Eurasia Dinamica

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Eurasia dinamica: convergenze e rischi
Il Mar Nero tra ambizioni neo-ottomane ed espansionismo russo
“Integrazione e sviluppo sostenibile nella regione del Mar Nero” sarà il primo congresso
internazionale nel suo genere. L’appuntamento è a breve, dal 4 al 6 dicembre presso il Marina
Cape Vacation Complex di Burgas, nota località turistica della costa bulgara. Nel presentare
l’evento ( www.congress.blacksea-online.org ) si fa notare che, a sentire gli esperti, l’area in
questione è una delle più promettenti al mondo per vari motivi, a cominciare dalle risorse
naturali. Si rimarca che per di là passano e si incrociano i principali oleodotti e gasdotti, quelli
già in funzione e gli altri che saranno costruiti: prospettive dunque di crescita del potenziale
economico e degli investimenti. Certo non è solo ora che si dà tanta attenzione a questo mare:
già millenni addietro, quando lo chiamavano Ponto Eusino, era al centro di dibattiti e accordi
internazionali. Magari non si parlava di gas e petrolio.
A promuovere il consesso è l’omonima organizzazione, i cui protagonisti sono Armenia,
Azerbaijan, Romania, Moldavia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Georgia, Russia e Ucraina. Ognuno
di questi Paesi ha delle caratteristiche notevoli, oltre a conflitti più o meno gravi in corso. Alcuni
di loro però potrebbero essere osservati come una sorta di epicentro dal quale hanno origine
dinamiche a lungo e ampio raggio. Tra questi ci sono senz’altro la Russia e la Turchia.
Un’occhiata a quest’ultima. A metà settembre scorso, Istanbul ha ospitato un summit riservato
ai leader degli Stati turcofoni ovvero i numeri uno dell’Asia Centrale, quest’altra preziosa e
promettente regione del mondo. Un vertice che è servito a dare vita ad un Consiglio per la
cooperazione dei Paesi turcofoni: fucina di proposte concrete per migliorare i rapporti e gli affari
tra genti che hanno storia e cultura comuni. Luogo di incontro delle prossime sessioni, sarà là
dove il Consiglio è stato creato: Istanbul. L’idea circolava nei salotti d’Eurasia dal 2006,
concepita e proposta dal presidente kazako Nursultan Nazarbaev. Il capo di Stato turco
Abdullah Gül, in quella occasione, facendo gli onori di casa agli ospiti, aveva detto che “il
lavoro iniziato al forum sarà un’eredità per le generazioni future”. Il riferimento era a quelle che
discendono dai popoli turchi, che secondo alcune organizzazioni politiche anatoliche, sono stati
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divisi e sottomessi dall’imperialismo russo (nel Caucaso e nell’Asia Centrale), quello degli zar
per primo, poi dei leader sovietici e dei protagonisti di oggi del Cremlino: Vladimir Putin e Dmitrij
Medvedev.
Quello di un risorgimento dei turchi, il turanismo, non è un mito contemplato solo da certi partiti
nazionalisti: c’è il Milliyetçi Hareket Partisi (www.mhp.org.tr), al terzo posto nel Parlamento di
Ankara, o l’Ulusal Parti (
www.ulusalparti.org.tr), di recente costituzione, che
non ha seggi, ma conta di conquistarne alle prossime elezioni, nella primavera-estate del 2011.
Un’unione più o meno serrata e una rinascita dei popoli turchi è un’idea che promuove anche il
partito al governo dal 2002, il filo-islamico Adalet ve Kalkınma Partisi (
www.akparti.org.tr
), il cui leader è il premier
Recep Tayyip Erdoğan: lui e il presidente
Gül lo hanno fondato insieme nel 2001.
Ora, direttrice panturchista a parte, possiamo seguire i passi di Ankara anche in un altro
contesto dove è protagonista: il Developing 8 o D-8 (
www.developi
ng8.org
).
Nata nel 1997, ancora una volta ad Istanbul, dove ha tuttora sede, si tratta di un’alleanza
finalizzata allo sviluppo socio-economico dei Paesi membri, alla cooperazione tra economie
emergenti che cercano di farsi spazio nei mercati mondiali. Oltre alla Turchia, sono soci del club
Iran, Pakistan, Nigeria, Egitto, Bangladesh, Indonesia e Malaysia. Un particolare: sono tutti Stati
a maggioranza musulmana e certo non è un caso. Alcuni di loro li ritroviamo in altri specifici
consessi internazionali.
A dare una mano alle ambizioni neo-ottomane, così qualcuno le chiama, della Turchia di Erdoğ
an, ci sarebbe, in molti lo credono, un personaggio e il suo movimento: si tratta di
Fethullah Gülen (
www.
fgulen.com
), da diversi anni residente negli Stati Uniti.
Lui e quelli che contribuiscono al suo disegno, sarebbero impegnati in un’opera di
islamizzazione pacifica, soprattutto attraverso l’apertura di scuole ad hoc. Ce ne sono in tutto il
mondo.
Ora veniamo alla Russia. Mosca ha un sogno: l’Eurasia, quella che è stata riproposta dal
filosofo Aleksandr Dugin ( www.evrazia.org ), ma che ha oltre un secolo di vita ideologica. Dalla
dissoluzione dell’Unione sovietica, per ragioni di strategia energetica e militare, il Cremlino è
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stato tra i principali promotori di una serie di istituzioni, che mirano a questo obiettivo. C’è la
Comunità degli Stati indipendenti (
www.cis.minsk.b
y
),
l’Organizzazione di Shangai per la cooperazione (
www.sectsco.org
), l’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (
www.dkg.gov.ru
), la Comunità economica eurasiatica (
www.evrazes.com
), l’Unione doganale di Russia, Bielorussia e Kazakhstan. Queste le principali realtà operative
nello spazio post-sovietico e dintorni. Per Mosca strumenti di influenza verso l’interno, nelle
aree del Mar Nero, Mar Caspio e Asia Centrale, e verso l’esterno, per evitare il più possibile
intrusioni che mirano a scardinare un sistema consono agli interessi del Cremlino. Terreno di
battaglia preferito è proprio l’Asia Centrale: Russia, Cina e Stati Uniti la contendono. Il
Kirghizistan, per esempio, è l’emblema della difficile convivenza tra poteri contrapposti. C’è chi
giudica un paradosso la presenza di una base militare russa, a Kant, e di una nordamericana, a
Manas, fondamentale per le operazioni in Afghanistan: entrambe non lontane dalla capitale
Bishkek. Tanto che si è sospettato un legame tra il colpo di Stato dello scorso aprile e le
vicende delle basi.
Ogni tanto ci sono notizie che sembrano però smentire le tensioni nella regione, almeno
apparentemente. Qualche settimana fa, funzionari dell’amministrazione presidenziale kirghiza,
hanno detto di avere in agenda la creazione di una joint venture con la Russia, per fornire
carburante alla base statunitense: un modo per rompere con i vecchi sistemi corrotti e creare
una nuova area di cooperazione multilaterale. L’ipotesi a Washington è piaciuta, ora spetta al
Congresso decidere per passare alla fase operativa. Bisognerà poi vedere, dopo le elezioni
legislative di ottobre, come si porrà, dopo i primi assestamenti, il nuovo esecutivo di Bishkek
rispetto alle ambizioni strategiche e militari di Cremlino e Casa Bianca.
Considerate a grandi linee alcune dinamiche in corso, ci si può aspettare che prima o poi,
convergendo nella regione centroasiatica, i russi intralceranno la strada ai turchi o viceversa.
Non per forza sarà un impatto immediatamente traumatico. Magari non avrà neanche l’aspetto
di un conflitto tradizionale. In parte dipenderà anche da altri attori, quelli del fronte orientale: la
Cina e l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico ( www.aseansec.org ), legate dal 2003
da un partenariato strategico per la pace e la prosperità. Nell’Asean ci sono Indonesia e
Malaysia, presenti anche nel D-8, dove membri come l’Iran e il Pakistan hanno lo status di
osservatori nel Gruppo di Shangai, di cui protagoniste sono Russia e Cina. Entrambe, la
seconda soprattutto,
hanno al proprio interno fattori di vulnerabilità sui quale la Turchia, in alcuni casi apertamente, in
altri per vie secondarie, fa pressione. Pechino, per dirne una, deve fare attenzione al Xinjiang o
Türkistan orientale oppure Uyghuristan: il drappo nazionale, con la stella e la mezza luna su
sfondo azzurro, si vede sventolare in varie occasioni nelle piazze di Turchia, la cui bandiera è
identica, ma con lo sfondo rosso. Niente di serio, indice però di un chiaro sentimento. In quanto
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a Mosca ha tutto il Caucaso settentrionale a rischio: Daghestan, Adighezia, Kabardino-Balkaria,
Karačaj-Circassia, Cecenia ecc. A proposito. In Anatolia è diffusa l’opinione che il Cremlino
laggiù non combatteva i separatisti-terroristi, ma opprimeva con la forza i militanti di un
movimento di liberazione nazionale, vicini per cultura e origini al popolo turco. Un pericolo c’è
anche per Russia e Cina, è la sproporzione demografica. Da una parte un territorio immenso
con circa 145 milioni di abitanti, dall’altra quasi un miliardo e mezzo di persone che ha bisogno
di “spazio vitale”.
Tutte queste concatenazioni, saldate dall’appartenenza e dal ruolo ricoperto singolarmente in
una o più imponenti strutture regionali economiche, politiche e militari, possono essere usate
dall’interno, dai componenti di una delle organizzazioni sopra citate, come strumento di
influenza in base alle caratteristiche stesse dell’organizzazione. Oppure dall’esterno, per creare
una sorta di effetto domino, per cui, colpito un elemento, cadono gli altri. Si tratta di capire come
muovere le leve per far funzionare l’ingranaggio o di trovare gli anelli deboli per spezzare la
catena. Pietro Fiocchi (Area – Novembre 2010) 4/4