo. Fare l’elettricista voleva dire che ti puoi
portare via la segatura per bruciarla la sera e riscaldarti, che da te dipende il lavoro degli altri.
Mangi, hai diritto al riposo e quando ti lavi nel
banja, i guardiani non ti rubano la biancheria».
Erano circa venti milioni, a quei tempi, i prigionieri di Stalin. Vivi, oggi, ne restano forse
qualche centinaio. «A volte racconto la mia storia ai miei nipoti, ma penso che non possano capire. Perché il dramma più terribile di noi zek
non era solo la privazione fisica, quanto l’offesa per l’accusa ingiusta. E poi non poter sperare in niente. Ero certo che sarei morto da zek».
(F.C.)
Quando una brigata non
adempiva la quantità prevista, i
lavoratori tornavano al campo
solo all’alba, per mangiare la cena
insieme alla colazione e tornare
nuovamente sul lavoro. Non c’è
più chi lo possa raccontare: sono
morti tutti.
Arcipelago
Gulag
GUSTAW HERLING
L’intero sistema del lavoro
forzato nella Russia sovietica non
è inteso a punire il colpevole ma
piuttosto a sfruttarlo
economicamente e a trasformarlo
psicologicamente. Lo scopo reale
è la disgregazione completa della
sua personalità.
Un mondo
a parte
non conoscevo il terrore di quelle
notti insonni vissute nell'attesa
che una macchina nera arrivasse
all'improvviso per portar via una
persona. Vivevo spensierata. Fino
a quel giorno...».
Cosa ne fu di voi, dopo l'arresto?
«Mio padre fu fucilato quasi subito. Ma lo seppi molto tempo dopo. Prima di essere presa, mia madre era riuscita a trasferire me e
mio fratello dalla nonna, a Leningrado. Lei lo sapeva di non avere
scampo. Eravamo "nemici del popolo", non c'era speranza. Ma non
eravamo un'eccezione. Di bambini come noi ce n'erano tanti. Nella
mia classe eravamo ventiquattro:
in undici crescevano senza genitori, arrestati, forse fucilati. Ilja Ehremburg ci chiamava gli "strani
orfani", perché noi i genitori ce li
avevamo, ma nel contempo non
c'erano più. Ci erano stati rubati.
C'era un poeta che scrisse una bellissima poesia su di noi. I versi mi
tornano in mente ogni tanto. Diceva che noi viviamo in un'epoca
in cui le mamme non ci sono, e i
bambini si aggirano soli, in compagnia delle nonne. Mia madre
tornò 10 anni dopo, nel '47. Io ne
avevo ventiquattro».
Così cominciò la sua battaglia
contro il potere?
«All'inizio non mi rendevo conto. Poi cominciai a fare le file per
spedire qualche pacco e qualche
lettera a mia madre. Per loro, lontani, al freddo e senza più speranze, quei miseri pacchi, quelle lunghe lettere, erano l'unico filo che
ancora li legava al mondo. Mamma mi scrisse che c'erano tante
povere donne che non avevano
più nessuno, i figli magari morti al
fronte. E io cominciai a mandare
pacchi a tutti. Potevamo inviare
qualcosa solo ai parenti stretti, ma
era la mia prima piccola sfida. Stavo ore in fila e mi firmavo sempre
con lo stesso nome, Ljusja, scrivevo così, col nomignolo che usavamo in casa. Poi mettevo il cognome della donna a cui stavo mandando il mio messaggio di vita. Il
Kgb non se ne accorse mai, o fece
finta di non vedere. I miei pacchi
arrivavano e la mamma mi raccontò poi che nelle baracche del
gulag, mi chiamavano “vsjashnaja
Ljusja”, la Ljusja di tutti».
E per suo marito, Andrej
Sakharov, era lo stesso?
«Lui veniva da una famiglia più
fortunata. Loro erano stati solo
sfiorati dalle purghe. Io lo portai a
conoscere le amiche della mamma, come la scrittrice Elisaveta
Drovkina, che aveva vissuto con
lei nel gulag. Ascoltava i racconti
terribili, ma anche teneri, e gli
piacque molto il mio soprannome. Anche lui a volte mi chiamava
così. Poi venne il tempo in cui lui,
Andrej, lavorava nelle città chiuse,
e vedeva passare sotto le finestre le
colonne dei zek, i carcerati del gulag, ai tempi di Breznev. Uomini
sfiniti nel corpo e nello spirito, destinati ai lavori più duri e sporchi.
Lui abbassava lo sguardo, diceva
di non poter sopportare lo strazio».
Dunque il dissenso per voi nasce da lì?
«Per tutti noi. Qualcuno lo ha
capito prima e ha trovato il coraggio di dirlo. Altri lo hanno fatto
quando la pressione del regime si
è indebolita. Non dimenticherò
mai il XX congresso e il rapporto
segreto di Krusciov. Mai più nella
mia vita ho provato un sentimento così profondo. Un misto di
gioia, di stanchezza e di speranza».
I FILM
IL SOLE
INGANNATORE
Unione
Sovietica,
1936, dopo
dieci anni
Mitja torna
nella dacia
dove è
vissuto. In
realtà è un
pericoloso
agente della
polizia
segreta. La
regia è di
Nikita
Michalkov,
Oscar come
miglior film
straniero nel
1994
IL
PROIEZIONISTA
Il proiezionista
personale di
Stalin che ama
i western e i
film musicali
americani e
vive
nell’esaltazio
acritica del
dittatore. Non
si accorge di
spingere la
moglie tra le
mani del capo
del Kgb. La
regia è di
Andrej
Koncialovskij.
1991
UNA
GIORNATA
DI IVAN
DENISOVIC
Dal racconto
di Aleksandr
Solgenitsyn la
cronaca di
una giornata
di un soldato
che, creduto
una spia dei
tedeschi, è
stato
condannato a
10 anni di
reclusione in
un gulag
AMORE E
LIBERTÀ
Aleksej
Golobin da
Parigi
risponde
all’invito di
Stalin di
rientrare in
patria. Molti
tra i rimpatriati
però finiranno
nei gulag.
Regia di Régis
Wargnier
2000
Fondatore Eugenio Scalfari
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31010
9 770390 107009
Anno 28 - Numero 239
Direttore Ezio Mauro
€ 1,20 in Italia (con “EVA KANT” € 6,10)
SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax
06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b,
legge 662/96 - Roma.
venerdì 10 ottobre 2003
PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada $ 1;
Danimarca Kr. 15; Egitto Pt. 700; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania
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Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole
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€ 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr. 2,5
(con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 300; U.S.A $ 1. Concessionaria
di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941
INTERNET
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Nove vittime per l’attentato di un kamikaze ad un posto di polizia. Agguato sulla porta di casa ad un funzionario dell’intelligence di Madrid. Muore un altro soldato Usa
CON REPUBBLICA
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LA LUNGA OMBRA
DELL’INTROVABILE RAÌS
Braccio di ferro
con Arafat
si dimette
il nuovo premier
Anp nel caos
BERNARDO VALLI
LI iracheni sono sensibili agli anniversari.
A modo loro li rispettano.
Appartengono a una terra di grandi tradizioni, di forti passioni e di intensa violenza. Persino quando scelgono la data di un attentato tengono conto, nei limiti del possibile, delle ricorrenze, al fine di risvegliare le memorie. Rafforza
questa convinzione quel che è accaduto ieri.
L’autobomba esplosa nel mattino vicino a un
commissariato di polizia, nel quartiere sciita di
Sadr-City, a Bagdad, ha ricordato (con funerea
puntualità) l’incruenta presa della capitale irachena, avvenuta esattamente sei mesi prima.
SEGUE A PAGINA 17
G
MARCO MAROZZI e ALBERTO STABILE
A PAGINA 4
Il luogo dell’attentato a Bagdad MASTROGIACOMO e FLORES D’ARCAIS ALLE PAGINE 2 e 3
Domani con “D”
il supplemento casa
Telefonata tra Berlusconi e il leader di An, ma senza chiarimento. Castelli accusa: “Abbandona il programma dell’alleanza”
DIARIO
Immigrati, Fini sfida il Polo
L’orrore
del Gulag
nelle foto
delle vittime
“In aula la legge può passare”. La Lega: così va all’opposizione
IL CASO
I mulini a vento
di Ferrara
e Tabucchi
FRANCESCO MERLO
PARIGI, capitale del provincialismo italiano, si
può persino scoprire
l’ennesimo paradosso nazionale, e cioè che Antonio Tabucchi
è berlusconiano e che Giuliano
Ferrara è comunista. Tabucchi è
berlusconiano nella maniera
più sostanziale, e non solo perché ha fatto su Le Monde quel
che Berlusconi aveva fatto sullo
Spectator qualche settimana fa.
Anche Tabucchi infatti ha dato
corpo alle sue ossessioni. Il regime, l’Italia imbavagliata, la fine
della democrazia raccontati da
Tabucchi sono come i comunisti di Berlusconi e i suoi giudici
matti. Del resto, sempre ricorre
all’appesantimento dei toni chi
vuol cingersi la testa con l’aureola dell’eroismo civile. Questo gioca a fare il Gramsci davanti ai francesi e quell’altro
giocava a fare il de Gaulle davanti agli inglesi. Ma soprattutto, alla maniera di Berlusconi,
anche Tabucchi vive e crede solo nel virtuale, in un mondo inesistente e tuttavia verosimile,
come il famoso bastone nell’acqua, dove sono reali sia il bastone e sia la rifrazione, ma sono
virtuali il senso, la direzione, e la
forma del bastone immerso.
Dunque su Le Monde Tabucchi si è magistralmente esibito
in quell’antichissimo genere
che è l’Italia vista fuori dall’Italia, o sindrome dell’esule, o ancora, secondo gli storici del Meridione, sindrome dell’immigrato, perché erano soprattutto
gli immigrati meridionali che ricorrevano ad ogni genere di esagerazione per accattonare la generosità dei loro ospiti e per aureolare la propria inadeguatezza. Quel che i siciliani raccontarono della Sicilia ai torinesi somiglia davvero a quel che
Tabucchi va raccontando dell’Italia, oggi ai francesi, ieri agli
spagnoli, domani a chissà chi.
SEGUE A PAGINA 17
A
ROMA – Sul diritto di voto per gli
immigrati Gianfranco Fini insiste e
sfida il Polo: «Penso che in Parlamento, al di là degli elogi strumentali del centrosinistra, ci siano i numeri per l’approvazione della legge», ha detto ieri il vicepresidente
del Consiglio. La tensione nella
maggioranza resta altissima. Una
telefonata tra il leader di Alleanza
nazionale e Silvio Berlusconi si è
chiusa senza una ricomposizione.
Secondo la Lega, Fini a questo punto è passato all’opposizione. Per il
ministro Roberto Castelli, «ha abbandonato il programma della Casa delle libertà, facendo una svolta
di 180 gradi di cui si deve assumere
tutta la responsabilità». L’Udc accusa il Carroccio: «Maccartismo
desolante». Appello del presidente
Carlo Azeglio Ciampi, a Rovigo: «Le
riforme non nascono dalle provocazioni e dagli scontri».
FUSANI e TITO ALLE PAGINE 6 e 7
Attesa in Vaticano: “Non rifiuterà il premio”
In carcere anche altri 5, ricercati imprenditori
Nobel per la pace
il Papa tra i favoriti
oggi l’annuncio
Tangenti a Brindisi
su calcio e appalti
arrestato il sindaco
ALLE PAGINE 43, 44 e 45
ON si trovano le parole. Non è possibile parlare di un tale
assoluto orrore, perché le
parole dei superstiti del
gulag sono, per forza, le
parole di tutti i giorni, parole che rimandano alle
esperienze di chi ascolta o
legge le cronache di “laggiù”, a una realtà diversa,
dunque, ben “al di qua” di
quella vissuta dai milioni
di persone che sono passate dai campi sovietici,
diciotto, venti milioni di
uomini, donne e bambini
si dice, ma nemmeno
questo si sa, non esattamente, non veramente.
SEGUE A PAGINA 43
N
“Le logge riprendono potere”
Parla Cossiga
“Gelli riammesso
nella massoneria”
CONCITA DE GREGORIO A PAGINA 9
BERNARD GUETTA
POLITI e VISETTI A PAGINA 13
PARISE A PAGINA 11
DOSSIER
Inversione di rotta nella natalità: nell’Italia settentrionale cresce più del 10%. Ma è in calo al Sud
Nord, il ritorno delle culle
Volpe rivela: fu Vito a chiamarmi
Telekom Serbia
Il capo dei Servizi
“Fonti deviate
usate ancora oggi”
BOFFANO, BONINI e CUSTODERO
ALLE PAGINE 22 e 23
La sede di Telekom Serbia
ROMA – L’Italia cambia rotta e
ricomincia a fare bambini, tranne che al Sud. I dati dei primi due
mesi del 2003 rispetto allo stesso
periodo del 2002 parlano di un
aumento di nascite che tocca
punte del più 15% nelle città del
Nord. Una ripresa che viene
confermata dai dati degli ultimi
7 anni. Le nascite sono aumentate mediamente del 2,3%: del
12,2 al Nord Est, del 17,4 al Nord
Ovest e del 9 al Centro. Ma al Sud
i figli continuano a diminuire.
MARIA STELLA CONTE
ALLE PAGINE 14 e 15
con un commento di LIVI BACCI