Prolegomeni all`edizione di un`enciclopedia toscana del tardo
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Prolegomeni all`edizione di un`enciclopedia toscana del tardo
Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV sulle nature di animali, uomini, luoghi e pietre preziose Un codice trecentesco del Museo di Storia della Scienza e della Tecnica di Firenze conserva in 45 carte (che qui in parte si pubblicano) sotto l’antico parziale titolo «Animali e loro natura» una singolare silloge, quasi un’enciclopedia, di storia naturale1. Si tratta dello stesso codice (che non mi pare oggetto di studi recenti) i cui spogli da anni per mia cura sono confluiti nel LEI e che per brevi estratti è stato utilizzato dal Max Pfister e da me nei primi capitoli di un comune lavoro2. Nel manoscritto sono riuniti trattatelli compilazioni brani differenti, ma tutti unificati dal principio che sembra muovere l’anonimo compilatore o committente dell’opera: quello, cioè, di fornire una sintesi in volgare toscano di storia naturale, a prescindere dalle fonti di riferimento e dalla loro caratterizzazione tipologica. Una sintesi che di fatto abbraccia l’intero universo naturale, con l’esclusione del solo regno vegetale. Che si tratti di un centone a soggetto e non d’opera autonoma (per quanto autonomo possa comunque definirsi l’assemblaggio di probabili volgarizzamenti di svariata provenienza) lo documentano le cesure, logiche e fisiche, che marcano il codice, scandendo i successivi momenti dell’esemplatura. Si apre il testo, infatti, con una serie di «nature» animali, un vero e proprio bestiario, che va messo in sicura relazione, piuttosto che con gli Etymologiarum libri isidoriani o con il De Universo di Rabano Mauro, con differenti stesure del Physiologus latino, in particolare con la cosiddetta versio BIs, che è «punto di partenza pressoché esclusivo per i 1 Il verso del foglio di guardia reca anche il numero romano «IX» e, immediatamente sotto, di mano corsiva e diversa da quella che ha titolato il volume, la parola «Natura», poi espunta mediante tratto orizzontale. Diversi segni di antiche appartenenze sul medesimo foglio: il numero «1304», al centro l’ex libris della Biblioteca del «R. Istituto di zoologia anatomia e fisiologia degli invertebrati / Firenze» con le indicazioni «Scaffale A. 25. / Piano a. / N.º d’ord. 6.», in basso a destra le tracce, nell’etichetta, della «Prima Espos. Naz. di Storia / della Scienza Firenze 1929 / INVENTARIO / N. 6551». E a c. 1r° il timbro del «Museo di fisica e scienza di Firenze» e quello dell’Istituto di Anatomia e fisiologia comparate di Firenze, segnato col numero 5554. Per una puntuale più corretta descrizione del manoscritto rinvio all’edizione integrale che ho terminato di allestire. La databilità della mercantesca nella quale è vergato il codice intorno alla fine del sec. XIV mi fu confermata dall’amico Armando Petrucci. Devo a Gloria Leanza una prima provvisoria trascrizione del testo ed alcuni precisi successivi riscontri sull’originale. Ringrazio di cuore entrambi. 2 Cf. Pfister/Lupis 2001. Vox Romanica 64 (2005):21-63 22 Antonio Lupis successivi rimaneggiamenti e per le traduzioni in volgare»3. Come è dell’intera tradizione bestiaria, quasi tutte le descrizioni sono accompagnate dalla relativa moralità, giacché scopo primo del Fisiologo (che è «esegeta della natura secondo i canoni della fede cristiana»4) non è lo studio del mondo animale, ma la ridefinizione del creato in chiave simbologicamente teologica, attraverso gli exempla che dal mondo animale sono derivabili. L’ordine dei capitoli, nel nostro caso, non è, però, né quello tradizionale delle fonti latine, né quello delle altre fonti romanze, visto che la disposizione, tranne alcune eccezioni (il grifone, per esempio), prende in considerazione solo gli animali quadrupedi (c. 1r°-13r°)5. A questa prima serie tiene dietro una nuova lista di animali terrestri (c. 13v°-20r°), ispirata alle etimologie isidoriane, e che si apre infatti col quasi pedissequo volgarizzamento da Isid. XII,1,1-8 «Chome Adamo puose nome a˙ttutte le bestie sechondo che noj troviamo nella Santa Iscrittura». Ad esso segue la «natura» della formica, con le sue moralizzazioni. Dalla c. 21r° alla c. 30r° sono raccolti i diversi volatili, le cui descrizioni sono volta a volta desunte da Isidoro, dal Fisiologo, o da altre fonti ancora. Una nuova cesura logica è la successiva trattazione, dalla c. 30v° alla c. 35v°, di un libro dei serpenti e dei vermi, il primo dei quali volgarizzamento di Isidoro. Nuovamente dal Fisiologo deriva la «natura» delle pietre focaie (c. 35v°). E qui si colloca la prima forte clausola sistemica, poiché a fine carta il copista appone la formula «Laus tibi Christe quia liber explicit iste. Deo graçias», preceduta e seguita da spazio lasciato bianco. Tra le c. 36r° e 39v° è quindi compresa (ancora una frattura formale) una breve singolarissima narrazione legata al leggendario di Alessandro6. Un adattamento latino sulla primitiva lezione greca del romanzo dello pseudo Callistene appare già nel IV secolo, dovuto a Julius Valerius7, e da questo si diparte l’enorme tradizione mitologica, in qualche modo districabile per fonti e narrazioni8, legata al culto che l’intero Medioevo professò nei confronti del conquistatore esploratore macedone. Ma la singolarità nella strutturazione del nostro racconto sta nella sintesi che tra diversi filoni della leggenda alessandrina, e tra questa ed altre opere ancora è qui attuata. La prima spia è nella contaminazione di almeno una sezione della Historia de preliis con la lettera ad Aristotele sulle meraviglie dell’India (quando, in 3 Cf. Morini 1996:5. Al volume dalla studiosa curato si rinvia per un approccio complessivo ai diversi bestiari medievali ed alle loro fonti. 4 Cf. Sbordone 1936:174. 5 Sulla base, comunque, di una scelta riorganizzativa dei materiali secondo le categorie isidoriane e bibliche (quadrupedi, uccelli, rettili e pesci, cf. Muratova 1984:397; e Morini 1996:xv); pur tenendo presente che nella nostra trattazione sono affatto assenti i pesci, inclusi quelli citati dal Fisiologo e dagli altri bestiari. 6 Sulle storie e i miti di Alessandro si vedano, riassuntivamente, insieme al volume di Cary 1956, l’introduzione di Dronke a Liborio 1997:xiv-lxxv. 7 Cf. l’edizione di Rosellini 1993. 8 Segnalo soltanto il filone legato a Leone Arciprete (cf. Bergmeister 1975); la lettera sull’India ad Aristotele (cf. Feldbusch 1976); l’Alessandreide di Quilichino (cf. Kirsch 1971). Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 23 esordio, sono citati gli espedienti bellici utilizzati da Alessandro per soggiogare i nemici), e con un’altra opera ancora, l’Apocalisse (o Revelationes) dello pseudo Metodio9, la quale tratta della lotta di Alessandro contro Gog e Magog e le altre 21 tribù10, da lui rinchiuse in una valle fino alla venuta dell’Anticristo, grazie alla costruzione di porte di «andanico temperato»11. Le caratteristiche delle genti rinchiuse – nel nostro caso 22 – sono, con altra contaminazione, le difformità che Plinio, Isidoro, Solino, il Liber monstrorum, e la Cosmographia dello pseudo Etico12 attribuiscono in modo più o meno convinto a razze poste fuori del mondo colonizzato. Non è solo il codice fiorentino a recar traccia volgare di questa particolare sezione delle storie d’Alessandro. Ad esso va necessariamente accostato (anche per il carattere unitariamente composito della lezione) il manoscritto padovano che contiene il cosiddetto Lucidario pisano (volgarizzamento del principio del sec. XIV) di Onorio d’Autun13. In esso, accanto al Lucidario e ad alcuni capitoletti del Secretum Secretorum pseudoaristotelico14, compaiono altri scritti volgari, «scelti secondo una ‹strategia› culturale abbastanza precisa . . . fondendo insieme in modo sostanzialmente nuovo, ‹discipline› diverse quali la teologia, l’astrologia, la medicina, l’alchimia, la morale, ecc.»15. Tra questi sono appunto i passaggi sulle invenzioni belliche di Alessandro e la vicenda delle tribù incluse16. Sostiene Donadello, a proposito del ritrovato degli specchi ustori («arte sottile d’ispechi» la chiama il nostro compilatore), che «la fonte prossima . . . non è nota»17, ma crede di poterla forse identificare in ambiente contiguo ai trattati De Iride e sulla Perspectiva di Ruggero Bacone e specie a quello con verosimiglianza attribuitogli De speculis 9 Cf. Sackur 1898 e Lolos 1976. Punto di partenza sono i testi della letteratura escatologica, e, innanzi tutto, i luoghi biblici Ezech. 38,1-6 e Apoc. 20,1-10. Vedi anche Liborio 1997:61315. 10 Divergente è nelle fonti il numero delle tribù incluse, cf. Sackur 1898:37; Anderson 1932:54-57; Cary 1956:130-32 scrive che «the episode was easely confused . . . with the story of the enclosing of the Ten Tribes» (come avviene per esempio in Quilichino di Spoleto), sulla base delle Vitae Prophetarum dello pseudo Epifanio, transitata poi nella Historia scholastica di Pietro Comestore (PL CXCVIII, col. 1498a) e nella versione I2 della Historia de preliis. Per la diffusione italiana dell’episodio, di tradizione ebraica, cf. anche Graf 1883, in particolare l’appendice La leggenda di Gog e Magog, 754s. 11 Nell’Apocalisse dello pseudo Metodio le porte sono di bronzo ricoperto di una speciale sostanza, l’assincitum, indistruttibile: «erexitque portas et limina et serracula mirae magnitudinis et induxit ac linivit eas assincitum bitumen incognitum in orbe terrarum . . . Tanta enim vehementia habere adscribetur, ut neque acumen aut ferro incidatur neque ignem aut aquam dissolvatur» [§41]. 12 Cf. Prinz 1993. 13 Ms. 1127 della Bibl. Univers. di Padova. Il testo, in ed. critica, è in Lefèvre 1954. 14 L’opera, che si vuole redatta da Aristotele su invito di Alessandro Magno, ci è pervenuta nella tradizionale attribuzione, per traduzione e commento del 1257, a Ruggero Bacone, cf. Steele 1920. Si veda anche Cary 1956:21-22. 15 Donadello 1980:204-5. 16 Il testo è riprodotto nella nota d’apparato a c. 36r°. 17 Cf. Donadello 1980:206-7 e N50. 24 Antonio Lupis comburentis18. Il codice fiorentino è in perfetta corrispondenza con i capitoletti del Lucidario padovano, che, anzi, ne illuminano un tratto: decisiva al fine della determinazione di un nucleo affatto singolare e tutto toscano delle leggende d’Alessandro, ma ben difficile resta accertare l’ascendenza del restante insieme di testi della leggenda qui rappresentato. Così come disparate devono riconoscersi le fonti della successiva partizione del codice, tra le c. 39v°-41v°, dedicata alla citazione di altre difformità umane – ciclopi, pigmei, giganti, mori – trattate in diretta prosecuzione, anche grafica, dell’elenco delle tribù incluse e della vicenda di Gog e Magog; e inoltre alla raccolta di «meraviglie geografiche», la prima delle quali è la descrizione dell’albero in Irlanda che genera gli uccelli chiamati bernache19. Certamente Plinio; ma anche, poi, Isidoro, Solino, Eliano, Rabano Mauro, Bartolomeo Anglico, e altre ancora . . . Gli ultimi testi sono due lapidari: il primo, c. 42r°-43v°, tratta delle virtù delle pietre intagliate; l’altro, incompleto, c. 44r°-v°, delle virtù delle pietre preziose (entrambi genericamente vicini alla tradizione di Marbodo e dei lapidari volgari)20. Il codice è mutilo subito prima dell’ultima carta, non è possibile sapere di quanti fogli, anche se vorrei crederlo lacunoso d’uno soltanto. La c. 44v° si chiude con la descrizione della granata nel secondo lapidario; la c. 45r° si apre bruscamente con le parole «e fa bollire perfettamente e chola e riponj; e poi ne bej21 de una oncia22 / [fi]no a quatro choll’aqua freda». Si tratta di una serie di ricette mediche, sciroppi e confetture, che continuano anche al verso della carta. Le prescrizioni della c. 45r° sono precedute, a sinistra del primo rigo di ciascuna d’esse, dalla numerazione a penna (di mano diversa del copista del codice) da 3 a 7: mancherebbero dunque almeno le prime due ricette. La grafia delle ricette superstiti parrebbe la medesima dell’intero codice, solo più affollata nella pagina (47 righi contro i 34 della carta 44v°), come se, avendo a disposizione una sola ultima carta, lo scriba avesse deciso di inscrivervi il più possibile rimedi. È nota la consuetudine di chiudere questo tipo di manoscritti con ricette mediche, in caso di presenza di una o più carte bianche. Ed è noto anche come i lapidari italiani conosciuti non descrivessero un numero altissimo di pietre preziose. Di qui l’impressione che il secondo lapidario proseguisse sul recto e parte del verso di una sola carta mancante, 18 Si veda anche il testo esoterico di Picatrix, versione latina dall’arabo fatta condurre da Alfonso il Savio verso il 1256, in Perrone Compagni 1975:264, ove a Platone è attribuita un’opera di magia, nella quale si affermava la possibilità di «civitates inimicorum comburere, necnon et naves in mari ad loca remota quae volueris comburere»; cf. Garin 1976:57. 19 Si tratta delle bernacle: «Nelle parti d’Irlandra naschono uccielj in alborj li qualj pendono per lo becho, e poi, quando viene el tenpo del maturare, quellj ucciellj li qualj chagiono dall’albero: quellj ucciellj che chagiono nell’aqua muoiono adesso dell’aqua. Volano sì chome altrj ucciellj e le loro charnj si mangiano di quaresima, sì chome pesci o fruttj» (c. 39v°). La leggenda delle bernacle attraversa tutto il Medioevo e arriva almeno fino a Francesco Redi. 20 Cf. Riddle 1977 e la bibliografia in Tomasoni 1990. 21 Seguito da infino espunto mediante tratto orizzontale. 22 La carta è rifilata sino alla scomparsa di alcune lettere finali di rigo. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 25 poi completata al verso da due prescrizioni mediche, la seconda delle quali sarebbe quella terminante ai primi due righi della attuale c. 45r°. Difficile è dire se tutto il testo fino all’explicit di c. 35v° sia mai appartenuto ad una medesima lezione, o se sia il frutto di una progressiva agglutinazione nella traditio di testi disparati, o infine se solo queste ultime carte rappresentino una sorta di dettato unitario, riconducibile ad una passata prima esemplatura. Ma dovendo dire dello stato presente del codice, pare evidente adesso come esso debba essere il frutto – non sappiamo se contemporaneo – di una copiatura di più opere sulla medesima materia. In favore di un antigrafo parlano comunque una serie di incertezze scrittorie; o ancora, per esempio, la consapevole lacuna a c. 40r° (sesta meraviglia geografica) «Nelle parti di [segue spazio bianco per circa 12 caratteri] ae alchuno luogho che si chiama purghatorio di santi padrj»; o l’essere stato l’antigrafo esemplare predisposto per la copiatura, o, in ogni caso, non sempre decifrabile nei capolettera (forse assenti, o troppo debolmente vergati), cf. a c. 33v° «[S]ops è uno serpente», o a c. 38v° «[S]esto decimo re», rispettivamente con ops e esto rientrati verso destra e a sinistra lo spazio bianco necessario per il capolettera mancante. E c’è nel codice fiorentino, pur nella marcata partizione enciclopedica, un altro elemento forte di coesione, che concorre a consolidarci nell’idea di una deliberata ricercata unitarietà testuale: la presenza, cioè, lungo quasi tutte le carte, fino alla prima meraviglia geografica inclusa (le bernacle, c. 39v°), di 58 disegni a penna23, con l’evidente funzione da un lato illustrativa del descritto, ma anche quasi di legittimazione del testo; come se, insomma, il sigillo grafico non fosse solo narrativo del noto, del desueto e dell’ignoto, ma anche autorevole convalida esistenziale di ciascuna delle «nature» evocate24. In realtà tutto il manoscritto, con l’eccezione appunto delle ultimissime carte, è originalmente disposto, mediante appositi spazi lasciati liberi dalla scrittura, per accogliere le illustrazioni delle varie «nature» umane e bestiali. Ciò che non è decidibile è però se i disegni (in apparenza coevi e d’unica mano, tranne due rozzi schizzi certamente più tardi25) siano autonoma, seppur scolastica opera, ovvero abbiano trovato il proprio modello nell’antigrafo, 23 Il disegnatore ricorre quasi sempre a una tecnica di tracciamento di puntini sul foglio (molto profondi, tanto da trasparire spesso sulla facciata opposta), che segnano il contorno del disegno, poi congiunti da linee. Il riempimento, invece, è sempre completato a mano libera. In questo senso i disegni sarebbero 60, e non 58, giacché di due è vergato solo il contorno. 24 Su questa sorta di «garanzia» esistenziale testimoniata dalle immagini cf. Richart de Fournival (ed. Segre, cit. sulla base di Morini 1996:372): «Et je vous monsterai comment cis escris a peinture et parolle. Car il est bien apert k’il a parole, par che ke toute escripture si est faite pour parole monstrer et pour che ke on le lise; et quant on le list, si revient elle a nature de parole. Et d’autre part, k’il ait painture si est en apert par chu ke lettre n’est mie, s’on ne le paint. Et meesmement cis escris est de tel sentence k’il painture desire. Car il est de nature de bestes et d’oisaus ke miex sont connissables paintes ke dites». 25 A c. 33v°, prima della dypsa, un singolare dragone alato e quadrupede con testa umana in cima al lungo collo, e a c. 34v°, in fondo alla carta, dopo l’explicit che separa il bestiario dalla sezione alessandrina, un pardo – o un veltro – dalle erte orecchie, colto in corsa. 26 Antonio Lupis o addirittura nelle distinte fonti sulle quali si venivano progressivamente componendo volgarizzamenti e compilazione. Il copista esemplò il codice lasciando, peraltro irregolarmente, vuoti 122 spazi26, di ampiezza diseguale, evidentemente destinati ad accogliere in un secondo momento, le illustrazioni. Un dato interno resta problematico: i 58 disegni tramandati dal codice27 non sono disposti in successione, ma palesano soluzioni di continuità anche cospicue. Quasi che il disegnatore abbia seguito una sorta di capriccio grafico, legato ad improvvisazione o all’ispirazione. Oppure, più ragionevolmente, utilizzato, nel caso di una copiatura da antigrafi miniati, modelli diversi e fisicamente tra loro distanti, riservandosi l’integrazione delle illustrazioni mancanti mano a mano che le andasse ritrovando nelle fonti. Si intende qui dire che probabilmente questo elemento iconografico di raccordo tra le parti costituisce anche il filo d’Arianna di un plausibile itinerario compilativo. Il copista riservò cioè 122 spazi per i disegni, non sappiamo se sulla base della prima copia o dei testi adoperati per la sua costruzione enciclopedica ovvero seguendo una propria logica personale o quella del committente. Il disegnatore, a sua volta, realizzò le immagini, quelle stesse che ritrovava nelle fonti del copista, lasciando in bianco gli spazi rispetto ai quali non disponeva di modelli. Se codesto, come pare logico, fu il suo comportamento, è del tutto chiaro perché alcune sezioni del manoscritto siano più iconograficamente popolate di altre. Per esempio: sono rappresentate in 19 riquadri praticamente tutte le genti di Gog e Magog (una giustificazione, come s’è detto, per un’abile interpolazione dei difformi dal Liber monstrorum e dall’epistola ad Aristotele), ma nessun serpente o verme è raffigurato nel testo. Evidentemente a partire dai precedenti testi di riferimento che ne erano privi. Così come quasi tutte le rimanenti figure sono rinviabili ad animali compresi nei bestiari e nel Physiologus. Nessuna illustrazione (né spazi bianchi per immetterne) recano ovviamente i lapidari e neppure la raccolta di meraviglie geografiche. Ma permangono enigmatiche due riflessioni. La prima: una siffatta ipotesi è compatibile con una redazione dell’enciclopedia costruita per contaminazione testuale e, sia pur per parziale assenza, iconografica? La seconda: dove sono le fonti visive alle quali attinse il disegnatore? Al primo interrogativo si può rispondere,sep26 Il numero potrebbe variare di qualche unità (non più di sei o sette, comunque), dal momento che non tutti i riquadri lasciati vuoti sono poi riempiti da disegni, e non sempre è agevole capire, specie nella trattazione dei serpenti e a fine e inizio carta, se lo spazio bianco separi i vari paragrafi del testo o sia destinato alle illustrazioni. 27 Sono, di seguito: leone; leopardo; unichorno; lupo cerviere; grifone; leofante; chastorio; scinmia; cervio; monoceros; orso; formicha; agulia; avoltoio; gru; papaghallo; chaladrio; cychongnia; cyngnio; struçolo; fenice; cynomolgo; ercineo; epopo; pelicano; chocoveggia; sirene; perdice; ghaçça; chornachia; cholonba; tortore; paone; upuppa; ghallo; anitra; pichio; api; combattitori coi grifoni; fachiri; cenocefalos; antropofagi; ittiofagi; uomini con nove dita nelle mani e nei piedi; ciclopi; sciapodi; blemmi; uomini con il capo di toro; centaurj; uomini col corpo d’asino e piedi di leone; uomini con tre ordini di denti, corpo di leone, coda di scorpione; uomini con corpo di elefanti; combattitori con capo di mulo e piedi d’uccelli grifoni; bramani; uomini con corpo di toro; bestia col corpo di cavallo, piedi d’elefante, capo di cervo, corno in mezzo alla fronte; serene; bernache. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 27 pur con prudenza, affermativamente; anzi, poiché la nostra ipotesi è quella di una compilazione da svariate fonti, proprio la presenza di determinati elementi illustrativi, e la mancanza d’altri, ci conferma in essa. Quanto al secondo quesito, fonti dirette non sono rintracciabili. Anni fa mi diceva Chiara Frugoni che la serie delle difformità da me sottopostale risultava di notevole originalità, ma sarebbe stato azzardato sostenerlo, dal momento che, come oggi chiarisce Morini (1996:xi), non «risulta facile tracciare la storia dell’evoluzione dell’aspetto iconografico, per il serio ostacolo di una documentazione tardiva e lacunosa»28. Naturalmente, gli interrogativi relativi alla genesi del codice non ne sminuiscono l’importanza, che non è solo testuale e linguistica, ma storica, quale documento a mezza via tra le convinzioni scientifiche e morali paleocristiane e classiche, le rielaborazioni medioevali, l’annuncio infine di un primitivo rigore sistematico, non a caso toscano e prerinascimentale. Il manoscritto fiorentino (unico nel suo genere e da intendere quale prodotto autonomo per la sua coerenza tematica e non in senso cronologicamente retrogrado), è l’avviso, in questo senso e a mio parere, di un mondo che, progressivamente sfuggendo ad un razionalismo teocentrico, si predispone alla classificazione ed alla riflessione sistematica sugli elementi naturati intorno all’uomo. Pur se la nostra enciclopedia sfugge dal tavolo anatomista della sinottica scientifica per ricollocarsi culturalmente non ancora in categorie strutturate, ciò avviene secondo modelli rappresentativi di una realtà di mediazione che è già un itinerario che s’allontana dagli orridi di Santiago de Compostela e dai mostri pliniani, islandesi e pseudo-aristotelici. Pur narrandoli e raffigurandoli in effige e in «figura morale». Ma rielaborandoli e raccogliendoli, appunto, in corpus unitario e in un qualche modo attualizzato, che attraverso l’unitarietà cerca, e ottiene, credibilità paleoscientifica di precoce rappresentazione del mondo. La successione dei vari paragrafi non è casuale, s’è detto, ma sarebbe ovviamente inutile cercare nel testo una distribuzione secondo la logica della moderna tassonomia. Né ci è sicura guida il raffronto con la scansione delle possibili fonti volta a volta riscontrabili (Isidoro e i bestiari innanzi alle altre), dal momento che la progressione, che a tratti sembra coincidente con l’ordinamento di una determinata fonte, è improvvisamente spezzata dal compilatore (magari per ricominciare più avanti). Ciò che è appunto alla base, giova ripeterlo, della convinzione circa l’autonomia compilativa di un simile repertorio enciclopedico. Pure, alcuni nuclei aggregativi sono comunque riconoscibili: intanto nei grandi blocchi riferibili alle principali fonti; ma anche secondo una più generale quadripartizione, che mira a distinguere le «nature» del mondo animale dalla particolare sezione della Leggenda d’Alessandro (giustificazione, in realtà, per l’attribuzione a ciascuna delle «tribù incluse» di una sua propria «natura mostruosa»); dall’altro raggruppamento di luoghi meravigliosi e fatti meravigliosi a quei luoghi riconducibili; e, infine, dai due lapidari. 28 Identica la condizione della tradizione iconografica dei bestiari, cf. Muratova 1985. 28 Antonio Lupis Sottoinsiemi delle diverse aree naturali possono poi essere definiti nelle prime tre di queste distinzioni. Gli animali sono infatti in prima istanza divisi tra le specie rinviabili ad antecedenti nei bestiari e le specie che in modo più o meno evidente possono trovar corrispondenza con altra fonte (soprattutto isidoriana), anche attraverso l’espediente già citato dell’inserzione del paragrafo 28bis «Chome Adamo puose nome a˙ttutte le bestie sechondo che noj troviamo nella Santa Iscrittura» a c. 13r° (= Isid. XII,1,1-8) o 23bis «Di serpenti generalmente sono di molte nature e gienerationj» a c. 34r° Ma si potrebbe ulteriormente operare, tra questi ultimi, una nuova divisione, dal momento che le «nature» dalla 41a (topo) alla 61a (ghiro) sarebbero in fondo raggruppabili tra roditori e mammiferi predatori (donnola, lontra, faina . . .). Seguono 32 «nature» di volatili (le due ultime, api e chalabroni – citati insieme a tafanj e vespe – c. 30r°, sono qui perché probabilmente assimilate agli uccelli). La descrizione delle api, che chiude la serie dei volatili, e la sezione iniziale di quella del primo dei 23 serpenti, il draghone, che le segue, recano tracce evidenti di dipendenza dai bestiari e dal Fisiologo. Il primo degli insetti è, quindi, il rangniatelo, e l’ultimo è la cimice. La storia di Alessandro Magno e degli espedienti meravigliosi in battaglia, a loro volta, fanno da esordio alla descrizione delle tribù superstiti della sconfitta di Gog e Magog, e delle caratteristiche mostruose di quelle 22 genti. Infine, tra la 23a meraviglia geografica (Egitto: acqua che danza suonando, e che dà voci dolcissime, c. 41r°) e l’ultima (Valchiusa in Provenza: fontane, monti, fiume Sorgha, fiume Rodano, c. 41v°), pur sempre citati per la loro difformità, sono sei «nature» d’uomini29, una delle quali è comunque riferita ad un’isola della Magiore Brettangnia (cioè ad un luogo), ove si dicie . . . che chi vi nascie à choda. Una simmetricità che peraltro è violata da alcune apparenti anomalie.Tra la leucrotta e la mantichora è inserito il chochotrillo (c. 10v°-11r°), «natura» direttamente cavata dalla tradizione del Fisiologo. Tra i ratti di farauna e il ghiro compare la testugine (c. 20r°).Ancora al Fisiologo devono essere rinviate le «nature» della formicha (c. 20v°-21r°), collocata subito innanzi ai volatili e di seguito alla luberna. Delle api e dei calabroni s’è detto. Agli insetti, subito prima della Leggenda di Alessandro, succede la descrizione delle pietre tobolen (c. 35r°), anch’essa derivata dal Fisiologo30. Quindi, in qualche modo collegate alla vicenda delle tribù incluse, appaiono altre meraviglie umane, prima delle meraviglie geografiche, e cioè cicopi, piginj, gughantj, neri . . . nelle parti d’Itiopia. E infine, tra gli inghilesi chodutj di c. 41v° e la descrizione di Valchiusa, sopra citati, il tratto «Lj mutolj e˙lli sordj sono ingeneratj sordj, sì chome naschono per defetto di chonchordança di natura, et quando aviene che di mutolo padre nascie mutolo figliuolo et del sordo padre sordo figliuolo. Dj lebrosi naschono lebrosi alchuna volta, ma di ciecho huomo non nascie ciecho huomo et d’uomo ch’abia uno ochio non nascie figliuolo ch’abia uno 29 «Nelli huomenj sono maravigliose chose delle qualj li huomenj nulla maraviglia se ne fanno vivendo, e questo aviene per la chontinua usança» (c. 41v°). 30 Cf. De lapidibus quos vocant terobolem, Physiol.lat., Versio BIs 16. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 29 ochio. Lo garçone maschio o fenmina portato nel chorpo della madre 7 mesi, tanto può vivere quanto fosse portato 9 mesi, sendo portato 8 mesi non può vivere. Àci alquanti huomenj li qualj si chiamano chermofroditi, overo doppie nature, cioè quella dell’uomo et quella della fenmina, de’ qualj quasi alchuno che n’abia alchuna perfetta, e molti di questi ne sono ystati vedutj in molte parti». Ma va detto che la coerenza del brano va ricercata nell’essere complessivamente compreso (come una postilla) nell’elenco delle meraviglie geografiche. Così come l’inserzione delle pietre focaie dopo i vermi e prima degli espedienti di Alessandro è mero strappo narrativo, o puro riempitivo tematico, giacché è seguita dalla formula «Laus tibi Christe quia liber explicit iste. Deo graçias». Lo stesso può dirsi delle «nature» della formica, tanto da lasciar l’impressione che il compilatore abbia in realtà cercato comunque una collocazione di brani isolati (entrambi derivati dal Fisiologo) non immediatamente ascrivibili ad una primitiva scrittura. Anche la descrizione del coccodrillo rimonta al Fisiologo, del resto, e in fondo non sorprende la sua sistemazione. Sì che alla fine aberrante rimarrebbe solo il paragrafo sulla testuggine. A patto, naturalmente, di voler cercare una logica odierna alla disposizione dei materiali . . . Ecco di seguito, tenendo conto della distinzione in macroaree tematiche, i capitoli trattati nell’intera compilazione. Animali terrestri: 1. leone; 2. tigro; 3. pardo; 4. pantera; 5. antalops; 6. unichorno; 7. lupo cerviere; 8. grifone; 9. leofante; 10. chastorio; 11. ibice; 12. iena; 13. boutatori [chapo di toro e˙llo chorpo di chavallo]; 14. scinmia; 15. satiri; 16. cervio; 17. chaper; 18. chaprea; 19. monoceros; 20. orso; 21. leucrotta; 22. chochotrillo; 23. mantichora; 24. paradro [bestia che si truova in Tiopia]; 25. volpe; 26. bestia grande chome chavallo; 27. lupo; 28. chane; 28bis. Chome Adamo puose nome a˙ttutte le bestie; 29. pechora; 30. montone; 31. angno; 32. becho; 33. porcho salvaticho; 34. guvencho; 35. chanmello; 36. dromedario; 37. asino; 38. asino salvaticho [onager]; 39. chavallo; 40. ghatto; 41. topo; 42. mostella [overo donnola]; 43. talpa; 44. riccio [overo ispinoso]; 45. istrice; 46. luira [overo lontra]; 47. bevero; 48. tasso; 49. marmotta; 50. alfanetto; 51. faina; 51bis. martora; 52. lepre; 53. chonigli; 54. fura [overo furone]; 55. giannetto; 56. vai [animalj picholinj]; 57. ischeruolj; 58. ermelinj; 59. ratti di farauna; 60. testugine; 61. ghiro; 62. luberna [fatta a modo di lupo cerviere]; 63. formicha. Volatili: 1. agunlia; 2. avoltoio; 3. gru; 4. papaghallo; 5. chaladrio; 6. cychongnia; 7. cyngnio; 8. ibisi; 9. struçolo; 10. fulica; 11. alcion; 12. fenice; 13. cynomolgo; 14. ercineo [abita in Gormania ne’ monti Ercinej]; 15. epopo [cf. upuppa num. 27]; 16. pelicano; 17. chocoveggia; 18. sirene; 19. perdice [cioè istarna]; 20. ghaçça; 21. chornachia; 22. cholonba; 23. tortore; 24. rondina; 25. chotornice; 26. paone; 27. upuppa [cf. epopo num. 15]; 28. ghallo; 29. anitra; 30. pichio; 31. api; 32. chalabroni. Serpenti: 1. draghone; 2. basalischo; 3. vipera; 4. aspido; 5. dipsa [cf. num. 18]; 6. unaljs; 7. emorois; 8. prester; 9. seps talificus; 10. ceraste; 11. scitale; 12. emphinena; 13. idro; 14. boas; 15. iaqulo; 16. sirene; 17. [s]ops; 18. dipsa [cf. num. 5]; 19. ramarro [detto lacerto]; 20. bottruta; 21. salamandra; 22. saura; 23. istelione; 23bis. nature dei serpenti. Vermi: 1. rangniatelo; 2. sanguisuga; 3. schorpione; 4. lombico; 5. erucha; 30 Antonio Lupis 6. tarlo; 7. tingniuola; 8. verminj della charne; 8a-n lunbrico; pidochi; pulci; tanno; . . .; cimice. Pietre focaie: 1. tobolen. Storia di Alessandro: 1. Leggenda; 2. genti vinte mediante espedienti; 3. Gog e Magog. Nature delle tribù sopravvissute: 1. grifoni; 2. suicidi nel fuoco; 3. cenocefalos; 4. mangiano i vecchi; 5. ittiofagi; 6. hanno nove dita; 7. ciclopi; 8. sciapodi; 9. blemmi; 10. capri; 11. centauri; 12. mangiatori di carne cruda; 13. corpo d’asini e resto di leone; 14. piedi di elefanti, mascelle di porco, corna lunghe; 15. code di scorpione, cannibali; 16. testa d’uomo e resto d’elefante; 17. centauri; 18. testa di mulo, piedi di grifone; 19. gran signori di grandisima riverença; 20. uomini-toro, unicorno; 21. posseggono una bestia che mughia chome bue la quale à chorna di ferro; 22. sirene; 22bis. schiatta di Caino; 23. ismaeliti; 23a volpe; 23b-e. ciclopi, pigmei, giganti, mori. Meraviglie geografiche: 1. bernache [uccelli nelle parti d’Irlandra]; 2. isola in Ibernia ove non sono serpenti; 3. isola di Sardingnia, ove non vissero mai né lupo né gazza; 4. isola di Thille dove gli alberi non perdono le foglie e si sta sei mesi al buio; 5. Sicilia: Mongubello che erutta pomice; 6. purghatorio di santi padrj; 7. Minore Brettangnia: acqua che, gettata su pietra, evoca pioggia e tuoni; 8. San Mario: fonte che muta quattro colori; 9. fiume Sabatino presso . . . al monte di Libano: abbondante d’acqua per sei giorni, e poi, dopo il settimo, secha et dispare; 10. fiume che gela di notte; 11. parti di Levante: fiume che mena oro; 12. Egitto: fontana ove si spengono le fiaccole accese e si accendono le spente; 13. Etiopia: fonte freddissima che non si può bere; 14. parti del Levante: acqua che arde e non si spegne se non con aceto o orina; 15. acque che guariscono e che fanno perdere i capelli; 16. acque che acuiscono la memoria e che la fanno perdere; 17. Egitto: acqua che spegne la lossuria e che la accende; 18. Egitto: acqua che dona fecondità e sterilità; 19. Egitto: acque alle quali le pecore, bevendo, diventan di bianche nere e viceversa; 20. Egitto: stagni ove non si può galleggiare e viceversa; 21. Egitto: laghi tre volte al giorno salati e tre volte dolci; 22. Egitto: fonti che accecano i ladri spergiuri e acuiscono la vista a chi dice il vero; 23. Egitto: acqua che danza suonando e che dà voci dolcissime; [Uomini meravigliosi: 1. meraviglie umane; 2./24. Magiore Brettangnia: isola dove nascono uomini con la coda; 3. sordi e muti; 4. lebrosj; 5. tempi di gravidanza; 6. chermofroditi]; 25. Valchiusa in Provenza: fiume Sorcha, fiume Rodano. Trattato delle pietre intagliate. Trattato delle pietre le qualj non sono intagliate: 1. diamante; 2. rubino; 3. smeraldo; 4. balascio; 5. zaffiro; 6. topazio; 7. turchese; 8. giaquinto. La scripta del codice La definizione della scripta del manoscritto31 non può prescindere dalla compositività dei testi compresi nel codice, e perciò dalla loro storia individuale, che bisogna riconoscere di disperata ricognizione. 31 Si consideri che la ricognizione è effettuata sull’intero codice, anche se gli esempi addotti saranno quelli deducibili dalle carte qui pubblicate. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 31 La mano del copista, a tratti solo più corsiva, parrebbe unica; ma l’insieme delle sezioni racchiuse nell’enciclopedia naturale e le cesure non occasionali di cui s’è detto parlano chiaramente a favore di un assemblaggio di elementi testuali o al più di un’unica copiatura, piuttosto che di un unico volgarizzamento. Tanto che sarebbe forse strategicamente più corretto parlare di «lingue» del codice, in qualche modo trasparenti sotto la vernice della copiatura. Lingue che lasciano scorgere, in una solida armatura toscana, quasi d’involontaria koiné, fatti volta a volta ascrivibili ad area non fiorentina, ma se mai aretina o cortonese, o altra ancora, e fatti episodici rivenienti da atteggiamenti scolastici dell’esemplatore, e ancora fatti da far rimontare forse a precedenti copiature o alle primitive traduzioni. Può essere utile la constatazione che una serie di scelte grafo-fonetiche sia egualmente spalmata lungo tutto il manoscritto, con una distribuzione costante e coerente (e si direbbe tutta attribuibile all’ultimo copista), ma che alcune particolarità fonetiche si addensino o siano esclusive di tratti specifici della raccolta. Così è invincibile la sensazione che i lapidari che chiudono il testo siano un chiaro corpo linguisticamente estraneo e non organico (se non nella complessiva unitarietà enciclopedica). Pur tenendo conto, infatti, che ciascuna sezione del manoscritto vive lessicalmente di una sua propria vita cellulare, che è la specificità del singolo settore scientifico di riferimento, alcune caratteristiche linguistiche di quest’area appaiono uniche o addensate – fuori dunque del canone di equidistribuzione appena richiamato. Per esempio, nei lapidari compaiono gli unici due casi nell’intero codice di metatesi di -r- (Rohlfs §322): perlatj ‘prelati’ 44v°, e tartato 42r° ‘trattato’ (più avanti tralato 44r° ⬍ tra(ns)lato o errore per tratato?). Così come gli unici aggettivi in -ívile (da -íbile, cf. Rohlfs §1036 e Monaci §126 per -i- postonico, in penultima di sdrucciolo, conservato: tosc.a. lamentevile, savorevili, convenevile): singniorivile 44r°, onorevile 44r°; contro a chonvertibile 14v°, incredibile 22r°, oribile 36r° (e dispiacevole 36r°) dei precedenti testi. E solo nei lapidari sono riscontrabili le forme dej ‘devi’ 42r° e deono ‘devono’ 42r° (contro debj 30v°, debono 1v° e 22r°; ma si vedano anche deba 22v° (+ 1), 30v°, debano 22r°; e però bee 34r°, beono 37v°, beuto 44v°, accendea 36v°). Ma anche, per quanto esile traccia, solo nella sezione sulla leggenda di Alessandro appare que’ 36r°, 36v°, mentre poi in tutto il codice sempre quegli, quellj. Oppure singolare coincidenza è, al contrario, che il rarissimo lessema andanic(h)o compaia sia in questa sezione sia nel primo dei lapidari. Diffuso lungo tutto il manoscritto è invece il ricorso ad -h- ornamentale, anche non etimologica: anchora 1v° (passim, mai ancora), chacciato 13r°, chacciatorj 1r° (passim), chadere 22v°, Chaino 39r°, chaladrio 22v° (+ 1), chalandre 21r°, chalchano 33v°, chavalchavano 36r°, chochotrillo 33r° (+ 3), chomandamenti 31r°, 32r°, chornachie 21r° (cornachie 23r°), choronpe 33v° (coronpe 44r°), chorpo 22v° (passim, corpo 32r°), chorporalmente 1v°, chose 22r° (+ 4, cose 39r°), dichono 14r°, 14v° (dicono 23r°), dragho 31r° (drago 31r° + 2), draghone 30v° (+ 2), 31r° (+ 2) (dragone 30v° + 2, 31r°), fuocho 21v° (+ 7, fuoco 34r°, 36v°, 37r°), humana 1,15, 9,34, huomenj 1v° (+ 15, uomenj 21r° + 5), huomo 1r° (+ 10, uomo 1v° + 27), sichuro 43v° 32 Antonio Lupis (+ 1). Le forme verbali à e ànno non presentano invece mai h- iniziale (eccetto per ha 33r° «per lo afetto che ha»). Una sola volta compare l’etimologico Sancto 31v° (altrove sempre santa, -e, santo, -i), e una volta adviene 30v°, phisici 1r°, sechundo 1r° (sempre poi sechondo, secondo). L’affricata sibilante sorda e sonora è resa con -ç(ç)- e, davanti a -i- indifferentemente con -ti- o -çi-: contriçione 21v°, 31r°, chonversatione 36r°, discretione 13v°, 42r°, Dominationj 1v°, fatione 31r°, fationj 36v°, generaçione 14r°, 22v°, 32r°, gieneraçione 39r°, generatione 1v° (+ 7), generationj 33v°, gieneratione 1v°, 32r°, 38r°, gienerationj 39r° (+ 1), gratiosa 44v°, gratiosi 36v°, gratioso 44r°, 44v°, graçiosa 44v°, graçioso 42r°, ingniatione 36r°, intençione 21v°, intentione 31v°, operationj 21v°, patienti 31v°, paçiençia 31v°, piçichore 14r°, piççichore 14r°, poço 34r°, puçça 39v°, singnificatione 44r°, vechieça 2r°, vechieçça 21r°. Sempre s’incontrano -np- per -mp- e -nb- per -mb-: Anbruogo 31v°, chonbatte 36v°, chonbattere 36r° (+ 1), chonbattesono 36r°, chonbattitorj 36r°, 36v°, 38v°, cholonba 30v° (+ 2), colonba 30v°, cholonbe 30v°, colonbe 6,35, onbra 30v° (+ 5); pionbo 36v°, chanpa 2r°, 32r°, chanpano 30v°, chanpare 22v°, chonpangnia 23r°, chonpangnj 21v°, chonposte 42r°, choronpe 33v°, coronpe 44r°, choronpesi 31r°, esenplo 1v°, esenpro 1v°, 21v°, 22r°, essenplo 2r°, ronpe 14v°, 44r°, ronpere 14v°, 36v°, ronpimento 44r°, 44v°, ronpono 31v°, senpre 22r° (+ 7). Il nesso -nm- rappresenta la geminata -mm-: chanmellj 36r° (chamellj 2r°), chanmino 37r°, chonmuove 31r°, fenmina 2r°, 22r°, 31v° (+ 2), fenmine 1v°, genme 42r°, gianmaj 2r°, 22r°, sonmità 1r°. Il trigramma -chu- ha a volte valore di occlusiva palatale + -u: chuderà 1v° (chiudimento 39v°, chiuse 36v°, inchiudere 36v°). In posizione iniziale e interna -y- per i-: cychongnia 23r° (cichongnia 23r°, cichongnie 23r°), dyamante 44r°, dypsa 33v°, ystornello 21r°, yachulo 33r° (iaqulo 33r°, iachulj 33r°), ydro 33r° (+ 1) (idro 32v° (+ 1), 33r°), Yesù 1r° (Iesù 14r°, e Giesù 33r°, Gesù 1v°), yngenerasse 21r°, yrco 14v°. Una volta -c- e sovente -g- seguite da vocale velare assumono valore palatale: fancullj 1v°; s’agunsono 36v°, Anbruogo 31v°, chongunghono 2r°, 31v°, chongungniersi 22r°, gogo 14v° (+ 2) ‘giogo’, Gove 14v°, govenco 14v° (+ 1), govencho 14v°, guvencho 14v° (gio -vencho 14v°), gudej 22r°, 22v°, 31v°, gudichato 37r°, gusto 31r° avv. ‘giusto’ [gusto lo tuo podere] (ma gola 23r° (+ 1), 31v°, trangugia 33r°, trangugiò 33r°). S’incontra -q- innanzi ad -u- sia per riprodurre un valore di labiovelare sia per l’occlusiva velare: alquno 33v° (ma poi sempre: alcuna 23r°, alchun 13v°, alchuna 22v° passim, alchune 22r°, alchunj 23r°, alchuno 2r° passim), iaqulo 33r° (yachulo 33r°, iachulj 33r°), oquperanno 39r° (achuparono 39v°), pequdes 13v° (lat., contro peco 13v°), quoia 36r°, quopre 1r°, quore 36v°, 44r° (+ 1), quochollo 37r°, perqusione 44r°, perquatono 14r°, perquote 34r°. I nessi -cie-, -gie-, -scie- esprimono -ce-, -ge-, -sce-: cientomilia 36v° (+ 1), cierchando 1r° (+ 1), cierte 21r° (+ 1), cierti 21r°, 31r°, dicie 1v° (+ 8, e dice 39r°, dicesi 14v°), dicievano 1v°, ucciellj 13v° (+ 11), ucciello 21v° (+ 4), mentre il tipo cielo compare a 1v° ed altre 4 volte; angielo 30v° (angiolj 1v°, Archangiolj 1v°), dugiento 36r°, gieneraçione 39r°, gieneratione 1v°, 32r°, 38r°, gienerationj 39r° (+ 1) (generaçione 14r°, 22v°, 32r°, generatione 1v° (+ 7), generationj 33v°), giente 36r° (e molte altre occorrenze, mentre gente 36r°), gienti 36r° (+ 4), gientj 39r° (+ 2 e genti 36r° + 2), Giesù 33r° (Gesù 1v°), ingienera 22r°, Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 33 ingienerano 31v° (ingenera 31v°); amoniscie 13v°, 22r°, Asciensione 1v°, chonosciendo 1v°, chongniosciendo 1v° (+ 1), chonoscie 1r°, 14r°, chonosciença 44v°, chonosciere 14r°, choscie 37v°, nascie 31r°, nasciere 31r°, mascielle 38r° (+ 1), partoriscie 1v°, 2r°, 31v°, sciema 2r°. La nasale palatale espressa dal digramma -gn- è quasi esclusivamente realizzata mediante -ngn(i)-: angno 14r° (+ 1), angniello 14r°, angnosco 14r°, avengnia 32r°, 32v°, bangniasi 21v°, bisongnio 1v°, cichongnia 23r°, cichongnie 23r°, chongniosciendo 1v° (+ 2), chongungniersi 22r°, chonpangnia 23r°, guadangnierà 2r°, lengniame 36r°, lengnio 21v°, usingniuolj 21r° (ma ragniatelo 22r°, contro rangniatelo 34v°). Tra i fenomeni generali appaiono tracce di oscillazione sorda vs. sonora: achuto 21r°, aguto 39r°; dogij 36v° (ma cf. Rohlfs §213); nperadore 36v°; podere 31r° ‘potere’; sacrificio 13v°, 14v° (+ 1), sagrificio 13v°, 14v°, sagrificato 14r°. Mentre assolutamente irregolare ed equidistribuita l’alternanza tra scempie e geminate, che appare come atteggiamento permanente dello scriba: aghulia 21r° (+ 1) (agullia 21r°), aparechiamenti 36v°, aberj 36r° (aberro 30v°), altisima 44v° (altissimo 30v°), ànno 2r° (+ 25, àno 23r° + 7), avelenate 36r°, avenire 22r°, avoltoio 22r° (+ 2) (conserva la scempia, Rohlfs §228), ballasero 39r°, becho ‘maschio della capra’ 14v°, 44r°, bechi pl. 37v° (+ 1), becho ‘becco’ 22v° (+ 4), chamellj 2r° (chanmellj 36r°), chochodrillo 33r° (+ 1), chochotrillo 33r° (+ 3) (Rohlfs §228), chonbatono 37r° (chonbattesono 36r°), chonfesione 21v° (chonfessione 21v°, 31r°), chorere 32v°, 38v°, choridorj 36r° (chorre 32v°, + 1), chornachie 21r°, cornachie 23r°, deto 14r° (sempre poi detto), durisima 44r°, esenplo 1v°, esenpro 1v°, 21v°, 22r° (essenplo 2r°), esendo 36r°, 36v°, eser 44v°, esere 13v° (+ 8, essere 22r°), fiso 21v°, 22v° (sempre locutivamente con riguardare, fissi 21v°, fisso 21v°, 22v°), freda 42r°, 44v° (freddo 31r°), Giachobe 13v° (Iachobbe 1v°), grandisima 38v°, grandisimj 36v° (grandissima 22v°, 38r°), lusuriosi 31v° (lussuria 14v°, llussuria 31v°), Iddio 1v°, 30v°, 36v° (Idio 30v°, 31v°, 42r°), iscritura 13r° (iscrittura 13v°, + 2), leggie 1v° (legie 37r°), mughia 2r°, 39r°, mughio 2r°, occhi 22v° (ochi 1v° + 11, ochio 36r°, 37v°), ofende 1v°, ofendere 13v°, ofendono 1v°, 13v° (offendere 1v°, 36r°, offendono 1v°, offeso 1v°), onestisima 44v°, osequando 31r°, pichola 31r°, picholeça 33v°, picholine 2r°, picholinj 1v°, piçichore 14r° (piççichore 14r°), popare 33r° (poppa 14r°), poson 1r°, posono 22r°, 22v°, 31v° (possono 1v°), raggi 21v° (+ 1), 23r° (ragi 22v°, 36v°), schiata 1r° (schiatta 39r°), in tera ‘per terra’ 32r°, terene 32r°, teresto 13r°, vechieça 2r° (vechieçça 21r°). In posizione mediana il nesso -pl- esita in -pr- (Rohlfs §252) in esenpro 1v°, 21v°, 22r° (esenplo 1v°, essenplo 2r°), isprendientj 36v° (isplendore 44r°). Ben rappresentata la prostesi di i- davanti a -s- semplice e complicata (Rohlfs §187): isanto 30v°, ischiacciano 36r°, ischiera 36r°, ischiere 36r°, ischolpito 42r°, isciolto 39r°, iscritte 42r°, iscrittura 13v° (+ 2), iscritura 13r° (santa scrittura 2r°), ismiralda 44r°, ispaviere 21r°, ispechi 36r° + 1, 36v° + 1, ispeçial 44v° + 1, ispeçialmente 44v°, ispengnie 34r°, isplendore 44r°, isprendientj 36v°, ystornello 21r°, istà 2r° (+ 4), istare 21v°, 30v°, istavano 36v°, istelio 34r° (+ 1), istellione 34r° (stellio 33v°), istrane 38r°, istrette 31r°, istretto 34r°, istudiamo 31v°, isvemorati 32v°. Una consonante prostetica appare in chostinatione 31v°. 34 Antonio Lupis Aferetiche sono le forme petito 2r°, nella Pochalissa 39r°, rena 22r°, 32v° (+ 1), 33r°, in Tiopia 31r°, vangelista 39r°, ncendio 33v°, nchantesimo 32r°, nperadore 36v°, schurità 21v°. La concrezione dell’articolo (Rohlfs §341) è in ninferma 23r° (inferma 30r°, infermo 22v° (+ 1), nfermo 33r°). Suoni di transizione sono presenti in onde trache˙llo fiato ‘trae’ 31r° (Rohlfs §339), e Ionsuè 13v° (epentesi di una nasale, Rohlfs §334). Dovuti ad assimilazione consonantica sono mangiallo ‘lo mangiano’ 37r°, perseguilla 33v° (l’ànno inn˙odio et perseguilla), quochollo ‘lo cuociono’ 37r°, mentre -rl⬎ -ll- in avella ‘averla’ 42r° (Rohlfs §251), rimenallo 1v°, liberallo 1v°, menalle 22r°. Compare la metatesi di -r- (Rohlfs §322) in perlatj ‘prelati’ 44v° e tartato ‘trattato’ 42r°. Il betacismo è in boce 14r°, 22r° (voce 38v°, voci 38v°). L’esito toscano di -arius è in ghiandara 21r°. Come toscano è il trattamento di -pl- ⬎ -pj- in senpici 21r° (contro senplicitade 36v°). Bari Antonio Lupis Glossarietto Le forme qui sotto raccolte sono frutto di una scelta obbligata, limitata sia dagli spazi di pubblicazione, sia anche dall’essere effettuata non sull’intero manoscritto, ma su di una raccolta antologica. Si è voluto comunque tener conto particolare non solo dei bisogni di intelligenza del testo offerto, ma anche di quelli della lessicografia storica. Quando possibile o necessario il lemma è accompagnato da minimi rinvii morfologici, e dai confronti coi dizionari (GDLI e LEI); ma, soprattutto, s’è tenuto conto delle straordinarie possibilità di confronto delle singole voci coi riscontri adesso possibili grazia alla grande banca dati del TLIO di Pietro Beltrami presso l’Accademia della Crusca32. È mia convinzione sperimentale, infatti, che oggi qualunque edizione di testi antichi non possa prescindere (come da tempo fa il LEI) dal controllo delle voci coi materiali raccolti dal TLIO: solo così può emergere comparativamente ogni possibile raffronto lessicografico, cronologico, areale, utile, naturalmente, persino per lo stabilimento dell’assetto filologico di un’edizione critica. Ciò considerato, le voci raccolte nel presente glossarietto sono presentate senza ulteriori rinvii se non per assenza nel tesoro raccolto da Beltrami. Pertanto si deve intendere che tutte le forme sono, esattamente come appaiono nel codice fiorentino (anche formalmente, dunque), rappresentate nel TLIO, a meno che non siano accompagnate dall’avvertenza «manca al TLIO». Definizioni sono 32 Cf. anche il Bollettino, nel quale Beltrami 1997b ha iniziato a far confluire in articoli i materiali raccolti e la Bibliografia di Beltrami 1992. La banca dati è consultabile presso www.lib. uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/OVI/index_it.html. Si veda anche Beltrami 1997a:223-53. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 35 offerte ogni volta che è apparso utile alla comprensione della voce. Non sempre agevole, infine, è individuare il discrimine tra latinismi e forme pienamente latine, considerato che siamo in presenza spesso di brani volgarizzati, particolarmente derivati da Isidoro (cf. per tutte quatropedia). albero m. 30v° + 7, aberro 30v° (TLIO abero Tristano Ricc), alberj pl. 33r°, aberj 36r° (TLIO aberi). acciesamente avv. ‘in modo vivo, infuocato’ (di ochi sanguignj) 38v°. achuparono v.tr. ‘occuparono’ 39v°. adunare v.intr.pronom. ‘riunirsi’ 36v°. aghulia f. 21r° + 1, agullia 21r°, aquila 21r°, 22r°. agresto agg. ‘selvatico’ 14v°. aguagliare v.tr. ‘rendere uguali’ 31v° + 1. s’agunsono v.rifl. ‘si congiunsero’ 36v°. ale f.pl. 21v°, alie 20r°, 31r°, 32r°. amesse v.tr. ‘(ha) perduto’ 31r° (à . . . amesse l’alie); manca al TLIO. andanicho m. ‘acciaio temperato’ 36r°, 39v°, 44r°, andanico 36v°; manca al TLIO. angnosco lat. 14r°. angiolj m.pl. 1v°. aparechiamenti m.pl. ‘artifici’ 36v°. aper lat. 14v°. acqua f. ‘liquido generico’ 23r°, aqua 32v°, 34r°, 37v°, 44r°, 44v°, aque pl. ‘fonti’ 31r°. aquario m. ‘segno zodiacale’ 42r°. Archangiolj m.pl. 1v°. arèggiare v.assol. ‘reggere’ 42r° (cf. Rohlfs §164: Cortona,Arezzo, Roma aregge ‘regge’; per e postonico in penultima di sdrucciolo ⬎ a cf. Monaci §103, p.es. aret.a. èssare, conòsciare, socùrrare; TLIO reggiare). aries lat. 14r°. armenta f.collettivo 13v°, armente f.pl. 33r° (manca al TLIO). artificiosamente avv. 36v°. aspido m.32r° + 4,aspidi pl.32r° + 1,aspidj 32r°. assauditte v.tr. ‘esaudì’ 36v°. astenente agg. ‘che si astiene’ 2r°. atantj agg.pl. ‘aitanti’? 38v°; manca il conforto del TLIO. attufa v.intr.pronom. ‘tuffarsi in qc.’ 21v°. avoltoio m. 22r° (+ 2) (conserva la scempia, cf. Rohlfs §228). badalischio m. ‘basilisco’ 31r°, basalischio 31r° + 2 (cf. Monaci §358 per l’epentesi vocalica), basalischo 31r°. balascio m. 44r°. becho m.‘maschio della capra’ 14v°, (sangue di becho) 44r°, bechi pl. 37v° + 1. becho m. ‘becco dei volatili’ 22v° + 3, 23r°. boas m. ‘serpente’ 32v° + 1, 33r°; manca al TLIO. botraj m. ‘rana’ (Isid. botrax) 33v°; TLIO botras Belcalzer. botranj gr. 33v°. bottruta f. ‘rana’ (Isid. botrax) 33v°; manca al TLIO. celestrino agg. ‘azzurro’ 44v° (per l’epentesi di r cf. Rohlfs §333). ceraste m. ‘aspide cornuto’ 32r° + 1. cervio m. ‘cervo’ 39r°, cervj pl. 38r°. chaladrio m. 22v° (+ 1) (TLIO AmicoDante, + 2 volte caradrio). chaldeça f. ‘calore, animosità’ 14v°. chalderugi m.pl. ‘cardellini’ 21r°. chaligine (degli ochi) f.‘cataratta, malattia degli occhi’ 21v°. chamellj m.pl. 2r°, chanmellj 36r°. chapo m.‘testa’ 22v° passim, chapi pl. 32v° passim, chapita f.pl. 36r°, 37r°, 37v° (cf. Rohlfs §372), grida loro in chapo ‘li rimprovera’ 1v°. chapre f.pl. 13v°. chaprichornio m. ‘segno zodiacale’ 42r° (cf. Monaci §358 per l’epentesi vocalica). charnalj (disiderij) agg.pl. 30v°. chaschano v.intr. ‘cadono’ 21v°. chastella f.pl. 36r°, 36v°. chatello m. ‘cucciolo’ 1v°. chavalierj m.pl. 36r°. chavallo m. 13v°, 38r°, 38v°, 39r°, 44v°, chavallj pl. 33r°. chavretto m. 14v° + 1. chongungniersi v.intr.pronom. ‘accoppiarsi’ 22r° (per -nge- ⬎ -gne- cf. Rohlfs §256), si chongunghono 2r°, 31v°. chonvertibile agg. ‘conveniente, adatto’ 14v°. cichongnia f. 23r°, cychongnia 23r°, cichongnie pl. 23r°. chochodrillo m. 33r° (+ 1), chochotrillo 33r° (+ 3) (conserva la scempia, cf. Rohlfs §228). 36 Antonio Lupis cholonba f. 30v° (+ 2), colonba 30v°, cholonbe pl. 30v°, colonbe 30v°. chomistione f. ‘commistione, intervento’ 22r°. chonbattitorj m.pl. 36r°, 36v°, 38v°. chonduttore m. ‘comandante’ 36v°, chonduttorj pl. 36v°. choridorj agg.pl. ‘(cammelli) da corsa’ 36r°. chornachie f.pl. 21r°, cornachie 23r°. chorre (in una malatia) v.intr. ‘incorre’ 32v°. cristeo m. ‘clistere’ 23r° (per -eriu ⬎ -eo cf. Rohlfs §284). Davitj ‘Davide’ 1r°, Davittj 13v° (per le vocali paragogiche in posizione finale cf. Rohlfs §335); TLIO solo Davit. dengnità f.pl. ‘dignità’ 42r°. dipsa gr. ‘specie d’aspide’ 32r°. diretano agg. ‘ultimo’ 39r° (diretano dì ‘giorno del giudizio universale’). dischordante agg. ‘dissonante’ 38v°. disiderij m.pl. 30v°. dispiacevole (abiti, chostumj e regimentj) agg.pl. 36r°. dita f.pl. 37v°. dogij m.pl. ‘comandanti’ 36v°. dragho m. 31r°, drago 31r° (+ 2). draghone m. 30v° (+ 2), 31r° (+ 2), dragone 30v° (+ 2), 31r°. draghotta gr. ‘drago’ (Isid. XII,4,4 «Hunc Graeci dråkonta vocant») 31r°. dromedarij m.pl. 36r°. dyamante m. 44r°. dypsa f. ‘piccolo serpente velenoso’ 33v°. edo m. ‘capretto’ 14v°; manca al GDLI. edulio m. ‘buon cibo’ 14v°; GDLI Sannazaro. elofante m. 31r°, leofante 31r° + 1, 39r°, leofanti pl. 36r°, leofantj 2r°, 38r°, leonfanti 38v°. emorois m. ‘specie di aspide’ 32r°. emphinena f. ‘amfisbena’ 32v° (manca a GDLI e TLIO; cf. LEI, s. amphisbena). erbe (negli aberj) f.pl. ‘foglie’ 36r°; manca a GDLI e TLIO il significato. esenplo m. ‘esempio’ 1v°, esenpro 1v°, 21v°, 22r°, essenplo 2r°. fatione f. ‘fattura’ 31r°, fationj pl. 36v°. febre quartana 42r°. fedite f.pl. ‘ferite’ 14v°. fendono v.tr. ‘lacerano’ 31v°. ferendovj (dentro li ragi del sole ne’ detti ispechi) v.intr. ‘portando, colpendo’ 36v°. fischiamento m. ‘fischio’ 38v°. frenato (petito) agg. ‘controllato, moderato’ 2r°. fume m. ‘fiume’ 21r°, 32v° (manca a TLIO), fiumj pl. 21r°. funmo (di bue) m. ‘fimo’ (Isid. fimo) 33r° (TLIO solo funmo ‘fumo’). ghalline f.pl. 21r°. ghallo m. 31r°, ghallj pl. 21r°. ghaçça f. 21r°. ghiandara f. 21r°; TLIO solo ghiandaia. ghomita f.pl.‘misura di lunghezza’ 36v° (in corrispondenza Donadello 1980: 204 reca braccia), 37r°, 38r°. Giachobe 13v°, Iachobbe 1v°. giaquinto m. 44v°. gienminj m.pl. ‘segno zodiacale’ 42r°. giovencho m. 14v°, govencho 14v°, govenco 14v° (+ 1), guvencho 14v°. gioventudine f. 21v°. gramatici m.pl. 13r°, 14v°. granata f. 44v°. greggia f.collettivo ‘gregge’ 13v°, f. 14r° + 1 (TLIO solo f.). grifonj m.pl. 37r°, 38v°. gru f. 22r°. gustare m. 22r°. gusto lo tuo podere ‘per quanto possibile’ 31r°. huomenj m.pl. 1v° (+ 15). iachulj m. ‘lancia, saetta’ 33r°. iaqulo m.‘serpente volante’ 33r°, yachulo 33r°. idro m. ‘serpente acquatico’ 32v° (+ 1), 33r°, ydro 33r° (+ 1). inbusto m.‘corpo’ 38v°, onbusto 36r° (manca al TLIO onbusto). inchantatore m. 32r°. incharnaçione f. 1v°. inchastellatj agg.pl. ‘che reggono un castelletto di legno (elefanti)’ 36r°. inchontanente avv.‘immediatamente’ 31r°, 33v°. indico agg. ‘(ferro) dell’India’ 36r°. infermo m. 22v°, nfermo 33r°, inferma agg.f. 30r°, ninferma f. 23r°. infermità f. 22v° + 1, 42r°, nfermità 22v°, infermitadj pl. 42r°. infondimento m. 44v°. infracida v.intr. ‘marcisce’ 32r°. yngenerasse v.assol. ‘generasse, concepisse’ 21r°. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV ingniatione f. (Donadello 1980: 204 reca genneratione) 36r° (manca al TLIO; forma teratologica?). inmantanente avv. 30v°. inpiesi v.rifl. ‘si empie’ 23r°. in tera ‘per terra’ 32r°. intonamento m. 44r°. in traverso 14v°. Ionsuè 13v°. yrco m. ‘becco’ 14v°. ismiralda f. ‘smeraldo’ 44r°; TLIO solo ismiraldo, -i; smeralda. isplendore m. 44r°. isprendientj agg.pl. 36v° (cf. TLIO isprendienti ispade; armi). istratte ‘derivate, estratte’ (gientj . . . furono istratte della schiatta di Chaino) 39r°. iumento m. 13v° (TLIO mil.a. 1310 Elucidario; cassin.a. 1400 RegolaSBenedetto). isvemorati agg.pl. ‘attoniti’ 32v° (TLIO ismemorati). lacciuolj m.pl. 31r°. lacerto m.‘lucertola, ramarro’ 33v°, laserto 34r° + 1, laserti pl. 33v°; mancano al TLIO. lancia f. 33r°. lancione m. ‘saetta’ 33r°. leghare v.intr.‘unire (di gemma)’ 44r°, 44v° + 3, leghata 44r°. leocophonj m.pl. ‘leontofoni’ 2r°; manca al TLIO. leone m. 1r° passim, lione 36r°, lionj pl. 2r°. leonessa f. 1v°, 2r°. letione f. ‘lesione’ 33r°. lioncini m.pl. 1v°, 2r°. losurioso agg. ‘lussurioso’ 14v°; TLIO losuria. lussuria f. 14v°, llussuria 31v°. lupo cerviere 22r°, lupi cervierj 2r°. Maggiorj m.pl. ‘gerarchie angeliche più elevate’ 1v°. maledice v.tr. 36v°, maladetto 39r°, maledettj agg.pl. 21v°. morebono v.assol. ‘morrebbero’ 2r°. mughia v.assol. ‘mugghia’ 2r°, 39r°. mughio m. ‘mugghio’ 2r°. ncendio m. 33v°. nchantesimo m. 32r°. nemicho m. 1v° passim, nemici pl. 36v° + 1, 44v°, nimici 36r°. 37 nequissimo agg. 32r°, nequissima agg.f. 31v°. nereça f. 22v°. notabolj agg.f.pl. ‘degne di nota’ 21r°. oblubarà v.tr. ‘coprirà d’ombra’ (Luc. 1,35: «virtus Altissimi obumbravit tibi») 30v°; TLIO obumbrare. onorevile agg.f. 44r° (per i postonico, in penultima di sdrucciolo, conservato, cf. Monaci §126: tosc.a. lamentevile, savorevili, convenevile). orechia f. 32r° + 1, orechio m. 32r°. osequando v.tr. ‘obbedendo, osservando’ 31r°. ossa f.pl. 33v°. papaghallo m. 21r°, 22v°. paradiso teresto 13r°. paria lat. ‘partorire’ 31v°. paruta f. ‘apparenza’ 36r°. pasciere v.assol. ‘alimentare’ 13r°, paschono v.tr. 23r°. pasturare v.assol. 22r°. patito ‘digerito’ 2r°. peca f. (lat. pecus) 13r° (manca al TLIO), peco m. 13v°. pequdes lat. 13v°. pechato m. 1r° (+ 9), pechati pl. 21v° (+ 8), pechata f.pl. 39r°. perlatj m.pl. ‘prelati’ 44v°. perseguilla v.tr. ‘la perseguono’ 33v°. pessimamente avv. 39r°. petito m. ‘appetito’ 2r°. pilosi agg.pl. 37v°. piçichore m. 14r°, piççichore 14r°. Pochalissa f. ‘Apocalisse’ 39r°. podere m. ‘potere’ 31r°. pongnia v.tr. ‘ponga’ 22v°. popare v.tr. ‘succhiare (il latte)’ 33r°, poppa 14r°. porcho salvaticho ‘cinghiale’ 14v°, 22r°. porci m.pl. ‘cinghiali’ 36r°, 38r°. premettono v.tr. ‘promettono’ 32r°. prencipalj agg.f.pl. 1r°. p[re]ster m. ‘serpente velenoso’ 32r°; manca al TLIO. prestesta f. ‘prestezza’ 31r°. propia 14r°, propio 32v° (cf. Rohlfs §284). propietà f. 44r° f.pl. 1r° passim, propità 42r° (cf. Rohlfs §284). prosimo m. ‘ciascun uomo rispetto all’altro’ 1v°. provedutamente avv. ‘accortamente’ 36r°. 38 Antonio Lupis pungniare v.intr. 36r°. puçça f. 39v°. quatropedia f.pl. ‘quadrupedi’ 13v°; manca al TLIO. quopre v.tr. ‘copre’ 1r°. ragniatelo m. 22r°. raguardare v.tr. ‘volgere lo sguardo, occuparsi’ 22v°, raguardò 22v°, raguarda v.intr. ‘fissare (il sole)’ 21v°, raguardano 21v°, raguardarono 21v°. ramarro m. ‘lucertola’ 33v°. ranochia f. 33v°, ranochio m. 33v°. raquista v.tr. ‘riacquista’ 34r°. regulus lat. 31r°. rena f. 22r°, 32v° (+ 1), 33r°. resucitò v.tr. ‘fece tornare in vita’ 1v° (cf. Rohlfs §286, Monaci §298). richonperare v.tr. ‘riscattare’ 21v°. rinocerontj m.pl. 2r°. rinuçiamento m. ‘rinunzia’ 42r°. riprendere v.tr. ‘rimproverare’ 31v°. riverbera v.intr. ‘riflette (negli ochi)’ 34r°. rubino m. ‘pietra preziosa’ 44r°, 44v° + 1. salamandra f. 33v° + 1, 34r°. salda agg.f. ‘solida’ 44r°. salmista m. 1v°. salvaticho agg. 14v° + 1, 22r°, salvatiche agg.f.pl. 14v°, 21r°. sanguignj (ochi) agg.pl. 38v°, sanguingno (cholore) agg. 44v°. saura f. ‘lucertola’ 33v°, 34r°; manca al TLIO. scharpione m. 34r°, 36r°, 38v°, schorpionj pl. 34r°. schurità (degli ochi) f. ‘cataratta’ 21v°. scitale m. ‘specie di serpente’ 32v°. senpici agg.pl. ‘ingenui’ 21r°. senplicitade f. 36v°. singniorile agg.f. 44v°, singniorivile agg. 44r°; manca al TLIO. situlla lat. 32r°. somigliantemente avv. 21v°. [s]ops m. ‘serpente velenoso’ (Isid. seps) 33v°; TLIO seps Buti. stellio m. ‘lucertola’ 33v°, istelio 34r°, istellione 34r° (manca al TLIO). stornellj m.pl. 21r°. suchillare m. ‘emissione di fiato, saliva; succhio?’ 31r°; manca al TLIO. sucitato v.assol. (sarà sucitato) ‘resuscitato’ 1v° (cf. Rohlfs §286, Monaci §298). surgere v.tr. ‘suggere’ 33r°. talificus lat. (seps talificus = tabificus) 32r°. tartato m. ‘trattato’ 42r°; manca al TLIO. terene agg.f.pl. ‘della terra’ 32r°. Tiopia 31r°. topaçio m. ‘pietra preziosa’ 44v° + 1. trache (lo fiato) v.tr. ‘trae’ 31r°. tralato m. ‘trattato’ 44r°; manca al TLIO. tribo m. ‘schiatta’ 1r°. unaljs (upnalis?) m. ‘serpente che addormenta mortalmente col morso’ 32r°. uscimento m. 39v°. vechieça f. 2r°, vechieçça 21r°. veduta f. ‘senso della vista’ 21v°. veghiava v.intr. ‘vegliava’ 1v°, veghino v.assol. ‘veglino’ 22r°. vegha v.tr. ‘veda’ 31r°, veghono ‘vedono’ 32v°, vegiendo ‘vedendo’ 33r°. vene organice f.pl. 31r°. venendo 37r°, vengniendo 22v°. venghono a ghalla ‘emergono’ 21r°. vermine m. 14r°. vertù f. 30v°, 44v°, virtù 22v°, 31r°, 32r°, 34r°, pl. 44r°, vertude f. 44r° passim, vertute 15,20, vertudj pl. 42r°, virtudi 44r°. vertudiosa agg.f. ‘virtuosa’ 44v° + 1, vertudiose pl. 42r°, 44r° + 1. vestigie f.pl. ‘orme, segni’ 1r°. verves m. ‘montone’ 14r° + 1 (TLIO solo in testi lat.). vetturiosamente avv. 36r° (TLIO solo vetturioso, -a). vultur lat. 22r°. çafiro m. ‘pietra preziosa’ 44v° Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 39 Raccolta antologica 1r° // De leone33. Vochabolo leone è nome greco, e tanto a dire i˙nostra lingua latina quanto re di tutte le bestie, e à molte propietà e nature, le quali diremo per ordine qui apresso sechundo li phisici e savi naturalj. Lo leone à tre prencipalj nature: la prima natura34 la quale à lo leone per sì è che egli ama molto d’andare e d’usare su per le sonmità e cime di monti e d’alti luoghi. E se interviene che gli chacciatorj lo vadano cierchando, l’odore d’essi chacciatorj li viene al naso e per natura chonoscie che˙llo vanno cierchando; allora quopre l’orme sue, overo sbate cholla sua choda, e per questo modo li chacciatorj no˙llo poson trovare35. Chosì lo nostro Salvatore Yesù, spiritualmente leone del tribo e schiata di Iuda36, figliuolo di Davitj, choprì l’orme sue e vestigie della charità sua; dopo lo pechato del primo huomo fu mandato dal Padre 1v° // di cielo nel ventre della Vergine Maria a salvare l’humana gieneratione, la quale era perduta per lo pechato d’esso huomo. E questo non chonosciendo, lo diavolo, nemicho d’essa umana generatione, fu ardito di tentarlo, non chongniosciendo che fusse figliuol di Dio. Anchora simigliantemente gli angiolj, non chongniosciendo perfettamente quella incharnaçione, domandavano li Maggiorj (cioè gli Archangiolj e Tronj e Dominationj), e quando esso Cristo salì in cielo per la Asciensione, dicievano «chi è questo Re di gloria?»37. La sechonda natura del leone38 si è questa che, quando dorme, mostra che tengha gli ochi apertj: chosì lo nostro Singniore, chosì chorporalmente dormendo in sulla croce e nel sepolcro, la sua divinità veghiava in cielo39, onde dicie lo salmista: «E˙cciò non chuderà gli ochi e non dormirà choluj il quale guarda Irael»40. Sostanzialmente il brano dipende dal Physiol.gr., del quale è quasi integrale versione. Sulla prima natura cf. Isid. XII,2,4; Aelian., 9,30. Di qui Physiol.lat. 26,1-5; Bestiaris 73. 35 Cf. Physiol.lat. Versio l (ed. Heider) 1,1-4 «Cum ambulat in montibus vel silvis, si evenerit ut queratur a venatoribus et veniat ei odor venatoris ad nares, statim cum cauda delet post se vestigia sua quocumque ierit». 36 Da Apoc. 5,5 Physiol.lat. (Versio BIs, secondo l’ed. Mann oggi rivista dalla Morini, che si cita per pagine) 12 «Sic et Salvator noster, «spiritualis leo de tribu Iuda, radix Iesse, filius David» missus a superno patre, cooperuit intelligentibus vestigia deitatis sue . . . ». Ma anche la Versio l (ed. Heider) 1,12—14 «Sic Dominus Noster Jesus Christus spiritalis leo . . . descendensque in uterum virginis salvavit errans genus humanum». 37 Cf. Psalm. 23,8 e 23,10 «Quis est iste rex gloriae?». 38 Sulla seconda natura cf. Isid. XII,2,4; Solin. 27,13; Aelian. 12,7; Plut., Isid.Osirid. 38; Aristot. Fr. 20. Di qui Physiol.lat. 26,9 «Et quotiens dormit, sua numquam lumina claudit». 39 Physiol.lat. (Versio BIs) 12 «Dominus meus obdormiens in cruce et sepultus, deitas eius vigilabat». 40 Cf. Psalm. 120,4 «Ecce non dormitabit, neque dormit, qui custodit Israel» (Physiol.lat. (Versio BIs) 12). 33 34 40 Antonio Lupis La terça sua natura41 si è che quando la leonessa partoriscie li suoj lioncini gli fa morti e guardagli tre giornj: da po’ li tre dj viene lo leone, cioè lo padre, e soffia e grida loro in chapo tanto che gli fa vivj. Chosì Iddio Onipotente: el Padre resucitò ‘l figliuolo Singniore Gesù Cristo el terço dj; chosì chome Iachobbe ave profetato «dormirà chome leone e chome chatello figliuolo di leone sarà sucitato»42. Anchora lo leone, oltre alle dette propietà, si n’à certe dalle qualj gli huomenj possono e debono moralmente pigliare esenpro, in fra˙lle qualj propietà si è che˙llo leone non ofende persona se non n’è prima offeso43. Allo esenplo del quale ongni uomo de’ riguardare e non fare chome fanno molti malvagi huomenj, i qualj sança cagione e cholpa offendono lo loro prosimo. Chon ciò sie chosa che˙lla leggie ispiana44 chomanda: «non offendere lo inociente e sança cholpa». Anchora lo leone perdona a choluj che giace in terra, e choluj che trovasse che fosse preso, s’ingiengnia quanto può di liberallo e rimenallo alla sua magione45. Anchora, ofendono più tosto li maschi huomenj che˙lle fenmine; anchora, se non fosse gran bisongnio, non fanno male a fancullj picholinj. Anchora, si guarda 2r° // molto di non mangiare quanto vole, alchuno dj s’astiene di bere, alchuno di mangiare, e, se non ànno ben patito lo cibo, molte volte istà un dj che non mangiano; onde ciaschuno huomo de’ prendere essenplo da esso leone di non mangiare se non sechondo lo suo frenato petito, però che dicie la santa scrittura «molti ne sono peritj per lo mangiare e bere di soperchio, e choluj el quale è astenente guadangnierà vita». Anchora la loro vechieça dimostrano, andando venghono loro meno li dentj; e, quando si chongunghono insieme, la fenmina istà rovescio; et non solo fanno questo pure e’ lionj, ma anchora e’ lupi cervierj, li chamellj e˙lli leofantj e tigrj e rinocerontj. Anchora, quando la leonessa partoriscie, la prima volta fa cinque lioncinj, e poi a oni parto ne sciema uno, tanto che viene a uno solo; e quando viene a quell’anno che non ne fa se non uno, allora diventa sterile e non fa gianmaj più figliuolj. 41 Sulla terza natura cf. Isid. XII,2,5; Orig., Homil. 17 in Gen. (ma già presso Plin.; Aelian. e Aristot. Hist.anim. è detto che i cuccioli del leone nascono ciechi). Di qui Physiol.lat. 26,6-7 «Natus non vigilat, dum sol se tertio gyrat, Sed dans rugitum pater eius suscitat illum»; cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 12; cf. Bestiaris 73s. 42 Cf. Gen. 49,9 «Catulus leonis Juda; . . . requiescens accubuisti, ut leo et quasi laenua: quis suscitabit eum?». Il passo è in Physiol.lat. (Versio BIs) 12 «Sic omnipotens pater Dominum nostrum Iesum Christum filium suum tercia die suscitavit a mortuis dicente Iacob: «Dormitabit tanquam leo, et sicut catulus leonis: qui suscitabit eum?»». 43 Sull’intero tratto cf. Isid. XII,2,6; Serv., «Tum demum movet arma leo», Verg., Aen. XII «Haec enim leonum natura est, ut nisi lacessiti, irasci nequeant». Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 14 «Et partem nature leonis homo fertur habere, quia nisi lesus facile non irascitur». 44 Così il ms.; ma è probabile che si tratti di cattiva lettura da precedente abbreviatura consuetudinaria per cristiana. 45 Cf. Solin. «Cum multi captivorum aliquot leonibus obviis intacti repatriaverint». Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 14 «Prostratis enim parcunt, captivos obvios repedare permittunt». Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 41 Anchora lo leone à in fastidio lo cibo che gli chanpa dell’altro giorno, e, quando mughia, l’altre fiere si ànno sì gran paura e tremore, che tutti fughono per la paura del mughio. Anchora, se truovano certe bestiole picholine, le qualj si chiamano leocophonj46, le quali sono prese da’ chacciatorj e sono arse, e pigliano la polvere e ponghola nella via donde lo leone va, e se interviene che˙llo leone pigli d’essa polvere, tosto muore, laonde molto se ne guardano. Anchora si dicie che naturalmente chonoschono questj animalj e uccidogli quando gli truovano, ma guardansi molto di non pigliarglj cholla bocha, però che morebono, ma cholle branche gli uccidono. E questo basti della natura del leone. 13r° // Chome Adamo pose nome a˙ttutte le bestie47. Sechondo che noj troviamo nella santa iscritura, poi che Adamo fu chacciato del paradiso teresto, sechondo che piaque a˙dDio, tutti li animalj 13v° // e ucciellj d’ongnj generatione una andaro innançi Adamo, ed egli puose nome a ciaschuno sechondo la sua discretione nella lingua che Dio parlò con Adamo48, cioè l’ebraico, quella che parlò chon Abra e Isaah e Giachobe e chon che amoniscie Ionsuè, Davittj e Salamone e gli altri profeti e patriarchi santi huomenj del vechio testamento. A voler parlare in lingua latina, tanto è dire «animale» quanto chosa che abia anima vivente e spirito che˙lla muove49. Quatropedia sono dettj perché ànno quatro piedj50. Peca è detto quello animale el quale no à figura né usança d’uomo51. Iumento è detto quello animale che aiuta e puote aiutare l’uomo, chome bue, asino, chavallo, mulo e simile52. Secondo chomune parlare di nostrj gramatici, «pechora» son dettj tutti gli animalj e bestie genero; «pequdes» son dette tutte quelle bestie che si mangiano. Ongni animale generalmente detto «peco» da pasciere53. Armenta sono dettj tutti quellj animalj che sono armati di far male cho’ l’unghia e cho’ denti. Greggia sono dettj quegli animalj che no ofendono chome so’ chapre o pechore54. 46 La forma leocophonj viene da Solin.; ma cf. Isid. XII,3,54 «Leontophonos, bestia modica, et ex eo ita vocata, quia capta exuritur; eiusque cinere aspersae carnes et positae per compita semitarum leones necant, si quantulumcumque ex illis sumpserint». 47 Cf. Isid. XII,1,1; Tertull., Lib. de Virg. veland. 48 Parafrasi su Isid. XII,1,2. 49 Cf. Isid. XII,1,3. 50 Cf. Isid. XII,1,4; August., III de Gen. ad lit. cap. 11. 51 Cf. Isid. XII,1,5; Serv., «Ignavum fucos pecus», Verg., Aen. I. 52 Cf. Isid. XII,1,7. 53 Cf. Isid. XII,1,6 «nam veteres communiter in significatione omnium animalium pecora dixerunt; pecudes autem tantum illa animalia, quae eduntur, quasi pecuedes. Generaliter autem omne animal pecus a pascendo vocatur». 54 Cf. Isid. XII,1,8. 42 Antonio Lupis Pechora è uno animale molle e umile, lanoso, sança alchun arme da ofendere55. E fu animale trovato nel vechio testamento da fare sagrificio a Dio; e questo animale infra gli altrj è più umile, e però nella santa iscrittura s’asomiglia ogni fedele; e piano però s’appellano «oves», chome disse Cristo a santo Piero: «Pascie oves meas»56, cioè e’ miej fedelj cristianj, però che ongnj buono cristiano de’ esere atto e disposto di fare sacrificio di sè a˙dDio, e esere umile, e questo sança mormorio, chome la pechora 14r° // e˙ll’angniello, i qualj sono asomigliatj al nostro Singniore Iesù Cristo. Montone è detto «verves» perché à più força che li altrj di sua generaçione, overo «verves» è detto «a vir», perché è maschio; overo perché dichono ch’à uno vermine nella testa, el quale gli dà un grande piçichore. Allora, quando quello vermine gli muove, sì si perquatono forte insieme cholle chorna per torsi quello piççichore57. Anchora è deto «aries» per l’altare: chosì dicie per lettera «ara», però ch’era sagrificato in su l’altare58. Angno è nome grecho, e tanto a dire in latino quanto ‘pietoso’, e questo nome per la ragione gli si chonfà, perché di sopra avemo detto è il più umile e pietoso animale che˙ssi truovi. Overo è detto angno di questo verbo «angnosco», che sta per ‘chonosciere’, però che richonoscie la boce della madre inn˙fra tutte l’altre della greggia, e non poppa volentierj latte se non della madre propia. Anchora la madre non chonoscie lo figliuolo tra tutti quanti gli altrj della greggia, ma sì eglj la madre59. 14v° // Becho è uno animale ch’è detto «yrco» per lettera. È molto losurioso e chaldissimo; per la sua chaldeça a˙llussuria tiene gli ochi in traverso, e tanto chaldo animale è che˙llo suo sangue ronpe lo diamante, lo quale nulla altra chosa può ronpere60. Lo figliuolo suo «edo» è detto, in nostro volghare chavretto, lo quale, quando è di latte, è finissimo a mangiare e molto chonvertibile alla natura dell’uomo. Ançi li gramatici dichono d’uno buono mangiare «edulio»: è detto «edo» lo chavretto da questo edo, dicesi che sta per ‘mangiare’, però che in tra gli altrj animalj è buona vivanda61. Porcho salvaticho: questo animale è detto per lettera «aper». È detto salvaticho perché in fra l’altre fiere salvatiche è più crudele, duro e agresto e meno si chura delle fedite. Infra gli altrj animalj [à] sottilissimo udire62. Lo guvencho è˙llo bue giovane, lo quale di nuovo è messo al gogo. È detto giovencho perché è giovane e perché giova all’uomo, cioè aiuta, overo è detto govenco perché si mettea e poneva nel sagrificio di dio Gove. Questa diferença faCf. Isid. XII,1,9. Cf. Iohan. 21,7 «Pasce oves meas». 57 Cf. Isid. XII,1,10. 58 Cf. Isid. XII,1,11 «Aries, quod aris imponeretur. Unde est illud: Aries mactatur ad aram». 59 Cf. Isid. XII,1,12. 60 Cf. Isid. XII,1,14. 61 Cf. Isid. XII,1,13; l’anticipazione nel testo del chavretto al becho rispetto alla scansione isidoriana, assente nella tradizione manoscritta, è qui stabilita mediante il tratto «Lo figliuolo suo» che non si ritrova in Isidoro. 62 La fonte del passo non è Isid. XII,1,27, che si cita solo perché in Isid. come nel nostro testo la descrizione del porcho salvaticho (aper) precede immediatamente quella del guvencho (iuvencus). 55 56 Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 43 cievano dal toro al govenco, però che˙llo toro no è domato né posto al gogo e però no˙llo ponevano al sacrificio, lo govencho è domato e posto al gogo, però era posto allo sacrificio63. 21r° // Qui diremo delli ucciellj. Molte e diverse nature sono, però che altrj ucciellj sono senpici, sança maliçia e fiele, sì chome la starna; altre salvatiche, ma naturalmente si dimestichano e stanno in mano degli uomenj; altre si dilettano di stare e di fare lor nido fra gli uomenj, chome le rondine; altre si dilettano di stare ne’ boschi e nelle selve, sì chome li ghallj e ghalline; altrj vivono di rapina, e queste sono molte maniere; altre si dilettano di stare molto insieme, chome stornellj e chornachie e molto altrj; altre si dilettano di stare sole per rapire l’altre, chome l’aghulia, falchone, ispaviere e cierte altre; altrj si dilettano di chantare, sì chome usingniuolj, chalderugi, chalandre; certi altri di parlare chome huomo, sì chome ghiandara, ghaçça, papaghallo, ystornello e cierte altre64. E molte sono le nature delli ucciellj, le qualj pochi sono che pienamente non può sapere. Ma diremo qui di cierti ucciellj e di lor nature più notabolj a˙nnoj, ma prima diremo dell’aghulia sua natura. L’agullia è detta per lettera «aquila» per l’achuto vedere ch’ell’à. Ella è tanto perspichace e sottil vedere, che, volando sopra lo mare e grandi fiumj sança battere o muovere l’alie, vede sottilmente infino nel fondo del fume, dove sono e’ pesci, e chosì chonsidera dove sono, e quando venghono a ghalla gli piglia per suo cibo65. Anchora, quando si sente grave di vechieçça, 21v° // cioè quando le penne e˙ll’ale le chaschano e˙lla veduta li mancha, allora va a una viva fonte; e, sendo alla fonte, vola tanto in alto verso lo sole tanto che gli raggi suoj tutte le penne arde e chonsuma, e somigliantemente arde la chaligine e˙lla schurità degli ochi, e poj disciende nella detta fonte tre volte, vi s’attufa e bangniasi e˙llavasi; e per questo modo gli rimettono le penne nuove e forti,e chosì lo vedere li torna chome prima e tutta la força e gioventudine di prima66. Cf. Isid. XII,1,28. Per l’intero tratto iniziale si veda Isid. XII,7,1. 65 Per questa «natura» cf. Isid. XII,7,10, e di qui passata al Fisiologo, cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 24 «Ethimologia. Aquila ab acumine oculorum dicitur. Tanti enim intuitus eius esse dicitur, ut cum super ethera elevatur, pisces in mari vel in flumine natantes videat. Sicque ab alto advolans pisces rapit et ad litus trahit». 66 La leggenda del ringiovanimento non è attestata prima del Fisiologo e deriva da Psal. 102,5 «renovabitur ut aquilae juventus tua»; cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 22 «De aquila dicit David in psalmo c[entesimo] secundo: «Renovabitur ut aquile iuventus tua». Fisiologus dicit de aquila talem habere naturam: cum senuerit, gravantur ales eius et obducuntur oculi eius caligine. Tunc querit fontem atque et contra eum fontem evolat in altum usque ad etheram solis, et ibi incendit alas suas, et caliginem oculorum comburit de radiis solis; tunc demum descendens ad fontem trina vice se mergit et statim renovatur tota, ita ut alarum vigore et oculorum splendore multo melius renovetur». Physiol.lat. 28,1-10 «Esse ferunt aquilam super omne volatile primam, Que se sic renovat, quando senecta gravat: Fons ubi sit, querit, qui nunquam surgere desit; It super hunc delo fitque propinqua Deo. Tunc sibi sol ambas accendit fervidus alas Et minuit grandes alleviatque graves. Tunc quoque caligo consumitur igne propinquo, Quam confert oculis vita vetusta suis. Mox ruit et fontis liquidis se mergit in undis, Utque cadit nido, sic nova fit subito». Cf. Bestiaris 120-21 e 122. 63 64 44 Antonio Lupis Anchora à questa natura, che quando li polli suoj son natj, ella gli mena a’ raggi del sole, e quello che raguarda fiso nel sole chom’ella lo tiene per suo, e quello che non può riguardare chom’ella lascia stare e no˙llo vole nutrichare67. Noi dovremo pigliare esenpro da questo ucciello: in prima, quando ci sentiamo invechiare nel pechato e perdere lo lume del vero chonoscimento, lo quale perdiamo per lo pechato, dovemo richorere a˙dDio, vero sole, chon contriçione e dolore di nostrj pechati, e ardere in divoçione del suo nome e amore, lo quale è fuocho el quale arde e chonsuma ognie pechato e mala intençione di pechato, e˙llavarsi per la santa chonfessione e sodisfaçione di pechato, per la qual chonfesione si lavano tutte le male operationj e pechati. Anchora, choloro che no raguardano fissi nel sole non si vogliono tenere per figliuolj né prendere per chonpangnj. Questo fecie Cristo in figura che, quando fu nello lengnio della croce per richonperare li nostrj pechati, choloro li qualj raguardarono fisso nel sole, ciò che perfettamente credettono in luj, vero sole, e che si penterono di loro pechati, Ei gli tenne per suoj figliuolj. Ma choloro che non credettono che non fosse vero figliuol di Dio e non si penterono di loro pechati, lasciò istare maledettj. 22r° // L’avoltoio è detto per lettera «vultur»68, per lo tardo e grave volare. Questi ucciellj sono oltre mare chome l’aquila69.Ànno da natura che odono e sentono e odorano da lungie più ch’altro animale, perché sono cinque animalj in tra gli altrj che ànno più che niuno altro li cinque sensi, sì chome lupo cerviere lo vedere, lo porcho salvaticho l’udire, la bertuccia lo gustare, lo ragniatelo lo tochare, l’avoltoio l’odorare70. 67 Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 24 «Cum vera contra radios solis ponitur, visum non flectit. Denique pullos suos unguibus suspensos radio solis obicit. Et quos immobiles viderit tenere oculorum aciem contra solem, velud dignos genere conservat. Et quos viderit flectere oculos, quasi degeneres abicit». L’immagine dell’aquila che fissa il sole è già in Arist., Hist.Anim. 620a,1; così come in Aelian. 1,42 e Plin. 10,3 «Haliaetus tantum implumes etiamnum pullos suos percutiens subinde cogit adversos intueri solis radios et, si coniuentem umectantemque animaduertit, praecipitat e nido uelut adulterinum atque degenerem; illum cuius acies firma contra stetit, educat». Ma qui il tratto sembra dipendere da Isid. XII,7,11 (a sua volta da Ambros., Hex. cap. 18; e id., In ps. CXVIII): di qui la tradizione anche in Bestiaris 120-122, estesa fino alla prima trattatistica aucupatoria, cf. LupisPanunzio 1987:32 a 11.1 ms. B «Ancipiter veteribus pennis exutus ad austrum expandit alas ut novas recuperet, et hoc ut aperiantur pori ad calorem solis, et facilius ei penne recrescant . . . Hec avis, dum viderit pullos suos temptare posse volatus, ut dicit Ambrosius, escam eis non defert sed alis eos verberat et a nido precipitat, sed sic eorum tenens disciplinam compellit ne adulti pigri fiant». 68 Cf. Isid. XII,7,12. 69 Questi – l’aquila: fraintendimento per traduzione parziale da Isid. XII,7,12 «Vultures autem, sicut et aquilae, etiam ultra maria cadavera sentiunt» (da Ambros., De Obit.Theodos.). 70 Con precisa corrispondenza con Best.tosc. XXXIV «è di quelle cinque criature l’una, li quale passano li cinque sensi naturali del corpo dell’omo; cioè lo porco che passa per migliore odire, e lo lupocervieri per migliore vedere, e l’avoltore per migliore odorare, e la scimia per migliore assagiare, e lo ragnolo per più sottile tocchimento»; oltre che con Bestiaris 118, e le versioni moralizzate, cf. Richart de Fournival 386, il quale segue questa tradizione, non estendendo, quindi, autonomamente «ai cinque sensi gli accenni esistenti nella red. lunga di Pierre de Beauvais, limitati all’associazione talpa-udito (cap. LVIII, Cahier IV,80), avvoltoio-olfatto e liens-vista (cap. LVII, Cahier IV,78)», come sembrerebbe ritenere Morini 1996:421, N25. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 45 Anchora ànno una maravigliosa e incredibile natura, che gianmaj la fenmina non vole chongungniersi chol maschio avoltoio né chon altro ucciello, ançi ingienera per sè medesima e fa li pollj suoj71. E questo è grande esenpro, lo quale ci dà la natura, chol quale si posono chonfondere li gudej e tutti choloro li qualj non credono che˙lla Vergine Maria yngenerasse e partorisse sança chomistione d’uomo, e non vogliono credere che Dio voglia o possa donare alla sua madre quello che à donato alli ucciellj. Ànno anchora questa natura, che anunçiano chose che debono avenire, sì chome morte d’uomenj e battaglie. La gru à nome per lo suono che fa. Vanno senpre a schiera a modo di battaglia, mangiano volentieri rena overo pietre minute, volano ad alto molto per riguardare la terra dove debano pasturare e senpre, quando volano, senpre una va innançi, la quale à libertà e singnoria di menalle dove vole, e quando alchune della loro schiera non seguitasse l’altra chome dovesse, quella che˙lle guida si˙lle choreggie e amoniscie cholla sua boce. Anchora, quando dormono la notte, tenghono uno ordinato modo e solicito, per guardarsi di non essere prese o morte, però che ordinano in fra˙lloro che alquante di loro veghino e guardano l’altre, e chosì guardano tutta notte, quando una parte 22v° // e quando un’altra, tanto che viene lo giorno; e quelle che guardano tiene ciaschuna una pietra nell’uno di piedj per sentirsi, quando s’adormentasse, per lo chadere della pietra72. Papaghallo istà solamente in India,li qualj son verdj tuttj,e˙lli piedj e˙llo becho quasi giallj. À˙lla lingua molto largha, però parla meglio che altro ucciello73. À˙llo becho tanto duro, che se chadesse da alto quanto si potesse dire, si chade e sostiensi in sul becho. Infino a uno anno inpara ongni chosa che ode, e ritiene, ma chome più invechia peggio intende e meno ritiene. È molto pauroso quando va, e però senpre pone lo becho in prima che pongnia lo piede; vive lungho tenpo, quasi una età d’uomo. Chaladrio74 è uno ucciello tutto biancho e˙llo suo fiato75 chura ongni male d’occhi. Questo chaladrio à grandissima virtù, ma pochi se ne truovano e no gli poCf. Isid. XII,7,12 (da Ambros., Hex. cap. 20). L’intera natura della gru dipende da Isid. XII,7,14-15; di qui anche il passo sulla veglia notturna con la pietra trattenuta nella zampa, che transita anche nel Best.tosc. XXII, come metafora della provvidenza. 73 Cf. Isid. XII,7,24; Solin. 55; inoltre Bestiaris 135, ll. 4-5, e Best.tosc. XLIII relativamente al solo primo tratto sulla livrea verde. 74 La leggenda del caladrio (per la quale si veda Druce 1912) è nella tradizione del Fisiologo – ma non in tutta – e bestiaria, cf. Bestiaris 78 e Physiol.lat. (Versio BIs) 18 «Si quis autem est in egritudine constitutus, per hunc caladrium cogno[s]citur si vivet an morietur. Si enim est infirmitas hominis ad mortem, mox, ut viderit infirmum, avertit faciem suam ab eo, et omnes cognoscunt quia moriturus est. Si autem infirmitas eius non pertingit ad mortem, intendit faciem eius caladrius, et assumit omnes infirmitates eius infra se et volat in aera solis et comburit infirmitates eius, et dispergit eas, et sanatur infirmus». 75 Physiol.lat. (Versio BIs) 18 «Cuius interius femur curat caliginem oculorum». Il riferimento del Physiol.lat. (Versio BIs) alla parte interna delle cosce, accolta dall’edizione Mann, è presente 71 72 46 Antonio Lupis sono avere se non gran singniorj76, però che à questa natura, che, quando è portato dinançi allo infermo, se deba morire, l’ucciello no˙llo riguarda, ançi gli volge lo chorpo, e quando deba chanpare si˙llo riguarda fiso e attrae la ‘nfermità dallo infermo, e p[o]i va alli ragi del sole, e ivj chonsuma la detta infermità77. Questo chaladrio tiene la figura di nostro Singniore Cristo78, il quale è tutto chandido e non à alchuna parte di nereça, el quale non fecie maj pechato vengniendo eglj di cielo in questo mondo per salvare l’umana generaçione, e non volle raguardare li gudej, ançi rivolse lo chapo suo da˙lloro perché non vollono credere in luj, ançi andò alli gentilj, cioè alli paghanj, e esso popolo raguardò fisso perché credettoro in luj. Andò a chonsumare la infermità loro, ciò lo pechato79, e 23r° // chonsumolla alli raggi del sole, cioè in sulla croce, e per questo modo gli salvò e menoglj in paradiso, del quale popolo siamo noj cristianj, li qualj tutti liberi da ongni pechato e colpa. A chi vorà credere in luj, menerallo alla gloria di vita eterna. Cychongnia è chosì chiamata per lo suono che fanno questi ucciellj.Sono anunçiatori della primavera e vanno molto insieme in chonpangnia, e molto àno inn˙odio li serpenti, e molto si dilettano di mangiare li pesci. Lo suono che fanno si˙llo fanno in gola, però che alchunj dicono che non ànno lingua. Elle passano lo mare e vanno inn˙Asia e˙lle cornachie vanno loro innançi: le cichongnie le seguono quando passano lo mare80. Ànno grande pietà de’ loro figliuolj, e quando invechiano, sì che non si posino aiutare, li loro figliuolj le paschono e aiutano infino alla morte81. anche nel ms. bodleiano, Laud. Misc. 247 (sec. XII), e diffusa anche nei bestiari francesi (cf. Philippe de Thaün, v. 2167-72 «E l’oisel ad un os / enz en la quisse, gros; / se hum la muele ad / qui la veue faldrat, / e les oilz en uindrat, / senes repairarat.»), non trova dunque riscontro: ma varianti attestano, oltre a fiato, anche l’originale della versio B «interior fimus», cioè ‘deiezioni’, cf. Morini 1996:96 N9. 76 Segnala Morini 1996:96 N10, che «il caradrio, secondo la tradizione anteriore al Fisiologo, era in grado di guarire solo i malati di itterizia, e non di qualunque malattia, che lo fissassero negli occhi. L’itterizia era nota come morbus regius: di qui forse l’annotazione sul caradrio che vive nelle corti dei re», cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 18 «Istud in atriis regum invenitur». 77 L’intera leggenda passa anche in tradizioni parallele, per esempio nella saga di Alessandro, cf. Storost 1935:124, dal ms. Firenze, Bibl. Naz. II.I.62 (Magl. Cl. VI, num. 95, sec. XV), «32v° a // . . . grandj ucellj, bianchj chome neue. Li qualj ucellj auieno questa natura, che quando uedieno alchuno huomo che fussi amalato, e ll’ucello lo ghuatasse in uiso, l’amalato ghario; e ssi llo ucello ghardasse in altra parte e no llo 32v° b // ghuardasse nel uiso, l’amalato moria de quella malattia, immantanente sanza alchuno rimedio subitamente moria» (= Grion 1872:164). 78 Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 18 «Caladrius igitur personam accepit nostri Salvatoris. Totus est candidus Dominus noster, nullam habens nigredinem . . . Venit autem de excelsis celis suis ad infirmum populum Iudeorum: ille avertit faciem suam ab eis propter incredulitatem eorum . . . ». 79 Cf. Matth. 8,17 «Ut adimpleretur quod dictum est per Isaiam prophetam dicentem: Ipse infirmitates nostras accepit, et aegrotationes nostras portavit»; da Is. 53,4,1 «Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit» (e Pet. 1,24 «Qui peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum»). 80 L’intero passo dipende da Isid. XII,7,16-17. 81 Best.tosc. XXXII «La cicogna si è uno grande uccello et à in sè cotale natura che quanto tempo la loro madre dura faticha in notricharli, tanto tempo metteno elli a notrichare la loro madre» (cf. anche Bestiaris 113, ll. 4-7). Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 47 Anchora si truova che quando alcuna cichongnia è inferma, l’altra va e inpiesi piena la gola di certa acqua, e fa chol becho cristeo alla ninferma, e chosì la guariscie82. 30v° // Qui diremo della natura di serpenti, e primieramente diremo del draghone. In India è uno meraviglioso albero, el quale à questa natura: lo frutto suo è tutto dolcissimo e molto soave, del quale frutto le colonbe molto si dilettano di mangiare; lo dragone è molto mortale nemicho della cholonba; ma questo albero à questa natura, che l’onbra e ‘l merigio suo è veleno al serpente, overo dragone, laonde, volendo nuocere alle cholonbe che mangiano el frutto, chome è sotto l’albero e l’onbra d’esso viene, inmantanente fuggie intorno dall’onbra del detto albero, e per questo modo chanpano le˙ccolonbe. Ma se adviene che˙llo draghone truovi la cholonba fuori dell’aberro, sì l’uccide e divora83. Questo albero singnificha el nostro Singniore Idio, la sua onbra singnifica lo suo benedetto figliuolo nostro Singniore Cristo, sì chome disse l’angielo a nostra donna Santa Maria «lo spirito isanto sopra verrà in te e˙lla vertù dell’altissimo, cioè lo suo figliuolo˙tte oblubarà, cioè ti farà onbra»84. Lo suo frutto singnificha la cele- 82 La natura è qui attribuita alla cicogna, e in modo simile compare anche in Philippe de Thaün, v. 2737-42 «Et Phisologus / de cigonie dit plus: / quant se volt espurger / sun detres vait muiller, / od sun bec ev’ i met, / sun detres fait tut net». In realtà il Fisiologo, sulla scorta di Isidoro, attribuisce la natura all’ibis, cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 36 «Ethim[ologia]. Ibex, avis Nili fluminis, qui semetipsam purgat, figens rostrum suum in anum suum, aqua fundens», ma in precedenza, v. 2631-33, Philippe de Thaün identifica l’ibis con la cicognia: «Ibex d’oisel est nun / que «cigonie» apelum; / de Egipte vien del Nil». Del resto la somiglianza tra i due gruidi era stata già segnalata da Strabone XVII,2,4. 83 La natura, qui semplificata, dell’albero peridexion ‘ambidestro’ è del Fisiologo, e particolarmente della versione greca (cf. Sbordone 1936:86-87): cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 78 «Arbor quaedam est in partibus Indie, que grece peredixion, latine vero circa dexteram», da cui dipende l’intero passo (con la precisazione, da cui l’«etimologia» e la moralizzazione, che «Si umbra illius arboris fuerit in parte dextera, se facit ille in parte sinistra. Si autem fuerit umbra illius in parte sinistra, ille fugiens in parte dextera se facit»). La tradizione è ben riconoscibile in Philippe de Thaün v. 24952498 «Se l’umbre est a destre / dunc se vait a senestre, / se il est a senestre / li draguns vait a destre», così come nel Best.tosc. XLIX «e quando vogliano asalire le columbi,si stanno da lunga e veno l’umbra de l’arbore; e se l’umbra è da la parte sinestra, e quelli si fanno della destra; e se l’umbra è della destra, quelli si fanno a la sinistra» (con la relativa moralizzazione). Nel Best.vald. è «prindex . . . albre».Tra le fonti, con riferimento al frassino, Plin. 16,64 «tantaque est vis, ut ne matutinas quidem occidentesve umbras, quando sunt longissimae, serpens arboris eius adtingat, adeo ipsam procul fugiat». Il simbolismo è quello della rappresentazione sincretica dell’albero del mondo avvolto dai cicli cosmici e dell’albero celeste su cui posano le creature angeliche (cf.Guénon 1970:cap.25 «L’arbre et le serpent»; e anche Marc. 4,30-32 «Et dicebat: Cui assimilabimus regnum Dei? . . . Sicut granum sinapis, quod cum seminatum fuerit in terra, minus est omnibus seminibus quae sunt in terra. Et cum seminatum fuerit, ascendit; et fit magnus omnibus oleribus et facit ramos magnos; ita ut possint sub umbra eius aves coeli habitare» (= Matth. 13,31 e Luc. 13,19). 84 Cf. Luc. 1,35 «Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbravit tibi» (= Physiol.lat. (Versio BIs) 78 «Umbra vero arboris Spiritus sanctus est, sicut dicit Gabriel angelus sancte Marie . . . »). 48 Antonio Lupis stiale sapiençia, la colonba sengnificha l’anima fedele, la quale deba senpre istare in su questo albero, cioè Iddio padre, e dilettarsi di mangiare di questo frutto soave, cioè della sapiença di Dio, ma non di quella del mondo, e per questo modo lo figliuolo e˙llo Spirito Santo lo difenderà da ongni inpedimento. Insidie del diavolo: ma se questo dragone truova la cholonba, cioè l’anima, fuorj di questo albero, cioè fuorj dell’amore di Dio, viene lo draghone, cioè lo diavolo, e si˙lla divora. E in però tu huomo, lo quale ti debj dilettare di mangiare di questo frutto, cioè dell’amore della sapiença, guardati che non ti parta da luj faciendo li disiderij charnalj né gli altrj malvagi pechati, ma sta forte e fermo nella santa fede chattolica, ose- 31r° // -quando senpre, gusto lo tuo podere, li chomandamenti di Dio, e sta in chonfessione e in contriçione di pechati, e faciendo chosì questo draghone non ti potrà nuocere. Anchora diremo qui del dragone85. Lo dragho è maggiore che tutti gli altrj serpentj, anchora che tutti gli altrj animalj o creature di questo mondo. Li Greci appellano lo drago «draghotta»86; lo quale à per lungho tenpo amesse l’alie; escie fuorj della speloncha e vola per aria87, e tutta l’aria donde vola si chonmuove e choronpesi per questo drago. È de nuova fatione e forma, però che gli à grande cresta, pichola bocha, istrette vene organice onde trache˙llo fiato. À grandj denti, ma non v’à força dentro: la sua força à nella choda e no è velenoso. Lo leofante88 n’à grande paura per grandeça del suo chorpo89, però che˙llo draghone istà in aguato donde passa lo leofante, e ivi pone cierti lacciuolj dove esso elofante piglia sè medesimo e non si puote aiutare e, sendo chosì inpacciato, lo drago l’uccide. E perché questo animale è molto freddo e umido non può nasciere se non in paesi chaldissimj e sechi, sì chome in Tiopia, inn˙India, dove è˙llo grande ardore90. La figura di questo draghone tiene lo diavolo. Basalischo è nome grecho, in˙llatino si chiama «regulus» però ch’è re di tutti li serpentj. À questa natura, che quando è veduto dall’uomo innançi che˙llo badalischio vegha luj, si muore. Ma se˙llo basalischio vede prima l’uomo si˙nmuore inchontanente. Anchora uccide tutti li ucciellj chol fiato suo. La donnola chon sua L’intero passo dipende da Isid. XII,4,4. Cf. Isid. XII,4,4 «Hunc Graeci dråkonta vocant». 87 lo quale à – vola per aria: Isid. XII,4,4 «qui saepe a speluncis abstractus fertur in aerem» (su August., In ps. CXLVIII). 88 La descrizione dell’elefante è nella tradizione bestiaria, cf. Garver 1920:315, affiancata da quella dell’inimicizia col dragone, cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 80 «parit super aquam propter draconem, qui insidiatur illi, et si extra aquam peperit, rapit draco pecus illud et devorat. Ideo in aquam altam ingreditur, ut ibi pariat. Masculus autem suus non recedit ab ea, set custodit eam parientem, propter serpentem, qui inimicus est elephantis». Cf. anche H. de Saint Victor, De Bestiis II,24 «de dracone animantium maximum» e ib., 25 «de elephantis natura». 89 Lo leofante – chorpo: Isid. XII,4,5 «A quo nec elephas tutus est sui corporis magnitudine». 90 Il tratto dipende da Isid. XII,4,5 (e cf. Diodor., lib. IV «Tradunt quidam in desertis, ac feris locis, serpentes, qui cum elephantis propter aquas pugnant, magnitudine numeroque admirabiles»; cf. Plin. 8,11). 85 86 Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 49 prestesta e ardire uccide questo basalischio91. Questo basalischio nascie di ghallo e chosì è fatto chome ghallo, salvo che à choda chome serpente ed è di molti cholorj, guasta tutte l’aque dove abita e chol suo suchillare uccide gli altrj animalj. 31v° // Vipera è un pessimo serpente. È chosì chiamato per lo suo effetto, però che tanto viene a dire vipera quanto «per força partorite», da questo nome «vipera», cioè ‘força’, et «paria» per ‘partorire’. Di questi serpenti non sono maj se non due: lo maschio muore quando ingenera, e˙lla fenmina quando partoriscie, in questo modo, che quando si chongunghono insieme in aria, per lo grande diletto, lo maschio mette lo chapo in gola alla fenmina, e ella per grande rabbia di lussuria li troncha lo chapo chollj denti e tranghiottiscie questo chapo. E di questo chapo s’ingienerano due vipere, uno maschio e una fenmina; e quando è presso al tenpo del partorire, questi che sono in chorpo non vogliono aspettare lo tenpo diritto naturale, ançi per força ronpono e fendono lo chorpo della lor madre, eschone fuorj per força e chosì uccidono la lor madre92. Di questa vipera dicie Sancto Anbruogo ch’ell’è nequissima generatione, e dicie che in fra gli altrj animalj serpentinj è˙llo più crudele e˙llo più malvagio. Anchora Santo Giovannj Batista, vogliendo riprendere li Gudej della loro maliçia e chostinatione di non volere credere al figliuolo di Dio, vogliendogli aguagliare alla più crudele chosa che sia, si dicie chosì nel Vangielo «Genimina viperarum»93. Della maliçia di questi serpenti più santi e dottorj ne parlano, ma, per brevità, lasciamo stare di tuttj. Insomma, questi animalj si posono aguagliare agli lusuriosi, superbj, invidiosi, li qualj perdono in questo mondo ongni buona intentione. In prima perdono Idio padre, e poi perdono la santa madre Echlesia, non volendo aspettare chon paçiençia lo tenpo della gloria di Dio, e però s’afrettano ançi lo tenpo, e chosì perdono questo mondo, cioè, per virtù, e˙ll’altro per gloria. Però istudiamo d’esere chasti e umilj e patienti, acciò che al tenpo abiamo quella gloria la quale non avrà maj fine. 32r° // L’aspido94 è un malvagio e nequissimo serpente, però che choluj chui morde uccide; ma sono diverse maniere d’aspidj: nuoce più uno che un altro. Narasi che sono 91 Cf. Isid. XII,4,6 (da Hieron., In Is. XIV e Epist. 83; anche Plin. 8 e Solin.). L’intero passo è in precisa corrispondenza con Garver 1920:313-314 («dicie Plinio che lla donolla . . . »), ove è riportata la convinzione che la donnola si cibi con la ruta per uccidere il basilisco (cf. Bart.Angl. XVIII,15 de Basilisco; Cecco d’Ascoli XXX «La donola, trovando della ruta, / combatte con costui, e sí˙ll’occide, / ché ‘l tosco con costei si atuta»; e Leonardo da Vinci, ed. J. P. Richter 1883/2:324 «Basiliscio: la donnola per lo mezzo della ruta cobatte con essi e si l’uccide»). Anche Isid. XII,4,7. 92 Cf. Isid. XII,4,10-11 (e Erod. III,109; Aelian. 1,24; Plin. 10,62 «Viperae mas caput inserit in os, quod illa abrodit voluptatis dulcedine . . . itaque ceteri tarditatis inpatientes perrumpunt latera occisa parente»). La tradizione è del Fisiologo e bestiaria, cf. Best.tosc. XXVII «De la natura de la vipra dragone»; e Bestiaris 104. 93 Cf. Luc. 3,7 «Genimina viperarum, quis ostendit vobis fugere a ventura ira?» (invettiva che riappare nelle parole di Cristo ai farisei, Matth. 23,33 «Serpentes, genimina viperarum, quomodo fugietis a iudicio gehennae?»). 94 Cf. Isid. XII,4,12. L’intera sequenza dei serpenti aspido, dipsa, unaljs [= upnalis], emorois, prester, seps talificus [= seps, tabificus] dipende da Isidoro e viene accolta con la medesima suc- 50 Antonio Lupis certe [m]usiche chi˙lli dicie dove sono questi aspidi, avengnia che sieno nella chaverna, chonviene che n’escha fuorj per la virtù delle parole95, ma questo aspido, chome chomincia a sentire lo ‘nchantesimo, pone l’uno orechio in terra e˙ll’altro si tura cholla choda, e chosì chanpa dallo inchantatore96. Questo serpente aspido singnificha molti huomenj, li qualj, per no udire li santi chomandamenti di Dio, l’una orechia in tera, cioè che ponghono tanto amore nelle chose terene che non intendono a˙dDio né all’anima; l’altr’orechia si turano cholla choda, cioè che si premettono a˙lloro medesimo lungha vita e non credono maj morire, e per questo non odono la santa iscrittura che˙ll’uomo si guardj da pechati e richordansi della morte, la quale viene quando l’uomo no’l pensa. È un’altra gieneratione d’aspidi, la quale si chiama «dipsa» in grecho, in latino «situlla», però che quando morde, l’uomo muore di sete97. L’altra generatione si chiama «unaljs»98, però che quando morde l’uomo lo fa morire di sonno. Questo aspido si pone Cleopatra che morì dormendo e non sentirsi99. L’altra generatione e’ si chiama «emorois», lo quale quando morde l’uomo gli escie tutto lo sangue d’adosso, e chosì muore100. L’altra generatione si chiama «p[re]ster», lo quale, chome l’uomo è morso da esso, chade in terra disteso e muore chon grande dolore, escieglj ongnj chosa di corpo e tutto infracida dentro101. cessione nella versione greca del Fisiologo così come in Physiol.lat. (Versio BIs) 66. Non appare, peraltro, in nessuno degli altri volgarizzamenti da questi derivati. 95 Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 64 «si quando advenerit aliquis homo ad speluncam, ubi habitat aspis, et precantat eam omnibus carminibus, ut exeat de cavernis suis; illa vero, ne audiat vocem incantantis, ponit capud suum ad terram et unam quidem aurem premit in terram, alteram vero aurem de cauda sua obturat». E Physiol.lat. (Versio BIs) 66 «Huius diversa sunt genera et species dispares ad nocendum. Fertur autem aspis, cum ceperit pati incantatorem, qui eam quibusdam carminibus propriis evocat, ut eam de caverna sua prevocet, cum illa exire noluerit, unam aurem in terram premere, alteram cauda obturare et premere, atque ita voces illas magicas non audiens, non exit ad incantantem». L’immagine, oltre che nella tradizione dei bestiari, si è affermata come auctoritas letteraria anche oltre il Medioevo. 96 Cf. Psalm. 57,4-5 «Furor illis secundum similitudinem serpentis: sicut aspidis surdae, et obturantis aures suas, quae non exaudiet vocem incantantium, et venefici incantantis sapienter»; cf. August., In ps. LVII. 97 Cf. Isid. XII,4,13. Physiol.lat. (Versio BIs) 66 «Dipsa genus aspidis qui latine stala [la variante per situla è condivisa da altri codd. latt.] dicitur quia quem momorderit siti periit». 98 Possibile errore di copiatura per upnaljs. 99 Cf. Isid. XII,4,14 «Hypnalis . . . quod somno necat: hanc sibi Cleopatra apposuit, et ita morte quasi somno soluta est»; Physiol.lat. (Versio BIs) 66 «Prialis . . . soluta est». 100 Cf. Isid. XII,4,15; Physiol.lat. (Versio BIs) 66 «Emorous aspis nuncupatur, eo quod sanguinem sugit. Qui ab ea morsus fuerit, ita dissolutis venis, quicquid vite est per sanguinem effundit. Grece enim sanguis emath dicitur». 101 Cf. Isid. XII,4,16. La Versio BIs 66 del Physiol.lat. segue una diversa tradizione, pur rispettando la sequenza isidoriana. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 51 L’altra generaçione si chiama «seps talificus», lo quale chome morde l’uomo no˙llo lascia maj, che˙ll’uomo tutto li si chonsuma e disfa in bocha102. Un’altra generatione d’aspido si chiama «ceraste»103, lo quale à quaranta chorna, però che in greco tanto è a dire «ceraste» quanto «chorno» in latino104, 32v° // lo quale è nemicho di tutti gli animalj. Naschondesi nella rena del mare, e chosì uccide ongnj animale che ivj passa, pesci, ucciellj, bestie e persone. Scitale è uno serpente variato di molti cholorj ed è molto vago a vedere, e però quando gli altrj animalj lo veghono quasi stanno isvemorati a riguardarlo; e per questo modo questo serpente, avengnia che sia tardo e grave a chorere, per cholpa degli altrj che stanno fermj si divora tuttj e uccide, e chosì persone chome altrj animalj105. Emphinena si è uno serpente che à due chapi, l’uno nel luogho propio, l’altro nel luogo della choda106. Chorre da ongnj parte. Questo è crudelissimo serpente, e nuoce non solamente agli altrj animalj e persone, ma anchora nuoce agli altrj serpentj. Li suoj ochi riluchono chome chandele ardentj107. Idro si è uno serpente el quale istà nel fume chiamato Nillo. Chiamasi «idro» perché vive nell’aqua, li Greci chiamano l’aqua «idro». Chui morde, chorre in una malatia la quale si chiama «boas» perché si schura 33r° // per funmo di bue108. 102 Cf. Isid. XII,4,17 «Seps, tabificus aspis, . . . » (su Lucan., lib. IX «Ossaque dissolvens cum corpore tabificus seps»; cf. Diosc., II,70). Il Physiol.lat. (Versio BIs) 66 semplifica generalizzando «Aspis quidem si momorderit hominem, statim eum consumit, ita ut liquefiat totus in ore serpentis». 103 Cf. Isid. XII,4,18; LibMonstr. 276 «Cerastes autem cornuti serpentes fiunt, sed non tam cornibus quam ore nocent et linguis». 104 quaranta latino: Isid. XII,4,18 «in capite cornua habeat similia arietum, k™rata enim Graeci cornua vocant». 105 Cf. Isid. XII,4,19. 106 Cf. Isid. XII,4,20 «Amphisbaena»; LibMonstr. 262 «De serpentibus Assyriorum» (e De rebus in Oriente mirabilibus 354; Epistula Premonis; Epistula Fermetis); Garver 1920:314 «la fenmine»; Garver 1920:315 N50 «The chapter on the emphimena in St 2 is very similar to this one but has no moral» (ricorda Garver 1920:309 che «St 2 . . . is based on the Etymologies of Isidore of Seville»). Storost 1935:124 ms. C, c. 32v° b «nella terra di banbilonia . . . trouarono de moltj serpenti, le qualj erono grandissimi e molto fieri e auieno II chapj, e lli loro ochi erono lucentj chome charbonj accesi (= Grion 1872:164). 107 Isid. XII,4,20 «Cuius oculi lucent veluti lucernae» (H. de Saint Victor, De Bestiis III,44 de amphysibaena «lucent veluti lucernae»); Garver 1920:314 «e i suoi occhi sono lucienti come candelle acciese». 108 Sulla base della tradizione del Fisiologo, di sicura derivazione isidoriana, il testo confonde due successivi luoghi: Isid. XII,4,21 «Enhydris (da Plin. 31,7), coluber in aqua vivens. Graeci enim ‹dvr aquam vocant», e Isid. XII,4,22 «Hydros, aquatilis serpens, a quo icti obturgescunt, cuius quidam morbum Boam dicunt, eo quod fimo bovis remedietur». Il medesimo rapporto, seppure distanziato nel testo e distinto in descrizione e «Ethim[ologia]», è ad esempio istituito in Physiol.lat. (Versio BIs) 44-46 De ydro «Aliud est animal in Nilo fluvio, quod dicitur idrus. . . . Ethim[ologia]. Idrus coluber in aqua vivens. Greci enim idor aquam vocant, inde idrus aquatilis serpens. Cuius ictu percussi obturgescunt, quem morbum boam dicunt, eo quod fimo bovis remediatur». Cf. Plin. 28,18 «Boas sanat fimum bubulum, unde et nomen traxere». 52 Antonio Lupis Questo idro109 è molto nemicho del chochotrillo serpente, e però, quando vede lo chochotrillo, s’inviluppa nella rena e mostra quasi morto. Vegiendo lo chochodrillo, questo ydro si˙llo trangugia, e˙llo ydro quando è nel ventre del chochotrillo si˙llo fora e esciesene sança letione e uccide lo chochodrillo110. Questa figura tenne lo nostro singnore Giesù Cristo, lo quale se inviluppò nella rena quando pigliò charne humana e˙llo chochotrillo, cioè lo ‘nfermo, lo trangugiò, credendo che fosse huomo solo morto e non Dio, e chosì ne uscì libero, lasciò morto e schonfitto lo inferno111. Boas è uno serpente chosì detto perché si diletta molto di surgere e di popare el latte dell’armente di buoj e degli altrj animalj, e però si chiama «boas» per lo afetto che ha112. Iaqulo è uno serpente chosì detto perché vola, e quando vede li ucciellj su per li alberj, sì si gietta loro adosso chome fosse saetta o lancia, però che iachulj è˙llo lancione, e però si chiama yachulo113. Sirene sono serpenti che usano inn˙Iarabia e sono bianchi choll’alie, li qualj chorono più che chavallj e anchora volano, lo chuj veleno è sì malvagio che 33v° // quando mordono la persona, prima muore che sente alquno dolore114. [S]ops è uno serpente lo chuj veleno non solamente chonsuma la charne, ma˙ll’ossa. Quando morde la persona, sança rimedio è˙llo suo morso115. Dypsa è uno serpente di tanta picholeça, che si naschonde e non è veduto, e però le persone quando lo chalchano inchontanente muoiono sança che senta dolore116. Ramarro, detto lacerto, sono una generatione laserti serpentinj chosì chiamatj; e sono più generationj, sì chome botraj, salamandra, saura, stellio117. 109 Nella sequenza isidoriana (rispettata, sia pur confusamente, in Physiol.lat. (Versio BIs) 46, nella Ethim[ologia], direttamente mutuata da Isidoro), a XII,4,23 si incontra l’Hydra «draco multorum capitum»: nella trafila del Fisiologo che conduce al nostro testo si fa invece confusione, continuando a chiamare idro l’idra della tradizione e delle moralizzazioni dei bestiari; per il simbolismo cf. Druce 1909. Ma, in realtà, si tratta di Isid. XII,2,56 «Enhydros (di cui Solin., Plin., Amm.Marcell., Diodor.) bestiola ex eo nuncupata, quod in aquis versetur, et maxime in Nilo. Quae si invenerit dormientem crocodilum, volutat se in lutum primum, et intrat per os eius in ventrem, et carpens omnia interanea eius, exit viva de visceribus crocodili, ipso mortuo». 110 Cf. Physiol.lat. (Versio BIs) 44 «idrus . . . satis est animal inimicum cocodrillo . . . cum videt cocodrillum in litore fluminis dormientem aperto ore, vadit et involvit se in limum luti, quo possit facilius illabi in faucibus eius. Cocodrillus igitur desubitatus, vivum transglutit eum. Ille autem dilanians omnia viscera eius exit de visceribus eius». Cf. anche Philippe de Thaün Ydrus v. 63362. Il rapporto tra l’idra «serpente che ane molte teste; e quando ne gli è tagliata una, sí ne lli nascie due», ed il coccodrillo («calchatrice») è correttamente restituito da Best.tosc. XXVI. 111 La moralizzazione, sotto diverse specie, è in tutte le versioni del Fisiologo e nei bestiari, cf. ad es. Physiol.lat. (Versio BIs) 44-46. 112 Cf. Isid. XII,4,28. 113 Cf. Isid. XII,4,29. 114 Cf. Isid. XII,4,29. 115 Cf. Isid. XII,4,31 «Seps, exigua serpens, quae non solum corpus, sed, et ossa veneno consumit». 116 Cf. Isid. XII,4,32. 117 Cf. Isid. XII,4,34 «Lacertus, reptilis genus est, vocatus ita, quod brachia habeat. Genera lacertorum plura, ut botrax . . . ». Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 53 Bottruta, detta però che à faccia di ranochia: li Greci chiamano lo ranochio «botranj»118. Salamandra è chosì detta perché vale chontra lo ‘ncendio del fuocho; la quale à più veleno che niuno altro animale, e˙tutti gli altrj l’ànno inn˙odio et perseguilla, ma ella uccide tutti gli altrj chollo suo veleno, e quando s’achosta ad alchuno albero, tutti choronpe li frutti suoj, sì che uccide ongnj persona che ne ma- 34r° // -ngia.Anchora se chadesse inn˙alchuno poço, tutti uccide chi bee d’essa aqua. Questa salamandra è solo quello animale che vive nel fuoco, e non solo che ‘l fuocho li faccia male, ma essa ispengnie ongni fuocho, sì è grande quanto vole119. Saura è uno laserto. À questa natura che, quando perde lo vedere, entra in uno foro istretto d’un muro o pietra verso lo Levante, e quando lo sole si leva, si˙llo perquote, riverbera nelli ochi, per la virtù del sole raquista lo vedere chome di prima120. Istellione121 è uno laserto d’una forma molto rilucente e vaga a vedere, però ch’è variato di molti cholorj e diversi a modo di stelle e lucenti, però è apellato «istelio». Questo istelio è nemicho delli schorpionj, però che tuttj li uccide sança tocharglj, però che chome lo scharpione lo guata, diventa tutto sança vita, e chosì muore122. 36r° // Qui diremo della natura dellj animalj raçionalj, ciò sono huomenj trasformatj da˙ttuttj gli altrj huomenj del mondo. Quando ebe vinto le gienti dele parti di levante, di sì oribile paruta e dispiacevole abiti, chostumj e regimentj, le qualj genti sogiogò e vinse magiormente per divina potençia chome per umana, Allessandro predetto, dovendo cho˙lloro chonbattere, in loro trovò molti e diversi modj di chonbattere: alquanti li mettevano dinançi li chanj inn˙ischiera sì chome chavalierj; allora Allessandro, però che˙lla sua gente erano charichati d’arme e, stanchi, chontro a choloro tutti pungniare non poteano, onde ellj fè ischiere di porci acciò ch’ellj chonbattesono chon que’ chanj, et chosì li vinse. Poi Allesandro trovò huomenj armati di quoia, chotelj qualj chavalchavano i dromedarij, ciò sono li chanmellj choridorj, portando per altruj offendere archi e saette. Trovò gienti le qualj aveano oltre a dugiento leofanti inchastellatj di lengniame, sopra alle qualj chastella huomenj andavano saettando saette avelenate e Cf. Isid. XII,4,35 «Botrax . . . nam Graeci ranam bøtraxon vocant». Cf. Isid. XII,4,36. La leggenda della salamandra attraversa tutta l’antichità, fino ad Agostino, a partire probabilmente da Arist., Hist.Anim. 552b,15: è ripresa naturalmente nel Fisiologo, nel LibMonstr. e nei bestiari, cf. in specie Garver 1920:316s., che nota come vi siano «also points of resemblance between this chapter and the one in St. 2, as well as Hugo de Saint Victor, de Bestiis, II,16 de stellione et salamandra» (cf. Mann 1888:64; per le fonti l’ed. Cahier/Martin 1847-65:271 dei ms. Berne-Bruxelles). 120 Cf. Isid. XII,4,37 (e la tradizione del Physiol.gr.). 121 Cf. Isid. XII,4,38. 122 Cf. Plin. 29,4. 118 119 54 Antonio Lupis fuocho tenperato, esendo li huomenj fatti di diverse maniere: alquanti aveano fatte le chapita chome chanj; alquanti avieno uno ochio molto grosso nella testa, ciò nella fronte; altrj li qualj avieno uno piede molto grande; alquanti li qualj ànno lo chapo tramendue le spalle dinançi, sì che ànno la bocha nel petto e gli ochi123; alquanti ch’àno lo volto chome huomo e˙llaltro onbusto tutto e˙lli piedj sì chome lione e choda sì chome scharpione, ànno tre ordinj di dentj da chatuno lato. Quelle chotalj genti non solamente l’erbe negli aberj, ma˙lle pietre ischiacciano. Quivj si mostrò Allessandro provedutamente e vetturiosamente fatto di non perdere alchuno tenpo inn˙alchuna battaglia. Trovò Allessandro arte di mille ispechi di ferro forbiti124, li qualj poneano chontro al sole verso li nimici, e˙llevando e diriçando chatuno di quellj della sua giente li dettj ispechi forbiti, li qualj erano d’andanicho d’ingniatione di ferro indico ben forbito, li qualj erano purghatj 36v° // e bene isprendientj; sì che ferendovj dentro li ragi del sole ne’ detti ispechi C’ ghomita dinançi da˙ssè in dieci milia accendea sì chome fuocho, e chosì le chastella e˙lli uomenj, e ‘l bestiame e i loro vestimentj per quella arte sottile d’ispechi inn˙ogni modo ongni chosa di suoj nemici arse. Poi ch’ebe li suoj nemici chosì arsi, vinselj chontro a di loro trionfando. Rymasono veramente xxij re: chatuno avea ottociento chonduttorj, e chatuno chonduttore cientomilia chonbattitorj, li qualj guardavano, e vedendo Allessandro vincitore e ellino esendo huomenj ingrati, non gratiosi chontra li tutti buonj chostumj e bellj, dispiaquelj molto que’ modi e˙lloro chonversatione, però in nullo Sui cinocefali, ciclopi, sciapodi, blemmi V. più avanti. L’intero passo è in precisa esclusiva corrispondenza con Donadello 1980:204 (in corsivo i tratti del testo rischiarati dal ms. padovano): «Dell’arte la qual fece Allexandro di spechi. Trovò Allexandro arte di .M. spechi di ferro forbiti, li quali ponea contra lo sole di contra ali suoi nimici, e˙llevando e dirissando catuno di quelli dela sua gente li dicti .M. spechi forbiti, li quali erano d’andanico di genneratione di ferro indico, ben forbiti et purgati et risprendenti, sì che, ferendovi dentro lo sole in quelli spechi, .C. braccia dinançi ad sé et fine in .x. migla da lunga accendean sì come fuoco. E così le castella, gli omini, lo bestiame e li loro vestimenti per quella arte sottile di spechi, in ogna modo ogna cosa di suoi nimici arse. Puoi ch’ebbe li suoi nimici così arsi, vinseli tutti quanti chosì triunphando. Sì come rimaseno .xxii. rei allor, li quali si ridusseno a quella parte ch’è di socto. Rimaseno veramente .xxii. rei, catuno dei quali rei .VIIIc. conductori avea e ciascuno conductore .Cm. combattitori, li quali guardando et vedendo Allexandro vincitore et elli essendo homini ingrati oè non gratiosi, ma contrariosi ad tutti li buoni e belli costumi, dispiaqueli molto loro modi e loro conversatione, però in nullo modo con loro volse participare. Unde comandò loro che i˙nela valle, la quale si dice Caspia, si dovesseno raunare. E di questo dentro dal suo core cum pura simplicitade fedelmente pregò lo suo altissimo creatore di cielo che così fastigiose gente ai monti di Caspio e cansato dalla parte di tramontana si dovesseno inchiudere. La qual cosa Dio omnipotente lo suo pregho exalditte, et quelli cussì due grandissimi monti insieme s’agiungesseno, rimanendo tra loro due monti bocca di .xv. passi tanto. Sì come Allexandro chiuse questi .xv. passi. Li quali Allexandro questi .xv. passi in tal guiça acconçoe artificiosamente con pietre, con ferro e con piombo e co altri apparechiamenti, che alcuno di loro ‘scire non ne potea né altri andare a˙lloro. E veramente le porte di questa bocca sì nascose e in tal guiça stavano, e˙ssì erano d’andanico temperato, che per fuoco né per ferro non si poteano ronpere né isforsare né per alcun altro ingegno aprire». 123 124 Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 55 modo cho˙lloro volle participare, onde a˙lloro chomandò che nella valle, la quale si chiama Chaspia, si dovessono adunare. E di questo dentro del suo quore fedelmente e con pura senplicitade preghò el suo creatore fedelmente, che chosì fastidiose genti ch’e’ monti di Caspio e Cansato dalla parte di tramontana si dovesse inchiudere. La qual chosa Iddio onipotente assauditte, e quellj chosì grandisimj due monti insieme s’agunsono; rimanendo tra’ due monti una bocha di quindici passi, Allessandro chiuse quella bocha. Allessandro in tal guisa achonciò artificiosamente chon pietre e chon ferro e chon pionbo e chon altrj aparechiamenti, che alchuno di loro uscire no ne potesse né altrj andare a˙lloro. E veramente le porti di questa bocha sì aschose et in tal guisa istavano, e sì erano d’andanico tenperato, che per fuoco né per ferro non si potevano né ronpere né speçare né per alchuno altro ingiengno aprire. Rinchiusisi si furono in questo modo gl’infra scritti xxij re, chatuno di qualj avea ottociento dogij sotto di sè, cientomilia chonbattitorj, in tra li qualj sono doe re principalmente: Gogo, lo quale chonbatte chol coltello, e Magogo, lo quale chomanda e benedice e maledice, chome diremo lo ‘nperadore e ‘l papa in fra˙nnoj cristianj, di qualj chonteremo qui apresso di lor fationj e nature. 37r° // Lo primo re di xxij si chiama Anogit, la giente del quale sono huomenj lunghi xi ghomita, lj qualj si chonbatono cho’ grifonj. Sechondo re si chiama Agenj, la giente sua sono Agrotti e Brainotti125, li qualj, la vita di questo mondo credendosi dare a˙dDio, si giettano nel fuoco per amore dell’altra vita. Terço re à nome Chane Nator, la giente del quale si chiamano Cenocefalos126, li qualj ànno chapita di chanj e˙ll’altro chorpo tutto d’uomo. Quarto re à nome Depar, la giente del quale, andando per chanmino et venendo lor meno vivanda, uccidono di loro quello ch’è il più vechio et quochollo e mangiallo; et quello che si difendesse da queste chose è tenuto rio e malvagio ed è gudichato chome huomo sença legie127. 37v° // 125 Cf. Gervasius Tilleberensis, Otia imperialis 3 «De Asia orientali . . . Habet et India Agroitas et Brachmanes, qui se ultro in ignem mittunt amore alterius vite»; sui Bramani cf. Plin. 6,19. Le altre fonti sono rinvenibili nella Collactio Alexandri cum Dindimo, o nella tradizione del Dindimus o dei Commoditorium Palladii (cf. Cary 1956:12-14). 126 Cf. Isid. XI,3,15 e XII,2,31; August., Civ. Dei XVI,8; LibMonstr. 166 «Cynocephali (cenocephali ms. A) quoque in India nasci perhibentur, quorum sunt canina capita». Nelle storie di Alessandro, cf. Epist.Alexandri 33, e, innanzi tutto, la tradizione dello Scolari, vedi Storost 1935:38, §148 «ynocefali, riesige, flammensprühende Tiere» (Storost 1935:143, ms. Marciana Venezia It.Cl.VI.66 (6033) c. 37v° Luncephali). Per la tradizione dei cinocefali cf. Storost 1935:52, e Berger de Xivrey 1836. 127 Cf. Gervasius Tilleberensis, Otia imperialis 3 «Sunt alii, qui iam senio confectos parentes mactant et eorum carnes ad epulas sibi preparant, impio iudicato qui facere ista negaverit. De istis meminit Aristotiles (= Aristot., Topic. II.XI,5-6), cum dixit: «Bonus est mactare patrem in Trivallis». Unde literatus ille nostri temporis vir, magister Radulfus Niger, domini mei regis iunioris concurialis, cum Topica Aristotilis et Elenco versibus glosaret, ait: Sunt loca, sunt gentes, quibus est mactare parentes, / cum mors aut pietas aut longa supervenit etas». 56 Antonio Lupis Quinto re à nome Apodineir, li qualj mangiano li pesci crudj e beono l’aqua salata del mare128. Sesto re à nome Lobio, la giente del quale tutti àno nelle manj nove dita e altre tante in chatuno piede129. Settimo re à nome Limio, la giente del quale tutti si chiamano Arismapos e à chatuno uno ochio, ma quello è molto grosso, nella fronte130. Ottavo re à nome Pariçeus, la giente del quale ànno tuttj un piede, et quando si posano, per la grandeça del piede dal sole si fanno onbra a˙ttutto ‘l chorpo131. Nono re à nome Dedicius, la giente sua si chiamano Agatti e sono sança chollo e tutti pilosi, e ànno bocha, ochi e naso nel petto132. Decimo re à nome Çarmeneus, la giente sua si chiamano Linos e Sotiros, li qualj ànno le chapita loro chornute chome bechi, lo petto chome l’huomo, le choscie e˙lli piedj chome bechi133. 38r° // Undecimo re à nome Bebus, la giente del quale si chiamano Centaurj e ànno il chapo e ‘l petto sì come gli altrj huomenj e˙ll’altro chorpo ànno fatto chome chavallo134. Dodecimo re à nome Carmarius, la giente sua si chiamano Bilbios, li qualj mangiano la charne cruda135, intra le qualj gienti sono grandissima quantità di serpenti sì grandi che mangiano e uccidono li cervj. Tredecimo re à nome Chalchonus, la giente sua si chiamano Cinotos, li qualj ànno figura di gienti e ànno lo chorpo loro chom’asinj, e ‘l petto e˙lle ghanbe sì chome leone136. 128 Sugli ittiofagi cf. Isid. IX,2,31; Solin. 57; LibMonstr. 164 «Et in India . . . qui . . . crudis cum aqua piscibus ita vivere dicuntur»; Epist.Alexandri 32-33 «crudo pisce et aquarum haustu viventes». 129 Cf. LibMonstr. 143 «qui in ambis manibus VI digitos et singulis habuerunt pedibus»; August., Civ. Dei XVI,8 «Pluribus quam quinis digitis in manibus et pedibus nasci homines, novimus». 130 Da Verg., Aen. 3,616-640 a Isid. XI,3,16 cyclopes; cf. LibMonstr. 156; per le fonti cf. Storost 1935:53. 131 Cf. per gli sciapodi Isid. XI,3,23; Plin. 7,2; August., Civ. Dei XVI,8; LibMonstr. 168; per le fonti cf. Storost 1935:53. 132 Sui blemmi cf. Isid. XI,3,17; Plin. 5,8; Solin. 34; August., Civ. Dei XVI,8; LibMonstr. «De Epifugis» 176 (dal De rebus in Oriente mirabilibus 355 «homines sine capitibus qui in pectore habent oculos et os»); per le fonti cf. Storost 1935:53. 133 Sui satiri cf. Isid. XI,3,21; LibMonstr. 144 «Fauni . . . a capite usque ad umbilicum hominis speciem habent caput autem curvata naribus cornua dissimulant et inferior pars duorum pedum et femorum in caprarum forma depingitur» (da Hieron., Vit. S. Pauli col. 23 «Nec mora, inter saxosam convallem haud grandem homunculum videt, aduncis naribus, fronte cornibus asperata, cuius extrema pars corporis in caprarum pedes desinebat»); per le fonti cf. Storost 1935:52. 134 Cf. Isid. XI,3,39; LibMonstr. 150 «Hippocentauri equorum et hominum commistam naturam habent» (da Hieron., Vit. S. Pauli coll. 22-23); cf. Berger de Xivrey 1836:23-37. 135 Cf. De rebus in Oriente mirabilibus 356; LibMonstr. 178. 136 Cf. Isid. XI,3,39; LibMonstr. 154 «Onocentauri corpora hominum rationabilia habere videntur usque ad umbilicum et inferior pars corporis in onagrorum setosa turpitudine describitur»; Epistula Premonis 210-11 «nascuntur homines qui homodubii vocantur, qui usque ad umbilicum hominis speciem tenet, reliquum corpus onagro similes; pedes habent equus»; Robin 1932:81-82. Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 57 Quatordecimo re à nome Amardeus, la giente del quale sono diversamente fatte e chiamansi Dandelj, àno li piedj di leofantj, le mascielle sì chome di porci, le chorna loro sono lunghe due ghomita. La battaglia loro è molto dura e aspra. Quintodecimo re à nome Anafargio, la giente del quale sono diverse, chon istrane figure e chon diverse armj. Àno lo viso loro fatto chome gli altrj huomenj, ànno nelle mascielle da chatuno lato 38v° // tre ordinj di dentj, l’altro chapo tutto e˙lle ghanbe àno di leone, choda chome scharpione, la voce loro è fischiamento diverso, dischordante da tutte voci, li ochi loro sanguignj acciesamente, e mangiano charne d’uomo e di bestie, e sono molto atantj e ratti a chorere più d’altrj animalj. [S]estodecimo re à nome Brimaidus, la giente del quale si chiamano Erij e Dinerij, ànno chapo d’uomenj e˙ll’altro di leonfanti. Settimodecimo re à nome Alfangho, la giente sua si chiamano Alfaraççi e àno li chapi loro d’uomenj e˙ll’altro inbusto tutto di chavallo e portano archo e saette137. Ottavodecimo re à nome Aleno, la giente del quale si chiamano Milvj, àno li chapi loro di mulo, li piedi d’ucciellj grifonj, e sono chonbattitorj passando a˙ttutti gli altrj. Nonodecimo re à nome Charabo, la giente del quale sono chon be’ chostumj e di grandisima riverença, molto amatorj altruj, che nulla chosa lasciano a fare per loro amici. 39r° // Vigesimo re à nome Fiçonicho, la giente del quale si chiamano Gloci e ànno volti e chapi chome altrj huomenj, li loro chorpi sono di toro; in fra˙lli qualj è una bestia di diversa figura, lo chorpo suo di chavallo, li piedj di leofante, li chapi di cervio, e à uno chorno in meço della fronte risplendente e molto aguto. Vigesimoprimo re à nome Artineo, la giente del quale si chiamano Bellj, tra’ qualj à una bestia molto diversa, la quale si chiama «daran» e mughia chome bue, la quale à chorna di ferro e nullo si prende né si doma. Vigesimosichundo re à nome Saltano, la giente del quale si chiamano Serene, che al lor chanto fanno l’altre gienti adormentare, e, quando vanno, fanno movimenti di manj e di piedj sì chome ballasero e saltasono138. Queste gienerationj di gientj, sechondo si dice, furono istratte della schiatta di Chaino, figliuolo d’Adamo, el quale fu maladetto. Questi re di questa giente ch’abiamo chontatj, furono della gieneraçione de’ re d’Ismael e chiamansi l’Ismaeliti, e chiamansi Tartarj di Gogo e di Magogo. San Giovannj vangelista disse nella Pochalissa che al diretano dì, cioè al dì del giudicio di Dio per le pechata di popolj, fie isciolto Ghogo e Magogo e oquperanno la terra tutta. Anchora dicie un’altra iscrittura che veranno la gieneratione dellj Ismaelj e posederano le sante cose di Dio. Onde chon ciò si è chosa che cholle molte e diverse gienerationj di bestie si rinchiudesoro, volpi non furono rinchiuse: la volpe, pessimamente chost- 39v° // -retta Cf. N101. Da Hom., Od. XII,166-191; anche Plin. 2,204; 3,62; 30,6; Solin. 33 e 37; Isid. XI,3,30-31; cf. anche LibMonstr. 148 e relativa bibliografia, soprattutto Faral 1935. 137 138 58 Antonio Lupis a chavare al monte, e venne al chiudimento che per miracholo era fatto, et quando ebe veduto l’uscimento, le porti dell’andanicho e delle pietre per la potençia divina passò, sì che quindj usciendo chon quelle crudelj armj le qualj, abitando ne’ monti, avieno fabrichate, e’ achuparono la terra, vedendo che tuttj li huomenj erano charne e chatuno ch’erano quelle chose ch’erano sue e chon quelle chose ch’erano di Dio, e che la puçça di pechati era tanto multiplichata, quasi che al cielo tochavano, l’altra sì chome ara propuose di purghare. 42r° // Qui chomincia lo tartato delle vertudiose pietre e propità e nature, chosì delle intagliate chome dell’altre. Sapemo e seguitar dovemo per rinuçiamento delle antiche iscritte chonposte da˙llj antichi filosafi dell’intaglj e delle figure delle pietre. Questo veramente di ciò è da fare, che se la figura che dall’intaglj antichi per graçia di Dio onipotente era allora chonceduta, e sechondo è di quella fighura e’ dimandava, dunque quelle pietre e quelle genme assaj si deono guardare e arèggiare e tenere nette; ma non dej ponere in loro tanto la tua sperança sechondo che si scrive, ma dej avella in su solo Idio, dal quale tutte le vertudj delle pietre sono, e tutte le dengnità e propietà delle creature tutte ànno discretione e perfeçione. In quella pietra dove fia intagliato toro overo donçella overo chaprichornio, questa pietra è di natura freda e della parte di meço giorno; sì che quello huomo la quale la porta adosso sichuro serà choll’aiuto di Dio da ongnj infermità accidentale. Quella pietra dove troveraj intagliato ischolpito lo sengnio di gienminj overo dell’aquario, questa chotale pietra occidentale, cioè dalla parte di ponente, l’uomo lo quale adosso la porta choll’aiuto di Dio fia sichuro da ongnj febre quartana o ghotta parlasia, e rende l’uomo graçioso apo i singniorj e a˙ttutte l’altre gientj; eçiandio chi avesse le sopradette infermitadj sono utilissime a portare adosso chontro a’ detti viçij. 44r° // Tralato sopra l’altre pietre vertudiose, le qualj non sono intagliate. Avemo detto delle virtù delle pietre intagliate e figurate e di loro qualità, trattare volemo dire delle vertudiose e preçiose pietre. Dyamante è pietra molto durisima e salda, sì che nullo ferro né acciaio né andanicho né ronpe né coronpe, né fuocho la chonsuma, né aqua bollita. Puosi chonsumare e fondere chon sangue di becho e non chon alchuna altra chosa. Ben si truova che intonamento si chonsuma e fonde. Pietra è di grande valore: vuolsi leghare inn˙oro o in ferro, e chi bene e chastamente la porta, quello chotale huomo la porterà adosso de’ esere amante di Dio per la singnificatione del nome; e però si dona e dà in matrimonio, acciò che si chonservj sança choruçione. È sua propietà di levare d’ongni altra pietra e niuna leva di lej; è chontro, anchora, a ronpimento di sangue. Rubino è pietra di grande valore e di grande vertude e di grande valença. La sua vertude è d’esere a choluj che chastamente e nettamente la tiene, che rende l’uomo singniorivile intra li altrj e gratioso dall’altre gientj, e tiene lo vedere dell’uomo Prolegomeni all’edizione di un’enciclopedia toscana del tardo secolo XIV 59 e˙llo quore molto allegro, e eçiandio, s’ellj è grosso, all’oschuro rende isplendore e lume, e quando è più accieso, tanto è più charo e migliore. Ismiralda è preçiosa e bella pietra di cholore verde, e vole esere leghata inn˙oro. Le sue propietà son queste: d’esere l’uomo la quale la porta adosso allegro senpre, chiaro del quore e di tutto ‘l chorpo e speçialmente della vista delli ochi. È pietra molto tenera e di grande guardia da fuocho, da aqua chalda, da ongnie perqusione; donasi in matrimonio a ciò che vivano allegramente. Balascio è onorevile e bella e chiara pietra a vedere, ed è quasi di quelle virtudi medesime 44v° // che˙llo rubino, ci[ò] è singniorile, gratiosa e allegra a˙ttutto ‘l chorpo e oltre che vertudiosa chontra nemici in battaglia. Çafiro è pietra utile e bella e di celestrino cholore, ed è pietra di vertude chontro a ronpimento di sangue; à vertù chontro a male d’ochi, ed è buona a forbire li ochi, e rendelj molto chiarj e bellj. Volsi leghare in oro e tenere nettamente e chastamente. Topaçio è pietra altisima e di giallo cholore e vertudiosa, e ànno chotale chonosciença quillj che diritti sono, che mirandovisi l’uomo entro, lo mento dell’uomo mostra di sopra e˙lla fronte di sotto dal volto.Volsi leghare inn˙oro e guardare nettamente. La sua ispeçial vertute si è d’esere onestisima pietra oltre a˙ttutte l’altre, e però la portano in dito li grandj pontefici e˙llj grandj perlatj. Anchora, se ‘l topaçio è bene diritto, mettendolo nell’aqua chalda si˙lla fa diventare freda. Turchiescha è molto bellisima pietra, se ella è fine di cholore. La sua propietà di vertude son queste d’eser gratiosa, amorosa e allegra. Volsi leghare inn˙oro e tenere nettamente, e volsi guardare dall’aqua chalda e fa l’uomo gratioso d’esere amato. Giaquinto è pietra quasi di cholore sanguingno, ed è gratiosa in battaglia e à ispeçial vertude chontro infondimento d’uomo e di chavallo. Volsi leghare inn˙oro e portare dalla mano sinistra; volsi tenere nettamente e guardar bene. Granata è di cholore quasi di rubino, e à ispeçialmente vertude chontra ‘l vino beuto di non lasciare altruj inebriare. Volsi leghare inn˙oro e guardarsi da ongnj choruçione, però ch’ella è bella, allegra, graçiosa pietra. Scioglimento delle Sigle e Bibliografia Aelian. = Hercher, R. (ed.) 1864-66: C. Aeliani, De natura animalium libri XVII, Leipzig Ambros., De Obit.Theodos. = Faller, O. (ed.) 1955: Ambrosius, De obitu Theodosii; in: Explanatio symboli – De sacramentis – De Mysteriis – De paenitentia – De excessu fratris – De obitu Valentiniani – De obitu Theodosii, Vindobonae Ambros., Hex. = Schenkl, C. (ed.) 1896: Ambrosius, Hexameron, in: Hexameron – De paradiso – De Cain et Abel – De Noe – De Abraham – De Isaac – De bono mortis, Vindobonae Amm.Marcell. = Gardthausen, V. (ed.) 1874: Ammianus Marcellinus, Rerum gestarum libri qui supersunt, Leipzig Anderson, A. R. 1932: Alexander’s Gate, Gog and Magog, and the Inclosed Nations, Cambridge Mass., 1932 Aristot. Fr. = Ross, W. D. 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