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Bollettino informatico del “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA” Settembre 2005, Anno I, Numero 1 SPECIALE: L’EURASIATISMO EDITORIALE (di Daniele Scalea) SPECIALE: I FONDAMENTI DELL’EURASIA Pag.2: Le tappe del pensiero eurasiatista (di Claudio Mutti) Pag.5: Biografia di Aleksandr Dugin (di Daniele Scalea) Pag.7: Movimento Internazionale Eurasiatista Pag.8: L’idea eurasiatista (di Aleksandr Dugin) Pag.13: Eurasia, rivista di studi geopolitici - presentazione ARTICOLI: Pag.14: Attacco all’Europa? (di Daniele Scalea) Pag.15: Kirghizistan, è solo l’inizio (di Aleksej Makarkin) Pag.16: Khodorkovskij story (di Maurizio Blondet) “Gli eurasiatisti credono che ogni popolo al mondo - da quelli che hanno edificato grandi civilità fino ai più piccoli, gelosamente custodi delle loro tradizioni - sia un valore inestimabile. La loro assimilazione ad influenze esterne, la perdita del linguaggio o dello stile di vita tradizionale, e l’estinzione fisica di uno qualunque dei popoli presenti sulla Terra è una perdita irreparabile per l’umanità tutta. Gli eurasiatisti chiamano la profusione di popoli, culture e tradizioni, la “fiorente complessità”, segno d’armonico e salutare sviluppo della civiltà umana”. (A.G.Dugin) Pag.18: Falsa guerra contro il terrore e vera guerra globale (di Yves Bataille) NOTIZIE DAL MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA Pag.20: “Gloria alla Grande Ucraina, componente d’Eurasia” (di Luca Bionda) IN MEMORIAM Pag.21: D. Kalajic, Metropolit Andrian LIBRI E RIVISTE - RECENSIONI Pag.22: “Eurasia, la rivoluzione conservatrice in Russia (A.Dugin)” (di Rodolfo Monacelli) Pag.23: “Continente Russia (A.Dugin)” (di Daniele Scalea) COMUNICATI C.P.E. Pag.24: Gli attentati di Londra (di Stefano Vernole) NOTIZIE - APPUNTAMENTI Pag.24: Conferenza Internazionale a sostegno della Resistenza irachena Vietato ogni sfruttamento commerciale del presente bollettino. Permessa (ed incoraggiata!) la diffusione gratuita CONTINENTE EURASIA Scrivi a “Continente Eurasia”: [email protected] Visita il nostro sito in rete: http://www.continente.altervista.org Per ricevere ogni mese Continente Eurasia direttamente nella tua casella di posta elettronica, invia un messaggio in bianco a: [email protected] EDITORIALE E' passato oltre un anno e mezzo da quando, affascinato dalle idee eurasiatiste, diedi vita alla rivista telematica "La Nazione Eurasia", che molto probabilmente è nota alla maggior parte dei lettori di queste pagine. L'idea eurasiatica, che mi ha guidato in quei diciotto mesi circa, è un'idea di pace, fratellanza e solidarietà tra i popoli; è l'idea d'un mondo dove ogni nazione possa decidere autonomamente del proprio destino, dove la sopravvivenza d'ogni cultura, tradizione e religione, anche le più minute, siano impegno di tutte le genti. E', naturalmente, anche l'idea che il continente eurasiatico, perno della storia mondiale, dietro alle differenze geografiche, etniche, culturali, confessionali, nasconda in realtà un'intima "unità spirituale" (secondo le parole di Giuseppe Tucci) che, rimanendo sempre presente nelle menti delle sue future generazioni, potrebbe evitare i tragici errori che hanno portato, in quest'epoca, la federazione nordamericana e gli altri paesi anglosassoni a minacciare la libertà e l'esistenza stessa di tutto il resto del mondo! Un'idea che non si ferma al mero piano filosofico, ma trova un'espressione pratica e concreta in campo geopolitico, dove propone soluzioni tangibili e realizzabili. Ma i contenuti di quest'idea ci sarà tempo di descriverli, svilupparli e idearli - anche sulle pagine di "Continente Eurasia". Questa rivista s'inserisce chiaramente nel solco già tracciato da "La Nazione Eurasia", ma con l'intenzione di correggere tutti gli errori e le storture di quella, e di garantirsi un successo ancora maggiore: questo è il proposito dei nuovi redattori che si sono stoicamente assunti l'onere di portare avanti tale progetto. "Continente Eurasia", a pari della predecessore, rientra nel contesto del Coordinamento Progetto Eurasia, l'organizzazione italiana affiliata al Movimento Eurasiatista Internazionale che s'occupa di diffondere, discutere, sviluppare e implementare l'idea eurasiatista sotto tutti i suoi aspetti, e in tutti gli ambiti possibili. La speranza mia e dei redattori di "Continente Eurasia", è che gli sforzi in tal senso compiuti dalla presente rivista possano ottenere il riconoscimento e il gradimento del pubblico: che - ne sono certo - i suoi autori sapranno meritarsi ampiamente. “Continente Eurasia” nasce con il primo numero affrontando in modo particolare la presentazione dell’Eurasiatismo e dei suoi teorici e studiosi fondamentali, attraverso una serie di documenti che costituiscono l’inserto “speciale” nella prima parte della pubblicazione. Questo primo numero di Continente Eurasia è dedicato alla memoria di Dragos Kalajic (scrittore ed eurasiatista serbo) e del Metropolita Andrian (autorità religiosa, capo della Chiesa Ortodossa Russa e membro dell’Alto consiglio del Movimento Internazionale Eurasiatista), scomparsi nei mesi di luglio e agosto di quest’anno. Daniele Scalea “LISTA EURASIA” - lista di discussione; per iscriversi, inviare un messaggio a: [email protected] Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 1 SPECIALE: I FONDAMENTI DELL’EURASIA Le tappe del pensiero eurasiatista di Claudio Mutti 1. Konstantin Leont’ev Chi si occupi dello sviluppo storico del pensiero eurasiatista non può ignorare Konstantin Leont’ev, il cui capolavoro, Vizantinism i slavjanstvo (trad. it. Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del Veltro 1987), può ben rappresentare la fase preliminare di tale indirizzo di pensiero. Infatti quest’opera, in cui viene esposta una concezione morfologistica della storia che ricorda Ibn Khaldun e preannuncia Toynbee, vide la luce nel 1875, quarant’anni prima dello spengleriano Untergang des Abendlandes. Prima che Spengler opponesse la concezione di una molteplicità di cicli di civiltà alla boriosa rappresentazione eurocentrista, già Leont’ev aveva dunque osservato la nascita e il tramonto delle varie forme storico-culturali, fino a convincersi dell’imminente estinzione della civiltà “occidentale” per effetto di un inevitabile processo degenerativo. Prima che Spengler, ripudiando l’eurocentrismo e reintegrando nei loro diritti le culture extraeuropee, facesse piazza pulita di quello che René Guénon avrebbe di lì a poco chiamato “il pregiudizio classico”, Konstantin Leont’ev considerava la civiltà dell’antica Persia in maniera ben diversa da come veniva insegnata nelle scuole russe (e non solo russe) del sec. XIX, all’insegna di una retorica della “libertà” che ai “barbari dell’Oriente” ha riservato solo incomprensione e disprezzo. Ma una differenza rilevante fra Spengler e Leont’ev risiede nella valutazione di una civiltà che per lo studioso russo costituisce un oggetto d’indagine privilegiato: quella bizantina. È stato giustamente notato che “la scienza storica europea ha per secoli considerato Bisanzio null’altro che una inoriginale e sterile sopravvivenza del mondo greco-latino, asservita per di più (peccato capitale agli occhi di uno storico liberale) ad un ‘retrivo’ ideale religioso e monarchico. Generazioni di studiosi e di lettori occidentali hanno incessantemente tramandato una quantità di pregiudizi su Bisanzio, che, non somigliante né alla civiltà classica né all’Europa moderna, si sarebbe distinta solo per bigottismo, crudeltà e ristrettezza spirituale” (1). Lo stesso Spengler, se da un lato fa rientrare il mondo bizantino nell’”estate” di quella Kultur che egli, con un caratteristico termine del suo vocabolario, chiama “araba”, dall’altro vede nel “bizantinismo” un fenomeno di Zivilisation, cioè di rinsecchimento e di irrigidimento culturale. Leont’ev invece, che riprende la sistemazione tipologica delle civiltà fatta da Danilevskij, aggiunge ai dieci cicli storico-culturali compresi in tale sistemazione un undicesimo ciclo: quello bizantino, per l’appunto, inteso come “particolare ed autonomo tipo culturale avente propri caratteri distintivi e propri princìpi generali” (2). Il bizantinismo, per Leont’ev, non è semplicemente un ciclo storico: è un’idea-forza, un principio universale, l’unico in grado di modellare e organizzare l’elemento “demotico” dell’area geografica sottoposta alla sua giurisdizione, intervenendo su di esso così come la forma agisce sulla materia. A questo proposito, Nikolaj Berdjaev ha notato che, nella visione di Leont’ev, “la verità e la bellezza del popolo russo non si manifestavano nel genio delle masse, bensì nelle discipline bizantine che organizzano e plasmano questo genio a loro propria immagine” (3). L’elemento popolare, comunque, si presta assai meglio di quello borghese a recepire l’azione formatrice dell’idea bizantina: “Un mugico – dice Berdjaev parlando di Leont’ev – egli era pronto a idealizzarlo, se non altro perché era il contrario di un piccolo borghese (…) Nei Balcani, in Turchia, in Russia, l’aspetto pittoresco e popolare della vita attirava la sua attenzione (…) Vede nella comunità rurale un principio idoneo a prevenire la minaccia del proletariato” (4). Lo stesso Leont’ev confessa: “Il popolo e la nobiltà, i due estremi, mi sono sempre piaciuti più del ceto medio dei professori e degli scrittori che ero costretto a frequentare a Mosca” (5). Nazionalismo e panslavismo, dunque, non possono riscuotere le sue simpatie, perché si tratta di aspetti di “quel processo di democratizzazione liberale che già da molto tempo lavora per la distruzione dei grandi mondi culturali dell’Occidente. Eguaglianza di persone, eguaglianza di classi, eguaglianza (cioè uniformità) di province e di nazioni: si tratta sempre dello stesso processo” (6). All’idea di nazione, Leont’ev contrappone l’idea di comunità spirituale, sostenendone la superiorità in termini provocatori: “il vescovo ortodosso più crudele, anzi, il più vizioso (a qualunque razza appartenga, anche se è solo un mongolo battezzato) dovrebbe ai nostri occhi avere maggior pregio di venti demagoghi e progressisti slavi” (7). Il panslavismo, anche quando fa strumentalmente appello alla solidarietà dei cristiani contro il “giogo turco”, secondo lui non è altro che un veicolo della mentalità antitradizionale e sovversiva proveniente dall’Europa moderna. Contro questo assalto disgregatore, Leont’ev indica come soluzione la doppia barriera rappresentata dall’Ortodossia e dall’Islam. “Leont’ev non era uno slavofilo, ma un turcofilo” (8), dice Berdjaev, il quale riferisce con malcelata indignazione che per lui “il giogo dei Turchi impediva ai popoli balcanici di sprofondare definitivamente nell’abisso del progresso democratico europeo. Leont’ev considerava quel giogo come salutare, perché favoriva il mantenimento dell’antica Ortodossia in Oriente” (9). Prosegue Berdjaev con la medesima indignazione: “Fa appello alla violenza dei Tedeschi contro i Cechi così come si augura quella dei Turchi contro gli Slavi dei Balcani: affinché il mondo slavo non si imborghesisca per sempre. Non desiderava la liberazione dei cristiani, ma la loro schiavitù, la loro oppressione” (10). E ancora: “Vede nell’idea di cacciare i Turchi un’idea né russa né slava, ma un’idea democratica e liberale” (11); “credeva che Costantinopoli non potesse essere se non russa o turca; ma, se fosse caduta in mano agli Slavi, sarebbe diventata una centrale rivoluzionaria” (12). In effetti, è lo stesso Leont’ev a scrivere di aver capito, durante la sua permanenza in Turchia in qualità di diplomatico dello Zar, che, “se molti elementi slavi e ortodossi sono ancora vivi in Oriente, è ai Turchi che ne siamo debitori” (13). Tra le civiltà tradizionali, solo quella islamica e quella ortodossa, secondo Leont’ev, hanno un avvenire. La Russia, in particolare, ha il compito di salvare la vecchia Europa, ormai esausta; ma, per potere svolgere questa funzione, la Russia deve tornare all’idea bizantina e unirsi “con popoli asiatici e di Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 2 religione non cristiana (…) per il semplice fatto che tra di loro non è ancora irrimediabilmente penetrato lo spirito dell’Europa moderna” (14). 2. Gli eurasiatisti degli anni Venti Karl Radek, il “grande architetto del riavvicinamento tra sovietici e nazisti” (15), che nel celebre discorso del 20 giugno 1923 fece del giovane caduto nazionalista Leo Schlageter “addirittura un eroe” (16), nel 1920 a Bakù aveva già dato una prima dimostrazione di spregiudicatezza, evocando lo spettro di Gengis Khan davanti al Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente. “Compagni, - aveva detto il rappresentante del Comintern - noi facciamo appello allo spirito combattivo che in passato ha animato le genti dell’Oriente quando, guidate da grandi conquistatori, marciarono sull’Europa… Noi sappiamo, compagni, che i nostri nemici ci accuseranno di aver evocato la memoria di Gengis Khan, il grande conquistatore, e dei grandi califfi dell’Islam… E quando i capitalisti europei affermano che questa è la minaccia di una nuova barbarie, di una nuova invasione unna, noi rispondiamo loro: Viva l’Oriente Rosso!” (17). A quanto pare, Radek non teneva in gran conto le tesi dell’occidentalista e russofobo Karl Marx (18), il quale aveva indicato nell’influsso mongolo-tartaro la causa essenziale dell’arretratezza della Russia: “Nel fango insanguinato della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza dell’epoca normanna – aveva infatti scritto Marx - è nata quella Moscovia di cui la Russia moderna altro non è che una metamorfosi” (19). Paradossalmente, il discorso di Radek ebbe un’eco nelle parole pronunciate l’anno successivo dal barone Roman Fëdorovic von Ungern Sternberg: “Le tribù dei successori di Gengiskan si son deste. Nessuno estinguerà il fuoco nel cuore dei Mongoli! Vi sarà un grande stato nell’Asia, dall’Oceano Pacifico e dall’Oceano Indiano alle rive del Volga (…) Verrà un conquistatore, un capo, più forte e più deciso di Gengiskan e di Ugadai, più abile e più buono del sultano Baber” (20). “Personaggio totemico della rinascita eurasista” (21), Ungern Khan riunì nella propria persona “le forze segrete che avevano animato le forme supreme della sacralità continentale: gli echi dell’alleanza tra Goti e Unni, la fedeltà russa alla tradizione orientale, il significato geopolitico della Mongolia, patria di Gengis Khan” (22). Così si esprime Aleksandr Dugin, il più noto tra gli attuali esponenti di quel pensiero eurasiatista che ebbe i suoi padri fondatori in Nikolaj S. Trubeckoj (1890-1938), Georgij V. Vernadskij (1887-1973) e Pëtr N. Savickij (1895-1965). Il principe Nikolaj Sergeevič Trubeckoj nacque a Mosca il 16 aprile 1890. Allievo fin dall’adolescenza del folclorista, indoeuropeista e caucasologo Vsevolod F. Miller, si iscrisse nel 1908 alla Facoltà di storia e filologia di Mosca, dove studiò inizialmente etnopsicologia e filosofia della storia, per passare poi al dipartimento di filologia e interessarsi soprattutto di lingue indoeuropee e caucasiche. Già a quindici anni, d’altronde, il principe Nikolaj Sergeevič aveva dedicato al canto finnico Kulto neito un articolo che fu il suo primo contributo alla prestigiosa rivista “Etnologičeskoe obozrenie”. Ricevuto l’incarico universitario nel 1915, tenne un corso sulla linguistica comparata. Nell’estate del 1917 partì per Kislovodsk, nel Caucaso. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre si trasferì a Tiflis, poi a Bakù e infine a Rostov sul Don, dove insegnò grammatica comparata. Nel 1920, in seguito all’ingresso dell’Armata Rossa, si rifugiò in Crimea e poi a Istanbul. Tra il 1920 e il 1922 insegnò filologia indoeuropea a Sofia. Infine si stabilì a Vienna, dove fu docente di filologia slava fino alla morte, intervenuta il 25 giugno 1938 per una malattia cardiaca congenita. Non è questa la sede idonea per esporre i principi della “nuova fonologia”, la dottrina linguistica elaborata da Trubeckoj e dagli altri studiosi del Circolo di Praga (23); quello che qui interessa è il Trubeckoj filosofo della storia e teorico dell’eurasiatismo. Trubeckoj aveva già elaborato le basi del suo pensiero eurasiatista con il saggio Evropa i čelovečestvo [L’Europa e l’umanità] (24), che apparve a Sofia nel 1920, dopo che lo storico Georgij Vernadskij e il geografo ed economista Pëtr Savickij avevano già pubblicato, prima della guerra, “degli studi che si possono considerare proto-eurasisti” (25). Trubeckoj, Vernadskij e Savickij avevano insomma gettato le basi di una nuova visione della Russia, intesa come espressione della “civiltà delle steppe”, erede degli imperi di Gengis Khan e di Tamerlano. “Particolarmente significativa è la loro valutazione positiva – inconsueta nella cultura russa – dell’influsso tataro sulla Russia” (26). Savickij, in particolare, arriverà ad affermare che “senza tatari non ci sarebbe stata la Russia” (27). Ma il vero e proprio “manifesto” dell’eurasiatismo fu Ischod k Vostoku [La via d’uscita ad Oriente], pubblicato a Sofia nel 1921 da una casa editrice russobulgara. Si trattava di un volume collettaneo, del quale erano autori, oltre a Savickij e Trubeckoj, il musicologo Pëtr Suvčinskij (1892-1985) e il teologo Georgij V. Florovskij (1893-1973). Nikolaj S. Trubeckoj, in particolare, contribuiva al volume con due saggi: Ob istinnom i ložnom nacionalizme [Sul vero e sul falso nazionalismo] e Verchi i nizy russkoj kul’tury [Il vertice e la base della cultura russa]. Tutti gli autori esprimevano l’idea fondamentale secondo cui i popoli della Russia e delle regioni ad essa adiacenti in Europa ed in Asia formano una unità naturale, in quanto sono legati tra loro da affinità storiche e culturali. La cultura russa veniva dunque vista non come una variante di quella “occidentale”, ma come una realtà a sé stante. Fondata sull’eredità greco-bizantina e sulla conquista mongola e dunque identificabile come “eurasiatica”, secondo gli autori questa realtà culturale era stata negata non solo dalle riforme di Pietro il Grande e dalla classe politica che aveva in seguito governato la Russia, ma anche dalla corrente slavofila, che Trubeckoj accusava di voler imitare l’Occidente. Quanto alla Rivoluzione bolscevica, gli eurasiatisti la valutavano negativamente, ma si proponevano di studiarne il significato nel contesto della storia russa; Savickij, in particolare, vedeva nella Rivoluzione d’Ottobre uno sviluppo di quella francese, ma osservava che essa veniva a spostare verso l’Oriente l’asse della storia universale. “Per gli eurasiatisti, insomma, la Rivoluzione dell’ottobre 1917 è una purificazione, un rinnovamento, una resurrezione del vero spirito delle steppe tipico della cultura russa, nonché il punto di partenza per il processo di rinvigorimento della potenza dell’Eurasia” (28). L’unità dell’Eurasia costituisce il tema centrale dello studio L’eredità di Gengis Khan, che Trubeckoj, firmandosi con lo pseudonimo “I. R.”, pubblicò nel 1925. “L’Eurasia tutta – egli scrive – (…) rappresenta una totalità unica, sia geografica sia antropologica. (…) Per la sua stessa natura, l’Eurasia è storicamente destinata a costituire una totalità unica. (…) L’unificazione storica dell’Eurasia fu, fin dall’inizio, una necessità storica. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 3 Contemporaneamente, la natura stessa dell’Eurasia ha indicato i mezzi di questa unificazione”. L’indagine di Trubeckoj, la quale intende porre in evidenza lo stretto rapporto che intercorre tra l’autentica cultura russa e l’elemento turco-mongolo, si riporta ad un preciso evento storico: l’unificazione del grande spazio eurasiatico ad opera di Gengis Khan e dei suoi successori. Tale impresa fu sviluppata da tre sovrani che succedettero a Gengis Khan: Ögödai (1229-1241), Güyük (1246-1248) e Mönkä (1251-1259), finché l’unità mongola si sfasciò all’epoca di Qūbilāi (1260-1294). Ultimo sovrano universale dei Mongoli, Qūbilāi portò i Mongoli fino a Giava: soggiogatore della Cina, diventò il primo imperatore di una nuova dinastia cinese, quella degli Yüan. Per restare alla Russia, fu nel 1223 che le avanguardie mongole sconfissero sulle rive del fiume Kalka le schiere russe e cumane, per poi tornare sulle steppe da cui erano venute. L’immediato successore di Gengis Khan, Ögödai, travolse il khanato bulgaro della Volga; poi espugnò Rjazan’, Suzdal’ e Kiev, sottomettendo tutti i principati russi. Il nipote di Gengis Khan, Batu, fondò la dinastia dell’Orda d’Oro, che aveva la sua capitale a Saraj sulla Volga; nella Russia meridionale e nell’Asia centrale l’Orda d’Oro regnò su un vasto stato e dominò per oltre due secoli la vita politica ed economica russa: dal 1240 al 1480 anche i ducati cristiani della Russia di nordest furono tributari di questa dinastia mongola (o “tatara”, come la chiamarono i Russi). “Se la drammaticità della conquista mongola non può essere messa in discussione, le sue conseguenze sulla successiva storia russa sono state interpretate nella maniera più varia e contrastante. In Occidente l’influsso tataro, o mongolo che dir si voglia, è stato quasi sempre valutato negativamente, come la causa principale dell’arretratezza e del dispotismo dello stato russo rispetto all’Europa. (…) Già nello scorso secolo, tuttavia, all’interno della storiografia russa si è affermata una diversa e più positiva concezione del dominio tataro. Secondo Solov’ëv e Kljucevskij, i tatari non solo non avrebbero spezzato la continuità dell’evoluzione storica della Russia, ma l’avrebbero dotata di quella forte organizzazione statale che tanto era mancata nell’epoca kieviana” (29). Trubeckoj e gli altri eurasiatisti ripresero e svilupparono questa valutazione. 3. Lev Gumilëv Lev Nikolaevič Gumilëv nacque il 1 ottobre 1912 a San Pietroburgo da un celebre poeta (Nikolaj Stepanovič Gumilëv, fondatore del movimento “acmeista”, fucilato nel 1921) e da un’ancor più celebre poetessa, Anna Achmatova. Terminati gli studi nel 1930, fu respinto dall’università a causa delle sue origini familiari, sicché dovette guadagnarsi da vivere come operaio. Nel Pamir, dove lavorò come aiutante scientifico, imparò il tagico e il kirghiso, frequentò sufi e dervisci erranti. Ammesso nel 1934 alla facoltà di orientalistica di Leningrado, fu arrestato per la prima volta nel 1935. Tre anni dopo venne arrestato di nuovo, quindi ricevette una condanna alla fucilazione che fu commutata nei lavori forzati. Nel 1944 gli fu concesso di arruolarsi come volontario in un battaglione di punizione che prese parte all’assedio di Berlino. Riammesso all’università nel 1945, l’anno successivo discute la tesi di laurea, sulla storia politica del primo khanato turco (546-659). Depennato dall’organico delle spedizioni archeologiche per effetto del rapporto di Zdanov sull’ideologia dell’arte, viene assunto come bibliotecario presso l’ospedale psichiatrico di Leningrado. Nella primavera del 1948 partecipa alla spedizione archeologica nell’Altai, che porta alla luce il tumulo d’oro di Pazyryk. “Già la sola partecipazione di Gumilëv alla scoperta del tumulo gli varrebbe di diritto la fama mondiale. L’arte scito-siberiana in stile zoomorfo sarebbe divenuta un tema universalmente noto e popolarissimo” (30). Nel 1948 è arrestato per la terza volta e condannato a dieci anni di campo di confino speciale, per attività controrivoluzionaria; nel 1956 viene rilasciato e riabilitato perché il fatto non sussiste. Tornato a Leningrado, lavora alla biblioteca dell’Ermitage e intanto porta a termine la tesi di dottorato, sugli antichi Turchi. Assunto all’Istituto Nazionale di Ricerca dell’Università leningradese, vi lavora come collaboratore scientifico fino al 1986. “Nei suoi ultimi anni di vita, che coincisero con quelli dell’Urss, il ruolo di Gumilëv nella rinascita della concezione eurasista fu immenso. I suoi volumi vennero pubblicati in rapida sequenza e con tirature altissime, ed egli acquisì una vasta fama all’interno della cultura e della società russa. (…) La delusione per la dissoluzione dell’Urss nel 1991 ebbe un effetto disastroso sul morale di Gumilëv, che morì l’anno successivo. Ormai, però, l’imponente successo delle sue opere aveva contribuito in maniera decisiva alla rinascita dell’eurasismo, divenuto rapidamente un tema di forte interesse all’interno della cultura russa e di alcune delle nuove repubbliche indipendenti” (31). In Italia, la notizia della morte dello studioso eurasiatista, avvenuta il 16 giugno 1992, apparve con due settimane di ritardo (il 2 luglio) sulla “Stampa” di Torino, che pubblicò un articolo di Lia Wainstein intitolato: Figlio della Achmatova, profeta antisemita. Sottotitolo: Il suo ideale: i Mongoli, perché “evitano contatti con gli Ebrei”. L’autrice dell’articolo interpretava il pensiero di Gumilëv come una manifestazione di “delirio antioccidentale”: ché altrimenti non si spiegherebbe, secondo lei, la “rivalutazione positiva del ruolo avuto dai popoli mongoli e turchi nella storia russa”. Secondo i moduli triti e ritriti del razzismo russofobico, la Wainstein, mentre si guardava bene dal citare l’unico libro di Gumilëv tradotto in italiano (32), riproponeva i luoghi comuni del “selvaggiume orientale” e del “dispotismo asiatico” e rintracciava nell’opera dello studioso una miscela di “amore per la frusta mongola” e di “patriottismo xenofobo e antioccidentale”. Alle reazioni irrazionali e scomposte di certa intelligencija occidentalista si contrappongono la stima e la riconoscenza che i popoli turanici dell’ex URSS hanno manifestato nei riguardi di Gumilëv, la cui produzione scientifica, “una vera e propria enciclopedia della steppa” (33), ha fatto piazza pulita dei pregiudizi turcofobi e antimongoli, mostrando il contributo apportato alla storia dell’Eurasia dagli imperi di Attila, di Gengis Khan e di Tamerlano. Un fatto significativo, a tale proposito, è che ad Astana, capitale del Kazakistan, è stata intitolata a Lev N. Gumilëv la locale Università Eurasiatica. Nella vastissima produzione scientifica di Gumilëv (34) non si trovano testi specificamente geopolitici, anche se la teoria gumileviana dell’etnogenesi e della ciclicità della vita dell’ethnos si colloca sulla scia delle elaborazioni di Ratzel, Kjellén e Haushofer. L’eurasiatismo di Gumilëv consiste in una visione della storia in cui viene messo in primo piano il mondo multiforme dell’Oriente eurasiatico, concepito non più come “periferia” più o meno “barbara” contrapposta alla vera civiltà (occidentale), bensì come Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 4 un’autonoma realtà culturale, con un suo proprio sviluppo politico e scientifico. Lo stesso Gumilëv non si sottrasse alla definizione di “eurasiatista”, anzi, la accettò con legittimo orgoglio. In un’intervista rilasciata nel 1992, poco tempo prima di morire, dichiarò: “Quando mi chiamano eurasiatista, io non rifiuto questa definizione, e per diverse ragioni. Innanzitutto, l’eurasiatismo è stato una grande scuola storica, sicché posso solo sentirmi onorato se qualcuno mi assegna a tale scuola. In secondo luogo, ho studiato a fondo l’opera degli eurasiatisti. Terzo, concordo fondamentalmente con le principali conclusioni storicometodologiche alle quali gli eurasiatisti sono pervenuti”. 1. Aldo Ferrari, La Terza Roma, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1986, p. 36. 2. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. I. 3. Nicolas Berdiaeff, Constantin Leontieff, Parigi 1926, p. 244. 4. Ivi, p. 243. 5. Ivi, p. 45. 6. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. II. 7. N. Berdiaeff, op. cit., p. 251. 8. Ivi, pp. 251-252. 9. Ivi, pp. 85-86. 10. Ivi, p. 90. 11. Ivi, p. 250. 12. Ivi, p. 251. 13. Ivi, p. 250. 14. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. V. 15. Mikhail Agursky, La terza Roma. Il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica, Il Mulino, Bologna 1989, p. 367. 16. Arthur Moeller van den Bruck, Il vagabondo del nulla, in: Victor Serge, Germania 1923. La mancata rivoluzione, Graphos, Genova 2003, p. 447. 17. Pervyj s’ezd Narodov Vostoka [Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente], Petrograd 1920, p. 72. 18. La posizione di Marx nei riguardi della Russia e del mondo musulmano è ben rappresentata da queste espressioni: “La barbarie intrinseca della Russia”, “le influenze demoniache della Roma d’Oriente [Istanbul]”, “la Russia, fedele al vecchio sistema dell’inganno e dei trucchi meschini”, “il fanatismo dei musulmani” (Carlo Marx contro la Russia, Edizioni del Borghese, Milano 1971, pp. 38, 40, 43, 89) 19. Cit. in: Francis Conte, Gli Slavi, Einaudi, Torino 1991, p. 386. 20. Ferdinand Ossendowski, Bestie, uomini e dèi, M.I.R., Firenze 1999, p. 191. 21. Aldo Ferrari, La Foresta e la Steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller, Milano 2003, p. 209. 22. Alexandr Duguin, Rusia. El misterio de Eurasia, Grupo Libro 88, Madrid 1992, p. 148. 23. N. S. Trubeckoj, Fondamenti di fonologia, Einaudi, Torino 1971. Per una esposizione riassuntiva della teoria linguistica di Trubeckoj, si può vedere Carlo Tagliavini, Storia della linguistica, Patron, Bologna 1970, pp. 307313. 24. N. S. Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Einaudi, Torino 1982. Il volume contiene anche Sul vero e sul falso nazionalismo e Il vertice e la base della cultura russa. 25. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 198. 26. A. Ferrari, La Russia tra Oriente e Occidente. Per capire il continente-arcipelago, Ares, Milano 1994, p. 156. 27. P. Savickij, Step’ i osedlost’, in Na putjach, Berlino 1922, p. 343. 28. Patrick Sériot, N. S. Troubetzkoy, linguiste ou historiosophe des totalités organiques ?, in : N. S. Troubetzkoy, L’Europe et l’humanité. Écrits linguistiques et paralinguistiques, Pierre Mardaga éditeur, Sprimont 1996, p. 17. 29. A. Ferrari, La Russia tra Oriente e Occidente, cit., pp. 43-45. 30. Martino Conserva – Vadim Levant, Lev Nikolaevič Gumilëv, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2005, p. 15. 31. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 264. 32. Lev Gumilëv, Gli Unni. Un impero di nomadi antagonista dell’antica Cina, Einaudi, Torino 1972. 33. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 255. 34. La bibliografia gumileviana compilata nel 1990 e riportata da M. Conserva e V. Levant (op. cit., pp. 65-83) elenca circa 240 titoli. Biografia di Aleksandr Dugin di Daniele Scalea Aleksandr Gel'evič Dugin è nato il 7 gennaio 1962 a Mosca. Il padre era un alto ufficiale dei servizi segreti sovietici, discendente d'una famiglia di tradizione militaresca; la madre una dottoressa. Fin da giovane Dugin mostrò una vivida capacità intellettuale, con un'innata propensione all'apprendimento di lingue straniere: infatti, oggi padroneggia con naturalità ben nove lingue oltre al russo. Non ostante il padre volesse avviarlo a sua volta verso la carriera militare, ben presto Dugin lasciò l'Istituto Aeronautico di Mosca per soddisfare i propri interessi personali, e così si laureò in filosofia, ambito nel quale avrebbe guadagnato una grande importanza nella Russia postsovietica. Dopo gli studi Dugin - probabilmente sempre grazie all'interessamento del padre - trovò un impiego presso gli archivi segreti dei servizi: si ritiene che avvenne proprio in tale ambiente la sua scoperta (o per lo meno l'approfondimento) dell'eurasiatismo classico. All'inizio degli anni '80, l'ancora giovanissimo Dugin cominciò a pubblicare numerosi articoli sui temi più disparati, dalla politica alla filosofia, dalla storia alla geopolitica. Assiduo lettore (e primo traduttore russo) di René Guénon e degli altri pensatori tradizionalisti europei, s'occupò con risultati particolarmente interessanti della cosiddetta "geografia sacra" e - sotto la palese influenza di Jung - degli archetipi presenti nella mente umana, rapportando spesso questi due ambiti alla geopolitica. I temi religiosi hanno appassionato intensamente Dugin, il quale fa oggi parte d'una corrente minoritaria entro la Chiesa cristiana ortodossa, la quale segue i riti arcaici ma non può essere considerata "eretica", in quanto riconosce (contraccambiata) il Patriarcato ecumenico di Mosca. Nello stesso periodo cominciò per lui, a fianco dell'impegno culturale, anche quello politico, di cui Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 5 prima manifestazione fu l'adesione (insieme al suo amico e famoso intellettuale musulmano Gejdar Džemal) al gruppo Pamjat' di Dmitrij Vasilev. Pamjat' - il cui nome in russo significa "memoria" - era un movimento nazionalista decisamente ostile alle voci liberali e occidentaliste che cominciavano in quegli anni a levarsi insistentemente. Nel 1988 - anno in cui s'univa a Pamjat' - Dugin fondava anche una casa editrice, la "Eon", ribattezzata due anni dopo "Arktogaia", presso la quale avrebbe poi pubblicato la maggior parte delle sue opere: la prima delle quali è Le vie dell'Assoluto (1989). Gli anni che seguono la disintegrazione dell'Unione Sovietica sono anche quelli del grande Fronte di Salvezza Nazionale che tentò, invano, d'opporsi al nuovo corso ultraliberale, antisociale e occidentalista dettato da Boris El'cin. Aleksandr Dugin fu una delle figure di spicco di questo blocco unitario patriottico, e in tale contesto seppe influenzare con le sue idee tanto i nazionalisti quanto i neocomunisti di Gennadij Žjuganov (col quale collaborò alla stesura del manifesto politico del rifondato Partito Comunista). Nel 1991 Dugin cominciava a pubblicare la rivista politicoculturale "Elementy" e a collaborare col quotidiano "Den'" ("Il Giorno") di Aleksandr Prokanov. Inoltre s'aprì a collaborazioni con intellettuali europei, tra i quali Jean-Francois Thiriart (teorico della "Nazione europea da Dublino a Vladivostok") e due tra gli animatori dell'attuale corrente eurasiatista in Italia, Claudio Mutti e Carlo Terracciano. Nella notte del 3 ottobre 1993 l'estenuante scontro tra patrioti e ultraliberali raggiunse il suo drammatico culmine con i carri armati che, dietro ordine del "liberaldemocratico" El'cin, marciavano sul Parlamento e lo bombardavano. Dopo la brutale vittoria di El'cin, Dugin unì le proprie forze con quelle di Eduard Limonov, uno stravagante scrittore che nei decenni precedenti, esule dall'URSS, aveva avuto una discreta influenza sulla sinistra "contestatrice" francese. Nel 1994 i due diedero vita al Partito Nazional-Bolscevico, di cui Dugin era maggiore ideologo: in tale contesto, egli rivalutava decisamente tutto il periodo sovietico e l'ideologia bolscevica (ferma restando la condanna degli eccessi repressivi), inquadrandoli nella continuità storica della Russia. Molto importante è la pubblicazione, sul finire di quell'anno, dell'opera La Rivoluzione Conservatrice, che chiaramente s'ispirava all'omonima corrente intellettuale della Germania degli anni '20 e '30 (poi stroncata da Hitler), aggiungendovi però numerosi elementi tratti dalla cultura russa e dall'ideologia comunista. Il PNB offre un notevole esempio di capacità comunicative, esplicate prevalentemente attraverso il puro simbolismo, che sono state in grado d'attrarre numerosi giovani nelle sue fila. Ma l'alleanza tra Limonov e Dugin ebbe vita breve. Ben presto Dugin abbandonò il Partito Nazional-Bolscevico, lasciandolo nelle mani di Limonov, il quale l'ha progressivamente allontanato dalle originarie posizioni politiche, relegandolo in un estremismo ostentato e spettacolare, in grado di guadagnare al PNB una ragguardevole notorietà, ma anche di renderlo oggi - a detta di molti la punta di diamante di un'ipotetica futura "rivoluzione arancione" filoccidentale in Russia. Dugin - oltre a rimanere assolutamente fedele alla sua linea d'ostilità al liberismo e all'imperialismo nordamericano - ha preferito incamminarsi sulla strada del pragmatismo, con obiettivi non più utopistici e metafisici ma concreti e fattibili, da ottenersi non più attraverso un'ostilità oltranzista al sistema, ma collaborando con i settori vitali, onesti e patriottici di quello. Perni di questo "nuovo corso" duginiano sono stati la specializzazione geopolitica e la riscoperta dell'eurasiatismo. L'interesse di Dugin per la geopolitica è di vecchia data, ma inizialmente si concentrava soprattutto su questioni "metafisiche" e "metapolitiche". Già dal 1992, però, col corso di geopolitica all'Accademia Militare di Mosca, Dugin mostra un approccio più concreto e scientifico alla materia. Egli fa rivivere gl'ideali dell'eurasiatismo classico, elevandoli però in una nuova sintesi con le mutate condizioni storiche: oggi Dugin è considerato l'iniziatore della corrente filosofica neoeurasiatista (il cui attestato di nascita può essere considerata l'opera Misteri d'Eurasia del 1996). L'aspetto pratico di tale dottrina si manifesta nella concezione geopolitica di Dugin, che molto deve a teorici come Halford Mackinder e Carl Schmitt, i quali rilessero l'intera storia umana come risultato della continua dialettica tra Mare e Terra; i quali non solo rappresentano, propriamente, le potenze talassocratiche e quelle tellurocratiche, ma simboleggiano anche due modi opposti di condurre e intendere la vita (da una parte - il Mare - disordine, progressismo, materialismo, ateismo, artificio, imperialismo, individualismo, ecc.; dall'altra - la Terra ordine, tradizione, idealismo, religione, onestà, mitezza, collettivismo, ecc.). Tale visione del mondo, ch'enfatizza la rivalità storica tra la Russia (cuore dell'Eurasia) e gli Stati Uniti d'America (cuore del complesso marittimo anglosassone), è del resto condivisa dalla maggioranza dei geopolitici statunitensi e inglesi, del passato e del presente. Ma mentre essi, schierandosi chiaramente dalla parte del Mare, auspicano un mondo unipolare dominato dagli USA e plasmato, tramite la globalizzazione, a sua immagine e somiglianza, Dugin si schiera con la Terra, e propugna un mondo multipolare dove ogni popolo e ogni cultura sia libera di prosperare e conservarsi secondo i propri valori e la propria volontà. Tale concezione di Dugin andava decisamente nella direzione delle aspettative d'una parte consistente della classe dirigente russa, e in particolare delle forze armate. Ancora oggi il manuale Fondamenti di Geopolitica è adottato da numerose università e accademia militari della Federazione. Pubblicato nel 1997, tale manuale fu redatto avvalendosi della collaborazione del focoso Generale Leonid Ivašov (già a capo del Dipartimento Affari Internazionali del Ministero della Difesa, oggi a riposo), mentre la prefazione è stata scritta dal Tenente-Generale Nikolaj Klokotov, a capo del Dipartimento Strategico dello Stato Maggiore. La popolarità di Dugin era in crescendo: l'anno precedente aveva creato il portale informatico multilingue "Arktogaia", e condotto due programmi radiofonici, uno musicale e filosofico sulla moscovita "Radio 101", l'altro geopolitico sulle frequenze di "Russia Libera", preludio all'accesso ai grandi media di massa, che si sarebbe realizzato negli anni seguenti. Nel 1998 Dugin fece il grande passo e proclamò il proprio appoggio (critico) al primo ministro Evgenij Primakov (artefice dell'inizialmente poco fortunato "triangolo strategico" Mosca-Pechino-Nuova Delhi). Lo stesso anno il presidente della Duma Gennadij Seležnev lo chiamò a sé come consigliere in materia strategica e come direttore del Centro d'Analisi Geopolitica (organismo statale che fa appunto capo alla Duma), due cariche che detiene ancora oggi. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 6 L'avvento al potere di Vladimir Putin fu per Dugin un evento entusiasmante: in lui, nei suoi discorsi e nei suoi progetti ritrovò molte delle teorie che da un decennio andava propagandando; pieno di fiducia, assicurò al delfino dell'odiato El'cin un sostegno senza riserve, ricambiato con l'ingresso nella ristretta cerchia dei consulenti personali del Presidente. Nel 2000 Dugin diede vita al Movimento Politico Panrusso "Eurasia", il cui documento fondativo, il Manifesto del Neoeurasiatismo, fece il punto sui successi fino allora ottenuti dal pensatore russo e dalle sue teorie: «Il Neoeurasiatismo ha gettato le basi della moderna geopolitica russa e guadagnato potenti seguaci nelle strutture governative e nelle agenzie di sicurezza. Questi organismi stanno fondando molti dei propri progetti - militari ed economici - sui princìpi eurasiatisti. Il Neoeurasiatismo ha influenzato le moderne scienza politica, sociologia e filosofia russe. Il Neoeurasiatismo è divenuto gradualmente un importante strumento concettuale per i monopoli di stato della Russia, i quali richiedono una strategia a lungo termine per le loro politiche macroeconomiche». Nel frattempo, Dugin cominciò a collaborare come consulente del Patriarcato ecumenico di Mosca, concentrandosi sulle tematiche inerenti la difesa dello spazio religioso ortodosso dal proselitismo delle altre religioni e dagli scismi delle chiese nazionali nello spazio postsovietico. Del resto, l'influenza del pensiero neoeurasiatista sulle strutture religiose è notevole: basti pensare che al Movimento aderirono, tra gli altri, Vsevolod Čaplin, segretario del Dipartimento Relazioni Esterne del Patriarcato, Talgat Tažuddin, gran muftì del Direttorio Spirituale dei Musulmani Russi, Dir-Kabalam, capo dei buddhisti russi, e l'Hassidic Rabbi Avram Šmulevič. Nel 2001 il movimento si tramutò in Partito Politico "Eurasia", pur continuando a garantire pieno appoggio al presidente Putin e rinunciando perciò a concorrere alle elezioni. Lo stesso anno, dopo l'esperienza come caporedattore del quotidiano "Vtorženie" (1997-1999) Dugin fondò un proprio giornale, chiamato "L'Osservatore Eurasiatico". A partire dall'anno successivo divenne editorialista su molti dei maggiori quotidiani russi ("Izvestia", "Literaturnaja Gazeta", "Vremja Novostej" e altri ancora) e ospite abituale sul primo canale della televisione di stato. Sul fronte telematico, fu aperto un nuovo portale, questa volta d'analisi politica e strategica, che è tutt'oggi in funzione (si veda all'indirizzo <http://www.evrazia.org>; purtroppo, solo la sezione russa è aggiornata con puntualità). Nel 2003 il partito politico subì una nuova metamorfosi, con la creazione della ONG transnazionale Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie ("Movimento Internazionale Eurasiatista"), avvenuta ufficialmente il 20 novembre. Nel suo discorso, Dugin ha nuovamente ricapitolato i passi compiuti dal Neoeurasiatismo nell'ultimo decennio: «L'ideologia neoeurasiatica è passata attraverso numerose stagioni - da un piccolo gruppo d'intellettuali alle lezioni di Nuova Università in molte città russe negli anni '90; dal Movimento Politico Panrusso Eurasia (aprile 2001) al Partito Politico Eurasia (giugno 2002). (...) Oggi stiamo compiendo un grande passo, uscendo dai ristretti vincoli d'una stato nazionale per operare a livello superstatale». Aleksandr Dugin è stato nominato presidente del MED, che tra i membri del Consiglio direttivo vanta il Gran Muftì Tažuddin, il Metropolita Andrian, l'ex primo ministro del Kirghizistan Djumagulov, e numerosi altri nomi di prestigio. Nell'ambito del MED s'è sviluppato un altro progetto di considerevole rilievo, cioè la Società Economica Eurasiatica, il cui scopo è di favorire l'integrazione economica dello spazio postsovietico e d'indirizzare verso imprese di valore strategico gl'investimenti pubblici e privati. Attualmente, la stima di Dugin verso il Presidente Putin è notevolmente calata, complici senz'altro i suoi ripetuti fallimenti nel contrastare l'ondata di "rivoluzioni colorate" che s'avvicina alla Federazione Russa; dopo tutto, l'opinione del presidente del MED rispecchia gli umori prevalenti in alcuni ambienti politici e militari, i quali auspicherebbero una più decisa politica di salvaguardia degl'interessi e dell'integrità nazionali. D'altro canto, Dugin è ora in ottimi rapporti col Presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, il quale lo ha chiamato ad insegnare geopolitica nell'Università della capitale Astana, dedicata allo storico eurasiatista Lev Gumilëv e significativamente chiamata "Eurasiatica". Dugin ha risposto alle lusinghe del Presidente kazako dedicandogli un'opera, dal titolo La missione eurasiatica di Nursultan Nazarbaev. Sua figlia Dariga Nazarbaeva, capo del partito al potere e (si dice) sua delfina designata, è molto presente in tutte le iniziative patrocinate da Dugin (ha inaugurato l'assise fondativa del MED e preso parte alla creazione della Società Economica Eurasiatica). Oggi, la prima preoccupazione di Dugin e del suo movimento è quella di frenare l'ondata "arancione", impedendo l'instaurazione di regimi ultraliberali e filoccidentali nei paesi postsovietici non ancora sconvolti dalle "rivoluzioni colorate". Movimento Eurasiatista Internazionale Il Movimento Internazionale Eurasiatista comprende numerose organizzazioni non governative con sede in 22 diversi paesi, nella CSI, nella UE (Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna), in America (USA, Cile), nei paesi islamici (Libano, Siria, Egitto, Turchia, Iran, Pakistan), in estremo oriente (India, Giappone, Vietnam) e così via. Nella Federazione Russa vi sono inoltre 36 rappresentanze regionali del "Movimento Eurasiatista". Il Movimento Eurasiatista è nato ufficialmente dal congresso costitutivo di Mosca del 20 Novembre 2003 ed è registrato presso il Ministero della Giustizia Russo come "movimento sociale internazionale" che opera su scala mondiale, in ogni paese in cui le attività delle organizzazioni non governative internazionali siano accettate. Gli obiettivi principali del Movimento Internazionale Eurasiatista sono: ! la lotta comune per un mondo multipolare, basato sulla cooperazione dei diversi popoli, civiltà e culture, per la pace e la prosperità reciproca; Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 7 ! ! ! ! ! ! l'associazione fra i paesi europei ed asiatici con il ruolo speciale riservato alla Russia come mediatore principale di questo processo; l'integrazione dello spazio postsovietico fino alla creazione dell'unità eurasiatica a livelli culturali, economici, informativi, strategici e politici; il dialogo attivo e multilaterale delle confessioni tradizionali dell'Eurasia, la comprensione reciproca e la stima fra le élites delle società eurasiatiche; conservazione delle identità culturali, religiose, etniche di ogni popolo, e lo sviluppo delle specificità nazionali; il rafforzamento della pace e dell'ordine, base del principio eurasiatista della Pax Eurasiatica; l'opposizione alle tendenze negative unipolarismo e globalizzazione unidimensionale, degrado culturale, terrorismo, narcotraffico, catastrofi ecologiche, demografiche e sociali. L'attività del Movimento Eurasiatista è definita dalle risoluzioni dello "Alto Consiglio". L'organo esecutivo del Movimento Eurasiatista è il "Comitato Eurasiatista", con sede a Mosca. Il presidente del "Comitato Eurasiatista" e guida del "Movimento Eurasiatista" è Aleksandr Dugin, il filosofo fondatore del Neo-Eurasiatismo, creatore della moderna scuola russa di geopolitica. I membri dell'alto consiglio sono: Trošev A.P. – vice-portavoce del Senato russo Aslachanov A.A-M. – consigliere del Presidente della Federazione Russa Margelov M.V. – presidente del Comitato per gli Affari Internazionali del senato russo Kaljužnij V.I. – vice-ministro per gli Affari Esteri della Russia Tažuddin T.S. – Gran Muftì della Federazione Russa Metropolita Andrian (Četvergov) – capo della Chiesa Ortodossa Russa Sagalaev E.M. – presidente dell'Associazione Nazionale dei Media Zagarišvili S.A. – membro dell'Accademia Russa delle Scienze Žumagulov A.D. – ex primo ministro della Repubblica del Kirghizistan Černyčev A.S. – ambasciatore plenipotenziario della Federazione Russa Efimov N.N. – direttore della rivista “Stella Rossa” E molte altre personalità in altri paesi. "Il Movimento Eurasiatista" ha inoltre diversi reparti specifici: Segretariato (con a capo Zarifullin P.V.), Ufficio analitico (con a capo Krivošeev S.A), Ufficio educativo (sistema di istruzione "Nuova Università"), Ufficio stampa (con a capo Korovin V.M.); Società Economica Eurasiatica, Forum eurasiatico (rete di esperti). Il centro delle operazioni del Movimento Internazionale Eurasiatista ha sede nella Federazione Russa, a Mosca, al 115432, 2 Kožuchovskoy proezd, d.12, str.2. Tel/fax: +7(095)7836866. E-mail: Dugin A.G. - [email protected]; Segretariato - [email protected]; Ufficio analitico - [email protected]; Ufficio stampa [email protected]. L’Idea Eurasiatista di Aleksandr Dugin (fonte "Eurasia", n.1/2004) LA RIVOLUZIONE EURASIATISTA Cambiamenti semantici di “Eurasiatismo” Molti termini perdono il proprio significato originario, quando vengono utilizzati quotidianamente nel corso di molti anni. Nozioni fondamentali come socialismo, capitalismo, democrazia, fascismo, sono cambiate profondamente. Infatti, sono divenute nozioni banali. I termini "Eurasiatismo" ed "Eurasia" hanno anch'essi qualche incertezza, poiché sono nuovi, provengono da un nuovo linguaggio politico e da un nuovo contesto intellettuale che sono nati solo oggi. L'idea eurasiatica rispecchia un processo dinamico molto attivo. Il suo significato è divenuto chiaro attraverso la storia, ma necessita d'essere ulteriormente sviluppato. L'Eurasiatismo come battaglia filosofica L'idea eurasiatica rappresenta una fondamentale revisione della storia politica, ideologica, etnica e religiosa dell'umanità; essa offre un nuovo sistema di classificazione e categorie che sostituirà gli schemi usuali. La teoria eurasiatica si è formata attraverso due stagioni: un periodo di formazione dell’Eurasiatismo classico, all'inizio del XX secolo, grazie all’attività di intellettuali emigrati (Trubeckoj, Savickij, Alekseev, Suvčinskij, Il’in, Bromberg, KharaDavan etc.) seguito dai lavori storiografici di Lev Gumilëv e, infine, la costituzione del neo-Eurasiatismo (dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi). Verso il neo-Eurasiatismo La teoria eurasiatica classica indubbiamente proviene dal passato e può essere correttamente classificata nell’ambito delle ideologie del XX secolo. L'Eurasiatismo classico può essere passato, ma il neoEurasiatismo ne ha determinato la rinascita, dando ad esso un nuovo senso, una nuova scala e nuovi significati. Risorgendo dalle proprie ceneri, l'idea eurasiatica è diventata meno scontata ma ha rivelato il suo potenziale nascosto. Grazie al neo-Eurasiatismo, l'intera teoria eurasiatica ha assunto una nuova dimensione. Oggi non possiamo ignorare il lungo periodo storico del neoEurasiatismo e dobbiamo comprenderlo nel suo contesto moderno. Inoltre, descriveremo i vari aspetti di questa nozione. L'Eurasiatismo come tendenza globale. La globalizzazione come corpo principale della storia moderna In senso lato, né l'idea eurasiatica né l'Eurasia come concetto corrispondono strettamente ai limiti geografici del continente eurasiatico. L'idea eurasiatica è una strategia su scala globale che riconosce l'oggettività della globalizzazione e la fine degli "statinazione", ma nel contempo offre un differente scenario di globalizzazione, che non comporta un mondo unipolare o un unico governo mondiale. Invece, contempla diverse zone globali (poli). L'idea eurasiatica è una versione alternativa e multipolare della globalizzazione, ma la globalizzazione è correntemente Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 8 il maggior processo mondiale fondamentale ad indirizzare il vettore principale della storia moderna. Paradigma della globalizzazione. Paradigma dell'Atlantismo Gli stati nazionali contemporanei hanno subito la trasformazione in uno stato globale; stiamo assistendo alla nascita di un sistema di governo planetario all'interno di un singolo sistema economicoamministrativo. Credere che tutte le nazioni, classi sociali e modelli economici possano improvvisamente cominciare a cooperare sulle basi di questa nuova logica globale è sbagliato. La globalizzazione è un fenomeno unidimensionale, monodirezionale, che tenta di universalizzare il punto di vista occidentale (anglosassone, americano) per dirigere nel modo più efficiente la storia dell'umanità. Si tratta dell’unificazione (molto spesso connessa con la repressione e la violenza) di differenti strutture socio-politiche, etniche, religiose e nazionali entro un solo sistema. Si tratta di una direzione storica dell'Europa occidentale che ha raggiunto il proprio culmine con la dominazione statunitense dell’Europa occidentale stessa. La globalizzazione è l'imposizione del paradigma atlantico. La globalizzazione come Atlantismo tenta di impedire assolutamente questa definizione. I sostenitori della globalizzazione argomentano che, quando non ci sarà più alternativa all'Atlantismo, quest’ultimo cesserà di essere Atlantismo. Il filosofo politico americano F. Fukuyama ha coniato l'espressione "fine della Storia", che attualmente indica la fine della storia geopolitica e del conflitto tra Atlantismo ed Eurasiatismo. Ciò significa una nuova architettura del sistema mondiale, caratterizzata dalla mancanza di opposizione e dalla presenza di un solo polo - il polo dell'Atlantismo. Possiamo anche dare a questo sistema il nome di Nuovo Ordine Mondiale. Il modello dell'opposizione tra due poli (Oriente-Occidente, Settentrione-Meridione) si trasforma nel modello che contrappone il centro alla periferia (Centro = Occidente, "Nord ricco"; periferia = Sud povero). Questa variante dell'architettura mondiale è completamente agli antipodi del concetto di Eurasiatismo. La globalizzazione unipolare ha un'alternativa Oggi il Nuovo Ordine Mondiale non è nulla più che un progetto, un piano, una tendenza. E una cosa molto seria, ma non fatale. I fautori della globalizzazione negano qualsiasi piano alternativo per il futuro, ma oggi stiamo sperimentando un fenomeno su larga scala di contro-globalismo, e l'Idea eurasiatica coordina tutte le opposizioni alla globalizzazione unipolare su una via costruttiva. In più, offre l’idea competitiva di globalizzazione multipolare (o alterglobalizzazione). L'Eurasiatismo come pluriversum L'Eurasiatismo rigetta il modello “centroperiferia”. L'idea eurasiatica insegna altresì che il pianeta consiste in una costellazione di spazi vitali autonomi, parzialmente aperti uno all'altro. Queste aree non sono stati nazionali, ma una coalizione di stati, riorganizzati in federazioni continentali o "imperi democratici" con all'interno un largo livello di autogoverno. Ognuna di queste aree è multipolare, includendo un complicato sistema di fattori etnici, culturali, religiosi e amministrativi. In questo senso globale, l'Eurasiatismo è aperto a chiunque, indipendentemente dal suo luogo di nascita, residenza, nazionalità o cittadinanza. L'Eurasiatismo fornisce un'opportunità per scegliere un futuro differente dagli schemi dell'Atlantismo e dal sistema unico valido per tutta l'umanità. L'Eurasiatismo non mira semplicemente al passato, né a preservare lo status quo corrente, ma si impegna per il futuro, riconoscendo che l'attuale struttura mondiale necessita di cambiamenti radicali, che gli stati-nazione e la società industriale hanno esaurito tutte le proprie risorse. L'idea eurasiatica non vede la creazione di un governo mondiale sulla base dei valori liberaldemocratici come il solo e unico percorso dell'umanità. Nel suo significato più fondamentale, l'Eurasiatismo nel XXI secolo è definibile come l'adesione alla alterglobalizzazione, sinonimo di mondo multipolare. L'Atlantismo non è universale L'Eurasiatismo rifiuta in maniera assoluta l'universalismo di Atlantismo e Americanismo. Il modello dell'Europa Occidentale e dell'America possiede molti aspetti attraenti che possono essere adottati ed elogiati, ma, tutto sommato, è semplicemente un sistema culturale che ha il diritto di esistere nel proprio contesto storico al pari di altre civiltà e sistemi culturali. L'idea eurasiatica difende non solo i sistemi di valori antiatlantici, ma la diversità delle strutture di valori. E' una sorta di poliversum che fornisce spazio vitale a chiunque, inclusi gli USA e l'Atlantismo, assieme ad altre civiltà, poiché l'Eurasiatismo difende anche le civiltà dell'Africa, di entrambi i continenti americani, e dell'area pacifica parallela alla Madrepatria eurasiatica. L'idea eurasiatica promuove un'idea di rivoluzione globale L'idea eurasiatica su una scala globale è un concetto rivoluzionario di portata mondiale, invocato a costituire una nuova piattaforma di mutua comprensione e cooperazione per un ampio conglomerato di potenze differenti: stati, nazioni, culture e religioni che respingono la versione atlantica della globalizzazione. Se analizziamo le dichiarazioni e asserzioni di vari politici, filosofi e intellettuali, ci renderemo conto che la maggioranza di loro aderisce (talvolta inconsciamente) all'idea eurasiatica. Se pensiamo a tutti coloro che non sono d’accordo con la "fine della storia", il nostro animo sarà sollevato e il fallimento del concetto americano di sicurezza strategica per il XXI secolo, connesso con la costituzione del mondo unipolare, si mostrerà in tutta la sua realtà. L'Eurasiatismo è la somma degli ostacoli naturali, artificiali, oggettivi e soggettivi posti sulla strada della globalizzazione unipolare; esso offre un'opposizione costruttiva e positiva al globalismo anziché una semplice negazione. Questi ostacoli, tuttavia, per il momento rimangono privi di coordinazione, e i sostenitori dell'Atlantismo sono in grado di affrontarli facilmente. Però, se questi ostacoli in qualche modo si costituissero in un’unica forza, potrebbero essere integrati in un qualcosa di unitario, sicché la prospettiva della vittoria diventerebbe verosimile. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 9 L'Eurasia come Mondo (continente) Antico La nozione di Mondo Antico (tradizionalmente riferita all'Europa) può essere considerata in un più vasto contesto. E' un super spazio multiculturale, occupato da nazioni, entità statuali, civiltà, etnie e religioni connesse tra loro storicamente e geograficamente da un destino dialettico. Il Mondo Antico è un prodotto organico della storia umana. Il Mondo Antico si trova spesso contrapposto al Nuovo Mondo, il continente americano, scoperto dagli Europei e trasformato nella piattaforma di una civilizzazione artificiale, dove si sono materializzati i progetti europei di modernismo. E' stato costruito sulla base delle ideologie di matrice umana come una pura civiltà del modernismo. Gli Stati Uniti nacquero come la "società perfetta" teorizzata da intellettuali inglesi, irlandesi e francesi, mentre i paesi dell’America Meridionale e Centrale rimasero colonie del Mondo Antico. La Germania e l'Europa Orientale sono state meno influenzate da quest'idea della "società perfetta". Secondo i termini di Oswald Spengler, il dualismo tra Mondo Antico e Nuovo Mondo può essere ricondotto agli opposti: Kultur-Zivilisation, organicoartificiale, storico-tecnico. Il Nuovo Mondo come Messia In qualità di prodotto dell'evoluzione dell’Europa Occidentale, il Nuovo Mondo ben presto realizzò il suo destino "messianico", dove gli ideali liberal-democratici dell'Illuminismo si combinarono con le idee escatologiche delle sette radicali protestanti. A ciò fu dato il nome di teoria del Destino Manifesto, che divenne il nuovo simbolo della fede per generazioni di Americani. Stando a questa teoria, la civilizzazione americana oltrepasserebbe tutte le culture e civiltà del Mondo Antico; nella forma universale che riveste attualmente, tale civilizzazione è obbligatoria per tutte le nazioni del pianeta. Col tempo, tale teoria si confrontò direttamente non solo con le culture dell'Oriente e dell'Asia, ma entrò in conflitto anche con l'Europa, che appariva agli Americani come arcaica e piena di pregiudizi e tradizioni antiquate. In breve, il Nuovo Mondo abbandonò l'eredità del Mondo Antico. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale, il Nuovo Mondo divenne il padrone indiscusso dell'Europa stessa, con "criteri di verità" ad essa alieni. Ciò ispirò una corrispondente ondata di predominio americano e, parallelamente, l'inizio di un movimento che mirava alla liberazione geopolitica dal brutale controllo politico, economico e strategico del "Grande Fratello" transoceanico. Integrazione del continente eurasiatico Nel XX secolo, l'Europa ha preso coscienza della sua comune identità e poco per volta ha cominciato a muoversi verso l'integrazione di tutte le sue nazioni in una unione comune, capace di garantire piena sovranità, sicurezza e libertà a sé e a tutti i suoi membri. La creazione dell'Unione Europea è stato l’evento più importante per aiutare l'Europa a recuperare il suo status di potenza mondiale al fianco degli Stati Uniti d'America. Questa è stata la risposta del Vecchio Mondo alla sfida tracotante del Nuovo Mondo. Se consideriamo l'alleanza tra USA ed Europa Occidentale come la direttrice atlantica dello sviluppo europeo, l'integrazione europea sotto l'egida dei paesi continentali (Germania e Francia) può essere chiamata Eurasiatismo europeo. Ciò diventa molto e molto più ovvio se prendiamo in considerazione la teoria dell'Europa dall'Oceano Atlantico agli Urali (Charles de Gaulle) o fino a Vladivostok (Jean Thiriart). In altre parole, l'integrazione del Vecchio Continente include il vasto territorio della Federazione Russa. Così, l'Eurasiatismo in questo contesto può essere definito come un progetto dell'integrazione strategica, geopolitica ed economica del continente eurasiatico settentrionale, considerato come la culla della storia e la matrice delle nazioni europee. Come la Turchia, così anche la Russia è storicamente collegata con le nazioni turcomanne, mongole e caucasiche. La Russia conferisce all'integrazione europea una dimensione eurasiatica sia in senso simbolico che geografico (identificazione di Eurasiatismo con continentalismo). Nei secoli più recenti, l'idea dell'integrazione europea è stata proposta dalle fazioni rivoluzionarie in seno alle élites europee. Nei tempi antichi, simili tentativi furono compiuti da Alessandro il Grande (integrazione del continente eurasiatico) e Gengis Khan (fondatore del più grande impero della storia). L’EURASIA: TRE GRANDI SPAZI VITALI, INTEGRATI SECONDO LA LATITUDINE Tre cinture eurasiatiche (zone meridiane) Il vettore orizzontale dell'integrazione è seguito da una direttrice verticale. I piani eurasiatici per il futuro presumono la divisione del pianeta in quattro cinture geografiche verticali (zone meridiane) da Nord a Sud. Entrambi i continenti americani formeranno uno spazio comune orientato e controllato dagli USA secondo la struttura della Dottrina Monroe. Questa è la zona meridiana atlantica. In aggiunta alla zona suddetta, altre tre rientrano nella prospettiva. Esse sono le seguenti: ! ! ! Eurafrica, con l'Unione Europea quale suo centro; Zona russo-centrasiatica; Zona del Pacifico All'interno di tali zone, avverrà la divisione regionale delle risorse e la creazione di aree di sviluppo e corridoi di crescita. Ognuna di queste cinture (zone meridiane) si bilancia con le altre, e tutte insieme controbilanciano la zona meridiana atlantica. Nel futuro, queste cinture potranno rappresentare le fondamenta sulle quali costruire il mondo multipolare: il numero dei poli sarà maggiore di due; tuttavia, il numero sarà molto minore di quello degli attuali stati-nazione. Il modello eurasiatico propone che il numero dei poli debba essere quattro. Grandi spazi Le zone meridiane nel progetto eurasiatico consistono di parecchi "Grandi Spazi" o "imperi democratici". Ciascuno possiede relative libertà e Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 10 indipendenza ma è strategicamente integrato nella corrispondente zona meridiana. I Grandi Spazi corrispondono ai confini delle civiltà e includono molti stati-nazione o unioni di stati. L'Unione Europea e il Grande Spazio Arabo, che unisce Africa settentrionale e trans-sahariana col Vicino Oriente, formano l'Eurafrica. La zona russo-centrasiatica è formata da tre Grandi Spazi che talvolta si sovrappongono l'un l'altro. Il primo è la Federazione Russa, insieme con parecchi paesi della CSI - membri della Unione Eurasiatica. Il secondo è il Grande Spazio dell'Islam continentale (Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan). I paesi asiatici della CSI intersecano questa zona. Il terzo Grande Spazio è l'Indostan, che è un settore di civiltà autonomo. La zona meridiana del Pacifico è determinata dal condominio di due grandi spazi (Cina e Giappone) e include inoltre Indonesia, Malesia, Filippine e Australia (alcuni studiosi connettono quest'ultima con la zona meridiana americana). Questa regione geopolitica è un vero mosaico e può essere differenziata secondo diversi criteri. La zona meridiana americana consiste nei Grandi Spazi canadese-americano, centramericano e sudamericano. Importanza della quarta zona La struttura del mondo basata su zone meridiane è accettata dai maggiori geopolitici americani che mirano alla creazione del Nuovo Ordine Mondiale e alla globalizzazione unipolare. Tuttavia, un punto d'inciampo è l'esistenza dello spazio meridiano russocentrasiatico: la presenza o assenza di questa cintura modifica radicalmente il quadro geopolitico del mondo. I futurologi atlantici dividono il mondo nelle tre seguenti zone: ! Polo americano, con l'Unione Europea quale sua periferia prossima (l'Eurafrica non è contemplata); ! Le regioni asiatiche e pacifiche quali sue periferie più lontane; ! La Russia e l'Asia Centrale sono frazionate, ma senza questa zona come zona meridiana indipendente, il nostro mondo è unipolare. Quest'ultima zona meridiana controbilancia la pressione americana e fornisce alle zone europea e pacifica la possibilità di agire come poli di civilizzazione autonomi. Il reale bilanciamento multipolare, la libertà e l'indipendenza di cinture meridiane, Grandi Spazi e stati-nazione dipendono dalla riuscita creazione di una quarta zona. Inoltre, ciò non basta per fare del mondo unipolare un modello bipolare: il rapido progresso degli Stati Uniti d'America può essere controbilanciato solo dalla sinergia delle tre zone meridiane. Il progetto eurasiatico propone questo superprogetto a quattro zone a livello geopolitico strategico. L’EURASIATISMO COME RUSSO-CENTROASIATICA INTEGRAZIONE L'asse Mosca - Teheran La quarta zona meridiana è l'integrazione meridiana russo-asiatica. Il punto centrale di questo processo è la realizzazione dell'asse Mosca-Teheran. L'intero progetto di integrazione dipende dallo stabilire con successo un'alleanza strategica a medio e lungo termine con l'Iran. I potenziali economici, militari e politici di Iran e Russia, assieme, incrementeranno il processo d'integrazione regionale, rendendo la zona irreversibilmente cementata ed autonoma. L'asse Mosca-Teheran costituirà la base per un'ulteriore integrazione. Sia Mosca che l'Iran sono potenze autosufficienti, in grado di creare il proprio modello d'organizzazione strategica della regione. Il piano eurasiatico per Afghanistan e Pakistan Il vettore di integrazione con l'Iran è di vitale importanza per la Russia, sia per l’accesso di quest’ultima ai mari caldi, sia ai fini della riorganizzazione politico-religiosa dell'Asia Centrale (paesi asiatici della CSI, Afghanistan e Pakistan). Una stretta cooperazione con l'Iran presume la trasformazione dell'area afghano-pakistana in una libera confederazione islamica, leale sia verso Mosca che verso l'Iran. La ragione per cui ciò è necessario, è che gli stati indipendenti di Afghanistan e Pakistan potrebbero essere una continua fonte di destabilizzazione e di minaccia per i paesi confinanti. L'impegno geopolitico garantirà la possibilità di creare una nuova federazione centrasiatica e di trasformare questa complicata regione in un'area di cooperazione e prosperità. L'asse Mosca - Delhi La cooperazione tra Russia e India è il secondo più importante asse meridiano per l'integrazione del continente eurasiatico e i sistemi eurasiatici di sicurezza collettiva. Mosca giocherà un ruolo importante, attenuando la tensione tra Delhi e Islamabad (Kashmir). Il piano eurasiatico per l'India, promosso da Mosca, è la creazione di una federazione che rispecchi la varietà della società indiana con le sue numerose minoranze etniche e religiose, tra le quali Sikh e Musulmani. Mosca - Ankara Il principale alleato regionale nel processo d'integrazione dell'Asia Centrale è la Turchia. L'idea eurasiatica sta qui diventando piuttosto popolare per via delle tendenze occidentali che si intrecciano con quelle orientali. La Turchia riconosce le differenze di civiltà con l'Unione Europea, i suoi interessi e intenti regionali, la minaccia della globalizzazione e la ulteriore perdita di sovranità. Da un punto di vista strategico, è necessario per la Turchia stabilire un'alleanza strategica con la Federazione Russa e con l'Iran. La Turchia sarà in grado di mantenere le sue tradizioni solo entro la struttura di un mondo multipolare. Alcuni schieramenti della società turca comprendono questa situazione dalle élites politiche e sociali a quelle religiose e militari. Così l'asse Mosca-Ankara può diventare una realtà geopolitica nonostante un lungo periodo di reciproca estraniazione. Caucaso Il Caucaso è la regione maggiormente problematica nell'ottica dell'integrazione eurasiatica, poiché il suo mosaico di culture ed etnie porta facilmente a tensioni tra nazionalità. Questa è una delle armi principali utilizzate da coloro che cercano di fermare i processi d'integrazione nel continente Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 11 eurasiatico. Questa regione deve essere un poligono in cui sperimentare metodi differenti di cooperazione tra i popoli, poiché ciò che può avvenire qui, può avvenire anche in altre parti del continente eurasiatico. La soluzione eurasiatica al problema non consiste nel creare stati su base etnica, o nell'assegnare rigorosamente ad ogni nazione uno stato, ma nello sviluppare una federazione flessibile sulla base delle differenze etniche e culturali all'interno del comune contesto strategico della zona meridiana. Il risultato di questo piano è la creazione d'un sistema di semiassi tra Mosca e i centri caucasici (Mosca-Bakù, Mosca-Erevan, Mosca-Tbilisi, MoscaMahačkala, Mosca-Grozny, ecc.) e tra i centri caucasici e gli alleati della Russia all'interno del progetto eurasiatico (Baku-Ankara, Erevan-Teheran, ecc.). Piano eurasiatico per l'Asia Centrale L'Asia Centrale deve muoversi verso l'integrazione in un blocco economico e strategico unito con la Federazione Russa all'interno della struttura dell'Unione Eurasiatica, successore della CSI. La funzione principale di quest'area specifica è il riavvicinamento della Russia ai paesi dell'Islam continentale (Iran, Pakistan, Afghanistan). Fin dall'inizio, il settore centroasiatico deve avere varie direttrici d'integrazione. Un piano farà della Federazione Russa il socio principale (somiglianza culturale, interessi economici ed energetici, comune sistema strategico di sicurezza). Il piano parallelo è di porre l'accento sugli intrecci etnici e religiosi: mondi turco, iranico e islamico. INTEGRAZIONE EURASIATICA TERRITORI POST-SOVIETICI DEI Unione Eurasiatica Un più specifico significato di Eurasiatismo, parzialmente ricollegabile alle definizioni degli intellettuali eurasiatisti degli anni '20 e '30 del XX secolo, è connesso al processo d'integrazione locale dei territori postsovietici. Diverse forme di una simile integrazione possono osservarsi nella storia: dall’impero nomade degli Unni (che comprese anche popoli iranici e germanici) all'impero di Gengis Khan e dei suoi successori. Una più recente integrazione è stata condotta dall'Impero russo dei Romanov e, successivamente, dall'URSS. Oggi, l'Unione Eurasiatica prosegue nel solco di queste tradizioni d'integrazione attraverso un unico modello ideologico che tiene in considerazione procedure democratiche, rispetta i diritti delle nazioni, e presta attenzione alle caratteristiche culturali, linguistiche ed etniche di tutti i membri dell'Unione. L'Eurasiatismo è la filosofia dell'integrazione dei territori postsovietici su una base democratica, non violenta e spontanea, senza il predominio di alcuna religione o gruppo etnico. Astana, Dušanbe e Biškek come principale forza d'integrazione Le repubbliche asiatiche della CSI affrontano il processo d'integrazione postsovietico in maniera differente. Il più attivo aderente all'integrazione è il Kazakistan. Il Presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbaev è un fermo sostenitore dell'idea eurasiatica. Il Kirghizistan e il Tagikistan sostengono in maniera analoga il processo d'integrazione, sebbene il loro sostegno appaia meno tangibile di quello kazako. Taškent e Ašabad L'Uzbekistan e specialmente il Turkmenistan osteggiano il processo d'integrazione, tentando di guadagnare quanto più possibile dalla loro recente sovranità nazionale. Tuttavia, molto presto, a seguito del crescente prezzo della globalizzazione, entrambi gli stati si troveranno di fronte a un dilemma: o perdere la sovranità e mescolarsi ad un mondo globalmente unificato sotto il predominio dei valori liberali americani, o preservare l'identità culturale e religiosa nel contesto dell'Unione Eurasiatica. A nostro parere, un sereno raffronto di queste due opzioni porterà a scegliere la seconda, che corrisponde in maniera naturale ad entrambi i paesi ed alle loro storie. Stati transcaucasici L'Armenia continua a gravitare verso l'Unione Eurasiatica e considera la Federazione Russa un'importante sostenitrice e conciliatrice che l'aiuta ad affrontare le relazioni con i suoi vicini musulmani. E' da notare che Teheran preferisce stabilire un'alleanza con gli Armeni, etnicamente affini agli Iraniani. Questo fatto ci autorizza a considerare due semiassi - MoscaErevan e Erevan-Teheran - come positivi prerequisiti dell'integrazione. Bakù rimane neutrale, ma tale situazione è destinata a cambiare radicalmente per il continuo avvicinarsi di Ankara all'Eurasiatismo (che immediatamente contagerà anche l'Azerbaigian). Le analisi del sistema culturale azerbaigiano mostrano che questo stato è più vicino alla Federazione Russa e alle repubbliche post-sovietiche del Caucaso e dell'Asia Centrale che non al religioso Iran o anche alla laica Turchia. Il problema della Georgia è la chiave di volta della regione. Il carattere variegato dello stato georgiano è causa di seri problemi nella costituzione di un nuovo stato nazionale, fortemente rifiutato dalle minoranze etniche: Abkhazia, Ossezia meridionale, Agiaria, ecc. Oltretutto, lo stato georgiano non ha nessun forte alleato nella regione ed è costretto a cercare un accordo con gli USA e la NATO per controbilanciare l'influenza russa. La Georgia è la minaccia maggiore, capace di sabotare il processo d'integrazione eurasiatico. La soluzione del problema si trova nella cultura ortodossa della Georgia, con le sue caratteristiche e le sue tradizioni eurasiatiche. Ucraina e Bielorussia, paesi slavi della CSI E' sufficiente guadagnarsi il supporto di Kazakistan e Ucraina per riuscire nella creazione della Unione Eurasiatica. Il triangolo geopolitico MoscaAstana-Kiev è una colonna portante abile a garantire la stabilità dell'Unione Eurasiatica, e questo è il motivo per cui è più urgente che mai negoziare con Kiev. Russia e Ucraina hanno moltissimo in comune: cultura, lingua, religione, appartenenza etnica. Questi aspetti devono essere evidenziati, poiché fin dall'inizio della recente sovranità ucraina sono stati promossi russofobia e disintegrazione. Molti paesi della UE possono influenzare positivamente il governo ucraino, giacché essi sono interessati all'armonia politica dell'Europa Orientale. La cooperazione tra Mosca e Kiev Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 12 evidenzierà le propensioni paneuropee di entrambi i paesi slavi. I suddetti fattori riguardano la Bielorussia, dove le intenzioni d'integrazione sono molto meno evidenti. Tuttavia, lo status strategico ed economico della Bielorussia è meno importante per Mosca di quelli di Kiev e Astana. Inoltre, il predominio d'un asse MoscaMinsk danneggerebbe l'integrazione con Ucraina e Kazakistan, e questo è il motivo per cui l'integrazione con la Bielorussia deve procedere fluidamente senza incidenti improvvisi - assieme alle altre direttrici del processo d'integrazione eurasiatica. Eurasiatismo come Weltanschauung L'ultima definizione di Eurasiatismo caratterizza una specifica Weltanschauung: una filosofia politica che combina tradizione, modernità e anche elementi postmoderni. Questa filosofia ha come sua priorità la società tradizionale; riconosce l'imperativo della modernizzazione tecnica e sociale (senza discostarsi dalla cultura tradizionale); si sforza di adattare il suo programma ideologico alla società postindustriale e informatica, e ciò si chiama postmodernismo. Il postmodernismo formalmente rimuove la contrapposizione tra tradizione e modernismo, rendendoli eguali. Il postmodernismo eurasiatico, al contrario, promuove un'alleanza di tradizione e modernità come un impulso energetico, costruttivo, ottimistico verso la creatività e la crescita. La filosofia eurasiatica non nega le realtà messe a nudo dall'Illuminismo: religione, nazione, impero, cultura, ecc. Allo stesso tempo, i migliori successi della modernità sono utilizzati ampiamente: avanzamento tecnologico ed economico, garanzie sociali, libertà del lavoro. Gli estremi si incontrano, mescolandosi in un'armonica ed originale teoria unificante, ispirando pensieri nuovi e nuove soluzioni per gli eterni problemi che gli uomini hanno affrontato nel corso della storia. L'Eurasiatismo è una filosofia aperta L'Eurasiatismo è una filosofia aperta, non dogmatica, che può essere arricchita da nuovi contenuti: scoperte religiose, sociologiche ed etnologiche, ricerche geopolitiche, economiche, geografiche, culturali, strategiche e politiche. In più, la filosofia eurasiatica offre originali soluzioni in specifici contesti culturali e linguistici: l'Eurasiatismo russo non sarà lo stesso delle versioni francese, tedesca o iraniana. Tuttavia, la struttura principale della filosofia rimarrà invariata. Principi dell'Eurasiatismo I principi basilari dell'Eurasiatismo sono i seguenti: ! Differenzialismo, pluralismo dei sistemi di valori contro il convenzionale predominio obbligatorio di una ideologia (la liberaldemocrazia americana innanzitutto); ! Tradizione contro soppressione di culture, nozioni e categorie della società tradizionale; ! Diritti delle nazioni contro l’oro e il denaro, e contro l'egemonia neocoloniale del "Nord ricco"; ! Realtà popolari come valori e soggetti della storia, contro la spersonalizzazione delle nazioni, imprigionate in costruzioni sociali artificiali; ! Equità sociale e solidarietà umana contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. (traduzione di Daniele Scalea) Per gentile concessione della rivista ringraziano l'Editore e il Direttore. Eurasia, rivista di g e o p o l i t i c i - presentazione Eurasia; si studi Lo scopo di questa nuova rivista di studi geopolitici è quello di promuovere, stimolare e diffondere la ricerca e la scienza geopolitica nell’ambito della comunità scientifica nazionale ed internazionale, nonché di sensibilizzare sulle tematiche eurasiatiche il mondo politico, intellettuale, militare, economico e dell’informazione. La prospettiva di EURASIA non corrisponde solo a quella delle relazioni internazionali in senso stretto, ma è anche quella, più fondamentale, che concerne l’influenza esercitata sulle “rappresentazioni” geopolitiche passate e attuali, nonché sugli scenari futuri, dai rapporti culturali e spirituali tra i popoli che abitano la massa continentale eurasiatica. Infatti, pur non rappresentando nessun particolare indirizzo accademico, né adottando alcuno specifico e preferenziale approccio metodologico per l’indagine e l’interpretazione degli avvenimenti geopolitici, la rivista EURASIA ha l’ambizione di porre all’attenzione degli addetti ai lavori l’importanza della riscoperta dell’unità spirituale dell’Eurasia, così come essa da sempre si esprime nelle molteplici e variegate forme culturali. Il riconoscimento di tale realtà costituisce infatti un fattore innovativo e decisivo per l’avanzamento della scienza geopolitica del XXI secolo, in alternativa alle pilotate, restrittive, “ideologiche”, e dunque a-scientifiche, teorie dello “scontro di civiltà” o del “melting-pot”, che tanta confusione e danno hanno ingenerato sia nell’ambito della indagine scientifica che in quello delle applicazioni pratiche. È per tali motivi che nella rivista saranno presenti, oltre alle analisi geopolitiche, alla critica delle dottrine dominanti e all’illustrazione di ipotetici futuri scenari, anche articoli, saggi e studi riportanti riflessioni, risultati e metodologie acquisite nei diversi campi della etnografia, della storia delle religioni, della psicologia dei popoli e delle identità collettive, della morfologia della storia, della sociologia, dell’economia, della scienza politica, della scienza delle comunicazioni e delle scienze esatte, declinati, però, nell’oggettivo e vincolante quadro della geopolitica. Saranno altresì proposti studi ed analisi concernenti la geoeconomia, quale nuova scienza autonoma dalla geopolitica, e la geofinanza, al fine di identificare le metodologie che animano le strategie economiche e finanziarie su scala planetaria (sia delle nazioni dominanti che dei grandi potentati economici) e le opportunità che ne possono scaturire per le nazioni più deboli; né saranno trascurati studi e riflessioni riguardanti il delicato tema della sicurezza interpretato secondo i criteri della geostrategia. Direttore responsabile: Tiberio Graziani Registrazione presso il Tribunale di Milano Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 13 Redattori: Aldo Braccio, Aleksandr Dugin, Tiberio Graziani, Claudio Mutti, Daniele Scalea, Martin A. Schwarz, Carlo Terracciano, Stefano Vernole Editore: Edizioni all'Insegna del Veltro, Viale Osacca 13, 43100 Parma, www.insegnadelveltro.it, [email protected] Stampa: S.E.B., Via Caveto 22, Cusano Milanino La collaborazione è su invito. Dischetti e manoscritti inviati non vengono restituiti. Edizione trimestrale Ogni numero: euro 18,00 Abbonamento per 3 numeri: euro 50,00 Abbonamento per 5 numeri: euro 80,00 L’abbonamento sostenitore (euro 100,00) dà diritto a ricevere 5 numeri più i primi 2 “Quaderni di Geopolitica”. Per gli invii fuori dall’Italia si richiede pagamento anticipato e contributo alle spese postali (euro 5,00 per ogni spedizione) I versamenti vanno effettuati sul c.c.p. 02138290347 intestato a: Edizioni all’insegna del Veltro, Viale Osacca 13, 43100 Parma. Precisare la causale specifica del versamento. La rivista esce col patrocinio del Coordinamento Progetto Eurasia “Eurasia, rivista di studi geopolitici” è reperibile presso le seguenti librerie: ! La Feltrinelli, Via della Repubblica 2, Parma ! Libreria Bottega del Fantastico, Via Plinio 32, Milano ! L'Isola del Sole, Via Pollaiuolo 5, Milano ! Libreria Europa, Via Tunisi 3/A - 00192 Roma ! Oppure è possibile ordinarlo direttamente presso l'editore (in contrassegno o previo versamento di euro 18,00): Edizioni all'Insegna del Veltro, Viale Osacca 13 - 43100 Parma. CCP: 14759476 Per qualunque informazione riguardo a Eurasia, rivista di studi geopolitici consultare il sito http://www.eurasiarivista.org/ ARTICOLI Attacco all’Europa? di Daniele Scalea* Ieri (giovedì 7 luglio 2005) un numero non ancora precisato (cinque? sei?) di bombe è esploso nella metropolitana e su una corriera di linea a Londra, provocando circa 50 vittime. Il primo ministro britannico, Tony Blair, è di corsa tornato dal vertice del G8 a Gleneagles per scagliarsi contro i «barbari» che hanno attaccato la sua capitale, col chiaro intento di ostacolare il G8 e, dunque, «la risoluzione di problemi fondamentali per l'umanità intera, come la povertà dell'Africa e l'inquinamento». Retorica a parte, può darsi che Blair, e dopo di lui Schröder, abbiano una qualche ragione: forse chi ha compiuto gli attentati di Londra voleva impedire che al G8 si prendessero seri provvedimenti in materia di lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici. Spero di essere smentito, ma ho come l'impressione che il grande vincitore, a Gleneagles, sarà Bush: il quale otterrà di non raddoppiare gli aiuti ai paesi del Terzo Mondo, e soprattutto metterà definitivamente fuori discussione l'adesione degli USA al Protocollo di Kyoto. Vincitore sarà anche lo stesso Blair: del quale si ricorderà il generoso impegno per Africa e ambiente, in parte vanificato dall'assurdo attacco contro Londra. Attacco trattato, come da tradizione, in modo assolutamente oggettivo e asettico dai media occidentali e, in particolare, dai rinomati mezzi d'informazione italiani. Tant'è vero che, ancora prima che giungesse alcuna rivendicazione, i telegiornali di Mediaset parlavano senza condizionale d'attentato di Al Qaeda (cosa azzardata, riferendosi a un paese che ha già avuto esperienze del genere, per mano dell'IRA). Eppure, proprio noi italiani, meglio di chiunque altro, dovremmo conoscere la regola aurea degli attentati dinamitardi: per quanta acqua e indagini giudiziarie possano passare sotto i ponti, i responsabili rimangono sempre nascosti dietro un enorme punto interrogativo. Prima era colpa degli anarchici, poi dei fascisti; poi sì di servizi segreti, ma d'enigmatici "servizi deviati". Il problema, fondamentalmente, è che non vale quasi nulla pescare gli autori materiali del fatto, se poi non si sa chi li ha indirizzati, armati e addestrati a compierlo. E questa seconda parte è quella che sicuramente non si scopre mai. Poco importa scoprire che a Piazza Fontana o alla Stazione di Bologna gli ordigni furono piazzati da quello o da quell'altro neofascista: perché un fanatico da solo può a mala pena concepire un atto simile, figuriamoci portarlo a termine con successo! Egualmente, è possibile che a Madrid e Londra ad agire siano state delle persone di religione musulmana - è possibile ma non provato, perché il Corano "smarrito" nella capitale spagnola è una prova burlesca! - ma se non si scopre chi è il mandante, è come se non sapessimo nulla di quanto accaduto. Vicino al luogo dell'attentato, sottolineano i giornalisti, c'è una moschea "sospetta". E con ciò? Vogliamo davvero credere che un qualunque gruppo d'immigrati arabi, o d'indigeni convertiti all'Islam, possa da un giorno all'altro compiere simili attentati coordinati d'ampia portata contro obiettivi sensibilmente controllati dalle unità antiterrorismo? Staremmo davvero sognando. Qualcuno dotato di forti mezzi e competenze deve spalleggiarli. Entra allora in gioco la famigerata "Al Qaeda" di Bin Laden, uno spaventapasseri che può convincere solo spettatori assuefatti dai films di James Bond: poiché una "Spectre", nella realtà, non può esistere. Perché l'organizzazione di Bin Laden non sarebbe mai nata senza il sostegno decisivo della CIA: ma quando il cordone ombelicale è stato tagliato? Com'è possibile che gli agenti segreti non conoscano sufficientemente la struttura da loro stessi creata, per essere in grado di distruggerla? Com'è possibile che "Al Qaeda" sia riuscita ad evitare d'essere massicciamente infiltrata, non ostante cotanta origine? Tutte domande senza risposta: anche perché pochi le pongono, e nessuno ha voglia di rispondere. L'esperienza c'insegna che tutti i gruppi sovversivi, "terroristi", ecc. sono sempre infiltrati da strutture del governo (che del resto servono proprio a questo); si vedano le recentissime rivelazioni inerenti le Brigate Rosse. I governi occidentali hanno alle spalle la maggior parte della ricchezza mondiale, Bin Laden non ha più a disposizione neanche il suo personale Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 14 patrimonio, bloccato (tardivamente) dalle autorità statunitensi dopo l'11 settembre 2001: la lotta appare impari eppure la vittoria per Washington sembrerebbe lontana. Al Qaeda, Bin Laden e al-Zarkawi, intanto, continuano a fornire alla Casa Bianca ottime giustificazioni per la propria politica estera aggressiva (tanto per usare un eufemismo). In Iraq, stando ai nostri media, parrebbe che l'esercito statunitense stia combattendo contro le armate di Al Qaeda e non, com'è ovvio, contro la guerriglia irachena preventivamente progettata dalle autorità ba'athiste: in tal modo, si fa dimenticare che gli USA hanno invaso uno stato sovrano e membro delle Nazioni Unite, e la guerra appare piuttosto rivolta contro il famigerato Bin Laden. Ma se anche ciò fosse vero, saremmo di fronte al più grave fallimento della politica nordamericana: la quale avrebbe tramutato un paese laico nemico del fondamentalismo, in un feudo di Al Qaeda. La figura e il ruolo di Bin Laden, col passare degli anni, si fanno sempre più contorti, sempre più enigmatici: sempre più prossimi a un casus belli con gambe e braccia per gli USA. Lo scriveva persino Machiavelli nel '500: se lo stato non ha un nemico, tanto vale che se lo crei. Ma seguire tale filone non ci porterebbe ad alcuna conclusione certa; torniamo piuttosto all'attentato di Londra. Intuendo forse che, com'è tradizione, ai bombaroli non si potrà mai dare un volto e un nome al di là d'ogni ragionevole dubbio, i media hanno coniato la nuova espressione «di matrice terroristica». Il che, ovviamente, non significa nulla. "Terroristico" è attributo che si può conferire allo stile, alla tecnica dell'attentato, ma la "matrice", per definizione, presume che si parli dell'origine, della causa: cioè degli autori. Se non ché si sta tentando, da troppo tempo a questa parte, d'accreditare l'esistenza di un "Terrorismo" per definizione, il cui obiettivo, evidentemente, sarebbe il terrore fine a se stesso, e la motivazione un odio "insensato" per lo «Occidente». Siamo ormai vicini all'assurdo, a un'inquietante atmosfera orwelliana: i telegiornali non fanno più informazione, ma sono l'equivalente del "minuto dell'odio" in 1984. Alla massa dev'essere additato un nemico che sia cattivo a tutto tondo, ontologicamente malvagio. E gli attentati, per qualsiasi motivo siano stati compiuti, sono poi strumentalizzati per indurre alla bellicosità gli animi dei recalcitranti europei: ecco allora che sei bombe nella metropolitana di Londra sono un «attacco al cuore dell'Europa»! L'Inghilterra "cuore dell'Europa"? La geografia lo nega, dato che la Gran Bretagna è un'isola situata a nord-ovest della penisola europea. Essa ha con l'Europa il medesimo rapporto che il Giappone ha con l'Asia: ufficialmente ne fa parte, ma da una parte e dall'altra si vedono gli abitanti al di là del braccio di mare come "diversi". Gli Inglesi hanno sempre avuto questa profonda convinzione d'essere differenti, e per certi versi superiori, agli abitanti del continente: in passato, addirittura, fantasticarono d'essere discendenti d'una qualche tribù israelita smarrita; quando i nordamericani vollero fregiarsi dello stesso titolo, gl'Inglesi l'abbandonarono snobisticamente, ma non rinunciarono mai al proprio sentirsi "diversi" e "unici". L'Inghilterra è, geograficamente parlando, a mala pena parte dell'Europa, figuriamoci se ne può rappresentare il "cuore". Lo potrebbe allora essere in senso politico? No affatto. Londra è sempre stata più vicina a Washington che a Bruxelles, ha sempre osteggiato qualsiasi progetto d'integrazione europea che andasse al di là della sfera economica, ha sfruttato il diritto di veto conferitole dall'assurdo requisito dell'unanimità per paralizzare politicamente l'Unione Europea. L'Inghilterra non è il "cuore", ma la spina nel fianco dell'Europa! Gli attentati alla metropolitana di Londra non sono stati un "attacco" al nostro continente, bensì misteriosi atti terroristici circoscritti alla sola isola britannica e che, come al solito, hanno colpito gente comune e innocente. L'isterico stracciarsi le vesti per le cinquanta sfortunate e innocenti vittime britanniche, è affatto ipocrita se poi s'ignora con freddezza le oltre 100.000 vittime dell'invasione angloamericana dell'Iraq. Nemmeno i nazisti si sarebbero mai sognati di dire: «Un tedesco vale 2000 arabi»: Hitler era molto più modesto, e molto meno razzista, dei nostri occidentalisti! I politici, giornalisti e intellettuali filo-americani hanno riportato in Europa spettri di cui speravamo d'esserci liberati per sempre: da quanti decenni non si sentiva più affermare che Europa e Nordamerica sarebbero «il mondo civilizzato», sottintendendo così che il resto del globo sarebbe mercé dei «barbari»?! Ebbene, signori, siamo tornati all'età del colonialismo: una battaglia in nome del relativismo culturale, dell'autodeterminazione dei popoli, e del multipolarismo geopolitico è oggi più necessaria che mai. Daniele Scalea, 8 luglio 2005 *Redattore di "Eurasia, rivista di studi geopolitici" Kirghizistan: è solo l’inizio di Aleksej Makarkin MOSCA, 14 luglio 2005 (Direttore Generale del Centro di Tecnologie Politiche - Aleksej Makarkin per RIA Novosti) - Non è difficile prevedere il risultato delle elezioni presidenziali in Kirghizistan. Una volta che i due favoriti, Kurmanbek Bakev e Feliks Kulov, unirono le proprie forze, la vittoria del primo era garantita. Ma le elezioni non sono scevre da intrighi. Risulta chiaramente dalle posizioni degli osservatori provenienti da differenti strutture internazionali. Una tradizione recente nei paesi della CSI vuole che la valutazione positiva di un'elezione da parte degli osservatori della CSI, sia controbilanciata da un'opinione negativa dei loro colleghi inviati dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), o viceversa. Così, gli osservatori della CSI furono soddisfatti quando Viktor Janukovič fu annunciato vincitore del ballottaggio nelle elezioni ucraine, mentre la controparte dell'OSCE mostrò un atteggiamento decisamente critico delle procedure di voto. Al contrario, il terzo turno delle medesime elezioni, che vide il trionfo della rivoluzione arancione, ricevette un'ottima valutazione dagli osservatori dell'OSCE e una molto negativa dai loro colleghi della CSI. Gli Europei sono stati molto soddisfatti delle recenti elezioni parlamentari in Moldova, mentre gli osservatori della CSI sono stati tutti cacciati. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 15 Allo stesso modo, gli Europei pensavano che le elezioni bielorusse fossero una farsa, mentre la valutazione degli osservatori della CSI fu davvero eccellente. Ma le elezioni in Kirghizistan hanno prodotto un inatteso consenso. Il capo della missione osservatrice della CSI, Vladimir Rušailo, ha affermato che le elezioni sono state condotte, nel complesso, in un'atmosfera di calma e senza flagranti violazioni. «Si rilevano alcuni elementi contraddittori nei documenti di voto, alcuni dei quali non sono chiaramente compilati», ha detto. Gli osservatori dell'OSCE sono più critici, e ritengono che in più vi siano incrementi non plausibili nei dati sull'affluenza. Ma nel complesso essi valutano positivamente le elezioni. Il capo della missione osservatrice a breve termine dell'OSCE, Kimmo Kelonen, reputa che le elezioni presidenziali in Kirghizistan siano state condotte in maniera positiva e soddisfino le norme democratiche. E' chiaro che le elezioni nei paesi della CSI sono teatro d'una feroce lotta geopolitica tra la Russia e l'Occidente, in cui molte priorità sono già state fissate. E' ovvio che Chisinau si orienti verso l'Occidente, mentre Minsk inclina a oriente, che Viktor Juščenko voglia il suo paese nella NATO e nell'UE, mentre i suoi oppositori contano sul supporto della Russia. Ma la situazione in Kirghizistan è molto più controversa. La locale rivoluzione di velluto è stata un avvicendamento tribale, e i vincitori non sono inequivocabilmente prorussi o filoccidentali. D'altro canto, le organizzazioni non governative occidentali hanno sostenuto le forze d'opposizione in Kirghizistan, ma ciò non ostante qualsiasi governo a Biškek è costretto a tenere in considerazione il fattore russo, tradizionalmente rilevante. Le nuove autorità kirghise paleseranno il proprio orientamento politico allorché s'esprimeranno riguardo la base militare statunitense, installata sul loro territorio durante le operazioni afghane delle forze armate USA e alleate nel 2001. Al recente convegno dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, agli Americani è stato rivolto il cortese ma fermo invito a fissare una data per il ritiro delle loro truppe dall'Asia Centrale. Il nuovo presidente Bakev ha detto immediatamente dopo le elezioni che quando la situazione in Afghanistan risulterà stabilizzata, «potremo cominciare a discutere se gli USA abbiano la necessità di mantenere la loro presenza militare (nel paese)». Ha dunque aggiunto: «Il tempo mostrerà quando e come ciò accadrà». In altre parole, si è preso qualche spazio di manovra. I nuovi dirigenti del Kirghizistan non vogliono rovinare le relazioni né con la Russia, o gli altri associati nella OCS, né con gli USA. Per tale ragione, non è probabile che compiano alcun brusco passo nel futuro prossimo. Ma presto o tardi essi dovranno definire le loro preferenze geopolitiche. Inoltre, dovranno farlo in una situazione dove non saranno più uniti, e il compromesso Bakev-Kulov dovrà sopravvivere a molte prove (la prima per la nomina dei nuovi ministri e degli altri alti ufficiali). Non è da escludere che i diversi gruppi della classe dirigente kirghisa possano appellarsi ai centri in competizione per l'influenza mondiale, rendendo perciò la situazione ancora più complicata. A ogni modo attualmente sia la Russia che l'Occidente stanno ammiccando ai vincitori le consultazioni tramite i rispettivi osservatori. Ciò significa che la lotta (perlopiù clandestina e solo di tanto in tanto visibile) per l'influenza su Biškek e sulle élites politicoeconomiche del Kirghizistan proseguirà. (traduzione di Daniele Scalea) Khodorkovskij story di Maurizio Blondet [ CASA EDITRICE EFFEDIEFFE - MILANO – Largo V ALPINI 9 - Tel.: 02.4819117 / 4819227 - Fax: 02.4819103 Copyright © 2005 Miataproject Team ] Mentre i giudici russi si apprestano a condannare l’oligarca Mikhail Khodorkovskij, l’ex padrone della petrolifera Yukos, per frode ed evasione fiscale, i poteri forti americani si preparano a mordere ai calcagni Putin, colpevole di aver messo nei guai quel loro amico ebreo. Il senatore John McCain ha già avvertito: quello contro l’amato Khodorkovskij non è un processo normale, ma “un colpo di Stato strisciante contro le forze della democrazia e del capitalismo, che scuote le fondamenta delle relazioni Russia-Usa”. Detto da un responsabile di un’America che ha visto la Enron e l’11 settembre (colpo di Stato di tipo nuovo), non c’è male. Ma forse è il caso di percorrere la storia di questo puro martire del liberismo. Nato nel 1963, mentre frequentava l’università a Mosca (laurea in chimica) Khodorkovskij entrò nella Lega dei Giovani Comunisti, l’organizzazione giovanile del PCUS, assumendo l’incarico di vicesegretario del distretto Frunze: l’inizio di una bella carriera nel Partito. Il quale lo nominò capo del locale Centro tecnologico industriale. Ma erano ormai i tempi della perestrojka, e Khodorkovskij cominciò a fare i primi soldi da “comunista privatizzato”, rivendendo computer. Sia vero o no, i soldi così guadagnati gli consentirono di fornire “servizi finanziari” ai primi imprenditori russi, alias ex funzionari del KGB e mafiosi, che stavano incamerando i beni e le imprese dell’URSS a prezzi stracciati. I servizi di Khodorkovskij consistevano in questo: cambiava i rubli (che perdevano valore a ritmo accelerato) in dollari, che poi avviava all’estero in conti offshore. Ovviamente queste belle operazioni potevano essere condotte solo grazie agli appoggi “religiosi” che il giovane comunista aveva all’estero: i Rotschild di Londra, a quanto si dice. Fatto è che Khodorkovskij guadagnò tanto, ma tanto, da poter aprire una sua propria banca, la Menatep: la preferita dai “nuovi imprenditori”, ex spie e mafiosi russi. Così, quando l’ormai alcolizzato El’cin lanciò (su suggerimento di economisti liberisti, quali Jeffrey Sachs, ebreo della Chicago School) un piano di privatizzazione forzata “prestiti contro azioni” - il piccolo comunista era pronto: a forza di aste truccate, fornendo “prestiti” che il regime non avrebbe mai restituito, si appropriò di “azioni” dei patrimoni pubblici russi, soprattutto minerari, a prezzi stracciati. Ovviamente, anche queste operazioni richiesero speciali appoggi dall’estero. Mikhail infatti aprì società di comodo in paradisi fiscali che, oltre al segreto, garantivano l’immunità fiscale ed ogni sorta di protezione legale contro eventuali soci di minoranza che, per avventura, volessero scoprire dove finiva il Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 16 denaro. I paradisi fiscali nel mondo sono una settantina, ma Khodorkovskij ne preferì tre o quattro, tutti sotto controllo britannico (dei Rotschild): Gibilterra, l’isola di Man e Panama, nonché la Svizzera. Un esempio. Nel 1994 Khodorkovskij e “amici” comprarono il 20% della proprietà della Apatit, un’impresa mineraria di Stato russa che valeva 1,4 miliardi di dollari, per soli 225 mila dollari, più la promessa di investire nell’azienda altri 283 milioni. Quando la Apatit fu messa all’asta, oh miracolo, solo quattro società estere si qualificarono per partecipare: erano quattro società create da Khodorkovskij nei già noti paradisi fiscali. E quando una delle “società investitrici” vinse l’asta a prezzo di favore, si rifiutò di investire quei 283 milioni nella Apatit, benché si fosse impegnata a farlo; un’ingiunzione del tribunale russo – o mettere quei milioni di dollari, o restituire le azioni – restò lettera morta. La società di comodo sfuggì ad ulteriori guai giudiziari “cedendo” le azioni della Apatit ad una banca. Quale? La Menatep del giovane comunista; la quale si affrettò a spargere il pacchetto della proprietà in varie altre società offshore, fuori dalla giurisdizione russa. Intanto, i manager da lui nominati svendevano a prezzi stracciati i prodotti della Apatit alle società di comodo, le quali li rivendevano sui mercati mondiali a prezzi alti. In tal modo, la ditta pagava tasse e dividendi come se fosse in perdita: nulla o quasi. Secondo la procura russa, in tal modo Khodorkovskij ha frodato alla Apatit - che stava dissanguando - e ai soci di minoranza- qualcosa come 200 milioni di dollari, evadendo anche milioni (di dollari) in imposte. Nel 1995, il trucco fu ripetuto con un’impresa molto più strategica: la Avisma, produttrice di titanio, messa in vendita al miglior offerente. Vinse l’asta una società offshore che, guarda caso, apparteneva alla Banca Menatep. Ovviamente, la società-fantasma pagò un prezzo ridicolo, un’infima frazione del reale valore della Avisma. E anche qui, altre società ad hoc comprarono la preziosa produzione della ditta sotto i valori di mercato del titanio per poi rivenderli al più alto prezzo mondiale. Altra ruberia fiscale e dei soci di minoranza, e altro cespite russo dissanguato e svuotato (1). Stesso procedimento per l’acquisto della petrolifera Yukos, “privatizzata” tramite asta. Khodorkovskij – o meglio le sue solite società estere di comodo – pagò 309 milioni di dollari per il 78 % della ditta. Immediatamente dopo la Yukos, quotata nella Borsa russa, rivelò il suo vero valore: 6 miliardi di dollari. Un affaruccio niente male, per i Rotschild & C. Fu come comprare un vero Rolex di platino per un ventesimo del suo valore. Al vertice della struttura proprietaria della Yukos c’era un “Gruppo Menatep”, la cui sede è una casella postale a Gibilterra; Khodorkovskij in persona controllava il 28% del Gruppo Menatep; e questo controllava la Yukos Universal Limited, proprietaria del 61% della vera Yukos. Come al solito, la Yukos vendeva sottocosto il suo petrolio e derivati a società-fantasma (del giovane comunista) di Gibilterra, le quali poi lo rivendevano ai giusti prezzi sul mercato mondiale, evadendo tasse e negando profitti ai malcapitati azionisti di minoranza. Secondo un calcolo prudente, la ruberia ammonta a 1,7 miliardi di dollari. Più tardi il Group Menatep aprì un lussuoso ufficio a Londra. Il suo “managing director” era un losco avvocato della City, Stephen Curtis, che stava già fornendo i suoi servizi a Boris Berezovski, altro oligarca, mafioso (e finanziatore di criminali ceceni) ed ebreo, riparato in Israele da quando è perseguito dalla giustizia russa. Risulta da intercettazioni che Curtis, in un incontro nel ’99 con alti fiduciari di Khodorkovskij nel lussuoso ufficio londinese, spiegò lo schema della frode-fuga di capitali; il greggio Yukos veniva venduto attraverso varie “società commerciali” come la Behles in Svizzera, la South Petroleum in Liberia, e la Baltic Petroleum in Irlanda. Società con proprio management separato, ma stranamente vicine. Per esempio la Behles svizzera condivideva con Menatep e Apatit la stessa sede, 46 rue du Rhone a Ginevra. Nel 2004 Stephen Curtis cominciò a sentire il terreno scottare sotto i piedi. Contattò il National Criminal Intelligence Service (NCIS), l’organo che sorveglia il crimine organizzato in Inghilterra: evidentemente voleva fornire informazioni utili a smascherare i delinquenti che gli davano il lavoro. Nel marzo 2004, mentre si recava in elicottero ad un appuntamento con un agente dell’MI6, il suo velivolo privato – un Agusta 109E nuovo di zecca – cadde, e lo uccise. Nel frattempo le autorità russe avevano arrestato Khodorkovskij per frode ed evasione; in seguito a ciò, le azioni Yukos crollarono, prosciugando gli ingenui investitori americani che ci avevano creduto, di 5,7 miliardi di dollari. Ma i profitti occulti della ditta – il grosso del bottino – restano chiusi in conti bancari segreti formalmente riconducibili alle solite società fantasma. Nel 2004, su richiesta di Mosca, le autorità elvetiche hanno congelato 5 miliardi di dollari di conti appartenuti alla Behles. Ma il grosso resta inaccessibile. Secondo l’accusa pubblica moscovita, la Yukos nasconde ancora nelle sue reti offshore 25 miliardi di dollari dovuti in tasse e frodi. Il fatto è che la Yukos è stata, come la Enron, l’impresa più amata da Wall Street, da Blomberg e dal resto della stampa finanziaria USA fino a ieri. La costellazione Menatep-Yukos godeva dei servigi delle quattro più grosse compagnie di audit americane, Ernst & Young, Deloitte & Touche, KPMG e Pricewaterhouse Cooper: sono queste ad aver dato una mano alla colossale evasione fiscale e saccheggio dei beni russi. Debolmente, solo la Ernst & Young nel luglio 2002 obiettò sulla contabilità del gruppo Menatep. Ciò che non impedì alle colossali banche americane, Morgan Stanley e Credit Suisse First Boston (per tacere dell’elvetica UBS) di fare miliardi vendendo al pubblico le azioni taroccate di Khodorkovskij. La APCO Worldwide, sussidiaria della massima agenzia pubblicitaria del pianeta, la Grey Advertising, si occupa delle pubbliche relazioni del Menatep e dell’“immagine” di Khodorkovskij. Su consiglio della APCO, l’oligarca ha creato a Londra nel 2001 una “Open Russia Foundation”, una fondazione senza scopo di lucro modellata sulla Open Society di George Soros (lo speculatore ebreo che promuove la “democrazia” all’Est) – con lo scopo di “promuovere la democrazia in Russia”, ossia più chiaramente di abbattere Putin. Henry Kissinger è entrato, dietro profumato pagamento, nel consiglio della Fondazione. La fondazione sta spendendo parecchio per farsi amici potenti: ha pagato anche un inutile libro fotografico di Lord Snowdon, il fotografo ufficiale della famiglia reale britannica; e ha donato 100 mila dollari a un National Book Festival americano, che è presieduto da Laura Bush, moglie del presidente. Dal marzo 2005 la APCO sta pagando pagine in difesa di Khodorkovskij sul sito web del New York Times: pagine che non sembrano pubblicità ma articoli di fondo. Frattanto, per farsi nuovi amici potenti, Khodorkovskij ha messo parecchio denaro nel gruppo Carlyle (di Bush padre), Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 17 un fondo d’investimento chiuso – che investe soprattutto nel settore militare-industriale - di cui ha fatto parte anche la famiglia Bin Laden. Così, non stupisce che l’intera grande stampa USA e i più grossi pezzi dell’Amministrazione, Condoleezza Rice compresa, gridino come aquile per il martirio di Khodorkovskij, e per gli insulti al “libero mercato” perpetrati da Putin. Ma contrariamente a quel che la stampa USA grida, Khodorkovskij non è il solo “perseguitato”. Con Putin, il governo russo ha perseguito per evasione e delitti finanziari altri “oligarchi” dell’era El’cin: Berezovski (Aeroflot), Abramovitch (Sibneft), Gushinski (banca Most), Mickail Chernoy (Trans World Metals). Quasi tutti, anziché affrontare il processo, sono fuggiti: in Israele per lo più, Abramovitch a Londra, Gusinski in Spagna (Gibilterra). Note 1) Lucy Komisar, “Yukos kingpin on trial”, Corpwatch, 10 maggio 2005. Falsa guerra contro il terrore e vera guerra globale di Yves Bataille Si è parlato dei Balcani utilizzati come base terroristica islamista. È la tesi dell’israeloamericano Bodansky e di tutti quelli che hanno la fissazione dell’”islamismo”. Certuni vorrebbero coinvolgere la Serbia in questa lotta contro il terrorismo e farci dimenticare che gli Anglosassoni sono dovunque all’origine del revival “islamista” nel Vicino Oriente, in Afghanistan, nel Caucaso e nei Balcani. Così, dopo aver fatto esperienza della manipolazione di “islamismi” nello smantellamento della Jugoslavia, i Serbi dovrebbero partecipare alla guerra statunitense contro un terrorismo “islamista” appoggiato qui e combattuto là a seconda degli interessi di Washington. Si vede che in questo momento in Iraq gli Americani sono i primi promotori dell’”islamismo”, installando radicali sciiti al potere e alimentando indirettamente le tendenze “islamiste” nella resistenza. Zoran Zivkovic, primo ministro della Serbia dopo l’esecuzione di Zoran Djindjic, aveva promesso durante una visita a Washington nel 2003, mille soldati per la crociata statunitense in Iraq e in Afghanistan attraverso un innominabile ricatto : «O Kandahar o L’Aia»… Oggi è innegabile che esista un terrorismo islamista, ma esso non è incentrato sui Balcani e non ha bisogno di basi in Bosnia o nel Kossovo per commettere attentati in Europa. Innanzi tutto si ricorderà che sono i paesi che hanno inviato contingenti militari in Iraq ad essere stati i più presi di mira. Poi, i flussi migratori mal controllati hanno fatto delle grandi città dell’Europa occidentale e delle loro periferie, dei santuari molto più sicuri per eventuali terroristi, più che non le campagne balcaniche. I Balcani come base del terrorismo islamista anti - occidentale sono un mito. La verità è che i separatisti bosniaci e i loro congeneri albanesi hanno puntato sui due tavoli: alleanza occidentale ed alleanza islamica. Ciò non ha disturbato gli Americani, perché dalla prima guerra afgana essi hanno fatto questo doppio gioco, manipolando tutti. Per essere sostenuti da tutte le leghe virtuose occidentali, i separatisti antiserbi si sono presentati come difensori della democrazia e dei diritti dell’uomo, l’ideologia in vigore in Occidente, ma, dall’altra parte, in direzione del mondo islamico, essi hanno condotto un discorso meno democratico, pretendendo di essere (come certi Ceceni) dei musulmani perseguitati ed ottenendo il sostegno degli islamisti più radicali (wahhabiti). Va notato, e ciò dà tutto il senso dell’attuale situazione, che l’Iraq e la Siria baathisti, già bombardati o nel mirino di Washington, sono stati i soli paesi arabomusulmani (con la Libia) a non unirsi alla muta anti-serba. A Belgrado nel 1999 durante le manifestazioni contro la NATO, le bandiere serbe ed irachene sventolavano insieme e c’erano anche rappresentanti palestinesi. Nella loro guerra contro la Serbia, i separatisti bosniaci ed albanesi hanno ricevuto l’appoggio finanziario, materiale e militare di certi paesi musulmani e di gruppi islamisti radicali in combutta con gli Stati Uniti. In Bosnia, al momento dell’embargo che si presumeva riguardasse tutte le parti in conflitto, la CIA e la società privata MPRI organizzavano fra Tuzla e Srebrenica il lancio paracadutato di armi iraniane. L’aviazione NATO portava il suo contributo. Si consentiva a migliaia di « afghani » di partecipare alla guerra sotto un’altra bandiera, come quella che doveva salvare dalle difficoltà il fratello musulmano - attivato per conto dello Zio Sam – Alija Izetbegovic ed i suoi islamisti, trasformati per la necessità della causa in vittime del nazionalcomunismo serbo. Un terrorismo presentato come una difesa di minoranze oppresse, mentre ci si serviva di questi « gihadisti » per distruggere un paese ed installarvi delle marionette e delle basi. Tutto ciò s’inseriva nei piani regionali di Washington che, dopo la caduta delle torri di Manhattan, esigeva ormai dai suoi vassalli che essi si unissero alla «crociata antiterroristica». Ma è difficile immaginare che soldati serbi possano partecipare alla guerra americana accanto a terroristi bosniaci od albanesi radunati nella «lotta contro il terrore» in Iraq o altrove – e perché no, domani nel Caucaso (1). Quando gli emissari di Bush fanno balenare il partenariato per la pace e l’accesso alla NATO, è di questo che si tratta: tutti nella fanteria coloniale di Washington per la guerra globale, detta guerra «contro il terrore» o contro il terrorismo. Alcuni fanno osservare che, dopo gli accordi di Kumanovo, l'équipe governativa USA è cambiata e che il terrorismo balcanico sostenuto da Washington era opera di un’amministrazione democratica. Essi pensano di potersi attirare la benevolenza USA mostrandosi servili. Al di là del discredito morale di un tale atteggiamento, queste persone, che meritano l’appellativo di collaboratori, si fanno delle illusioni e disconoscono la realtà. Democratici e repubblicani non possono essere differenziati quando si tratta degli interessi superiori del complesso militar-industriale, degli imperativi della geopolitica del petrolio e del gas e del sostegno religioso a Israele. La squadra di Bush è reputata più brutale e meno diplomatica di quella di Clinton, ma tra la «guerra umanitaria» o la «diplomazia coercitiva» dei democratici e la «crociata» o «guerra contro il terrore» dei repubblicani e degli altri neo-cons, la differenza è questione di rivestimenti verbali, mentre l’obiettivo rimane lo stesso: il dominio mondiale in tutti i campi, inseparabile da un messianismo che si confonde con la creazione stessa degli Stati Uniti. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 18 Per i Serbi chi sono i terroristi? I terroristi sono coloro che hanno attaccato e bombardato, i terroristi sono coloro che, ancor oggi, premono per la rapina del Kossovo e per la secessione del Montenegro. I terroristi sono coloro che fomentano disordini in Raska (Sandjak). Quando una centrale USA legata al Dipartimento di Stato come l’International Crisis Group (ICG), con il pretesto di « prevenire conflitti », fa pressione per la separazione di province e regioni del ramo serbo e nega l’evidenza che gli Albanesi vogliono la Grande Albania, dov’è, dal punto di vista serbo, la lotta contro il terrorismo? Si è lasciato che si installasse impunemente a Belgrado James Lyon, rappresentante di questa centrale americana di sostegno al terrorismo e ciò costituisce una falla nella lotta contro il terrorismo reale, non contro quello fantasma... Non si ripeterà mai abbastanza che cos’è quella «ONG» che ha sede a Bruxelles e Washington, il cui fondatore Morton Abramowitz, allora direttore del Servizio Informazioni del Dipartimento di Stato, a metà degli anni 1980 consegnava dei Stinger all’islamista e trafficante di droga Gulbbudin Hekmatyar, il superiore gerarchico di Osama Bin Laden. Che l’ex ambasciatore in Turchia e responsabile della Fondazione Carnegie per la Pace, Abramowitz, è lo stesso che forniva consulenze alla delegazione separatista albanese nel 1998 a Rambouillet a titolo di «avvocato»; infine, che questa ONG a dominanza anglosassone e presieduta dall’ex ministro degli esteri australiano Gareth Evans, dove per la quale ha transitato Louise Arbour, l’ex «procuratore» del TPIY, conta tra i suoi uomini colui che comandava i bombardamenti della NATO contro la Serbia nel 1999, il generale Wesley Clark, oltre a Zbigniew Brzezinki, e George Soros, che non occorre presentare, e a personaggi come Kenneth Adelman, Bronislaw Geremek, Simone Veil, Christine Ockrent (la moglie di Kouchner) la cui particolarità è di nuotare nel medesimo brodo di cultura atlantista e cosmopolita. Sono tutte persone che ieri consideravano «combattenti della libertà» i guerriglieri afghani antirussi e considerano “combattenti della libertà” i separatisti albanesi antiserbi. La lotta antiterroristica degli Americani nei Balcani, parliamone. Un mese dopo l’11 settembre e la decisione di dare la caccia alla Spectre, il fratello del braccio destro di Ben Laden Ayman al-Zawahiri, Zaiman, accampato vicino al villaggio di Ropotovo con una sessantina di guerriglieri operativi, si muoveva tranquillamente nella zona d’occupazione americana del Kossovo adiacente alla Macedonia e tracciata dal futuro oleodotto della AMBO (2). Quando l’esercito macedone consigliato dalla Società Militare Privata MPRI (3), una SMP con sede in Georgia, accerchiava il gruppo di terroristi albanesi ad Aracinovo, vicino a Skopje, nel 2001, si accorgeva che anche questo gruppo era “consigliato” dalla stessa società MPRI, il che mette in evidenza la doppiezza ed il cinismo di Washington. La NATO interveniva allora per liberare i terroristi e gli istruttori USA alla frontiera serbomacedone, mettendoli al sicuro con armi e bagagli. Lo scandalo veniva soffocato dalla stampa occidentale e i dirigenti macedoni invitati a tacere. Avere un piede in ogni campo, muovervi delle pedine: ecco la politica di Washington, che d’altronde utilizza sempre di più mercenari o «contrattisti» per fare il lavoro sporco e supplire alla carenza di effettivi delle sue truppe regolari, composte per il 40% di latinoamericani, per il 20% di negri e per il resto di bianchi vessati dal sistema. Al-Qaeda, una nuova versione della Spectre. Come spiegato dallo specialista francese in materia Pierre-Henri Bunel (così abitualmente lo si descrive), il gruppo "Al- Qaeda non esiste". Secondo questa stessa fonte, che ha ben studiato l’argomento, Al- Qaeda prima dell’11 settembre non comprendeva in tutto che 300 individui sparsi tra l'Afghanistan e la penisola arabica. È il chiasso, tutto questo can can fatto dopo gli attentati di New York e di Washington, ad aver diffuso il mito di una Al-Qaeda onnipresente nel mondo. E’ stata la pubblicità di massa fatta dagli Americani a questa nuova versione della Spectre (4) ad avvantaggiare dei gruppi islamisti sparsi, che non avevano alcun legame operativo con il gruppo di Ben Laden. Il mito del nemico pubblico numero uno, impersonato sullo schermo dall’attore Ben Laden, ha fatto un’enorme pubblicità al nuovo islamismo radicale. Lo si è constatato in Iraq e in Turchia con la sollecitazione di gruppi islamisti assimilati ad Al-Qaeda, dopo avere visto un’altra assimilazione menzognera, oltre alla scoperta di Armi di Distruzione di Massa (WMD) per giustificare la guerra: l'assimilazione tra Al-Qaeda e Saddam Hussein. Sulla stampa statunitense, legata organicamente al mondo degli affari e dell’industria, si è potuto raccontare qualsiasi cosa senza che nessuno intervenisse, almeno inizialmente, a contraddire queste stupidaggini. Un tale trattamento mediatico è corrente in quella che Richard Holbrooke, l’emissario speciale di Clinton per i Balcani, l’uomo che si toglieva le scarpe entrando nelle case albanesi, ha definito la «stampa libera e democratica», quella che difende gli «standards mondiali», in altre parole, il mondo immaginario e virtuale di Washington. La definizione di terrorismo data dallo specialista francese della «guerra dell’informazione» FrançoisBernard Huyghe (5), un «metodo di lotta degli attori non istituzionali e clandestini che commettono attentati a fini politici», ha il pregio della chiarezza, ma quest’affermazione, come precisato, è limitata ad una sola categoria di attori, mentre altri attori possono essere implicati in azioni violente e clandestine, come ad esempio, degli Stati. In questi ultimi anni si è visto sulla superficie del pianeta che il terrorismo di Stato non era un’invenzione di pacifisti sempliciotti, ma che era la pratica corrente di entità quali Israele e gli Stati Uniti. In effetti, se è legittimo e perfettamente riconosciuto dalla Carta dell’ONU difendere il proprio territorio contro delle azioni terroristiche – cosa che è stata vietata ai Serbi – che cos’è l’andare in territorio altrui a condurre operazioni di guerra contro dei « regimi » o ad eliminare fisicamente gli oppositori, se non puro terrorismo? Israele e gli Stati Uniti lo hanno fatto in paesi vicini come in paesi assai lontani da loro, con la copertura o la partecipazione di “alleati” che hanno negato ai Serbi il diritto di difendersi in casa propria. Questo è accaduto al tempo dei bombardamenti NATO contro la Serbia, bombardamenti pure illegittimi ed illegali, come quelli dell’Iraq, che hanno provocato nel 1999 la morte di diverse migliaia di innocenti come la piccola Milica Rakic. E di che cosa è stata dunque vittima Milica Rakic, la bambina di tre anni uccisa nella sua culla a Batajnica dalla NATO e divenuta il simbolo di tutto un popolo, se non di quel terrore e di quel terrorismo che coloro che l’hanno fabbricato e alimentato nei Balcani e altrove, Americani ed Europei, pretendono di voler combattere? La conclusione la trae il giornalista Pepe Escobar : «E’ terrore quando lo diciamo noi» (Atimes, 22 aprile 2005) Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 19 * Colloquio Balcani : l’anello debole nella guerra contro il terrorismo, Belgrado 4 maggio 2005. (traduzione a cura di Belgicus) ______________ Note (1) I diversi rappresentanti della «comunità internazionale» si rifanno ad esperienze in questo campo dove è più facile trovare mercenari che soldati. In Bosnia, dove è stato deciso un «esercito comune», le nuove reclute serbe di questo «esercito» hanno fatto scandalo, fischiando, nell’aprile 2005, l’inno nazionale bosniaco, che non è tale da molto tempo… ; selezionato attraverso un concorso che è stato vinto da un israeliano durante il mandato dell’alto rappresentante dell’ONU Carlos Westendorp. (2) AMBO, Albanian-Macedonian-Bulgarian Oil Corporation. (3) MPRI, Military Professional Resources Inc. (4) Organizzazione terroristica romanzesca combattuta da James Bond. (5) Autore, in particolare, di L’information c’est la guerre, l’Ennemi à l’ère numérique et Quatrième guerre mondiale, faire mourir et faire croire. Sito Internet di François-Bernard Huyghe: http://www.huyghe.fr/ Tratto da www.eurasia-rivista.org NOTIZIE DAL MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA “Gloria alla Grande Ucraina, componente d’Eurasia” di Luca Bionda La seguente rubrica nasce con lo scopo di informare i lettori di quanto accade nella patria del Neo-Eurasiatismo. Si intende in primo luogo illustrare e dare notizia delle numerose attività e manifestazioni svoltesi soprattutto nello spazio postsovietico con il patrocinio o la partecipazione delle diverse sezioni del Movimento Internazionale Eurasiatista (Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie, - M.E.D.). Alle manifestazioni del M.E.D. si affiancano quelle dell’Unione della Gioventù Eurasiatista (Evrazijskij Sojuz Molodëži, - E.S.M.), molto attiva e dinamica su numerosi fronti (presentazioni di E.S.M. nelle sedi universitarie, dimostrazioni, ecc.). Questo primo numero presenta alcune immagini, tratte dal sito del ESM (http://www.rossia3.ru), del picchetto svoltosi a Kiev a partire dal 4 Agosto. La manifestazione si inserisce nel solco della lotta ai regimi filo-atlantisti (anti-russi) creati con le “rivoluzioni colorate” (da Giugno i giovani di ESM hanno compiuto diverse manifestazioni, in particolare in Russia davanti alle ambasciate di Georgia, Polonia, Ucraina e Moldova). Per i giovani di ESM è stata anche l’occasione per smentire la solita disinformazione ad opera dei Media atlantisti a proposito del “noto” odio tra Ucraini e Russi (il titolo del nostro capitolo, preso “a prestito” dal sito russo di E.S.M., è alquanto “rivelatore” di questo sentimento…). Alla manifestazione di Kiev hanno infatti preso parte i giovani di ESM (dalla Russia), ESMu (la neonata sezione ucraina di ESM con sedi principali a Kiev e Khar’kov) assieme a diversi membri del movimento ucraino Bratstvo (“Fratellanza”, il cui vessillo è rappresentato da una icona in campo rosso), i quali hanno montato un vero e proprio campo (Евразийский город солнца, la “città eurasiatista del sole”) nel centro del potere politico ucraino; tra le tende da campeggio sventolavano il vessillo nazionale ucraino e quello del ESM, la “stella dell’espansione assoluta” gialla in campo nero. Come il ESM, anche “Bratstvo” riportava puntualmente la notizia dal suo sito Internet “http://www.bratstvo.info” (accessibile in due lingue, ucraino o russo): “JUŠČENKO DIMETTITI! Il 4 agosto l’Unione della Gioventù Eurasiatista, con l’appoggio di Bratstvo ha iniziato a Kiev una serie di azioni di protesta, ragione fondamentale la richiesta delle dimissioni di Juščenko…”. La prima azione era prevista presso la sede del consiglio dei ministri e si accompagnava al tentativo dei presenti di fare l’ingresso nel palazzo, ma senza successo e riportando anche contusioni”. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 20 Delle manifestazioni ha dato particolare risalto l’agenzia di stampa RIA Novosti (http://www.rian.ru), presso la quale si è svolta la conferenza stampa che ha visto la presenza accanto ad alcuni manifestanti di due alte cariche di MED, Valerij Korovin (Ufficio Stampa) e Pavel Zarifullin (Segretariato). Il 10 Agosto è stata invece la volta dell’ambasciata ucraina in Russia, attraverso la manifestazione di E.S.M. “uno schiaffo estetico al regime Juščenko: il picchetto all’ambasciata ucraina”, con la presenza tra gli altri del responsabile dell’Ufficio Stampa del MED Valerij Korovin (foto a lato). I manifestanti hanno mostrato una bandiera americana con i colori nazionali ucraini e striscioni indirizzati particolarmente a Juščenko (“U$CHENKO”, “Juščenko tra i presidenti americani”…). Per altri dettagli sull’iniziativa: ! http://www.rossia3.ru ! http://eurasia.org.ua ! http://www.bratstvo.info IN MEMORIAM Dragos Kalajic dal sito ”www.eurasia-rivista.org” – La Redazione di Eurasia Venerdì 22 luglio è morto a Belgrado, all'età di 62 anni, Dragos Kalajic. Diplomato presso l'Accademia di Belle Arti di Roma in storia dell'arte, fin dagli anni Sessanta Dragos Kalajic aveva attivamente partecipato alla vita culturale e politica jugoslava. Tra il 1992 e il 1995 era stato corrispondente di guerra in Croazia e in BosniaErzegovina. La sua intensa attività di saggista e di analista politico gli valse numerosi riconoscimenti, tra i quali, nel 1994, il premio annuale dell'Associazione degli Scrittori Russi, che lo nominò proprio membro onorario. In Russia, Dragos Kalajic fece parte della redazione di "Elementy", la rivista fondata e diretta da Aleksandr Dugin. Senatore della Repubblica Serba (in Bosnia-Erzegovina), nel 1997 aveva fondato, assieme ad alti ufficiali dell'esercito jugoslavo, l'Istituto di Studi Geopolitici. In Italia, nel periodo che lo vide impegnato a difendere davanti all'opinione pubblica le ragioni della Serbia aggredita e devastata dai barbari d'Oltreoceano e dai loro collaborazionisti "europei", Dragos Kalajic rilasciò una lunga intervista a Tiberio Graziani, che fu pubblicata nel "quaderno del Veltro" intitolato Serbia, trincea d'Europa (1999). Per le Edizioni all'insegna del Veltro scrisse anche un saggio su uno scrittore ungherese molto amato dai Serbi: Béla Hamvas (in: B. Hamvas, Guerra e poesia, Parma 2003). La redazione di "Eurasia", alla quale Dragos Kalajic ha collaborato scrivendo per il n. 2/2005 il saggio intitolato Razzismo antieuropeo: i pregiudizi russofobici, nel presentare alla famiglia le proprie condoglianze, si dichiara orgogliosa di avere avuto tra i suoi componenti un uomo della sua levatura morale e intellettuale. dal sito “www.evrazia.org” – Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie DRAGOS KALAJIC - ETERNA MEMORIA AD UN EROE! Il 22 luglio a Belgrado dopo una lunga e grave malattia all’età di 62 anni si è spento il nostro amico fraterno, uomo di ideali a noi comuni, grande eurasiatista, scrittore e artista serbo Dragos Kalajic. […] Conobbe di persona Alain de Benoist, pubblicò sul russo “Elementy”. In tutti questi anni mantenne stretti contatti con Aleksandr Dugin, legato da una cordiale ed amichevole conoscenza, e da affinità di ideali. Su invito di Kalajic Dugin visitò la Serbia, la Srpska Krajina e la Republika Srpska nell’anno 1992, insieme percorsero il fronte di guerra di un paese lacerato e devoto. Si incontrò con Radovan Karadžic, il Generale Milan Panic, Vojslav Šešelj ed altri eroi della Serbia, che i “globalisti” hanno annoverato prontamente come “nemici del genere umano”. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 21 Metropolit Andrian di Luca Bionda Il 10 Agosto l’agenzia di stampa russa Itar-Tass ha riportato la notizia della morte per infarto, a soli 55 anni, del Metropolita Andrian, membro dell’Alto Consiglio del Movimento Internazionale Eurasiatista e capo della Chiesa Ortodossa Russa, la più importante tra le 14 chiese autocefale ortodosse. La Chiesa Ortodossa Russa gode infatti di una autonomia amministrativa dalla Chiesa madre, pur rimanendovi ovviamente legata nel dogma, nella liturgia e nel culto; essa rappresenta in Russia una comunità numerosa, fedele alle forme religiose tradizionali parzialmente scomparse nella Chiesa madre in seguito alle riforme liturgiche operate dal Patriarca Nikon nella seconda metà del XVII Secolo. Andrian Četvergov (nella foto, a destra, assieme ad Aleksandr Dugin) assunse la guida della Chiesa Ortodossa Russa nel 2004; consapevole dell’importante ruolo della Chiesa nel processo di elevazione spirituale del popolo e nella difesa delle tradizioni, Andrian fu fautore del rinnovato dialogo della sua comunità con il Patriarcato di Mosca. Nell’Ottobre dello scorso anno si svolse infatti il Sinodo delIa Chiesa Ortodossa Russa, in cui la prospettiva del riavvicinamento al Patriarcato di Mosca fu sostenuta in particolare dal Metropolit Kirill; in tale occasione Andrian indicò la via da percorrere per la comunità tradizionalista, sostenendo l’opportunità da parte del Patriarcato di Mosca di ripensare alle innovazioni del Patriarca Nikon e riconoscere la liturgia dei cosiddetti Vecchi Credenti (Starovery), come vengono appunto indicati gli ortodossi “tradizionalisti”. Andrian vide anche nel dialogo con la Chiesa madre l’occasione per combattere il settarismo e l’estremismo religioso dilagante, attraverso una auspicabile intesa con le autorità statali della Russia. Il Patriarca Aleksej II si è detto vicino al dolore dei fedeli appartenenti alla comunità “separata”, la quale conoscerà entro 40 giorni la nuova guida della Chiesa Ortodossa Russa. Il Movimento Internazionale Eurasiatista perde quindi uno tra i suoi alti consiglieri più seguiti all’interno delle comunità religiose, uomo di notevole sostegno al dialogo interconfessionale. LIBRI E RIVISTE - RECENSIONI Aleksandr Dugin, Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia , Nuove Idee, 2004 recensione di Rodolfo Monacelli Per chi ben vuole intendere cosa sia l’Eurasiatismo è uscito nel 2004 un interessante libro di Aleksandr Dugin: Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia pubblicato dalla Casa Editrice Nuove Idee. Il libro - attraverso numerosi saggi del filosofo russo: "Pietre miliari dell'Eurasismo"; "Manifesto del Movimento Eurasista"; "La visione eurasista. Princìpi di base della piattaforma dottrinale eurasista"; "La sfida della Russia e la ricerca dell'identità"; "I princìpi fondamentali della politica eurasista"; "Il Nazional Bolscevismo"(da non confondere con l’attuale Nazionalbolscevismo di Limonov oramai attestato su posizioni dichiaratamente filoamericane); "L'Eurasia si farà e si sta già facendo"; "Finanziarismo"; "Aspetti geopolitici del sistema finanziario mondiale"; "Il paradigma della fine" spiega in maniera esemplare l’attuale riemergere dell’Eurasiatismo, o meglio del Neo-Eurasiatismo. Una corrente d’idee che prende spunto dal pensiero di alcuni esponenti del dissenso sovietico (Igor’ Šafarevič e, soprattutto, Aleksandr Solžénicin) e dal nascente nazionalismo russo. Il Neo-eurasiatismo è, però, anche molto altro: un filone di pensiero che, secondo le parole dello stesso Dugin, rappresenta «una dottrina dalle radici antiche che si fonda, in primo luogo, su un mito politico. Il mito dell’Eurasia come continente geopolitico posto tra Oriente ed Occidente, senza appartenere compiutamente né all’uno né all’altro, ma formando una sintesi creativa dei caratteri (migliori) di entrambi. Eurasiatismo significa, quindi, superamento delle angustie del vecchio e del nuovo nazionalismo russo e dello stesso panslavismo […] come la grande sintesi tra i popoli europei slavo-germanici da un lato e le genti turco-mongole dall’altro. Sintesi etnica ma anche, e soprattutto, culturale che ha generato nei secoli le specificità dei Grandi Russi e della loro cultura». Un filone di pensiero che, dunque, sempre secondo le parole di Dugin, è: «una filosofia, un progetto geopolitico, una teoria economica, un movimento spirituale, un nucleo per consolidare un largo spettro di forze politiche. L'eurasismo è libero da qualsiasi forma di dogmatismo, da ogni cieca sottomissione ad autorità o ideologie del passato. L'eurasismo è la piattaforma ideale degli abitanti del mondo nuovo, per i quali le dispute, le guerre, i conflitti e i miti del passato non hanno alcun interesse storico. L'eurasismo come principio è la nuova filosofia per le nuove generazioni del nuovo millennio. L'eurasismo trae la sua ispirazione da diverse dottrine filosofiche, politiche e spirituali, che fin ad oggi Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 22 sembravano inconciliabili ed incompatibili» avendo come obiettivo il superamento del progetto mondiale unipolare. Un’opposizione, però, non solo “negativa”, ma anche costruttiva il cui scopo è, infatti, quello di essere coscienti dei processi storici, «di prendervi parte e di condurli nella direzione che corrisponde agli ideali» dell'Eurasiatismo. Un filone di pensiero che non è, però, solo un sogno o una splendida utopia, tanto che – come ben fa notare Andrea Marcigliano nell’ottima introduzione – oggi sembra riuscire a esercitare un’importante influenza sulla politica russa e sugli stessi ambienti del Cremlino pur non essendo Putin certo un eurasiatista, ma un uomo la cui ascesa alla Presidenza della Federazione Russa potrà portare la Russia fuori dalla crisi dell’Era El'cin ridandole un ruolo ed un prestigio internazionale e, conseguentemente, ridare una speranza all’intera Europa. E, difatti, «ogni osservatore attento non mancherà di rilevare come nella complessa – e sovente contraddittoria – politica internazionale del Cremlino siano oggi ravvisabili i segni di influenze e suggestioni della teoria eurasista». Aleksandr Dugin, Continente Russia, Edizioni all'Insegna del Veltro, Parma 1991 recensione di Daniele Scalea Continente Russia è la prima opera di Aleksandr Dugin pubblicata in Italia, nell'ormai lontano novembre 1991. È importante sottolineare la data di pubblicazione, essendo questa d'alcuni anni precedente la nascita della concezione neoeurasiatista e della corrispondente formulazione geopolitica; non a caso, il termine "Eurasia" appare solo occasionalmente entro il centinaio di pagine dell'opera, e mai su esso è posta alcuna enfasi. Continente Russia è un libro prevalentemente filosofico, dove anche le tematiche geopolitiche, pur presenti, sono trattate da un punto di vista non tecnico, ma metafisico e atemporale. I cinque saggi in esso contenuti risalgono al 1990, e furono destinati alla pubblicazione su periodici moscoviti o alla diffusione in samizdat. In tale periodo, Dugin aveva da poco creato il "Centro Storico Filosofico" EON e l'omonima casa editrice, poi ribattezzata "Arktogaia": lo scopo era quello di fornire le necessarie conoscenze culturali e spirituali alla élite postsovietica, per concorrere alla rinascita della Russia dopo il drammatico sfracello dell'Unione Sovietica, repentinamente collassata su se stessa. Naturalmente, di lì a poco Dugin e il suo circolo avrebbero subìto una brutale disillusione, accorgendosi di come la classe dirigente russa fosse più interessata al volgare affarismo che alle sorti del popolo; ma come sappiamo, tale stato di cose non fermò l'opera del pensatore russo, altrove sommariamente descritta. Il primo saggio di Continente Russia è quello che dà il titolo all'intera opera. Il campo in cui si muove la trattazione è quello della "geografia sacra", intesa come lo studio dei simboli e degli archetipi geografici presenti nella mente e nell'esperienza umana. Dugin riconosce un tale valore simbolico alla Russia, un «Continente Interiore» secondo l'espressione di Sergej Esenin, del quale l'Autore vuole scovare la struttura archetipica, che considera «un paradigma formatore e strutturatore del cosmo spazio-temporale circostante e non il suo semplice riflesso». Tale specificità paradigmatica Dugin la ritrova nel linguaggio simbolico dei miti antichi indoeuropei, nei quali il territorio russo occupa una posizione centralissima, che si ricava logicamente dalle corrispondenze astronomiche e astrologiche illustrate dall'Autore. In tal modo, Dugin spiega il mistero del "patriottismo russo": come riflesso d'un destino cosmico, che perciò stesso non può essere chiamato "nazionalismo". Tale forza interiore della Russia esercita il proprio influsso sul mondo intero, esprimendosi come lotta dialettica tra due princìpi eguali ma di segno contrario, il "bianco" (sacro) e il "rosso" (antisacro). "Continente Russia" trova dichiaratamente il proprio seguito nel saggio successivo, "L'inconscio dell'Eurasia", il quale si propone di delineare le prospettive dello studio della "questione russa" dal punto di vista geopolitico, «uscendo dalle frontiere della Russia, vista sia come Stato storico sia come Stato mitico». Dugin riprende le teorie dei rappresentanti della scuola eurasiatista («senza dubbio i pensatori russi più importanti di questo secolo e quelli che elaborarono i più importanti concetti circa il destino della Russia»), in particolare per quanto concerne l'importanza e la valutazione positiva dell'influsso turco-mongolo sulla Russia, che gli è debitrice del «turanismo, psico-ideologia imperiale nomade». Di tutti i saggi presenti nel volume, questo è senz'altro il più eurasiatista. La prospettiva scivola poi dall'Eurasia al suo acerrimo nemico, l'America, nella dissertazione intitolata: "‘Terra Verde’: l'America", che cerca d'individuare la missione dell'ultima superpotenza mondiale, alla luce della geografia sacra. L'analisi si dirime ancora ripescando nella comparazione linguistica, nella psicologia umana e nel mito antico, e giunge anche a fornire un'affascinante ipotesi sul potere persuasivo e attrattivo degli USA: ipotesi che lasciamo di scoprire al lettore. Ne "l'Impero sovietico e i nazionalismi nel periodo della perestrojka", Dugin illustra quelle che considera ambiguità e paradossi dell'esperienza comunista (e i suoi giudizi complessivi, pur comprensibili e spesso anche condivisibili, individuano ancora una certa lontananza dalla stagione della formulazione dell'ideologia nazionalbolscevica). Come sappiamo, per Dugin il termine "impero" ha una valenza positiva, in quanto - come già molti altri pensatori tradizionalisti denota la libera unione di popoli, stirpi e nazioni sotto la bandiera d'un ideale superiore, e dunque va assolutamente separato dalla nozione di "imperialismo", fenomeno meramente economico, sempre violento e arbitrario, e perlopiù caratteristico dell'epoca borghese. Chiaramente, l'URSS rispondeva positivamente ai suddetti criteri imperiali, ma Dugin nota come mancasse un reale "fattore superiore", di carattere non materiale e dunque immutabile, cui rimettersi; volendo, potremmo anche individuare in questa mancanza d'un saldo punto d'appoggio la repentina fine dell'Unione Sovietica. Ecco allora che l'URSS conservava - secondo l'Autore - i caratteri esteriori e organizzativi dell'impero, ma non la sua essenza. Sono proprio tali caratteri esteriori (la centralizzazione del potere supremo e l'unità geopolitica dello spazio postsovietico) che si sarebbero dovuti mantenere in quegli anni di transizione, rifiutando però la conformazione al mondo capitalista e ritrovando una base spirituale salda e sicura per il nuovo Impero, che avrebbe funto da polo di resistenza al mondialismo (l'imperialismo messianico statunitense più la globalizzazione del capitalismo). Come sappiamo, di ciò fu realizzato molto poco. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 23 Giungiamo infine all'ultimo saggio dell'opera, "Le radici metafisiche delle ideologie politiche". Dugin parte dal condivisibile assunto che attualmente non esiste alcuna chiara classificazione delle correnti politiche e ideologiche, e pertanto propone egli stesso una suddivisione valida, a suo parere, per tutte le epoche e tutte le culture, e che si rifà, appunto, alle radici metafisiche (anche inconsce) cui tali correnti si rifanno. Un primo tipo d'ideologia è quella "polareparadisiaca", che concepisce il cosmo come dominato da un Soggetto divino che si trova al suo centro. La realtà è riflesso del Soggetto, e dunque "paradisiaca": se tale assunto non è verificato, ciò dipende da un'anomalia che i seguaci di tale ideologia tentano di risolvere. Secondo Dugin, appartengono a questa tipologia il ghibellinismo, il fascismo e il nazionalsocialismo. La seconda ideologia, detta del "Creatore-creazione", posiziona il Soggetto in posizione periferica rispetto al cosmo, esule dal paradiso dopo aver commesso il peccato originale. Quest'ideologia è conservatrice, in quanto non crede di poter raggiungere Dio, ma neppure vuol perdere la possibilità d'intuirne i segni dell'esistenza tramite il creato: secondo Dugin, vi appartengono le grandi chiese monoteiste. L'ultima tipologia è quella del "materialismo mistico" o del "panteismo assoluto": il Soggetto è solo un infinitesima particella del cosmo, il quale a sua volta non rappresenta altro che se stesso; spesso i seguaci di questa visione sono evoluzionisti e progressisti e, chiaramente, si possono ritrovare nel positivismo e nel marxismo. COMUNICATI “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA” Gli attentati di Londra Il Coordinamento Progetto Eurasia esprime la sua più profonda solidarietà ai parenti delle vittime degli attentati di Londra del 7 luglio scorso. Queste vili azioni hanno evidentemente lo scopo di dare fiato ai fautori del cd. "scontro di civiltà" e scavare un fossato sempre più profondo tra l'Europa, il mondo musulmano e i popoli del Vicino Oriente. La spirale perversa "guerra terrorismo" degli ultimi anni è probabilmente il frutto di un disegno pianificato dagli strateghi mondialisti, il cui obiettivo è trascinare l'intera Europa nel pantano iracheno e nella prossima aggressione già programmata a Siria ed Iran. Nel condannare fermamente ogni tipo di violenza, il Coordinamento Progetto Eurasia sottolinea la necessità vitale per tutti i popoli europei di prendere le distanze non solo dagli attentati dinamitardi che hanno recentemente provocato lutti a Madrid e Londra ma anche dai bombardamenti terroristici, dalle torture e dalle persecuzioni che i guerrafondai anglo-americani hanno praticato in particolare dalla caduta del Muro di Berlino in poi verso tutte le nazioni ree di non voler sottostare al Nuovo Ordine Mondiale atlantista. I bambini, le donne e gli uomini iracheni, serbi, sudanesi, afghani, palestinesi, libanesi, meritano rispetto e giustizia esattamente quanto le vittime innocenti statunitensi, spagnole e inglesi. Il governo italiano prenda coscienza che la strada della guerra è foriera solo di nuovi lutti e ritiri immediatamente tutte le sue truppe di occupazione dalla ex - Jugoslavia, dall’Afghanistan, dall'Iraq, mostrando così di volere essere esempio per un futuro di cooperazione e pace tra i popoli. Per il C.P.E., Dott. Stefano Vernole NOTIZIE - APPUNTAMENTI Roma, 1-2 Ottobre resistenza irachena 2005: Conferenza Internazionale a sostegno della Fonte: Iraq Libero Come già annunciato, la Conferenza internazionale a sostegno della resistenza irachena si terrà a Roma sabato 1 e domenica 2 ottobre 2005. Di seguito pubblichiamo l'appello internazionale sottoscritto già da circa 60 organizzazioni di una trentina di paesi e le prime adesioni dall'Italia. APPELLO PER LA CONFERENZA INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DELLA RESISTENZA IRACHENA Sosteniamo la Resistenza irachena! Verso il quinto anniversario dell’Intifada: costruiamo un sostegno internazionale per la Resistenza irachena! Noi sottoscritti convochiamo una conferenza internazionale a sostegno della Resistenza irachena da svolgersi nei giorni 1-2 ottobre 2005, in coincidenza con l’anniversario dell’Intifada. La conferenza si svolgerà in Italia, dove l’opposizione popolare alla guerra e all’occupazione hanno dominato la scena, mentre il governo continua a essere uno dei più importanti alleati degli USA, fornendo circa 3.000 soldati occupanti. La guerra e l’occupazione dell’Iraq hanno incontrato una massiccia opposizione. Ma tutti coloro che si sono opposti alla guerra e all’occupazione dell’Iraq adesso devono andare avanti, sostenendo in maniera chiara la resistenza irachena che lotta per liberare la propria patria. Non è possibile da una parte essere contro l’occupazione, e dall’altra non sostenere l’impressionante resistenza che in Iraq cerca di scacciare gli occupanti. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 24 Facciamo un appello per il completo riconoscimento della resistenza popolare e armata dell’Iraq. La resistenza irachena è inclusiva di ogni corrente, a prescindere dalla sua posizione politica o religiosa, che resiste all’occupazione sotto il semplice slogan della liberazione della patria irachena. La resistenza del popolo iracheno contro l’occupazione imperialista include ogni forma di resistenza, comprese proteste, scioperi, disobbedienza civile, azioni dirette non violente e lotta armata. Inoltre, la resistenza del popolo iracheno contro l’occupazione è parte inseparabile del movimento popolare sul piano internazionale di resistenza e lotta conto gli imperialismi, il sionismo e ogni forma di reazione. Né le “elezioni” sponsorizzate dagli USA né lo slogan della “democrazia” sono in grado di mascherare la realtà. Dietro le marionette irachene, si trova il regime degli USA, rappresentato dalla gigantesca ambasciata americana nella “Zona verde” di Baghdad. Mentre prosegue il “processo elettorale”, si deruba l’Iraq delle sue risorse petrolifere. Si saccheggiano i suoi tesori culturali. Nel frattempo, un numero crescente di iracheni soffre della mancanza di cibo, di acqua e di corrente. Ogni opposizione politica viene soffocata brutalmente. Fino alle “elezioni”, le carceri sono state piene, con cinquanta arresti al giorno. L’Iraq è diventato il nuovo simbolo tanto della sofferenza quanto della resistenza della nazione araba. La resistenza irachena è all’avanguardia nel movimento contro l’egemonia americana nel Medio Oriente e nel mondo. La resistenza ha dato nuova speranza all’Intifada palestinese, entrata nel quinto anno della sua lotta contro la brutale occupazione sionista. Ha dato nuove speranze ai milioni che ancora vivono nei campi profughi in Libano, Siria e Giordania. E ha ispirato le masse arabe che lottano per abbattere i regimi fedeli agli USA nel Medio Oriente. Noi ci dobbiamo raccogliere attorno alla resistenza irachena, perché è il polo principale in grado di fermare l’assalto dell’imperialismo nel Medio Oriente. La lotta per la liberazione dell’Iraq non è solo una lotta per gli iracheni, ma per tutto il mondo. Le masse in Iraq stanno lottando contro lo stesso “Progetto di un nuovo secolo americano”. Grazie alla resistenza irachena, Bush e i guerrafondai americani non hanno potuto procedere all’attacco contro la Siria, la Corea, l’Iran e il Venezuela. Le potenze imperialiste guidate dagli USA hanno cercato di inserire un cuneo tra il popolo iracheno e mediorientale da una parte, e il movimento contro la guerra e la globalizzazione in Occidente dall’altra, usando la retorica dello “scontro di civiltà” e della “guerra al terrorismo”. Hanno cercato di demonizzare la lotta del popolo iracheno, chiamandola “terrorismo”. In realtà, è la guerra d’aggressione e di occupazione a essere illegale e criminale. La resistenza armata del popolo iracheno contro quella guerra illegale e criminale è giusta e legittima. La conferenza internazionale che noi proponiamo ha lo scopo di riunire rappresentanti della resistenza irachena e dei popoli del Medio Oriente in lotta assieme alle forze del movimento contro la guerra e la globalizzazione. Speriamo così di rafforzare l’unità tra i popoli che lottano per l’autodeterminazione nazionale e i lavoratori dell’Occidente che soffrono sotto il giogo dei propri governi, impegnati in avventure di guerra e saccheggio all’estero. ! ! ! ! Sostegno e riconoscimento della Resistenza irachena! Rilascio di tutti i prigionieri politici, ritiro di tutte le truppe straniere, riparazioni per le sanzioni e il saccheggio! Lottiamo contro l’egemonia statunitense e israeliana in tutto il Medio Oriente, e a favore della vittoria della Resistenza irachena e dell’Intifada palestinese! Facciamo entrare la voce della resistenza nel movimento contro la guerra e la globalizzazione! Adesioni al 30 aprile 2005 (in inglese) Iraq: Iraqi Patriotic Alliance IPA, Patriotic Democratic Communist Current, People's Struggle Movement (Al Kifah), Iraqi Flame (Wahaj el-Iraq). Pro Iraqi and Arab solidarity associations: Danish Committee for a Free Iraq, Comité français de la Conférence internationale de solidarité avec la résistance du peuple irakien, Free Iraq Committee Austria, Free Iraq Committee Germany, Free Iraq Committee Hungary, Free Iraq Committee Italy, Free Iraq Committee Norway, Greek Initiative for Solidarity to Iraqi Resistance, Iraq Committee Lund (Sweden), Iraq Committee Malmö (Sweden), Solidarity Committee for the Arab Cause Spain (CSCA), Spanish Campaign against Occupation and for the Sovereignty of Iraq (SCOSI), Mohammed Belfilalya (President of the Young Arab Progressives, Belgium), Ginette Hess Skandrani (President of the solidarity network with Palestinian People "La Pierre et L'Olivier", France). International organisations: Anti-imperialist Camp, International League of People’s Struggle (ILPS), International Leninist Current (ILS), Organisation of Solidarity of the People of Asia, Africa and Latin America (OSPAAAL). Arab World, Middle East: Al-Moharer, Dr. Hisham Bustani, Anti-Normalisation Committee (Jordan), Movement Loyalty to Men and Earth (Lebanon), Ozgur Der (Turkey), Toufan (Iran), Unified Socialist Left (GSU) – Maroc, Chokri Latif, Popular Committee for the Support to the Palestinian People and the Struggle against the Normalisation with the Zionist Enemy (Tunisia), Anti-imperialist Youth Committee against Globalisation (Tunisia). Europe: Action Circle March 24 Thuringia Germany, AGIF – Europa, Arab Palestine Club Vienna Austria (APC), Communist Party of Greece Marxist-Leninist (KKEml), Franz Fischer (Anti-imperialist Group, Switzerland), Friends of the Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP) in Europe, German Communist Party (DKP) Thuringia, Human Rights and Dignity (HDR) – Germany, Initiativ e.V. Duisburg – Germany, International Committee to Defend Slobodan Milosevic (Irish Section), Left Front Hungary, Militant Movement of Students Greece, National Peace Council Bulgaria, Offensiv Germany, Patriotic Socialist People's Front – Poland, Red Table East Thuringia Germany, Revolutionary Communist League (RKL) Thuringia Germany, Russian Anti-Globalists, Union of Working People Greece. Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 25 Asia: Afghanistan Socialist Association (ASA), All Indian People's Resistance Forum (AIPRF), Chandraprakash Jha (General Secretary, Peoples Media, India), Communist Mazdoor Kisan Party Pakistan (CMKP), Kamal Mitra Chenoy (Vice President, All India Peace & Solidarity Organisation (AIPSO)), Left Radicals of Afghanistan (LRA), Lokayat (Pune, India), Muslim Youth of India (MY INDIA), People's Democratic Party Indonesia (PRD). America: Freedom Socialist Party (USA) Africa: Action for Unity and Socialisme (Tchad) Un primo elenco di adesioni dall'Italia: COMITATI IRAQ LIBERO Italia, LABORATORIO MARXISTA - Zona apuoversiliese, AGINFORM, UTOPIA ROSSA, SOCCORSO POPOLARE Padova, CAMPO ANTIMPERIALISTA Italia, ISTITUTO PEDAGOGICO DELLA RESISTENZA, PROLETARI COMUNISTI, L.U.P.O. (Lotta di Unità Proletaria) – Osimo, CIRCOLO ISKRA – Viareggio, ASSOCIAZIONE ITALO-ARABA ASSADAKAH – Roma, CARC, UMBRIA CONTRO LA GUERRA, LEGITTIMA DIFESA, COLLETTIVO IQBAL MASIQ – Lecce, CSPAL (Comitato di Solidarietà con i Popoli dell’America Latina), CONSURTA COMUNISTA SARDA, ASSOCIAZIONE PRIMO MAGGIO – Vicenza, RIVISTA “ERETICA”, UMBRIA ROSSA, PRIMOMAGGIO (Foglio di collegamento tra lavoratori precari e disoccupati della zona apuo-versiliese), ANTIMPERIALISTI MARCHE. PER ADESIONI E INFORMAZIONI: [email protected] Settembre 2005 - Anno I, Numero 1 26