Un punto di vista della teologia morale

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Un punto di vista della teologia morale
GIORNATA DI STUDIO INTERDISCIPLINARE
Milano, 11 maggio 2015
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Un punto di vista della teologia morale
Prof. Maurizio CHIODI
breve riflessione non si propone di
Questa
elaborare in proprio una riflessione teologi-
quindi dato a prescindere dall’etico e dunque
dalla decisione personale, senza che questa entri
in alcun modo a determinarlo.
Infine, ma non da ultimo, Angelini sottolinea
come l’interpretazione ‘fisica’ o naturalistica
dell’indissolubilità non trovi argomenti convincenti nella Sacra Scrittura. A questo proposito,
proporrei qui di riprendere la famosa questione
della clausola matteana (Mt 19,9 e 5,32). Questo
inciso, assente nei paralleli di Lc 16,18 e Mc
10,11-12, è un intervento specifico, aggiunto
dall’evangelista. Come tale, esso può essere facilmente collocato al livello di una regola comunitaria, disciplinare e ‘giuridica’, legata alla
situazione concreta della chiesa matteana. Invece che trovare una contraddizione tra il versetto
che proibisce il ripudio e quello successivo che
prevede un’eccezione dovremmo piuttosto riconoscere la differenza delle due formule, pur
mantenendo tra di esse un legame costitutivo. Il
profilo etico-antropologico e teologico – tra loro
inscindibili – delle parole di Gesù e il profilo
‘oggettivo’,
disciplinare
e
canonico
dell’aggiunta dell’evangelista sono distinti ma
non separati. La clausola matteana introduce
una questione pastorale, canonico-disciplinare,
che è necessario considerare, ma che non coincide con il profilo ontologico, in quanto riferito
al ‘principio’, e sacramentale, come tale in rapporto al compimento cristologico. Il significato
etico-teologico non può essere identificato con
quello canonico-disciplinare. La regolazione
giuridica rimane necessaria, ma è ‘relativa’
all’etico-teologico annunciato dalle parole di
Gesù, che comunque non può essere ridotto
all’enunciazione di una legge morale e (tantomeno) giuridica.
ca compiuta sulla indissolubilità del sacramento
del matrimonio né di riassumere tutte le argomentazioni del saggio di Angelini, ma solo di
riprenderne alcuni snodi teorici per mostrarne la
pertinenza.
1. La tesi dell’indissolubilità ‘morale’
La tesi di Angelini parte dalla constatazione
che, quando si parla di indissolubilità del matrimonio, si presta scarsa attenzione al ‘processo
pratico’ che essa implica. Da questa ‘disattenzione’ nasce un modo difettoso, ‘fisico’ di intendere l’indissolubilità, appunto perché la interpreta come un vincolo che non può essere fisicamente sciolto. Contro questa interpretazione, egli propone di pensare la indissolubilità in
termini morali, nel senso che «il vincolo matrimoniale non deve mai essere sciolto, ma può di
fatto essere sciolto».
2. La scissione tra vincolo sacramentale e
morale
La critica fondamentale che Angelini muove alle posizioni presenti nell’attuale dibattito teologico è che esse operano o suppongono la dissociazione tra il vincolo sacramentale, che è relativo all’azione di Cristo, e il vincolo morale, che
designa l’azione degli sposi. Di contro, egli sostiene che i due momenti debbano essere pensati
in modo inseparabile l’uno dall’altro.
Questa giustapposizione fra vincolo sacramentale e morale corrisponde alla tradizione classica della teologia occidentale, nella quale l’uno è
la condizione e l’altro la conseguenza. Come
nell’antico adagio agere sequitur esse, si dà per
scontato che l’ontologico, inteso in senso metafisico, sia il fondamento reale (essere) e conoscitivo da cui scaturisce logicamente l’impegno
morale. In tal modo il morale non è un momento costitutivo dell’ontologico e del teologale, ma
vi si aggiunge, come se la ‘realtà’ fosse già decisa a monte, antecedentemente rispetto
all’iniziativa umana. L’ontologico sarebbe
3. L’idea dell’indissolubilità ‘morale’: obiezioni e fondamento
Per concludere, indicando le linee per approfondire i fondamenti teorici che istruiscono la
sua proposta, Angelini sottolinea come la novità
consista in una riflessione sulla coscienza, che
sappia andare al di là della riduttiva concezione
scolastica. Solo una più ampia riflessione, che
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mente precede e anticipa l’opera dell’uomo,
rendendola possibile, deve essere pensata come
il realismo e l’effettività (storica) di un dono
che apre alla libertà dell’uomo la possibilità del
suo compimento. Il difetto di un’interpretazione
reificante – materiale – dell’oggettività della
grazia sta nel perdere o trascurare la ineludibile
forma storica, dialogica e relazionale dell’agire
di Dio. L’oggettività sta nell’atto effettivo di
Dio che predispone la risposta dell’uomo, che a
sua volta determina il darsi reale del dono nella
sua vita. L’assolutezza e la sovrabbondanza della donazione sponsale di Gesù risulta codeterminata dalla risposta dell’uomo.
Non cessa il dono del sacramento, ma le condizioni della sua attuazione sono esposte al fallimento irreversibile del legame coniugale.
L’eventuale perdono non annulla l’opera di Dio
(grazia) né tantomeno giustifica il tradimento
della promessa dell’uomo e della donna, quasi
dispensando a priori dall’impegno ad una incondizionata fedeltà al dono del vangelo, ma risponde al venir meno di una libertà che in modo
irreversibile ha tradito la promessa che l’aveva
autorizzata. L’incondizionatezza del perdono
non crea un alibi al tradimento del peccato o al
fallimento della relazione, ma risponde ad esso.
L’indissolubilità è un dono, prima che un compito e anzi è un compito proprio perché è un
dono. Ora, quando il dono viene perduto e non è
più ricomponibile nella storia effettiva di chi lo
aveva accolto, il perdono sacramentale, nuovamente concesso, attesta l’incondizionatezza di
una grazia, che non può più attuarsi nella ricomposizione delle forme antecedenti al peccato e al perdono.
Aprendo l’accesso al sacramento della riconciliazione e dell’Eucarestia, regolato attraverso un
discernimento penitenziale e pastorale che dovrà essere determinato con condizioni precise
per i divorziati risposati, la chiesa potrebbe decidere di dare così testimonianza, attuazione e
forma sacramentale al perdono incondizionato
di Dio, che tocca l’uomo nella sua condizione
presente, aprendogli le forme di un pentimento
per lui praticabile e possibile.
veda nella coscienza la qualità morale costitutiva del soggetto, permette di comprendere «quel
nesso tra fede teologale e forma della coscienza
morale che invece appare di solito soltanto citato e non pensato». In effetti, questo è il punto
cruciale, che merita di essere sottolineato: il
nesso costitutivo tra il teologico-cristologico e il
morale-antropologico che, nel caso, ci permette
di meglio pensare il rapporto inscindibile tra
l’esperienza antropologica del matrimonio e il
compimento cristologico, nella sua costitutiva
mediazione ecclesiale. In questo quadro, è compito della teologia morale di propiziare un ripensamento dell’antropologia, il cui punto nevralgico sta nel carattere originariamente morale
della coscienza inteso come libera risposta ad
un appello, che la autorizza a volere.
4. Alcune considerazioni a margine
Al termine di questa ripresa (parziale) del saggio di Angelini, vorrei tematizzare la questione
teologica che vi è sottesa e che propone la revisione della prassi pastorale e canonica.
La tesi suppone un’ermeneutica teologica del
matrimonio, e più in generale di ogni sacramento, nella quale la determinazione etica della
‘carne’ sponsale sia inclusa come attuazione decisiva del compimento cristologico, che si dà in
una costitutiva mediazione sacramentale ed ecclesiale. Collegato a questo, un secondo aspetto,
pure decisivo, consiste nell’evidenziare come la
struttura etica costitutiva dell’antropologico sia
necessaria per l’accadere del matrimoniosacramento. L’eros sponsale, caratterizzato dal
‘per sempre’, diventa così segno sacramentale –
attuazione e perciò anche rimando e richiamo –
della definitiva relazione agapica tra Cristo e la
chiesa. La carne nuziale o eros coniugale, nella
sua valenza originariamente feconda e generante, è atto e forma (anche espressiva) dell’agape
divina, compiuta nella Pasqua di Gesù.
Il nodo teorico sta nel chiarire il senso
dell’affermazione che il fallimento morale ha a
che vedere con la sussistenza stessa del vincolo
sacramentale e della grazia che esso conferisce.
Ciò non equivale automaticamente ad abolire
l’oggettività del sacramento. Se si afferma che
per il darsi del sacramento è necessaria la decisione dell’uomo, annullata non è l’oggettività
del dono, pre-esistente e anticipato dal vincolo
sacramentale e quindi dalla pienezza del compimento cristologico, ma solo un modo reificato
di pensarlo. L’oggettività della grazia che real-
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