1 La gestione della produzione 1.A

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1 La gestione della produzione 1.A
La gestione della produzione
1.A - L’evoluzione dei paradigmi industriali
Per comprendere l'attuale configurazione dei sistemi produttivi è necessario inquadrarli
rispetto al loro percorso evolutivo storico con un approccio per paradigmi.
"Il termine “paradigma” si riferisce alla ricerca di modelli, orientamenti di
riferimento. Interessante è la definizione di paradigma di T.S. Kuhn secondo il quale
un “paradigma” è un “modello o schema accettato, caratterizzato da una
costellazione di conclusioni – concetti, valori, tecniche – condivise da una comunità
scientifica e utilizzate dalla comunità stessa per definire problemi e soluzioni lecite”. I
paradigmi servono, secondo Kuhn, a sviluppare la “scienza normale” nell’ambito della
quale la letteratura si concentra principalmente sulla determinazione dei fatti rilevanti
per la scienza normale, sull’articolazione della teoria e sul confronto dei fatti con la
teoria; da questa attività di confronto può scaturire una “scoperta scientifica”. La
scoperta scientifica comincia con la presa di coscienza di un’anomalia, ossia la natura
ha in un certo senso violato le aspettative suscitate dal paradigma che regola la
scienza normale. A partire dall’osservazione continua si cerca, in prima istanza, di
riarticolare il paradigma e quando ciò non è possibile si innesca una crisi dalla quale
scaturirà un nuovo paradigma.
Riteniamo opportuno ricordare, infine, anche la posizione di E. Bartezzaghi il quale
afferma che: “Limitandosi a una prospettiva strettamente aziendale, la comprensione
dell’evoluzione dei modelli di produzione richiede di operare a diversi livelli di
astrazione. Possiamo distinguere tra: modelli operativi che, a livello dettagliato, sono il
risultato delle strategie deliberate e delle scelte di una singola impresa, in relazione al
proprio contesto; modelli contingenti che definiscono le soluzioni e le pratiche ottimali
valide non solo per una specifica impresa, ma in modo più ampio per una classe di
imprese: ad esempio, modelli che si affermano per un determinato settore, o per
uno specifico contesto geo-economico e per determinate dimensioni d’impresa;
paradigmi che, a un livello più generale, si basano sulla identificazione di un insieme
coerente di principi e criteri generali che accomunano diversi modelli ed esperienze in
contesti differenti. Per paradigma si intende quindi un “metamodello”, che consiste in
un complesso coerente di criteri e logiche interdipendenti nelle sfere
dell’organizzazione, del management, della motivazione e dell’impiego della
tecnologia. Rispetto ad esso, un modello contingente rappresenta un insieme di
tecniche, metodi e approcci, che costituiscono una traduzione dettagliata per un dato
contesto (o per una specifica impresa nel caso di un modello operativo) di criteri e
principi più generali”.
Lo studio per paradigmi dell'evoluzione del sistema capitalistico ruota attorno a tre
concetti accomunati, a livello terminologico, dalla parola “fordismo”. La storia del
sistema industriale, in altre parole, si dipana sui tre paradigmi qui di seguito elencati:
- pre-fordismo: “l’antico” sistema;
- fordismo: il sistema in declino;
- post-fordismo: il sistema nascente.
Nei secoli, infatti, l’impresa si è manifestata e sviluppata in varie forme.
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Il periodo pre-fordista: l’impresa manifatturiera
Il paradigma pre-fordista equivale alla prima e più semplice forma di organizzazione
della produzione, vale a dire al modello dell’impresa artigiana. Volendo collocare tale
fenomeno in un orizzonte temporale, possiamo affermare che ci troviamo nel periodo
del primo capitalismo, normalmente definito mercantile, situato tra il declino del
sistema feudale e l’avvento della prima rivoluzione industriale. Dapprima è il
mercante-capitalista a fornire all’artigiano le materie prime e a commissionargli, dietro
pagamento, la trasformazione di queste in prodotti finiti. In una fase successiva,
invece, il mercante-capitalista acquista anche la proprietà degli strumenti e spesso della
bottega e assume lavoranti in proprio. Il lavoratore non vende più un prodotto finito al
mercante, bensì la sua capacità lavorativa. L'industria tessile è una delle prime
incarnazioni del nuovo modo di produrre.
Alcuni situano l’inizio del paradigma in questione proprio in questa fase storica, ossia
nel momento della nascita del cosiddetto “modello inglese”, inteso come il modello di
impresa e di capitalismo industriale che si afferma con la rivoluzione industriale in Gran
Bretagna. In questo momento storico l’industrializzazione riguarda esclusivamente
questo Paese e la tecnologia è abbastanza semplice da essere incorporata in una
macchina, il cui valore è abbastanza contenuto da poter essere finanziato da singoli
imprenditori. Il modello d’impresa tipico di questa prima fase dello sviluppo industriale
è caratterizzato da un’elevata semplicità. La struttura organizzativa è ridotta ai minimi
termini ed è praticamente impossibile parlare di funzioni aziendali giacché è lo stesso
imprenditore ad avere il controllo di tutta, o quasi, l’impresa (al più si serve di pochi
collaboratori). Da un punto di vista tecnologico, l'elemento dominante è l’incorporazione
della tecnologia moderna in macchine “isolate”, ossia disgiunte fisicamente e
spazialmente tra loro, tali da poter essere considerate unità separate di capitale. Si tratta,
come si vede, di un modello elementare di impresa, centrata sulla connessione
macchina-imprenditore- mercato.
Il periodo fordista: la produzione di massa
Le condizioni osservabili durante il periodo pre-fordista cessano di esistere dal momento
in cui si affermano le tecniche di produzione ispirate da Taylor e Ford, ossia dal
momento in cui viene in essere l’impresa moderna.
Motore principale ed elemento cardine del nuovo paradigma può a tutti gli effetti essere
considerato il progresso tecnico. Grazie all’uso di una fonte decentrabile di energia
(l’energia elettrica in luogo del vapore), le macchine isolate della prima fase della
meccanizzazione si trasformano in sistemi di macchine molto articolati e differenziati.
La possibilità di organizzare il ciclo produttivo su una pluralità di macchine, poste in
collegamento tra loro, permette di sviluppare in grande il processo di parcellizzazione
delle operazioni, assegnando alle singole macchine operazioni elementari sempre più
semplici e astratte.
Elemento dominante diviene il principio di standardizzazione attraverso il quale, nella
ripetitività delle azioni, si facilita il processo di produzione il quale diviene
notevolmente più semplice, regolare e veloce. La produzione segue fasi omogenee di
lavorazione che se da un lato richiedono un impegno o una preparazione specifica del
lavoratore sempre minori, dall’altro spingono invece verso un utilizzo maggiore delle
macchine e verso nuovi investimenti. Si parla, infatti, di produzione capital – intensive,
in contrapposizione al metodo artigianale che, in quanto ad alta intensità di lavoro,
risulta invece definibile labour – intensive.
Tutto ciò ha significato, innanzitutto, l’affermarsi dell’impresa di grandissime
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dimensioni e, conseguentemente, la nascita e l’affermazione di modelli produttivi
imperniati sulla capacità di organizzazione, di pianificazione, di coordinamento,
secondo un approccio razionalistico, basato sul modello militare di tipo gerarchico, che
ha reso possibile la guida di grandi unità produttive in termini efficienti.
Con il paradigma fordista si entra nella fase del cosiddetto “capitalismo organizzato”, il
quale, affermatosi nel corso di un cinquantennio (dai primi decenni del secolo fino agli
inizi degli anni settanta), ha rappresentato non solo un modo di produzione, ma anche
un modello di regolazione sociale che ha saputo saldare in un circuito virtuoso
produzione e consumo di massa, sino a consentire per decenni tassi di crescita
sostenuti e persistenti in tutti i paesi industrializzati.
E’ facilmente intuibile, allora, che il modello d’impresa cui si richiama il paradigma
fordista è quello della large corporation, in altre parole della grande fabbrica, delle
catene di montaggio e del sistema di produzione di massa. Questo modo di organizzare
la produzione presuppone la presenza di un ambiente piuttosto semplice e, soprattutto,
stabile e quindi prevedibile, data la rigidità dei cicli produttivi e l’elevata ampiezza dei
volumi di produzione.
La rigidità della fabbrica tayloristica, tendenzialmente autosufficiente, corrisponde alla
struttura di un sistema in cui la conoscenza è centralizzata ed irreversibile. Centralizzata
perché tutte le informazioni sono trasferite ad una élite tecnocratica che, dal centro, ha il
compito di progettare e gestire l’interdipendenza tra le molte persone e i molti reparti
costituenti l’impresa, nonché le relazioni con l’ambiente. Irreversibile perché gli
investimenti in conoscenza spingono verso comportamenti inerziali, tendenti a
proseguire le traiettorie inizialmente intraprese.
In questo contesto, l’impresa cessa di identificarsi con un soggetto (imprenditorepersona o capitale finanziario) e diventa “sistema”. Ciò avviene in un duplice senso: da
un lato, il dominio della soggettività dell'imprenditore viene stemperato in un reticolo
di condizionamenti e di influenze portate da altre soggettività (stakeholders); dall’altro
lato, l’organizzazione dei rapporti interni ed esterni diviene più complessa e tale da
rientrare, appunto, in una logica sistemica. Ed è soprattutto a causa dei costi fissi
dettati dalle esigenze d’informazione che il paradigma fordista presenta una tendenza di
fondo verso le economie di scala e più ancora verso percorsi di rapida crescita e
concentrazione.
Ecco, allora, che viene enfatizzata, anche dalla dottrina dell’epoca, la valenza del
processo di internalizzazione, descritto dal modello di integrazione verticale della grande
impresa americana degli anni Cinquanta e Sessanta. Sulla base del presupposto che
una maggiore dimensione aziendale potesse consentire il conseguimento di maggiori
economie di scala grazie a più elevati livelli di efficienza organizzativa, l’integrazione
verticale era ritenuta sinonimo di vantaggio competitivo. Inoltre, il processo economico
svolto nell’ambito dell’azienda era tutto il ciclo che dalla ricerca e sviluppo portava
alla vendita sul mercato dei prodotti, le cui caratteristiche qualitative e quantitative
erano determinate dai vincoli e dalle opportunità delle economie di scala.
La crisi del fordismo e il post-fordismo
La questione del superamento del modello fordista si è posta con forza agli studiosi
ed agli operatori a partire dai primi anni '80, in relazione a due rilevanti tipologie di
eventi:
- da un lato, il succedersi di una serie di shocks che hanno investito le economie
capitalistiche a partire dalla crisi petrolifera del 1973;
- dall’altro lato, la crisi della grande impresa, principale soggetto economico del
fordismo. La superiorità della grande corporation manageriale a struttura
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monocentrica e monolitica veniva posta in dubbio a causa di fenomeni negativi
legati all’eccessiva burocratizzazione, al moltiplicarsi dei livelli gerarchici e degli
organi, alla lentezza del processo decisionale. Inoltre, i costi di organizzazione e le
rigidità burocratiche della gerarchia organizzata spesso favorivano l’insorgere di
oneri – per la comunicazione interna e per la risoluzione di conflitti – di entità
superiore rispetto a quelli che si sarebbe stati costretti a sopportare laddove si
fosse deciso di seguire la via del modello decentrato esterno.
Altre tendenze ambientali ed aziendali che influirono sull’assetto imprenditoriale
furono le fortissime variazioni della domanda, sia in termini di nuovi prodotti, che di
nuove prestazioni; il ciclo di vita dei prodotti si era notevolmente accorciato; le
tecnologie flessibili sembravano ridurre i costi sui piccoli lotti, avvicinando, in tal
modo, le produzioni di massa a quelle su commessa.
Di fronte a questo incremento di varietà, di dinamismo, “come possono le burocrazie
delle grandi aziende fordiste tenere dietro al continuo cambiamento di prodotti e processi
che nascono e muoiono nel giro di poche settimane?”. L’idea di controllare tutto è
perdente perché i tempi di reazione sono troppo lenti. Le organizzazioni fordiste sono
troppo burocratizzate per gestire in modo adeguato situazioni in cui crescono varietà e
variabilità.
E’ da questo momento che si comincia ad attraversare la soglia del cosiddetto
capitalismo evolutivo ovvero ad entrare nel contesto che viene definito post-fordista.
Il superamento del fordismo è un’affermazione che non può essere fatta con leggerezza.
Si tratta, infatti, di decretare la fine o l’irreversibile trasformazione di un modello cui
si deve ascrivere una fase eccezionale di sviluppo delle economie di mercato nella
storia del capitalismo. E si tratta, conseguentemente, di definire quale altro modello si
stia affacciando e con quali prospettive di sviluppo. In buona sostanza, e tenendo
conto che il fordismo ha rappresentato in primis un modello di regolazione sociale, la
questione non può essere posta nei semplici termini di un astratto antagonismo tra
modi di produzione, ma piuttosto come problema di identificazione di quale propellente
possa nel futuro assicurare la crescita economica e sociale.
A ben vedere, è la stessa ipotesi di partenza – la fine della produzione di massa – a non
trovare un accoglimento generalizzato e a suscitare quindi interpretazioni non univoche.
In altri termini, se c’è accordo tra gli studiosi sul fatto che le tecniche di produzione e
le forme organizzative hanno in molti casi perso la rigidità che le ha caratterizzate
durante l’epoca fordista, resta tuttavia aperto l’interrogativo di fondo se si tratti di un
proliferare di singole trasformazioni che sviluppano e completano il paradigma della
produzione di massa (il quale, dunque, non scomparirebbe) o, invece, di una
transizione verso un altro paradigma, definito dalla logica d’insieme di molti microcambiamenti che, sommati tra loro, possono prefigurare un nuovo modello di
produzione e di organizzazione. La risposta a tale interrogativo non è per nulla univoca.
L'ipotesi più valida o comunque più confacente alla realtà attuale sembra essere quella
della transizione verso un altro sistema produttivo, quella che vede nel cambiamento
in corso una netta correzione di rotta rispetto ai principi della produzione di massa. In
buona sostanza, dopo un’epoca storica in cui ha prevalso il mercato (primo capitalismo)
e una seconda in cui invece ha prevalso la gerarchia (produzione di massa, modello
fordista) ci si incamminerebbe verso una sintesi in cui l’organizzazione rifugge dalle
asprezze delle due forme estreme e sceglie invece di muoversi nella vasta area
intermedia, cercando di combinare i vantaggi del mercato con quelli della gerarchia. Il
fiorire delle cooperazioni e delle reti, come pure il decentramento e la deverticalizzazione
delle grandi organizzazioni, rappresenterebbero – sempre secondo questa ipotesi – la
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manifestazione di una situazione in cui le imprese praticano la quasi-gerarchia
(proiezione esterna dell'impresa nei sistemi di fornitura e nella distribuzione) o il quasimercato (autonomia delle diverse business units).
L’individuazione dei tratti essenziali del nuovo paradigma è un’operazione assai
difficile ed incerta. Siamo infatti in presenza di una rivoluzione ancora in corso e
come tale, dunque, difficile da imbrigliare in una qualsivoglia semplificazione o
definizione esaustiva. (Dezi,2001 – pp. 82-97).
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La funzione "produzione"
"La produzione riguarda lo svolgimento di attività di acquisizione, combinazione e
trasformazione di input (fattori produttivi, beni, servizi), con la finalità di ottenere
output (che possono essere a loro volta fattori produttivi, beni, servizi), da destinare al
consumo finale o da utilizzare quali input di altre produzioni. Sebbene la produzione sia
un tratto comune a tipologie diverse di aziende, si riferisce comunemente tale termine
ad attività nelle quali prevale la trasformazione fisica degli input, tipica delle aziende
industriali.
Non è facile stabilire con precisione quali responsabilità e competenze si debbano
comprendere nell’ambito della funzione di produzione. Attività che in una certa azienda
sono poste sotto il controllo del direttore di produzione, in un’altra possono essere
collocate in funzioni differenti; oppure, a volte si enucleano dalla produzione
sottofunzioni, come la progettazione, e le si dotano di responsabilità relativamente
autonome. A fini didattici, identificheremo l’area della gestione della produzione con
il sistema delle funzioni tecniche, sui cui confini concorda la maggioranza degli studi
di management.
Le funzioni tecniche comprendono: responsabilità e competenze di progettazione e di
gestione del sistema produttivo quanto a processi, tempi e metodi, impianti,
manutenzione, gestione materiali, qualità.
[Progettazione] si tratta di definire le caratteristiche strutturali e impiantistiche mediante
scelte di investimento (leve hardware); tali scelte sono difficilmente reversibili in
quanto richiedono un elevato anticipo decisionale e producono effetti vincolanti nel
medio-lungo termine. Le scelte di investimento riguardano:
 la definizione della tecnologia;
 gli impianti;
 il processo produttivo;
 l’ubicazione delle unità produttive;
 il frazionamento della potenzialità produttiva;
 il grado di integrazione verticale;
 il lay-out [la disposizione planimetrica di aree, macchinari e attrezzature nella
fabbrica];
 il grado di automazione.
[Gestione] si tratta di soluzioni organizzative, tecniche e metodologie di gestione,
vincolate da precedenti scelte hardware, ma suscettibili di più ampie possibilità di
modifica nel breve-medio termine. Le scelte di gestione si identificano con:
 la programmazione e controllo della produzione;
 la gestione dei flussi di materiali.
Le decisioni appena citate sono raramente appannaggio esclusivo della produzione, ma
coinvolgono in misura più o meno consistente altre funzioni aziendali. Le scelte di
predisposizione del sistema produttivo hanno rilevanti risvolti di natura economicofinaniaria connessi alle valutazioni di investimento, richiedono l'apporto della funzione
ricerca e sviluppo per la valutazione delle alternative tecnologiche, quello della funzione
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sviluppo e industrializzazione per la messa a punto dei processi produttivi, quello degli
approvvigionamenti per l'individuazione di nuovi materiali e fornitori. Similmente, le
decisioni di gestione del sistema produttivo necessitano dell'interazione costante tra
marketing, area commerciale, produzione, approvvigionamenti e personale affinché sia
possibile realizzare le attività operative nel rispetto dei programmi definiti e delle esigenze
del mercato." (Pivato e Gilardoni, 2000 – pp. 215-217)
Prima di analizzare più nel dettaglio le diverse responsabilità della funzione di
produzione è importante - come ricorda Silvestrelli - ricollegarci alle scelte
strategiche perché "essendo il sistema produttivo un sub-sistema del più vasto sistema
aziendale, risulta errata e fuorviante la concezione (che purtroppo hanno ancora molti
imprenditori e dirigenti aziendali); secondo la quale la struttura produttiva dovrebbe
essere soprattutto «efficiente». E' invece importante, al fine di conseguire gli obiettivi
aziendali, che chi governa l'impresa si renda conto della opportunità di impegnarsi
personalmente nella formulazione della politica di produzione e di non considerare di
secondaria importanza l'attività produttiva, delegando completamente le decisioni ad essa
attinenti ai tecnici.
E' importante altresì sottolineare che la politica di produzione deriva dalla strategia
globale dell'impresa e che il procedimento amministrativo con cui si determina tale
politica rappresenta lo strumento operativo, mediante il quale i responsabili della
gestione aziendale possono dirigere e controllare realmente l'attività di produzione.
L'adozione di questo processo può rendere più efficiente la gestione della produzione,
migliorando i rapporti organizzativi (e quindi le direttive, le comunicazioni e le
informazioni) tra i massimi dirigenti aziendali e i responsabili della funzione
produttiva.
Per quanto concerne il rapporto tra strategia aziendale e politica di produzione è stato
acutamente suggerito un semplice ma importante processo decisionale che viene
illustrato nella Figura 1 e si articola in 15 fasi." (Silvestrelli, 1989, pp. 394-396)
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Le scelte di progettazione del sistema produttivo
"La progettazione dei sistemi produttivi è fortemente condizionata dalle caratteristiche
dei beni che l'impresa deve realizzare e dei processi adottati per trasformare le
risorse nei prodotti desiderati. La definizione delle soluzioni per coniugare aspetti tecnici
ed esigenze del mercato si basa sulla corretta identificazione dei sub-obiettivi strategici
del sistema produttivo, nel rispetto degli obiettivi strategici complessivi dell'impresa. La
bontà delle scelte operate in sede prima di progettazione e, successivamente, di gestione
del sistema produttivo dipende, infatti, dalla coerenza d'insieme e dalla conformità alle
priorità strategiche individuate dal vertice aziendale. I principali obiettivi, o compiti
critici, di un sistema produttivo possono essere ravvisati nei seguenti elementi:
 costi di produzione: riflettono la produttività e l'efficienza delle combinazioni di fattori
produttivi; sono da valutare rispetto ai concorrenti; dipendono da quantità e tipo di
fattori impiegati, dalle modalità organizzative e dalle tecnologie;
 grado di elasticità: è la capacità del sistema produttivo di fronteggiare la variabilità dei
volumi produttivi senza forti penalizzazioni nei costi di produzione;
 grado di flessibilità: è la capacità del sistema produttivo di fronteggiare
rapidamente, con contenute variazioni dei costi di produzione il riassorbimento della
gamma di prodotti esistenti, il rinnovo della gamma di prodotti offerti e la
modificazione delle sequenze produttive individuate dal piano di produzione. Il
grado di flessibilità esprime, quindi, la capacità del sistema produttivo di far fronte a
richieste di varietà e di variabilità per produzioni note e nuove;
 grado di qualità: è la capacità di realizzare beni conformi alle specifiche definite in
sede di progettazione;
 grado di tempestività delle consegne: attiene alla rapidità con cui il sistema
produttivo può soddisfare le richieste dei clienti;
 grado di affidabilità delle consegne: cioè la regolarità del sistema produttivo nel
soddisfare le richieste dei clienti, dato un certo grado medio di tempestività.
La progettazione dei sistemi produttivi è chiamata a risolvere in modo coerente le
incompatibilità che facilmente si generano tra gli elementi citati. Le esigenze competitive
determinano gli obiettivi strategici e, in misura più o meno marcata, le caratteristiche dei
beni da realizzare; queste ultime, a loro volta, vincolano in misura più o meno intensa le
caratteristiche dei processi produttivi. In ogni caso, le prestazioni aziendali rispetto agli
elementi critici dovranno essere in armonia con la strategia complessiva (ad esempio,
rispetto alla scelta di competere sul prezzo o sulla qualità). Scelte progettuali coerenti
determinano risposte produttive adeguate alle istanze competitive, ovvero performance e
comportamenti fisiologici; viceversa, scelte incoerenti generano situazioni patologiche
che si palesano in sintomi di malessere del sistema produttivo, ovvero di inadeguatezza
delle prestazioni. Al fine di assumere corrette scelte di investimento, occorre comunque
avere chiare le alternative progettuali di base, che si possono definire in termini di
tipologie dei sistemi produttivi.
Le tipologie dei sistemi produttivi
Si è soliti fare riferimento a schemi di classificazione che collegano le tipologie dei
sistemi produttivi agli obiettivi strategici che essi si prestano a conseguire, in virtù delle
caratteristiche assunte da elementi quali:
 il grado di semplicità o complicanza della struttura del prodotto;
 la varietà e la numerosità dei prodotti realizzati;
 la modalità di manifestazione della domanda da soddisfare;
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 il grado di standardizzazione e la consistenza del volume di produzione collocato sul
mercato;
 il processo di realizzazione adottato in relazione alle caratteristiche intrinseche del
prodotto;
 il grado di specializzazione o rigidità rispetto al grado di genericità o flessibilità
delle componenti strutturali del sistema produttivo.
In sintesi, le tipologie di sistemi produttivi emergenti dai vari criteri di classificazione
proposti in letteratura possono essere ricondotte a quattro fattispecie significative:
 produzioni job-shop;
 produzioni a lotti;
 produzioni in linea;
 produzioni di processo o processi continui.
Tali fattispecie si differenziano per quanto attiene alle logiche di progettazione che
incorporano, alle priorità dei sub-obiettivi strategici assegnati al sistema produttivo, al
ricorso a date leve hardware e software.
Produzioni job-shop
Le produzioni job-shop operano in genere su commessa, ossia realizzano esemplari
unici (commessa singola) o un numero limitato di unità (commessa ripetitiva) conformi
a specifiche concordate con il cliente. L'elevato grado di personalizzazione del prodotto
secondo le richieste del cliente e i volumi produttivi contenuti fanno sì che la gamma
realizzata sia caratterizzata da gradi varietà e variabilità piuttosto marcati. La
produzione di macchinari speciali, di apparecchiature o componenti eseguiti su
disegno, la realizzazione di mobili o abiti su misura ne costituiscono tipici esempi, come
peraltro le opere di ingegneria civile o di cantieristica navale. L'acquisizione dell'ordine è
generalmente preceduta dalla formulazione di un'offerta di prezzo al cliente: a tal fine
gli enti preposti alla progettazione effettuano verifiche di fattibilità tecnica, corredate
dalla stesura di un preventivo in base a stime di costo a partire da standard produttivi e
rilevazioni consuntivate dalla contabilità industriale nella realizzazione di prodotti
simili. L'esigenza di personalizzare il prodotto rende necessario, a fronte di ogni
nuovo ordine acquisito, rielaborare totalmente o parzialmente il progetto e predisporre i
dati tecnici relativi a materiali, attrezzature e al ciclo di lavorazione.
Nelle produzioni su commessa la realizzazione delle attività produttive, compresi in parte
l'acquisto dei materiali e la progettazione, avviene dopo l'acquisizione dell'ordine dal
cliente. La varietà delle caratteristiche del prodotto rende difficoltoso predeterminare
la sequenza delle operazioni richieste dal ciclo di lavorazione. Ciò spinge le imprese di
tipo job-shop a dotarsi di macchinari e attrezzature con capacità generiche, idonei a
effettuare un ampio spettro di lavorazioni. Simili caratteristiche sono chieste anche alla
forza lavoro, in termini di polivalenza e di disponibilità a mantenere un certo grado di
elasticità degli orari di lavoro. Agli addetti sono anche richieste abilità e competenze
specifiche, acquisite con l'esperienza o attraverso interventi di formazione sul posto di
lavoro.
I materiali impiegati, se specifici, vengono acquistati dopo l'ordine, con un
investimento in scorte di materie prime componenti conseguentemente contenuto. Sono
anche pressoché assenti le scorte di prodotto finito. Al contrario, le scorte di semi
lavorati (o work in process) costituite dai materiali che si trovano in lavorazione ai
diversi stadi del ciclo di trasformazione, sono piuttosto consistenti e oggetto di
attenzione e contenimento da parte del management.
Il lay-out è in genere organizzato per reparti, all'interno dei quali i macchinari vengono
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aggregati secondo criteri di omogeneità delle lavorazioni realizzabili. Ogni unità di
lavoro (ordine di lavorazione o commessa, composto da uno o più pezzi che
procedono insieme) richiede l'esecuzione di una serie di operazioni da parte di un gruppo
di centri di lavoro (macchine, stazioni di lavoro, operatori) in una sequenza definita
dal ciclo di lavorazione. L'organizzazione per reparti facilita l'intercambiabilità e lo
scambio di competenze tra operatori, la supervisione di più macchine da parte di un solo
operatore e il controllo delle lavorazioni da parte dei responsabili di reparto. Tuttavia, i
flussi generati dall'avanzamento dei materiali e delle lavorazioni sono molto articolati,
poiché si generano interferenze tra i cicli produttivi delle varie commesse in essere. Ciò
comporta una notevole complessità gestionale e difficoltà di programmazione
nell'utilizzo delle risorse.
Nella determinazione della capacità produttiva di un job-shop occorre partire
dall'identificazione della potenzialità produttiva di ogni centro di lavoro. Tale
misurazione può risultare difficile causa della continua variabilità dei prodotti lavorati.
Infatti, la capacità produttiva disponibile è influenzata dalle caratteristiche del mix
delle commesse in essere e dalle condizioni operative dei centri di lavoro. Ad esempio,
dalla dimensione dei lotti di produzione dipende il numero di ore indisponibili a causa di
riattrezzaggi per cambi di produzione; la complessità dei pezzi da lavorare influenza
l'articolazione dei cicli di lavoro; il numero e le caratteristiche delle commesse in essere
possono generare colli di bottiglia variabili, attese delle lavorazioni e accumuli di
materiali ai diversi centri di lavoro.
Le produzioni job-shop necessitano di una elevata capacità di presidio del flusso
informativo, elemento determinante per il coordinamento dei flussi produttivi e per il
controllo dello stato di avanzamento delle lavorazioni. Il flusso informativo costituisce,
infatti, un elemento nevralgico del sistema produttivo; esso è caratterizzato nelle
produzioni job-shop da un'elevata formalizzazione dei compiti di alimentazione del
sistema e da una rigida predisposizione dei supporti informativi che accompagnano
ogni commessa dalla formulazione dell'offerta alla consuntivazione.
In sintesi, le realtà produttive job-shop sono generalmente caratterizzate da elevati
gradi di flessibilità ed elasticità produttiva, fabbisogni di investimento ridotti e
coefficienti di produttività contenuti, elementi coerenti con l'esigenza di realizzare bassi
volumi di un prodotto vario e variabile. I maggiori tempi di consegna sono, entro certi
limiti, accordati dal mercato a fronte delle capacità di personalizzazione delle
prestazioni del prodotto alle specifiche esigenze espresse dal cliente nel rispetto della
data di consegna pattuita (affidabilità della consegna).
Produzioni a lotti
Le produzioni consistono nella realizzazione di prodotti caratterizzati da una elevata
varietà e da una variabilità piuttosto contenuta, in quantitativi (lotti) non
necessariamente legati al fabbisogno immediato. Troviamo tali tipi di produzione, ad
esempio, nei settori calzaturiero, mobiliero, meccanico, dell'abbigliamento, ecc. La
gamma produttiva, piuttosto differenziata, risulta nota e definita per l'azienda in
anticipo rispetto al momento di acquisizione dell'ordine, dal quale risultano svincolate le
attività di progettazione e di definizione dei cicli di lavoro, delle attrezzature e dei
materiali. Tali attività sono peraltro parte del processo di sviluppo e di industrializzazione
di nuovi prodotti, realizzati secondo le esigenze di rinnovamento dettate dal mercato e
dalla concorrenza.
In questa tipologia di sistema produttivo, la produzione può avvenire su ordine
acquisito o su previsione della domanda, a seconda che il tempo di risposta accordato
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dal mercato sia compatibile o meno con il tempo necessario alla realizzazione delle
attività produttive. Nel primo caso, si configura la fattispecie delle aziende che
operano per commesse ripetitive a catalogo, realizzando di volta in volta i volumi
produttivi corrispondenti alle quantità richieste da singoli ordini di prodotti a catalogo.
Nel secondo caso, si assiste alle tipiche produzioni intermittenti, lanciate sulla base di
previsioni di domanda per quantitativi superiori al fabbisogno immediato, che alimentano
scorte di prodotti finiti destinate a essere utilizzate in seguito. In questo modo ci si
assicura un assortimento del magazzino prodotti finiti che consenta di soddisfare le
richieste del mercato quando i centri produttivi sono impegnati nella realizzazione di altre
tipologie di prodotto.
Le produzioni per lotti implicano l'adozione di cicli produttivi di varietà ampia, seppure
entro limiti definiti a priori, e criteri di alternanza dettati dall'entità dei fabbisogni previsti
e dalle caratteristiche dei centri di lavorazione (in particolare dalle attività di attrezzaggio
richieste per i cambi di produzione).
Il lay-out è organizzato per reparti, nei quali tutti i pezzi costituenti il lotto transitano
insieme da ciascun centro di lavoro secondo la sequenza assegnata dal ciclo. A differenza
delle produzioni su specifica del cliente, si delinea in genere un flusso produttivo stabile,
anche se suscettibile di varianti in base alle lavorazioni richieste dai vari prodotti.
Laddove si possano individuare famiglie di prodotto con cicli di lavorazione abbastanza
omogenei, può essere conveniente ricorrere ad una organizzazione per cellule (group
technology): in tal caso le macchine sono adibite alla realizzazione delle lavorazioni
richieste dall'intera famiglia di pezzi. Il vantaggio di questa soluzione rispetto alla
precedente risiede principalmente nella riduzione dell'intreccio e delle interferenze tra i
flussi produttivi; lo svantaggio consiste nella riduzione del grado di flessibilità
dell'impianto.
Le produzioni per lotti si avvalgono di macchinari e addetti la cui capacità risulta
abbastanza generica, a meno di specificità richieste a fronte di particolari
lavorazioni. L'ammontare di scorte di materie prime e di prodotti finiti varia secondo
le scelte di programmazione e le previsioni di vendita e, a meno di situazioni
patologiche o peculiari di alcuni settori, ad esempio, marcata stagionalità della
domanda e di specifiche politiche aziendali, ad esempio, promozioni commerciali, non
assume valori elevati. Come nelle produzioni job-shop, risulta assai consistente
l'investimento in scorte di semilavorati.
Anche con riferimento alla determinazione della misura della capacità produttiva
valgono le considerazioni esposte per la produzione job-shop. E' necessario riferirsi ad
un mix produttivo significativo nel medio-lungo termine e monitorare i fattori che
generano un impatto critico sulla disponibilità produttiva: scelte di dimensionamento
dei lotti di produzione, numerosità delle varianti del ciclo produttivo generate dalla
differenziazione all'interno di ciascuna tipologia di prodotto, scelte di
sequenzionamento e allocazione delle lavorazioni ai centri di lavoro. Permane anche la
criticità di presidio del flusso informativo, a motivo dell'ampia varietà dei flussi fisici;
una certa semplificazione dei flussi informativi è comunque resa possibile dalla
conoscenza anticipata di molte informazioni, in particolare di quelle di natura tecnica
(progetto, distinte di prodotto, cicli di lavoro, materiali, attrezzature) e degli standard
produttivi. Inoltre, per le aziende che non producono su ordine acquisito, risulta
essenziale la capacità di previsione della domanda e di pianificazione dei fabbisogni di
materiali e di capacità produttiva.
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Produzioni in linea
Le produzioni in linea realizzano elevati volumi di prodotti con varietà e variabilità
piuttosto contenute, tali da giustificare investimenti in impianti e macchinari dedicati in
modo specifico a singole famiglie o tipologie di prodotto. Esempio di tali produzioni si
riscontrano nell'industria automobilistica, elettronica e in quella degli elettrodomestici.
La ridotta varietà e gli elevati volumi produttivi permettono l'adozione di soluzioni
progettuali che puntano sulla ripetitività e sulla omogeneità dei cicli produttivi. Nella
produzione in linea si possono svolgere in modo rigido e sequenziale molte fasi di
lavorazione, se non, nel caso migliore tutte le fasi del processo. Inoltre, è tipico della
produzione in linea l'alimentazione di un magazzino prodotti finiti o semilavorati,
grazie al quale le dinamiche produttive vengono svincolate da quelle di acquisizione
degli ordini.
Il lay-out rispecchia la sequenza di lavorazioni richieste dallo specifico ciclo
tecnologico di un prodotto o di una famiglia di prodotti. Si parla in proposito di lay-out
in linea (o per prodotto) che, nel caso di elevati volumi di produzioni standardizzate,
presenta indubbi vantaggi di semplificazione dei flussi, efficienza e contenimento dei
semilavorati.
Il flusso produttivo risulta ben determinato dalle caratteristiche definite in sede di
progettazione e industrializzazione della linea. Nelle produzioni in linea risultano
critiche proprio le scelte di progettazione del sistema produttivo, mentre sono
relativamente più semplici le decisioni gestionali tipiche delle fattispecie precedenti. La
definizione delle operazioni deve portare a carichi di lavoro equilibrati per tutte le
stazioni di lavoro collocate lungo la linea, onde evitare stazioni sovraccariche (colli di
bottiglia) o sottosature. Il bilanciamento è un presupposto necessario per le prestazione
dell'intera linea, in particolare per il ritmo produttivo, perché la velocità di
avanzamento è vincolata da quella della stazione più lenta. Quindi, la corretta
determinazione degli standard produttivi assume un ruolo critico ai fini della corretta
progettazione della linea.
La misura della capacità produttiva di una linea è, diversamente che nelle produzioni jobshop e a lotti, di facile calcolo, perché risulta interamente determinata dal ritmo
produttivo, dal tempo di apertura dell'impianto e dallo stato di disponibilità degli
impianti (ossia dalle ore di lavoro disponibili al netto di tempo richiesti per
riparazioni, manutenzioni, ecc.). I criteri di assegnazione delle operazioni alle
singole stazioni di lavoro rispondono a obiettivi di massimizzazione dell'efficienza
e della produttività e si fondano sulla parcellizzazione spinta delle operazioni e la
specializzazione dei compiti.
Le caratteristiche di macchinari e attrezzature e le capacità richieste agli addetti sono di
conseguenza estremamente specifiche. E' importante nelle produzioni in linea stabilire
adeguati sistemi di incentivazione della forza lavoro, le cui motivazioni possono essere
fortemente pregiudicate dalla ripetitività dei compiti. A tale scopo, è diffusa la prassi di
adottare schemi di rotazione delle mansioni (job rotation) e di arricchimento dei
compiti (job enrichment). Nelle produzioni in linea il flusso informativo è molto
complesso, articolato, prevalentemente unidirezionale (dal management ai livelli
operativi) e si incentra sulla programmazione della produzione. Assai rilevante è anche
lo scambio di flussi con i fornitori, al fine di mantenere un costante approvvigionamento
di materiali e componenti.
In sintesi, e in contrapposizione alle produzioni job-shop e a lotti, le produzioni in
linea si connotano per elevati livelli di produttività e di efficienza ed ingenti
investimenti produttivi di marcata rigidità. Tali elementi sono coerenti con l'esigenza di
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realizzare elevati volumi di prodotti relativamente omogenei, anche se possono entrare
in contrasto con esigenze di elasticità e flessibilità dettate da un ambiente competitivo
instabile.
Produzioni di processo
La produzione di processo riguarda prodotti fortemente standardizzati, ottenuti in volumi
ingenti, la cui natura richiede la realizzazione di un ciclo di trasformazione continuo
dalle materie prime al prodotto finito. Esempi classici sono dati dalla produzione
dell'acciaio, dei prodotti petrolchimici, della carta, di alcuni prodotti alimentari, del
cemento, delle fibre, di farmaceutici, ecc.
In una produzione di processo i materiali in ingresso subiscono modificazioni fisicochimiche a seguito delle quali è in genere impossibile identificare gli elementi che
costituiscono il prodotto. La produzione per processo è quindi irreversibile; in questo
senso, esso si contrappone alle produzioni per parti, nelle quali il prodotto è il
risultato dell'assemblaggio di componenti di fabbricazione interna o esterna (automobili,
elettrodomestici, scarpe, abiti, giocattoli, ecc.).
Nelle produzioni per processo il flusso produttivo è ben delineato e la sequenza delle
operazioni previste dal ciclo di lavorazione è vincolante (ciclo tecnologico vincolato). La
produzione avviene per il magazzino, in modo indipendente dall'acquisizione degli
ordini; di frequente, si realizza per lunghi periodi di tempo lo stesso tipo di prodotto,
con un'alternanza estremamente contenuta dei cicli di lavorazione.
Anche nel caso di produzioni per processo, come per quelle in linea, sono di maggior
rilievo le problematiche progettuali del sistema produttivo rispetto a quelle di carattere
gestionale. Essenziali sono le scelte relative alla tecnologia e al grado di integrazione
verticale: gli ingenti investimenti in impianti impongono infatti un'accorta valutazione
delle dinamiche tecnologiche, tenendo conto del rischio di introduzione di nuove
tecnologie nell'orizzonte temporale di ammortamento degli impianti. La scelta del
grado di integrazione verticale richiede invece l'analisi di fattori di carattere
economico e tecnologico, legati alla possibilità di sfruttare eventuali economie di scala.
In proposito, si osserva che nella produzione per processo, come in quella in linea, la
capacità produttiva è relativamente facile da determinare.
La gestione delle attività di approvvigionamento, di programmazione, di
manutenzione degli impianti hanno, nella produzione per processo, l'obiettivi prioritario
di garantire la possibilità di operare senza interruzioni dovute a mancanza di materiali,
al riattrezzaggio degli impianti, a guasti, cc. La natura capital intensive delle
produzioni continue si riflette anche nelle caratteristiche della forza lavoro: il rapporto
tra addetti diretti (esecutori) e indiretti (assistenza, servizio, controllo) è sbilanciato a
favore dei secondi, cui si richiede elevata professionalità e una conoscenza tecnica del
processo specifico. Il flusso informativo è semplice e unilaterale dal management ai
livelli operativi." (Pivato e Gilardoni, 2000, pp. 219-225)
13
La matrice prodotto/processo
Per confrontare le diverse tipologie di processo produttivo in precedenza identificate
cioè: job shop, produzione a lotti, produzione in linea e produzione continua è possibile
analizzare alcuni aspetti principali, cioè "le caratteristiche:
a) del prodotto;
b) del processo produttivo;
c) dei materiali impiegati;
d) del flusso informativo per la produzione;
e) della manodopera impiegata e del management. …
a) Evoluzione del prodotto
[Con il passaggio da job shop a produzione in linea:] decresce il numero di modelli
prodotti; i modelli di produzione crescono fino al punto in cui, nel processo a flusso
continuo, si realizza una commodity rivolta a mercati di massa; decresce la
personalizzazione del prodotto, mentre aumenta il grado di standardizzazione;
l'introduzione di prodotti nuovi diviene meno frequente e molto costosa; la competitività
si basa principalmente sul prezzo; aspetti quali performances, affidabilità e qualità sono
molto importanti nella seconda e terza alternativa, mentre, via via che il processo assume
le caratteristiche di un flusso continuo le differenze qualitative tra marche concorrenti
diventano meno significative.
b) Evoluzione del processo produttivo
[Con il passaggio da job shop a produzione in linea:] il processo produttivo diventa più
rigido e il ciclo è meglio definito e formalizzato; la fasi del processo sono sempre
più strettamente interconnesse; vengono utilizzate attrezzature sempre più
specializzate; aumentano i volumi, rendendo così possibile lo sfruttamento di economie
di scala; cresce la dimensione e la complessità degli impianti; i macchinari vengono
sfruttati più intensivamente; si assiste a frequenti ribilanciamenti delle linee per
aumentare la capacità produttiva e la velocità di output; il lay-out di impianto è
caratterizzato da linee via via più lunghe e articolate; il ritmo di produzione è determinato
in fase di progettazione degli impianti ed è regolato dalla velocità delle linee transfert;
la capacità produttiva è quantificabile in termini fisici, monetari o in unità di output; gli
aumenti di capacità si realizzano prevalentemente in grosse tranches, mentre perdono
di importanza gli aumenti gli aumenti incrementali; i colli di bottiglia si manifestano
meno frequentemente; gli aggiustamenti parziali del processo produttivo diventano un
fatto di procedura, mentre i cambiamenti radicali diventano onerosissimi da progettare e
da attuare.
c) Evoluzione dei materiali impiegati
[Con il passaggio da job shop a produzione in linea:] il grado di integrazione si
accresce, sia a monte che a valle; la maggior parte dei processi usa materie prime
analoghe per realizzare prodotti eterogenei; approssimandosi l'effettivo lancio in
produzione, aumenta la certezza circa i fabbisogni; crescono gli acquisti di materie
prime e la regolarità e affidabilità di acquisti e consegne; la validità dei contratti di
fornitura si allunga; grazie all'entità dei volumi e alla regolarità degli acquisti
aumenta il controllo sui fornitori in termini di prezzo, affidabilità delle consegne,
specifiche di progettazione ecc.; aumenta il potere contrattuale su grossisti e
distributori; si riducono le scorte di semilavorati, grazie ad accurate progettazioni di
processo; si accrescono, invece, le scorte di prodotti finiti, che vengono venduti
attraverso canali di distribuzione formalizzati e spesso controllati direttamente; caso a
parte è quello dei processi ibridi dove esistono scorte di semilavorati tra la fase a lotti
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e quella in continuo; esse servono per svincolare i due ritmi produttivi.
d) Evoluzione del flusso informativo
Agli inizi non c'è una procedura formalizzata per il sistema informativo della produzione;
vengono utilizzate previsioni di vendita a lungo termine e, ove possibile, gli ordini
vengono congelati anzitempo; [con il passaggio da job shop a produzione in linea:] si
intensifica l'integrazione tra il sistema informativo globale e quello di produzione; la
programmazione operativa ricorre a tecniche sempre più sofisticate; occorre gestire ampi
volumi di prodotti finiti; il flusso informativo è unidirezionale e prevalentemente
discendente (top-down); il controllo qualità fa riferimento a standard sempre più
formalizzati; il livello delle scorte viene gestito seguendo gli andamenti ciclici della
domanda; poiché il processo è sempre meno flessibile, si adatta con lentezza alle
oscillazioni della domanda, e la produzione deve essere accuratamente pianificata.
e) Evoluzione della manodopera e del management
[Con il passaggio da job shop a produzione in linea:] le attività di staff concernenti
aspetti quali movimentazione materiali, scheduling, pianificazione della capacità,
previsione delle possibili evoluzioni tecnologiche e controllo qualità divengono
progressivamente più importanti rispetto alle attività operative; l'incidenza degli indiretti
di stabilimento (line e staff) sulla forza lavoro totale, aumenta progressivamente sia
per l'accresciuta intensità di capitale caratteristica dell'attività, sia per il peso sempre
maggiore che l'attività di staff va assumendo; cresce l'importanza dei manager a livello
di direzione centrale rispetto ai direttori di stabilimento, fino ad estendersi ad alcuni
aspetti operativi o alla pianificazione finanziaria; lo stabilimento viene considerato più
come centro di costo che come centro che come centro di profitto; il management si
interessa più alle attività a lungo termine che delle scelte operative.
Un metodo interessante e utile per rappresentare gli aspetti comuni e le principali
differenze riscontrabili nei diversi tipi di processo identificati, è rappresentato dalla
cosiddetta matrice "prodotto-processo". Sugli assi di questa matrice sono descritte
rispettivamente la varietà del mix prodotto da un lato e le tipologie dei processi
dall'altro (dal job shop al processo a flusso continuo). I l mix di prodotti lavorati
evolve da produzioni uniche su commessa (lavori artistici, artigianali o personalizzati)
a produzioni standardizzate, prodotte e consumate in grandi volumi.
Tra questi due estremi l'impresa si può trovare in diverse situazioni: produrre molti
prodotti, ciascuno dei quali in volumi relativamente bassi, oppure può limitare la
produzione a pochi modelli su elevati volumi. Ovviamente queste scelte alternative
necessitano di differenti competenze manageriali; per esempio: se da un lato il prodotto
commodity deve indubbiamente competere sul prezzo, dall'altro per l'articoloesemplare-unico la variabile prezzo è del tutto irrilevante, mentre assumono
importanza critica altri aspetti quali: la rispondenza alle specifiche, l'affidabilità delle
consegne ecc. Tutto ciò richiede una strategia competitiva ad hoc: invece di orientarsi
alla minimizzazione del costo, occorrerà prestare attenzione alla progettazione del
prodotto, ai termini di consegna e alle performances, poiché sono questi, e non il
prezzo, i fattori di successo del sistema produttivo.
Tra i due estremi descritti, come già sottolineato, esiste tutta una serie di alternative
(molti modelli/bassi volumi, pochi prodotti/elevati volumi) che indurranno il
management a focalizzare le proprie strategie competitive su altri obiettivi, come la
qualità della produzione o la capacità di realizzare volumi diversi di produzione. Nel
primo caso gli aspetti qualitativi sono un elemento chiave nelle strategie di
differenziazione, e rappresentano la principale leva che permette di puntare a elevati
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margini di contribuzione; nel secondo caso, la velocità di modifica dei volumi di
produzione assume rilevanza in mercati dominati da una domanda instabile (prodotti di
moda, articoli di arredamento ecc.) in cui la tempestività del riattrezzaggio, la
capacità di rispondere rapidamente alle variazioni nei gusti del consumatore - in una
parola il grado di flessibilità della capacità produttiva - rappresentano l'arma competitiva
vincente.
A seconda della differente situazione in cui l'unità produttiva si trova ad operare,
assumeranno quindi maggior rilevanza ora il prezzo, ora la progettazione del
prodotto, ora i termini di consegna; è chiaro però che, laddove l'obiettivo strategico è la
qualità o la flessibilità, la variabile prezzo passerà in secondo piano. I manager di
produzione devono quindi decidere su quali obiettivi focalizzare la propria attenzione,
tenendo conto del binomio prodotto-mercato a cui fanno riferimento e dei vincoli imposti
dalla strategia globale d'impresa.
L a classificazione dei processi si articola da un processo flessibile e frammentario a
uno automatizzato e rigido, a flusso continuo. Tra questi due estremi esiste una vasta
gamma di soluzioni possibili in termini di flessibilità/produttività e di maggior o minor
integrazione. A un estremo i compiti critici sono rappresentati dalle operazioni di
scheduling, dall'efficiente movimentazione dei materiali e dalla capacità di far fronte a
possibili strozzature nella produzione; all'altro estremo, invece, occorre focalizzare
l'attenzione sulle decisioni di investimento in nuova capacità produttiva, sulle scelte di
integrazione e sui cambiamenti nelle tecnologie. Tra i due poli assumono particolare
significato temi quali la motivazione dei lavoratori, il bilanciamento delle capacità nei
diversi segmenti di processo, il grado di flessibilità e di elasticità caratteristico degli
impianti.
Alla luce di quanto abbiamo detto, la matrice prodotto-processo può essere completata
disponendo lungo i suoi lati il mix di prodotto, la tipologia di processo e le scelte
critiche del management. Come si è già avuto modo di sotto lineare, ogni tipo d
processo si accorda a un particolare mix produttivo; diviene quindi relativamente
semplice accomunare le singole tipologie di processo con le posizioni più appropriate
all'interno della matrice (come nella. Figura 2).
Le scelte ottimali del prodotto/processo, si dispongono lungo la diagonale della matrice,
dall'angolo in alto a sinistra (job shop, produzione su commessa unica) all'angolo
inferiore a destra (produzione a flusso continuo, commodity). Solamente collocandosi
lungo la diagonale è possibile individuare la combinazione più efficiente tra tipo di
processo produttivo e mix di prodotto.
Si immagini ad esempio che un'impresa tenti di produrre bassi volumi di un'ampia
gamma di prodotti, utilizzando un processo continuo, rigido e automatizzato,
tipicamente capital intensive e integrato verticalmente. La combinazione, posta al di
sotto della diagonale, è chiaramente inefficiente, poiché il processo dovrebbe essere
interrotto e riattrezzato frequentemente per garantire quel livello di flessibilità
necessario a una produzione di numerosi e differenti modelli di prodotto, attuata per
piccoli lotti. La scelta si dimostra non solo inefficiente, ma esageratamente onerosa:
l'investimento in impianti automatizzati, il costo dei continui riattrezzaggi, i tempi di
riavvio e i notevoli scarti provocherebbero infatti sprechi insostenibili.
Nel caso invece ci si collochi al di sopra della diagonale, si manifestano altri tipi di
costi: si supponga ad esempio che un prodotto altamente standardizzato, consumato in
grandi volumi vengo prodotto con un processo discontinuo (esempio a lotti). Anche in
questo caso la scelta si dimostra del tutto inefficiente, ma non già per costi extra
dovuti all'acquisto di impianti dispendiosi come nell'esempio precedente, ma per
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tutti quei costi operativi (principalmente quelli di manodopera) che risultano molto più
elevati di quanto non potrebbero essere; e ciò si riflette, in seguito, in una compressione
del margine di contribuzione unitario. Possiamo quindi dire che, non sostituendo
macchinari specializzati e automatizzati agli impianti esistenti di tipo generico e ad alta
intensità di lavoro, l'impresa perde l'opportunità di generare maggiori profitti. Questo
fenomeno prende il nome di costo-opportunità, giacché non investendo in maggiori
attrezzature e in un più rigido processo produttivo, l'impresa tralascia l'opportunità di
lucrare maggiori profitti. Questi costi sono da considerarsi reali tanto quanto una vera e
propria uscita di cassa, e come tali debbono pesare nelle decisioni in tema di
produzione. (Schmenner, 1987, pp. 135-149).
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L’impresa snella
Il ridisegno dei processi e la riscoperta della gerarchia
“Le modalità di coordinamento basate su ordine, equilibrio e controllo che
contraddistinguono l’assetto gerarchico-burocratico vengono criticate per il loro impatto
negativo sulle capacità di reazione e di apprendimento delle organizzazioni. La
centralizzazione dell’autorità, anche quando abbinata ad elevati gradi di delega agli
operativi, viene accusata di rendere comunque l’organizzazione dipendente dal disegno
complessivo elaborato al vertice. La standardizzazione delle procedure operative e la
loro formalizzazione, pur rappresentando un riferimento chiaro, vengono criticate perché
rendono difficile affrontare situazioni di anomalia. In generale si contesta alla gerarchia il
fatto di soffocare l’apprendimento e di non promuovere la creatività e la capacità di
cambiare. La rigidità delle sue norme tende a isolarla dall’ambiente e la porta a
muoversi in una logica di equilibri interni poco ricettiva alle evoluzioni del mercato. Per
superare questi limiti, in molti casi, vengono presentate proposte di revisione radicale
dell'assetto organizzativo che puntano a superare le tradizionali logiche di
coordinamento con l’obiettivo di costruire organizzazioni intrinsecamente instabili e
aperte al cambiamento [quali la rete o la leadership]. … L’abbandono dei riferimenti
chiave della gerarchia, però, non si presenta come un passaggio ineluttabile nel
rinnovamento delle organizzazioni. Grazie ad un intervento sui processi operativi
l'impresa è in grado di snellire strutture e procedure, recuperando così flessibilità e
capacità di innovazione anche all'interno di un assetto gerarchico. Le responsabilità di
coordinamento ridefinite rispetto ad un processo trasversale possono coprire segmenti
compiuti di attività al cui interno vengono interamente sviluppati e gestiti progetti
rilevanti di cambiamento. Le norme operative di processo si trasformano da regole rigide
imposte centralmente in strumenti di lavoro che permettono agli operativi di
valorizzare le proprie competenze e che li spingono alla continua ricerca di nuove
opportunità di miglioramento.
La gerarchia così rivista secondo la logica trasversale del processo riesce ad essere a pieno
titolo un valido strumento organizzativo, non in contrasto ma bensì a supporto delle
capacità di adattamento e di sviluppo dell’impresa.
La riprogettazione dei processi operativi si sviluppa rispetto a tre principali momenti di
analisi e di intervento: le finalità che il processo si pone, l'adeguatezza della sua
configurazione e il suo livello di efficienza.
La valutazione sulle finalità del processo serve a verificare l’effettiva utilità delle attività in
esame. In molti casi questa fase viene tralasciata e l’analisi, dando per scontata la necessità
del processo, si concentra subito sull’ottimizzazione delle varie attività. Così facendo,
però, non considera che la "vera ottimizzazione" può essere riconducibile al fatto di creare
le premesse perché una parte, o, addirittura, l'intero processo possano essere
cancellati. Molti sono gli esempi di processi che possono essere considerati "inutili" e
venire quindi completamente eliminati. L’approccio just-in-time, ad esempio, mette a
punto un sistema organizzativo con caratteristiche di qualità, affidabilità e
sincronizzazione tali da permettere l'eliminazione di interi segmenti del processo di
gestione delle scorte. In maniera analoga, il reengineering, attraverso un ridisegno
integrato dell’intero sistema informativo, permette di cancellare completamente alcuni
18
processi di quadratura amministrativa.
La valutazione dell'adeguatezza del processo serve ad identificare eventuali carenze
sistematiche e strutturali. L’obiettivo è quello di analizzare le cause di queste carenze,
per poi eliminarle alla radice evitando così che l’impresa disperda i propri sforzi nel
mero tamponamento di problemi che ciclicamente si ripresentano. In alcuni casi si
tratterà di inadeguatezze proprie del sistema tecnico, relative ad esempio al livello di
tolleranza degli impianti o al grado di flessibilità del sistema informativo,
inadeguatezze che possono essere risolte solo con modifiche nei macchinari o negli
strumenti. In altri casi si tratterà invece di problemi legati all'assetto organizzativo,
molto spesso relativi alle modalità con cui vengono impostate le attività di
mantenimento e di innovazione del processo.
La valutazione sul grado di efficienza del processo guarda alla configurazione
complessiva del flusso e alle modalità di svolgimento delle singole operazioni. La
riduzione del grado di complessità del sistema interno viene in molti casi evidenziata
come un riferimento importante nella ricerca dell’efficienza anche quando ciò sembri
sotto-ottimizzare una data configurazione organizzativa. Molte volte infatti l'obiettivo di
sfruttare maggiormente economie di scopo o di scala ha spinto l'azienda a rendere più
articolato il proprio assetto, senza rendersi conto che spesso questi potenziali recuperi
di efficienza venivano vanificati dalla maggiore complessità del sistema di gestione. E'
il caso di un'azienda che per saturare risorse inutilizzate, considerando quindi un costo
marginale praticamente nullo, ha ampliato il proprio portafoglio prodotti, trovandosi
però poi di fronte ad una gestione non solo più problematica ma anche
complessivamente più costosa. Oppure è il caso di un'azienda che ha accorpato in un
unico reparto fasi di lavorazione comuni a più produzioni, perché in questo modo si
giustificava l'impiego di macchine più grandi ed automatizzate, trovandosi però poi di
fronte ad una crescita negli scarti o negli sprechi dovuti alla centralizzazione dell'attività.
La riprogettazione dei processi può essere impostata secondo approcci diversi e facendo
riferimento a strumenti differenti. Tra i più noti ed applicati vi è l’impresa snella (lean
organization).
La lean organization si incentra sulle tecniche organizzative proprie della produzione snella
che fanno leva sulla minimizzazione delle risorse impiegate per rendere possibile l'obiettivo
di "sviluppare, produrre e distribuire prodotti impiegando metà o meno della metà di fatica
umana, spazio, strumenti, tempo e spesa complessiva". La riduzione delle risorse impiegate
nel processo rappresenta lo strumento operativo di miglioramento, e non solo il risultato
finale dell'intervento. Questa riduzione, infatti, abbinata ad un "pensare al contrario" dogmi
consolidati, la spinge verso impostazioni innovative che, come nel caso di una gestione JIT
delle scorte oppure di un sistema di qualità totale, riescano a contemperare prestazioni
organizzative ritenute inconciliabili.
Nel ridefinire i processi operativi, il management deve porsi come obiettivo centrale non la
definizione di strutture più complesse e di norme operative più articolate, ma al contrario la
creazione di un assetto organizzativo più semplice e trasparente.
La semplicità può scaturire da una ridefinizione dei processi operativi che elimini quelle
impurità, a livello di flussi contorti ed attività inutili, che nel tempo si sono andate
stratificando nell’organizzazione. Le organizzazioni mostrano spesso una tendenza
inerziale verso la complessificazione. A fronte di cambiamenti nelle politiche di
mercato, nel sistema tecnico o semplicemente a fronte di un avvicendamento delle
persone nelle posizioni di guida dell'azienda, la configurazione dei processi operativi
spesso non viene ripensata in maniera unitaria ma piuttosto vengono fatti cambiamenti
frammentati che lasciano dietro di sé attività inutili o duplicate. Un approccio centrato
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sull’ottica unificante del processo riesce a considerare interi blocchi di attività operative
e a ripensarli in maniera integrata, semplificandoli grazie all’eliminazione dei passaggi
ridondanti.
La trasparenza può scaturire da una ridefinizione dei processi che evidenzi
prontamente il verificarsi di situazioni anomale e indirizzi gli interventi correttivi alla
radice dei problemi. La semplificazione dei processi è senza dubbio un riferimento
importante in quanto in un processo più lineare è più facile far emergere con
immediatezza le anomalie. In molti casi sono anche decisivi alcuni interventi sul
sistema tecnico, come nel caso della realizzazione di impianti produttivi dotati di
meccanismi idonei a far scattare in automatico eventuali interventi correttivi.” (Cerruti,
1996, pp. 77-88).
In quest'ottica di semplicità e trasparenza (Figura 70), il management è in grado di
recuperare quelle caratteristiche di ordine, equilibrio e controllo proprie della gerarchia,
senza rimanere penalizzato da una crescente complessità e rigidità dei meccanismi
interni, ma anzi, al contrario, riuscendo a costruire un assetto organizzativo snello nelle
capacità e nei costi di coordinamento ed efficace nel favorire l'apprendimento.
Semplicità
Lean
Organization
Trasparenza
Snellire i processi riducendo le
risorse impiegate, siano esse
materie prime, personale,
attrezzature o tempi di ciclo
Ridurre le risorse impiegate nel
processo, facendo così emergere
immediatamente le anomalie
Figura 70 - Impatto degli intervento di snellimento dell’organizzazione (Tratto da C.
Cerruti, 1996)
20
Le caratteristiche generali dell’impresa snella
L’impresa snella si presenta come un’alternativa al modello della grande impresa
fordista e si caratterizza per la sua capacità di raggiungere elevati livelli di prestazione
in termini di efficienza, qualità, flessibilità e prezzi, con un livello minimo di utilizzo di
risorse in termini di uomini, macchine e scorte.
Nella sua dimensione produttiva l’impresa snella ruota attorno alla fabbrica “a sei zeri”:
 zero stock
Riduzione ai minimi livelli delle scorte e delle attività
di magazzinaggio grazie ad un sistema logistico impostato
secondo le logiche del Just-in-Time
 zero difetti
Riduzione della difettosità e delle anomalie grazie ad
interventi di prevenzione e miglioramento nella progettazione e
nel processo produttivo sviluppati secondo le logiche della
Qualità Totale
 zero tempi morti
Riduzione dei tempi di attraversamento del ciclo di
produzione andando ad incidere sui momenti in cui il pezzo
non viene lavorato (che possono rappresentare fino all’80-90%
del tempo totale)
 zero tempi di attesa Miglioramento del livello di servizio al cliente
 zero cartacce
Riduzione della burocrazia - anche in termini di personale
indiretto - e delle comunicazioni inutili - anche in termini di
sistemi informativi molto sofisticati -
 zero conflitto
Rapporto “totale” di collaborazione tra management e operativi
Il sistema di produzione della Toyota è un esempio pionieristico e molto completo di
impresa snella.
Il sistema di produzione Toyota è nato come necessità di sopravvivenza per un’azienda
che non poteva contare sui grandi volumi e sulle economie di scala delle grandi imprese
americane e che al contempo si trovava nella necessità di servire un mercato
frammentato.
Mentre l’approccio fordista riesce a sviluppare l’efficienza del sistema produttivo in
relazione ad una crescita nei volumi di produzione rispetto ad una gamma di modelli
limitata, il sistema di produzione Toyota è concepito per condizioni di crescita lenta
facendo riferimento ad una grande varietà di modelli.
Negli anni ’50 e ’60 si sviluppa in Toyota progressivamente un nuovo modello
produttivo basato su lotti piccoli e su scorte ridotte. I fatti storici che hanno spinto la
Toyota a sperimentare interventi in questa direzione sono stati principalmente la crisi
finanziaria che ha portato l’azienda quasi sull’orlo del fallimento (e la conseguente
necessità di ridurre il capitale investito) e la necessità di far fronte ad un aumento di
produzione dopo aver proceduto negli anni precedenti a massicci licenziamenti. A
questo si aggiunge l’intuizione di Ohno (un caporeparto che è cresciuto negli anni sino
a ricoprire le massime cariche aziendali) che sulla base del modello “pull” del
supermarket (servirsi dagli scaffali) ha sviluppato il metodo kan-ban basato sui cartellini
di prelievo e produzione.
21
Negli anni ’70 e ‘80 il modello Toyota si estende dalla casa madre alla rete di fornitori e
diventa un modello di riferimento, anche se con molte differenze di interpretazione, da
parte di altre imprese giapponesi emergenti. Il successo delle imprese giapponesi sui
mercati internazionali (primo tra tutti su quello americano) impone all’Occidente di
prendere consapevolezza del nuovo modello produttivo e della sua capacità di
raggiungere contemporaneamente elevata qualità, flessibilità e bassi costi. Nel corso
degli anni ’90 e nei primi anni del 2000 il modello giapponese viene valutato più
criticamente: ne emergono da un lato i limiti rispetto alla tecnologia e alla persona ma
anche la sua capacità di apprendere.
Pur adottando una visione in parte critica sull’applicabilità totale del modello
giapponese nelle aziende italiane, è importante analizzare le tecniche gestionali legate
all’impresa snella sia per gli indubbi risultati che hanno permesso di raggiungere sia
perché è un modello che fa leva sul fatto di “pensare all’incontrario” i tradizionali
assunti organizzativi, spingendoci a considerare criticamente alcuni principi gestionali
che tendiamo ad accettare quasi come fossero veri e propri dogmi.
Impostazione tradizionale fordista
Nuova impostazione “snella
 Scorte
sono un elemento di sicurezza
che permette di bilanciare
eventuali imprevisti
sono una causa di inefficienza
perché mascherano il verificarsi
delle anomalie e fanno sì che i
problemi perdurino
 Flusso
Non dovrebbe mai
interrompersi: le fermate della
linea implicano costosi inutilizzi
degli impianti e le anomalie
vanno gestite a fine linea
implica necessariamente
un
deve essere interrotto non appena
si verifica un’anomalia per
intervenire subito alla radice dei
problemi
di
lavoro
 Qualità
costo
elevato perché è necessario
setacciare la produzione e
scartare-rilavorare
i
pezzi
difettosi
 Lotto di
produzio
ne
deve essere molto grande per
permettere di meglio distribuire
i costi di attrezzaggio
può portare a riduzioni nel
livello complessivo dei costi se
viene ottenuta non a fine linea
ma come parte integrante del
modo di lavorare
deve essere molto piccolo, al
limite unitario, per riuscire a
servire al meglio le esigenze del
mercato senza creare scorte
Alla base dell’approccio dell’impresa snella c’è la considerazione del fatto che la
precarietà e l’incertezza, mettendo molte volte l’impresa in situazioni di emergenza,
evitano che l’organizzazione si sclerotizzi su determinate pratiche e la costringe a
ricercare continuamente nuovi miglioramenti per risolvere le anomalie che si
presentano. Mentre l’impresa fordista punta su una struttura consolidata e sicura,
l’impresa snella si pone come riferimento la precarietà e l’incertezza.
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Questa ricerca della precarietà non è comunque una ricerca inconsapevole del rischio
perché l’impresa snella riesce a gestire questo rischio grazie alle sue caratteristiche:
- la capacità di incidere all’origine sulle cause di anomalia o comunque portarle
sempre in evidenza (ad esempio con l’autonomazione molti macchinari sono
progettati in maniera da fermarsi automaticamente al verificarsi della difettosità
oppure con l’assenza di scorte diventa impossibile la copertura di eventuali anomalie
- la capacità di riuscire velocemente ed efficacemente ad assorbire le anomalie grazie al
forte coinvolgimento del personale e grazie all’integrazione interfunzionale.
I due pilastri di questo nuovo modo di lavorare sono:
- Qualità Totale, cioè la capacità di produrre “alla prima” dei prodotti di qualità,
combinando l’ottica del cliente con quella della progettazione/produzione. Fa leva sul
miglioramento dei processi produttivi;
- Just In Time, cioè la capacità di ridurre al minimo le scorte presenti in ogni fase del
ciclo di produzione e di distribuzione. Fa leva sulla capacità di sincronizzare e
livellare le attività, avendo come riferimento una produzione a piccoli lotti.
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