Testimonianza di Carla Baroncelli

Transcript

Testimonianza di Carla Baroncelli
Vostro Onore, Signor Presidente, signori Giurati Popolari, vista la mia impossibilità,
già giustificata, ad essere fisicamente presente a questa udienza preliminare sul '68,
faccio rispettosa istanza affinché sia messa agli atti del dibattimento, la mia
testimonianza in forma di memoria scritta e sottoscritta, dandone pubblica lettura.
Mi chiamo Carla Baroncelli e sono nata a Ravenna il 15 febbraio del 1949, quindi,
nella prima metà del secolo scorso.
Mi dichiaro fin da subito testimone in difesa del '68, nonché femminista.
Fino al 1968, la mia rivoluzione è stata più che altro una ribellione alquanto codarda: si
limita a sotterfugi anti-madre. In casa servizievole, girato l'angolo: ciglia da Bambi,
rossetto e minigonna. A scuola, in quinta, il leader del movimento studentesco mi fa il
filo e io, pedissequa, gongolo d'orgoglio per essere stata pre-scelta. Io sono tua, gli
dico.
Otteniamo il diritto all'assemblea di istituto dal Preside, ma solo se vi togliete le scarpe
prima di entrare in palestra, per non rovinare il linoleum.
L'anno dopo, ormai diplomata, durante le occupazioni corro da una scuola all'altra per
tenere seminari di 'scuola e lotta di classe'. Diritto allo studio, trasporti gratis. La
squadra politica mi definisce 'l'occupante itinerante'. Per le strade gridiamo:
Rivoluzione, rivoluzione.
La mia lotta all'autoritarismo scolastico si conclude andando a lavorare. Impiegata in
una fabbrica di mangimi.
La mia lotta contro l'autoritarismo nella famiglia si conclude invece con un
matrimonio. Siccome sono ancora minorenne, il matrimonio mi apre le porte della
libertà.
Ora sono le fabbriche, gli operai, l'antifascismo, i partigiani al centro della nostra lotta
politica.
Seguivo mio marito, un compagno vero, in riunioni bisettimanali interminabili.
Stanzoni gelidi. Spifferi tappati con la carta di giornale. Ci litigavamo i posti vicino alla
stufa di pietra rossa. Ricordo le riunioni del Collettivo dell'Anic e gli eroici e tosti
operai sardi. Capivo poco di chimica, di turni e isole di produzione, però sentivo quanto
fossero giuste le loro parole, dal tono secco e tagliente delle loro voci. La forza della
loro ragione era tutta nelle espressioni dei visi duri, nei capelli, nelle mani. Confesso,
spesso mi addormentavo, ma dormivo bene vicino a quella stufa. Dovevo solo badare
che non si spegnesse il fuoco. D'altra parte, questo era il mio compito, che i compagni,
ridendo, mi avevano assegnato. Poi si andava all'osteria a bere vino e cantare canzoni,
una più triste dell'altra. All'una di notte, ci chiedevamo: carbonara o arrabbiata?
I mesi di lotte contro lo sfruttamento del lavoro a domicilio, mi piacquero molto:
finalmente capivo qualcosa. Si andava nelle case e lì sentii sulla pelle lo strenuo
sfruttamento delle donne.
Nel periodo del collettivo operai studenti trovammo ospitalità allo PSIUP. Si stava
bene e finalmente al caldo. Studenti, operai, uniti nella lotta, gridavamo in corteo coi
metalmeccanici. Che orgoglio! Andammo in trasferta a Cervia, a fianco dei lavoratori
stagionali. La polizia ci caricò e disperse.
Un breve passaggio al Manifesto, che mi intimidì con i suoi intellettualismi. Finii in
gattabuia dai Carabinieri quando mi presero mentre vendevo copie del giornale durante
la manifestazione del PCI del 1° maggio, a Mezzano (90 per cento di comunisti).
Lasciai. Finito il periodo Prendiamoci la città di Lotta Continua, col quale non ero
d'accordo, entrai nel movimento. Di nuovo in stanzoni inospitali. Io andavo a parlare
con le donne del quartiere, quelle più povere di mezzi e strumenti, con sei figli in una
stanza, un marito disoccupato e spesso ubriaco, che voleva sempre far l'amore e
metterla incinta, per sentirsi un uomo vero. Rimanevo basita e impotente. E la
distribuzione di carne? Vendevamo a prezzi politici vari tagli di un vitellone, che
avevamo macellato la sera prima. Fu un successo. Poi ci fu l'autoriduzione delle
bollette telefoniche.
Fu proprio a Lotta Continua che entrò nella mia vita il ciclostile: che informicolisce il
braccio, sporca d'inchiostro le mani, strappa la matrice, si inchioda a metà. I tasti della
mia 'lettera 22' sono sempre più duri per il gran battere a macchina. Impaginiamo i
fogli girando attorno ad un tavolo per ore. E poi spilliamo, impiliamo e dividiamo il
materiale per scuola, per fabbrica, per quartiere …
A fare questo pallosissimo lavoro siamo sempre e solo noi ragazze. La commissione
femminile di LC è sempre all'ultimo punto dell'ordine del giorno, fra le varie.
L'esecutivo è riservato di fatto ai soli maschi. I testi, i documenti, le decisioni, pure. I
compagni mi concedono di fare qualche comizio, ma mi mandano solo in paesini
sperduti. Un pomeriggio nebbioso a Brisighella avevo solo un ascoltatore. L'ho visto
uscire dal bar, fumarsi una sigaretta e rientrare.
Si andava al cinema assieme e si scopava senza impegno.
Un pomeriggio, dopo aver finito di confezionare un opuscolo ci guardammo e ci
dicemmo: compagne, ma non ci siamo ancora stancate di eseguire, obbedire, tacere?
Mia madre era l'angelo del focolare, io non voglio essere l'angelo del ciclostile.
Se prima avevo lottato contro l'autoritarismo in casa, poi a scuola, ora mi ribellavo
conto l'autoritarismo dei miei compagni. Sappiamo la fine di Lotta Continua. A Rimini
nel 76. Il congresso si concluse col suo scioglimento. Determinante fu la protesta di noi
compagne, non solo perché ci usavano come segretarie o per far le pulizie, ma
soprattutto perché ne avevamo abbastanza della prevaricazione sessuale dei compagni
mascherata da amore libero. Ricordo Adriano Sofri ammonire i delegati maschi: ormai
bisogna che ci abituiamo a vivere col terremoto. E quel terremoto, come ci aveva
definite Sofri, diede una forte scossa e abbandonammo il movimento.
Intanto a Ravenna, noi femmine ci riunivamo nelle case, o da me o da Loretta. Tutte
assieme studiammo curiose Noi e il nostro corpo. Ci guardavamo, scoprivamo le nostre
terre intime.
Le parole sussurrate alzarono il tono di voce: le mie cose si chiamano mestruazioni, la
farfallina, clitoride. Eiaculazione. Masturbazione. Penetrazione. Autopalpazione. Ci
chiediamo da dove viene il nostro orgasmo: il tuo è vaginale o clitorideo?
Concludemmo che: il corpo è mio e lo gestisco io.
Io sono mia, abbiamo urlato con mente e corpo.
Scoprire il nostro corpo, ce lo rese amico, più nostro. Meraviglioso. Scoprire quello
delle compagne, fu una rivelazione di bellezza e complicità. Ci divertivamo molto:
l'ironia diventò un'arma spudorata. Ricordo una sera davanti al cinema Mariani, che
allora era a luci rosse. Offrivamo dei preservativi colorati ai maschi perché non
sporcassero le poltrone mentre si masturbavano. Scandalo!
E gli spettacoli improvvisati? E la Paperina che ci trascinava con la sua chitarra a
cantare la nostra gioia? Le mie sottane si allungarono, come anche i capelli e il
pensiero.
Tremate, tremate, le streghe son tornate.
Non siamo più solo una 'questione femminile', ma l'altra metà del cielo, per dirla con
Mao Tze-tung.
Il personale è politico.
La liberazione sessuale fu come respirare a bocca aperta, anche se, lo confesso, la
coppia aperta è stata delizia e strazio nello stesso tempo.
Entrammo nei consultori per incontrare le altre donne. Fu un momento magico, quello
dell'autogestione del consultorio della Darsena. Salute e maternità. La pillola non è più
clandestina, ma di contraccezione le donne sanno troppo poco: hanno ancora paura dei
mariti! Impariamo e insegniamo ad usare il diaframma, a fare l'autopalpazione al seno.
La sessualità non è sinonimo di procreazione. Abbiamo diritto al piacere. La maternità
deve essere una scelta libera e consapevole. Non vogliamo più morire d'aborto. Non
vogliamo dover andare in Inghilterra per abortire. Aborto libero … aborto libero. Nel
1978 otteniamo la legge 194. E' la nostra risposta al patriarcato che ci vuole solo
madri.
Ma in Italia c'è ancora il delitto d'onore. Il matrimonio riparatore. La lezione che ci ha
dato Franca Viola nel 1965, col suo rifiuto di sottomettersi a qualsiasi forma di
legalizzazione della violenza maschile, è ancora la nostra battaglia.
La messa in crisi degli stereotipi di genere ha messo in crisi sia gli uomini che le donne,
perché ha messo in discussione l'unico sistema di relazione fra i sessi che
conoscevamo: quello patriarcale.
Mistero Buffo di Dario Fo dà una botta esilarante allo strapotere della Chiesa, e Franca
Rame ci delizia con l''uomo incinto'. Ma Franca ci fa riflettere anche sul dramma dello
stupro. Era stata sequestrata e violentata prima, derisa dopo. Il suo monologo fa
accapponare la pelle, ancora adesso. Se i maschi ci violentano, non è perché portiamo
la minigonna, ma perché siamo femmine.
A Ravenna ci fu un processo per uno stupro contro quattro ragazzi bene che una notte
violentarono una giovane donna. Ci andammo tutte in massa. Gli imputati
sghignazzavano e si davano di gomito. Il dibattimento fu umiliante, per lei e per noi
tutte. La ragazza violentata era diventata l'imputata. Si è tolta le mutande da sola?
Perché non si è difesa? In fondo le piaceva, no? Era gratificata da tanta attenzione?
Perché non ha chiesto aiuto? Lei continuava a piangere: … erano in quattro, tre mi
tenevano, l'altro …, mi hanno tappato la bocca … L'avvocato dei violentatori era del
PCI, e per farci star zitte disse: non potete avercela con me, io sono stato il primo
femminista della storia! Gli rispose un boato da parte nostra, e l'assoluzione dei suoi
assistiti da parte della Corte.
In Italia le aggressioni e le violenza sessuali diventarono sempre più frequenti,
soprattutto di notte. Ricordo la manifestazione di Roma, nel 76. Eravamo decine di
migliaia. Gridavamo: Riprendiamoci la notte. Vogliamo uscire in pace.
Diciassette anni dopo, nel 1986, abbiamo ottenuto la legge contro la violenza sessuale.
Finalmente lo stupro è considerato un delitto contro la persona e non contro la morale.
E' vero, non abbiamo eliminato la violenza, ma abbiamo una legge, i centri
antiviolenza, e qualche anno dopo abbiamo ottenuto anche la legge contro lo stalking,
ma soprattutto abbiamo dato coraggio alle donne di denunciare e far emergere la
violenza che prima subivano in silenzio e da sole.
Il problema è essenzialmente culturale. Le leggi sono molto importanti, ma non
bastano. Come non basta creare una riserva di 'quote rosa', per veder riconosciuto il
nostro valore. Le donne studiano di più, si laureano con voti più alti, ma sono ancora
sottopagate, più disoccupate dei maschi e con meno opportunità. Forse perché Un
posto di potere a una donna, è un posto in meno per un uomo?
Le donne, nei luoghi di potere, non devono starci perché sono donne e gli spetta una
quota, ma per le loro capacità. Il femminismo aveva e ha obiettivi più alti delle quote
rosa.
Le leggi sono importanti, abbiamo ottenuto dei diritti e modificato qualche percezione,
ma la cultura femminista che abbiamo diffuso non ha radicato come ci si aspettava.
L'autonomia e il rispetto dei nostri corpi non è diventato patrimonio comune e cultura
sociale.
Così ci siamo incartate da sole sull'analisi delle parole. Il patriarcato, credendoci morte,
ha alzato il tiro nell'esercizio del potere. Ha riempito i consultori di medici obiettori. Ci
ha propinato la legge 40. La pubblicità ha vivi-sezionato i nostri corpi. Credevo che la
cultura si sarebbe trasformata al tal punto da non aver più bisogno di pensare in termini
di uomo/donna, ma di individui. E' stato un peccato di ottimismo. Se non ora quando,
nel 2011, ci ha riportate in piazza. Tante, giovani e belle.
Ammettiamolo: donne e uomini non sono uguali. Uguali nei diritti, sì, ma diritti che
tengano conto della differenza sessuale. Purtroppo un obiettivo ancora lontano. Anche
coniugando le parole al femminile.
Abbiamo scardinato i ruoli, messo in crisi le certezze, abbiamo denunciato il re nudo,
ma c'è ancora tanto da fare.
Penso che agli uomini potrebbe servire un po' di autocoscienza e la lettura di ciò che
le donne hanno scritto e dicono. Dovrebbero guardare la propria virilità e chiedersi
che cosa voglia dire essere maschi fuori da logiche di dominio e di paura. Cosa li
spinge ad uccidere le donne che non li amano più? Guerre, devastazioni, genocidi di
interi popoli li ha fatti il sesso maschile, vorrei che gli uomini che non sono d'accordo
si ponessero almeno il problema.
In sostanza, Vostro Onore, non solo non ne rinnego il valore, ma sostengo che c'è
ancora bisogno di '68 e di femminismo.
Penso tutt'ora che nessuna rivoluzione sociale, ovviamente pacifica e non violenta,
sia possibile senza la liberazione della donna.
Ribadisco, Vostro Onore, non solo non sono pentita, ma ho ancora dentro di me le
stesse pulsioni della rivoluzione culturale e politica del '68.
Io ho fatto la mia parte per ribaltare gli schemi, cercare nuovi equilibri. Mi sono
sposata con una donna, con amore e orgoglio. Mi sento una persona libera d'essere e
sentire.
Signori giurati, se condannerete il '68 e il femminismo, condannerete anche me, ma
non mi appellerò alla clemenza della corte.
Mi dichiarerò semplicemente prigioniera politica del patriarcato.
Se ci assolverete, invece, ve ne sarò grata.
In fede,
Carla Baroncelli
PS: Mi pare di cogliere nell'aria un leggero spiffero patriarcale, non è che dipenda
dal fatto che su sette testimoni, sei sono maschi? Con rispetto, s'intende.
Carla Baroncelli