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FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI
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Umberto Profazio
Francia: le motivazioni dell’intervento in Mali
Pubblicato in: Equilibri.net
Febbraio 2013
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FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI
1. Introduzione
La notizia dell’entrata delle forze francesi nella città di Kidal, il 30
gennaio, è stata salutata come un grosso successo nelle operazioni di
riconquista del territorio maliano. La città, situata nel nord del Mali,
era considerata l’ultimo grande centro urbano ancora nelle mani degli
islamisti, che hanno preferito abbandonarla e rifugiarsi verso nord,
mentre le truppe francesi e maliane prendevano il controllo
dell’aeroporto e degli altri punti strategici. La conquista di Kidal
rappresenta un grosso successo per l’operazione guidata da Parigi, che
nel giro di tre settimane è riuscita a riconquistare buona parte del
territorio maliano. L’ampia coalizione internazionale, con la presenza
di diversi contingenti africani, e la superiorità tecnologica francese, ha
avuto rapidamente ragione dei terroristi islamici, ripetutamente
sconfitti sul terreno.
Tuttavia, mentre non vi sono ragioni di dubitare di una vittoria della
coalizione di forze guidata dalla Francia (almeno nel breve periodo),
molti più dubbi sorgono sulle reali ragioni dell’attacco francese.
L’intervento umanitario è stato spesso ventilato come giustificazione
di fondo e, dal punto di vista etico, si tratta di una motivazione
pienamente giustificabile. Le atrocità compiute dai terroristi dal punto
di vista umano e culturale sono ben note, ma quello che qui ci interessa
è di valutare le ragioni di stato che hanno convinto Parigi ad accettare
di guidare una missione rischiosa per la storia recente del Mali e per
gli interessi strategici e di sicurezza della Francia.
2. Il retaggio coloniale e la Francafrique
Molto si è scritto e si è detto riguardo ai legami che legano la Francia
al Mali e, più in generale, alla regione del Sahel. Colonia di Parigi dal
1883, nell’ambito dell’Africa occidentale francese, il Mali ottenne
l’indipendenza durante il periodo della decolonizzazione, nel 1960. I
rapporti con Parigi restarono sempre stretti, così come tutte le ex
colonie francesi, dal punto di vista economico, politico e culturale. Per
tali motivazioni, da più parti l’operazione francese è stata criticata
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come un classico esempio di neocolonialismo, d’intervento diretto
negli affari interni di un’ex colonia. La giustificazione di una richiesta
diretta del governo del Mali per un intervento a guida esterna non
sembra giustificare pienamente l’operazione francese.
La risoluzione dell’ONU 2071 del 12 ottobre scorso, approvata anche
grazie al voto francese, disponeva un intervento militare guidato dagli
Stati africani entro 45 giorni. L’iniziativa era demandata all’Economic
Community of West African States (ECOWAS) ed all’Unione Africana
(UA), di cui la Francia non fa di certo parte.
I sospetti di un intervento francese dai connotati neocolonialisti
sembrano tuttavia eccessivi. Nonostante la missione francese non sia
formalmente legittima, essa risponde pienamente allo spirito della
risoluzione, anche perché ECOWAS ed UA non sono stati in grado di
organizzare un piano di azione per intervenire nella crisi maliana nel
termine temporale indicato dalla risoluzione stessa. Qualche dubbio
sembra invece sollevare la difficile posizione della Francia nei rapporti
con le sue ex colonie nell’Africa centrale.
Proprio l’11 gennaio, infatti, è stato fermato un cessate il fuoco nella
Repubblica Centroafricana (RCA) tra i ribelli della coalizione Séléka
ed il governo di Bangui. L’accordo prevede la formazione di un
governo di un’unità nazionale e la fine dei combattimenti tra le due
parti. Nonostante il Presidente francese François Hollande abbia
rifiutato l’intervento diretto della Francia per sedare la ribellione,
richiesto da Presidente della RCA François Bozizé, l’accordo potrebbe
aver limitato gli spazi di manovra francesi nel Paese, minandone il
ruolo e l’immagine a Bangui. Un’ulteriore chiave di lettura è quindi
che la possibile perdita di posizioni di Parigi all’interno del sistema ex
coloniale, sia quindi la premessa dell’intervento in Mali, per
confermare la duratura rilevanza della presenza francese in Africa.
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FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI
3. La frontiera islamista
Un altro motivo che potrebbe aver spinto la Francia a intervenire con
le sue truppe nella guerra civile in corso in Mali è senza dubbio il
pericolo del diffondersi del terrorismo di matrice islamica nell’intera
regione del Sahel. L’attacco francese è stato deciso infatti subito dopo
la presa di Konna da parte della coalizione a guida fondamentalista.
L’importanza strategica di tale città, e la possibilità che potesse essere
l’avamposto da cui lanciare l’attacco verso la capitale Bamako, ha fatto
temere il crollo dell’intero Paese e una vittoria dei fondamentalisti
islamici.
L’Economist titolava qualche settimana fa “Afrighanistan”, e la
costituzione di una sorta di Afghanistan nel cuore dell’Africa, a pochi
chilometri di distanza dai turbolenti Stati del Nord Africa, resi instabili
dai rovesci della primavera araba, poteva portare a conseguenze
imprevedibili. La progressiva presa di potere nel Nord Africa da parte
dell’Islam politico e le sue difficoltà nell’affermarsi all’interno delle
istituzioni statali (vedi Egitto, Tunisia, la stessa Libia), poteva essere
influenzato dall’affermazione di una sorta di “rogue State” nel quale
l’Islam era arrivato velocemente al potere senza alcun tipo di
confronto democratico. Un rischio contagio che a Parigi e nelle
maggiori capitali europee non poteva non essere preso in
considerazione, anche se occorre precisare alcuni punti fondamentali.
Le responsabilità delle principali potenze europee, e di conseguenza
della Francia in maniera particolare, nell’attuale crisi maliana è più che
evidente. Anni di disinteresse ed indifferenza verso ciò che accadeva
nel Paese hanno portato al colpo di Stato del marzo scorso a Bamako,
ed al tentativo di secessione da parte del nord del Paese.
Il moltiplicarsi dei gruppi terroristi e la progressiva costituzione di
una base qaedista nel nord del Mali avrebbe dovuto allarmare i Paesi
occidentali ben prima dell’intervento francese del gennaio scorso:
Ansar Dine, il Movimento per l’Unità ed il Jihad nell’Africa
Occidentale (Mujao) ed al-Qaeda nel Maghreb Islamico non si sono
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formate dal nulla ed hanno trovato nella debolezza istituzionale del
Mali e degli Stati dell’Africa settentrionale il posto migliore per
espandere le loro attività ed il proselitismo.
Inoltre il recente intervento occidentale in Libia ha avuto serie
ripercussioni su molti dei suddetti Stati, sia in termini di diffusione del
fondamentalismo islamico e dell’islamismo politico in generale; sia, in
termini reali ed oggettivi, di traffico di armi ed esplosivi dalla Libia
verso gli Stati confinanti e vicini. Molti tuareg che hanno combattuto
in Libia al fianco di Gheddafi sono rientrati nei loro Paesi di origine
(tra cui il Mali); e secondo un’indagine di Magharebia, il traffico di
armi provenienti dalla Libia ammonta a più di 10.000 armi da fuoco e
circa 2.000 RPG.
Per di più l’intervento francese in Mali ha causato un altro effetto
collaterale. Le minacce dei gruppi fondamentalisti nei confronti di
obiettivi francesi in Nord Africa e nella stessa Francia, hanno alzato il
livello di allerta da parte dei servizi di sicurezza su obiettivi sensibili
e non. Ed il recente attacco all’impianto algerino di In Amenas,
giustificato dai terroristi come una reazione all’intervento francese in
Mali, evidenzia le possibilità di cui dispongono i gruppi estremisti,
soprattutto in luoghi dove le misure di sicurezza sono scarse od
approssimative.
4. Conclusioni: un successo politico
Senza esaminare approfonditamente considerazioni ulteriori ma
fondamentali nella scelta di Parigi, quali la presenza di risorse
energetiche e strategiche in Mali e nei Paesi confinanti, occorre dire
che l’operazione Serval si è conclusa con un successo. Il 2 febbraio, il
Presidente francese Hollande ha ricevuto un’accoglienza trionfale a
Bamako, dopo circa 6 giorni dalla liberazione della capitale e dopo 3
settimane dall’inizio dell’offensiva francese. Dal punto di vista
militare l’intervento francese è stato decisivo, la riconquista del
territorio è in via di completamento ed i gruppi terroristi sono in fuga
dal Paese.
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FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI
Bisognerà vedere se con la futura uscita di scena dei francesi dal Paese
la situazione non tenderà a precipitare nuovamente. Ma è dal punto
di vista politico che il successo è stato rilevante per la Francia e
soprattutto per Hollande. L’intervento in Mali ha dato nuovo vigore
alla figura presidenziale, in realtà un po’ appannata dopo pochi mesi
dalla sua elezione.
Il suo indice di gradimento era sceso al 36% nel corso del mese di
novembre e da più parti veniva criticata la sua azione politica in
Europa e la sua cronica indecisione nelle scelte politiche interne ed
esterne. L’operazione in Mali quindi potrebbe aver ridato finalmente
slancio all’azione presidenziale. Per cui, nonostante tutte le
motivazioni elencate in precedenza possano essere considerate
sicuramente valide, le ragioni di politica interna potrebbero essere
state addirittura prioritarie nella decisione di intervenire in Mali. Il
paragone con l’azione di Sarkozy in Libia nel 2011 potrebbe non essere
del tutto azzardato.
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