Commedia Inferno
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Commedia Inferno
Dante Alighieri Nel mezzo del cammin di nostra vita Inferno, canto I, vv. 1-12 I versi iniziali della Commedia di Dante sono tra i più conosciuti della letteratura italiana. In essi, il poeta racconta di essersi smarrito un una foresta buia (la “selva oscura”) e di aver sperimentato un’angoscia tanto profonda che la morte stessa è poco di più. Decide però di ricordare e di narrare quanto gli è accaduto, perché proprio dalla selva oscura ebbe inizio per lui un viaggio memorabile e ricco di cose buone. La Commedia è scritta in terzine dantesche: strofe di tre versi endecasillabi con rime incatenate. Il primo e il terzo verso rimano tra loro, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina che segue. 3 Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. 6 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 9 Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. 12 Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai, tant’ era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. 1 www.contucompiti.it L’incontro con Virgilio Inferno, canto I, vv. 112-126 Dante tenta di uscire dalla selva oscura, ma il suo cammino viene impedito da tre belve, allegoria di altrettanti peccati, che gli sbarrano la strada: una lonza (allegoria della lussuria), una lupa (superbia) e un leone (cupidigia). A questo punto, compare il poeta latino Virgilio, autore dell’Eneide, che Dante stesso definisce «mio maestro» e «mio autore» (cioè autorità, punto di riferimento). Virgilio spiega a Dante che per uscire dalla selva dovrà fare un lungo viaggio e gli ordina di seguirlo. 114 Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno; 117 ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida; 120 e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. 123 A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; 126 ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ’n sua città per me si vegna. 2 www.contucompiti.it Alla porta dell’Inferno Inferno, canto III, vv. 1-30 Virgilio conduce Dante all’ingresso di una grotta. Si tratta della porta dell’Inferno, sulla cui sommità si leggono parole terrificanti. Dante è spaventato, ma Virgilio lo rincuora e lo esorta a proseguire il cammino. 3 PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE, PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE, PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. 6 GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE; FECEMI LA DIVINA PODESTATE, LA SOMMA SAPÏENZA E ’L PRIMO AMORE. 9 DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO. LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH’ENTRATE’. 12 Queste parole di colore oscuro vid’io scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». 15 Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogni sospetto; ogni viltà convien che qui sia morta. 18 Noi siam venuti al loco ov’io t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto». 21 E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. 24 Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. 27 Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle 30 facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’ aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. 3 www.contucompiti.it Caronte Inferno, canto III, vv. 82-111 Dante e Virgilio si trovano ora nell’Antinferno, la zona infernale collocata al di qua del fiume Acheronte. Sulle rive del fiume si accalcano le anime dei dannati, in attesa di essere traghettate alla riva opposta, dove si trova l’Inferno vero e proprio. Il compito di condurre i dannati oltre il fiume è affidato a Caronte, un demone che carica le anime sulla sua barca facendo la spola da una riva all’altra. Quando Caronte vede Dante, gli ordina di allontanarsi: il poeta è vivo, non può entrare nel regno dei morti. A questo punto interviene Virgilio, spiegando al demone che il viaggio di Dante è voluto da Colui che può tutto, cioè Dio. 84 Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! 87 Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 90 E tu che se’ costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 93 disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti». 96 E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 99 Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 102 Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude. 105 Bestemmiavano Dio e lor parenti, l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti. 4 www.contucompiti.it 108 Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme. 111 Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia. 5 www.contucompiti.it Minosse Inferno, canto V, vv. 1-24 All’inizio del quinto canto dell’Inferno, Dante descrive Minosse, il mostruoso giudice infernale. Minosse si trova all’ingresso (ne l’intrata) del secondo cerchio, dove giudica le anime dei dannati (essamina le colpe), attorcigliando la sua coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che l’anima dovrà scendere per giungere al luogo della sua pena (giudica e manda secondo ch’avvinghia; cignesi con la coda tante volte / quantunque gradi vuol che giù sia messa). Al vedere Dante, unico vivo in mezzo alle anime dei morti, Minosse interrompe la sua importante opera (lasciando l’atto di cotanto offizio) e si rivolge al poeta, per ammonirlo circa i rischi del viaggio che ha intrapreso (guarda com’entri e di cui tu ti fide; / non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!). Gli risponde Virgilio, che utilizzando le stesse parole già rivolte a Caronte, ammonisce il giudice infernale a non ostacolare un viaggio voluto dal cielo (vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare). 3 Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio. 6 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia. 9 Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa: e quel conoscitor de le peccata 12 vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa. 15 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio, dicono e odono e poi son giù volte. 18 «O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio, 21 «guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? 24 Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 6 www.contucompiti.it Paolo e Francesca Inferno, canto V, vv. 25-39; 79-107; 127-138 Nel secondo cerchio dell’Inferno sono punite le anime dei lussuriosi, coloro che si lasciarono trascinare dalla passione d’amore. Essi sono trascinati da una tempesta eterna, che non si ferma mai e non smette mai di tormentarli. La pena cui sono condannati i lussuriosi è un buon esempio della logica del contrappasso: con questo termine, si indica la corrispondenza tra il peccato commesso e la pena che Dante immagina assegnata ai dannati. La corrispondenza può essere per analogia (i lussuriosi sono travolti dalla tempesta come in vita si lasciarono travolgere dalle passioni) o per antitesi (come accade con gli indovini, che in vita vollero prevedere il futuro – guardando troppo avanti – e all’Inferno sono costretti a camminare con la testa rivolta all’indietro). Tra le anime dei lussuriosi, due procedono abbracciate: si tratta di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, la cui storia è tra le più celebri della Commedia. 27 Ora incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. 30 Io venni in luogo d’ogni luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. 33 La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina: voltando e percotendo li molesta. 36 Quando giungon davanti alla ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento, bestemmian quivi la virtù divina. 39 Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. 81 Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega!». 84 Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere, dal voler portate; 7 cotali uscir de la schiera ov' è Dido, www.contucompiti.it 87 a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettüoso grido. 90 «O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 93 se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. 96 Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. 99 Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. 102 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 105 Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. 8 Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». 129 «Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. 132 Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. 135 Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, 138 la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». www.contucompiti.it