la sanatoria “giurisprudenziale” al vaglio della corte

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la sanatoria “giurisprudenziale” al vaglio della corte
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
REDAZIONALI
LA SANATORIA “GIURISPRUDENZIALE” AL VAGLIO
DELLA CORTE COSTITUZIONALE: LA SENTENZA
101/2013 SULLA L.R. TOSCANA, IL “PRINCIPIO DELLA
DOPPIA CONFORMITÀ” E LA L.R. EMILIA ROMAGNA
degli Avvocati Livio Lavitola ed Andrea Di Leo
Con la sentenza del 27.2.2013 n. 101, la Corte Costituzionale - sia pur con espresso riferimento
solo alla doppia conformità alla normativa tecnico-sismica - ha affermato che la regola oggi contenuta nell’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia (e, prima, nell’art. 13 della l. n. 47/1985) è da
considerarsi principio della legislazione statale, come tale non derogabile dalla normativa regionale. La pronuncia della Corte, pertanto, risulta di interesse sia nell’ambito del dibattito – sempre vivo - sulla c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, sia in quanto porta all’attenzione un ulteriore
profilo problematico, rappresentato dalla conformità a Costituzione di quelle norme regionali
(attualmente vigenti) che hanno codificato l’istituto pretorio.
In its judgment of 27 February 2013 n. 101, the Constitutional Court - albeit with express
reference only to the double accordance with technical and seismic - said today that the rule
contained in Art. 36 of the Housing Act (and, earlier, in art. 13 of Law no. 47/1985) is considered
the principle of state law, and as such can not be waived by the regional regulations. The Court's
ruling, therefore, is of interest both in the debate - still alive - on cd "Jurisprudential amnesty",
both as it brings attention a further problematic profile, represented by conformity with the
Constitution of the regional standards (currently in force) that have codified the institute
praetorian.
Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. 2. La
giurisprudenza della Corte Costituzionale e la sentenza 101/2013. 3 Le legislazioni regionali in
materia di accertamento di conformità. In particolare: il “caso” della l.r. Emilia Romagna. 4.
Considerazioni conclusive.
al momento della realizzazione né deve esserlo “attualmente”.
L’abuso è quindi solo formale e non anche
sostanziale1.
Diversa, invece, l’ipotesi nella quale
l’intervento edilizio, abusivo al tempo di rea-
1. Il dibattito sulla “sanatoria giurisprudenziale” (e la possibile convivenza dell’istituto pretorio con quello di diritto positivo).
Con l’istituto dell’accertamento di conformità, oggi disciplinato dall’art. 36 del T.U.
dell’Edilizia, il legislatore ha inteso disporre
la “sanabilità” della mancanza di un titolo
abilitativo che il privato da un lato avrebbe
(dovuto e) potuto ottenere prima di porre in
essere l’intervento o e che, dall’altro, è in
grado di ottenere al momento in cui presenta
l’istanza. In altre parole, ai fini della sanatoria
in parola, l’opera né deve essere stata abusiva
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1
N.ASSINI - P. MANTINI, Manuale di diritto urbanistico, Roma, 2007, p. 902: “sono abusi formali quelli posti in essere da soggetti che hanno realizzato opere
conformi alle norme di legge, di piano, di regolamento, ma in assenza di titolo abilitativo”, mentre “sono
abusi sostanziali quelli compiuti in contrasto con le
norme di disciplina”.
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mantenimento dell’opera costruita”4 .
Altro importante argomento a favore della
necessità del rilascio del titolo postumo “è
stato quello, dirimente, della assoluta omogeneità concettuale con il titolo rilasciato ex
ante (…) della cui doverosità (…) non era e
non è possibile dubitare”; in altre parole cioè
occorre guardare al “primato della pianificazione conformativa: la abusività dell’opera
perché non costruita senza previo titolo abilitativo non può compromettere la sua sostanziale attuale conformità alla scelta legittimamente concretizzatasi nello strumento vigente”5.
Il dibattito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, si è acceso con l’introduzione
dell’art. 13 della l. n. 47/1985 che ha disciplinato espressamente la sanatoria per accertamento di conformità, poi riprodotta nell’art.
36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ovviamente, se in assenza di una disciplina della regolarizzazione postuma il ricorso ai
principi generali non ha determinato particolari criticità interpretative, al contrario,
l’intervento di una disciplina che, ai fini della
sanatoria, richiede la doppia conformità ha
stimolato una riflessione sulla compatibilità
con la c.d. sanatoria giurisprudenziale, che richiede solo la conformità sopravvenuta, senza
dare rilievo, invece, alla originaria abusività
sostanziale.
A fronte di coloro i quali, in dottrina, hanno continuato e continuano a sostenere la necessità della permanenza dell’istituto pretorio
nell’ordinamento6, altri hanno osservato che i
sostenitori della (permanenza) della sanatoria
impropria ometterebbero di considerare la
precisa scelta operata dal legislatore con la
introduzione dell’istituto dell’accertamento di
lizzazione, sia divenuto successivamente conforme alla normativa urbanistico-edilizia: in
questo caso, infatti, un profilo di abuso sostanziale è ravvisabile, ma solo con riferimento “al passato”, non già “al presente”.
È qui che si innesta il problema che si intende approfondire in questa sede: quello della sanabilità di un’opera sorta abusivamente
ma poi divenuta conforme ai successivi strumenti urbanistici.
Tale eventualità, infatti, se era pacificamente riconosciuta prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 della l. n. 47/1985, è attualmente oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza.
Prima dell’introduzione dell’istituto dell’accertamento di conformità ad opera
dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, davanti al
problema della possibilità (anzi, obbligatorietà) di provvedere alla demolizione di
un’opera, sorta in contrasto con la pianificazione, ma conforme alla vigente disciplina
urbanistica, si affermò in dottrina e giurisprudenza l’idea che è improprio ed illogico disporre la rimozione di qualcosa che immediatamente dopo potrebbe essere assentito e ricostruito in maniera del tutto identica.
Tale opinione, che trovò adesione nella
giurisprudenza sin dagli anni sessanta2, “parve naturale espressione di un principio esistente”3.
In particolare, secondo tale impostazione,
laddove l’opera, teoricamente da sanzionare,
sia rispondente alle norme edilizie vigenti “è
ammissibile per il principio di conservazione
dei valori economici oltre che giuridici, che
l’autorità comunale intervenga emanando in
sanatoria un atto che consenta il legittimo
2
Tra le sentenze più risalenti, si segnala CdS, V,
27.3.1965, n. 71.
3
B. GRAZIOSI, A proposito della ammissibilità della
c.d. «sanatoria giurisprudenziale» (e dei suoi intrecci
con il condono edilizio), RGE, 2/2004, p. 163, ove l’A.
riferisce che la non sanzionabilità di simili opere suscitò consenso anche in dottrina: tanto che si pronunciarono in senso favorevole anche autori come A.M. Sandulli e F. Benvenuti che, nel contesto della L. n.
1150/1942, avevano rilevato come l’intervento costruttivo abusivo “non poteva avere nell’ordinamento, indifferentemente, lo stesso trattamento, sia che fosse
conforme sia che fosse difforme dalla normativa vigente”.
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4
G. FERRERO, Sanatoria in tema di licenze edilizie,
RGE, 2/1968, p. 68.
5
B. GRAZIOSI, cit., p. 165.
6
Ad es. si v. G.C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2009, p. 1162, ove si rileva che “non
si può non rilevare come appare sostanzialmente logica la sanatoria di un edificio realizzato in contrasto
con le norme vigenti al momento della richiesta di sanatoria (…), sicché esso dovrebbe essere demolito o
essere soggetto comunque a sanzione per poter poi essere ricostruito nella stessa identica forma e consistenza, con ingiustificato danno, oltre che per il responsabile, anche per la collettività”.
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sciuta come operante9.
Al contrario, le tesi favorevoli alla sanatoria giurisprudenziale muovono dall’assunto
che l’istituto in esame, fino all’introduzione
dell’accertamento di conformità, costituisse
un principio non discusso, di applicazione ritenuta “scontata”.
A partire da tale considerazione si è messo
in dubbio che il legislatore con l’art. 13 della
l. n. 47/1985 avesse realmente voluto intervenire a modificare - anzi: ad “abrogare” - la
sanatoria giurisprudenziale.
In tal senso si osserva in primo luogo che
non sussistono elementi testuali per sostenere
una simile sovrapposizione ed abrogazione:
l’art. 13 è rubricato “accertamento di conformità” e non “sanatoria”, ciò essendo dovuto
all’intento di “non ingenerare una confusione
terminologica tra gli istituti che il legislatore
intendeva mantenere diversi sul piano degli
effetti sostanziali”10.
In secondo luogo, viene posto in evidenza
che l’introduzione dell’accertamento di conformità non innova tanto sotto il punto di vista degli effetti amministrativi (regolarizzazione postuma), quanto piuttosto risponde alla necessità di prevedere la non punibilità penale nelle ipotesi di abusi meramente formali
(ai sensi dell’art. 22 della l. n. 47/85, oggi art.
45 del T.U.E.).
Quello che si teorizza, quindi, non è la
possibilità di interpretare estensivamente
l’art. 13 (e, oggi, l’art. 36 del d.P.R.
380/2001) fino a farvi rientrare ipotesi nelle
quali non sussiste la doppia conformità, bensì, più semplicemente, la coesistenza, su piani
diversi, dei due istituti: quello positivo, che
ha rilevanti effetti penali, per questo sottoposto al ricorrere del requisito restrittivo della
doppia conformità; e quello generale, ricavabile dai principi del sistema, il quale unicamente rappresenta una causa di legittimazione
postuma delle opere, sia pure solo sotto il
conformità, la cui ratio risiederebbe anche nel
“fine di scongiurare improprie e sviate varianti urbanistiche ad hoc mirate alla regolarizzazione di illeciti edilizi”7.
La contrapposta tesi, dunque, prende
anch’essa in considerazione il tema del “primato della pianificazione conformativa”, ma
da un punto di vista diverso, come si coglie
dalle parole di un altro autore secondo cui “in
presenza della c.d. sanatoria pretoria,
l’intervento del legislatore era precipuamente
sollecitato anche dalla necessità di far sì che
fossero le opere a conformarsi alle previsioni
dei piani urbanistici e non piuttosto la pianificazione a doversi adeguare agli abusi già
consumati”8.
Un ulteriore argomento contrario alla sanatoria giurisprudenziale si rinviene nella tesi
secondo la quale l’introduzione dell’art. 13
della L. n. 47/1985 rappresenterebbe la “chiusura del sistema positivo”: la scelta del legislatore di rilasciare il titolo edilizio in sanatoria solo nelle ipotesi di abusi meramente formali (i casi, cioè, di doppia conformità) determinerebbe l’esclusione non solo di qualunque possibile interpretazione estensiva, ma
anche della permanenza nel sistema della sanatoria fino ad allora pacificamente ricono7
P.F. GAGGERO, Regolarizzazione edilizia successiva
atipica e accertamento di conformità, in RGE, 1/2004,
p. 1410; tale riflessione, in una prospettiva di analisi
economica del diritto amministrativo, viene condivisa
anche da L. VIOLA, Governo del territorio e analisi
economica del diritto amministrativo: il caso
dell’accertamento di conformità, www.giustamm.it .
L’idea di una ratio anche “preventiva” ha trovato adesione presso il giudice amministrativo che ha ritenuto
che “la cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" è incompatibile con la sopravvenuta disciplina della sanatoria introdotto dalla legge n. 47 del 1985 che, con il
requisito di ammissibilità della sola doppia conformità
al piano regolatore generale, ammettendo pertanto la
sanatoria soltanto per le opere realizzate senza concessione ma conformi alla disciplina vigente sia al
momento della realizzazione del manufatto sia al momento della richiesta del provvedimento di sanatoria,
ha inteso impedire il rischio di eventuali pratiche di
salvataggio in sede locale di forme di abusivismo edilizio mediante modifiche a posteriori dello strumento
urbanistico” (TAR Emilia-Romagna, Bo, III,
15.1.2004, n. 16).
8
S. VINTI, L’accertamento di conformità per opere realizzate in assenza di permesso o in violazione della
normativa sulla DIA, RGE, 2/2004, p.144.
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9
S. VINTI, cit..
A sostegno di tale soluzione alcuni ritengono che militi
anche il principio di tipicità degli atti amministrativi:
così P.F. GAGGERO, cit., p. 1409, rileva che non sarebbe, infatti, consentito alla p.a. adottare un provvedimento che non trovi copertura in una norma che le attribuisca il relativo potere.
10
B. GRAZIOSI, cit.,pp. 168 ss.
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punto di vista amministrativo (rimanendo, infatti, perseguibile il responsabile dell’abuso
per la fattispecie penale)11.
Prese, quindi, in esame le due diverse opzioni interpretative, si impone una riflessione.
Come visto, mentre per una tesi la disciplina dell’accertamento di conformità esclude
l’applicabilità della sanatoria giurisprudenziale, per l’altra i due istituti semplicemente coesistono, essendo volti a disciplinare situazioni
differenti e producendo effetti distinti nell’ordinamento.
Quel che pare da escludere è la possibilità
di un’interpretazione della disciplina positiva
tale da ricomprendere “al suo interno” anche
l’istituto “generale”, benché anche tale tesi
trovi – come si vedrà a breve – sostegno in
giurisprudenza.
In tal senso, infatti, depone chiaramente il
dato normativo: ai fini dell’adozione del
provvedimento ex art. 36 del T.U. risulta essenziale che l’intervento sia conforme alla disciplina urbanistica vigente al tempo della realizzazione nonché al tempo di proposizione
della domanda.
Il dibattito, ad oggi, è ancora aperto anche
in giurisprudenza, malgrado si stia affermando sempre di più l’orientamento da ultimo esaminato contrario all’istituto pretorio.
Tra le recenti decisioni che si collocano
nell’orientamento restrittivo, si segnala CdS,
IV, 26.4.2006, n. 2306 “con la l. n. 47 del
1985 è entrata in vigore una disciplina esaustiva e puntuale delle ipotesi di sanatoria,
anche ai fini amministrativi, che non lascia
alcun margine interpretativo. Secondo tale
impostazione, il principio di conservazione
dei valori (…) deve quindi retrocedere dinnanzi al principio costituzionale di legalità,
che impone la necessaria e stretta osservanza
della disciplina dettata dalla legge”. Pertanto,
prosegue la decisione, “la concessione in sanatoria è un provvedimento tipico, che elimina l’antigiuridicità dell’abuso, estinguendo il
potere repressivo dell’amministrazione, con
la conseguenza che il suo ambito di applica-
zione non può che essere specificamente disciplinato dalla normativa, non risultando
consentito l’esercizio, da parte dell’amministrazione, di un potere di sanatoria che vada
oltre i limiti imposti dal Legislatore”.
Come è evidente, cardini, quindi, della tesi
giurisprudenziale in esame sono tutte le osservazioni condivise, come visto in precedenza, da parte della dottrina: l’esaustività della
disciplina positiva, il principio di legalità e di
tipicità dei poteri amministrativi, argomenti,
questi, già presi in considerazione in precedenza.
Tuttavia, il Consiglio di Stato individua
un’ulteriore ragione che confermerebbe
l’impossibilità di ammettere, oggi, la sanatoria giurisprudenziale. Nelle sentenza citata infatti si legge “il T.U. n. 380 del 2001, continuando a postulare (art. 36) l’accertamento
di duplice conformità nei termini già divisati
dall’art. 13 della l. n. 47 del 1985, non ha recepito la possibilità di sanatoria di cui si discute, nonostante che la possibilità di riconoscere a livello normativo l’ammissibilità, entro certi limiti, di tale istituto giurisprudenziale fosse stata espressamente prospettata
tra l’altro dall’Adunanza Generale di questo
Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso in
data 29.3.200112. Non avendo il Legislatore,
per le ragioni indicate nella Relazione, ritenuto di poter valorizzare tale opzione, deve
concludersi - per le esposte ragioni testuali e
sistematiche - nel senso che il provvedimento
di sanatoria in esito ad accertamento di conformità può essere rilasciato solo al ricorrere
del duplice presupposto richiamato all’art.
36 del T.U. n. 380 del 2001 in materia edili12
Il riferimento è a quanto aveva avuto modo di osservare l’Adunanza Generale nel parere n. 52/2001, laddove in esso si osserva che: “pur non potendosi, in astratto, contestare la necessità del duplice accertamento di conformità, nella prassi l’applicazione del principio viene disattesa, ritenendosi illogico ordinare la
demolizione di un quid che, allo stato attuale, risulta
conforme alla disciplina urbanistica vigente e che,
pertanto, potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione. Al riguardo
valuti l’amministrazione se non sia opportuno, in casi
del genere, prevedere una forma di sanatoria che, ferma restando la sanzione penale per l’illecito commesso, sia subordinata al pagamento di un’oblazione
maggiore rispetto a quella che si richiede nell’ipotesi
di duplice conformità”.
11
Del medesimo avviso anche R. CACCIN, Le varie figure di sanatoria nella disciplina urbanistica: osservazioni critiche sullo spazio di efficacia di ciascuna,
RGE 2/1986, p. 126 e P. STELLA RICHTER, I principi
del diritto urbanistico, Milano, 2002, p. 128.
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zia”.
Dunque, il ragionamento del Consiglio di
Stato nella sentenza in esame è: se il legislatore, nonostante il parere dell’Adunanza Generale, ha ritenuto di non disciplinare espressamente l’istituto pretorio, da ciò ne consegue
che questo è “abrogato”.
Più recentemente, infine, il G.A. ha confermato il proprio orientamento contrario alla
sanatoria impropria, da ultimo, ad esempio,
con la sentenza del TAR Lazio, Roma, II ter,
11.6.2013, n. 583213.
In senso opposto continua a muoversi altra
(pur minoritaria) parte della giurisprudenza.
Così, di recente, CdS, VI, 7.5.2009, n.
2835, ha affermato che: “il principio normativo della “doppia conformità”, infatti, è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di
mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso obiettivo delle parole utilizzate dall’art.13
della legge n.47 del 1985, ovvero dal vigente
art. 36 del d.P.R. 6.6.2001, n.380, ipotesi che
è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della
disciplina edilizia, a seguito di adozione di
strumenti che riducano o escludano, appunto,
lo jus aedificandi quale sussistente al momento dell’istanza. Quindi, la tipicità del provvedimento di accertamento in sanatoria, quale
espressione di disposizione avente carattere
di specialità, va rigorosamente intesa come
riferimento al diritto “vigente”, (V 29.5.2006,
n. 3267), e commisurata alla finalità di “favor” obiettivamente tutelata dalla previsione,
in modo da risultare conforme al principio di
proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell’interesse pubblico e privato.
La norma, infatti, non può ritenersi diretta
a disciplinare l’ipotesi inversa dello jus superveniens edilizio favorevole, rispetto al
momento ultimativo della proposizione
dell’istanza. In effetti, imporre per un unico
intervento costruttivo, comunque attualmente
“conforme”, una duplice attività edilizia,
demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un dop13
pio carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo
aumento dell’impatto territoriale ed ambientale, (altrimenti considerato in termini più ridotti alla luce della “ratio” della norma in
tema di accertamento di conformità)”.
Si tratta di un’interpretazione che, invece
di militare nel senso della “convivenza” tra
l’istituto pretorio e quello “legale”, addirittura cerca di desumere la sopravvivenza del
primo dalla stessa previsione normativa14.
Secondo tale impostazione, quindi, l’art.
36 non escluderebbe affatto (ma addirittura
legittimerebbe) il rilascio del titolo, pur in
presenza di un intervento sorto in maniera sostanzialmente abusiva (la norma, infatti, mirerebbe a garantire il privato dalla variazione
in peius della disciplina edilizia, quale sussistente al momento dell’istanza).
Corollario di ciò è l’illegittimità del provvedimento della p.a. che respinga una domanda di titolo postumo per un edificio, sorto
in maniera “sostanzialmente abusiva”, ma
conforme agli strumenti urbanistici vigenti.
In giurisprudenza è ravvisabile tuttavia un
ulteriore orientamento, secondo il quale, se è
vero che, a seguito dell’intervento del legislatore, non è possibile concedere il provvedimento di sanatoria in assenza della doppia
conformità, tuttavia le ragioni alla base della
sanatoria giurisprudenziale potranno “emergere” in sede sanzionatoria. In tal senso è così stato osservato che “se da un lato non è
possibile, né necessario, forzare una norma
espressa o i principi dell’ordinamento in tema di sanatoria, dall’altro lato la Pubblica
Amministrazione è comunque titolare di un
potere autonomo e ampiamente discrezionale
relativo alla conseguente e connessa, pur se
distinta, attività sanzionatoria, nell’ambito
della quale si inserisce la conseguenza, nel
caso in esame denunciata come irrazionale,
della demolizione. Al riguardo, proprio
l’autonomia del procedimento sanzionatorio
e l’obbligo di motivazione connesso costituiscono il momento in cui l’ordinamento consente di valutare l’applicazione della sanzio14
Tra le recenti pronunce favorevoli alla sanatoria giurisprudenziale anche: CdS, V, 21.10.2003, n. 6498,
TAR Abruzzo, Pe, 30.5.2007, n. 583.
Si veda anche CdS, IV, 21.12.2012, n. 6657.
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ne conforme all’ordinamento, rimettendo pertanto la concreta individuazione della sanzione alla determinazione discrezionale della
stessa Amministrazione”15.
Analogo ragionamento viene svolto da
CdS, V, 29.5.2006, n. 3267, laddove, dopo
aver affermato la legittimità del provvedimento con cui venga negata una sanatoria per
accertamento di conformità ex art. 36, rispetto
alla sanatoria giurisprudenziale rileva che “si
tratta, tuttavia, del più generale istituto della
concessione postuma - diverso dalla sanatoria per accertamento di conformità specificamente disciplinata dall’art. 13 della l.
28.2.1985 n. 47 - al quale, ove, come nella
specie, di esso il privato non si sia a suo tempo avvalso, non è consentito al giudice fare
ricorso, sostanzialmente esercitando in tal
modo un potere di cui l’amministrazione ben
può ancora far uso”.
Dunque: distinzione e non incompatibilità
tra i due istituti, ferma rimanendo
l’impossibilità di far rientrare all’interno della
sanatoria ex art. 36 (istituto “speciale”) la
sanatoria giurisprudenziale (istituto “generale”).
opere realizzate, già all'epoca della costruzione delle opere stesse. È da sottolineare,
pertanto, la particolare natura della sanatoria ex art. 13 della legge in discussione: tal
sanatoria presuppone l'accertamento, a seguito di riesame "ora per allora" dell'illiceità
delle opere, l'intrinseca "giustizia" sostanziale delle opere stesse (conformi agli strumenti
urbanistici già nel momento della loro costruzione) e vien concessa appunto a causa
dell'accertata inesistenza del danno urbanistico. La mancanza di tale danno conduce, in
conseguenza, anche all'estinzione del reato
urbanistico”.
Con la sentenza 13.5.1993, n. 231, la Corte
- sempre con riferimento ad aspetti “penalistici” - ha invece sancito l’illegittimità della
legge della Provincia autonoma di Trento n.
22/1991, nella parte in cui prevedeva la possibilità di ottenere la sanatoria pur in assenza
della “doppia conformità”.
Anche in questo caso il profilo oggetto del
giudizio era quello “penalistico”: ed infatti la
Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma
provinciale in quanto, incidendo sull'applicabilità delle cause di estinzione del reato, la disposizioni interferiva nella “materia penale”,
riservata alla legislazione statale.
Se nelle due decisioni appena esaminate il
punto di vista era quello del “diritto penale”
(nella sentenza 370/1988 sulla legittimità
dell’effetto estintivo conseguente alla sanatoria e nella decisione n. 231/1993 le “interferenze” tra la sanatoria amministrativa e gli
effetti sulla estinzione del reato), nell’ultima
pronuncia (la n. 101/2013) viene in rilievo
esclusivamente il “regolamento di confini”
tra potestà legislativa regionale e statale in
materia di governo del territorio, come tale
non derogabile dal legislatore regionale.
La disposizione oggetto del giudizio di legittimità costituzionale (l’art. 118 co. 1 e 2
della l.r. Toscana n. 1 del 2005, così come
modificato dalla l.r. n. 4 del 2012) consentiva
il rilascio del titolo in sanatoria per interventi
privi della doppia conformità alla normativa
tecnico sismica.
La Corte – precisato che anche la normativa sismica concorre ad integrare il parametro
della conformità urbanistica - ha affermato
che la “regola” della doppia conformità co-
2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale e la sentenza n. 101/2013.
La Corte Costituzionale in tre sentenze
(l’ultima delle quali è la n. 101/2013, dalla
quale prende spunto il presente contributo) ha
avuto modo di prendere posizione in ordine
alla portata della “regola” della doppia conformità, regola che, secondo la Corte, assurge
in realtà a vero e proprio principio.
La prima sentenza da prendere in esame è
la n. 370 del 31.3.1988.
In tale sentenza (di rigetto) - che scaturisce
dalla q.l.c. dell’art. 13 della l. n. 47/1985 nella parte in cui ricollega al rilascio della concessione in sanatoria l’effetto di estinzione
dei reati urbanistici - il Giudice delle leggi ha
avuto modo di rilevare come la disposizione
in parola “accoglie la sanatoria propria, non
quella impropria: (…)”: conseguentemente
“l'accertamento in sanatoria, di cui all'art.
13 della legge, riguarda anche, e soprattutto,
la conformità agli strumenti urbanistici delle
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Tar Piemonte, 18.10.2004, n. 2506.
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sua ratio nella funzione della sanzione edilizia del “ripristino”, che, ad avviso di parte
della dottrina (si v. infra §.1), risponde non a
fini meramente “punitivi” (caratteristica, ad
esempio delle sanzioni penali) ma ad esigenze di tutela della conformazione degli interventi edilizi alla pianificazione urbanistica,
ovviamente “vigente”.
Altro profilo di interesse è la circostanza
che la Corte aderisce all’interpretazione in
virtù della quale sussisterebbe l’assoluta inconciliabilità tra l’istituto positivo e quello
“pretorio”, così chiudendo la strada anche
all’ipotesi “mediana” di cui si è riferito nel
precedente §.
Infine, lo specifico profilo che ha condotto
alla declaratoria di incostituzionalità della
norma della l.r. Toscana - ossia l’indebita invasione, ad opera della norma regionale, della
competenza legislativa statale in materia di
principi sul governo del territorio - conduce a
svolgere alcune riflessioni in ordine al destino
di quelle norme regionali che, come si vedrà,
hanno espressamente codificato la sanatoria
“giurisprudenziale”.
stituisce in realtà un vero e proprio “principio” dettato dalla normativa statale in materia
di governo del territorio.
Ad avviso del Giudice delle leggi, infatti
che “come è evidente dal contenuto letterale
della norma, tale principio risulta finalizzato
a garantire l’assoluto rispetto della “disciplina urbanistica ed edilizia” durante tutto
l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza
volta ad ottenere l’accertamento di conformità”. Per confortare tale interpretazione, la
Corte richiama il prevalente indirizzo della
giurisprudenza amministrativa e ricorda come
questa abbia chiarito che “la sanatoria in
questione - in ciò distinguendosi da un vero e
proprio condono - è stata deliberatamente
circoscritta dal legislatore ai soli abusi
“formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo
abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, “anche di natura preventiva e deterrente”, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto
con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione,
ma con essa conformi solo al momento della
presentazione dell’ istanza per l’accertamento di conformità”.
La decisione - al di là della specifica norma dichiarata incostituzionale - ha
un’indubbia rilevanza sistematica, per almeno
tre ordini di ragioni.
Innanzi tutto perché afferma la natura di
“principio” della regola della doppia conformità.
A tal proposito, peraltro, nel constatare che
la Corte aderisce, in buona sostanza, all’idea
della funzione anche “preventiva” del meccanismo della doppia conformità (in quanto finalizzato ad evitare fenomeni patologici, quali varianti urbanistiche ad hoc, ottenute da chi
abbia posto in essere interventi abusivi), si
deve notare come tale impostazione influisca
anche sul tema – prima accennato – della natura della sanzione edilizia.
Si è già osservato, infatti, che l’idea della
“sanabilità” di interventi edilizi la cui conformità sia solo sopravvenuta può trovare la
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3. Le legislazioni regionali in materia di
accertamento di conformità. In particolare: il “caso” della l.r. Emilia Romagna.
Come appena riferito, la decisione n.
101/2013 esclude per le Regioni la possibilità
di codificare la sanatoria “impropria”; opzione che, comunque, ad oggi era stata “esercitata” solamente in due casi, il più significativo dei quali è quello della l.r. n. 23/2004
dell’Emilia Romagna16.
16
Anche la l. n. 21 del 2004 della Regione Umbria si
segnala per una parziale apertura ammettendo, all’art.
18 “l’accertamento di conformità relativo ad interventi
realizzati alla data di entrata in vigore della l.r.
1/2004 non conformi alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento della loro realizzazione,
ma che risultino conformi alla disciplina urbanistica
ed edilizia ed agli strumenti urbanistici vigenti e non
in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati, al
momento dell’entrata in vigore della stessa legge regionale”. Tale strumento, tuttavia, non rappresenta un
istituto ordinario (come nel caso della legge della Regione Emilia-Romagna), essendo previsto che la possibilità di beneficiare di tale sanatoria è condizionata
alla presentazione delle relativa istanza entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa. La medesima legge, invece, all’art. 17 consente la sanatoria im-98-
Numero 2 - 2013
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
Infatti, la legge regionale in parola dispone all’art. 17, co. 2, che “fatti salvi gli effetti
penali dell'illecito, il permesso e la SCIA in
sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai
soli fini amministrativi, qualora l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”.
Già prima dell’intervento della Corte Costituzionale si era svolto un dibattito, in dottrina, sulla legittimità costituzionale di norme
regionali non in linea con il principio della
doppia conformità.
Così, muovendo dall’assunto (ormai difficilmente sostenibile alla luce della pronuncia
della Consulta) che l’istituto pretorio sia connaturato al sistema e non si ponga in conflitto
con l’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, si era affermato che non poteva profilarsi alcun dubbio di legittimità costituzionale: anzi, la norma sarebbe stata addirittura inutile, in quanto
ripetitiva “di un istituto vigente e, quanto meno per il diritto urbanistico, imprescindibile”17.
Altri, invece, ritenendo che la legislazione
statale avesse “abrogato” la sanatoria giurisprudenziale sin dal 1985, sollevavano dubbi
in ordine alla legittimità costituzionale di
norme non in linea con l’art. 36 del testo unico.
Queste, infatti, rappresenterebbero una “evidente difformità dai principi ricavabili dalla legislazione statale”18, ponendosi quindi in
contrasto con il criterio di riparto delle competenze legislative contenuto nell’art. 117, co.
3, cost. Infine, sempre avendo a mente la disposizione della l.r. dell’Emilia Romagna, si
deve osservare come l’espressa salvezza degli
“effetti penali dell’illecito” - verosimilmente
sancita per evitare l’invasione della potestà
legislativa statale in materia penale - non sposti la questione: infatti, la sentenza n.
101/2013 (diversamente dalla n. 231/1993) si
appunta esclusivamente sul profilo “amministrativo”, affermando che nessuna sanatoria
può darsi - vigente l’art. 36 del testo unico di opere non munite della “doppia conformità”.
Ad oggi, pertanto, è difficile nutrire dubbi
in ordine all’illegittimità costituzionale
dell’art. 17 della l.r. emiliana.
4.Considerazioni conclusive.
Si è accennato, nel §1, di come, nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale, tra gli argomenti portati a favore della sanatoria impropria vi siano riflessioni in ordine a canoni
di “giustizia sostanziale”.
Ci si riferisce al principio di conservazione
dei valori economici e giuridici, nonché alla
considerazione della illogicità di ordinare la
demolizione di un’opera conforme alla disciplina urbanistica vigente che potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta,
un nuovo titolo.
Si deve registrare, in particolare, come,
avendo riguardo a tali parametri, la giurisprudenza, dinanzi a rilievi di illegittimità costituzionale dell’art. 36 del t.u. dell’Edilizia, abbia
avuto rilevato che la regola della doppia conformità “non risulta in contrasto con i principi costituzionali del buon andamento e sulla
pianificazione urbanistica” in quanto “in attuazione del principio di legalità e per evitare
che i consigli comunali possano subire condizionamenti e pressioni da parte di chi abbia
realizzato opere abusive, il legislatore ha radicalmente precluso che il costruttore di opere abusive possa avvalersi delle sopravvenute
modifiche dello strumento urbanistico, anche
se le opere realizzate sine titulo di per sé risultino conformi allo strumento sopravvenuto”19.
In conclusione, anche prendendo atto di
come tali profili vengano ormai ritenuti inidonei a porre in discussione la regola di cui
all’art. 36 del t.u. dell’Edilizia, non resta che
prendere atto di come la sentenza n. 101 del
2013 della Corte costituzionale sia da considerare come la chiusura dell’annoso dibattito
propria senza limiti di tempo per i soli cambi di destinazione d’uso, i quali devono essere conformi alla sola
disciplina vigente.
17
B. GRAZIOSI, A proposito della ammissibilità della
c.d. «sanatoria giurisprudenziale» (e dei suoi intrecci
con il condono edilizio), RGE, n. 2/2004; p. 172.
18
S. MARTINO, Commento all’art. 36, in Codice
dell’edilizia, a cura di P. DE LISE E R. GAROFOLI, Roma, 2008, p. 463.
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19
CdS, IV, 17.9.2007, n. 4838 nonché, da ultimo, CdS.
V, 11.6.2013, n. 3220, ove si afferma la manifesta infondatezza della q.l.c. dell’art. 36 del t.u. con riferimento all’art. 97 Cost.
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sul tema della sanatoria giurisprudenziale, istituto quindi espunto dal nostro ordinamento.
Sarà, pertanto, interessante verificare se,
con riferimento alla legge della Regione Emi-
lia Romagna, vi sarà una “spontanea” adesione da parte della Regione ovvero se la
questione tornerà, ancora una volta, alla Corte
Costituzionale.
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