francia: le motivazioni dell`intervento in mali
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FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI ______________________________________________________________________________________ Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 00145 Roma Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected] Umberto Profazio Francia: le motivazioni dell’intervento in Mali Pubblicato in: Equilibri.net Febbraio 2013 ______________________________________________________________________________________ Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 00145 Roma Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected] FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI 1. Introduzione La notizia dell’entrata delle forze francesi nella città di Kidal, il 30 gennaio, è stata salutata come un grosso successo nelle operazioni di riconquista del territorio maliano. La città, situata nel nord del Mali, era considerata l’ultimo grande centro urbano ancora nelle mani degli islamisti, che hanno preferito abbandonarla e rifugiarsi verso nord, mentre le truppe francesi e maliane prendevano il controllo dell’aeroporto e degli altri punti strategici. La conquista di Kidal rappresenta un grosso successo per l’operazione guidata da Parigi, che nel giro di tre settimane è riuscita a riconquistare buona parte del territorio maliano. L’ampia coalizione internazionale, con la presenza di diversi contingenti africani, e la superiorità tecnologica francese, ha avuto rapidamente ragione dei terroristi islamici, ripetutamente sconfitti sul terreno. Tuttavia, mentre non vi sono ragioni di dubitare di una vittoria della coalizione di forze guidata dalla Francia (almeno nel breve periodo), molti più dubbi sorgono sulle reali ragioni dell’attacco francese. L’intervento umanitario è stato spesso ventilato come giustificazione di fondo e, dal punto di vista etico, si tratta di una motivazione pienamente giustificabile. Le atrocità compiute dai terroristi dal punto di vista umano e culturale sono ben note, ma quello che qui ci interessa è di valutare le ragioni di stato che hanno convinto Parigi ad accettare di guidare una missione rischiosa per la storia recente del Mali e per gli interessi strategici e di sicurezza della Francia. 2. Il retaggio coloniale e la Francafrique Molto si è scritto e si è detto riguardo ai legami che legano la Francia al Mali e, più in generale, alla regione del Sahel. Colonia di Parigi dal 1883, nell’ambito dell’Africa occidentale francese, il Mali ottenne l’indipendenza durante il periodo della decolonizzazione, nel 1960. I rapporti con Parigi restarono sempre stretti, così come tutte le ex colonie francesi, dal punto di vista economico, politico e culturale. Per tali motivazioni, da più parti l’operazione francese è stata criticata 1 Umberto Profazio come un classico esempio di neocolonialismo, d’intervento diretto negli affari interni di un’ex colonia. La giustificazione di una richiesta diretta del governo del Mali per un intervento a guida esterna non sembra giustificare pienamente l’operazione francese. La risoluzione dell’ONU 2071 del 12 ottobre scorso, approvata anche grazie al voto francese, disponeva un intervento militare guidato dagli Stati africani entro 45 giorni. L’iniziativa era demandata all’Economic Community of West African States (ECOWAS) ed all’Unione Africana (UA), di cui la Francia non fa di certo parte. I sospetti di un intervento francese dai connotati neocolonialisti sembrano tuttavia eccessivi. Nonostante la missione francese non sia formalmente legittima, essa risponde pienamente allo spirito della risoluzione, anche perché ECOWAS ed UA non sono stati in grado di organizzare un piano di azione per intervenire nella crisi maliana nel termine temporale indicato dalla risoluzione stessa. Qualche dubbio sembra invece sollevare la difficile posizione della Francia nei rapporti con le sue ex colonie nell’Africa centrale. Proprio l’11 gennaio, infatti, è stato fermato un cessate il fuoco nella Repubblica Centroafricana (RCA) tra i ribelli della coalizione Séléka ed il governo di Bangui. L’accordo prevede la formazione di un governo di un’unità nazionale e la fine dei combattimenti tra le due parti. Nonostante il Presidente francese François Hollande abbia rifiutato l’intervento diretto della Francia per sedare la ribellione, richiesto da Presidente della RCA François Bozizé, l’accordo potrebbe aver limitato gli spazi di manovra francesi nel Paese, minandone il ruolo e l’immagine a Bangui. Un’ulteriore chiave di lettura è quindi che la possibile perdita di posizioni di Parigi all’interno del sistema ex coloniale, sia quindi la premessa dell’intervento in Mali, per confermare la duratura rilevanza della presenza francese in Africa. 2 FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI 3. La frontiera islamista Un altro motivo che potrebbe aver spinto la Francia a intervenire con le sue truppe nella guerra civile in corso in Mali è senza dubbio il pericolo del diffondersi del terrorismo di matrice islamica nell’intera regione del Sahel. L’attacco francese è stato deciso infatti subito dopo la presa di Konna da parte della coalizione a guida fondamentalista. L’importanza strategica di tale città, e la possibilità che potesse essere l’avamposto da cui lanciare l’attacco verso la capitale Bamako, ha fatto temere il crollo dell’intero Paese e una vittoria dei fondamentalisti islamici. L’Economist titolava qualche settimana fa “Afrighanistan”, e la costituzione di una sorta di Afghanistan nel cuore dell’Africa, a pochi chilometri di distanza dai turbolenti Stati del Nord Africa, resi instabili dai rovesci della primavera araba, poteva portare a conseguenze imprevedibili. La progressiva presa di potere nel Nord Africa da parte dell’Islam politico e le sue difficoltà nell’affermarsi all’interno delle istituzioni statali (vedi Egitto, Tunisia, la stessa Libia), poteva essere influenzato dall’affermazione di una sorta di “rogue State” nel quale l’Islam era arrivato velocemente al potere senza alcun tipo di confronto democratico. Un rischio contagio che a Parigi e nelle maggiori capitali europee non poteva non essere preso in considerazione, anche se occorre precisare alcuni punti fondamentali. Le responsabilità delle principali potenze europee, e di conseguenza della Francia in maniera particolare, nell’attuale crisi maliana è più che evidente. Anni di disinteresse ed indifferenza verso ciò che accadeva nel Paese hanno portato al colpo di Stato del marzo scorso a Bamako, ed al tentativo di secessione da parte del nord del Paese. Il moltiplicarsi dei gruppi terroristi e la progressiva costituzione di una base qaedista nel nord del Mali avrebbe dovuto allarmare i Paesi occidentali ben prima dell’intervento francese del gennaio scorso: Ansar Dine, il Movimento per l’Unità ed il Jihad nell’Africa Occidentale (Mujao) ed al-Qaeda nel Maghreb Islamico non si sono 3 Umberto Profazio formate dal nulla ed hanno trovato nella debolezza istituzionale del Mali e degli Stati dell’Africa settentrionale il posto migliore per espandere le loro attività ed il proselitismo. Inoltre il recente intervento occidentale in Libia ha avuto serie ripercussioni su molti dei suddetti Stati, sia in termini di diffusione del fondamentalismo islamico e dell’islamismo politico in generale; sia, in termini reali ed oggettivi, di traffico di armi ed esplosivi dalla Libia verso gli Stati confinanti e vicini. Molti tuareg che hanno combattuto in Libia al fianco di Gheddafi sono rientrati nei loro Paesi di origine (tra cui il Mali); e secondo un’indagine di Magharebia, il traffico di armi provenienti dalla Libia ammonta a più di 10.000 armi da fuoco e circa 2.000 RPG. Per di più l’intervento francese in Mali ha causato un altro effetto collaterale. Le minacce dei gruppi fondamentalisti nei confronti di obiettivi francesi in Nord Africa e nella stessa Francia, hanno alzato il livello di allerta da parte dei servizi di sicurezza su obiettivi sensibili e non. Ed il recente attacco all’impianto algerino di In Amenas, giustificato dai terroristi come una reazione all’intervento francese in Mali, evidenzia le possibilità di cui dispongono i gruppi estremisti, soprattutto in luoghi dove le misure di sicurezza sono scarse od approssimative. 4. Conclusioni: un successo politico Senza esaminare approfonditamente considerazioni ulteriori ma fondamentali nella scelta di Parigi, quali la presenza di risorse energetiche e strategiche in Mali e nei Paesi confinanti, occorre dire che l’operazione Serval si è conclusa con un successo. Il 2 febbraio, il Presidente francese Hollande ha ricevuto un’accoglienza trionfale a Bamako, dopo circa 6 giorni dalla liberazione della capitale e dopo 3 settimane dall’inizio dell’offensiva francese. Dal punto di vista militare l’intervento francese è stato decisivo, la riconquista del territorio è in via di completamento ed i gruppi terroristi sono in fuga dal Paese. 4 FRANCIA: LE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO IN MALI Bisognerà vedere se con la futura uscita di scena dei francesi dal Paese la situazione non tenderà a precipitare nuovamente. Ma è dal punto di vista politico che il successo è stato rilevante per la Francia e soprattutto per Hollande. L’intervento in Mali ha dato nuovo vigore alla figura presidenziale, in realtà un po’ appannata dopo pochi mesi dalla sua elezione. Il suo indice di gradimento era sceso al 36% nel corso del mese di novembre e da più parti veniva criticata la sua azione politica in Europa e la sua cronica indecisione nelle scelte politiche interne ed esterne. L’operazione in Mali quindi potrebbe aver ridato finalmente slancio all’azione presidenziale. Per cui, nonostante tutte le motivazioni elencate in precedenza possano essere considerate sicuramente valide, le ragioni di politica interna potrebbero essere state addirittura prioritarie nella decisione di intervenire in Mali. Il paragone con l’azione di Sarkozy in Libia nel 2011 potrebbe non essere del tutto azzardato. 5