GAMBERINI

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GAMBERINI
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB - FILIALE DI FORLÌ - Contiene i. p. - Reg. al Tribunale di Forlì il 16/01/2002 n. 1 - EURO 3,00
R AV EN N A
N° 1 MARZO/APRILE 2016
GAMBERINI
Laura
LA VOCE DI NEW YORK
MARIA MARTINELLI / Lo sguardo è donna
MEINI E GONDOLINI / Cittadini del mondo
SIR CHESTER COBBLEPOT / Non rompeteci le scatole
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EDITORIALE
Q
Questa primavera portiamo i
nostri lettori nella Grande Mela,
dove Laura Gamberini, dopo una
lunga esperienza nella TV nostrana, è diventata columnist per “La
voce di New York”, periodico di
riferimento degli italoamericani.
Proseguiamo con Maria Martinelli, direttrice del festival del cinema
“The Lovely Ring”, che ci racconta
la sua carriera e la sua predilezione per la fantascienza. Incontriamo poi Marco Meini e Giovanni
Gondolini, che nel 2013 hanno
lasciato la nostra città per esplorare il mondo in bicicletta. Abbiamo
infine parlato con Pieralberto Setti
del Ravenna Yacht Club e abbiamo
incontrato gli autori di giochi da
tavolo di Sir Chester Cobblepot,
gli artisti Davide Bart. Salvemini
e Anna Finelli, il restauratore di
moto Graziano Ferrini e le calciatrici del San Zaccaria-Ravenna,
che dal 2015 sono in serie A.
Andrea Masotti
SOMMARIO
4
ANNOTARE
Brevi IN
8
ESSERE
Laura Gamberini
14
GIRARE
8
Maria Martinelli
18
SFIDARE
Meini e Gondolini
21
NAVIGARE
Ravenna Yacht Club
24
GIOCARE
Sir Chester Cobblepot
26
CREARE
Davide Bart. Salvemini
32
EDIZIONI IN MAGAZINE S.R.L.
Redazione e amministrazione:
Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì
Tel. 0543.798463 / Fax 0543.774044
www.inmagazine.it
[email protected]
Collaboratori: Erika Baldini,
Annalisa Balzoni, Alessandro Bazziga,
Roberta Bezzi, Alessandro Bucci,
Andrea Casadio, Anna De Lutiis,
Gianluca Gatta, Serena Onofri,
Giorgio Pereci, Aldo Savini, Michele Virgili.
Fotografi: Lidia Bagnara, Massimo
Fiorentini, Elio Guidi, Giorgio Sabatini.
RAFFIGURARE
Anna Finelli
40
RESTAURARE
DIRETTORE RESPONSABILE:
Andrea Masotti
REDAZIONE CENTRALE: Serena Focaccia
ARTWORK: Lisa Tagliaferri
IMPAGINAZIONE: Francesca Fantini
CONTROLLO PRODUZIONE E QUALITÀ:
Isabella Fazioli
UFFICIO COMMERCIALE:
Gianluca Braga
STAMPA: Seven Seas Srl - RSM
Anno XV - N. 1
Chiuso per la stampa il 23/03/2016
38
24
Graziano Ferrini
42
VINCERE
San Zaccaria- Ravenna Calcio
29
RICORDARE
Ravenna ottoniana
32
ESPORRE
Seguici su FB:
www.facebook.com/edizioni.inmagazine
MAR
34
Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono
essere riprodotti solo con l’autorizzazione
dell’editore e in ogni caso citando la fonte
COSTRUIRE
La casa sospesa
34
IN MAGAZINE
3
ANNOTARE
Cielo di
METALLO
RUSSI Pubblicato per i tipi
di L’Arcolaio Edizioni di
Forlì, “Cielo di Metallo”
è la terza opera del poeta
russiano Roberto Zaccaria
(nella foto). Nato a Faenza nel
1987, Roberto ha visto la
sua prima pubblicazione nel
2011 con “Il Poeta Beato” per
Ed. Capit, seguita nel 2013
dall’autoproduzione “Poesie
universitarie illustrate”.
“Cielo di Metallo”, la cui
immagine di copertina è
stata curata da Carlo Fabbri,
racchiude diverse poesie di
Zaccaria suddivise in due
parti: una prima dedicata a
vari componimenti scritti in
un arco di tempo recente,
mentre una seconda “Nuova
Poesia Tecnologica” ispirata
alla Neoavanguardia Italiana.
Nel libro si trovano disegni di
Enrico Taroni. (A.B.)
ph Giorgio Sabatini
A Tamo i mosaici
SIRIANI
RAVENNA È stata inaugurata
Ripensare
MILANO MARITTIMA
CERVIA Il Comune di Cervia prosegue sulla via della riqualificazione
e valorizzazione del territorio e lancia il concorso di idee per la
redazione del Masterplan Milano Marittima 2.0 “I paesaggi diffusi
della vacanza”. Il bando è aperto a tutti i progettisti e intende
“accogliere un ventaglio di proposte progettuali di rigenerazione
ambientale, paesaggistica e architettonica, che fungano da linee
guida per le future trasformazioni di Milano Marittima. L’obiettivo
del bando è sviluppare idee progettuali che sappiano valorizzare
i ‘vuoti urbani’ compensando le trasformazioni della città costruita
e interpretando le aree oggetto del concorso come nuove centralità
ed elementi cardine per la destagionalizzazione del turismo”.
In particolare i progetti dovranno svilupparsi su tre ambiti:
il comparto Bassona, la fascia retrostante gli stabilimenti
balneari e il sistema della mobilità e sosta. Il passo precedente
dell’amministrazione cervese per il ripensamento del comparto
Bassona è stato il percorso partecipato che si è svolto a fine 2015
e ha avuto come oggetto la riqualificazione del Woodpecker (nella
foto): l’ex discoteca diventerà uno spazio di aggregazione dedicato
alla musica, al cinema, agli spettacoli e all’arte. I nuovi progetti
dovranno partire da qui. (S.F.)
venerdì 11 marzo presso
il Museo Tamo la mostra
fotografica “S.I.R.I.A.
Salvezza Illuminazione
Redenzione nell’Iconografia
dell’Architettura - Mosaici
pavimentali siriani” che
rimarrà aperta fino al 6
gennaio 2017. L’esposizione
costituisce il primo
appuntamento di una serie
di eventi annuali, dedicati
ai grandi giacimenti musivi
del Mediterraneo, che
arricchiranno lo spazio
museale. L’esposizione, curata
da Giovanna Bucci con la
consulenza scientifica di Paolo
Racagni, focalizza l’attenzione
su una serie di pavimenti
della Siria settentrionale
caratterizzati da decorazioni
con motivi architettonici
a pianta centrica, ricchi di
significati simbolici e connessi
con la rappresentazione del
Santo Sepolcro.
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Anche nel 2016
PAZZI DI JAZZ
ph Elio Guidi
RAVENNA Forte del successo della passata edizione, che ha coinvolto
4
IN MAGAZINE
oltre seimila studenti, ritorna “Pazzi di jazz”, iniziativa culturale,
didattica e sociale che porta il jazz dentro le scuole di Ravenna. Fino
al prossimo maggio, sarà un susseguirsi di incontri e laboratori, per
avvicinare le giovani generazioni a questa fondamentale forma d’arte.
La terza edizione ha per tema “Lo spazio cosmico” e riunisce, come
da tradizione, gli artisti Tommaso Vittorini, arrangiatore e direttore
d’orchestra, Ambrogio Sparagna, etnomusicologo e organettista, e Paolo
Fresu (nella foto), trombettista, che fanno parte della squadra originaria
di “Pazzi di jazz”. Il lungo percorso didattico sfocerà nell’evento
concertistico-festa finale, il 2 maggio in piazza del Popolo. La serata
farà parte del calendario dello storico festival “Ravenna Jazz”, al cui
fondatore Carlo Bubani è tra l’altro dedicata. (R.B.)
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ANNOTARE
Il campionato di
MELAGODO
MARINA DI RAVENNA
Stili di vita in
CERAMICA
FAENZA “Ceramica e
stili di vita. Dal Barocco
ai giorni nostri” è una
mostra itinerante, curata
dal Museo Internazionale
delle Ceramiche in Faenza,
all’interno del più ampio
progetto europeo “Ceramics
ad its dimension” che
coinvolge undici paesi
europei e che mette in mostra
una parte della storia della
ceramica - dal 1600 ai giorni
nostri - fino ad oggi inesplorata
dal punto di vista delle
relazioni tra oggetti d’uso,
sviluppo sociale e contesti
geografici. La mostra arriva
a Faenza il 23 aprile, dopo
essere stata esposta a Belgrado
e a Valencia, e rimane allestita
in Italia fino all’11 settembre.
Saranno esposti circa duecento
oggetti provenienti dai vari
musei coinvolti.
Tutta la musica
DI CROSSROADS
RAVENNA Già partita la diciassettesima edizione di Crossroads,
la kermesse jazzistica che fino al 5 giugno coinvolgerà circa
cinquecento artisti su tutto il territorio della regione EmiliaRomagna. In primavera, in particolare, il cartellone di Crossroads
registrerà un’impennata: dal 5 al 14 maggio accoglierà al proprio
interno la nuova edizione del festival Ravenna Jazz, che continua
con la formula extra large delle sue più recenti annate: concerti di
punta al Teatro Alighieri, proposte per intenditori in vari club e
poi musica distribuita su tutto il territorio cittadino coinvolgendo
numerosi locali. La quarantatreesima edizione di Ravenna Jazz sarà
aperta dal trio del contrabbassista Avishai Cohen (il 5 maggio al
Teatro Alighieri) e si concluderà ancora all’Alighieri il 14 maggio
con il piano solo di Michel Camilo (nella foto). Nel ravennate, grazie a
Crossroads, ci sarà anche un altro big della scena italiana, argentino
d’origine, il sassofonista Javier Girotto che si esibirà a Russi il 30
aprile con gli intramontabili Aires Tango in occasione della Giornata
Internazionale UNESCO del Jazz. Crossroads 2016 è organizzato
come sempre da Jazz Network, in collaborazione con l’Assessorato
alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, il Ministero dei Beni e
delle Attivitŕ Culturali e del Turismo e numerose altre istituzioni.
Quest’anno al campionato
invernale di Marina di
Ravenna, ha partecipato,
sotto le insegne dell’Agenzia
Menabò di Forlì,
l’imbarcazione Melagodo
timonata dallo skipper Claudio
Alberto Ricci. Al termine di
sei combattutissime regate,
Melagodo ha conquistato
uno splendido secondo posto
nella classe di imbarcazioni
più numerosa. Insieme allo
skipper si sono alternati nelle
varie prove Emanuel Fischer
e Enrico Pozzani Pavirani
alla tattica e navigazione,
Matteo Lambertini e Gigi
Casadei alla randa, Annalisa
Raschi, Massimo Gaspari,
Leo Lucchi e Alessandro
Bazziga alle vele di prua. La
collaborazione dell’agenzia
con Ricci continuerà nel
2016 con la partecipazione
alla trans-Adriatica PesaroRovigno-Pesaro in maggio e
alla Barcolana.
Visite nella
NATURA
SANT’ALBERTO Arriva la primavera e si moltiplicano le iniziative al
museo NatuRa (nella foto). Fino al 29 maggio sarà possibile visitare
gratuitamente la mostra fotografica “Il Delta, uno scrigno di
biodiversità”, in cui Loris Costa racconta la ricchezza di un ambiente
e l’intensa vita degli animali nel Delta impegnati nella ricerca di cibo,
nel corteggiamento e nella cura delle prole. Tanti poi gli appuntamenti
di aprile: domenica 10 aprile, tour guidato in bicicletta “Alla scoperta
dei fenicotteri” nelle Valli Meridionali di Comacchio; sabato 16 aprile,
la “Passeggiata delle erbe”, un pomeriggio per andare alla ricerca delle
erbe di Romagna; domenica 17 aprile, “Natura e sapori: alla scoperta
delle orchidee selvatiche”, passeggiata guidata tra le acque della Valle
Mandriole e i sentieri del prato del Bardello.
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ESSERE
La voce di
NEW YORK
DA RAVENNA A MILANO, ROMA, LONDRA E PARIGI FINO A SPICCARE
IL VOLO OLTREOCEANO. OGGI LAURA GAMBERINI, DOPO UNA LUNGA
ESPERIENZA NELLA PRODUZIONE TELEVISIVA, È COLUMNIST
PER “LA VOCE DI NEW YORK”.
L
di Anna De Lutiis / ph Lidia Bagnara
Laura Gamberini è una giovane
donna ravennate. Snella, bionda,
con un viso acqua e sapone e due
occhi vivacissimi che rivelano un
carattere volitivo e determinato. L’importante famiglia da cui
proviene le avrebbe certamente
permesso di svolgere un lavoro
tranquillo, coccolata nell’ambiente famigliare, circondata dai suoi
numerosi amici, ma lei ha sempre
immaginato il suo futuro altrove,
sogno che ha inseguito a costo anche di sacrifici, di fatica, di incertezze: dopo una lunga carriera nel
mondo televisivo, da novembre è
nella splendida New York, come
columnist de “La Voce di New
York” con la rubrica Big Apple
Juice. “Sono sempre stata molto
aperta a esperienze all’estero, per
questo qualche mese fa, mentre
ero a New York come turista per
un lungo periodo, ho provato a
mandare qualche curriculum. Ne
ho mandati cinque e mi hanno
risposto in tre. Questo mi ha davvero dato il senso di quanto possa
essere meritocratica l’America.”
Il tempo di mettere a punto i documenti e Laura si è trasferita a
New York, dove ha subito iniziato
il suo lavoro scegliendo, anche su
suggerimento del direttore Stefano Vaccaro, uno stile di conversa-
8
IN MAGAZINE
zione diretta e confidenziale, e un
titolo con relativa foto che desse
l’idea di chi gironzola per la città,
alla ricerca degli aspetti curiosi,
mentre sorseggia un cappuccino
o un succo di frutta. Viene da
chiedere, visto che la rubrica è in
italiano, a chi si rivolga Laura, a
chi sono indirizzate le sue riflessioni, le sue scoperte. “La mia
intenzione è di trasmettere
le emozioni, quelle che io, da
italiana, provo scoprendo gli
aspetti di questa città, che
raccoglie le migliori rappresentanze di ogni tipo di culture, e mi
rivolgo ai numerosi italiani che
già vivono a New York, a quelli
appena arrivati in città, ai turisti
di passaggio ma anche agli italiani, sempre numerosi, che desiderano, oppure hanno già in programma un viaggio nella grande
metropoli americana.”
Per stabilire i primi contatti con i
futuri lettori si è presentata così:
“Mi chiamo Laura e di mestiere scrivo, prevalentemente per la
TV. Ho sempre viaggiato tanto
per lavoro e per passione. Negli
ultimi anni ho cambiato casa più
o meno quattordici volte in sette
città, divise in tre differenti Paesi
distribuiti in due continenti. Ho
vissuto a Ravenna, a Milano, a
Bologna, a Londra, a Roma e a
Padova, ho lavorato a Parigi e ora
eccomi qua, a New York. In ogni
posto che ho attraversato, ho sempre trovato il modo, senza troppa
fatica, di sentirmi a casa. A New
York sono appena arrivata, è una
città entusiasmante quanto difficile.”
Laura confessa i suoi timori all’inizio, come quello di soffrire di
solitudine in una così grande città. Ma grazie al suo carattere e
alla comunità di italiani, che in
città è davvero molto solida, si è
scoperta a socializzare con grande facilità.
Di cosa ti occupi nei tuoi articoli?
“Seguirò eventi di moda, cultura
e spettacolo per il giornale. In più
sto lavorando al progetto di un
magazine televisivo enogastronomico che è temporaneamente
intitolato Percorsi (di) vini ed è
prodotto da RPM Media, la casa
di produzione italoamericana di
Roberto Mitrotti che ha base a
Long Island City. L’idea sarebbe
di confezionare il programma per
il mercato italiano. Nel frattempo
mi hanno chiamata degli ex colleghi per girare un piccolo servizio
sul Black Friday che è andato in
onda su Rai3 nella trasmissione
IN MAGAZINE
9
rante le feste natalizie, per
tornare subito indietro, al
lavoro. Che atmosfera avevi
lasciato a New York?
“Uno spettacolo incredibile, emozionante. Gli americani conservano uno spirito autentico che
ostentano in maniera prettamente americana, alla grande. Ad
esempio ricoprono letteralmente
le loro case di decorazioni. Ce
n’è oltre ogni fantasia. Ho visto
decorazioni a forma di pizza, unicorno, bottiglie di vino, Marylin
Monroe, Elvis Presley, Santa
“LA MIA INTENZIONE
È DI TRASMETTERE LE EMOZIONI,
QUELLE CHE IO, DA ITALIANA,
PROVO SCOPRENDO
GLI ASPETTI DI UNA CITTÀ
COME QUELLA DI NEW YORK,
CHE RACCOGLIE LE MIGLIORI
RAPPRESENTANZE DI OGNI
TIPO DI CULTURE.”
LAURA GAMBERINI IN ALCUNI SCATTI
DI VITA QUOTIDIANA A NEW YORK.
10
IN MAGAZINE
L’erba del vicino. Girando quel
servizio ho conosciuto un bravo
filmmaker e giornalista che mi ha
coinvolta in un gran bel progetto. Si tratta comunque sempre di
TV. Insomma sono tante le novità e tutte elettrizzanti.”
Quali sono le difficoltà cambiando città, continente e
abitudini?
“Si pensa che qui a New York si
possa trovare qualsiasi cosa e invece non è così. Esistono pochissimi oggetti di uso comune che
per motivi culturali, o vai a capire
perché, sorprendentemente, non
si trovano o sono molto rari. Per
esempio, provate a cercare un accappatoio a New York. Ora sorridete, ma in realtà ho lanciato una
vera e propria caccia al tesoro.
Gli accappatoi esisteranno forse
in alcuni grandi alberghi che si
rivolgono a una clientela internazionale, ma i newyorchesi non
usano gli accappatoi.”
Tu sei tornata in Italia du-
Claus di colore, teschi messicani,
madonne portoghesi...”
Di cosa ti sei occupata nella prima column dell’anno
nuovo?
“Al rientro dalle vacanze, ho trovato il desolante spettacolo degli
alberi di Natale dismessi, ammassati lungo le strade in attesa
di essere raccolti e smaltiti. Che
fine faranno ora che le feste sono
finite? Una domanda che mi ha
messo addosso una gran malinconia e soprattutto mi ha fatta
sentire un po’ Holden Caulfield,
il protagonista del Giovane Holden di J.D. Salinger. Mi è tornata
in mente la sua domanda, molto
simile alla mia: ‘Che fine fanno le
anatre di Central Park d’inverno
quando il lago ghiaccia?’ Ecco,
allo stesso modo io mi chiedevo
che fine potessero fare tutti quegli
alberi che fino a poche ore prima
avevano riempito di gioia le case
dei newyorchesi.”
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prima della sua avventura
americana?
“Dopo aver frequentato il Liceo
classico mi sono iscritta a Filosofia. Alla laurea ha fatto seguito il
Master in Ideazione e produzione
di audiovisivi della Cattolica di
Milano per canalizzare la mia voglia di comunicare in un mestiere
che avevo sempre sognato fare:
l’autrice televisiva.”
Quali sono le trasmissioni
che hanno rappresentato le
esperienze più determinanti?
“Sono partita da quello che per
molti è un punto di arrivo, Amici
“ALLA LAUREA HA FATTO
SEGUITO IL MASTER
IN IDEAZIONE E PRODUZIONE
DI AUDIOVISIVI DELLA CATTOLICA
DI MILANO PER CANALIZZARE
LA MIA VOGLIA DI COMUNICARE
IN UN MESTIERE CHE AVEVO
SEMPRE SOGNATO FARE:
L’AUTRICE TELEVISIVA.”
LAURA SUL SET DI “EXTREME
MAKEOVER HOME EDITION”
E A NEW YORK.
12
IN MAGAZINE
di Maria De Filippi. In quell’edizione avevo l’età dei concorrenti!
Poi sono tornata a Milano dove
ho iniziato a lavorare a Glob, il
programma condotto da Enrico
Bertolino in onda su Rai3, in terza serata. In seguito sono passata a Mediaset dove ho iniziato a
lavorare come autrice. Ho lavorato a ogni programma con il 5:
Mattino, Pomeriggio, Domenica,
persino Capodanno. Dopo anni a
Cologno Monzese ho avuto, grazie a Fabio Pastrello, il più grande
capoautore con cui si possa avere
la fortuna di lavorare, la possibilità di partecipare all’adattamento italiano di Extreme Makeover
Home Edition. È stato un lavoro
impegnativo che mi ha regalato
alcune tra le più grandi soddisfazioni umane della mia vita.”
Perché questa esperienza ti
ha dato molto dal punto di
vista umano? Sono reali o
solo costruiti i programmi?
“No, sono veri. Bisognava cercare
famiglie che avessero grosse difficoltà e selezionarle, andando sul
posto. Poi si portava la famiglia
prescelta in albergo, mentre la
loro casa veniva completamente
ricostruita. Era grande davvero
l’emozione quando la famiglia
tornava in una casa che non era
neppure il lontano ricordo di
quella che avevano lasciato.”
Hai lavorato anche in trasmissioni con personaggi
famosi?
“Dopo Fashion Style, un talent sulla moda in onda su La5,
programma che mi ha dato più
gioia e soddisfazione in assoluto,
ho lavorato a Come mi vorrei, un
programma condotto da Belen
Rodriguez in onda su Italia 1.”
Quando Laura racconta le sue
esperienze lo fa con semplicità,
come se fossero alla portata di
tutti, e quello che colpisce maggiormente è questo suo desiderio
continuo e inappagato di fare
nuove esperienze, di mettersi alla
prova sempre pronta a cogliere
le novità e senza mai cedere ai
timori e alle difficoltà che inevitabilmente incontra.
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14
IN MAGAZINE
GIRARE
Lo sguardo è
DONNA
MARIA MARTINELLI, DIRETTRICE DEL FESTIVAL
“THE LOVELY RING”, RACCONTA LA SUA CARRIERA DA CINEASTA
E LA PREDILEZIONE PER LE TEMATICHE ESISTENZIALI
NELLA FANTASCIENZA.
A
di Erika Baldini / ph Lidia Bagnara
A Ravenna di certo è lei che rappresenta orgogliosamente il lato
femminile più energico di un settore spesso tacciato come ambito
esclusivo maschile, per non dire
maschilista: Maria Martinelli
è una prolifica e attiva filmaker.
Maria inizia la sua carriera
cinematograf ica realizzando
cortometraggi e documentari
presentati e premiati in alcuni
dei più importanti film festival
internazionali, tra cui Oberhausen, Amburgo, Lisbona, Venezia,
Montpellier, Torino. Pasionaria, strenua sostenitrice del cinema d’indagine, ha una lunga
esperienza di documentarista su
temi a forte interesse sociale: da
I bambini non lo sanno (1999)
sul bullismo, ai più recenti Over
the Rainbow sull’omogenitorialità (2009), Viaggio nel mondo
dell’estorsione - Cap. I L’Antiracket (2012) e Portuali (2013), ambientato al porto di Ravenna, su
lavoro e democrazia. È del 2001
l’esordio al lungometraggio con
una storia d’amore a tinte foschissime, Amorestremo, che ha avuto
vasta risonanza mediatica perché
interpretato da Rocco Siffredi.
Come hai iniziato il tuo percorso di filmmaker?
“Ho firmato il mio primissimo
lavoro negli anni ’80 e nel 1998
la mia prima vera regia di documentario, prodotto da Tele+. Ho
iniziato, come facevano quasi tutti in quel periodo, frequentando
dei master e andando a bottega.
Sono stata assistente, operatrice
di ripresa, ho lavorato al montaggio e poi solo dopo molti anni c’è
stato il vero approdo alla regia e
alla scrittura cinematografica.”
In base a quali criteri o emozioni scegli i tuoi soggetti?
Quali sono le tematiche che
più ti interessa sviscerare?
“Le tematiche dei lavori spesso
nascono dagli studi e dagli interessi che maturiamo nella nostra
vita. In questo mestiere tutto è
personale: le idee, lo sguardo, i
sentimenti, il tentativo di raccontare una realtà e le sue contraddizioni. Si tratta però di un
‘personale’ che, per quanto mi
riguarda, non è mai autoreferenziale, al contrario cerca ‘la comunità’. Al tempo stesso è necessario
che sia disallineato. È come se si
tentasse di mettere sotto i riflettori quella parte della nostra esistenza o della nostra anima che
noi stessi per primi stentiamo a riconoscere. Amo le tematiche che
mettono in discussione le proprie
convinzioni, sia etiche che spiIN MAGAZINE
15
Sul femminile e le sue declinazioni trovo un filo che unisce buona
parte del tuo lavoro, dai corti ai
documentari, sino ai tuoi lavori
di fiction per la TV.
E arriviamo a The Lovely Ring,
il festival che hai creato e diretto. Il sottotitolo della rassegna è
Contaminazioni Femminili, un
festival di cinema che affronta
la contemporaneità attraverso lo
sguardo femminile.
Che temi affronterà la nuova
edizione? Quali altri obiettivi vi siete imposti?
È STATA DIRETTRICE DEL CENTRO
PER LA FORMAZIONE E LA
COMUNICAZIONE LA PALAZZINA
(IMOLA), RESPONSABILE E
DOCENTE DEL MASTER DI
PROGETTAZIONE DOCUMENTARI
DELLA SCUOLA DI CINEMA E TV
(MILANO), DIRETTRICE ARTISTICA
DELL’IMOLA FILM FESTIVAL.
rituali, perché amo mettermi in
discussione.”
Nel 2001, presentando al festival di Torino la tua opera
prima, Amorestremo, parlavi di erotismo al femminile e
ti dichiaravi sostenitrice del
cinema di genere. Cosa ti rimane di quell’esperienza?
“Il lungometraggio è stato un’esperienza travolgente. Amo molto
il cinema di genere interpretato in
modo autoriale, come fanno alcuni cineasti come Cronenberg,
Refn, Soderbergh, Kassovitz, che
in Babylon A.D. realizza un film
di fantascienza, ma in realtà tratta di filosofia. La fantascienza è
il genere che prediligo, forse proprio per questa attinenza a tematiche esistenziali. Mio padre mi
ripeteva sempre una frase che è
diventata il motto della mia vita:
piedi a terra e sguardo al cielo.
Ad indicarmi una strada senza
soluzione di continuità fra umano e divino.”
16
IN MAGAZINE
“Il femminile è un mio interesse,
poco mi importa se è di moda,
se lo è stato o se ora non lo è più.
Femminile come ricerca, naturalmente, come elemento contaminante per provare a vedere le
cose con un paio di occhiali diversi. Contaminazioni femminili - Cinema e donne quest’anno
si svolgerà nel week-end dell’8
maggio presso il Palazzo del Cinema di Ravenna. Il tema della
progenie, dei figli è il focus di
quest’anno e questo argomento
spero mi permetterà di proiettare alcuni film e documentari che
trovo molto interessanti. Un tema
che mi piacerebbe sviluppare soprattutto attraverso la lente della
responsabilità che, a mio avviso,
presenta sfumature inaspettate
per chi sa osservarla da vicino.
A tal proposito per la domenica
pomeriggio è prevista una festa
fatta di cinema, padri, madri e
figli, di ‘tutte le forme e i generi’...
ma questa sarà una sorpresa.”
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DEL MONDO
NEL FEBBRAIO 2013, MARCO MEINI E GIOVANNI GONDOLINI DECIDONO
DI PARTIRE PER UN GIRO DEL MONDO IN BICICLETTA. OGGI SONO IN CANADA,
IN ATTESA DI AFFRONTARE LE AMERICHE E, NEL 2018, L’AFRICA.
di Roberta Bezzi
18
IN MAGAZINE
U
Un’impresa senza precedenti: il
giro del mondo in bicicletta, ribattezzato Magio Bike Tour,
percorrendo oltre centomila
chilometri, toccando tutti i continenti. Questo è l’obiettivo che
si sono dati i trentenni ravennati
Marco Meini e Giovanni Gondolini, amici sin dall’infanzia e
con la passione comune per le
due ruote e i viaggi, quando sono
partiti il 17 febbraio 2013. A tre
anni di distanza, hanno percorso
quarantamila chilometri e visitato un pezzo d’Europa, l’Asia e
l’Australia. Ora sono in Canada,
a Vancouver, dove stanno riposando le gambe, ma soprattutto
“la testa, stracolma di immagini,
colori, facce del mondo, lingue”,
in attesa che arrivi la primavera
per affrontare le Americhe con
la speranza di spingersi in Africa
nel 2018.
Qual è il Paese che più vi ha
colpito o l’esperienza che
porterete più nel cuore?
Giovanni Gondolini: “La Mongolia è il posto che mi è rimasto
più nella pelle e dentro il cuore. E
pensare che non l’avevamo neanche preventivato prima di partire!
È stato un regalo che ci siamo fatti, il deserto del Gobi. In quel nulla solitario ho incontrato una serenità selvaggia, una pace autentica
e persone sinceramente ospitali.”
Marco Meini: “In tutti i paesi
attraversati, è la generosità della gente che continua sempre a
emozionarmi, a stupire e a motivare. Un ragazzo disabile in
Corea, un giorno, ci disse: Voi
non avete solo il diritto di fare
questo viaggio, ma avete il dovere
di viverlo anche per me. Io sogno
insieme a voi.”
Come riuscite a mantenervi
e quanto costa stare in giro
per il mondo?
Giovanni Gondolini: “All’appartamento preferisco ora una tenda,
alla TV scelgo il fuoco, al telefono
la carta da lettere. Lavo le mie poche cose a mano, come si faceva
un tempo, mangio più pasta che
carne e bevo più acqua che vino.
Ora, Marco e io viviamo con dieci euro al giorno. Fanno trecento
euro al mese. Teniamo da parte
un extra per un volo aereo e due
visti. Avendo poche entrate, abbiamo decimato le uscite. Eppure
siamo sempre in giro. Perché l’aria è ancora gratis, così come il
calore che ricevi dalla gente.”
Non sentite mai la nostalgia
di casa, dell’Italia?
“Siamo a casa sempre, anche
quando siamo lontanissimo. Abbiamo la fortuna di essere nell’era di Skype che ci fa sentire più
vicini. Scriviamo lettere ai nostri
migliori amici, quelle su carta
perché l’inchiostro riesce ad arrivare un po’ più in profondità.
I nostri amici e le nostre famiglie
continuano a trovare il tempo di
venirci a trovare. Noi non siamo
mai rientrati perché stiamo tornando. Siamo sulla via di casa,
ma è una via lunga.”
“DAREMO AI PELLEGRINI DI TUTTE
LE RELIGIONI UN TETTO E DEL
CIBO. PERCHÉ I MUSULMANI CI
HANNO DATO UN LETTO NELLE
LORO MOSCHEE, COSÌ COME I
BUDDISTI UNO STUOINO NEI LORO
TEMPLI. SENZA NULLA CHIEDERE
IN CAMBIO. MOSTREREMO AI
NOSTRI FIGLI LA GENEROSITÀ.”
Progetti per quando rientrerete?
“Ci piacerebbe lavorare nel mondo dell’educazione dei ragazzi,
per trasmettere loro una visione
pacifica e di fratellanza con le
genti del mondo. Nella nostra
casa del domani, accoglieremo
viaggiatori per restituire l’ospitalità. Cucineremo per molti, perché
in tanti hanno cucinato per noi.
Daremo ai pellegrini di tutte le
religioni un tetto e del cibo. Perché i musulmani ci hanno dato
un letto nelle loro moschee, così
come i buddisti uno stuoino nei
loro templi. Senza nulla chiedere
in cambio. Mostreremo ai nostri
figli la generosità e insegneremo
loro a essere altruisti.”
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NAVIGARE
La tradizione
CHE INNOVA
IL RAVENNA YACHT CLUB È UNA PRESENZA ORMAI STORICA
DEL PORTO DI MARINA DI RAVENNA. PARLIAMO DEI PROGETTI PRESENTI
E FUTURI CON L’ATTUALE PRESIDENTE, PIERALBERTO SETTI.
P
Per farci raccontare la storia del
Ravenna Yacht Club, storico sodalizio velico del nostro territorio,
abbiamo incontrato il Presidente
Pieralberto Setti a cui abbiamo
rivolto alcune domande.
La ritroviamo in un incarico
direttivo al Ravenna Yacht
Club dopo molto tempo...
“Sono tornato ad un ruolo gestionale del circolo dopo alcune
di Alessandro Bazziga
esperienze come consigliere e presidente molti anni fa. Nel marzo
dell’anno scorso alcuni amici mi
hanno chiesto di candidarmi
con loro per un nuovo corso del
circolo rinnovando il Consiglio
direttivo. All’assemblea dei soci
ci hanno dato fiducia e ora siamo
qui. Le racconto un aneddoto:
durante la breve presentazione
ho spiegato ai nuovi soci, metten-
dola in ridere, che rappresento il
nuovo che avanza… ho 74 anni!”
Ci racconta in breve la storia
del RYC?
“Il circolo nacque negli anni ’70
con una piccola struttura di legno
addossata al molo. Poche barche,
ormeggiate qua e là come si poteva, cominciarono a dar vita all’idea del circolo nautico. Allora si
chiamava Motovelico.
IN MAGAZINE
21
ph Giorgio Sabatini
“NELL’ULTIMO ANNO ABBIAMO
RESO I COSTI IL PIÙ POSSIBILE
VICINI AL NUOVO MERCATO,
CERCANDO DI AIUTARE TUTTI A
NON MOLLARE LA PASSIONE PER
LA VELA E PER IL DIPORTO. OGGI
IL CIRCOLO È PRATICAMENTE
PIENO E DI QUESTO SIAMO
MOLTO CONTENTI.”
IN ALTO, IL PRESIDENTE DEL RYC
PIERALBERTO SETTI. IN APERTURA,
UN MOMENTO DEL CAMPIONATO
INVERNALE DI MARINA DI RAVENNA.
22
IN MAGAZINE
Il Circolo Velico Ravennate esisteva già e con una svolta importante fu costruito l’attuale Ravenna Yacht club investendo nei
pontili e nelle strutture a mare
che abbiamo recentemente ristrutturato. Il circolo oggi ha più
di duecento soci e moltissimi velisti e diportisti in transito.”
E rappresenta una delle
strutture più importanti del
territorio...
“Direi di sì. Collaboriamo attivamente con il Circolo Velico Ravennate e recentemente abbiamo
incontrato la Lega Navale di Ravenna e il Circolo Velico di Cesenatico, con i quali collaboreremo
su iniziative comuni.”
Quali sono gli scopi e le attività più importanti del RYC?
“Il RYC è un’associazione sen-
za fini di lucro. Il nostro scopo è
offrire servizi ai soci. Attorno a
quest’attività, che possiamo definire strutturale, le nostre direzioni principali sono due: quella
sportiva, con iniziative importanti nel mondo della vela, prima
fra tutte il campionato invernale,
e nella pesca con manifestazioni
e gare d’estate. La seconda direzione è quella culturale: siamo
sul mare in un territorio con una
lunghissima costa e quindi cerchiamo di organizzare quante
più iniziative possiamo. Collaboriamo con le scuole del territorio
che ci vengono spesso a visitare
e con alcuni mondi importantissimi e mai abbastanza tenuti in
considerazione, come la disabilità
e l’UNICEF.”
Ci spiega meglio la differenza tra transito e assegnazione del posto barca?
“I soci a tutti gli effetti hanno
un posto barca in assegnazione.
Dopo un investimento cauzionale
iniziale pagano una quota annuale. Gli armatori invece in transito
sono ospiti da noi con un contratto temporaneo e una quota mensile o annuale di stazionamento. ”
Quindi se abbiamo qualche
proposta possiamo venirvi
a trovare?
“Il nostro Consiglio direttivo è
molto operativo, lavoriamo tutti
su base volontaria ma siamo sempre raggiungibili e ascoltiamo
tutte le iniziative che ci vengono
proposte. Colgo l’occasione per
ringraziare chi con me lavora
nel consiglio: Maurizio Guglielmo, vicepresidente con delega al
personale e alle attività gestionali, Alessandro Bazziga, Segretario, che segue la parte di sistema
informativo e i rapporti con la
stampa, Franco Costa, delegato
sportivo, anima del campionato
invernale e delle altre manifestazioni sportive, Cesare Salotti, dedicato agli aspetti tecnici e
strutturali, Omero Giangrandi
impegnato con Salotti nelle attività di manutenzione e anche responsabile dei servizi di ospitalità,
Luca Lombardi che con grande
energia presidia tutte le attività
dei pontili.”
Il 34° campionato
INVERNALE
Anche quest’anno a Marina di
Ravenna si è svolto il Campionato
invernale per barche a vela da
regata e da crociera. L’evento,
ormai una tradizione del nostro
territorio, è stato organizzato
dal Ravenna Yacht Club in
collaborazione con il Circolo
Velico Ravennate. Le tante
regate che si sono succedute
nei weekend da novembre 2015
a marzo 2016 hanno visto in
mare quasi cento equipaggi. Si è
svolta il 19 marzo, a conclusione
dell’evento, la premiazione presso
il ristorante La Campaza. In una
sala affollatissima di regatanti
e di velisti le premiazioni hanno
evidenziato il valore degli
equipaggi e degli armatori.
Quello che è emerso, al di
là dei risultati delle singole
imbarcazioni, è un grande
spirito di aggregazione che
lega questi atleti tra di loro,
con le loro barche e con la
navigazione a vela. Sul palco, tra
i tanti che si sono avvicendati, il
presidente del RYC, Pieralberto
Setti e il consigliere delegato
Franco Costa hanno fatto gli
onori di casa insieme a tutto
il Consiglio Direttivo. Durante
la manifestazione è stato
distribuita la pubblicazione con
tutte le classifiche, la rassegna
stampa e le osservazioni di
chiusura del campionato.
Nell’editoriale, a firma di Franco
Costa, si invitano tutti gli
equipaggi e tutti gli appassionati
ai prossimi appuntamenti nel
mare ravennate che già dalle
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GRAFICO E ILLUSTRATORE, GABRIELE
MARI, EDITOR E RESPONSABILE
DEL RAMO EDUCATIVO, GIACOMO
SANTOPIETRO, TEAM PRINCIPAL,
GIANLUCA SANTOPIETRO, ART
DIRECTOR. TUTTI SONO
ANCHE AUTORI DI GIOCHI.
Sir Chester Cobblepot è un’azienda che si occupa di produzione e sviluppo professionale di
giochi da tavolo. Si tratta di uno
di quei settori di cui molti ignorano l’esistenza. Eppure è ovvio
che Risiko e Monopoli qualcuno
deve pure averli pensati ed elaborati, non nascono certo nei negozi di giocattoli.
Gli appassionati sono numerosi,
soprattutto all’estero e il mercato
dei giochi da tavolo, nonostante
la minaccia dei videogiochi, sembra godere di buona salute. Tanto
che la passione può diventare una professione, così come
è stato per i soci di Sir Chester
Cobblepot, che deve il nome a Sir
Chester Copperpot, l’archeologo che nel film I Goonies viene
trovato morto nelle caverne dei
pirati, e Oswald Cobblepot, che
è il nome del Pinguino, il nemico
di Batman.
Chiedo a Gabriele Mari, editor
e autore di giochi, le ragioni che
hanno portato i soci a fondare
prima un’associazione e poi una
società di produzione. “Fin dagli anni ’90, siamo sempre stati
all’interno del mondo dei giochi,
come sviluppatori, grafici, dimostratori, venditori. Nel 2011 abbiamo aperto la società per
imporre la nostra specifica
figura di autori. Nel mondo
del gioco da tavolo si rischia di
vedersi rubata una buona idea da
editori senza scrupoli, che la sviluppano, ne realizzano la grafica,
e la vendono per conto loro. Noi
invece ci siamo organizzati
come una vera casa di produzione. Realizziamo il gioco
in toto, come se fosse pronto per
andare in stampa, e concediamo
all’editore solo i diritti di replica
dell’opera.”
Nel settore, gli autori di giochi
di successo sono considerati delle
star, alla stregua degli autori di
narrativa. E prendono percentuali per ogni copia venduta. Il
mercato è ben sviluppato. In Italia, se va bene, un nuovo gioco
vende mille copie. “In Germania,
invece, la prima tiratura, quella
natalizia, può essere di ventimila
copie. Qui ci sono anche le due
fiere europee più importanti: a
Norimberga, a febbraio, ed a
Essen, a ottobre. Lì riusciamo a
incontrare tutti i professionisti del
settore e a vendere i nostri giochi
agli editori. Abbiamo visto che
sono molto apprezzati soprattutto negli Stati Uniti.”
La produzione di Cobblepot si
divide attualmente su tre indirizzi: giochi a sfondo storico o
letterario, giochi per famiglie e party games, e giochi
educativi. Si tratta di un catalogo in continua crescita, che
viene realizzato in modo molto
articolato.
“L’idea può nascere in mille
modi diversi. Può essere semplicemente anche un foglio di carta
con le regole scritte a mano e un
tabellone schizzato a matita. Si
ABBIAMO APERTO LA SOCIETÀ
PER IMPORRE LA NOSTRA FIGURA
DI AUTORI. CI SIAMO ORGANIZZATI
COME UNA CASA DI PRODUZIONE.
REALIZZIAMO IL GIOCO IN TOTO,
COME SE FOSSE PRONTO
PER ANDARE IN STAMPA, E
CONCEDIAMO ALL’EDITORE SOLO
I DIRITTI DI REPLICA DELL’OPERA.
procede poi con uno studio di fattibilità: bisogna pensare a come
racchiudere tutto in una scatola e
con un prezzo accettabile. Infine
c’è il play test, che può richiedere
a volte anche anni: il gioco deve
essere provato e riprovato per
capire se si sta dando al mercato un gioco valido e, soprattutto,
rigiocabile.”
Il futuro di Sir Chester Cobblepot è anche nella riedizione di
giochi della mitica International Team. C’è chi ricorda ancora con nostalgia Zargo’s Lords
e VII Legio, il primo gioco di
ruolo completamente in italiano,
recitava lo slogan.
È solo questione di tempo e ci si
potrà immergere di nuovo.
CREARE
La fantasia
AL POTERE
CURIOSITÀ E UMILTÀ SONO LA RICETTA CREATIVA
DI DAVIDE BART. SALVEMINI. DALLA PUGLIA A RAVENNA
INSEGUENDO L’ISPIRAZIONE.
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di Serena Onofri
Chi abita a Ravenna non può
non essersi imbattuto almeno una
volta nella grafica e nei disegni
colorati di Davide Bart. Salvemini. Sono sue le locandine
del locale di musica indie della
nostra città e possiamo averlo incontrato al Fargo o in giro in via
Cavour, o magari guardando un
cartellone pubblicitario notando
26
IN MAGAZINE
quella grafica particolare e nuova, molto colorata che non può
lasciarti indifferente. Ma chi c’è
dietro questo artista? Proviamo a
entrare nel suo mondo e vi invito
a vedere i suoi disegni, poiché ti
portano in un’altra dimensione,
tra fantascienza e video game, in
modo da far viaggiare la nostra
immaginazione dentro un mondo
parallelo e visionario.
Partiamo da Ravenna, dove
la tua arte fa parte del nostro
quotidiano: quale legame hai
con la nostra città?
“Sono nato in Puglia nel 1988
e mi sono trasferito a Ravenna
nel 1995. Amo le mie origini ma
devo molto a Ravenna, dove la
ricchezza culturale celata in molti
suoi monumenti ha reso possibile il mio interessamento (sempre
più intenso) all’arte e alla figura
dell’artista.”
Quali sono le tue origini:
dove hai studiato?
“Ho sempre compreso l’importanza della curiosità e l’osservare
i punti positivi di ogni esperienza
vissuta. Prima di progettare a pieno una mia possibile occupazione
futura (che forse non ho ancora
compreso del tutto), mi sono diplomato come perito elettronico
all’I.T.I.S, ho fatto un anno di
A SINISTRA, DAVIDE
BART. SALVEMINI;
SOPRA, UNA SUA
OPERA.
“PRENDO ISPIRAZIONE DA OGNI
COSA CHE VEDO E PENSO.
DESIDERO SEMPRE NUOVI SPUNTI
SENZA TRALASCIARE I VECCHI.
SONO UN FETICISTA DEGLI
SKETCHBOOK DEGLI ARTISTI,
CREDO SIANO CARTE D’IDENTITÀ
CHE METTONO IN MOSTRA LA
LORO VERA IDENTITÀ.”
Criminologia a Forlì, Grafica
d’Arte all’Accademia di Bologna
e infine la specialistica in Grafica e Illustrazione presso l’I.S.I.A.
d’Urbino. Strade sempre contorte,
per spunti sempre diversi.”
Secondo te il luogo nel quale una persona cresce incide
sulla sua creatività e voglia
di farsi notare per le proprie
capacità?
“Ha di sicuro una certa rilevanza
ma penso, soprattutto nel contemporaneo, che siano importanti
anche i metaluoghi in cui si vive.
Libri, film, pagine web, forum,
social network e videogiochi sono
tutti spazi in cui viviamo e ci possono trasmettere tanto. Bisogna
saper trovare la bussola per trovare la direzione da percorrere.”
Il tuo è un lavoro artistico e
di solito si dice che con la cultura non si campa. È così nella realtà oppure c’è una speranza per chi come te sogna
di lavorare facendo l’artista?
“Credo che per fare il mio lavoro
(e io sono di sicuro ancora agli inizi) bisogna credere in se stessi e nel
proprio lavoro. Sono sicuro che
l’illustratore sia una delle professione più belle al mondo, ma bisogna comprendere che è solitario e,
che si vinca o si perda, il merito e
la colpa è sempre tua. Per quanto
riguarda l’aspetto economico, l’indispensabile è sempre relativo... ci
si adegua e si va avanti.”
Cosa si mette in gioco creando e poi proponendo la
propria arte all’esterno del
proprio studio? È una cosa
facile per te? Hai mai ricevuto dei no?
“Metti in gioco te stesso in ogni
progetto, rischiando che la tua visione sia sbagliata per il cliente o
inadatta al pubblico. Col passare
delle commissioni e con lo studio,
diventi sempre più critico verso
te stesso riuscendo a distinguere
gli scarti dalle idee interessanti.
Certo che ho ricevuto dei no, e li
ho trovati spesso interessanti scoprendo, così, gli errori che commettevo.”
Quali sono le tue fonti di ispirazioni? Hai modelli, luoghi
persone a cui ti ispiri? Da
dove nasce la tua grafica?
“Cerco di prendere ispirazione da
ogni cosa che vedo e penso. Desidero sempre nuovi spunti senza
mai tralasciare i vecchi. Inoltre
sono un feticista degli sketchbook
degli artisti, credo siano carte d’identità che mettono in mostra la
vera identità del loro possessore.”
Consigli ai giovani: come si
fa a diventare qualcuno nel
mondo della grafica e della
street art?
“Tanta umiltà, spirito di adattamento e curiosità, conditi da una
grossa capacità di sfruttare l’ansia. Lo so, non è una ricetta super,
ma alla fine le soddisfazioni sono
molte.”
Parliamo d’altro: musica e
film preferiti?
“Per la musica direi: Board of
Canada, Mannarino e Leonard
Cohen. La lista dei film sarebbe
lunghissima, quindi mi soffermo
su tre mostri sacri: Tarantino,
Cronenberg, Wong-Kar-Wei.”
Cosa fai quando non crei?
“Si viaggia, si cercano nuove esperienze e si ama. Devo ammettere
che essendo questo lavoro anche
una passione, è difficile staccarsene durante la giornata.”
Sogni nel cassetto?
“Per ora sto vivendo il mio sogno,
non chiedo altro.”
IN MAGAZINE
27
28
IN MAGAZINE
RICORDARE
Non solo
BIZANTINA
LA STORIA PIÙ NOTA DI RAVENNA È LEGATA AL SUO RUOLO
DI CAPITALE BIZANTINA, MA ANCHE IL SACRO ROMANO IMPERO
GERMANICO VIDE LA NOSTRA CITTÀ PROTAGONISTA.
N
di Andrea Casadio / ph Massimo Fiorentini
Nella percezione comune, anche
agli occhi dei suoi stessi abitanti,
Ravenna ha un’identità ben definita: quella di città “bizantina”.
Non è necessario che questo si
traduca in una precisa conoscenza del contesto storico che a tale
termine è sotteso. Ultima capitale
dell’impero romano d’Occidente,
città di Teodorico, capoluogo dei
domini dell’Italia bizantina propriamente detta: nei riflessi dorati dei mosaici si condensa senza
troppe distinzioni l’essenza di un
carattere forgiatosi nelle varie tappe che hanno fatto dei secoli fra
la tarda antichità e l’esordio del
Medioevo il “periodo aureo” della
storia ravennate.
Eppure, limitare quest’ultimo
all’epoca che si chiude con il 751
dopo Cristo è decisamente riduttivo. La caduta definitiva del potere bizantino-esarcale ad opera dei
Longobardi, in quell’anno, fu certo una cesura decisiva nella storia
della città, ma non l’inizio della
decadenza. Lungi dall’eclissarsi
per sempre, lo scettro del potere di
cui Ravenna continuava a essere il
fulcro passò a un’entità diversa e
più autoctona, ma in quel momento non meno importante, e cioè
quella degli arcivescovi. Detentori
di un’autorità al tempo stesso reli-
giosa e civile, nei secoli seguenti i
presuli ravennati furono di fatto i
governanti di una “signoria” territoriale virtualmente indipendente
(sia pure nel quadro del Regno
d’Italia post-carolingio), godendo
al contempo di un prestigio che
giunse perfino a sfidare quello dei
papi di Roma. Fu in questo contesto che, alla metà del X secolo,
iniziò per la vecchia capitale l’ultima fase di vero splendore, ancora una volta legata alla grande
concezione del potere imperiale
così come risorse in quel frangente
storico: il Sacro romano impero germanico della dinastia di
Sassonia.
Protagonisti di quella svolta furono due personaggi di grande carisma: Ottone di Sassonia e l’arcivescovo Pietro. Il primo, re di
Germania e vincitore degli Ungari, gli ultimi barbari che per cinquant’anni avevano atterrito l’Europa con le loro scorrerie, acquisì
in quegli anni la supremazia anche
in Italia sulla base di un progetto
politico dall’ambizione quasi visionaria, quale appunto la ricostituzione dell’Impero. Un obiettivo
raggiunto nel 962, quando venne
solennemente incoronato a Roma
dal pontefice come capo di un organismo che racchiudeva nei suoi
confini l’Europa centrale e il Regno d’Italia (ossia il centro-nord
della penisola). Nel suo disegno, il
sovrano che passò alla storia come
Ottone il Grande trovò uno dei
principali alleati nell’arcivescovo
di Ravenna. La fruttuosa intesa
che Pietro – in quel momento già
da quasi quarant’anni sulla cattedra di S. Apollinare – stabilì con
l’imperatore, inaugurò una solida
tradizione di rapporti privilegiati
fra la città e la dinastia sassone e
significò per Ravenna il ritorno, insieme a Pavia, allo status di capitale del Regno, sia
pure nella particolare accezione
con cui questo concetto può essere
applicato al mondo medievale.
Segno concreto ed emblematico
di tale ruolo fu la costruzione di
un nuovo palazzo imperiale,
l’ultimo a essere edificato in città.
Inaugurato da Ottone nell’aprile del 967 alla presenza del papa
Giovanni XIII, l’edificio sorgeva
appena fuori le mura meridionali, nella zona dell’attuale via dei
Poggi, e fu utilizzato più volte
dall’imperatore nelle sue frequenti visite, soprattutto in occasione
delle festività più solenni (Natale
e Pasqua). Purtroppo, il fatto che
oggi non ne rimanga traccia contribuisce oggettivamente a metIN MAGAZINE
29
IN APERTURA, UNA RAFFIGURAZIONE
DELL’IMPERATORE OTTONE III
ALL’INTERNO DELL’EVANGELIARIO
DI OTTONE III.
30
IN MAGAZINE
tere in ombra la memoria degli
Ottoni nella storia ravennate, così
come congiura a tal fine l’assenza
di altri interventi architettonici di
rilievo in una città che, dal punto di vista monumentale, era già
ampiamente “equipaggiata” dalle realizzazioni tardoantiche. Fu
soprattutto con il giovane Ottone III (che proprio l’arcivescovo
ravennate Giovanni incoronò re
di Germania ancora bambino ad
Aquisgrana alla morte del padre),
che la città visse la sua ultima,
grande stagione imperiale.
Una stagione che, oltre a quello
del sovrano, porta anche il segno
di un’altra personalità d’eccezione:
quella di Gerberto di Aurillac,
il più grande intellettuale della sua
epoca, precettore e consigliere di
Ottone, da questi nominato arcivescovo nel 998. A Ravenna,
Gerberto operò in coerenza con
la sua idea di riforma della Chiesa, nel quadro del grande progetto
politico-culturale della Renovatio
Imperii, ossia della rifondazione
dell’idea imperiale romana sulla
base dello spirito cristiano e della
collaborazione fra il potere politico e quello religioso.
Fu nell’ottica di questo ideale che
un giorno, partendo dal proprio
palazzo ravennate, l’imperatore in
persona cavalcò fra le paludi fino
all’eremo dove un sant’uomo di
nome Romualdo si era ritirato in
preghiera, convincendolo a tornare nel “mondo” per collaborare al
suo progetto. Qualche anno dopo,
in quel luogo Ottone fece costruire un monastero dedicandolo
a S. Adalberto, da poco martirizzato nella missione di cristianizzazione della Polonia. Il monastero divenne così il centro di
irradiazione di un altro obiettivo
che stava assai a cuore al giovane
imperatore, l’evangelizzazione
dell’Europa orientale, e il nucleo di formazione di un nuovo
centro abitato, S. Alberto.
Il grande disegno di Ottone e di
Gerberto trovò il suo culmine
quando, nel 999, l’imperatore impose la nomina dell’arcivescovo
ravennate al soglio papale con il
nome di Silvestro II, il pontefice del nuovo millennio. Fu però
un’illusione di breve durata. Nel
1001 una sommossa dell’aristocrazia romana costrinse infatti
entrambi ad abbandonare la città
sul Tevere, dove non sarebbero
più tornati.
Poco dopo, la scomparsa precoce
tanto di Ottone (morto appena
ventiduenne nel 1002 nei pressi di
Viterbo) quanto di Gerberto (che
gli sopravvisse appena un anno)
sancì il definitivo fallimento del
loro ambizioso progetto. Quello
che restò fu soprattutto l’esperienza di rinnovamento religioso che
A QUEST’EPOCA RISALGONO
ELEMENTI CARATTERISTICI
DELL’EDILIZIA RELIGIOSA
RAVENNATE, COME LE CRIPTE
E I CAMPANILI CILINDRICI: UN
SIMBOLO DI PRESTIGIO PER
LA CHIESA CITTADINA, CHE
RICONFERMÒ L’INDIPENDENZA
DA QUELLA ROMANA.
S. Romualdo continuò a perseguire fino alla fondazione dell’eremo
di Camaldoli e dell’omonimo ordine monastico tuttora esistente.
A Ravenna, l’eredità dei decenni
ottoniani fu il rafforzamento della tradizione imperiale della città,
che si esplicò per tutto l’XI secolo
in una serie di arcivescovi di origine tedesca. E appunto questo è
il dato che più occorre sottolineare nel ripensare alle vicende della
Ravenna ottoniana: il suo rinnovare quello speciale legame con
il mondo germanico e centro-europeo risalente ai tempi
di Teodorico, che è assolutamente
centrale nella storia della città e
che è invece troppo spesso ignorato da una visione che tende a valorizzarne unicamente la dimensione mediterraneo-bizantina. Ma
fu proprio quando quel legame si
stemperò, e infine si ruppe, che
Ravenna si ritrovò – allora sì definitivamente – una piccola città di
provincia dell’Italia medievale.
ESPORRE
Sedotti dal
PASSATO
L’ESPOSIZIONE DEL MAR DI RAVENNA È UN PERCORSO SUGGESTIVO
ATTRAVERSO LE OPERE DEI MAGGIORI ARTISTI DEL NOVECENTO CHE HANNO
RIVISITATO TEMI E OPERE DELL’ANTICHITÀ.
di Gianluca Gatta
32
IN MAGAZINE
I
Il MAR di Ravenna propone fino
al 26 giugno una mostra dedicata
a un percorso che ogni artista si
ritrova prima o poi ad affrontare
nella propria carriera, ovvero la
rilettura in chiave contemporanea di temi e raffigurazioni del
passato, e lo fa con riferimento
specifico all’esperienza artistica
del Novecento.
La seduzione dell’antico, da Picasso a Duchamp, da De Chirico
a Pistoletto propone al visitatore
centoventi opere distribuite
su sette percorsi tematici.
Il primo, Quel non so che di antico e moderno – che trae il titolo
da un discorso di Carlo Carrà
nell’epoca in cui lo sguardo delle
avanguardie cominciò a rivolgersi al passato –, si apre con un’opera di Salvador Dalì che ben può
rappresentare la sintesi dell’intera
mostra: Métamorphose topologique de la Vénus de Milo traversée
par des tiroirs è una rilettura,
appunto, della Venere di Milo
in chiave surrealista con cassetti
aperti che la percorrono in tutta la sua lunghezza. In questa
sezione vale sottolineare inoltre
la presenza di Piazza d’Italia di
Giorgio De Chirico, Il gioco di
scacchi di Massimo Campigli e
Pomona di Marino Marini, un
bronzo trattato in modo da richiamare il marmo antico.
Del 1955 è la terracotta policroma
smaltata di Leoncillo, Il Tevere,
compresa nella sezione su I generi della tradizione che sottolinea
il rinnovato interesse degli
autori del Novecento per la
natura morta, il paesaggio, e
il ritratto. Qui troviamo, tra le
altre opere, Tête d’homme barbu
di Pablo Picasso, olio su tela.
Nella sezione dedicata ai Turbamenti barocchi merita di essere
citata Corrida di Lucio Fontana,
piombo e colore su tela applicata
su tavola, mentre troviamo Oreste
e Pilade di Giorgio De Chirico
nella sezione su Il mito e il sacro.
Qui una grande tela di Gregorio Sciltian, Bacco all’osteria,
mostra il mito antico che
irrompe nel quotidiano con
echi barocchi e, in particolare, caravaggeschi nell’uso
LA MOSTRA ATTRAVERSA
LA STORIA DEL NOVECENTO
DOCUMENTANDO ARTISTI E
VICENDE CHE TESTIMONIANO
UNA RIPRESA DELLA TRADIZIONE
IN UNA RESTITUZIONE
MODERNA DI MODELLI E VALORI
DELL’ANTICO O IN VESTE DI ICONE
CONTEMPORANEE.
della luce e della composizione
delle figure.
Seguono le sezioni Archeologie –
con una rilettura di Leoncillo del
noto sarcofago etrusco degli sposi
in Amanti Antichi –, Citazioni –
con la popolarissima Monna Lisa
con baffi e pizzetto di Marcel Duchamp in L’envers de la peinture
– e L’attualità dell’antico, dove
troviamo, tra l’altro, La Venere
degli stracci di Michelangelo Pistoletto e Details of Renaissance
Paintings di Andy Warhol, una
rilettura pop della Nascita di Venere di Sandro Botticelli.
A SINISTRA, GIULIO PAOLINI, “MIMESI”,
1975; SOPRA, MARCEL DUCHAMP,
“L’ENVERS DE LA PEINTURE”, 1955.
IN MAGAZINE
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34
IN MAGAZINE
COSTRUIRE
Ingegneria
AD ARTE
A CERVIA C’È UNA CASA UN PO’ SPECIALE, IN CUI SI VEDONO SPERIMENTATE
TECNICHE INGEGNERISTICHE ORIGINALI E ALL’AVANGUARDIA, PER DARE VITA
A UNA DIMORA CHE UNISCA DESIGN E ARMONIA CON L’AMBIENTE.
di Annalisa Balzoni / ph Giorgio Sabatini
L
L’arte nell’edilizia ha un significato ben preciso: è il modo corretto di portare a termine una
lavorazione, secondo i dettami
del buon costruire. Nella storia
dell’architettura troviamo manuali come il De Architettura di
Vitruvio o il De re Aedificatoria
di Leon Battista Alberti, scritto
in pieno Rinascimento dove le
regole del costruire sono dettate
principalmente dal buon senso,
dalla coscienza e dall’esperienza,
dalla conoscenza e dalla ricerca,
unite a “un umano sentire”.
Questa premessa serve da apertura al nostro articolo. Per la prima
volta infatti viene proposta l’analisi dello studio e dell’elemento tecnico che sono da supporto
all’opera. A volte nello scrivere su
una dimora non ci si sofferma sulla parte strutturale; l’occhio del
lettore vuole e desidera vedere
l’oggetto terminato e definito in
ogni suo particolare. Oggi si vuole evidenziare come una tecnologia costruttiva può diventare
un elemento architettonico
anche se rimane nascosto all’occhio umano; si vuole sposare l’ingegneria con l’architettura. Tutto
nasce da un incontro, dalla visita
a una bellissima e moderna
dimora situata a Cervia e da
una semplice domanda: “Come
fa a star su?”
La risposta mi è stata data dall’ingegner Antonio Farolfi di Forlì, insegnante e strutturista, allievo del
noto ingegnere forlivese Vincenzo
Collina. Una chiacchierata che è
diventata una lezione affascinante di tecnica e di professionalità,
a tratti divertente, soprattutto nel
notare come una tecnologia sia
così amata. Tutto ruota attorno
alla precompressione, tecnica storica ma che ha visto la sua
applicazione e il suo riconoscimento ufficiale nel XX secolo.
Nel 1933, nell’articolo Ideés et
voies nouvelles il costruttore Eugene Freyssinet per la prima volta
lasciò traccia scritta della parola
precontrainte, neologismo che
definirà per tutti gli anni successivi la tecnica della precompressione. I primi tentativi di realizzare
opere in calcestruzzo armato precompresso risalgono al 1888 ad
opera di Doering. I primi risultati
soddisfacenti furono ottenuti applicando la presollecitazione nella
SOPRA E IN APERTURA, DUE SCORCI
DELL’ESTERNO DELL’ABITAZIONE
CERVESE IN CUI SI COLGONO I VOLUMI
AGGETTANTI REALIZZATI GRAZIE
ALLA PRECOMPRESSIONE.
36
IN MAGAZINE
produzione di tubi in calcestruzzo
ad opera della ditta italiana Vianini, nel 1925. L’intento comune
era quello di applicare una precompressione per evitare o ridurre la fessurazione del calcestruzzo, ignorando altri aspetti statici
del procedimento. I concetti base
della moderna precompressione
furono ideati da Freyssinet, che
nel 1928 ne depositò il brevetto.
Lo stesso ideatore dal 1936 utilizzò la tecnica della precompressione pressoché per tutte le opere.
Nell’ottobre 1950 quattro ingegneri, l’italiano Rinaldi, l’olandese Bruggeling, l’inglese Gooding
e lo spagnolo Conde, richiesero
ufficialmente la formazione di
una specifica federazione internazionale, che venne costituita due
anni dopo. Da allora la precompressione ebbe la definitiva affermazione e la debita divulgazione
negli ambienti interessati.
L’ingegner Farolfi ama la precompressione, ama il suo utilizzo, poiché permette di risolvere i
problemi della deformabilità delle
strutture e consente la realizzazione di strutture leggere, riducendo
gli spessori e di conseguenza l’impatto ambientale e architettonico.
Il principio costruttivo funziona
come le assi di legno delle botti
utilizzate per il vino: queste prima dell’utilizzo vengono bagnate
e il legno si dilata chiudendo le
fessure tra un’asse e l’altra. Così
funziona la precompressione: cavi
inseriti all’interno della struttura
da realizzare in cemento, dopo
la gettata gli stessi cavi vengono tesi vincendo tutte le forze e
consentendo la realizzazione
di grandi aggetti con piccoli
spessori.
È il caso di questi volumi, aggetti
di diversi metri di profondità, corpi che rimangono sospesi, non vi
sono pilastri a sorreggerli, non vi
sono muri di sostegno; il risultato
è una forma geometrica che
si sposa con l’ambiente. Per il
nostro territorio rappresenta un
caso raro soprattutto per edilizia residenziale, anche se questa
tecnica di costruzione ha trovato
esempi meravigliosi in architettura residenziale come la “casa sulla
cascata” di Frank Lloyd Wright.
Ci si è voluti soffermare su questo
esempio d’ingegneria, per sottolineare che osare è indice d’intelligenza, specialmente quando
si possiede una coscienza professionale che va oltre certi schematismi, troppo spesso alla base di
molte progettazioni.
LA CULTURA DEL BUON
COSTRUIRE DEVE
CARATTERIZZARE IL NOSTRO
PATRIMONIO ARCHITETTONICO.
IL RISPETTO VERSO IL
TERRITORIO È UN VALORE
ESSENZIALE, OPERARE SECONDO
TALE VALORE È BASILARE
E OBBLIGATORIO.
RAFFIGURARE
I colori della
SARAGHINA
UN’INTERPRETAZIONE ORIGINALE DELLA TECNICA MUSIVA È QUELLA
PROPOSTA DA ANNA FINELLI, CHE HA RIPROPOSTO IN MOSAICO UN’ICONA
DELLA TRADIZIONE ROMAGNOLA COME LA SARAGHINA.
L
di Aldo Savini / ph Lidia Bagnara
La Galleria d’arte e di antiquariato aperta nel centro di Ravenna
nel 1958 da Anna Fietta veniva
acquisita nel 1998 dalla nipote
Anna Finelli che, senza tradire
lo spirito culturale, artistico e
imprenditoriale della nonna, l’ha
trasformata nell’atelier annaFietta.it, convertito all’arte musiva. Dal n. 5 di via Argentario
quattro anni fa si è trasferita al n.
21, proprio di fronte alla basilica
di San Vitale. In occasione della
visita a Ravenna del Presidente
38
IN MAGAZINE
della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2011 per i 150 anni
dell’Unità d’Italia ha realizzato
su di una lamina di rame ondulata il tricolore in formati diversi
e riproducibile. La sua presenza
discreta nel centro storico della
città è segnalata dalle targhe toponomastiche eseguite a partire
dal 2009, con al centro l’indicazione del luogo su ceramica e ai
lati due bande evocative in mosaico per le quali sono stati utilizzati smalti bizantini, murrine,
vetri specchiati e ori. Il colore
dominante trae ispirazione dal
luogo di collocazione mentre la
componente decorativa riprende
spunti iconografici dalle basiliche
paleocristiane a cui si associano
immagini ordinarie di pesci, imbarcazioni, conchiglie, ma anche
fiori o semplici motivi geometrici.
Ho incontrato Anna Finelli per
una breve conversazione.
Cosa resta del mosaico bizantino nella sua produzione che ha una connotazione
non solo artistica ma anche
commerciale?
“Del mosaico bizantino resta
molto. Amo definirmi un’abile
artigiana proprio perché il mio
lavoro è improntato alla restituzione su piccoli oggetti di arredamento della storia che ci hanno
lasciato i bizantini. Mantengo lo
spirito dell’arte musiva incollando
le tessere con la colla cemento che
costituisce una base a intonaco e
lasciando libera la fuga, senza
stuccarla come allora, perché la
luce che corre tra le tessere di
vetro rende i chiaroscuri più efficaci e questo distingue il nostro
mosaico.”
L’oggettistica da arredamento o da souvenir in mosaico può avere un ruolo nel-
la diffusione dell’immagine
di Ravenna?
“Il mio lavoro si fonda sulla convinzione che questi piccoli oggetti, come specchiere, bomboniere
e regali, restino nelle mani di coloro che sono venuti a visitare i
nostri mosaici antichi, e ne ricreino attraverso le cromie e i sapori
materici un’eco, tanto che molto
spesso quando ritornano fanno
visita al mio atelier.”
Come si colloca nel contesto
artistico dei mosaicisti ravennati?
“Sono un pesce fuor d’acqua, ho
fatto l’università, studiato storia
antica, praticato il restauro archeologico prima di dedicarmi al
mosaico, per cui questa diversità
di formazione è evidente, però
penso che abbia portato qualcosa
di nuovo a questa arte.”
Evidenti gli apprezzamenti
delle istituzioni che le hanno
commissionato, tra l’altro,
targhe toponomastiche e
medaglie commemorative;
non sono mancate però le
critiche per un uso originale
e innovativo, quasi consumistico, della tecnica musiva.
“Ammetto che non si può piacere
a tutti, ho avuto l’idea di portare
il mosaico nei piccoli oggetti, non
vengo dalla scuola del mosaico,
e questo si nota, però le critiche
le ho trovate spesso gratuite. Comunque, uso le paste vitree e sono
molto fedele nel riproporre le atmosfere bizantine.”
Mi sembra che abbia un indiscutibile rispetto della tradizione anche nei suoi contenuti e nei suoi significati, come
dimostra il lavoro sulla saraghina, immagine che affonda nell’immaginario collettivo nostrano, che ha portato
alla mostra “Saraghine nella notte”, inserita nel programma del Festival Internazionale del Mosaico 2015.
“L’idea è nata dall’amore per i
pesci, li ho sempre osservati viaggiando nelle città vicine al mare.
Ho visto pesci realizzati con le
tecniche artigianali locali, quindi
mi è sembrato un omaggio e un
contributo alla nostra tradizione
rappresentare in mosaico questo
semplice pesce, scegliendo anche
il nome dialettale che viene dato
alle sardine. Ho scelto la stessa
forma del pesce per poi decorarla in mille modi diversi, cosicché
ogni esemplare è originale e singolare e rappresenta la cifra stilistica ed estetica del mio modo di
lavorare.”
RESTAURARE
Il mago delle
DUE RUOTE
GRAZIANO FERRINI NON È SOLO UN RESTAURATORE DI MOTO,
È ANCHE UN GRANDE APPASSIONATO E FINE COLLEZIONISTA, ATTENTO
ALLA STORIA DI CIASCUN ESEMPLARE.
S
di Giorgio Pereci / ph Giorgio Sabatini
Si chiama Butega ad Grazien,
dalla sabbiatura al filetto ed è
un’officina di Ravenna dove le
moto rivivono grazie alle mani
sapienti di Graziano Ferrini,
diventato professionista dopo
anni da semplice appassionato.
“Avevo tredici anni quando ho
messo a posto il motore di mio
nonno. Non avevo un’idea di nulla. Eppure lo restaurai dalla A
alla Z e una volta messo in moto
capii che quella sarebbe stata la
mia professione. Ho cominciato
restaurando le mie moto a tempo
perso, nelle ore serali, poi sono
passato a quelle degli amici, degli
40
IN MAGAZINE
amici degli amici... ho visto che
c’era richiesta e allora mi sono
detto ‘proviamo’. E oggi sono più
di vent’anni che faccio questo mestiere.”
Il nome della bottega fa riferimento alla prima fase di
restauro. Si parte infatti da una
sabbiatura a bassa pressione a tutte le parti verniciate, per evitare
il surriscaldamento delle lamiere,
eventuale conseguenza di deformazioni. Dopodiché si applica
una mano di primer epossidico,
controllando su tutta la carrozzeria se sono presenti ammaccature, tagli o fori e sistemando il tutto
senza l’uso di stucco. Poi si passa a
una leggera carteggiata al tutto e
si procede con due mani di fondo
a spessore e poi una terza mano
a maschera – che è una velatura
di un altro colore che permette
di rilevare piccole imperfezioni al
momento dell’ultima carteggiatura –, per terminare con una seconda carteggiata con carta fine
prima di passare alla verniciatura
a forno.
Per il blocco motore Graziano Ferrini procede smontando fino alla più piccola vite.
Le parti di motore e telaio da
cromare vengono ricromate. La
frizione viene sempre cambiata.
Tutti i cuscinetti sono tolti e sostituiti assieme a paraoli e guarnizioni. Testa e cilindro vengono
controllati e rettificati oppure
tamponati, nel caso siano ancora
in buono stato. Una volta che è
stato rigenerato il tutto, si procede al montaggio e spessoraggio
del blocco. La stessa procedura
si applica al carburatore, a mozzi
e ruote.
Quando gli chiedo quali sono le
moto più difficili da restaurare
non ha dubbi, sono quelle inglesi sia perché i pezzi sono difficili
da trovare, sia perché le misure
sono in pollici. E la più antica?
Un BSA Black Star del 1933, di
un proprietario di Forlì.
Ferrini è anche un collezionista:
possiede oltre trecento moto, mai
esposte integralmente al pubblico. “Copro gli anni dal 1920 al
1990. E ogni moto è un esemplare, con una storia particolare per
la casa che l’ha prodotta. Non ho
però Vespe e Lambretta, non le
posso vedere, anche perché sono
troppo inflazionate: hanno raggiunto cifre, in termini di costo,
che non sono giustificabili. Invece
la moto che ha più valore è una
Moto Bianchi del 1921: la prima
moto uscita dallo stabilimento
Bianchi.”
VINCERE
Ragazze nel
PALLONE
CON ENTUSIASMO E VOGLIA DI METTERSI ALLA PROVA
LA COMPAGINE CALCISTICA FEMMINILE DEL SAN ZACCARIA-RAVENNA
È ARRIVATA FINO ALLA SERIE A.
L
L’USD (Unione Sportiva Dilettantistica) San Zaccaria-Ravenna calcio femminile è da
tanti anni una realtà consolidata
sia nel territorio ravennate che
nel panorama calcistico nazionale. La società fu fondata nel 1986
da Silvano Fantini, un signore di
San Zaccaria, che diede la possibilità alle ragazze del piccolo
paese alle porte di Ravenna di
poter giocare a pallone. Per tanti
anni la squadra ha navigato nelle
categorie minori tra serie D e serie C fino alla stagione 2008/09,
quando con la presidenza di
Loris Suprani ha conquistato la
promozione in serie B. All’inizio
del campionato 2009/10 diventa
presidente della società Rinaldo
Macori, legato all’ambiente del
San Zaccaria per aver giocato
nella squadra di calcio maschile.
42
IN MAGAZINE
di Michele Virgili
“Nel 2009 è iniziata questa bella
avventura - ricorda Macori - con
Fausto Lorenzini come direttore
sportivo e Mirko Balacich allenatore. Anno indimenticabile, con
ragazze quasi tutte della zona di
Ravenna abbiamo vinto la serie
B. Dopo tre stagioni tra serie
A2 e B arriviamo alla stagione
2013/14 quando abbiamo dominato il campionato cadetto e con
il primo posto siamo stati promossi nella serie A nazionale”.
La squadra è allenata da Marinella Piolanti, vera icona
del calcio femminile, che nella
sua lunga carriera, durata più di
vent’anni, ha indossato anche la
maglia del Milan. “È una grande opportunità poter allenare in
serie A - commenta la Piolanti non mi aspettavo una possibilità
così grande. Inizialmente non è
stato facile passare da compagna
di squadra ad allenatore, ora sono
contenta. La squadra è valida con
tante ragazze giovani, possiamo
toglierci delle soddisfazioni”.
Mediamente sugli spalti sono presenti circa trecento spettatori, la
tribuna è stata completamente
ristrutturata grazie al contributo
del Comune e della Fondazione
Cassa di Risparmio. Accanto alla
prima squadra è presente un bel
settore giovanile nato nel 2010,
la rosa della primavera è composta da ventotto giocatrici. “È
una risorsa fondamentale con
tanti margini di miglioramento
- riprende Macori -, la nostra politica è basata sulla crescita delle
ragazze più giovani che rappresentano il nostro futuro”.
Un notevole motivo di soddisfazione per la società biancorossa
arriva dalle sette ragazze che
sono già entrate nel giro delle nazionali: Luisa Pugnali, Azzurra
Principi e Linda Tucceri in quella
maggiore, nell’under 19 Martina
Piemonte e Amanda Tampieri,
nell’under 17 Erika Santoro e
Linda Casadio. Da quest’anno la
società ha iniziato una collaborazione anche con le scuole medie
della provincia di Ravenna per
avvicinare le ragazze al calcio.
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Leggende, tradizioni, luoghi e miti che fanno della Romagna una terra di storie tutte da scoprire.
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UNA MASCHERA CARNEVALESCA... SINGOLARE TERRA DI ARDORE E DI BATTAGLIA; DI GAIEZZA
E DI VIOLENZA; DI AMORI E DI ODI FULMINEI; DI APATIE E DI ATTIVITÀ FORMIDABILI.”
(A. Beltramelli)
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