U. Foscolo

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U. Foscolo
Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Turnham Green, 10 settembre 1827) è stato
un poeta e scrittore italiano, uno dei principali letterati del
neoclassicismo e del preromanticismo.
Niccolò Foscolo nacque sull'isola greca di Zante (nota anche come
Zacinto, alla quale dedicherà uno dei suoi 12 sonetti), figlio di Andrea
Foscolo, medico di vascello di origine veneziana, e della greca
Diamantina Spathis. Era il maggiore di quattro fratelli.
Trascorse parte della sua fanciullezza nella Dalmazia e nel 1785 si
trasferì con la famiglia a Spalato, dove il padre esercitava la sua
professione di medico con un salario modesto, e presso il Seminario
arcivescovile di quella città compì come esterno i suoi primi studi, seguito da monsignor F.
Gianuizzi fino a quando la morte improvvisa del padre (1788), lo costrinse a ritornare a
Zante dove continuò la scuola e apprese i primi elementi del greco antico dimostrandosi
però allievo ribelle alla disciplina e non troppo propenso allo studio.
Nel 1793 si trasferì a Venezia dove completò gli studi densi soprattutto di letture di classici
greci , latini e italiani. Fu influenzato dagli illuministi francesi in particolare da Jean Jacques
Rousseau.
Nel 1795 Foscolo esordì nel salotto letterario della contessa Albrizzi.
Nel 1795 scrisse la sua prima tragedia, intitolata Tieste, di carattere alfieriano e viva di
fervori giacobini. Foscolo vide subito in Vittorio Alfieri un modello da seguire egli trasse il
suo stile giovanile proprio da lui, e lo decantò in molte opere.
Risale al 1796 un documento della prima formazione letteraria di Foscolo, un ambizioso
Piano di Studi comprendente "Morale, Politica, Metafisica, Teologia, Storia, Poesia,Romanzi,
Critica, Arti" dove il giovane registrava le letture, i primi scritti, gli abbozzi delle opere da
scrivere. Inquisito dal governo veneziano fuggì a Bologna dove pubblicò l’Ode a Bonaparte
liberatore e si arruolò nell’esercito napoleonico.
Nel 1797 con il Trattato di Campoformio Napoleone cedette Venezia all’Austria e Foscolo
deluso si trasferì a Milano in esilio volontario. Qui fece amicizia coi letterati italiani Monti e
Parini. Ma la sua intensa attività non gli impedì una complessa vita sentimentale:
s'innamorò via via, in questi e negli anni successivi, di Teresa Pikler, moglie di Vincenzo
Monti (la divina fanciulla), di Isabella Roncioni, Antonietta Fagnani Arese (l'"amica risanata"
dell'ode famosa), l'inglese Fanny Emerytt (dalla quale ebbe una figlia: Floriana), Marzia
Martinengo, Maddalena Bignami, Quirina Mocenni Magiotti (la "donna gentile"), che lo
confortò e soccorse durante il suo esilio.
Nel 1798 iniziò a stampare a Bologna i primi capitoli del romanzo epistolare Ultime lettere di
Jacopo Ortis che venne pubblicato nel 1799. Nella corrente romantica si collocò questo
romanzo epistolare dal carattere autobiografico; ispirata ai romanzi di J.J. Rousseau (La
nuova Eloisa) e di W. Goethe (I dolori del giovane Werther), quest'opera si può considerare il
primo romanzo italiano moderno.
Nel 1799 tornò a combattere nella Guardia Nazionale e fu ferito a Cento. La vittoria di
Napoleone a Marengo (1800) gli consentì di tornare a Milano.
Nel 1804 Foscolo partì per la Francia per partecipare alla mai avvenuta spedizione di
Napoleone contro l’Inghilterra.
Nel 1806 tornò in Italia e ospite della madre a Venezia, scrisse il carme Dei Sepolcri.
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Nell’inverno 1813 dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano e gli
venne data la direzione del periodico “Biblioteca italiana”. A Milano, si adoperò
coraggiosamente in favore del pericolante Regno Italico. Gli Austriaci vittoriosi gli furono
benevoli ed entrarono in rapporto con lui, pensando di affidargli la direzione di un giornale
letterario; ma al punto di dover prestare, come gli altri ufficiali, giuramento di fedeltà, vi si
sottrasse con l'esilio, donando così all'Italia, come disse Cesare Cattaneo, "una nuova
istituzione", cioè l'esilio volontario per amore di libertà.
Nel 1815 fuggì in Svizzera in lotta con la miseria.
Nel 1816 in Inghilterra dove venne accolto dagli ambienti intellettuali con grande stima. Gli
anni inglesi furono molto produttivi. Qui ebbe un ultimo, ma non corrisposto, amore per
Carolina Russel (da lui celebrata col nome di Calliroe); ritrovò la figlia naturale Floriana
(1822), insieme con la quale visse gli ultimi anni, tristi per miseria, per l'assillo dei creditori e
per malattie
Nel 1827 morì a Turnham Green un sobborgo di Londra.
Nel 1871 le sue ossa furono trasferite a Firenze nella Basilica di Santa Croce.
La poetica del Foscolo
Foscolo aderì con convinzione alle teorie illuministiche di stampo materialistico e
meccanicistico. Tali teorie, da una parte, contenevano elementi rasserenanti in quanto
allontanavano le superstizioni, ma dall'altra determinarono in lui l'angoscia davanti al "nulla
eterno", all'oblio che avvolge l'uomo dopo la morte. Foscolo, infatti, si può definire ateo e
razionalista, ma non areligioso. In lui il pessimismo e l'ansia di eternità si agitano dando un
tono drammatico alla sua poesia e alla sua prosa.
Strettamente intrecciate si presentano le vicende personali e l'attività letteraria di Foscolo,
nell'immagine di lui più divulgata e attendibile. Attraverso un autobiografismo enfatico e
compiaciuto, ancorché stilizzato e ridotto ad alcuni grandi motivi, Foscolo incarna
tempestivamente l'ideale ottocentesco del poeta, incline fatalmente all'eroismo e alla
trasgressione ("bello di fama e di sventura"), e, solo in questo senso, appartiene davvero alla
temperie culturale del romanticismo europeo. Le opere più note illustrano con didascalica
nettezza la sua prepotente personalità e alludono continuamente ai dati essenziali e
emblematici della realtà vissuta, ponendo l'una e l'altra sotto il segno di una passione
intollerante, quella amorosa come quella patriottica e civile. Nel romanzo epistolare Ultime
lettere di Jacopo Ortis, lo scrittore affidò la testimonianza di una precisa delusione storica e
esistenziale.
Con il carme Dei sepolcri, indicativo di una vocazione all'eloquenza complementare e forse
più spontanea rispetto alla insistita ricerca dell'eleganza neoclassica, la
poesia si propone esplicitamente come supremo valore di un'umanità
disillusa dalla vanità del tutto ("involve Tutte cose l'Oblio nella sua
notte") e generosamente protesa alla pietosa perpetuazione ("finché il
Sole Risplenderà su le sciagure umane") della "corrispondenza di
amorosi sensi" e di quant'altro può sottrarsi al fato luttuoso cui
soggiace, "tranne la memoria, tutto", secondo una coerente concezione
materialistica. Senza tradursi in un improbabile atteggiamento
estetistico, l'esaltazione dell'ideale poetico dovrebbe scongiurare
d'altro canto il rischio che una ricerca letteraria molto più complessa si
riduca a un protagonismo quasi romanzesco.
Di tale complessità e problematicità, costituisce una proverbiale dimostrazione lo stato
frammentario nel quale Foscolo ha lasciato Le Grazie, da molti ritenute il suo capolavoro.
I tre inni dell'incompiuto poema, intitolati rispettivamente a Venere, a Vesta e a Pallade,
celebrano la missione civilizzatrice delle arti, unitariamente considerate, proponendosi come
un'audace continuazione moderna della tradizione classica, arricchita di un nuovo mito e
rivissuta come una dimensione dello spirito.
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Il significato allegorico che dovrebbe sostenere concettualmente il vagheggiamento della
bellezza antica, e rappresentarne il potere conoscitivo, non riesce però a imporsi su di esso e
a contenerne la tendenza alla dispersione
L’esilio
1796-1797 Il primo esilio sui colli Euganei. Foscolo scrisse alcuni articoli sul «Mercurio
d'Italia» che destarono i sospetti del governo veneto e il giovane per prudenza si rifugiò sui
colli Euganei. Esaltato inizialmente dalle vittorie napoleoniche, che vide come una rinascita
dell'Italia, aderì al nuovo regime portato dai francesi, distaccandosene più tardi, e compose
le odi giovanili Ai novelli repubblicani e A Napoleone Bonaparte liberatore.
1797-1798 il secondo esilio. Esaltante per i patrioti democratici, terminò con il Trattato di
Campoformio con il quale Bonaparte cedeva Venezia all'Austria asburgica e il giovane Ugo,
pieno di sdegno, dimessosi dagli incarichi pubblici, partì in volontario esilio e si recò prima a
Firenze, poi a Milano.
1816 al 1827 il terzo esilio. Foscolo si trasferisce a Londra perchè ricercato dagli austriaci.
Amareggiato dalla disillusioni patite si isola e nel 1824 fu arrestato per debiti.
È un romanzo epistolare di Ugo Foscolo, considerato il primo romanzo epistolare della
letteratura italiana, nel quale sono raccolte le lettere che il protagonista, Jacopo Ortis,
mandò all'amico Lorenzo Alderani, che dopo il suicidio di Jacopo, le avrebbe date alla
stampa corredandole di una presentazione e di una conclusione. Vagamente ispirato ad un
fatto reale, e al modello letterario de I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von
Goethe, l'opera risente molto dell'influsso di Vittorio Alfieri, al punto da essere definito
"tragedia alfieriana in prosa". La vicenda trae origine dal suicidio di Girolamo Ortis, uno
studente universitario nato a Vito d'Asio (Pordenone) il 13 maggio 1773 e morto il 29 marzo
1796. Foscolo mutò il nome di Girolamo in Jacopo, in onore di Jean-Jacques Rousseau. Nel
paese nativo esiste tuttora la casa del giovane, ristrutturata dagli eredi a seguito del
terremoto del Friuli del 6 maggio 1976.
(11 ottobre 1797)
Si tratta della prima lettera del romanzo epistolare e Jacopo si sta rivolgendo all'amico
Lorenzo mentre con il Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), Napoleone cedeva la
Repubblica veneta all'Austria. La perdita dell'indipendenza, la delusione verso la figura dello
statista francese, Jacopo si ritira sui Colli Euganei, ispirato sia da ferventi ideali patriottici, ma
anche da amare delusioni. Con un andamento quasi lirico, dato dalla cadenza delle frasi
(endecasillabi e quinari), Foscolo fa subito riferimento al comportamento degli italiani che
non hanno difeso l'indipendenza della Repubblica. Tutto ormai è perduto. Questo codardo
comportamento viene reso con un'immagine molto suggestiva: il lavarsi le mani con il
proprio sangue nazionale, ovvero il fregarsene sacrificando connazionali. A questo punto,
accada pure quel che deve accadere.
(26 ottobre 1797)
Dallo stato di sfiduciata inerzia e di funerei presagi, che emergono dalla prima pagina
dell'opera, Jacopo crede per un momento di poter uscire dopo l'incontro con Teresa, "la
divina fanciulla", che lo richiama alla vita suscitando in lui un amore appassionato. La figura
di Teresa è costruita dal Foscolo, in gran parte, sulla scorta di suggestioni letterarie e non
avrà nel romanzo un carattere ben rivelato.
Comunque attraverso lei, già a partire dalla sua prima presenza, si fa strada, tra le lacrime e
il sangue di una vita tenebrosa e senza senso, la luce consolatrice dell'amore e della bellezza
ornamentale. Foscolo immortala la bellezza di Teresa conservandola per sempre.
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( poesia anno 1802-03)
Il sonetto “In morte del fratello Giovanni” è dedicato appunto al fratello Giovanni che si era
ucciso, ventenne, nel 1801, a Venezia per motivi legati a debiti di gioco.
In questa opera appaiono diversi temi tipicamente foscoliani come il tema dell’esilio inteso
come la divisione del proprio nido familiare; il tema della morte come luogo di quiete e di
pace, con la speranza che le proprie ossa vengano poi confortate da un pianto familiare.
Importante e significativa è l’immagine della madre che ha un colloquio con il figlio morto
parlandogli di quell’altro figlio vivo e lontano. Nelle sue opere ricorre spesso il ricordo della
famiglia, il sentirsi solo e l’aver bisogno, come in questo caso, dell’affetto materno almeno
dopo la morte. Secondo Foscolo la morte è tranquillità, pace, il non dover affrontare la vita,
a lui troppo stretta. Foscolo esprime l’amore verso la famiglia, il dolore che prova per la
morte giovane del fratello, la delusione nei confronti del destino e spera solo nella quiete
della morte. Questa poesia è la commemorazione per la scompara all’amato fratello e in
essa Foscolo imprime le tematiche a lui care come l’esilio, la morte, l’amore per la madre e
per la Patria. La poesia è scritta durante il suo esilio a Milano e si riesce a percepire tutta la
tristezza e l’amarezza di non essere nella sua patria e vicino alla madre in un momento tanto
tragico. Il Foscolo prevede la sua morte in terra straniera instillando una lieve speranza che il
suo corpo possa ritornare nell’amata Patria e tra le braccia della madre che è mesta dal
dolore.
( poesia anno 1803)
La sera, per il poeta, è il momento più bello della giornata: il momento in cui, finalmente,
ci si può riposare dopo gli affanni quotidiani; il momento in cui si placano i rumori
dell’esistenza ed il cuore è invaso da pace e serenità. Ma la meditazione sulla sera sfocia
spontaneamente nella meditazione sulla morte. Infatti, anche la morte, come la sera, è una
promessa di pace: una pace dolce e definitiva: un rassicurante porto d’oblio dove si
annullano le fatiche di un’esistenza tribolata ed angosciosa. Il poeta descrivere il suo stato
d’animo dinnanzi alla sera, equivalente sia che si tratti di una serena sera d’estate, sia che si
tratti delle tenebre di una scura sera invernale: in tutti e due i casi la sera porta con sé la
tranquillità e la cessazione degli affanni. La sera è immagine della morte, di quel “nulla
eterno”, che è liberatorio poiché, secondo la concezione illumistica e materialistica di
Foscolo, rappresenta l’annullamento totale, in grado di cancellare i conflitti e le sofferenze
della vita. Secondo tale concezione, infatti, l’universo, di cui anche l’uomo è parte, è un ciclo
perenne di nascita, morte e trasformazione della materia, che è l’unica realtà esistente.
La seconda strofa descrive l’arrivo della sera, sempre e comunque desiderato ed invocato
dall’autore, sia d’estate quando il buio è accompagnato dolcemente dalle nuvole e dalle
brezze leggere, sia d’inverno quando giunge pesante sul cielo già scuro e spesso
temporalesco, come una macchia d’inchiostro che si allarga rapidamente avvolgendo la
Terra in una tenebra scura e inquieta che sembra non schiarirsi mai.
Nell’ultimo verso, invece, Foscolo attribuisce il verbo “rugge” al suo “spirto
guerrier”paragonando probabilmente il suo animo ribelle ad un leone in gabbia, che si
dimena imprigionato nel suo corpo.
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( carme anno 1806)
Il carme Dei Sepolcri fu composto dal Foscolo tra il giugno e il settembre 1806. Nel 1804 era
stato promulgato l'editto napoleonico di Saint-Cloud che poi fu esteso all'Italia il 5
settembre 1806. L'editto imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e che
non si facesse alcuna distinzione tra i defunti tra uomini comuni e celebrità.
Con il Carme affronta il tema dell'utilità delle tombe e dei riti funerari. Da un punto di vista
materialistico e laico, essi sono inutili, e certamente non riscattano per chi muore la perdita
della vita. Ma hanno un senso legato alla dimensione sociale dell'uomo, alla sopravvivenza
dell'estinto nella memoria dei vivi. Tratta a fondo il rapporto tra significato privato e
significato pubblico della morte e dei riti collegati. Le tombe dei grandi uomini comunicano
ai virtuosi il loro esempio e li stimolano a proseguirne l'opera; ne è prova ciò che accadde al
poeta stesso visitando Santa Croce, a Firenze, dove sono sepolti molti dei grandi italiani del
passato
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