Nicoletta Raffo_Tesi
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Nicoletta Raffo_Tesi
01/07 Scuola Politecnica di Genova Dottorato in Architettura e Design, XXX ciclo Curriculum in Design Nicoletta Raffo (+39) 3408961886 [email protected] Tutor: Prof.ssa R. Fagnoni Il ruolo della tipografia nella narrazione delle identità plurali Abstract # segno, identità visiva, tipografia, comunità, storytelling La necessità di comunicare anche attraverso segni grafici e non più solo oralmente – nata contestualmente ai primi gruppi sociali1 – ha generato una serie di segni che, nella permanenza delle loro altre funzioni (inizialmente condivisione di informazioni o esperienze, ricordo, conteggio di oggetti o animali ecc.), possono contribuire a raccontare l’identità2 della comunità che li produce, rendendo evidente all’alterità la sua esistenza. Tra i vari segni grafici possibili (colore, simboli, ecc.), il segno tipografico è abbastanza particolare in quanto possiede un doppio valore a livello di significante: un valore quasi iconico, legato alla propria forma, che varia le proprie caratteristiche visive a seconda del carattere utilizzato; e un valore simbolico, cioè le lettere che richiama, che permane nella variazione. Esiste poi ovviamente un ulteriore livello, legato al significato: il concetto a cui la parola fa riferimento. Essendo connessa con la cultura e le storie, la tipografia ha sempre avuto un ruolo da protagonista nella creazione di immaginari. Come una voce narrante3, il testo comunica ai suoi lettori molto più del suo semplice contenuto. La forma delle lettere – sempre condizionata dalla tecnologie utilizzate per crearle – non è importante solamente considerando singolarmente ogni lettera, ma soprattutto è importante per la texture4 che crea sulla pagina, grazie all’alternanza degli spazi bianchi e neri. Questa texture è l’elemento che crea il mood in cui il lettore viene calato. La ricerca si propone di analizzare – facendo seguire, ad un’indagine teorica, l’analisi di una serie di casi studio – le dinamiche con cui, spesso, nella storia dell’uomo, l’associazione tra un certo segno tipografico e un gruppo sociale abbia creato una percezione più forte ed evidente dell’esistenza di quest’ultimo, della sua importanza tra gli altri gruppi e abbia comunicato la sua identità collettiva. Metodo (strumenti operativi) La ricerca si struttura attorno a tre fasi fondamentali. Il primo step è costituito da un’indagine teorica multidisciplinare volta a delineare le dinamiche della comunicazione dell’identità di gruppi sociali per mezzo di segni visivi, e a comprendere le tipicità e le potenzialità comunicative del segno tipografico. Nella seconda fase si effettuerà una mappatura di casi studio, con l’obiettivo 1 Gregorietti, Salvatore e Vassale, Emilia, La forma della scrittura: tipologia e storia degli alfabeti dai Sumeri ai giorni nostri, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007, p. 7 2 Per quello che riguarda questa ricerca, il termine identità è riferito a quella serie di caratteristiche (culturali, morali, fisiche ecc.) condivise da un gruppo di individui, permettendo a loro e all’alterità di percerpire quella comunità come unità. 3 Cheng, Karen, Designing Type, New Haven CT, Yale University Press, 2006, p. 7 Gregorietti, Salvatore e Vassale, Emilia, La forma della scrittura: tipologia e storia degli alfabeti dai Sumeri ai giorni nostri, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007 4 02/07 di esplicitare il legame tra la forma della scrittura e la comunicazione dell’identità di un gruppo sociale. Il passo conclusivo è costituito da un momento di analisi, grazie al quale si cercherà di dare risposta ai quesiti posti. Obiettivi —— Delineare le dinamiche della comunicazione dell’identità di gruppi sociali per mezzo di segni visivi —— Evidenziare la stretta relazione tra la tipografia e le identità collettive —— Comprendere le potenzialità comunicative del segno tipografico —— Indagare l’influenza della tipografia sulla percezione del contenuto testuale Sezioni principali della ricerca 1) Comunicare l’identità attraverso segni visivi “L’esigenza di comunicare, non più solo attraverso suoni orali o gesti più o meno espressivi, ma anche mediante segni grafici impressi in vario modo su superfici e materiali diversi, si può far risalire al momento in cui gli uomini si aggregano in primitive forme sociali”5. L’espressione e la comunicazione di informazioni per mezzo di segni visivi prende vita contestualmente alla formazione dei primi gruppi sociali e si evolve tanto più si sviluppa la società. Una delle funzioni più importanti di questi segni è quella di rendere evidente l’appartenenza di un individuo a un determinato gruppo sociale, tracciando un confine – attraverso operazioni di assimilazione e separazione6 – tra ciò che è uguale, identico, e ciò che è diverso, altro. La compresenza di un’alterità ha quindi un ruolo fondamentale nella presa di coscienza della propria identità (sia come individuo che come gruppo): per il formarsi dell’identità è fondamentale infatti il riconoscimento altrui, che opera a rinforzo dell’auto-identificazione7. Questi segni visivi – disegni tribali tracciati su viso e corpo, espressioni artistiche, bandiere nazionali e moltissimo altro – insieme ad altri metodi espressivi – come ad esempio l’abbigliamento, la danza o la musica – tendono a nascere spontaneamente e sono, come evidenzia Paolo Volonté, “strumenti indispensabili dei processi di tipizzazione attraverso cui le persone ordinano, semplificano, razionalizzano il mondo sociale che le circonda”8 dividendo quindi il conosciuto in categorie più piccole, tracciando insiemi e sottoinsiemi di elementi simili tra loro – in questo specifico caso, di persone –, e rendendo in questo modo più semplice la comprensione del mondo: questo fenomeno è detto tipizzazione. Il fatto che questi segni spesso ci raccontino, indipendentemente da una loro convenzionale attribuzione ad un gruppo sociale o ad un altro, l’atmosfera in cui sono stati generati, è probabilmente da ricercare in un’altra caratteristica tipica umana: la narratività. Essa è “un modo in cui gli esseri umani sono portati a organizzare i dati sconnessi dell’esperienza”9 tendendo ad inserire un qualunque fenomeno sensibile “(magari surrettiziamente) in una catena cronologicamente ordinata di cause e di effetti”10. La tendenza che abbiamo è quindi quella di vedere o inventare storie, che colleghino attraverso un fil rouge più segni. La ragione di questa tendenza umana sarebbe da ricercare, secondo Miller, Galanter e Pribram (1960) nel fatto che “il progetto sarebbe l’unità neuropsichica elementare della consapevolezza e dell’azione umane. In base a questa ipotesi, i processi cognitivi che regolano le nostre azioni intenzionali produrrebbero sequenze logicamente organizzate, che Miller et al. chiamano, per l’appunto, progetti (o piani, o programmi: plans in inglese). Queste sequenze verrebbero registrate in memoria 5 Gregorietti, Salvatore e Vassale, Emilia, La forma della scrittura: tipologia e storia degli alfabeti dai Sumeri ai giorni nostri, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007, p. 7 6 Remotti, Francesco, Contro l’identità, Roma – Bari, Laterza, 2001, p. 7 7 Bovone, Laura, e Volonté, Paolo, Comunicare le identità: percorsi della soggettività nell’età contemporanea, Milano, Angeli, 2006, p. 71 8 Bovone, Laura, e Volonté, Paolo, Comunicare le identità: percorsi della soggettività nell’età contemporanea, Milano, Angeli, 2006, p. 10 9-10 Pisanty, Valentina e Zijno, Alessandro, Semiotica, Milano, McGraw-Hill, 2009, p. 254 03/07 per costruire una sorta di inventario (in perenne evoluzione) delle situazioni problematiche di interesse umano – inventario che inciderà sulle esperienze successive di un individuo, filtrando il modo in cui metterà a fuoco gli eventi [...]”11. Non possiamo quindi esimerci dall’interpretare e dal progettare storie con i segni visivi che ci troviamo davanti, facendo di queste interpretazioni base della nostra stessa esperienza. E non solo tendiamo a leggere queste storie, ma spesso esiste una componente di consapevolezza nel volerle veicolare: da sempre l’essere umano tende a raccontare all’alterità la propria identità, sia come singolo che – e questo è quello che interessa in questa sede – come gruppo, tenendo a mente che, come suggerisce Bauman, le identità fanno riferimento alle comunità come entità che le definiscono, e sono “strumento di cui ci serviamo abitualmente per cercare di comprendere i nostri simili e noi stessi”12. Chiaramente “[…] non si deve cadere nel facile tranello di pensare che vi possa essere qualcosa come un’identità definita, una caratteristica conchiusa dell’individuo del gruppo sociale, che possa poi, sulla base di questa sua definitezza, essere “comunicata” ad altri”13. Pisanty, Valentina e Zijno, Alessandro, Semiotica, Milano, McGraw-Hill, 2009, p. 259 11 12-13 Bovone, Laura e Volontè, Paolo, Comunicare le identità: percorsi della soggettività nell’età contemporanea, Milano, Franco Angeli, 2006, p. 9, p. 18 Nella comunicazione dell’identità di un gruppo si possono evidenziare due principali direzioni: una comunicazione diretta verso l’interno – dedicata ai membri della comunità, che ha l’obiettivo di rendere più forte la loro identità – e una verso l’esterno – dedicata all’alterità, che ha lo scopo di far sì che la comunità venga riconosciuta come tale dall’esterno. Non sempre esiste una scissione: spesso accade che lo stesso artefatto visivo sia creato con l’obiettivo di comunicare contemporaneamente nelle due direzioni. Bisogna notare anche che esiste un ulteriore distinguo da fare, tra tutti quei prodotti visivi che comunicano l’identità in maniera conscia – e quindi si tratta di una volontà progettuale volta a comunicare questa identità – e quelli che invece la comunicano in maniera inconscia – si tratta semplicemente di un’espressione artistica o di comunicazione individuale o collettiva che, senza che il proprio autore ne sia consapevole, si inserisce all’interno della produzione culturale o simbolica assimilabile o riconducibile ad una certa identità/comunità. 2) Il segno tipografico Tra tutti i segni visivi a cui siamo sottoposti nella nostra quotidianità – colori, marchi, segni grafici ecc. –, esiste una categoria specifica che non viene particolarmente presa in considerazione quando si indaga gli elementi in grado di comunicare un’identità, tantomeno quando non si inserisce in una brand image. Questa categoria di segni è strettamente legata all’evoluzione dell’uomo e alla propria cultura: si tratta dei caratteri tipografici, segni particolari in quanto esprimono un valore simbolico legato alla propria forma – che Saussure definirebbe occorrenza14 –, che varia nella permanenza di un valore legato al loro significato – o tipo15 –, cioè la scrittura. Benché siano in effetti due componenti separate, è chiaro che non possa esistere l’una senza l’altra: non si può scrivere una parola senza dare una certa forma e stile al suo testo. Questo ha fatto sì che la storia della scrittura sia inevitabilmente legata a quella della forma che ad essa si dà. Come accade quando in uno spot si selezionano gli attori anche in base alla loro voce (che infatti vengono doppiati nel caso in cui immagine e suono non sortiscano l’effetto voluto), anche il testo scritto ha una propria particolare voce, data dalla sua presenza visiva – sia che esso sia progettato sia che sia frutto di un lavoro calligrafico – che viene utilizzato. Questa voce comunica, spesso all’insaputa dell’utente, un’atmosfera precisa che condiziona inevitabilmente anche il contenuto di cosa si è letto. Ad avere un impatto non è solo la forma delle lettere presa singolarmente, ma anche e soprattutto la texture tipografica che si crea dal loro insieme. Alcune ricerche in merito – seppur ancora esigue –, evidenziano ad esempio, che utilizzando determinati 14-15 Pisanty, Valentina e Zijno, Alessandro, Semiotica, Milano, McGraw-Hill, 2009, p. 57 04/07 caratteri tipografici, il lettore può essere indotto a credere con più facilità alla veridicità del contenuto del testo16. È interessante allora evidenziare nella storia dell’uomo (che viene fatta iniziare, dopo la preistoria, proprio nel momento in cui la scrittura nasce) situazioni in cui la forma del testo abbia contribuito a creare il senso, rafforzare e comunicare l’identità di una certa comunità, sia che questo sia accaduto spontaneamente sia che vi fosse un intento progettuale. 3) Casi studio I casi studio che si prenderanno in esame sono suddivisi in tre macro sezioni, equivalenti alle scansioni temporali di principale interesse: il periodo inaugurato dalla nascita e diffusione della scrittura; quello caratterizzato dall’invenzione e la diffusione della stampa, e infine quello a cui appartiene il mondo digitale. Non si esclude tuttavia la possibilità di restringere successivamente l’arco temporale di interesse. Gli esempi saranno ulteriormente ripartiti in due categorie tipologiche: casi studio relativi a comunità territoriali – composte da membri legati principalmente dall’appartenenza ad uno spazio geografico – e casi relativi a comunità extra-territoriali (o disperse) – i cui membri sono legati da cultura, interessi, o principi. Di seguito alcuni degli esempi presi in esame. Capitalis romana Prova del fatto che anche prima della stampa esistesse uniformità visiva nei caratteri tipografici, questa scrittura rappresentava l’Impero Romano del II sec. d.C. e si può ritrovare identica a Treviri, Siracusa, o Alessandria d’Egitto. Tale è stato il prestigio di queste lettere, che spesso accade tutt’oggi che un potere politico che voglia comunicare la sua autorevolezza offra un richiamo visivo a quell’identità. Fraktur/antiqua Mentre in tutto il resto d’Europa tra l’‘800 e il ‘900 si erano abbandonate le poco leggibili lettere gotiche (Fraktur) per i caratteri definiti Antiqua (quelli che usiamo tutt’oggi), la Germania resistette a questo cambiamento – principalmente in nome del fatto che l’Antiqua veniva considerato lo stile papale. La differenza di identità tra questi stili era così evidente che un dizionario tedesco-italiano di inizio secolo riporta i lemmi tedeschi in Fraktur e quelli italiani in Antiqua. Cultura punk Quando, a metà degli anni ‘70, a Londra la cultura di strada abbandona le tematiche post-pacifiste in favore del punk, il mondo della grafica, e con esso quello dei caratteri, viene investito da un nuovo modo di concepire la comunicazione. Come accade in ogni altro ambito, la tipografia perde ogni regola: i caratteri che rappresentano questa cultura sono graffiati, distorti e usati in corpi e stili diversi. La regola è nessuna regola, come dimostra la celebre copertina di Jaime Reid per Never Mind the Bollocks, dei Sex Pistols (1977). Questa nuova prospettiva influirà su gran parte della tipografia dei 15/20 anni successivi, permettendo una sperimentazione mai vista prima. Gotham Il Gotham, carattere disegnato da Tobias Frere-Jones nel 2000, è presto diventato il carattere del nuovo millennio, grazie al suo ruolo da protagonista nella campagna presidenziale di Obama: in molti, nonostante i 7 anni già trascorsi, hanno ancora in testa quelle maiuscole autorevoli di YES, WE CAN. Anche 16 http://eyeondesign.aiga. org/can-a-font-make-us-believe-something-is-true/ 05/07 grazie a questo fatto, le sue forme semplici che si estendono leggermente in larghezza, con uno stile che riesce a essere perfettamente in equilibrio tra classico e contemporaneo, hanno cominciato ad essere sinonimo di trasparenza, concretezza, speranza, rischiando di far diventare così questo carattere il nuovo Helvetica del secondo millennio. Multilingual Typography Come è accaduto in ogni altro ambito, anche la tipografia ha risentito della globalizzazione, con un appiattimento a favore dell’alfabeto latino, che, con l’inglese, è diventato lo standard mondiale. Dalla nascita del digitale il type-design si è occupato, infatti, quasi esclusivamente di caratteri latini (tecnicamente più semplici da trasformare in font elettronici), creando un’enorme discrepanza: basta immaginare interfacce di dispositivi digitali, siti web ecc. in culture in cui i caratteri non erano stati (o quasi) digitalizzati. La tendenza più recente però, anche nel mondo della tipografia, è quella di una sapiente riscoperta delle differenze e delle tipicità, che si sta traducendo nel progetto di caratteri declinati nel numero più esteso possibile di alfabeti. L’aspetto progettualmente interessante è che in molti casi la filosofia non è quella di ricreare lo stesso impatto visivo tra tutti i glifi appartenenti ad alfabeti diversi che fanno parte dello stesso font – rischiando in questo modo di snaturare gli alfabeti che ancora hanno un rapporto molto stretto con la calligrafia – ma se mai di creare un’armonia nelle differenze, arricchendo anche la cultura del segno tipografico latino, e permettendo di sperimentare nuove soluzioni. Domande della ricerca —— In che modo i segni tipografici contribuiscono a far sì che un certo gruppo sociale venga considerato come tale dall’esterno? —— Possono essere evidenziati dei criteri con cui viene scelto uno specifico carattere per una specifica comunità? —— Coma nasce un carattere per una specifica identità plurale? Il carattere viene scelto oppure l’attribuzione è casuale? —— Ci sono dei tratti grafici specifici che comunicano determinate qualità? —— Esistono criteri comuni in ogni caso studio? —— Ci sono tipicità visive appartenenti alla comunità che si possono ritrovare nel carattere che le rappresenta? Fonti ––– Identità/culture Aime, Marco, Eccessi di culture, Torino, Einaudi, 2004 Anderson, Benedict R. 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