Appunti di Algebra 2

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Appunti di Algebra 2
Fabio Durastante
Appunti di Algebra 2
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http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/
2
1
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Anelli
1.1
Corollario 1.1.1. R anello e I un ideale data la proiezione canonica π : R → R/I si ha
che:
• preso un sottoanello (ideale) A di R allora si ha π(A) = (A+I)/I, cioè è un sottoanello
(ideale) di R/I;
• A0 sottoanello (ideale) di R/I si ha che π −1 (A) è un sottoanello (ideale) di R contente
I.
Lemma 1.1.1. Sia R un anello, I ⊆ R un ideale di I e π la proiezione canonica detti:
• L = {A ⊆ R|A sottoanello (ideale) di R : I ⊆ A}
• L0 = {A ⊆ R|A sottoanello (ideale) di R/I}
allora:
ψ:
L
A
ψ
-
L0
π(A)
è una corrispondenza biunivoca tra L e L0 .
Teorema 1.1.2 (1◦ Teorema di Isomorfismo - Anelli). Sia R un anello, I un suo ideale e π
la proiezione canonica. Sia A un sottoanello di R (non necessariamente contente I) allora:
(a) π −1 (π(A)) = A + I = {a + I|a ∈ A};
(b) A ∩ I è un ideale di A e I è un’ideale di A + I;
(c) A/A ∩ I ∼
= (A + I)/I.
4
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Teorema 1.1.3 (2◦ Teorema di Isomorfismo - Anelli). Sia R un anello, I e J due ideali di
R, tali che I ⊂ J allora:
R/I ∼
(1.1)
= R/J
J/I
Dimostrazione. Detta π = π2 ◦ π1 la composizione delle proiezioni, si ha che π è un epimorfismo di gruppi perchè composizioni di epimorfismi, e che:
ker π = {r ∈ R|π1 (r) ∈ ker π2 } = {r ∈ R|r + I = j + I, j ∈ J} = J
(1.2)
La situazione rappresentata dal diagramma in figura:
j
R ⊂⊂
π1
-
R/I
⊂
π3
π2
-
R/I
J/I
-
∼=
R/ ker π
Alla per il TFO si può concludere che:
R/I
R/ ker π = R/J ∼
=
J/I
(1.3)
QED
Definizione 1.1.1. Si dice ideale generato da un sottoinsieme S di R l’intersezione di
tutti gli ideali I di R contenti S.
( m
)
m
X
X
(a1 , a2 , . . . , am ) =
zi ai +
r1 ai |zi ∈ Z, ri ∈ R
i=1
i=1
Definizione 1.1.2. Un ideale S generato da un solo elemento di si dice principale.
Definizione 1.1.3. Un anello che possiede solo ideali principali si dice anello principale.
Definizione 1.1.4. Un ideale I ⊆ R, non banale, si dice primo se ∀a, b ∈ R se ab ∈ I ⇒
a ∈ I o b ∈ I.
Nota 1.1.1. In Z con n 6= 0 l’ideale (n) è primo se e solo se n è primo.
Definizione 1.1.5. Un ideale I ⊆ R, non banale, si dice massimale se ∀U ⊆ R con
I ⊆ U ⇒ I = U o U = R.
Nota 1.1.2. R = { anello delle funzioni continue in [0, 1]} e H = {f (x) ∈ R|f (1/2) = 0},
si ha che H è un ideale massimale.
Lemma 1.1.4. Un anello commutativo con unità è un campo ⇔ è privo di ideali non banali.
Anelli
5
Dimostrazione. (⇒) Supponiamo che R sia un campo, allora sia I un ideale non banale di R,
sia i ∈ I un suo elemento, poiché R è un campo esiste in R l’elemento i−1 tale che ii−1 = id,
cioè id ∈ I, ma questo implica che I = R, cioè non esistono ideali non banali. (⇐) Sia a 6= 0
con a ∈ R, sia I = {ar|r ∈ R}, I è un ideale, I 6= ∅, infatti R è unitario dunque almeno
a ∈ I, allora deve essere I = R, cioè id = ar̄ per qualche r̄ ∈ R. Quindi a è invertibile, cioè
R è un campo.
QED
Teorema 1.1.5. Sia R un anello commutativo con unità, un ideale I di R è massimale
⇔ R/I è un campo.
Dimostrazione. Se R è commutativo con unità ⇒ R/I è commutativo con unità, allora, in
virtù del lemma ora provato si ha che R/I è un campo ⇔ R/I è privo di ideali non banali,
ma gli ideali di R contenti I e gli ideali di R/I sono in corrispondenza, ma I è massimale,
cioè è tale che ogni ideale che lo contiene o coincide con R o è I stesso, dunque si ha che I
è massimale ⇔ R/I è un campo.
QED
Nota 1.1.3. R = Z e (p) con p primo (cioè @m, n ∈ Z : p = mn), (p) è massimale e
Z/(p) ∼
= Zp , infatti:
z
ψ:
-
ψ(z) = z̄ (mod p)
Z⊂
π
-
Zp
∼
=
?
Z/(p)
Definizione 1.1.6. Sia R un sottoanello di un campo F , si dice che F è il campo dei
quozienti di R se ∀a ∈ F si può scrivere a = rs−1 con r, s ∈ R e s 6= 0.
Teorema 1.1.6. Sia D un dominio di integrità, allora ∃Q(D) campo dei quozienti di D,
contente un D̃ ∼
= D, con D̃ ⊆ Q(D), e tale che ogni elemento di Q(D) è della forma ab−1
con a, b ∈ D̃ e b 6= 0.
Dimostrazione. Si considera l’insieme delle coppie D × D \ {0} e si costruisce la relazione:
(a, b)ρ(a0 , b0 ) ⇔ ab0 = ba0
che è una relazione di equivalenza, che permette di definire:
Q(D) , (D × D \ {0})/ρ
su cui si definisco le seguenti operazioni:
(a, b) + (c, d) , (ad + bc, bd)
(a, b) · (c, d) , (ac, bd)
Le definizioni sono ben poste, quindi si ha che Q(D) è un campo, inoltre, l’applicazione:
i:
D ⊂ - D̄ = Im i ⊂Q(D)
a
-
(ax, x)
6
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
è un omomorfismo di gruppi che identifica D con D̄ ⊂ Q(D). Resta da provare che ogni
elemento di Q(D) si scrive come quoziente di due elementi di D̄, infatti:
(a, b) = (ax, x)(x, bx) = (ax, x)(bx, x)
−1
x 6= 0
QED
Definizione 1.1.7. Si definisce valutazione una funzione v da un dominio di integrità D
ad N tale che ∀a ∈ D:
v :D \ {0}
a
-
N
-
v(a)
r=0
v(r) < v(b)
(i) v(a) ≤ v(ab) ∀ a, b ∈ D a 6= 0 b 6= 0;
(ii) ∀a, b ∈ D con a, b 6= 0 ∃q, r ∈ D tali che:
a = bq + r ⇒
Definizione 1.1.8. Un dominio di integrità D con una valutazione v si dice dominio
eulcideo.
Teorema 1.1.7. Ogni dominio euclideo è principale.
Dimostrazione. Sia I 6= ∅ un ideale di R dominio euclideo, sia v la valutazione definita su
R \ 0. Sia V = {v(a)|a ∈ I} =
6 ∅ e V ⊆ N, applicando il principio del minimo si ha che
∃n0 ∈ V ⊆ N allora esisterà a0 ∈ I con v(a0 ) = n0 . Resta da provare che I = a0 R, poiché
a0 ∈ I ⇒ a0 R ⊆ I, resta da provare che ogni a ∈ I è a0 t per qualche t ∈ R, poichè siamo in
dominio euclideo possiamo usare la divisione, quindi a = a0 q +r con r = 0 o v(r) < v(a0 ), ma
a0 è un elemento a valutazione minima, quindi deve essere necessariamente r = 0. Poniamo
come I l’intero anello R. Per quanto dimostrato esisterà u ∈ R : R = uR. Cioè ∀a ∈ R
a = ut per qualche t ∈ R, in particolare u = ue per qualche e ∈ R, proviamo che e è unita
per R: ∀a ∈ R : a = ut = tu ⇒ a = t · ue = tu · e = ae, cioè R possiede unità, e quindi
preso un qualunque ideale I si ha che I = a0 R = (a0 ).
QED
Teorema 1.1.8. In un dominio principale R due qualunque elementi a e b non entrambi
nulli posseggono un M CD.
Dimostrazione. Sia S = {xa + yb|x, y ∈ R}, S è un ideale, S 6= ∅ poichè R ha unità, allora
esiste un elemento d tale che S = (d), poichè R è principale. Ora d|a poichè a ∈ (d) e d|b
poiché b ∈ (d). Se d0 |a e d0 |b allora d0 |d = sa + tb per come è composto S. Cioè d è il MCD
di a, b per la definizione di MCD.
QED
Corollario 1.1.2. In ogni dominio euclideo due qualunque elementi non nulli posseggono
un M CD.
Dimostrazione. Ogni dominio euclideo è principale, in ogni dominio principale due qualunque
elementi a e b non entrambi nulli posseggono un M CD.
QED
Anelli
7
Teorema 1.1.9. Gli elementi invertibili di un dominio euclideo R sono tutti e soli gli
elementi a valutazione minima, cioè a valutazione uguale alla valutazione dell’unità.
Definizione 1.1.9. Si dice che un dominio di integrità, con unità, è un dominio a fattorizzazione unica se ogni elemento a, non nullo e non invertibile, si può scrivere come:
a = π 1 π 2 . . . πn
(1.4)
0
è un’altra fattorizzazione di a in irriducibili,
con πi irriducibili. Inoltre se a = π10 π20 . . . πm
allora m = n, ed esiste una permutazione σ degli indici 1, 2, . . . , n tale che πi è associato a
0
πσ(i)
∀ i = 1, . . . , n, cioè la fattorizzazione è sostanzialmente unica.
Teorema 1.1.10. R dominio di integrità con unità è a fattorizzazione unica se solo se
valgono le seguenti:
1. ogni elemento irriducibile è primo
2. data comunque una succesione a1 , a2 , . . . , ai di elementi di R tale che ∀ i ai+1 |ai allora
∃ j ∈ N tale che ∀ h, k ≥ j si ha ah associato con ak .
Dimostrazione. (⇒) Supponiamo R a fattorizzazione unica. Dimostriamo la (1) supponiamo
a irriducibile, e sia a|bc allora ∃q ∈ R tale che aq = bc, scriviamo la fattorizzazione in
irriducibili di ogni elemento di R:
b1 · · · bn c1 · · · cm = aq1 · · · qs
(1.5)
Per l’unicità della fattorizzazione a deve essere associato ad un bi o ad un cj , cioè o a|b o
a|c, resta dunque dimostrata la (1). Sia a1 , a2 , . . . , ai di elementi di R tale che ∀ i ai+1 |ai sia
ni il numero di fattori irriducibili nella fattorizzazione unica di ognuno degli ai , per ogni i,
si avrà dunque la seguente situazione:
a1
a2
···
n1 ≥ n2 ≥ · · ·
≥
aj = aj+1 q
aj+1
···
ai
ai+1 · · ·
nj
= nj+1 = · · · = ni = ni+1 · · ·
questo perché gli ni sono una successione decrescente, dunque deve esistere un indice j ∈ N
per cui nj = nj+1 = nj+2 = . . ., cioè dall’indice j in poi tutti gli ai hanno lo stesso numero
di fattori irriducibili, ma ai+1 |ai , cioè ai = ai+1 q per i ≥ j, cioè aj+1 è associato ad ai ,
questo dimostra la (2). (⇐) Mostriamo prima l’esistenza della fattorizzazione in irriducibili,
supponiamo, per assurdo, che ∃a ∈ R con a non invertibile e non prodotto di irriducibili.
Allora a = a1 b1 con a1 e b1 non associati ad a, e con uno dei due non prodotto di irriducibili,
supponiamo che sia a1 , allora a sua volta potremo scrivere a1 come a1 = a2 b2 con a1 e b2
non associati ad a1 e almeno uno dei due non prodotto di irriducibili, scegliamo di nuovo a2
(nel caso non fossero quelli scelti è sempre possibile cambiare i nomi in modo che lo siano),
al passo generale abbiamo:
ai = ai+1 bi+1
(1.6)
Con ai+1 e bi+1 non associati ad ai e almeno uno dei due non prodotto di irriducibili, ad
esempio ai+1 . L’iterazione, cosı̀ costruita, non ha termine. Ma questo contrasta con la (2),
8
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
dunque una fattorizzazione esiste. Restra da dimostrarne l’unicità. Supponiamo che esitano
due diverse fattorizzazione in irriducibili dell’elemento a ∈ R:
a1 a2 · · · an = a01 a02 · · · a0n
procediamo per induzione sulla fattorizzazione col minor numero di elementi. Per n = 1,
suppondo che la fattorizzazione senza apici sia la più corta, si ha:
a1 = a01 a02 · · · a0t
ma a01 |a1 e sono associati, dunque per la legge di cancellamento del prodotto, possono essere
eliminati da ambo i membri, ottenendo:
1 = a02 · · · a0t
Cioè a02 · · · a0t sono tutti elementi invertibili, abbiamo cosı̀ dimostrato che per n = 1 sia il lato
sinistro che quello destro sono formati da un solo elemento irriducibile. Supponiamo, come
ipotesi induttiva, che il teorema sia provato per tutti gli indici fino ad n − 1 e dimostriamolo
per n. L’elemento a01 in quanto irriducibile in un dominio unitario, sarà anche primo, dunque
deve dividere almeno uno degli elementi della fattorizzazione di sinistra, questo elemento ai
è tuttavia irriducibile, cioè a01 e ai sono associati, dunque possono essere cancellati dalla
scrittura, ma in questo modo abbiamo ottenuto due catene di n − 1 elementi e possiamo
applicare l’ipotesi induttiva, che dimostra l’unicità.
QED
Teorema 1.1.11. In ogni dominio a fattorizzazione unica, ogni coppia di elementi, non
entrambi nulli, possiede M CD.
Dimostrazione. Siano a e b ∈ R. Se ne faccia la scomposizione in irriducibili raggogliendo
tutti gli elementi associati tra di loro e ammettendo che gli indici hi e ki possano essere nulli,
in questo modo si hanno le due seguenti scritture:
a = uph1 1 ph2 2 · · · phnn
m1 m2
mn
k1 k2
kn u, v invertibili ⇒ d = p1 p2 · · · pn
b = vp1 p2 · · · pn
con mi = min(hi , ki ) è un massimo comun divisore.
QED
Teorema 1.1.12. Sia R un dominio principale, allora esso è a fattorizzazione unica.
Dimostrazione. Dimostriamo, in primo luogo, che ogni irriducibile è primo. Sia a ∈ R un
elemento irriducibile allora e sia a|bc. Sia I = (a, b) poichè R è principale esite d ∈ R tale
che I = (a, b) = (d). Poichè a è irriducibile, sarà o d associato ad a o d associato ad 1.
Nel caso in cui d sia associato ad a si ha che a|b, nel secondo caso si ha che d = 1, cioè
1 = ra + sb con r, s ∈ R opportuni. Da cui c = rac + sbc che implica a|c. Cioè a è primo. Sia
{ai } una successione di elementi di R tali che ai+1 |ai per ogni i. Sia I = ({ai }i∈I ) l’ideale
generato da tutti gli elementi della successione. Poichè R è principale I sarà generato da un
unico elemento d ∈ R, cioè I = (d). Ma ogni elemento di I è una combinazione finita degli
elementi di ai , cioè:
d = r1 a1 + r2 a2 + . . . + rj aj per qualche j ∈ N
Anelli
9
ma ogni ai è un multiplo di aj quindi possiamo riscrivere la precedente come:
d = r1 aj ā1 + r2 aj ā2 + . . . + rj aj
cioè:
(1.7)
ai |d ∀i ≥ j
⇒ ai associato d ∀i ≥ j
d|ai
∀i
QED
Definizione 1.1.10. Si definisce divisore di un polinomio f (x) ∈ R[x] il M CD dei suoi
coefficienti e si indica con d(f (x)).
Definizione 1.1.11. f (x) ∈ R[x] si dice primitivo se d(f (x)) = 1.
Lemma 1.1.13. Se R è un dominio a fattorizzazione unica il prodotto di due polinomi
primitivi è ancora primitivo in R[x].
Corollario 1.1.3. Se R è un dominio a fattorizzazione unica e se f (x) e g(x) sono in R[x]
allora d(f (x)g(x)) = d(f (x))d(g(x)) a meno di elementi invertibili.
Dimostrazione.

f (x) = d(f (x)) f ∗ (x)


| {z } | {z }

α
prim.
g ∗ (x)

 g(x) = |d(g(x))
{z } | {z }

β
⇒ f (x)g(x) = αβ) f ∗ (x)g ∗ (x) ⇒ d(f (x)g(x)) = αβ.
| {z }
primitivo
prim.
QED
Teorema 1.1.14. Sia R un dominio a fattorizzazione unica, f (x) ∈ R[x] allora se f (x)
si decompone nel prodotto di due polinomi a coefficienti in Q(R)[x] si decompone anche nel
prodotto di due polinomi degli stessi gradi a coefficienti in R.
Teorema 1.1.15. Sia R un dominio a fattorizzazione unica, allora anche R[x] lo è.
Dimostrazione. Bisogna provare che ogni f (x) ∈ R[x] non invertibile si fattorizza in modo
unico nel prodotto di fattori irriducibili:
f (x) = d(f (x)) f ∗ (x)
| {z } | {z }
α
primitivo
fattoriziamo separatamente i due fattori, immergiamo, in primo luogo, f ∗ (x) in Q(R)[x], che
è a fattorizzazione unica, poichè Q(R) è un campo, la sua fattorizzazione diventa:
f ∗ (x) = p1 (x)p2 (x) · · · pn (x) =
n1 ∗ n2 ∗
nn
p1 (x) p2 (x) · · · p∗n (x) ni , di ∈ R
d1
d2
dn
cioè:
d1 d2 · · · dn f ∗ (x) = n1 n2 · · · nn p∗1 (x)p∗2 (x) · · · p∗n (x)
|
{z
}
primitivo
10
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
cioè: f ∗ (x) = p∗1 (x)p∗2 (x) · · · p∗n (x) che è una fattorizzazione in irriducibili su R, i p∗i (x)
sono associati su Q(R)[x] ai pi (x), sono irriducibili su Q(R), sono primitivi e dunque sono
irriducibili anche su R. Resta da provare l’unicità della fattorizzazione. Supponiamo per
questo che ne esistano due:
f ∗ (x) = p∗1 p∗2 · · · p∗n = q1 (x)q2 (x) · · · qm (x) qi (x) irriducibili su R
Ma la fattorizzazione in qi (x) è una fattorizzazione anche su Q(R)[x], ma su Q(R)[x] la
fattorizzazione è unica, dunque i qi (x) sono associati ai p∗j (x) su Q(R)[x] e di conseguenza n =
m, ma i qi (x) sono anche essi primitivi dunque sono associati ai p∗j (x) anche su R[x]. Quindi
la fattorizzazione è unica. Resta da fattorizare α, ma α ∈ R, dunque la sua fattorizzazione
esiste ed è unica, in definitiva si ha:
f (x) = α1 α2 · · · αn · p∗1 (x)p∗2 (x) · · · p∗n (x)
che dimostra il teorema.
QED
Corollario 1.1.4. Se R è un dominio a fattorizzazione unica, in particolare un campo,
R[x1 , x2 , . . . , xn ] è un dominio a fattorizzazione unica.
Nota 1.1.4. Riassumendo la situazione vista sin qui:
thm. 1.1.4
Anelli commutativi
w con unità R =======⇒ campo ⇔ privo di ideali non banali
w
thm.1.1.5
I ⊂ R massimale ⇔ R/I è un campo
thm. 1.1.7
thm.1.1.8
(D, v) Euclideo =====⇒ D Principale
=====⇒ a, b non entrambi nulli ∃M CD(a, b)
===
~
===t
hm.
1.1.1
thm.w
1.1.11
2==
====
⇒
D Dominio a fattorizzazione
unica
w
w
thm.
1.1.15
D[x] Dominio a fattorizzazione unica
Definizione 1.1.12. Sia R anello, se non esiste alcun intero positivo n ∈ Z+ tale che
na = 0 ∀ a ∈ R si dice che R ha caratteristica 0. Se invece un tale intero n esiste allora
detto m il minimo intero positivo tale che ma = 0 ∀ a ∈ R si dice che R ha caratteristica
n.
Teorema 1.1.16. La caratteristica di un dominio di integrità R è 0 o un numero primo p.
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che kar(R) = m con m non primo, allora esisterà
una fattorizzazione propria di m in primi data da m = m1 m2 allora ∀a ∈ R si ha che
0 = ma = m1 m2 a e m1 m2 aa = 0, cioè 0 = (m1 m2 )ab = (m1 a)(m2 b), ma R è un dominio,
quindi o m1 a = 0 o m2 b = 0, ma m1 , m2 < m, questo è assurdo, allora m è o un numero
primo o 0.
QED
Gruppi
11
Nota 1.1.5. Se un campo è finito la sua caratteristica è finita, cioè positiva, ma non è
vero il viceversa. Ad esempio Zp (x), il campo delle funzioni razionali su Zp , è infinito e ha
caratteristica p.
Definizione 1.1.13. Si dice sottocampo fondamentale P di un campo F l’intersezione
di tutti i sottocampi di F .
Teorema 1.1.17. Se Kar(F ) = 0 il sottocampo fondamentale è isomorfo a Q, se Kar(F ) =
p il sottocampo fondamentale è isomorfo a Zp .
Dimostrazione. Si costruisca il seguente omomorfismo tra anelli:
ϕ:
Z
z
-
F
z · 1F
Si vede che Imϕ = {m · 1F |m ∈ Z} e che ker ϕ = {z ∈ Z|z · 1F = 0F }. Se kar(F ) = 0 allora
ker ϕ = 0 allora ϕ è iniettivo, cioè Z ∼
= Imϕ ⊆ F , ma Imϕ è contenuta nel sottocampo
fondamentale di F , ma il sottocampo fondamentale è l’intersezione di tutti i sottocampi di
F , il sottocampo di F che contiene Imϕ è Q, che è quindi il sottocampo fondamentale di F .
Se invece kar(F ) = p si ha ker ϕ = pZ allora per il TFO:
ϕ:
- Imϕ⊆
-
Z
∩
F
∼=
π
?
Z/pZ ∼
= Zp
QED
cioè il sottocampo fondamentale è ZP .
Gruppi
1.2
Teorema 1.2.1. Sia G un gruppo e N, H ≤ G con N G. Allora N H = HN è un
sottogruppo di G.
Dimostrazione. N G allora N H = HN per la definizione di normale, resta da dimostrare
che N H è un sottogruppo di G, allora presi comunque x, y ∈ N H devo mostrare che xy −1 ∈
N H, ma x ∈ N H ⇒ x = nh e y ∈ N H ⇒ y = nh0 , quindi xy −1 = nh(nh0 )−1 = nhh0 −1 n−1 ∈
nHN = nN H ⊆ N H, che è ciò che volevamo dimostrare.
QED
Teorema 1.2.2. Sia ϕ : G → G0 un omomorfismo, allora:
1. H ≤ G ⇒ ϕ(H) ≤ Im(ϕ) ≤ G0 ;
2. K 0 ≤ G0 ⇒ ker ϕ ≤ ϕ−1 (K 0 ) ≤ G.
12
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Dimostrazione. (1) H ≤ G, presi h, h0 ∈ H allora ϕ(h), ϕ(h0 ) ∈ G0 e si ha che ϕ(hh0 −1 ) =
ϕ(h) ϕ(h0 )−1 ∈ Imϕ ≤ G0 . Similmente per la (2).
QED
|{z} | {z }
∈Imϕ
∈Imϕ
Corollario 1.2.1. G gruppo, N G e sia π : G → G/N allora:
1. se H ≤ G ⇒ π(H) = HN/N ≤ G/N ;
2. se H 0 ≤ G/N ⇒ π −1 (H 0 ) ≤ G, N ≤ π −1 (H 0 ).
Teorema 1.2.3. Se G è un gruppo e N G e π : G → G allora esiste una corrispondenza
biunivoca ψ tra i sottogruppi H di G contenenti N = ker π e i sottogruppi di G/N .
Dimostrazione. Costruiamo la corrisponenza ψ nel seguente modo ψ : H → π(H), per
provare che ψ è biunivoca proveremo che ammette un’inversa, cioè ∀H ≤ G, H ⊃ N si ha che
H ∈ π −1 (π(H)), sia allora x ∈ π −1 (π(H)) ⇒ π(x) ∈ π(H) ⇒ π(x) = π(h) per qualche h ∈
H ⇒ x ∈ hN ma N ⊂ H ⇒ x ∈ H, invece ∀K ≤ G/N si ha che π(π −1 (K)) = K perchè π è
suriettiva.
QED
Teorema 1.2.4 (1◦ Teorema di Isomorfismo - Gruppi). G gruppo, N G, π : G → G/N
dato H ≤ G si ha:
(a) π −1 (π(H)) = HN ;
(b) N ∩ H H;
(c) H/(N ∩ H) ∼
= HN/N .
Dimostrazione. (a) Sia H ≤ G e n ∈ N, h ∈ H, allora π(nh) = π(n)π(h) = π(h) ∈ π(H)
si ha HN ⊇ π −1 (π(H)), vale anche l’altra inclusione se x ∈ π −1 (π(H)) allora π(x) ∈ π(H)
cioè, per qualche h ∈ H, pi(x) = π(h), cioè x ∈ hN . (b) Imπ|H = HN/N e ker π|H = H ∩ N
(dimostra (2)), allora per il TFO si ha che HN/N ∼
= H/H ∩ N , che dimostra (3).
π:
G⊂
-
?
?
π|H :
H
⊂
-
∩
π2
G/N
?
HN
- N
Imπ|H =
∼
=
H
H
=
ker π|H H ∩ N
QED
Teorema 1.2.5 (2◦ Teorema di Isomorfismo - Gruppi). G gruppo, N G, H ≤ G, H ≤ N
allora:
(a) H G ⇔ H/N G/N ;
Gruppi
(b)
G/H
H/N
13
∼
= G/H.
Dimostrazione. (1),(⇒) ∀gN ∈ G/N , ∀h ∈ N/H controllo i coniugati:
(gN )(hN )(gN )−1 = gN hN g −1 N = ghg −1 N ∈ H/N
(⇐) la situazione è la seguente:
G⊂
π1
-
G
N
⊂
π2
-
G/N
H/N
detta ρ = π2 ◦ π1 si ha che ρ è un epimorfismo, perchè composizione di epimorfismi, inoltre
ker ρ = {g ∈ G|ρ(g) = id} = {g ∈ G|π2 (π1 (g)) = id} = {g ∈ G|π2 (gN ) = id} = H allora per
G/H ∼
QED
il TFO si può concludere che: H/N
= G/H che dimostra anche il punto (b).
Definizione 1.2.1. Un’azione di un gruppo G sull’insieme X è una applicazione:
∗ :G × X
(g, x)
-
X
g∗x
-
tale che:
(i) Detto e l’elemento neutro di G: e ∗ x = x ∀ x ∈ X;
(ii) (g1 g2 ) ∗ x = g1 ∗ (g2 ∗ x) ∀ x ∈ X ∀ g1 , g2 ∈ G.
Nota 1.2.1. ∀ g ∈ G si determina una corrispondenza biunivoca ψg : X → X dato da
ψg (x) = g ∗ x e la sua inversa ψg−1 . Per quanto si ha, da (i), (ii), la corrispondenza Ψ da G
al δ(X) = { corrispondenze biunivoche di X in se stesso } data da:
Ψ: G
g
-
δ(X)
-
ψg
che è un omomorfismo di gruppi, cioè gli elementi del gruppo si possono interpretare come
corrispodenze biunivoche di un insieme in se stesso.
Su X resta definita la seguente relazione di equivalenza:
xρy ⇔ g ∈ G|y = g ∗ x
(1.8)
Le classi di equivalenza rispetto a ρ si dicono orbite. Se c’è una sola orbita l’azione si dice
transitiva.
O(x) , {y ∈ X|y = g ∗ x per qualche g ∈ G}
(1.9)
Definizione 1.2.2. L’azione di G su X definisce lo stabilizzatore Stx per x ∈ X come:
Stx , {g ∈ G|g ∗ x = x}
(1.10)
Teorema 1.2.6. Stx è un sottogruppo di G, inoltre Stgx = gStxg−1 , cioè gli stabilizzatori di
elementi sulla stessa orbita sono tutti coniugati.
14
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Dimostrazione. Dimostriamo che Stx ≤ G, e ∈ Stx , infatti e ∗ x = x∀x ∈ X, se g ∈ Stx ⇒
g ∗ x = x ⇒ g −1 gx = g −1 ∗ x ⇒ e ∗ x = g −1 x ⇒ g −1 ∗ x = x ⇒ g −1 ∈ Stx , siano g, g 0 ∈ Stx
allora gg 0 ∈ Stx , infatti gg 0 ∗ x = g ∗ (g 0 ∗ x) = g ∗ x = x. Dimostriam la seconda parte, sia
y ∈ Stgx ⇔ y(gx) = gx ⇔ g −1 yg(x) = x ⇔ y ∈ gStx g −1 . Quindi Stgx = gStx g −1 .
QED
Definizione 1.2.3. Un insieme X su cui agisce un gruppo G si chiama G-insieme.
Teorema 1.2.7. Sia X un G-insieme allora |O(x)| = [G : Stx ].
Dimostrazione. Costruiamo la seguente applicazione:
φ
O(x) - {Stx g|g ∈ G}= {laterali destri di Stx }
gx
-
Stx g −1
φ è ben posta e iniettiva, infatti: g1 x = g2 x ⇔ g2−1 g1 x = x ⇔ g2−1 g1 ∈ Stx ⇔ Stx g1−1 =
Stx g2−1 , inoltre è suriettiva, perchè dato comunque un laterale destro di Stx g esso proviene
dall’emento g −1 x ∈ O(x).
QED
Definizione 1.2.4. Si definisce centralizzante dell’elemento x ∈ X sui cui agisce il gruppo
G il sottogruppo:
Cx , {g ∈ G|g ∗ x = x ∗ g}
(1.11)
Corollario 1.2.2. La cardinalità della classe di coniugio di un elemento x di G ugaglia
l’indice del centralizzante.
Corollario 1.2.3. Se G è un gruppo finito e agisce su X si ha che:
|O(x)||Stx | = |G|
(1.12)
Corollario 1.2.4. Sia Cx il centralizzante dell’elemento x ∈ G rispetto all’azione di G gruppo
finito su G è valida la seguente equazione, detta equazioni delle classi:
|G| =
X |G|
|Cx |
x∈G
(1.13)
inoltre se Z(G) = {x ∈ G|xg = gx ∀g ∈ G} =
6 ∅ l’equazione delle classi diventa:
|G| = |Z(G)| +
X |G|
|Cx |
(1.14)
x∈Z(G)
/
P
Dimostrazione. Sia cx il numero dei coniugati dell’elemento x ∈ G, risulta |G| =
cx
con x un rappresentante di ogni classe coniugata. Ma cx = |O(x)| e C(x) = Stx , dal
corollario precende si ha che |O(x)||Stx | = |G|, questo verifica la tesi. Per avere la seconda
formulazione è sufficiente riflettere che se g ∈ Z(G) la sua classe coniugata è formata solo
da g stesso.
QED
Gruppi
15
Teorema 1.2.8 (Teorema di Burnside). Sia G un gruppo finito che agisce su X, il numero
s delle orbite in X rispetto all’azione è dato dalla seguente espressione:
s=
1 X
|Xg |
|G| g∈G
(1.15)
dove Xg = {x ∈ X|gx = x}.
Dimostrazione. Sia N = |{(g, x) ∈ G × X|gx = x}|, fissato g ∈ G esistono |Xg | coppie che
hanno g come primo elemento. Fissato invece x esistono |Stx | coppie che hanno x come
secondo elemento. Quindi si ha la seguente uguaglianza:
X
X
N=
|Xg | =
|Stx |
g∈G
ma:
X
|Stx | =
x∈X
x∈X
X 1
X |G|
= |G|
|O(x)|
|O(x)|
x∈X
x∈X
A sua volta sappiamo che:
X
x∈X
1
= s = numero delle orbite
|O(x)|
infatti tutti gli x che si trovano in una medesima orbita O(x) contribuiscono alla somma
precedente per:
1
|O(x)|
=1
|O(x)|
Tornando alla prima uguaglianza, sostituendo gli ultimi risultati, abbiamo che:
X
|Xg | = s|G| ⇔ s =
g∈G
1 X
|Xg |
|G| g∈G
QED
Teorema 1.2.9 (Teorema di Cauchy). Sia G un gruppo finito di ordine n, sia p un primo
con p|n. Allora G ha un elemento di ordine p.
Dimostrazione. Si tratta di trovare un elemento G 3 x 6= e tale che xp = e. Definiamo
l’insieme:
X = {x = (x1 , x2 , . . . , xp )|xi ∈ G, x1 x2 · · · xp = e}
Si ha che |X| = np−1 infatti, possono essere scelti, per ogni stringa, p − 1 elementi in modo
arbitrario in G, cioè ciascuno fra n = |G| scelte, mentre il p-mo è definito dalla relazione
x1 x2 · · · xp = e. Definiamo la seguente azione di Zp su X:
∗ :Zp × X
(t, x)
-
X
(xt+1 , xt+2 , . . . , xt )
16
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Cioè, una traslazione di t degli indici e una loro riduzione (mod p). Poichè |O(x)||Stx | = |G|,
dunque deve essere |O(x)|||G| = p, cioè ∀x ∈ X |O(x)| = 1 o p. Se tutte le orbite diverse
dall’orbita costituita dalla sola stringa (e, e, . . . , e) fosser costituite da p stringhe, l’ordine
di X non potrebbe essere un multiplo di p. Ciò significa che deve esistere un’orbita, non
ridotta alla sola stringa (e, e, . . . , e), che contiene un solo elemento, cioè che contiene una
sola stringa (x1 , x2 , . . . , xp ) 6= (e, e, . . . , e) che è lasciata fissa da ogni elemento di Zp . Questo
comporta che x1 = x2 = . . . = xp , cioè xp ha periodo p.
QED
Definizione 1.2.5. Se |G| = pk il gruppo prende il nome di p-gruppo.
Corollario 1.2.5. Sia G un p-gruppo allora il suo centro è non banale.
Dimostrazione. Consideriamo la partizione di G in classi coniugate. La cardinalità di ogni
classe deve essere 1 o p, poichè deve dividere l’ordine del gruppo. Z(G) è costituito da tutti
gli elementi che commutano con ogni elemento di G, quindi è costituito da tutte le classi
che possiedono un solo elemento. Se il centro fosse banale si avrebbe |G| ≡ 1 (mod p), ma
|G| = pk , dunque il centro non può essere banale.
QED
Corollario 1.2.6. Un gruppo G di ordine p2 è abeliano.
Dimostrazione. Poichè Z(G) ≤ G si ha che |Z(G)|||G| allora deve essere |Z(G)| = 1, p, p2 ,
possiamo escludere 1, poiché G è un p-gruppo. Supponiamo che sia p, allora esisterà un
elemento a ∈ G con a ∈
/ Z(G), consideriamo il sottogruppo C(a) = {g ∈ G|ga = ag} ≤ G,
si ha inoltre che Z(G) < C(a). Ma, allora, per il teorema di Lagrange C(a) deve coincidere
con G o con Z(G), ma in C(a) c’è almeno a ∈
/ Z(G), quindi C(a) = G, ma anche questo è
assurdo perchè a ∈
/ Z(G). Resta dunque l’unica possibilità che |Z(G)| = p2 .
QED
Definizione 1.2.6. |G| = ph1 1 . . . phk k , un p sottogruppo P di G con la proprietà che la sua
cardinalità è la potenza massima di p che divide G si dice p-sottogruppo di Sylow.
Teorema 1.2.10 (Teorema di Sylow). Sia G un gruppo finito, con |G| = pα m, con p primo
e con p - m allora:
(a) G ha un sottogruppo p-Sylow di ordine pα .
(b) Se H è un p-sottogruppo di Sylow (con ph elementi di h ≤ α) allora è contenuto in un
p-Sylow di G.
(c) Due qualunque p-Sylow di G sono coniugati.
(d) Il numero dei p-Sylow di G distini è un divisore di m ed è congruo ad 1 (mod p):
Np ≡ 1 (mod p)
(1.16)
Np |m
Nota 1.2.2. |G| = pq con p, q primi allora G non è semplice.
Definizione 1.2.7. Siano G e G0 due gruppi allora:
∗ :(G × G0 ) ∗ (G × G0 )
(g, g 0 ) ∗ (ḡ, ḡ 0 )
-
G × G0
(gḡ, g 0 ḡ 0 )
Gruppi
17
Teorema 1.2.11. Siano G1 e G2 due gruppi e sia G = G1 × G2 il loro prodotto diretto
esterno, allora esistono in G1 × G2 due sottogruppi Ḡ1 e Ḡ2 tali che:
(a) Ḡ1 ∼
= G1 e Ḡ2 ∼
= G2 .
(b) Ḡ1 G e Ḡ2 G.
(c) G = Ḡ1 Ḡ2 .
(d) Ḡ1 ∩ Ḡ2 = (eG1 , eG2 ), il sottogruppo banale.
Dimostrazione. (a) le copie sono:
Ḡ1 , {(g1 , eG2 )|g1 ∈ G1 }
Ḡ2 , {(eG1 , g2 )|g2 ∈ G2 }
(b) per dimostrare che Ḡ1 G, sia h ∈ Ḡ1 e sia g ∈ G allora:
ghg −1 = (g1 , g2 )(h1 , eG2 )(g1−1 , g2−1 ) = (g1 h1 g1−1 , g2 eG2 g2−1 ) = (h̄, eG2 ) ∈ Ḡ1
similmente per Ḡ2 . (c) Sia g ∈ G allora g = (g1 , g2 ) con g1 ∈ G1 ∼
= Ḡ2 , cioè
= Ḡ1 e g2 ∈ G2 ∼
G ⊆ Ḡ1 Ḡ2 . Siano g1 ∈ G1 e g2 ∈ G2 allora ∃x ∈ G : x = (g1 , eG2 ) (eG1 , g2 ), cioè G ⊇ Ḡ1 Ḡ2 .
| {z } | {z }
∈Ḡ1
∈Ḡ2
(d) segue banalmente dalla descrizione di Ḡ1 e Ḡ2 data in (a).
QED
Definizione 1.2.8. Se un gruppo G possiede due sottogruppi G1 e G2 che soddisfano le
condizioni (b),(c),(d) del teorema si dice che G è un prodotto diretto interno di Ḡ1 e
Ḡ2 . Abbiamo quindi dimostrato che un gruppo che sia un prodootto diretto esterno di due
gruppi è isomorfo al loro prodotto interno.
Lemma 1.2.12. Sia G un gruppo e siano H e K due sottogruppi di G tali che H G,
K G e H ∩ K = {id} allora ∀ h ∈ H e ∀ k ∈ K allora KH = HK.
Dimostrazione.
H 3 x = hkh−1 k −1 =

−1 −1

| {z } k ∈ K
 hkh
∈K
−1 −1

 h |kh {zk } ∈ H
⇒ x ∈ H ∩ K ⇒ x = e ⇒ hk = kh
∈H
QED
Lemma 1.2.13. Sia G un gruppo e siano H, K ≤ G
(a) G = HK
(b) H ∩ K = {id}
Allora ogni g ∈ G si scrive in modo unico come prodotto di un elemento di H per un elemento
di K.
18
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Dimostrazione. Sia g ∈ G e g = hk con h ∈ H e k ∈ K, allora g = hk = h0 k 0 ⇒ h−1 hkk 0 −1 =
QED
h−1 h0 k 0 k −1 ⇒ kk 0 −1 = h−1 h0 ∈ H ∩ K = {e} ⇒ h = h0 e k = k 0 .
Teorema 1.2.14. G un gruppo, G1 G, G2 G con G = G1 G2 e G1 ∩ G2 = {id} allora G
è un prodotto diretto.
Dimostrazione. Costruiamo l’applicazione:
Ψ :G1 × G2
(g1 , g2 )
-
G
- g1 g2
Ψ è suriettiva, poichè G = G1 G2 , è iniettiva per il lemma 1.2.13 ed è un omomorfismo per il
lemma 1.2.12, dunque è un isomorfismo, cioè G ∼
QED
= G1 G2 .
Definizione 1.2.9. Sia G un gruppo, si dice commutatore di due elementi x, y di G
l’elemento [x, y] = xyx−1 y −1 .
Definizione 1.2.10. Si definisce G0 il sottogruppo derivato di G il sottogruppo:
G0 ,< xyx−1 y −1 |x, y ∈ G >
(1.17)
Nota 1.2.3. Se G è Abeliano allora G0 = {id}.
Teorema 1.2.15. Sia G un gruppo:
(a) G0 G, G/G0 è abeliano.
(b) Se N G, G/N è abeliano ⇔ G0 ≤ N , cioè G0 è il più piccolo sottogruppo normale di
G rispetto a cui il quoziente è abeliano.
(c) Se N G ⇒ N 0 G, cioè è un sottogruppo caratteristico.
Dimostrazione. (a) poichè G0 è generato dai commutatori, è sufficiente controllare che il
coniugato di un commutatore è ancora un commutatore, cioè, detto x = aba−1 b−1 , si ha che:
gxg −1 = g(aba−1 b−1 )g −1 = gag −1 gbg −1 ga−1 g −1 gb−1 g −1
= (gag −1 )(gbg −1 )(ga−1 g −1 )(gb−1 g −1 )
= (gag −1 )(gbg −1 )(gag −1 )−1 (gbg −1 )−1 ∈ G0
proviamo ora che G/G0 è abeliano: siano G0 x, G0 y ∈ G/G0 , allora:
G0 x · G0 y = G0 xy = G0 yxy −1 x−1 xy = G0 yx = G0 y · G0 x
(b) Basta osservare che:
N xy = N yx ⇔ N xyx−1 y −1 ⇔ xyx−1 y −1 ∈ N
(c) Basta provare che gnmn−1 m−1 g −1 ∈ N 0 ∀g ∈ G ∀n, m ∈ N . Infatti:
gnmn−1 m−1 g −1 = gng −1 gmg −1 gn−1 g −1 gm−1 g −1 =
= (gng −1 ) (gmg −1 ) (gn−1 g −1 ) (gm−1 g −1 ) =
| {z } | {z } | {z } | {z }
∈N
−1
∈N
−1
∈N
−1 −1
∈N
−1 −1
= (gng )(gmg )(gng ) (gmg )
∈ N0
QED
Gruppi
19
Definizione 1.2.11. G si dice risolubile se è possibile trovare una catena di sottogruppi Hi :
G = H0 ⊃ H1 ⊃ . . . ⊃ Hs = {id}
(1.18)
tale che ciascuno degli Hi è:
• Hi Hi−1 .
• Hi−1 /Hi è abeliano.
Teorema 1.2.16. Un gruppo G è risolubile ⇔ ∃m ∈ N : G(m) = {id}.
Dimostrazione. (⇐)Supponiamo che sia G(m) = {e} per qualche m, posto Mi = G(i) ,
consideriamo la catena:
M0 = G ⊃ M1 ⊃ M2 ⊃ · · · ⊃ Mm = {e}
Poichè per ogni i Mi G si ha che Mi Mi−1 , inoltre:
Mi−1 /Mi = G(i−1) /G(i) = G(i−1) /(G(i−1) )0
e quindi ogni quoziente è abeliano, allora G è risolubile. (⇒) supponiamo G risolubile, esiste
allora, per la definizione di gruppo risolubile, una catena di sottogruppi:
G = M0 ⊃ M1 ⊃ M2 ⊃ · · · ⊃ Ms = {e}
tale che, ∀i si ha che Mi C Mi−1 e Mi−1 /Mi è abeliano, allora M 0 i−1 ⊆ Mi . Si ha quindi la
seguente situazione:
M1 ⊃ M 0 0 = G0
M2 ⊃ M 0 1 ⊃ G(2)
..
.
Mi ⊃ M 0 i−1 ⊃ G(i)
..
.
Ms = {e} ⊃ M 0 s−1 ⊃ G(s) ⇒ G(s) = {e}
QED
Corollario 1.2.7. Se G è risolubile tale è anche ogni suo sottogruppo e ogni sua immagine
omomorfa.
Teorema 1.2.17. Per ogni n ≥ 5, S n non è risolubile.
(k)
Dimostrazione. Sia n ≥ 5, proveremo che ∀k, Sn contiene tutti i 3-cicli. Proviamo che se
N S n n ≥ 5 contiene tutti i 3-cicli anche N 0 contiene tutti i 3-cicli. Se N contiene tutti i
3-cicli, conterrà in particolare (1, 2, 3) e (1, 4, 5). Allora N 0 conterrà il commutatore:
(1, 2, 3)(1, 4, 5)(1, 2, 3)−1 (1, 4, 5)−1 = (1, 2, 3)(1, 4, 5)(1, 3, 2)(1, 5, 4) = (1, 2, 4)
Ora essendo N 0 Sn , se contiene un 3-ciclo conterrà l’intera classe coniugata, ovvero tutti i
3-cicli. Partendo da N = Sn , allora S 0 n contiene tutti i 3-cicli, essendo S 0 n Sn = N , si può
(k)
iterare il procedimento e concludere che ∀k, Sn contiene tutti i 3-cicli.
QED
20
Anelli e Gruppi, cenni e richiami
Teorema 1.2.18. Ogni gruppo Abeliano finito è prodotto diretto di gruppi ciclici.
Dimostrazione. Sia G un gruppo abeliano definiamo:
s
Σp = {x ∈ G|xp = e per qualche s}
Ogni Σp è un sottogruppo di G che è un p-sottogruppo-di-Sylow di G, voglio provare che
G è prodotto diretto di questi Σp . Sia x ∈ G e o(x) = n, per il teorema di Lagrange n||G|
e |G| = pα1 1 pα2 2 · · · pαnn con pi primi distini e αi ≥ 1, siano {q1 = |pαn1 | , . . . , qr = |pαrnr | sono
1
dunque primi tra loro, allora:
1 = k1 q1 + k2 q2 + · · · + kr qr
p αi
(1.19)
dunque x = x1 = xk1 q1 xk2 q2 · · · xkr qr e xqi i = xn = 1 ∀i = 1, . . . , n, cioè xqi ∈ Σpi ⇒
xki qi ∈ Σpi , voglio mostrare che G = Σp1 Σp2 · · · Σpk , ma questo è ovvio perchè lo abbiamo
già mostrato, dobbiamo provare che G ≡ Σp1 × Σp2 × · · · × Σpk . Dobbiamo quindi provare
cp · · · ∩ Σp = {1}, se ci fosse un x nell’intersezione allora o(x)|pi e
che Σp1 ∩ Σp2 ∩ · · · Σ
i
k
o(x)|Σp1 Σp2 · · · Σpk , ma questo non può essere, poiché ho eliminato il primo dalla lista, allora
x = 1.
QED
2
Campi e estensioni
Definizione 2.0.12. Un ampliamento o estensione di un campo F è un qualunque campo
K ⊃ F.
Definizione 2.0.13. Se F è un campo e K è una sua estensione. Si definisce grado dell’estensione K su F , e si scrive [K : F ], è la dimensione di K come spazio vettoriale su
F.
Definizione 2.0.14. Estensione di grado finito si dicono finite.
Teorema 2.0.19. Sia L estensione finita di K e K estensione finita di F , L ⊃ K ⊃ F
allora:
(a) L è ampliamento finito di F .
(b) [L : F ] = [L : K][K : F ].
Dimostrazione. Supponiamo [L : K] = m e [K : F ] = n, sia BK (L) = {v1 , v2 , . . . , vm } una
base di L su K e BF (K) = {w1 , w2 , . . . , wn } una base di K su F . Vogliamo dimostrare che
{vi wj }i=1,...,m;j=1,...,n è una base di L su F . Come prima osservazione gli elementi sono nel
numero giusto, cioè n · m. Scriviamo un generico elemento t di L come combinazione lineare
dei vi :
t = k1 v1 + k2 v2 + · · · + km vm con ki ∈ K
ognuno dei ki ∈ K può essere scritto come combinazione lineare dei wi , cioè:
ki = fi,1 w1 + fi,2 w2 + · · · + fi,n wn con fi,j ∈ F
sostituendo questa seconda scrittura nella prima si ha che:
t =(f1,1 w1 + f1,2 w2 + · · · + f1,n wn )v1 +
+ · · · + (fi,1 w1 + fi,2 w2 + · · · + fi,n wn )vi +
+ · · · + (fm,1 w1 + fm,2 w2 + · · · + fm,n wn )vm =
= f1,1 v1 w1 + · · · + fi,m vi wn + · · · fi,j vi wj + · · · + fm,n vm wn
Abbiamo scritto il generico t di L come combinazione lineare della base candidata, dunque
la base genera tutto L. Resta solo da dimostrare che la base è linearmente indipendente su
F , cioè che se:
f1,1 v1 w1 + · · · + fi,m vi wn + · · · fi,j vi wj + · · · + fm,n vm wn = 0 ⇔ fi,j = 0 ∀i, j
22
Campi e estensioni
Per farlo riscriviamo l’espressione precedente come: (f1,1 w1 + f1,2 w2 + · · · + f1,n wn )v1 + · · · +
(fi,1 w1 + fi,2 w2 + · · · + fi,n wn )vi + · · · + (fm,1 w1 + fm,2 w2 + · · · + fm,n wn )vm = 0, ma la vi è
una base dunque deve essere:
fi,1 w1 + fi,2 w2 + · · · + fi,n wn = 0 ∀i = 1, . . . , m
ma anche gli wj sono una base, dunque deve essere fi,j = 0 ∀i = 1, . . . , m ∀j = 1, . . . , n, che
è quello che volevamo dimostrare.
QED
Corollario 2.0.8. L’ampliamento finito di F e K sottocampo di L contenuto in F allora:
[K : F ]|[L : F ].
Corollario 2.0.9. Se K è ampliamento di F che ha come grado un numero primo allora
non ci sono campi intermedi.
Definizione 2.0.15. Un elemento a ∈ K si dice algebrico su F se esistono elementi
α0 , α1 , . . . , αn in F non tutti nulli tali che:
α0 an + α1 an−1 + . . . + αn = 0
(2.1)
cioè quando esiste un polinomio su F di cui a è radice.
Teorema 2.0.20 (A). L’elemento α ∈ K è algebrico su F ⇔ F (α) è un’estensione finita
di F .
Dimostrazione. (⇐) Supponiamo [F (α) : F ] = m allora possiamo prendere i seguenti elementi {1, α, α2 , . . . , αm } che sono in numero di m + 1, dunque sono linearmente dipendenti,
allora esistono in F elementi {f0 , f1 , . . . , fm } non tutti nulli, tali che:
f0 + f1 α + f2 α 2 + · · · + fm α m = 0
cioè α soddisfa un poliniomio di grado m in F [x], ovvero α è algebrico su F . (⇒) Supponiamo
α ∈ K algebrico su F , dunque α soddisfa ad un polinomio non nullo di F [x]. Sia p(x) ∈ F [x]
il polinomio di grado minimo per cui questo accade, con δ(p(x)) > 0 e tale che p(α) = 0,
dimostriamo in primo luogo che p(x) è irriducibile su F [x]. Supponiamo, per assurdo, che non
lo sia allora p(x) = f (x)g(x), ma p(α) = f (α)g(α) = 0, ma F [x] è un dominio di integrità,
dunque o f (α) = 0 o g(α) = 0, ma δ(g(x)) ≤ δ(p(x)) e δ(f (x)) ≤ δ(p(x)), ma questo è
impossibile poiché, per la definizione di algebrico, p(x) è il polinomio di grado minimo di cui
α è radice, dunque p(x) deve essere irriducibile. Definiamo ora la seguente applicazione:
ψ : F [x] - F (α)
f (x) - f (α)
Si vede subito che ψ è un omomorfismo tra l’anello F [x] e il campo F (α), calcoliamo ora il
nucleo di questo omomorfismo, V = ker ψ = {f (x) ∈ F [x]|f (α) = 0} = {f (x) ∈ F [x]|f (x) =
p(x)g(x)}, ma F [x] è principale, dunque V = (p(x)), ma abbiamo dimostrato che p(x) è
23
irriducibile, dunque V è anche massimale, allora F [x]/V è un campo. Per il TFO, possiamo
concludere che:
ψ : F [x]
π
- Imψ⊆
-
F (α)
∼=
?
F [X]/V
Abbiamo dunque che Imψ è un sottocampo di F (α), dobbiamo mostrare che, in realtà,
esso coincide con tutto F (α), cioè che ψ è suriettivo. Per farlo è sufficiente osservare che
sia F sia α sono contenuti nell’immagine di psi, ma questo è ovvio, infatti ψ(x) = α e
psi(f ) = f ∀f ∈ F . Resta solo da dimostare che l’estensione è finita. Per farlo bisogna
calcolare la dimensione di [F (α) : F ] come spazio vettoriale, ma dal TFO si ha facilmente
che [F (α) : F ] = δ(p(x)).
QED
P
Definizione 2.0.16. p(x) = (x − ai ) di grado minimo si chiama polinomio minimo per a
su F .
Definizione 2.0.17. Un elemento a ∈ K si dice algebrico di grado n su F se soddisfa ad
un polinomio non nullo su F di grado n, ma non ad un polinomio di grado più basso.
Teorema 2.0.21 (B). Se a ∈ K è algebrico di grado n allora il grado dell’estensione da
[F (a) : F ] = n.
Teorema 2.0.22 (C). Sono a, b ∈ K algebrici su F allora sia a ± b, ab, a/b (b 6= 0), sono
algebrici su F . Cioè gli elementi algebrici formano un campo.
Dimostrazione. Sia a algebrico su F di grado m e sia b algebrico su F di grado n. Allora il
sottocampo T = F (a) di K, dunque b è algebrico su T di grado al più n, poiché T contiene
F . Il sottocampo W = T (b) di K ha grado al più n su T . Ma [W : F ] = [W : T ][T :
F ] ≤ mn, per cui W è ampliamento finito di F . Poichè a, b ∈ W si ha che a ± b, ab, ab−1 gli
appartengono, [W : F ] è finito e dunque sono anche algebrici.
QED
Definizione 2.0.18. Una estensione K di F è detta estensione algebrica di F se ogni
elemento in K è algebrico su F .
Teorema 2.0.23 (D). Se L è un’estensione algebrica di K e K è una estensione algebrico
di F allora L è estensione algebrica di F .
Definizione 2.0.19. Un numero non algebrico si dice trascendente.
Definizione 2.0.20. Un campo K si dice algebricamente chiuso se non ha estensioni
algebriche proprie.
Teorema 2.0.24. Il campo A di tutti i numeri algebrici è algebricamente chiuso.
Definizione 2.0.21. Sia f (x) ∈ F [x], un’estensione finita E di F si dice campo di spezzamento su F di f (x) se f (x) si spezza su E in fattori lineari e ciò non avviene su un
sottocampo proprio di E.
24
Campi e estensioni
Lemma 2.0.25 (1). p(x) irriducibile di grado n ≥ 1 con p(x) ∈ F [x] estensione di E su F
con [E : F ] = n in cui p(x) ha una radice.
Dimostrazione. Sia F [x] l’anello dei polinomi in x a coefficienti in F e V = (p(x)) l’ideale generato da p(x), si ha che V è massimale, poiché p(x) è irriducibile. L’ampliamento
F [x]/(p(x)) ha grado n e una base è data da {1 + (p(x)), x + (p(x)), . . . , xn−1 + (p(x))} poichè
gli elementi del quoziente sono del tipo f (x) + (p(x)). Una radice di p(x) è, ad esempio,
α = x + (p(x)), infatti:
p(x) = xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 ⇒
p(α) = αn + an−1 αn−1 + · · · + a1 α + a0 =
= (x + (p(x)))n + an−1 (x + (p(x)))n−1 + · · · + a1 (x + (p(x))) + a0 =
= xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0 +(p(x)) = 0̄ + (p(x))
|
{z
}
p(x)
QED
Lemma 2.0.26 (2). Sia p(x) un polinomio arbitrario di grado n ≥ 1 con p(x) ∈ F [x] allora
E ampliamento finito di F in cui p(x) ha una radice [E : F ] ≤ n.
Dimostrazione. Sia f (x) un fattore irriducibil di p(x) allora, per il lemma (1), si ha che
esiste un ampliamento F di E in cui f (x) ha una radice, allora anche p(x) ha una radice e
[E : F ] = δ(f (x)) ≤ n.
QED
Teorema 2.0.27 (Teorema di caratterizzazione). Sia K un campo allora le affermazioni
seguenti sono equivalenti:
(a) K è algebricamente chiuso.
(b) Ogni polinomio, non costante, f (x) ∈ K[x] si fattorizza in fattori lineari.
(c) Ogni polinomio, non costante, in K[x] ammette una radice in K.
Dimostrazione. [a ⇒ b] per induzione rispetto al grado δ(f (x)) = n, se n = 1 allora f è
lineare, se n > 1 supponiamo che [a ⇒ b] sia vero per tutti i p(x) di grado minore di n,
aggiungiamo a K una radice α di f (x), si ha che K(α) = K[x]/(p(x)), che è finito, quindi
algebrico, allora K(α) = K allora α ∈ K cioè ∃g(x) ∈ K[x] tale che f (x) = g(x)(x − α),
dunque la tesi, poichè δ(g(x)) < n, segue dall’ipotes induttiva. [b ⇒ c] è ovvio. [c ⇒ a]
supponiamo per assurdo che esista un’estensione algebrica propria E di K, allora α algebrico
con α ∈ E \ K, cioè α soddisfa ad un polinonio irriducibile di grado maggiore ad uno che
sta in K[x], ma questo è assurdo! Perchè per ipotesi tale polinomio deve avere una radice in
K, quindi non può essere irriducibile.
QED
Teorema 2.0.28 (Teorema di esistenza del campo di spezzamento di un polinomio). Sia
f (x) ∈ F [x] un polinomio di grado n ≥ 1 allora esiste un ampliamento E di F di grado
minore o uguale di n! dove f (x) ha tutte le sue radici.
25
Dimostrazione. Procediamo per induzione sul grado del polinomio f (x), supponiamo n = 1
allora il polinomio ammette tutte le radici in F , cioè E = F . Supponiamo che tutti i polinomi
di grado n − 1 godano della proprietà del teorema e dimostriamolo per il grado n. Il lemma
2, ci dice che esiste un ampliamento E0 di F di cui il grado è minore o uguale ad n e in
questa estensione f (x) ha una radice, che chiamiamo α. In E0 [x] si può scrivere il polinomio
come f (x) = (x − α)g(x) con g(x) ∈ E0 [x], grado di δ(g(x)) ≤ n − 1, per l’ipotesi induttiva
esiste dunque un ampliamento finito E di E0 con [E : E0 ] ≤ (n − 1)! in cui g(x) ha le n − 1
radici. Complessivamente E è un’estensione di F che contiene tutte le radici di f (x). QED
Definizione 2.0.22. ϕ un isomorfismo tra due campi F e F 0 , siano R e R0 due anelli
tali che R ⊇ F e R0 ⊇ F 0 , allora si dice che l’omomorfismo ψ tra R e R0 è un’estensione
dell’omomorfismo ϕ da F ad F 0 se ψ|F = ϕ.
Nota 2.0.4. Dato l’isomorfismo τ : F → F 0 , resta defnito questo isomorfismo:
F 0 [x]
n
X
f (x) - f 0 (x) =
τ (ai )xi
τ̄ : F [x]
-
i=0
Teorema 2.0.29. Sia τ : F → F 0 un isomorfismo tra i campi F e F 0 , e due polinomi
f (x) ∈ F [x] e f 0 (x) ∈ F 0 [x] tali che f 0 (x) = τ̄ (f (x)). Sia E campo di spezzamento di f (x)
su F ed E 0 il campo di spezzamento di f 0 (x) su F 0 [x], allora τ si estende ad un isomorfismo
tra E ed E 0 .
Dimostrazione. Si procede per induzione sul numero k delle radici del polinomio f (x), se
k = 0 allora tutte le radici di f (x) sono nel campo F , dunque E = F e l’isomorfismo τ , fa sı̀
che E = F = F 0 = E 0 . Questo dimostra la base dell’induzione. Supponiamo valido il teorema
per polinomi che hanno al più k −1 radici fuori da F e dimostriamolo per quelli che ne hanno
k. Fattorizziamo f (x) ∈ F [x] e costruiamo tramite τ̄ la corrispondente fattorizzazione in
F 0 [x]:
f (x) = p1 (x)p2 (x) · · · pr (x) pi (x) ∈ F [x]
τ̄
?
f 0 (x) = p01 (x)p02 (x) · · · p0r (x)p0i (x) ∈ F 0 [x]
Almeno uno dei pi (x) deve avere grado strettamente maggiore di 1, se cosı̀ non fosse, ci
troveremmo nel caso in cui il polinomio aveva tutte le radici in F , cioè k = 0 che abbiamo
già dimostrato. Sia, per fissare le idee, questo fattore il p1 (x) e sia α una sua radice. Allora
anche f 0 (x) = τ̄ (f (x)) ha un fattore irriducibile p01 (x), di grado strettamente maggiore di 1,
sia α0 una sua radice. Se n = δ(p1 (x)), l’applicazione:
∼
=
- F 0 [x]/(p0 (x))
F [x]/(p1 (x))
1
n−1
n−1
X
X
ai xi + (p1 (x)) a0i xi + (p01 (x))
|{z}
i=0
i=0
a0i =τ (ai )
26
Campi e estensioni
è un isomorfismo, possiamo dunque rappresentare la situazione nel modo seguente, chiudendo
il diagramma con l’isomorfismo Ψ:
n−1
X
i
ai α ∈
Ψ
∼
=
F (α)
-
0
0
3
F (α )
i=0
i
ai α 0
i
i=0
∼
=
n−1
X
n−1
X
∼
=
?
ai x + (p1 (x)) ∈F [x]/(p1 (x))
∼
=
F
0
?
[x]/(p01 (x))3
n−1
X
i=0
i=0
a0i xi + (p01 (x))
|{z}
a0i =τ (ai )
Che risulta quindi essere un’estensione di τ , ora possiamo partire dai campi F (α) e Ψ(F (α)) =
F 0 (α0 ), al di fuori di questi f (x) ha al più k − 1 radici, questo ci permette di estendere Ψ a
Ψ̄ tra E ed E 0 per l’ipotesi induttiva.
E
Ψ̄
∼
=
-
6
6
∪
F (α)
E0
Ψ
∼
=
∪
-
F 0 (α0 )
∼
=
?
∼
=
?
- F 0 [x]/(p0 (x))
F [x]/(p1 (x)) ∼
=
1
QED
Corollario 2.0.10. Tutti i campi di spezzamento di un polinomio f (x) ∈ F [x] sono isomorfi
tramite un isomorfismo che fissa F (in alcuni testi isomorfismi del genere vengono chiamati
F -isomorfismi).
Corollario 2.0.11. Se p(x) ∈ F [x] irriducibile e siano α e β due radici di p(x), F (α) ∼
= F (β)
secondo un isomorfismo che mappa α in β e lascia fissi gli altri elementi di F .
Teorema 2.0.30. Per ogni fissato intero positivo n ∈ Z+ il campo di spezzamento di xn −1 su
Q è l’estensione algebrica semplice di Q(ξ) dove ξ è una qualunque radice n-esima primitiva
dell’unità. Inoltre si ha che [Q(ξ) : Q] = ϕ(n), dove ϕ è la funzione totiente di Eulero.
Dimostrazione. Tutte le radici n-me dell’unità sono potenze di una radice n-ma primitiva,
quindi per ottenere il campo di spezzamento basta aggiungere a Q una qualsiasi radice n-ma
primitiva dell’unità. Inoltre risulta [Q(ξ) : Q] = ϕ(n) perchè il polinomio minino per la radice
n-ma primitiva dell’unità e il polinomio ciclotomico di ordine n che ha grado ϕ(n). QED
2.0.1
Costruzioni con riga e compasso
Definizione 2.0.23. α ∈ R di dice costruibile se è possibile costruire un segmento di retta
di lunghezza α facendo uso soltanto della riga e del compasso.
Nota 2.0.5. Con riga e compasso si possono costruire la perpendicolare e la parallela ad
una retta data passante per un dato punto.
27
Nota 2.0.6. Se α, β sono costruibili, allora sono costruibili anche α ± β, α/β con β 6= 0.
Cioè l’insieme dei numeri costruibili è un sottocampo del campo dei numeri reali.
Riflettendo sul fatto che usare riga e compasso vuol dire tracciare rette e circonferenze,
cioè risolvendo sistemi o di due rette, o di una retta e una circonferenza o di due circonferenze,
possiamo dare la seguente definizione, più operativa, di costruibilità.
Definizione 2.0.24. Un punto è costruibile, con riga e compasso, a partire da un campo
F ⇔ si può trovare un numero finito di numeri reali λ1 , . . . , λn tali che:
1. [F (λ1 ) : F ] = 1 o 2.
2. [F (λ1 , . . . , λn ) : F (λ1 , . . . , λn−1 )] = 1 o 2.
e tale che il nostro punto appartenga al piano di di F (λ1 , . . . , λn ).
Teorema 2.0.31. Il numero reale α è costruibile ⇔ si può trovare un numero finito di
numeri reali λ1 , . . . , λn tali che:
1. λ21 ∈ F0 ;
2. λ2i ∈ F0 (λ1 , . . . , λi−1 ) ∀ i = 1, . . . , n.
in modo che α ∈ F0 (λ1 , . . . , λn ) e il grado dell’estensione risulta essere:
• [F0 (λ1 , . . . , λn ) : F0 ] = 2r
Corollario 2.0.12. Se α è costruibile allora α appartiene ad un ampliamento di Q di grado
una potenza di 2, cioè se α è costruibile allora ∃K ⊆ R sottocampo tale che α ∈ K e che
[K : F0 ] = 2r per qualche r.
Corollario 2.0.13. Se il numero α soddisfa un polinomio irriducibile sul campo Q di grado
k, se k 6= 2r per qualche r allora α non è costruibile.
2.0.2
Campi finiti
Teorema 2.0.32. f (x) ∈ F [x] ha una radice multipla in una opportuna estensione ⇔ f (x)
e f 0 (x) hanno in comune un fattore non banale.
Dimostrazione. (⇒) sia f (x) un polinomio con una radice multipla α allora f (x), in una
opportuna estensione, si potrà scrivere come f (x) = (x − α)m g(x) con m > 1, la sua
derivata è: f 0 (x) = m(x − α)m−1 g(x) + (x − α)m g 0 (x), di cui si vede che α èQ
radice. (⇐)
Supponiamo per assurdo che f (x) non abbia radice multiple, cioè che f (x) = ni=1 (x − αi )
P
con ai 6= aj ∀i 6= j la sua derivata è: f 0 (x) = ni=1 (x − α1 )(x − α2 ) · · · (x\
− αi ) · · · (x − αn ),
dove il cappuccio indica l’omissione di quel termine dalla somma, si vede subito che questo
implica che f (αi ) 6= 0 ∀i = 1, . . . , n, ma questo contraddice l’ipotesi che f (x) e f 0 (x) abbiano
un fattore in comune.
QED
Definizione 2.0.25. Un polinomio f (x) irriducibile su F [x] si dice separabile se è privo
di radici multiple, se non è separabile si dice inseparabile.
28
Campi e estensioni
Teorema 2.0.33. Ogni campo finito K possiede pn elementi con p primo.
Dimostrazione. Ogni campo K ha caratteristica finita p, cioè è una estensione finita di Zp .
Risulta, per tanto, essere: [K : Zp ] = n, cioè K possiede pn elementi.
QED
Lemma 2.0.34. Ogni elemento a di un campo finito con pn elementi soddisfa la relazione:
n
ap = a
(2.2)
Lemma 2.0.35. Un campo K con pn elementi è il campo di spezzamento del polinomio
n
xp − 1 in Zp [x].
Teorema 2.0.36. Due campi con pn elementi sono isomorfi.
Teoria di Galois
2.1
Definizione 2.1.1. Sia K un’estensione finita di F allora si chiama Gruppo di Galois il
gruppo degli automorfismi che lasciano fisso ogni elemento di F .
G(K, F ) = Gal(K, F ) = {σ ∈ Aut(K)|σ(α) = α ∀α ∈ F }
Teorema 2.1.1. K un’estensione finita di un campo F allora:
|G(K, F )| ≤ [K : F ]
(2.3)
Dimostrazione. Sia [K : F ] = n e sia BF (K) = {u1 , u2 , . . . , un } una base di K su F ,
supponiamo di poter trovare, per assurdo, n+1 automorfismi distinti {σ1 , σ2 , . . . , σn , σn+1 } ∈
G(K, F ) scriviamo il seguente sistema di n equazioni lineari in n + 1 incognite:

σ1 (u1 )x1 + σ2 (u1 )x2 + · · · + σn+1 (u1 )xn+1 = 0




σ1 (u2 )x1 + σ2 (u2 )x2 + · · · + σn+1 (u2 )xn+1 = 0



..

.
σ1 (ui )x1 + σ2 (ui )x2 + · · · + σn+1 (ui )xn+1 = 0




..


.


σ1 (un )x1 + σ2 (un )x2 + · · · + σn+1 (un )xn+1 = 0
ha una soluzione in K non banale cioè un vettore x = (a1 , a2 , . . . , an1 ) con gli ai non tutti
nulli, allora:
σ1 (ui )a1 + σ2 (ui )a2 + · · · + σn+1 (ui )an+1 = 0 ∀i = 1, . . . , n
(2.4)
Poichè ogni elemento in F è lasciato fisso da ciascuno σi e poichè un arbitario elemento di
K è del tipo:
t = α1 u1 + α2 u2 + · · · + αn un αi ∈ F
Teoria di Galois
29
si ha, dal sistema 2.4, che:
σ1 (t)a1 + σ2 (t)a2 + · · · + σn+1 (t)an+1 = 0 ∀t ∈ K
ma questo è assurdo, poichè il campo fissato da G(K, F ) deve essere un sottocampo di
K.
QED
Definizione 2.1.2. Si definisco funzioni simmetriche elementari in n variabili x1 , x2 , . . . , xn
a coefficienti su un campo F le seguenti scritture:
a1 =
n
X
xi
i=1
a2 =
X
xi xj
i<j
a3 =
X
xi x j xk
i<j<k
..
.
an
..
.
= x1 x2 · · · xn
Nota 2.1.1. Calcoliamo le funzioni simmetriche per i valori di n = 2, 3, 4:
n = 2 a1 = x 1 + x 2
a2 = x 1 x 2
n = 3 a1 = x 1 + x 2 + x 3
a2 = x 1 x 2 + x 1 x 3 + x 2 x 3
a3 = x 1 x 2 x 3
n = 4 a1
a2
a3
a4
= x 1 + x2 + x3 + x4
= x 1 x2 + x1 x3 + x1 x4 + x2 x3 + x2 x4 + x3 x4
= x1 x2 x3 + x1 x2 x4 + x1 x3 x 4 + x2 x3 x4
= x1 x2 x3 x4
Si vede, inoltre, che per n = 2 queste sono radici del polinomio t2 − a1 t + a2 , per n = 3 del
polinomio t3 − a1 t2 + a2 t − a3 e per n = 4 del polinomio t4 − a1 t3 + a3 t2 − a3 t + a4 , si ha
che a1 , . . . , an ∈ S il campo F (a1 , . . . , an ) ottenuto aggiungendo ad F a1 , . . . , an è F ⊂ Q.
Questa osservazione ci porta a volre dimostrare il seguente teorema.
Teorema 2.1.2. F campo arbitrario, F (x1 , . . . , xn ) funzioni razionali in x1 , . . . , xn su F .
Sia S il campo delle funzioni razionali simmetriche:
1. [F (x1 , . . . , xn ) : S] = n!.
2. G(F (x1 , . . . , xn ), S) ∼
= S n.
3. Se a1 , . . . , an sono le funzioni simmetriche elementari su x1 , . . . , xn allora S = F (a1 , . . . , an ).
4. F (x1 , . . . , xn ) è il campo di spezzamento su F (a1 , . . . , an ) del polinomio p(t) = tn −
a1 tn−1 + . . . + (−1)n an .
30
Campi e estensioni
Dimostrazione. Poichè S n è un gruppo di Automorfismo di F (x1 , . . . , xn ) che lasciano S fisso
si ha che S n ⊆ G(F (x1 , . . . , xn ), S), per dimostrare l’inclusione opposta usiamo il teorema
2.0.21 per cui:
[F (x1 , . . . , xn ) : S] ≥ |G(F (x1 , . . . , xn ), S)| ≥ |S n | = n!
ma essendo F (a1 , . . . , an ) ⊆ S si avrà anche che:
n! ≥ [F (x1 , . . . , xn ) : F (a1 , . . . , an )] = [F (x1 , . . . , xn ) : S][S : F (a1 , . . . , an )] ≥ n!
cioè: [F (x1 , . . . , xn ) : S] = n! e [S : F (a1 , . . . , an )] = 1, ovvero S = F (a1 , . . . , an ) e S n =
G(F (x1 , . . . , xn ), S). p(t) = tn − a1 tn−1 + a2 tn−2 + · · · + (−1)n an che ha coefficienti in
F (a1 , . . . , an ) e si fattorizza in F (x1 , . . . , xn ) come p(t) = (t − x1 )(t − x2 ) · · · (t − xn ), non può
quindi spezzarsi in alcun sottocampo proprio di F (x1 , . . . , xn ) che contenga F (a1 , . . . , an )
cioè F (x1 , . . . , xn ) è il campo di spezzamento di p(t) su F (a1 , . . . , an ) e δ(p(t)) = n dunque
[F (x1 , . . . , xn ) : F (a1 , . . . , an )] ≤ n!.
QED
Nota 2.1.2. Un modo di riformulare il precedente risultato è che una funzione razionale
simmetrica in n variabili è una funzione razionale nelle funzioni simmetriche elementari in
tali variabili.
Definizione 2.1.3. Si definisce estensione normale un’estensione di campi algebrica E
di un campo F tale che ogni polinomio irriducibile in F [x] che ha una radice in E si spezza
completamente in E[x].
Definizione 2.1.4. Si definisce estensione normale un’estensione finita K di F tale che
F sia il campo fissato da G(K, F ).
Teorema 2.1.3 (C). Sia K un’estensione normale di F e H ≤ G(K, F ), KH = {x ∈
K|σ(x) = x ∀σ ∈ H è il campo fisso di H.
1. [K : KH ] = |H|.
2. H = G(K, KH ).
Quando H = G(K, F ) ⇒ [K : F ] = |G(K, F )|.
Dimostrazione. Poichè ogni elemento di H lascia fisso KH elemento per elemento è certamente H ⊂ G(K, KH ), allora per il teorema 2.1.1 si ha che: [K : KH ] ≥ |G(K, KH )| ≥ |H|,
dunque resta solo da provare che [K : KH ] = |H| perchè questo a sua volta implicherà che
|H| = |G(K, KH )| ⇒ H = G(K, KH ). Poichè K ha car(K) = 0 si ha che se a, b algebrici su
F allora esiste c ∈ F (a, b) tale che F (a, b) = F (c) allora esiste a ∈ K tale che K = KH (a)
allora a deve soddisfare ad un polinomio irriducibile su KH di grado m = [K : KH ] e a nessun
altro polinomio di grado più basso. Ora, siano {σ1 , σ2 , . . . , σh } gli elementi di H e fissiamo,
per fissare le idee, σ1 = idH = idG(K,F ) e |H| = h. Consideriamo le funzioni simmetriche
elementari in {σ1 (a), σ2 (a), . . . , σh (a), queste sono:
Ph
α1 = σ
P1 (a) + σ2 (a) + · · · + σh (a) = i=1 σi (a)
α2 =
i<j σi (a)σj (a)
..
..
.
.
αh = σ1 (a)σ2 (a) · · · σh (a)
Teoria di Galois
31
Ogni αi , per come è costruità, è invariante sotto l’azione dei σi ∈ H. Per definizione di KH
le {α1 , α2 , . . . , αh } sono tutti elementi di KH e a è radice del polinomio:
p(x) = (x − σ1 (a))(x − σ2 (a)) · · · (x − σh (a)) =
h
X
(−1)i αi xh−1 con α0 = 1
i=0
cioè h ≤ m = [K : KH ], cioè |H| ≥ [K : KH ] e [K : KH ] ≤ |H|, ovvero la tesi.
QED
Lemma 2.1.4. Sia K il campo di spezzamento di un polinomio di f [x] ∈ F [x] e sia p(x)
un suo fattore irriducibile in F [x]. Se le radici di p(x) sono α1 , . . . , αr allora ∀i = 1, . . . , r
esiste un automorfismo σi ∈ G(K, F ) tale che σi (α1 ) = αi .
Dimostrazione. Ogni radice di p(x) è radice di f (x) e deve, quindi, stare in K. Siano (α1 , αi )
due radici arbitrarie di p(x) allora:
τ : F1 =F (α1 )
α1
F (αi )
∼
=
-
-
τ (α1 ) = αi
= F10
e fissta tutti gli elementi di F . K è il campo di spezzamento di f (x) come polinomio su F1 ,
analogamente K è il campo di spezzamento di f (x) considerato come polinomio su F10 allora
esiste un isomorfismo σi : K → K, cioè un automorfismo di K, che coincide con τ su F1 ,
cioè σi (αi ) = τ (αi ) = αi , cioè σi (αi ) fissa tutti gli elementi di F .
QED
Teorema 2.1.5 (D). K è estensione normale di F ⇔ K è il campo di spezzamento di
qualche polinomio su F .
Dimostrazione. (⇒) K è estensione normale di F , allora K = F (a) per un opportuno a ∈ K,
allora sia p(x) il seguente polinomio:

n
 α0 = 1
X
i
h−1
σi ∈ G(K, F )
p(x) = (x − σ1 (a))(x − σ2 (a)) · · · (x − σn (a)) =
(−1) αi x

i=0
αi f.simm.el.
Gli {α1 , . . . , αn } sono ciascuno invariante rispetto all’azione degli elementi di G(K, F ) allora,
per la normalità di K su F si ha che questi elementi devono appartenere tutti ad F allora
K spezza il polinomio p(x) ∈ F [x] nel prodotto di fattori lineari. Essendo a una radice
di p(x), poiché a genera K su F allora a non può trovarsi in alcun sottocampo proprio di
K ⊇ F allora K è il campo di spezzamento di p(x) su F . (⇐) Procediamo per induzione
su [K : F ], supponendo che per ogni coppia intermedia di campi Ki , Fi di grado inferiore a
[K : F ] allorché Ki è il campo di spezzamento di un polinomio Fi [x] si ha che Ki è normale
su Fi . Dimostriamo la base dell’induzione. Se n = 0 allora f (x) ∈ F [x] si spezza in fattori
lineari su F , cioè K = F , allora è un’estensione normale. Supponiamo ora che p(x) ∈ F [x]
sia di grado r > 1 e siano α1 , α2 , . . . , αr radici distinte di p(x) con αi ∈ K ∀i, dove K è il
campo di spezzamento di F [x] considerato come polinomio in F (α1 ), si ha allora:
[K : F (α1 )] =
[K : F ]
n
= <n
[F (α1 ) : F ]
r
32
Campi e estensioni
per l’ipotesi induttiva si ha che K è un’estensione normale di F (α1 ). Sia θ ∈ K un elemento lasciato fisso da ogni automorfismo σ ∈ G(K, F ) allora θ ∈ F , ogni automorfismo di
G(K, F (α1 )) che lascia F fissato, fissa anche θ allora per la normalità di [K : F (α1 )] si ha
che θ ∈ F (α1 ), ovvero:
θ = λ0 + λ1 α1 + λ2 α1 2 + · · · + λr−1 α1 r−1 λ0 , . . . , λr−1 ∈ F
(2.5)
per il lemma appena dimostrato, si ha che esiste un σ ∈ K e un σi ∈ G(K, F ) tale che
σi (α1 ) = αi , allora, poichè questo σi lascia fisso θ e ognuno dei λi , lo applichiamo a 2.5
ottenendo:
θ = λ0 + λ1 αi + λ2 αi 2 + · · · + λr−1 αi r−1
(2.6)
Il polinomio in K[x]
q(x) = (λ0 − θ) + λ1 x + λ2 x2 + · · · + λr−1 xr−1
di grado al più r − 1, ha le r radici distinte α1 , . . . , αr , ma questo è possibile solo se i suoi
coefficienti sono tutti 0, in particolare se λ0 − θ = 0 cioè se θ = λ0 , che implica θ ∈ F , questo
verifica l’induzione e completa la dimostrazione del teorema.
QED
Definizione 2.1.5. Sia f (x) un polinomio in F [x] e sia K il suo campo di spezzamento
allora il Gruppo di Galois di f (x) è il gruppo G(K, F ) di tutti gli automorfismi di K che
lasciano fisso ogni elemento di F .
Teorema 2.1.6 (E - Corrispondenza di Galois). Sia f (x) ∈ F [x], K il campo di spezzamento
di f (x) su F , G(K, F ) il gruppo di Galois. Per ogni sottocampo T ⊆ K contenenete F si
ha:
G(K, T ) = {σ ∈ G(K, F )|σ(t) = t ∀t ∈ T }
(2.7)
e per ogni sottogruppo H di G(K, F ) si ha:
KH = {x ∈ K|σ(x) = x ∀σ ∈ H}
(2.8)
Allora associando T a G(K, T ) si ha una corrispondenza biunivoca tra l’insieme dei sottocampi di K contenenti F e l’insieme dei sottogruppi di G(K, T ) tali che:
1. T = KG(K,T ) ;
2. H = G(K, KH );
3. [K : T ] = |G(K, T )| e [T : F ] = [G(K, F ) : G(K, T )];
4. T è una estensione normale di F ⇔ G(K, T ) è un sottogruppo normale di G(K, F ).
5. Se T è un’estensione normale di F ⇒ G(T, F ) ∼
= G(K, F )/G(K, T ).
Dimostrazione. (1) Essendo K il campo di spezzamento di f (x) su F , si ha che K è il campo
di spezzamento di f (x) su ogni sottocampo T di K con F ⊆ T , allora K è un ampliamento
normale di T , dunque il G(K, T ) lascia fisso il campo T , cioè T = KG(K,T ) . (2) K è un
ampliamento normale di F , dunque dato un sottogruppo H ≤ G(K, F ) è H = G(K, KH ).
Teoria di Galois
33
(3) aver dimostrato (2) implica che ogni sottogruppo di G(K, F ) è del tipo G(K, T ) per
qualche sottocampo T di K con F contenuto in T , questo ci permette di costruire la seguente
applicazione:
K
-
G(K, F )
T (⊃ F ) - G(K, T )
Questa applicazione è iniettiva, infatti se G(K, T1 ) = G(K, T2 ) ⇒ T1 = KG(K,T1 ) = KG(K,T2 ) =
T2 , sfruttando il risultato del punto (1). Poiché K è normale su T si ha che |G(K, T )| =
[K, T ], quindi posso scrivere |G(K, F )| = [K, F ] = [K : T ][T : F ] = |G(K, T )|[T : F ] cioè
[T : F ] =
|G(K, F )|
= [G(K, F ) : G(K, T )]
|G(K, T )|
che dimostra il punto (3). Procediamo ora a dimostrare il punto (4), sappiamo che T è un
ampliamento normale di F se e solo se ∀σ ∈ G(K, F ) si ha che σ(T ) ⊂ T , infatti sappiamo
che T = F (a), per un qualche a ∈ T , dove il polinomio minimo p(x) ∈ F [x] di a ha tutte
le radici, ma ∀σ ∈ G(K, F ) σ(a) è radice di p(x), cioè σ(a) ∈ T ∀σ ∈ G(K, F ), ma T
è generato da a dunque σ(T ) ⊆ T ∀σ ∈ G(K, F ). T è dunque un’estensione normale di
F se e soltanto se per ogni σ ∈ G(K, F ) e per ogni τ ∈ G(K, T ) e per ogni t ∈ T si ha
σ(t) ∈ T e dunque τ (σ(t)) = σ(t), cioè σ −1 τ σ(t) = t. Cioè T è un ampliamento normale
su F se e solo se σ −1 G(K, T )σ ⊂ G(K, T ) ∀σ ∈ G(K, F ), ma questa è la definizione di
sottogruppo normale per G(K, T ) ∈ G(K, F ), cioè abbiamo dimostrato il punto (4). Se T
è normale ∀σ ∈ G(K, F ) si ha σ(T ) ⊂ T , dunque σ induce un automorfismo σ∗ su T dato
da σ∗ (t) = σ(t) ∀t ∈ T , poichè σ∗ lascia fisso ogni elemento di F deve essere σ∗ ∈ G(T, F ).
Inoltre ∀σ, ψ ∈ G(K, F ) si ha che (σψ)∗ = σ∗ ψ∗ , per cui:
∗ :G(K, F ) - G(T, F )
σ
-
σ∗
è un omomorfismo di gruppi. Calcoliamo il ker ∗ = {σ ∈ G(K, F )|σ∗ = idG(T,F ) } cioè dagli
automorfismi di K che lasciano fisso F che sono anche automorfismi di T che lasciano fisso
F , cioè G(K, T ), allora per il TFO, possiamo concludere che:
∗:
G(K, F )
-
Im∗ ⊆G(T, F )
-
π
∼
=
?
G(K, F )/G(K, T )
Bisogna dunque capire chi è Im∗, sappiamo che |Im ∗ | = |G(K, F )/G(K, T )| = [T : F ] =
|G(T, F )|, cioè Im∗ = G(T, F ), dunque ∗ è suriettivo e quindi G(T, F ) ∼
= G(K, F )/(G(K, T ),
cioè il punto (5).
QED
2.1.1
Risolubilità per radicali
Definizione 2.1.6. Sia F un campo e p(x) un polinomio in F [x], p(x) è risolubile per
radicali su F se si può trovare una successione finita di campi:
F1 = F (ω1 ), F2 = F1 (ω2 ), . . . , Fk = Fk−1 (ωk )
(2.9)
34
Campi e estensioni
tali che ω12 ∈ F, w22 ∈ F2 , . . . , ωk2 ∈ Fk−1 , cioè che le radici di p(x) sono in Fk .
Teorema 2.1.7. S n non è risolubile per n ≥ 5.
Lemma 2.1.8. Supponiamo che il campo F abbia tutte le radici n-me dell’unità per qualche
particolare n e supponiamo 0 6= a ⊆ F ⇒ xn − a ∈ F [x] e sia K il suo campo di spezzamento
su F . Allora:
1. K = F (u) dove u è una radice arbitraria di xn − a
2. G(xn − a, F ) è Abeliano.
Dimostrazione. (1)F contiene tutte le radici n-me dell’unità, in particolare contiene ξ =
exp( 2πi
) e si ha che:
n
ξ n = 1 ξ m 6= 1 ∀m < n
Sia u ∈ K una radice di xn − a allora u, ξu, ξ 2 u, . . . , ξ n u sono tutte le radici di xn − a.
Che siano radici è ovvio, supponiamo che ξ i u = ξ j u per qualche 0 < i < j < n, ma
(ξ i−j u = 0) ⇔ u = 0, che è impossibile, se ξ i−j = 0, che è impossibile, poichè ξ i−j =
1 ∀0 < i − j < n, poichè ξ ∈ F ⇒ u, ξu, ξ 2 u, . . . , ξ n u ∈ F (u). Cioè F (u) spezza xn − a, del
resto poiché nessun sottocampo proprio di F (u) contenente F contiene u si ha che nessun
sottocampo proprio di F (u) può spezzare xn − a, cioè F (u) è il campo di spezzamento di
xn − a, cioè k = F (u). (2) Avendo dimostrato (1) dobbiamo dimostrare che G(F (u), F )
è abeliano, siano σ, τ ∈ G(F (u), F ) allora σ(u) = ξ i u e τ (u) = ξ j u sono radici di xn − a,
στ (u) = σ(τ (u)) = σ(ξ j u) = ξ i ξ j u = ξ i+j u = ξ j+i u = ξ j ξ i u = τ (σ(u)) = τ σ(u).
QED
Teorema 2.1.9 (F). Se p(x) ∈ F [x] è risolubile per radicali su F allora il gruppo di Galois
di p(x) è risolubile.
Dimostrazione. Supponiamo che F contenga tutte le radici n − me dell’unità, sia K il campo
di spezzamento di p(x) su F , sia G(K, F ) il gruppo di Galois di p(x), essendo p(x) risolubile
per radicali esiste una successione di campi:
F ⊂ F1 = F (ω1 ) ⊂ F2 = F1 (ω2 ) ⊂ . . . ⊂ Fk = Fk−1 (ωk )
con ω12 ∈ F1 , w22 ∈ F2 , . . . , ωk2 ∈ Fk−1 , Fk è estensione normale di F , ed è estensione normale
di ogni campo intermedio. Cioè Fk è estensione normale di ogni Fi . Per il teorema di
corrispondenza di Galois si ha che: FK normale su Fk−1 implica G(Fk , Fi ) G(Fk , Fi−1 ),
cioè:
G(Fk , F ) G(Fk , F1 ) G(F1 , F2 ) · · · G(Fk , Fk−1 ) ⊃ e
Poiché Fi è estensione normale di Fi−1 si ha che:
G(Fi , Fi−1 )
| {z }
G(Fk , Fk−1 )
∼
è Abeliano perchè ∼
= Abeliano.
=
G(Fk , Fi )
Abeliano per il lemma
Cioè G(Fk , F ) è risolubile. H ⊆ Fk è un’estensione normale di F , allora G(Fk , K) è un
G(F ,F )
sottogruppo normale di G(Fk , F ) e G(K, F ) ∼
= G(Fkk,K) che è risolubile. Allora G(K, F ) è
risolubile.
QED
Teoria di Galois
35
Nota 2.1.3. è valido anche il vicerversa, di cui non forniamo una dimostrazione.
Teorema 2.1.10 (Teorema di Abel-Ruffini). Il polinomio generale di grado n ≥ 5 non è
risolubile per radicali.
Lemma 2.1.11. Sia F un campo di caratteristica 0 tale che ogni estensione finita K di F
con K 6= F sia tale che [K : F ] sia divisibile per p primo allora ogni estensione finita di F
ha grado un multiplo di p.
Dimostrazione. Sia K un’estensione finita di F , non è restrittivo suppore che K sia un’estensione normale di F , G(K, F ) sia il gruppo di Galois di questa estensione, p|[K : F ] ∀K, cioè
pα ||G(K, F )|, ma pα+1 - |G(K, F )|, allora per il Teorema di Sylow G(K, F ) conterrà un
sottogruppo H di ordine pα e in particolare:
[KH : F ] =
|G(K, F )|
|G(K, F )|
=
|G(K, KH )|
H
non è divisibile per p, ciop [KH : F ] = 1, cioè KH = F , cioè G(K, F ) ∼
= H, poiché:
[K : F ] = |G(K, F )| = |H| = pα
QED
Teorema 2.1.12 (Teorema fondamentale dell’Algebra). Il campo C dei numeri complessi è
algebricamente chiuso.
Dimostrazione. R non può avere nessuna estensione finita di grado dispari, maggiore di 1.
Se questo fosse falso allora F (a) avrebbe polinomio minimo irriducibile su R di grado dispari
maggiore di 1. Questo implica che ogni estensione finita di R ha un grado divisibile per 2,
allora, per il lemma precedente, ogni estensione K di R ha come grado una potenza di 2. Sia
λ ∈ C[x], e sia K il campo di spezzamento di λ su C. Essendo K un campo di spezzamento
è un’estensione finita e normale di C, cioè:
2n = [K : R] = [K : C] [C : R] ⇒ [K : C] = 2n−1
| {z }
=2
cioè |G(K, C)| = [K : C] = 2n−1 , se fosse K 6= C, cioè n 6= 1, si ha che ogni p-gruppo
contiene un sottogruppo di indice p in G, avrebbe un sottogruppo H di ordine 2 tale che
[KH : C] = 2, ma questo è impossibile, poiché ogni polinomio a coefficienti in C di grado 2
si spezza (abbiamo la formula), allora deve essere n = 1, cioè K = C.
QED
36
Campi e estensioni
Bibliografia
[1] G.M.Piacentini Cattaneo. Algebra: un approccio algoritmico, Decibel Zanichelli, 1996.
[2] I.N. Herstein. Algebra, Editori Riuniti - nuova biblioteca di cultura scientifica, 2003.
[3] G. Campanella. Appunti di algebra 2 con 150 esercizi svolti