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Bollettino informatico del “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA”
Settembre 2005, Anno I, Numero 1
SPECIALE: L’EURASIATISMO
EDITORIALE
(di Daniele Scalea)
SPECIALE: I FONDAMENTI
DELL’EURASIA
Pag.2: Le tappe del pensiero
eurasiatista (di Claudio Mutti)
Pag.5: Biografia di Aleksandr Dugin
(di Daniele Scalea)
Pag.7: Movimento Internazionale
Eurasiatista
Pag.8: L’idea eurasiatista
(di Aleksandr Dugin)
Pag.13: Eurasia, rivista di studi
geopolitici - presentazione
ARTICOLI:
Pag.14: Attacco all’Europa?
(di Daniele Scalea)
Pag.15: Kirghizistan, è solo l’inizio
(di Aleksej Makarkin)
Pag.16: Khodorkovskij story
(di Maurizio Blondet)
“Gli eurasiatisti credono che ogni
popolo al mondo - da quelli che
hanno edificato grandi civilità fino ai
più piccoli, gelosamente custodi
delle loro tradizioni - sia un valore
inestimabile. La loro assimilazione
ad influenze esterne, la perdita del
linguaggio o dello stile di vita
tradizionale, e l’estinzione fisica di
uno qualunque dei popoli presenti
sulla Terra è una perdita irreparabile
per l’umanità tutta. Gli eurasiatisti
chiamano la profusione di popoli,
culture e tradizioni, la “fiorente
complessità”, segno d’armonico e
salutare sviluppo della civiltà umana”.
(A.G.Dugin)
Pag.18: Falsa guerra contro il terrore
e vera guerra globale (di Yves Bataille)
NOTIZIE DAL MOVIMENTO
INTERNAZIONALE EURASIATISTA
Pag.20: “Gloria alla Grande Ucraina,
componente d’Eurasia” (di Luca Bionda)
IN MEMORIAM
Pag.21: D. Kalajic, Metropolit Andrian
LIBRI E RIVISTE - RECENSIONI
Pag.22: “Eurasia, la rivoluzione
conservatrice in Russia (A.Dugin)”
(di Rodolfo Monacelli)
Pag.23: “Continente Russia (A.Dugin)”
(di Daniele Scalea)
COMUNICATI C.P.E.
Pag.24: Gli attentati di Londra
(di Stefano Vernole)
NOTIZIE - APPUNTAMENTI
Pag.24: Conferenza Internazionale a
sostegno della Resistenza irachena
Vietato ogni sfruttamento commerciale
del presente bollettino. Permessa
(ed incoraggiata!) la diffusione gratuita
CONTINENTE EURASIA
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EDITORIALE
E' passato oltre un anno e mezzo da quando, affascinato dalle idee eurasiatiste, diedi vita alla rivista
telematica "La Nazione Eurasia", che molto probabilmente è nota alla maggior parte dei lettori di queste
pagine. L'idea eurasiatica, che mi ha guidato in quei diciotto mesi circa, è un'idea di pace, fratellanza e
solidarietà tra i popoli; è l'idea d'un mondo dove ogni nazione possa decidere autonomamente del proprio
destino, dove la sopravvivenza d'ogni cultura, tradizione e religione, anche le più minute, siano impegno di
tutte le genti. E', naturalmente, anche l'idea che il continente eurasiatico, perno della storia mondiale, dietro
alle differenze geografiche, etniche, culturali, confessionali, nasconda in realtà un'intima "unità spirituale"
(secondo le parole di Giuseppe Tucci) che, rimanendo sempre presente nelle menti delle sue future
generazioni, potrebbe evitare i tragici errori che hanno portato, in quest'epoca, la federazione
nordamericana e gli altri paesi anglosassoni a minacciare la libertà e l'esistenza stessa di tutto il resto del
mondo!
Un'idea che non si ferma al mero piano filosofico, ma trova un'espressione pratica e concreta in
campo geopolitico, dove propone soluzioni tangibili e realizzabili. Ma i contenuti di quest'idea ci sarà tempo
di descriverli, svilupparli e idearli - anche sulle pagine di "Continente Eurasia". Questa rivista s'inserisce
chiaramente nel solco già tracciato da "La Nazione Eurasia", ma con l'intenzione di correggere tutti gli
errori e le storture di quella, e di garantirsi un successo ancora maggiore: questo è il proposito dei nuovi
redattori che si sono stoicamente assunti l'onere di portare avanti tale progetto. "Continente Eurasia", a
pari della predecessore, rientra nel contesto del Coordinamento Progetto Eurasia, l'organizzazione italiana
affiliata al Movimento Eurasiatista Internazionale che s'occupa di diffondere, discutere, sviluppare e
implementare l'idea eurasiatista sotto tutti i suoi aspetti, e in tutti gli ambiti possibili. La speranza mia e dei
redattori di "Continente Eurasia", è che gli sforzi in tal senso compiuti dalla presente rivista possano
ottenere il riconoscimento e il gradimento del pubblico: che - ne sono certo - i suoi autori sapranno
meritarsi ampiamente.
“Continente Eurasia” nasce con il primo numero affrontando in modo particolare la presentazione
dell’Eurasiatismo e dei suoi teorici e studiosi fondamentali, attraverso una serie di documenti che
costituiscono l’inserto “speciale” nella prima parte della pubblicazione.
Questo primo numero di Continente Eurasia è dedicato alla memoria di Dragos Kalajic (scrittore ed
eurasiatista serbo) e del Metropolita Andrian (autorità religiosa, capo della Chiesa Ortodossa Russa e
membro dell’Alto consiglio del Movimento Internazionale Eurasiatista), scomparsi nei mesi di luglio e
agosto di quest’anno.
Daniele Scalea
“LISTA EURASIA” - lista di discussione; per iscriversi, inviare un messaggio a:
[email protected]
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
1
SPECIALE: I FONDAMENTI DELL’EURASIA
Le tappe del pensiero eurasiatista
di Claudio Mutti
1. Konstantin Leont’ev
Chi si occupi dello sviluppo storico del pensiero
eurasiatista non può ignorare Konstantin Leont’ev, il cui
capolavoro, Vizantinism i slavjanstvo (trad. it.
Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del
Veltro
1987), può ben rappresentare la fase
preliminare di tale indirizzo di pensiero. Infatti
quest’opera, in cui viene esposta una concezione
morfologistica della storia che ricorda Ibn Khaldun e
preannuncia Toynbee, vide la luce nel 1875,
quarant’anni prima dello spengleriano Untergang des
Abendlandes. Prima che Spengler opponesse la
concezione di una molteplicità di cicli di civiltà alla
boriosa rappresentazione eurocentrista, già Leont’ev
aveva dunque osservato la nascita e il tramonto delle
varie forme storico-culturali, fino a convincersi
dell’imminente estinzione della civiltà “occidentale” per
effetto di un inevitabile processo degenerativo. Prima
che
Spengler,
ripudiando
l’eurocentrismo
e
reintegrando nei loro diritti le culture extraeuropee,
facesse piazza pulita di quello che René Guénon
avrebbe di lì a poco chiamato “il pregiudizio classico”,
Konstantin Leont’ev considerava la civiltà dell’antica
Persia in maniera ben diversa da come veniva
insegnata nelle scuole russe (e non solo russe) del sec.
XIX, all’insegna di una retorica della “libertà” che ai
“barbari dell’Oriente” ha riservato solo incomprensione
e disprezzo.
Ma una differenza rilevante fra Spengler e
Leont’ev risiede nella valutazione di una civiltà che per
lo studioso russo costituisce un oggetto d’indagine
privilegiato: quella bizantina. È stato giustamente notato
che “la scienza storica europea ha per secoli
considerato Bisanzio null’altro che una inoriginale e
sterile sopravvivenza del mondo greco-latino, asservita
per di più (peccato capitale agli occhi di uno storico
liberale) ad un ‘retrivo’ ideale religioso e monarchico.
Generazioni di studiosi e di lettori occidentali hanno
incessantemente tramandato una quantità di pregiudizi
su Bisanzio, che, non somigliante né alla civiltà classica
né all’Europa moderna, si sarebbe distinta solo per
bigottismo, crudeltà e ristrettezza spirituale” (1). Lo
stesso Spengler, se da un lato fa rientrare il mondo
bizantino nell’”estate” di quella Kultur che egli, con un
caratteristico termine del suo vocabolario, chiama
“araba”, dall’altro vede nel “bizantinismo” un fenomeno
di Zivilisation, cioè di rinsecchimento e di irrigidimento
culturale. Leont’ev invece, che riprende la sistemazione
tipologica delle civiltà fatta da Danilevskij, aggiunge ai
dieci cicli storico-culturali compresi in tale sistemazione
un undicesimo ciclo: quello bizantino, per l’appunto,
inteso come “particolare ed autonomo tipo culturale
avente propri caratteri distintivi e propri princìpi
generali” (2). Il bizantinismo, per Leont’ev, non è
semplicemente un ciclo storico: è un’idea-forza, un
principio universale, l’unico in grado di modellare e
organizzare l’elemento “demotico” dell’area geografica
sottoposta alla sua giurisdizione, intervenendo su di
esso così come la forma agisce sulla materia.
A questo proposito, Nikolaj Berdjaev ha notato
che, nella visione di Leont’ev, “la verità e la bellezza del
popolo russo non si manifestavano nel genio delle
masse, bensì nelle discipline bizantine che organizzano
e plasmano questo genio a loro propria immagine” (3).
L’elemento popolare, comunque, si presta assai meglio
di quello borghese a recepire l’azione formatrice
dell’idea bizantina: “Un mugico – dice Berdjaev
parlando di Leont’ev – egli era pronto a idealizzarlo, se
non altro perché era il contrario di un piccolo borghese
(…) Nei Balcani, in Turchia, in Russia, l’aspetto
pittoresco e popolare della vita attirava la sua
attenzione (…) Vede nella comunità rurale un principio
idoneo a prevenire la minaccia del proletariato” (4). Lo
stesso Leont’ev confessa: “Il popolo e la nobiltà, i due
estremi, mi sono sempre piaciuti più del ceto medio dei
professori e degli scrittori che ero costretto a
frequentare a Mosca” (5).
Nazionalismo e panslavismo, dunque, non
possono riscuotere le sue simpatie, perché si tratta di
aspetti di “quel processo di democratizzazione liberale
che già da molto tempo lavora per la distruzione dei
grandi mondi culturali dell’Occidente. Eguaglianza di
persone, eguaglianza di classi, eguaglianza (cioè
uniformità) di province e di nazioni: si tratta sempre
dello stesso processo” (6). All’idea di nazione, Leont’ev
contrappone l’idea di comunità spirituale, sostenendone
la superiorità in termini provocatori: “il vescovo
ortodosso più crudele, anzi, il più vizioso (a qualunque
razza appartenga, anche se è solo un mongolo
battezzato) dovrebbe ai nostri occhi avere maggior
pregio di venti demagoghi e progressisti slavi” (7).
Il
panslavismo,
anche
quando
fa
strumentalmente appello alla solidarietà dei cristiani
contro il “giogo turco”, secondo lui non è altro che un
veicolo della mentalità antitradizionale e sovversiva
proveniente dall’Europa moderna. Contro questo
assalto disgregatore, Leont’ev indica come soluzione la
doppia barriera rappresentata dall’Ortodossia e
dall’Islam. “Leont’ev non era uno slavofilo, ma un
turcofilo” (8), dice Berdjaev, il quale riferisce con
malcelata indignazione che per lui “il giogo dei Turchi
impediva ai popoli balcanici di sprofondare
definitivamente nell’abisso del progresso democratico
europeo. Leont’ev considerava quel giogo come
salutare, perché favoriva il mantenimento dell’antica
Ortodossia in Oriente” (9). Prosegue Berdjaev con la
medesima indignazione: “Fa appello alla violenza dei
Tedeschi contro i Cechi così come si augura quella dei
Turchi contro gli Slavi dei Balcani: affinché il mondo
slavo non si imborghesisca per sempre. Non
desiderava la liberazione dei cristiani, ma la loro
schiavitù, la loro oppressione” (10). E ancora: “Vede
nell’idea di cacciare i Turchi un’idea né russa né slava,
ma un’idea democratica e liberale” (11); “credeva che
Costantinopoli non potesse essere se non russa o
turca; ma, se fosse caduta in mano agli Slavi, sarebbe
diventata una centrale rivoluzionaria” (12). In effetti, è lo
stesso Leont’ev a scrivere di aver capito, durante la sua
permanenza in Turchia in qualità di diplomatico dello
Zar, che, “se molti elementi slavi e ortodossi sono
ancora vivi in Oriente, è ai Turchi che ne siamo debitori”
(13).
Tra le civiltà tradizionali, solo quella islamica e
quella ortodossa, secondo Leont’ev, hanno un avvenire.
La Russia, in particolare, ha il compito di salvare la
vecchia Europa, ormai esausta; ma, per potere
svolgere questa funzione, la Russia deve tornare
all’idea bizantina e unirsi “con popoli asiatici e di
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religione non cristiana (…) per il semplice fatto che tra
di loro non è ancora irrimediabilmente penetrato lo
spirito dell’Europa moderna” (14).
2. Gli eurasiatisti degli anni Venti
Karl Radek, il “grande architetto del
riavvicinamento tra sovietici e nazisti” (15), che nel
celebre discorso del 20 giugno 1923 fece del giovane
caduto nazionalista Leo Schlageter “addirittura un eroe”
(16), nel 1920 a Bakù aveva già dato una prima
dimostrazione di spregiudicatezza, evocando lo spettro
di Gengis Khan davanti al Primo Congresso dei Popoli
dell’Oriente. “Compagni, - aveva detto il rappresentante
del Comintern - noi facciamo appello allo spirito
combattivo che in passato ha animato le genti
dell’Oriente quando, guidate da grandi conquistatori,
marciarono sull’Europa… Noi sappiamo, compagni, che
i nostri nemici ci accuseranno di aver evocato la
memoria di Gengis Khan, il grande conquistatore, e dei
grandi califfi dell’Islam… E quando i capitalisti europei
affermano che questa è la minaccia di una nuova
barbarie, di una nuova invasione unna, noi rispondiamo
loro: Viva l’Oriente Rosso!” (17). A quanto pare, Radek
non teneva in gran conto le tesi dell’occidentalista e
russofobo Karl Marx (18), il quale aveva indicato
nell’influsso mongolo-tartaro la causa essenziale
dell’arretratezza della Russia: “Nel fango insanguinato
della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza
dell’epoca normanna – aveva infatti scritto Marx - è
nata quella Moscovia di cui la Russia moderna altro non
è che una metamorfosi” (19).
Paradossalmente, il discorso di Radek ebbe
un’eco nelle parole pronunciate l’anno successivo dal
barone Roman Fëdorovic von Ungern Sternberg: “Le
tribù dei successori di Gengiskan si son deste. Nessuno
estinguerà il fuoco nel cuore dei Mongoli! Vi sarà un
grande stato nell’Asia, dall’Oceano Pacifico e
dall’Oceano Indiano alle rive del Volga (…) Verrà un
conquistatore, un capo, più forte e più deciso di
Gengiskan e di Ugadai, più abile e più buono del
sultano Baber” (20). “Personaggio totemico della
rinascita eurasista” (21), Ungern Khan riunì nella
propria persona “le forze segrete che avevano animato
le forme supreme della sacralità continentale: gli echi
dell’alleanza tra Goti e Unni, la fedeltà russa alla
tradizione orientale, il significato geopolitico della
Mongolia, patria di Gengis Khan” (22).
Così si esprime Aleksandr Dugin, il più noto tra
gli attuali esponenti di quel pensiero eurasiatista che
ebbe i suoi padri fondatori in Nikolaj S. Trubeckoj
(1890-1938), Georgij V. Vernadskij (1887-1973) e Pëtr
N. Savickij (1895-1965).
Il principe Nikolaj Sergeevič Trubeckoj nacque a
Mosca il 16 aprile 1890. Allievo fin dall’adolescenza del
folclorista, indoeuropeista e caucasologo Vsevolod F.
Miller, si iscrisse nel 1908 alla Facoltà di storia e
filologia di Mosca, dove studiò inizialmente
etnopsicologia e filosofia della storia, per passare poi al
dipartimento di filologia e interessarsi soprattutto di
lingue indoeuropee e caucasiche. Già a quindici anni,
d’altronde, il principe Nikolaj Sergeevič aveva dedicato
al canto finnico Kulto neito un articolo che fu il suo
primo contributo alla prestigiosa rivista “Etnologičeskoe
obozrenie”. Ricevuto l’incarico universitario nel 1915,
tenne un corso sulla linguistica comparata. Nell’estate
del 1917 partì per Kislovodsk, nel Caucaso. Dopo la
Rivoluzione d’Ottobre si trasferì a Tiflis, poi a Bakù e
infine a Rostov sul Don, dove insegnò grammatica
comparata. Nel 1920, in seguito all’ingresso dell’Armata
Rossa, si rifugiò in Crimea e poi a Istanbul. Tra il 1920
e il 1922 insegnò filologia indoeuropea a Sofia. Infine si
stabilì a Vienna, dove fu docente di filologia slava fino
alla morte, intervenuta il 25 giugno 1938 per una
malattia cardiaca congenita.
Non è questa la sede idonea per esporre i
principi della “nuova fonologia”, la dottrina linguistica
elaborata da Trubeckoj e dagli altri studiosi del Circolo
di Praga (23); quello che qui interessa è il Trubeckoj
filosofo della storia e teorico dell’eurasiatismo.
Trubeckoj aveva già elaborato le basi del suo pensiero
eurasiatista con il saggio Evropa i čelovečestvo
[L’Europa e l’umanità] (24), che apparve a Sofia nel
1920, dopo che lo storico Georgij Vernadskij e il
geografo ed economista Pëtr Savickij avevano già
pubblicato, prima della guerra, “degli studi che si
possono considerare proto-eurasisti” (25). Trubeckoj,
Vernadskij e Savickij avevano insomma gettato le basi
di una nuova visione della Russia, intesa come
espressione della “civiltà delle steppe”, erede degli
imperi di Gengis Khan e di Tamerlano. “Particolarmente
significativa è la loro valutazione positiva – inconsueta
nella cultura russa – dell’influsso tataro sulla Russia”
(26). Savickij, in particolare, arriverà ad affermare che
“senza tatari non ci sarebbe stata la Russia” (27).
Ma il vero e proprio “manifesto” dell’eurasiatismo
fu Ischod k Vostoku [La via d’uscita ad Oriente],
pubblicato a Sofia nel 1921 da una casa editrice russobulgara. Si trattava di un volume collettaneo, del quale
erano autori, oltre a Savickij e Trubeckoj, il musicologo
Pëtr Suvčinskij (1892-1985) e il teologo Georgij V.
Florovskij (1893-1973). Nikolaj S. Trubeckoj, in
particolare, contribuiva al volume con due saggi: Ob
istinnom i ložnom nacionalizme [Sul vero e sul falso
nazionalismo] e Verchi i nizy russkoj kul’tury [Il vertice e
la base della cultura russa]. Tutti gli autori esprimevano
l’idea fondamentale secondo cui i popoli della Russia e
delle regioni ad essa adiacenti in Europa ed in Asia
formano una unità naturale, in quanto sono legati tra
loro da affinità storiche e culturali. La cultura russa
veniva dunque vista non come una variante di quella
“occidentale”, ma come una realtà a sé stante. Fondata
sull’eredità greco-bizantina e sulla conquista mongola e
dunque identificabile come “eurasiatica”, secondo gli
autori questa realtà culturale era stata negata non solo
dalle riforme di Pietro il Grande e dalla classe politica
che aveva in seguito governato la Russia, ma anche
dalla corrente slavofila, che Trubeckoj accusava di voler
imitare l’Occidente. Quanto alla Rivoluzione bolscevica,
gli eurasiatisti la valutavano negativamente, ma si
proponevano di studiarne il significato nel contesto della
storia russa; Savickij, in particolare, vedeva nella
Rivoluzione d’Ottobre uno sviluppo di quella francese,
ma osservava che essa veniva a spostare verso
l’Oriente l’asse della storia universale. “Per gli
eurasiatisti, insomma, la Rivoluzione dell’ottobre 1917 è
una purificazione, un rinnovamento, una resurrezione
del vero spirito delle steppe tipico della cultura russa,
nonché il punto di partenza per il processo di
rinvigorimento della potenza dell’Eurasia” (28).
L’unità dell’Eurasia costituisce il tema centrale
dello studio L’eredità di Gengis Khan, che Trubeckoj,
firmandosi con lo pseudonimo “I. R.”, pubblicò nel 1925.
“L’Eurasia tutta – egli scrive – (…) rappresenta una
totalità unica, sia geografica sia antropologica. (…) Per
la sua stessa natura, l’Eurasia è storicamente destinata
a costituire una totalità unica. (…) L’unificazione storica
dell’Eurasia fu, fin dall’inizio, una necessità storica.
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Contemporaneamente, la natura stessa dell’Eurasia ha
indicato i mezzi di questa unificazione”.
L’indagine di Trubeckoj, la quale intende porre in
evidenza lo stretto rapporto che intercorre tra l’autentica
cultura russa e l’elemento turco-mongolo, si riporta ad
un preciso evento storico: l’unificazione del grande
spazio eurasiatico ad opera di Gengis Khan e dei suoi
successori. Tale impresa fu sviluppata da tre sovrani
che succedettero a Gengis Khan: Ögödai (1229-1241),
Güyük (1246-1248) e Mönkä (1251-1259), finché l’unità
mongola si sfasciò all’epoca di Qūbilāi (1260-1294).
Ultimo sovrano universale dei Mongoli, Qūbilāi portò i
Mongoli fino a Giava: soggiogatore della Cina, diventò il
primo imperatore di una nuova dinastia cinese, quella
degli Yüan.
Per restare alla Russia, fu nel 1223 che le
avanguardie mongole sconfissero sulle rive del fiume
Kalka le schiere russe e cumane, per poi tornare sulle
steppe da cui erano venute. L’immediato successore di
Gengis Khan, Ögödai, travolse il khanato bulgaro della
Volga; poi espugnò Rjazan’, Suzdal’ e Kiev,
sottomettendo tutti i principati russi. Il nipote di Gengis
Khan, Batu, fondò la dinastia dell’Orda d’Oro, che
aveva la sua capitale a Saraj sulla Volga; nella Russia
meridionale e nell’Asia centrale l’Orda d’Oro regnò su
un vasto stato e dominò per oltre due secoli la vita
politica ed economica russa: dal 1240 al 1480 anche i
ducati cristiani della Russia di nordest furono tributari di
questa dinastia mongola (o “tatara”, come la
chiamarono i Russi).
“Se la drammaticità della
conquista mongola non può essere messa in
discussione, le sue conseguenze sulla successiva
storia russa sono state interpretate nella maniera più
varia e contrastante. In Occidente l’influsso tataro, o
mongolo che dir si voglia, è stato quasi sempre valutato
negativamente,
come
la
causa
principale
dell’arretratezza e del dispotismo dello stato russo
rispetto all’Europa. (…) Già nello scorso secolo,
tuttavia, all’interno della storiografia russa si è affermata
una diversa e più positiva concezione del dominio
tataro. Secondo Solov’ëv e Kljucevskij, i tatari non solo
non avrebbero spezzato la continuità dell’evoluzione
storica della Russia, ma l’avrebbero dotata di quella
forte organizzazione statale che tanto era mancata
nell’epoca kieviana” (29). Trubeckoj e gli altri
eurasiatisti ripresero e svilupparono questa valutazione.
3. Lev Gumilëv
Lev Nikolaevič Gumilëv nacque il 1 ottobre 1912
a San Pietroburgo da un celebre poeta (Nikolaj
Stepanovič Gumilëv, fondatore del movimento
“acmeista”, fucilato nel 1921) e da un’ancor più celebre
poetessa, Anna Achmatova. Terminati gli studi nel
1930, fu respinto dall’università a causa delle sue origini
familiari, sicché dovette guadagnarsi da vivere come
operaio. Nel Pamir, dove lavorò come aiutante
scientifico, imparò il tagico e il kirghiso, frequentò sufi e
dervisci erranti. Ammesso nel 1934 alla facoltà di
orientalistica di Leningrado, fu arrestato per la prima
volta nel 1935. Tre anni dopo venne arrestato di nuovo,
quindi ricevette una condanna alla fucilazione che fu
commutata nei lavori forzati. Nel 1944 gli fu concesso di
arruolarsi come volontario in un battaglione di punizione
che prese parte all’assedio di Berlino. Riammesso
all’università nel 1945, l’anno successivo discute la tesi
di laurea, sulla storia politica del primo khanato turco
(546-659). Depennato dall’organico delle spedizioni
archeologiche per effetto del rapporto di Zdanov
sull’ideologia dell’arte, viene assunto come bibliotecario
presso l’ospedale psichiatrico di Leningrado. Nella
primavera del 1948 partecipa alla spedizione
archeologica nell’Altai, che porta alla luce il tumulo
d’oro di Pazyryk. “Già la sola partecipazione di Gumilëv
alla scoperta del tumulo gli varrebbe di diritto la fama
mondiale. L’arte scito-siberiana in stile zoomorfo
sarebbe divenuta un tema universalmente noto e
popolarissimo” (30). Nel 1948 è arrestato per la terza
volta e condannato a dieci anni di campo di confino
speciale, per attività controrivoluzionaria; nel 1956
viene rilasciato e riabilitato perché il fatto non sussiste.
Tornato a Leningrado, lavora alla biblioteca
dell’Ermitage e intanto porta a termine la tesi di
dottorato, sugli antichi Turchi. Assunto all’Istituto
Nazionale di Ricerca dell’Università leningradese, vi
lavora come collaboratore scientifico fino al 1986. “Nei
suoi ultimi anni di vita, che coincisero con quelli
dell’Urss, il ruolo di Gumilëv nella rinascita della
concezione eurasista fu immenso. I suoi volumi
vennero pubblicati in rapida sequenza e con tirature
altissime, ed egli acquisì una vasta fama all’interno
della cultura e della società russa. (…) La delusione per
la dissoluzione dell’Urss nel 1991 ebbe un effetto
disastroso sul morale di Gumilëv, che morì l’anno
successivo. Ormai, però, l’imponente successo delle
sue opere aveva contribuito in maniera decisiva alla
rinascita dell’eurasismo, divenuto rapidamente un tema
di forte interesse all’interno della cultura russa e di
alcune delle nuove repubbliche indipendenti” (31).
In Italia, la notizia della morte dello studioso
eurasiatista, avvenuta il 16 giugno 1992, apparve con
due settimane di ritardo (il 2 luglio) sulla “Stampa” di
Torino, che pubblicò un articolo di Lia Wainstein
intitolato: Figlio della Achmatova, profeta antisemita.
Sottotitolo: Il suo ideale: i Mongoli, perché “evitano
contatti con gli Ebrei”. L’autrice dell’articolo interpretava
il pensiero di Gumilëv come una manifestazione di
“delirio antioccidentale”: ché altrimenti non si
spiegherebbe, secondo lei, la “rivalutazione positiva del
ruolo avuto dai popoli mongoli e turchi nella storia
russa”. Secondo i moduli triti e ritriti del razzismo
russofobico, la Wainstein, mentre si guardava bene dal
citare l’unico libro di Gumilëv tradotto in italiano (32),
riproponeva i luoghi comuni del “selvaggiume orientale”
e del “dispotismo asiatico” e rintracciava nell’opera dello
studioso una miscela di “amore per la frusta mongola” e
di “patriottismo xenofobo e antioccidentale”.
Alle reazioni irrazionali e scomposte di certa
intelligencija occidentalista si contrappongono la stima
e la riconoscenza che i popoli turanici dell’ex URSS
hanno manifestato nei riguardi di Gumilëv, la cui
produzione scientifica, “una vera e propria enciclopedia
della steppa” (33), ha fatto piazza pulita dei pregiudizi
turcofobi e antimongoli, mostrando il contributo
apportato alla storia dell’Eurasia dagli imperi di Attila, di
Gengis Khan e di Tamerlano. Un fatto significativo, a
tale proposito, è che ad Astana, capitale del
Kazakistan, è stata intitolata a Lev N. Gumilëv la locale
Università Eurasiatica.
Nella vastissima produzione scientifica di
Gumilëv (34) non si trovano testi specificamente
geopolitici,
anche
se
la
teoria
gumileviana
dell’etnogenesi e della ciclicità della vita dell’ethnos si
colloca sulla scia delle elaborazioni di Ratzel, Kjellén e
Haushofer. L’eurasiatismo di Gumilëv consiste in una
visione della storia in cui viene messo in primo piano il
mondo multiforme dell’Oriente eurasiatico, concepito
non più come “periferia” più o meno “barbara”
contrapposta alla vera civiltà (occidentale), bensì come
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un’autonoma realtà culturale, con un suo proprio
sviluppo politico e scientifico. Lo stesso Gumilëv non si
sottrasse alla definizione di “eurasiatista”, anzi, la
accettò con legittimo orgoglio. In un’intervista rilasciata
nel 1992, poco tempo prima di morire, dichiarò:
“Quando mi chiamano eurasiatista, io non rifiuto questa
definizione, e per diverse ragioni. Innanzitutto,
l’eurasiatismo è stato una grande scuola storica, sicché
posso solo sentirmi onorato se qualcuno mi assegna a
tale scuola. In secondo luogo, ho studiato a fondo
l’opera
degli
eurasiatisti.
Terzo,
concordo
fondamentalmente con le principali conclusioni storicometodologiche alle quali gli eurasiatisti sono pervenuti”.
1. Aldo Ferrari, La Terza Roma, Edizioni all’insegna del
Veltro, Parma 1986, p. 36.
2. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. I.
3. Nicolas Berdiaeff, Constantin Leontieff, Parigi 1926, p.
244.
4. Ivi, p. 243.
5. Ivi, p. 45.
6. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. II.
7. N. Berdiaeff, op. cit., p. 251.
8. Ivi, pp. 251-252.
9. Ivi, pp. 85-86.
10. Ivi, p. 90.
11. Ivi, p. 250.
12. Ivi, p. 251.
13. Ivi, p. 250.
14. K. Leont’ev, Bizantinismo e mondo slavo, cit., cap. V.
15.
Mikhail
Agursky,
La
terza
Roma.
Il
nazionalbolscevismo in Unione Sovietica, Il Mulino,
Bologna 1989, p. 367.
16. Arthur Moeller van den Bruck, Il vagabondo del
nulla, in: Victor Serge, Germania 1923. La mancata
rivoluzione, Graphos, Genova 2003, p. 447.
17. Pervyj s’ezd Narodov Vostoka [Primo Congresso dei
Popoli dell’Oriente], Petrograd 1920, p. 72.
18. La posizione di Marx nei riguardi della Russia e del
mondo musulmano è ben rappresentata da queste
espressioni: “La barbarie intrinseca della Russia”, “le
influenze demoniache della Roma d’Oriente [Istanbul]”,
“la Russia, fedele al vecchio sistema dell’inganno e dei
trucchi meschini”, “il fanatismo dei musulmani” (Carlo
Marx contro la Russia, Edizioni del Borghese, Milano
1971, pp. 38, 40, 43, 89)
19. Cit. in: Francis Conte, Gli Slavi, Einaudi, Torino 1991,
p. 386.
20. Ferdinand Ossendowski, Bestie, uomini e dèi, M.I.R.,
Firenze 1999, p. 191.
21. Aldo Ferrari, La Foresta e la Steppa. Il mito
dell’Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller, Milano
2003, p. 209.
22. Alexandr Duguin, Rusia. El misterio de Eurasia,
Grupo Libro 88, Madrid 1992, p. 148.
23. N. S. Trubeckoj, Fondamenti di fonologia, Einaudi,
Torino 1971. Per una esposizione riassuntiva della teoria
linguistica di Trubeckoj, si può vedere Carlo Tagliavini,
Storia della linguistica, Patron, Bologna 1970, pp. 307313.
24. N. S. Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Einaudi,
Torino 1982. Il volume contiene anche Sul vero e sul falso
nazionalismo e Il vertice e la base della cultura russa.
25. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 198.
26. A. Ferrari, La Russia tra Oriente e Occidente. Per
capire il continente-arcipelago, Ares, Milano 1994, p.
156.
27. P. Savickij, Step’ i osedlost’, in Na putjach, Berlino
1922, p. 343.
28. Patrick Sériot, N. S. Troubetzkoy, linguiste ou
historiosophe des totalités organiques ?, in : N. S.
Troubetzkoy, L’Europe et l’humanité. Écrits linguistiques
et paralinguistiques, Pierre Mardaga éditeur, Sprimont
1996, p. 17.
29. A. Ferrari, La Russia tra Oriente e Occidente, cit., pp.
43-45.
30. Martino Conserva – Vadim Levant, Lev Nikolaevič
Gumilëv, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2005, p.
15.
31. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 264.
32. Lev Gumilëv, Gli Unni. Un impero di nomadi
antagonista dell’antica Cina, Einaudi, Torino 1972.
33. A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, cit., p. 255.
34. La bibliografia gumileviana compilata nel 1990 e
riportata da M. Conserva e V. Levant (op. cit., pp. 65-83)
elenca circa 240 titoli.
Biografia di Aleksandr Dugin
di Daniele Scalea
Aleksandr Gel'evič Dugin è nato il 7 gennaio
1962 a Mosca. Il padre era un alto ufficiale dei servizi
segreti sovietici, discendente d'una famiglia di
tradizione militaresca; la madre una dottoressa.
Fin da giovane Dugin mostrò una vivida capacità
intellettuale,
con
un'innata
propensione
all'apprendimento di lingue straniere: infatti, oggi
padroneggia con naturalità ben nove lingue oltre al
russo. Non ostante il padre volesse avviarlo a sua volta
verso la carriera militare, ben presto Dugin lasciò
l'Istituto Aeronautico di Mosca per soddisfare i propri
interessi personali, e così si laureò in filosofia, ambito
nel quale avrebbe guadagnato una grande importanza
nella Russia postsovietica.
Dopo gli studi Dugin - probabilmente sempre
grazie all'interessamento del padre - trovò un impiego
presso gli archivi segreti dei servizi: si ritiene che
avvenne proprio in tale ambiente la sua scoperta (o per
lo meno l'approfondimento) dell'eurasiatismo classico.
All'inizio degli anni '80, l'ancora giovanissimo
Dugin cominciò a pubblicare numerosi articoli sui temi
più disparati, dalla politica alla filosofia, dalla storia alla
geopolitica. Assiduo lettore (e primo traduttore russo) di
René Guénon e degli altri pensatori tradizionalisti
europei, s'occupò con risultati particolarmente
interessanti della cosiddetta "geografia sacra" e - sotto
la palese influenza di Jung - degli archetipi presenti
nella mente umana, rapportando spesso questi due
ambiti alla geopolitica. I temi religiosi hanno
appassionato intensamente Dugin, il quale fa oggi parte
d'una corrente minoritaria entro la Chiesa cristiana
ortodossa, la quale segue i riti arcaici ma non può
essere considerata "eretica", in quanto riconosce
(contraccambiata) il Patriarcato ecumenico di Mosca.
Nello stesso periodo cominciò per lui, a fianco
dell'impegno culturale, anche quello politico, di cui
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
5
prima manifestazione fu l'adesione (insieme al suo
amico e famoso intellettuale musulmano Gejdar
Džemal) al gruppo Pamjat' di Dmitrij Vasilev. Pamjat' - il
cui nome in russo significa "memoria" - era un
movimento nazionalista decisamente ostile alle voci
liberali e occidentaliste che cominciavano in quegli anni
a levarsi insistentemente. Nel 1988 - anno in cui s'univa
a Pamjat' - Dugin fondava anche una casa editrice, la
"Eon", ribattezzata due anni dopo "Arktogaia", presso la
quale avrebbe poi pubblicato la maggior parte delle sue
opere: la prima delle quali è Le vie dell'Assoluto (1989).
Gli anni che seguono la disintegrazione
dell'Unione Sovietica sono anche quelli del grande
Fronte di Salvezza Nazionale che tentò, invano,
d'opporsi al nuovo corso ultraliberale, antisociale e
occidentalista dettato da Boris El'cin. Aleksandr Dugin
fu una delle figure di spicco di questo blocco unitario
patriottico, e in tale contesto seppe influenzare con le
sue idee tanto i nazionalisti quanto i neocomunisti di
Gennadij Žjuganov (col quale collaborò alla stesura del
manifesto politico del rifondato Partito Comunista). Nel
1991 Dugin cominciava a pubblicare la rivista politicoculturale "Elementy" e a collaborare col quotidiano
"Den'" ("Il Giorno") di Aleksandr Prokanov. Inoltre s'aprì
a collaborazioni con intellettuali europei, tra i quali
Jean-Francois Thiriart (teorico della "Nazione europea
da Dublino a Vladivostok") e due tra gli animatori
dell'attuale corrente eurasiatista in Italia, Claudio Mutti e
Carlo Terracciano.
Nella notte del 3 ottobre 1993 l'estenuante
scontro tra patrioti e ultraliberali raggiunse il suo
drammatico culmine con i carri armati che, dietro ordine
del "liberaldemocratico" El'cin, marciavano sul
Parlamento e lo bombardavano.
Dopo la brutale vittoria di El'cin, Dugin unì le
proprie forze con quelle di Eduard Limonov, uno
stravagante scrittore che nei decenni precedenti, esule
dall'URSS, aveva avuto una discreta influenza sulla
sinistra "contestatrice" francese. Nel 1994 i due diedero
vita al Partito Nazional-Bolscevico, di cui Dugin era
maggiore ideologo: in tale contesto, egli rivalutava
decisamente tutto il periodo sovietico e l'ideologia
bolscevica (ferma restando la condanna degli eccessi
repressivi), inquadrandoli nella continuità storica della
Russia. Molto importante è la pubblicazione, sul finire di
quell'anno, dell'opera La Rivoluzione Conservatrice,
che chiaramente s'ispirava all'omonima corrente
intellettuale della Germania degli anni '20 e '30 (poi
stroncata da Hitler), aggiungendovi però numerosi
elementi tratti dalla cultura russa e dall'ideologia
comunista. Il PNB offre un notevole esempio di capacità
comunicative, esplicate prevalentemente attraverso il
puro simbolismo, che sono state in grado d'attrarre
numerosi giovani nelle sue fila. Ma l'alleanza tra
Limonov e Dugin ebbe vita breve. Ben presto Dugin
abbandonò il Partito Nazional-Bolscevico, lasciandolo
nelle mani di Limonov, il quale l'ha progressivamente
allontanato dalle originarie posizioni politiche,
relegandolo in un estremismo ostentato e spettacolare,
in grado di guadagnare al PNB una ragguardevole
notorietà, ma anche di renderlo oggi - a detta di molti la punta di diamante di un'ipotetica futura "rivoluzione
arancione" filoccidentale in Russia.
Dugin - oltre a rimanere assolutamente fedele
alla sua linea d'ostilità al liberismo e all'imperialismo
nordamericano - ha preferito incamminarsi sulla strada
del pragmatismo, con obiettivi non più utopistici e
metafisici ma concreti e fattibili, da ottenersi non più
attraverso un'ostilità oltranzista al sistema, ma
collaborando con i settori vitali, onesti e patriottici di
quello.
Perni di questo "nuovo corso" duginiano sono
stati la specializzazione geopolitica e la riscoperta
dell'eurasiatismo. L'interesse di Dugin per la geopolitica
è di vecchia data, ma inizialmente si concentrava
soprattutto su questioni "metafisiche" e "metapolitiche".
Già dal 1992, però, col corso di geopolitica
all'Accademia Militare di Mosca, Dugin mostra un
approccio più concreto e scientifico alla materia. Egli fa
rivivere gl'ideali dell'eurasiatismo classico, elevandoli
però in una nuova sintesi con le mutate condizioni
storiche: oggi Dugin è considerato l'iniziatore della
corrente filosofica neoeurasiatista (il cui attestato di
nascita può essere considerata l'opera Misteri d'Eurasia
del 1996). L'aspetto pratico di tale dottrina si manifesta
nella concezione geopolitica di Dugin, che molto deve a
teorici come Halford Mackinder e Carl Schmitt, i quali
rilessero l'intera storia umana come risultato della
continua dialettica tra Mare e Terra; i quali non solo
rappresentano,
propriamente,
le
potenze
talassocratiche
e
quelle
tellurocratiche,
ma
simboleggiano anche due modi opposti di condurre e
intendere la vita (da una parte - il Mare - disordine,
progressismo,
materialismo,
ateismo,
artificio,
imperialismo, individualismo, ecc.; dall'altra - la Terra ordine, tradizione, idealismo, religione, onestà, mitezza,
collettivismo, ecc.). Tale visione del mondo,
ch'enfatizza la rivalità storica tra la Russia (cuore
dell'Eurasia) e gli Stati Uniti d'America (cuore del
complesso marittimo anglosassone), è del resto
condivisa dalla maggioranza dei geopolitici statunitensi
e inglesi, del passato e del presente. Ma mentre essi,
schierandosi chiaramente dalla parte del Mare,
auspicano un mondo unipolare dominato dagli USA e
plasmato, tramite la globalizzazione, a sua immagine e
somiglianza, Dugin si schiera con la Terra, e propugna
un mondo multipolare dove ogni popolo e ogni cultura
sia libera di prosperare e conservarsi secondo i propri
valori e la propria volontà.
Tale concezione di Dugin andava decisamente
nella direzione delle aspettative d'una parte consistente
della classe dirigente russa, e in particolare delle forze
armate. Ancora oggi il manuale Fondamenti di
Geopolitica è adottato da numerose università e
accademia militari della Federazione. Pubblicato nel
1997, tale manuale fu redatto avvalendosi della
collaborazione del focoso Generale Leonid Ivašov (già
a capo del Dipartimento Affari Internazionali del
Ministero della Difesa, oggi a riposo), mentre la
prefazione è stata scritta dal Tenente-Generale Nikolaj
Klokotov, a capo del Dipartimento Strategico dello Stato
Maggiore.
La popolarità di Dugin era in crescendo: l'anno
precedente aveva creato il portale informatico
multilingue "Arktogaia", e condotto due programmi
radiofonici, uno musicale e filosofico sulla moscovita
"Radio 101", l'altro geopolitico sulle frequenze di
"Russia Libera", preludio all'accesso ai grandi media di
massa, che si sarebbe realizzato negli anni seguenti.
Nel 1998 Dugin fece il grande passo e proclamò
il proprio appoggio (critico) al primo ministro Evgenij
Primakov (artefice dell'inizialmente poco fortunato
"triangolo strategico" Mosca-Pechino-Nuova Delhi). Lo
stesso anno il presidente della Duma Gennadij
Seležnev lo chiamò a sé come consigliere in materia
strategica e come direttore del Centro d'Analisi
Geopolitica (organismo statale che fa appunto capo alla
Duma), due cariche che detiene ancora oggi.
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
6
L'avvento al potere di Vladimir Putin fu per Dugin
un evento entusiasmante: in lui, nei suoi discorsi e nei
suoi progetti ritrovò molte delle teorie che da un
decennio andava propagandando; pieno di fiducia,
assicurò al delfino dell'odiato El'cin un sostegno senza
riserve, ricambiato con l'ingresso nella ristretta cerchia
dei consulenti personali del Presidente.
Nel 2000 Dugin diede vita al Movimento Politico
Panrusso "Eurasia", il cui documento fondativo, il
Manifesto del Neoeurasiatismo, fece il punto sui
successi fino allora ottenuti dal pensatore russo e dalle
sue teorie: «Il Neoeurasiatismo ha gettato le basi della
moderna geopolitica russa e guadagnato potenti
seguaci nelle strutture governative e nelle agenzie di
sicurezza. Questi organismi stanno fondando molti dei
propri progetti - militari ed economici - sui princìpi
eurasiatisti. Il Neoeurasiatismo ha influenzato le
moderne scienza politica, sociologia e filosofia russe. Il
Neoeurasiatismo è divenuto gradualmente un
importante strumento concettuale per i monopoli di
stato della Russia, i quali richiedono una strategia a
lungo termine per le loro politiche macroeconomiche».
Nel frattempo, Dugin cominciò a collaborare come
consulente del Patriarcato ecumenico di Mosca,
concentrandosi sulle tematiche inerenti la difesa dello
spazio religioso ortodosso dal proselitismo delle altre
religioni e dagli scismi delle chiese nazionali nello
spazio postsovietico. Del resto, l'influenza del pensiero
neoeurasiatista sulle strutture religiose è notevole: basti
pensare che al Movimento aderirono, tra gli altri,
Vsevolod Čaplin, segretario del Dipartimento Relazioni
Esterne del Patriarcato, Talgat Tažuddin, gran muftì del
Direttorio Spirituale dei Musulmani Russi, Dir-Kabalam,
capo dei buddhisti russi, e l'Hassidic Rabbi Avram
Šmulevič.
Nel 2001 il movimento si tramutò in Partito
Politico "Eurasia", pur continuando a garantire pieno
appoggio al presidente Putin e rinunciando perciò a
concorrere alle elezioni. Lo stesso anno, dopo
l'esperienza come caporedattore del quotidiano
"Vtorženie" (1997-1999) Dugin fondò un proprio
giornale, chiamato "L'Osservatore Eurasiatico". A
partire dall'anno successivo divenne editorialista su
molti dei maggiori quotidiani russi ("Izvestia",
"Literaturnaja Gazeta", "Vremja Novostej" e altri ancora)
e ospite abituale sul primo canale della televisione di
stato. Sul fronte telematico, fu aperto un nuovo portale,
questa volta d'analisi politica e strategica, che è
tutt'oggi
in
funzione
(si
veda
all'indirizzo
<http://www.evrazia.org>; purtroppo, solo la sezione
russa è aggiornata con puntualità).
Nel 2003 il partito politico subì una nuova
metamorfosi,
con
la
creazione
della
ONG
transnazionale Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie
("Movimento Internazionale Eurasiatista"), avvenuta
ufficialmente il 20 novembre. Nel suo discorso, Dugin
ha nuovamente ricapitolato i passi compiuti dal
Neoeurasiatismo nell'ultimo decennio: «L'ideologia
neoeurasiatica è passata attraverso numerose stagioni
- da un piccolo gruppo d'intellettuali alle lezioni di
Nuova Università in molte città russe negli anni '90; dal
Movimento Politico Panrusso Eurasia (aprile 2001) al
Partito Politico Eurasia (giugno 2002). (...) Oggi stiamo
compiendo un grande passo, uscendo dai ristretti
vincoli d'una stato nazionale per operare a livello
superstatale». Aleksandr Dugin è stato nominato
presidente del MED, che tra i membri del Consiglio
direttivo vanta il Gran Muftì Tažuddin, il Metropolita
Andrian, l'ex primo ministro del Kirghizistan
Djumagulov, e numerosi altri nomi di prestigio.
Nell'ambito del MED s'è sviluppato un altro
progetto di considerevole rilievo, cioè la Società
Economica Eurasiatica, il cui scopo è di favorire
l'integrazione economica dello spazio postsovietico e
d'indirizzare verso imprese di valore strategico
gl'investimenti pubblici e privati.
Attualmente, la stima di Dugin verso il
Presidente Putin è notevolmente calata, complici
senz'altro i suoi ripetuti fallimenti nel contrastare
l'ondata di "rivoluzioni colorate" che s'avvicina alla
Federazione Russa; dopo tutto, l'opinione del
presidente del MED rispecchia gli umori prevalenti in
alcuni ambienti politici e militari, i quali auspicherebbero
una più decisa politica di salvaguardia degl'interessi e
dell'integrità nazionali. D'altro canto, Dugin è ora in
ottimi rapporti col Presidente del Kazakistan, Nursultan
Nazarbaev, il quale lo ha chiamato ad insegnare
geopolitica nell'Università della capitale Astana,
dedicata allo storico eurasiatista Lev Gumilëv e
significativamente chiamata "Eurasiatica". Dugin ha
risposto alle lusinghe del Presidente kazako
dedicandogli un'opera, dal titolo La missione eurasiatica
di Nursultan Nazarbaev. Sua figlia Dariga Nazarbaeva,
capo del partito al potere e (si dice) sua delfina
designata, è molto presente in tutte le iniziative
patrocinate da Dugin (ha inaugurato l'assise fondativa
del MED e preso parte alla creazione della Società
Economica Eurasiatica).
Oggi, la prima preoccupazione di Dugin e del
suo movimento è quella di frenare l'ondata "arancione",
impedendo l'instaurazione di regimi ultraliberali e
filoccidentali nei paesi postsovietici non ancora
sconvolti dalle "rivoluzioni colorate".
Movimento
Eurasiatista
Internazionale
Il
Movimento
Internazionale
Eurasiatista
comprende
numerose organizzazioni non
governative con sede in 22
diversi paesi, nella CSI, nella UE
(Germania, Francia, Italia, Gran
Bretagna), in America (USA, Cile), nei paesi islamici
(Libano, Siria, Egitto, Turchia, Iran, Pakistan), in
estremo oriente (India, Giappone, Vietnam) e così via.
Nella Federazione Russa vi sono inoltre 36
rappresentanze regionali del "Movimento Eurasiatista".
Il Movimento Eurasiatista è nato ufficialmente dal
congresso costitutivo di Mosca del 20 Novembre 2003
ed è registrato presso il Ministero della Giustizia Russo
come "movimento sociale internazionale" che opera su
scala mondiale, in ogni paese in cui le attività delle
organizzazioni non governative internazionali siano
accettate.
Gli obiettivi principali del Movimento Internazionale
Eurasiatista sono:
!
la lotta comune per un mondo multipolare,
basato sulla cooperazione dei diversi popoli,
civiltà e culture, per la pace e la prosperità
reciproca;
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
7
!
!
!
!
!
!
l'associazione fra i paesi europei ed asiatici con
il ruolo speciale riservato alla Russia come
mediatore principale di questo processo;
l'integrazione dello spazio postsovietico fino alla
creazione dell'unità eurasiatica a livelli culturali,
economici, informativi, strategici e politici;
il dialogo attivo e multilaterale delle confessioni
tradizionali dell'Eurasia, la comprensione
reciproca e la stima fra le élites delle società
eurasiatiche;
conservazione delle identità culturali, religiose,
etniche di ogni popolo, e lo sviluppo delle
specificità nazionali;
il rafforzamento della pace e dell'ordine, base
del principio eurasiatista della Pax Eurasiatica;
l'opposizione
alle
tendenze
negative
unipolarismo e globalizzazione unidimensionale,
degrado culturale, terrorismo, narcotraffico,
catastrofi ecologiche, demografiche e sociali.
L'attività del Movimento Eurasiatista è definita
dalle risoluzioni dello "Alto Consiglio". L'organo
esecutivo del Movimento Eurasiatista è il "Comitato
Eurasiatista", con sede a Mosca. Il presidente del
"Comitato Eurasiatista" e guida del "Movimento
Eurasiatista" è Aleksandr Dugin, il filosofo fondatore del
Neo-Eurasiatismo, creatore della moderna scuola russa
di geopolitica. I membri dell'alto consiglio sono:
Trošev A.P. – vice-portavoce del Senato russo
Aslachanov A.A-M. – consigliere del Presidente
della Federazione Russa
Margelov M.V. – presidente del Comitato per gli
Affari Internazionali del senato russo
Kaljužnij V.I. – vice-ministro per gli Affari Esteri
della Russia
Tažuddin T.S. – Gran Muftì della Federazione
Russa
Metropolita Andrian (Četvergov) – capo della
Chiesa Ortodossa Russa
Sagalaev E.M. – presidente dell'Associazione
Nazionale dei Media
Zagarišvili S.A. – membro dell'Accademia Russa
delle Scienze
Žumagulov A.D. – ex primo ministro della
Repubblica del Kirghizistan
Černyčev A.S. – ambasciatore plenipotenziario
della Federazione Russa
Efimov N.N. – direttore della rivista “Stella
Rossa”
E molte altre personalità in altri paesi. "Il
Movimento Eurasiatista" ha inoltre diversi reparti
specifici: Segretariato (con a capo Zarifullin P.V.),
Ufficio analitico (con a capo Krivošeev S.A), Ufficio
educativo (sistema di istruzione "Nuova Università"),
Ufficio stampa (con a capo Korovin V.M.); Società
Economica Eurasiatica, Forum eurasiatico (rete di
esperti). Il centro delle operazioni del Movimento
Internazionale Eurasiatista ha sede nella Federazione
Russa, a Mosca, al 115432, 2 Kožuchovskoy proezd,
d.12, str.2. Tel/fax: +7(095)7836866. E-mail: Dugin A.G.
- [email protected]; Segretariato - [email protected];
Ufficio analitico - [email protected]; Ufficio stampa [email protected].
L’Idea Eurasiatista
di Aleksandr Dugin (fonte "Eurasia", n.1/2004)
LA RIVOLUZIONE EURASIATISTA
Cambiamenti semantici di “Eurasiatismo”
Molti termini perdono il proprio significato
originario, quando vengono utilizzati quotidianamente
nel corso di molti anni. Nozioni fondamentali come
socialismo, capitalismo, democrazia, fascismo, sono
cambiate profondamente. Infatti, sono divenute nozioni
banali.
I termini "Eurasiatismo" ed "Eurasia" hanno
anch'essi qualche incertezza, poiché sono nuovi,
provengono da un nuovo linguaggio politico e da un
nuovo contesto intellettuale che sono nati solo oggi.
L'idea eurasiatica rispecchia un processo
dinamico molto attivo. Il suo significato è divenuto
chiaro attraverso la storia, ma necessita d'essere
ulteriormente sviluppato.
L'Eurasiatismo come battaglia filosofica
L'idea
eurasiatica
rappresenta
una
fondamentale revisione della storia politica, ideologica,
etnica e religiosa dell'umanità; essa offre un nuovo
sistema di classificazione e categorie che sostituirà gli
schemi usuali. La teoria eurasiatica si è formata
attraverso due stagioni: un periodo di formazione
dell’Eurasiatismo classico, all'inizio del XX secolo,
grazie all’attività di intellettuali emigrati (Trubeckoj,
Savickij, Alekseev, Suvčinskij, Il’in, Bromberg, KharaDavan etc.) seguito dai lavori storiografici di Lev
Gumilëv e, infine, la costituzione del neo-Eurasiatismo
(dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi).
Verso il neo-Eurasiatismo
La teoria eurasiatica classica indubbiamente
proviene dal passato e può essere correttamente
classificata nell’ambito delle ideologie del XX secolo.
L'Eurasiatismo classico può essere passato, ma il neoEurasiatismo ne ha determinato la rinascita, dando ad
esso un nuovo senso, una nuova scala e nuovi
significati. Risorgendo dalle proprie ceneri, l'idea
eurasiatica è diventata meno scontata ma ha rivelato il
suo potenziale nascosto.
Grazie al neo-Eurasiatismo, l'intera teoria
eurasiatica ha assunto una nuova dimensione. Oggi
non possiamo ignorare il lungo periodo storico del neoEurasiatismo e dobbiamo comprenderlo nel suo
contesto moderno. Inoltre, descriveremo i vari aspetti di
questa nozione.
L'Eurasiatismo come tendenza globale. La
globalizzazione come corpo principale della
storia moderna
In senso lato, né l'idea eurasiatica né l'Eurasia
come concetto corrispondono strettamente ai limiti
geografici del continente eurasiatico. L'idea eurasiatica
è una strategia su scala globale che riconosce
l'oggettività della globalizzazione e la fine degli "statinazione", ma nel contempo offre un differente scenario
di globalizzazione, che non comporta un mondo
unipolare o un unico governo mondiale. Invece,
contempla diverse zone globali (poli). L'idea eurasiatica
è una versione alternativa e multipolare della
globalizzazione, ma la globalizzazione è correntemente
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
8
il maggior processo mondiale fondamentale ad
indirizzare il vettore principale della storia moderna.
Paradigma
della
globalizzazione.
Paradigma dell'Atlantismo
Gli stati nazionali contemporanei hanno subito la
trasformazione in uno stato globale; stiamo assistendo
alla nascita di un sistema di governo planetario
all'interno di un singolo sistema economicoamministrativo. Credere che tutte le nazioni, classi
sociali e modelli economici possano improvvisamente
cominciare a cooperare sulle basi di questa nuova
logica globale è sbagliato. La globalizzazione è un
fenomeno unidimensionale, monodirezionale, che tenta
di universalizzare il punto di vista occidentale
(anglosassone, americano) per dirigere nel modo più
efficiente la storia dell'umanità. Si tratta dell’unificazione
(molto spesso connessa con la repressione e la
violenza) di differenti strutture socio-politiche, etniche,
religiose e nazionali entro un solo sistema. Si tratta di
una direzione storica dell'Europa occidentale che ha
raggiunto il proprio culmine con la dominazione
statunitense dell’Europa occidentale stessa.
La globalizzazione è l'imposizione del paradigma
atlantico. La globalizzazione come Atlantismo tenta di
impedire assolutamente questa definizione. I sostenitori
della globalizzazione argomentano che, quando non ci
sarà più alternativa all'Atlantismo, quest’ultimo cesserà
di essere Atlantismo. Il filosofo politico americano F.
Fukuyama ha coniato l'espressione "fine della Storia",
che attualmente indica la fine della storia geopolitica e
del conflitto tra Atlantismo ed Eurasiatismo. Ciò
significa una nuova architettura del sistema mondiale,
caratterizzata dalla mancanza di opposizione e dalla
presenza di un solo polo - il polo dell'Atlantismo.
Possiamo anche dare a questo sistema il nome di
Nuovo Ordine Mondiale. Il modello dell'opposizione tra
due poli (Oriente-Occidente, Settentrione-Meridione) si
trasforma nel modello che contrappone il centro alla
periferia (Centro = Occidente, "Nord ricco"; periferia =
Sud povero). Questa variante dell'architettura mondiale
è completamente agli antipodi del concetto di
Eurasiatismo.
La
globalizzazione
unipolare
ha
un'alternativa
Oggi il Nuovo Ordine Mondiale non è nulla più
che un progetto, un piano, una tendenza. E una cosa
molto seria, ma non fatale. I fautori della
globalizzazione negano qualsiasi piano alternativo per il
futuro, ma oggi stiamo sperimentando un fenomeno su
larga scala di contro-globalismo, e l'Idea eurasiatica
coordina tutte le opposizioni alla globalizzazione
unipolare su una via costruttiva. In più, offre l’idea
competitiva di globalizzazione multipolare (o alterglobalizzazione).
L'Eurasiatismo come pluriversum
L'Eurasiatismo rigetta il modello “centroperiferia”. L'idea eurasiatica insegna altresì che il
pianeta consiste in una costellazione di spazi vitali
autonomi, parzialmente aperti uno all'altro. Queste aree
non sono stati nazionali, ma una coalizione di stati,
riorganizzati in federazioni continentali o "imperi
democratici" con all'interno un largo livello di autogoverno. Ognuna di queste aree è multipolare,
includendo un complicato sistema di fattori etnici,
culturali, religiosi e amministrativi.
In questo senso globale, l'Eurasiatismo è aperto
a chiunque, indipendentemente dal suo luogo di
nascita, residenza, nazionalità o cittadinanza.
L'Eurasiatismo fornisce un'opportunità per scegliere un
futuro differente dagli schemi dell'Atlantismo e dal
sistema unico valido per tutta l'umanità. L'Eurasiatismo
non mira semplicemente al passato, né a preservare lo
status quo corrente, ma si impegna per il futuro,
riconoscendo che l'attuale struttura mondiale necessita
di cambiamenti radicali, che gli stati-nazione e la
società industriale hanno esaurito tutte le proprie
risorse. L'idea eurasiatica non vede la creazione di un
governo mondiale sulla base dei valori liberaldemocratici come il solo e unico percorso dell'umanità.
Nel suo significato più fondamentale, l'Eurasiatismo nel
XXI secolo è definibile come l'adesione alla alterglobalizzazione, sinonimo di mondo multipolare.
L'Atlantismo non è universale
L'Eurasiatismo rifiuta in maniera assoluta
l'universalismo di Atlantismo e Americanismo. Il
modello dell'Europa Occidentale e dell'America
possiede molti aspetti attraenti che possono essere
adottati ed elogiati, ma, tutto sommato, è
semplicemente un sistema culturale che ha il diritto di
esistere nel proprio contesto storico al pari di altre
civiltà e sistemi culturali.
L'idea eurasiatica difende non solo i sistemi di
valori antiatlantici, ma la diversità delle strutture di
valori. E' una sorta di poliversum che fornisce spazio
vitale a chiunque, inclusi gli USA e l'Atlantismo,
assieme ad altre civiltà, poiché l'Eurasiatismo difende
anche le civiltà dell'Africa, di entrambi i continenti
americani, e dell'area pacifica parallela alla Madrepatria
eurasiatica.
L'idea eurasiatica promuove un'idea di
rivoluzione globale
L'idea eurasiatica su una scala globale è un
concetto rivoluzionario di portata mondiale, invocato a
costituire
una
nuova
piattaforma
di
mutua
comprensione e cooperazione per un ampio
conglomerato di potenze differenti: stati, nazioni, culture
e religioni che respingono la versione atlantica della
globalizzazione.
Se analizziamo le dichiarazioni e asserzioni di
vari politici, filosofi e intellettuali, ci renderemo conto
che la maggioranza di loro aderisce (talvolta
inconsciamente) all'idea eurasiatica.
Se pensiamo a tutti coloro che non sono
d’accordo con la "fine della storia", il nostro animo sarà
sollevato e il fallimento del concetto americano di
sicurezza strategica per il XXI secolo, connesso con la
costituzione del mondo unipolare, si mostrerà in tutta la
sua realtà.
L'Eurasiatismo è la somma degli ostacoli
naturali, artificiali, oggettivi e soggettivi posti sulla
strada della globalizzazione unipolare; esso offre
un'opposizione costruttiva e positiva al globalismo
anziché una semplice negazione.
Questi ostacoli, tuttavia, per il momento
rimangono privi di coordinazione, e i sostenitori
dell'Atlantismo sono in grado di affrontarli facilmente.
Però, se questi ostacoli in qualche modo si costituissero
in un’unica forza, potrebbero essere integrati in un
qualcosa di unitario, sicché la prospettiva della vittoria
diventerebbe verosimile.
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
9
L'Eurasia come Mondo (continente) Antico
La nozione di Mondo Antico (tradizionalmente
riferita all'Europa) può essere considerata in un più
vasto contesto. E' un super spazio multiculturale,
occupato da nazioni, entità statuali, civiltà, etnie e
religioni
connesse
tra
loro
storicamente
e
geograficamente da un destino dialettico. Il Mondo
Antico è un prodotto organico della storia umana.
Il Mondo Antico si trova spesso contrapposto al
Nuovo Mondo, il continente americano, scoperto dagli
Europei e trasformato nella piattaforma di una
civilizzazione artificiale, dove si sono materializzati i
progetti europei di modernismo. E' stato costruito sulla
base delle ideologie di matrice umana come una pura
civiltà del modernismo.
Gli Stati Uniti nacquero come la "società
perfetta" teorizzata da intellettuali inglesi, irlandesi e
francesi, mentre i paesi dell’America Meridionale e
Centrale rimasero colonie del Mondo Antico. La
Germania e l'Europa Orientale sono state meno
influenzate da quest'idea della "società perfetta".
Secondo i termini di Oswald Spengler, il
dualismo tra Mondo Antico e Nuovo Mondo può essere
ricondotto agli opposti: Kultur-Zivilisation, organicoartificiale, storico-tecnico.
Il Nuovo Mondo come Messia
In qualità di prodotto dell'evoluzione dell’Europa
Occidentale, il Nuovo Mondo ben presto realizzò il suo
destino "messianico", dove gli ideali liberal-democratici
dell'Illuminismo si combinarono con le idee
escatologiche delle sette radicali protestanti. A ciò fu
dato il nome di teoria del Destino Manifesto, che
divenne il nuovo simbolo della fede per generazioni di
Americani. Stando a questa teoria, la civilizzazione
americana oltrepasserebbe tutte le culture e civiltà del
Mondo Antico; nella forma universale che riveste
attualmente, tale civilizzazione è obbligatoria per tutte le
nazioni del pianeta.
Col tempo, tale teoria si confrontò direttamente
non solo con le culture dell'Oriente e dell'Asia, ma entrò
in conflitto anche con l'Europa, che appariva agli
Americani come arcaica e piena di pregiudizi e
tradizioni antiquate.
In breve, il Nuovo Mondo abbandonò l'eredità
del Mondo Antico. In seguito alla Seconda Guerra
Mondiale, il Nuovo Mondo divenne il padrone
indiscusso dell'Europa stessa, con "criteri di verità" ad
essa alieni. Ciò ispirò una corrispondente ondata di
predominio americano e, parallelamente, l'inizio di un
movimento che mirava alla liberazione geopolitica dal
brutale controllo politico, economico e strategico del
"Grande Fratello" transoceanico.
Integrazione del continente eurasiatico
Nel XX secolo, l'Europa ha preso coscienza
della sua comune identità e poco per volta ha
cominciato a muoversi verso l'integrazione di tutte le
sue nazioni in una unione comune, capace di garantire
piena sovranità, sicurezza e libertà a sé e a tutti i suoi
membri.
La creazione dell'Unione Europea è stato
l’evento più importante per aiutare l'Europa a
recuperare il suo status di potenza mondiale al fianco
degli Stati Uniti d'America. Questa è stata la risposta
del Vecchio Mondo alla sfida tracotante del Nuovo
Mondo.
Se consideriamo l'alleanza tra USA ed Europa
Occidentale come la direttrice atlantica dello sviluppo
europeo, l'integrazione europea sotto l'egida dei paesi
continentali (Germania e Francia) può essere chiamata
Eurasiatismo europeo. Ciò diventa molto e molto più
ovvio se prendiamo in considerazione la teoria
dell'Europa dall'Oceano Atlantico agli Urali (Charles de
Gaulle) o fino a Vladivostok (Jean Thiriart). In altre
parole, l'integrazione del Vecchio Continente include il
vasto territorio della Federazione Russa.
Così, l'Eurasiatismo in questo contesto può
essere definito come un progetto dell'integrazione
strategica, geopolitica ed economica del continente
eurasiatico settentrionale, considerato come la culla
della storia e la matrice delle nazioni europee.
Come la Turchia, così anche la Russia è
storicamente collegata con le nazioni turcomanne,
mongole e caucasiche. La Russia conferisce
all'integrazione europea una dimensione eurasiatica sia
in senso simbolico che geografico (identificazione di
Eurasiatismo con continentalismo).
Nei secoli più recenti, l'idea dell'integrazione
europea è stata proposta dalle fazioni rivoluzionarie in
seno alle élites europee. Nei tempi antichi, simili
tentativi furono compiuti da Alessandro il Grande
(integrazione del continente eurasiatico) e Gengis Khan
(fondatore del più grande impero della storia).
L’EURASIA: TRE GRANDI SPAZI VITALI,
INTEGRATI SECONDO LA LATITUDINE
Tre cinture eurasiatiche (zone meridiane)
Il vettore orizzontale dell'integrazione è seguito
da una direttrice verticale.
I piani eurasiatici per il futuro presumono la
divisione del pianeta in quattro cinture geografiche
verticali (zone meridiane) da Nord a Sud.
Entrambi i continenti americani formeranno uno
spazio comune orientato e controllato dagli USA
secondo la struttura della Dottrina Monroe. Questa è la
zona meridiana atlantica.
In aggiunta alla zona suddetta, altre tre rientrano
nella prospettiva. Esse sono le seguenti:
!
!
!
Eurafrica, con l'Unione Europea quale suo
centro;
Zona russo-centrasiatica;
Zona del Pacifico
All'interno di tali zone, avverrà la divisione
regionale delle risorse e la creazione di aree di sviluppo
e corridoi di crescita.
Ognuna di queste cinture (zone meridiane) si
bilancia con le altre, e tutte insieme controbilanciano la
zona meridiana atlantica. Nel futuro, queste cinture
potranno rappresentare le fondamenta sulle quali
costruire il mondo multipolare: il numero dei poli sarà
maggiore di due; tuttavia, il numero sarà molto minore
di quello degli attuali stati-nazione. Il modello
eurasiatico propone che il numero dei poli debba
essere quattro.
Grandi spazi
Le zone meridiane nel progetto eurasiatico
consistono di parecchi "Grandi Spazi" o "imperi
democratici". Ciascuno possiede relative libertà e
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
10
indipendenza ma è strategicamente integrato nella
corrispondente zona meridiana.
I Grandi Spazi corrispondono ai confini delle
civiltà e includono molti stati-nazione o unioni di stati.
L'Unione Europea e il Grande Spazio Arabo, che
unisce Africa settentrionale e trans-sahariana col Vicino
Oriente, formano l'Eurafrica.
La zona russo-centrasiatica è formata da tre
Grandi Spazi che talvolta si sovrappongono l'un l'altro. Il
primo è la Federazione Russa, insieme con parecchi
paesi della CSI - membri della Unione Eurasiatica. Il
secondo è il Grande Spazio dell'Islam continentale
(Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan). I paesi asiatici
della CSI intersecano questa zona. Il terzo Grande
Spazio è l'Indostan, che è un settore di civiltà
autonomo.
La zona meridiana del Pacifico è determinata dal
condominio di due grandi spazi (Cina e Giappone) e
include inoltre Indonesia, Malesia, Filippine e Australia
(alcuni studiosi connettono quest'ultima con la zona
meridiana americana). Questa regione geopolitica è un
vero mosaico e può essere differenziata secondo
diversi criteri.
La zona meridiana americana consiste nei
Grandi Spazi canadese-americano, centramericano e
sudamericano.
Importanza della quarta zona
La struttura del mondo basata su zone
meridiane è accettata dai maggiori geopolitici americani
che mirano alla creazione del Nuovo Ordine Mondiale e
alla globalizzazione unipolare. Tuttavia, un punto
d'inciampo è l'esistenza dello spazio meridiano russocentrasiatico: la presenza o assenza di questa cintura
modifica radicalmente il quadro geopolitico del mondo.
I futurologi atlantici dividono il mondo nelle tre
seguenti zone:
!
Polo americano, con l'Unione Europea quale sua
periferia
prossima
(l'Eurafrica
non
è
contemplata);
!
Le regioni asiatiche e pacifiche quali sue
periferie più lontane;
!
La Russia e l'Asia Centrale sono frazionate, ma
senza questa zona come zona meridiana
indipendente, il nostro mondo è unipolare.
Quest'ultima zona meridiana controbilancia la
pressione americana e fornisce alle zone europea e
pacifica la possibilità di agire come poli di civilizzazione
autonomi. Il reale bilanciamento multipolare, la libertà e
l'indipendenza di cinture meridiane, Grandi Spazi e
stati-nazione dipendono dalla riuscita creazione di una
quarta zona. Inoltre, ciò non basta per fare del mondo
unipolare un modello bipolare: il rapido progresso degli
Stati Uniti d'America può essere controbilanciato solo
dalla sinergia delle tre zone meridiane.
Il progetto eurasiatico propone questo superprogetto a quattro zone a livello geopolitico strategico.
L’EURASIATISMO
COME
RUSSO-CENTROASIATICA
INTEGRAZIONE
L'asse Mosca - Teheran
La quarta zona meridiana è l'integrazione
meridiana russo-asiatica. Il punto centrale di questo
processo è la realizzazione dell'asse Mosca-Teheran.
L'intero progetto di integrazione dipende dallo stabilire
con successo un'alleanza strategica a medio e lungo
termine con l'Iran. I potenziali economici, militari e
politici di Iran e Russia, assieme, incrementeranno il
processo d'integrazione regionale, rendendo la zona
irreversibilmente cementata ed autonoma.
L'asse Mosca-Teheran costituirà la base per
un'ulteriore integrazione. Sia Mosca che l'Iran sono
potenze autosufficienti, in grado di creare il proprio
modello d'organizzazione strategica della regione.
Il piano eurasiatico per Afghanistan e
Pakistan
Il vettore di integrazione con l'Iran è di vitale
importanza per la Russia, sia per l’accesso di
quest’ultima ai mari caldi, sia ai fini della
riorganizzazione politico-religiosa dell'Asia Centrale
(paesi asiatici della CSI, Afghanistan e Pakistan). Una
stretta
cooperazione
con
l'Iran
presume
la
trasformazione dell'area afghano-pakistana in una
libera confederazione islamica, leale sia verso Mosca
che verso l'Iran. La ragione per cui ciò è necessario, è
che gli stati indipendenti di Afghanistan e Pakistan
potrebbero
essere
una
continua
fonte
di
destabilizzazione e di minaccia per i paesi confinanti.
L'impegno geopolitico garantirà la possibilità di creare
una nuova federazione centrasiatica e di trasformare
questa complicata regione in un'area di cooperazione e
prosperità.
L'asse Mosca - Delhi
La cooperazione tra Russia e India è il secondo
più importante asse meridiano per l'integrazione del
continente eurasiatico e i sistemi eurasiatici di sicurezza
collettiva. Mosca giocherà un ruolo importante,
attenuando la tensione tra Delhi e Islamabad (Kashmir).
Il piano eurasiatico per l'India, promosso da Mosca, è la
creazione di una federazione che rispecchi la varietà
della società indiana con le sue numerose minoranze
etniche e religiose, tra le quali Sikh e Musulmani.
Mosca - Ankara
Il principale alleato regionale nel processo
d'integrazione dell'Asia Centrale è la Turchia. L'idea
eurasiatica sta qui diventando piuttosto popolare per via
delle tendenze occidentali che si intrecciano con quelle
orientali. La Turchia riconosce le differenze di civiltà con
l'Unione Europea, i suoi interessi e intenti regionali, la
minaccia della globalizzazione e la ulteriore perdita di
sovranità.
Da un punto di vista strategico, è necessario per
la Turchia stabilire un'alleanza strategica con la
Federazione Russa e con l'Iran. La Turchia sarà in
grado di mantenere le sue tradizioni solo entro la
struttura di un mondo multipolare. Alcuni schieramenti
della società turca comprendono questa situazione dalle élites politiche e sociali a quelle religiose e militari.
Così l'asse Mosca-Ankara può diventare una realtà
geopolitica nonostante un lungo periodo di reciproca
estraniazione.
Caucaso
Il Caucaso è la regione maggiormente
problematica nell'ottica dell'integrazione eurasiatica,
poiché il suo mosaico di culture ed etnie porta
facilmente a tensioni tra nazionalità. Questa è una delle
armi principali utilizzate da coloro che cercano di
fermare i processi d'integrazione nel continente
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
11
eurasiatico. Questa regione deve essere un poligono in
cui sperimentare metodi differenti di cooperazione tra i
popoli, poiché ciò che può avvenire qui, può avvenire
anche in altre parti del continente eurasiatico. La
soluzione eurasiatica al problema non consiste nel
creare stati su base etnica, o nell'assegnare
rigorosamente ad ogni nazione uno stato, ma nello
sviluppare una federazione flessibile sulla base delle
differenze etniche e culturali all'interno del comune
contesto strategico della zona meridiana.
Il risultato di questo piano è la creazione d'un
sistema di semiassi tra Mosca e i centri caucasici
(Mosca-Bakù, Mosca-Erevan, Mosca-Tbilisi, MoscaMahačkala, Mosca-Grozny, ecc.) e tra i centri caucasici
e gli alleati della Russia all'interno del progetto
eurasiatico (Baku-Ankara, Erevan-Teheran, ecc.).
Piano eurasiatico per l'Asia Centrale
L'Asia
Centrale
deve
muoversi
verso
l'integrazione in un blocco economico e strategico unito
con la Federazione Russa all'interno della struttura
dell'Unione Eurasiatica, successore della CSI. La
funzione principale di quest'area specifica è il
riavvicinamento della Russia ai paesi dell'Islam
continentale (Iran, Pakistan, Afghanistan).
Fin dall'inizio, il settore centroasiatico deve
avere varie direttrici d'integrazione. Un piano farà della
Federazione Russa il socio principale (somiglianza
culturale, interessi economici ed energetici, comune
sistema strategico di sicurezza). Il piano parallelo è di
porre l'accento sugli intrecci etnici e religiosi: mondi
turco, iranico e islamico.
INTEGRAZIONE
EURASIATICA
TERRITORI POST-SOVIETICI
DEI
Unione Eurasiatica
Un più specifico significato di Eurasiatismo,
parzialmente ricollegabile alle definizioni degli
intellettuali eurasiatisti degli anni '20 e '30 del XX
secolo, è connesso al processo d'integrazione locale
dei territori postsovietici.
Diverse forme di una simile integrazione
possono osservarsi nella storia: dall’impero nomade
degli Unni (che comprese anche popoli iranici e
germanici) all'impero di Gengis Khan e dei suoi
successori. Una più recente integrazione è stata
condotta dall'Impero russo dei Romanov e,
successivamente, dall'URSS. Oggi, l'Unione Eurasiatica
prosegue nel solco di queste tradizioni d'integrazione
attraverso un unico modello ideologico che tiene in
considerazione procedure democratiche, rispetta i diritti
delle nazioni, e presta attenzione alle caratteristiche
culturali, linguistiche ed etniche di tutti i membri
dell'Unione.
L'Eurasiatismo è la filosofia dell'integrazione dei
territori postsovietici su una base democratica, non
violenta e spontanea, senza il predominio di alcuna
religione o gruppo etnico.
Astana, Dušanbe e Biškek come principale
forza d'integrazione
Le repubbliche asiatiche della CSI affrontano il
processo d'integrazione postsovietico in maniera
differente. Il più attivo aderente all'integrazione è il
Kazakistan. Il Presidente del Kazakistan Nursultan
Nazarbaev è un fermo sostenitore dell'idea eurasiatica.
Il Kirghizistan e il Tagikistan sostengono in maniera
analoga il processo d'integrazione, sebbene il loro
sostegno appaia meno tangibile di quello kazako.
Taškent e Ašabad
L'Uzbekistan e specialmente il Turkmenistan
osteggiano il processo d'integrazione, tentando di
guadagnare quanto più possibile dalla loro recente
sovranità nazionale. Tuttavia, molto presto, a seguito
del crescente prezzo della globalizzazione, entrambi gli
stati si troveranno di fronte a un dilemma: o perdere la
sovranità e mescolarsi ad un mondo globalmente
unificato sotto il predominio dei valori liberali americani,
o preservare l'identità culturale e religiosa nel contesto
dell'Unione Eurasiatica. A nostro parere, un sereno
raffronto di queste due opzioni porterà a scegliere la
seconda, che corrisponde in maniera naturale ad
entrambi i paesi ed alle loro storie.
Stati transcaucasici
L'Armenia continua a gravitare verso l'Unione
Eurasiatica e considera la Federazione Russa
un'importante sostenitrice e conciliatrice che l'aiuta ad
affrontare le relazioni con i suoi vicini musulmani. E' da
notare che Teheran preferisce stabilire un'alleanza con
gli Armeni, etnicamente affini agli Iraniani. Questo fatto
ci autorizza a considerare due semiassi - MoscaErevan e Erevan-Teheran - come positivi prerequisiti
dell'integrazione.
Bakù rimane neutrale, ma tale situazione è
destinata a cambiare radicalmente per il continuo
avvicinarsi
di
Ankara
all'Eurasiatismo
(che
immediatamente contagerà anche l'Azerbaigian). Le
analisi del sistema culturale azerbaigiano mostrano che
questo stato è più vicino alla Federazione Russa e alle
repubbliche post-sovietiche del Caucaso e dell'Asia
Centrale che non al religioso Iran o anche alla laica
Turchia.
Il problema della Georgia è la chiave di volta
della regione. Il carattere variegato dello stato
georgiano è causa di seri problemi nella costituzione di
un nuovo stato nazionale, fortemente rifiutato dalle
minoranze etniche: Abkhazia, Ossezia meridionale,
Agiaria, ecc. Oltretutto, lo stato georgiano non ha
nessun forte alleato nella regione ed è costretto a
cercare un accordo con gli USA e la NATO per
controbilanciare l'influenza russa. La Georgia è la
minaccia maggiore, capace di sabotare il processo
d'integrazione eurasiatico. La soluzione del problema si
trova nella cultura ortodossa della Georgia, con le sue
caratteristiche e le sue tradizioni eurasiatiche.
Ucraina e Bielorussia, paesi slavi della CSI
E' sufficiente guadagnarsi il supporto di
Kazakistan e Ucraina per riuscire nella creazione della
Unione Eurasiatica. Il triangolo geopolitico MoscaAstana-Kiev è una colonna portante abile a garantire la
stabilità dell'Unione Eurasiatica, e questo è il motivo per
cui è più urgente che mai negoziare con Kiev. Russia e
Ucraina hanno moltissimo in comune: cultura, lingua,
religione, appartenenza etnica. Questi aspetti devono
essere evidenziati, poiché fin dall'inizio della recente
sovranità ucraina sono stati promossi russofobia e
disintegrazione. Molti paesi della UE possono
influenzare positivamente il governo ucraino, giacché
essi sono interessati all'armonia politica dell'Europa
Orientale. La cooperazione tra Mosca e Kiev
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
12
evidenzierà le propensioni paneuropee di entrambi i
paesi slavi.
I suddetti fattori riguardano la Bielorussia, dove
le intenzioni d'integrazione sono molto meno evidenti.
Tuttavia, lo status strategico ed economico della
Bielorussia è meno importante per Mosca di quelli di
Kiev e Astana. Inoltre, il predominio d'un asse MoscaMinsk danneggerebbe l'integrazione con Ucraina e
Kazakistan, e questo è il motivo per cui l'integrazione
con la Bielorussia deve procedere fluidamente senza
incidenti improvvisi - assieme alle altre direttrici del
processo d'integrazione eurasiatica.
Eurasiatismo come Weltanschauung
L'ultima definizione di Eurasiatismo caratterizza
una specifica Weltanschauung: una filosofia politica che
combina tradizione, modernità e anche elementi
postmoderni. Questa filosofia ha come sua priorità la
società tradizionale; riconosce l'imperativo della
modernizzazione tecnica e sociale (senza discostarsi
dalla cultura tradizionale); si sforza di adattare il suo
programma ideologico alla società postindustriale e
informatica, e ciò si chiama postmodernismo.
Il postmodernismo formalmente rimuove la
contrapposizione tra tradizione e modernismo,
rendendoli eguali. Il postmodernismo eurasiatico, al
contrario, promuove un'alleanza di tradizione e
modernità come un impulso energetico, costruttivo,
ottimistico verso la creatività e la crescita. La filosofia
eurasiatica non nega le realtà messe a nudo
dall'Illuminismo: religione, nazione, impero, cultura, ecc.
Allo stesso tempo, i migliori successi della modernità
sono utilizzati ampiamente: avanzamento tecnologico
ed economico, garanzie sociali, libertà del lavoro. Gli
estremi si incontrano, mescolandosi in un'armonica ed
originale teoria unificante, ispirando pensieri nuovi e
nuove soluzioni per gli eterni problemi che gli uomini
hanno affrontato nel corso della storia.
L'Eurasiatismo è una filosofia aperta
L'Eurasiatismo è una filosofia aperta, non
dogmatica, che può essere arricchita da nuovi
contenuti:
scoperte
religiose,
sociologiche
ed
etnologiche,
ricerche
geopolitiche,
economiche,
geografiche, culturali, strategiche e politiche. In più, la
filosofia eurasiatica offre originali soluzioni in specifici
contesti culturali e linguistici: l'Eurasiatismo russo non
sarà lo stesso delle versioni francese, tedesca o
iraniana. Tuttavia, la struttura principale della filosofia
rimarrà invariata.
Principi dell'Eurasiatismo
I principi basilari dell'Eurasiatismo sono i
seguenti:
!
Differenzialismo, pluralismo dei sistemi di valori
contro il convenzionale predominio obbligatorio
di una ideologia (la liberaldemocrazia americana
innanzitutto);
!
Tradizione contro soppressione di culture,
nozioni e categorie della società tradizionale;
!
Diritti delle nazioni contro l’oro e il denaro, e
contro l'egemonia neocoloniale del "Nord ricco";
!
Realtà popolari come valori e soggetti della
storia, contro la spersonalizzazione delle
nazioni, imprigionate in costruzioni sociali
artificiali;
!
Equità sociale e solidarietà umana contro lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
(traduzione di Daniele Scalea)
Per gentile concessione della rivista
ringraziano l'Editore e il Direttore.
Eurasia,
rivista
di
g e o p o l i t i c i - presentazione
Eurasia;
si
studi
Lo scopo di questa nuova rivista di studi
geopolitici è quello di promuovere, stimolare e
diffondere la ricerca e la scienza geopolitica nell’ambito
della comunità scientifica nazionale ed internazionale,
nonché di sensibilizzare sulle tematiche eurasiatiche il
mondo politico, intellettuale, militare, economico e
dell’informazione. La prospettiva di EURASIA non
corrisponde solo a quella delle relazioni internazionali in
senso stretto, ma è anche quella, più fondamentale,
che
concerne
l’influenza
esercitata
sulle
“rappresentazioni” geopolitiche passate e attuali,
nonché sugli scenari futuri, dai rapporti culturali e
spirituali tra i popoli che abitano la massa continentale
eurasiatica. Infatti, pur non rappresentando nessun
particolare indirizzo accademico, né adottando alcuno
specifico e preferenziale approccio metodologico per
l’indagine e l’interpretazione degli avvenimenti
geopolitici, la rivista EURASIA ha l’ambizione di porre
all’attenzione degli addetti ai lavori l’importanza della
riscoperta dell’unità spirituale dell’Eurasia, così come
essa da sempre si esprime nelle molteplici e variegate
forme culturali. Il riconoscimento di tale realtà
costituisce infatti un fattore innovativo e decisivo per
l’avanzamento della scienza geopolitica del XXI secolo,
in alternativa alle pilotate, restrittive, “ideologiche”, e
dunque a-scientifiche, teorie dello “scontro di civiltà” o
del “melting-pot”, che tanta confusione e danno hanno
ingenerato sia nell’ambito della indagine scientifica che
in quello delle applicazioni pratiche. È per tali motivi che
nella rivista saranno presenti, oltre alle analisi
geopolitiche, alla critica delle dottrine dominanti e
all’illustrazione di ipotetici futuri scenari, anche articoli,
saggi e studi riportanti riflessioni, risultati e metodologie
acquisite nei diversi campi della etnografia, della storia
delle religioni, della psicologia dei popoli e delle identità
collettive, della morfologia della storia, della sociologia,
dell’economia, della scienza politica, della scienza delle
comunicazioni e delle scienze esatte, declinati, però,
nell’oggettivo e vincolante quadro della geopolitica.
Saranno altresì proposti studi ed analisi
concernenti la geoeconomia, quale nuova scienza
autonoma dalla geopolitica, e la geofinanza, al fine di
identificare le metodologie che animano le strategie
economiche e finanziarie su scala planetaria (sia delle
nazioni dominanti che dei grandi potentati economici) e
le opportunità che ne possono scaturire per le nazioni
più deboli; né saranno trascurati studi e riflessioni
riguardanti il delicato tema della sicurezza interpretato
secondo i criteri della geostrategia.
Direttore responsabile: Tiberio Graziani
Registrazione presso il Tribunale di Milano
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
13
Redattori: Aldo Braccio, Aleksandr Dugin, Tiberio
Graziani, Claudio Mutti, Daniele Scalea, Martin A.
Schwarz, Carlo Terracciano, Stefano Vernole
Editore: Edizioni all'Insegna del Veltro, Viale Osacca
13,
43100
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www.insegnadelveltro.it,
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Stampa: S.E.B., Via Caveto 22, Cusano Milanino
La collaborazione è su invito. Dischetti e manoscritti
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ARTICOLI
Attacco all’Europa?
di Daniele Scalea*
Ieri (giovedì 7 luglio 2005) un numero non
ancora precisato (cinque? sei?) di bombe è esploso
nella metropolitana e su una corriera di linea a Londra,
provocando circa 50 vittime. Il primo ministro britannico,
Tony Blair, è di corsa tornato dal vertice del G8 a
Gleneagles per scagliarsi contro i «barbari» che hanno
attaccato la sua capitale, col chiaro intento di ostacolare
il G8 e, dunque, «la risoluzione di problemi
fondamentali per l'umanità intera, come la povertà
dell'Africa e l'inquinamento». Retorica a parte, può darsi
che Blair, e dopo di lui Schröder, abbiano una qualche
ragione: forse chi ha compiuto gli attentati di Londra
voleva impedire che al G8 si prendessero seri
provvedimenti in materia di lotta alla povertà e ai
cambiamenti climatici. Spero di essere smentito, ma ho
come l'impressione che il grande vincitore, a
Gleneagles, sarà Bush: il quale otterrà di non
raddoppiare gli aiuti ai paesi del Terzo Mondo, e
soprattutto metterà definitivamente fuori discussione
l'adesione degli USA al Protocollo di Kyoto. Vincitore
sarà anche lo stesso Blair: del quale si ricorderà il
generoso impegno per Africa e ambiente, in parte
vanificato dall'assurdo attacco contro Londra.
Attacco trattato, come da tradizione, in modo
assolutamente oggettivo e asettico dai media
occidentali e, in particolare, dai rinomati mezzi
d'informazione italiani. Tant'è vero che, ancora prima
che giungesse alcuna rivendicazione, i telegiornali di
Mediaset parlavano senza condizionale d'attentato di Al
Qaeda (cosa azzardata, riferendosi a un paese che ha
già avuto esperienze del genere, per mano dell'IRA).
Eppure, proprio noi italiani, meglio di chiunque altro,
dovremmo conoscere la regola aurea degli attentati
dinamitardi: per quanta acqua e indagini giudiziarie
possano passare sotto i ponti, i responsabili rimangono
sempre nascosti dietro un enorme punto interrogativo.
Prima era colpa degli anarchici, poi dei fascisti; poi sì di
servizi segreti, ma d'enigmatici "servizi deviati". Il
problema, fondamentalmente, è che non vale quasi
nulla pescare gli autori materiali del fatto, se poi non si
sa chi li ha indirizzati, armati e addestrati a compierlo. E
questa seconda parte è quella che sicuramente non si
scopre mai. Poco importa scoprire che a Piazza
Fontana o alla Stazione di Bologna gli ordigni furono
piazzati da quello o da quell'altro neofascista: perché
un fanatico da solo può a mala pena concepire un atto
simile, figuriamoci portarlo a termine con successo!
Egualmente, è possibile che a Madrid e Londra ad agire
siano state delle persone di religione musulmana - è
possibile ma non provato, perché il Corano "smarrito"
nella capitale spagnola è una prova burlesca! - ma se
non si scopre chi è il mandante, è come se non
sapessimo nulla di quanto accaduto. Vicino al luogo
dell'attentato, sottolineano i giornalisti, c'è una moschea
"sospetta". E con ciò? Vogliamo davvero credere che
un qualunque gruppo d'immigrati arabi, o d'indigeni
convertiti all'Islam, possa da un giorno all'altro compiere
simili attentati coordinati d'ampia portata contro obiettivi
sensibilmente controllati dalle unità antiterrorismo?
Staremmo davvero sognando. Qualcuno dotato di forti
mezzi e competenze deve spalleggiarli. Entra allora in
gioco la famigerata "Al Qaeda" di Bin Laden, uno
spaventapasseri che può convincere solo spettatori
assuefatti dai films di James Bond: poiché una
"Spectre", nella realtà, non può esistere. Perché
l'organizzazione di Bin Laden non sarebbe mai nata
senza il sostegno decisivo della CIA: ma quando il
cordone ombelicale è stato tagliato? Com'è possibile
che gli agenti segreti non conoscano sufficientemente
la struttura da loro stessi creata, per essere in grado di
distruggerla? Com'è possibile che "Al Qaeda" sia
riuscita ad evitare d'essere massicciamente infiltrata,
non ostante cotanta origine? Tutte domande senza
risposta: anche perché pochi le pongono, e nessuno ha
voglia di rispondere. L'esperienza c'insegna che tutti i
gruppi sovversivi, "terroristi", ecc. sono sempre infiltrati
da strutture del governo (che del resto servono proprio
a questo); si vedano le recentissime rivelazioni inerenti
le Brigate Rosse. I governi occidentali hanno alle spalle
la maggior parte della ricchezza mondiale, Bin Laden
non ha più a disposizione neanche il suo personale
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
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patrimonio, bloccato (tardivamente) dalle autorità
statunitensi dopo l'11 settembre 2001: la lotta appare
impari eppure la vittoria per Washington sembrerebbe
lontana. Al Qaeda, Bin Laden e al-Zarkawi, intanto,
continuano a fornire alla Casa Bianca ottime
giustificazioni per la propria politica estera aggressiva
(tanto per usare un eufemismo). In Iraq, stando ai nostri
media, parrebbe che l'esercito statunitense stia
combattendo contro le armate di Al Qaeda e non, com'è
ovvio, contro la guerriglia irachena preventivamente
progettata dalle autorità ba'athiste: in tal modo, si fa
dimenticare che gli USA hanno invaso uno stato
sovrano e membro delle Nazioni Unite, e la guerra
appare piuttosto rivolta contro il famigerato Bin Laden.
Ma se anche ciò fosse vero, saremmo di fronte al più
grave fallimento della politica nordamericana: la quale
avrebbe tramutato un paese laico nemico del
fondamentalismo, in un feudo di Al Qaeda. La figura e il
ruolo di Bin Laden, col passare degli anni, si fanno
sempre più contorti, sempre più enigmatici: sempre più
prossimi a un casus belli con gambe e braccia per gli
USA. Lo scriveva persino Machiavelli nel '500: se lo
stato non ha un nemico, tanto vale che se lo crei. Ma
seguire tale filone non ci porterebbe ad alcuna
conclusione certa; torniamo piuttosto all'attentato di
Londra.
Intuendo forse che, com'è tradizione, ai
bombaroli non si potrà mai dare un volto e un nome al
di là d'ogni ragionevole dubbio, i media hanno coniato
la nuova espressione «di matrice terroristica». Il che,
ovviamente, non significa nulla. "Terroristico" è attributo
che si può conferire allo stile, alla tecnica dell'attentato,
ma la "matrice", per definizione, presume che si parli
dell'origine, della causa: cioè degli autori. Se non ché si
sta tentando, da troppo tempo a questa parte,
d'accreditare l'esistenza di un "Terrorismo" per
definizione, il cui obiettivo, evidentemente, sarebbe il
terrore fine a se stesso, e la motivazione un odio
"insensato" per lo «Occidente». Siamo ormai vicini
all'assurdo, a un'inquietante atmosfera orwelliana: i
telegiornali non fanno più informazione, ma sono
l'equivalente del "minuto dell'odio" in 1984. Alla massa
dev'essere additato un nemico che sia cattivo a tutto
tondo, ontologicamente malvagio. E gli attentati, per
qualsiasi motivo siano stati compiuti, sono poi
strumentalizzati per indurre alla bellicosità gli animi dei
recalcitranti europei: ecco allora che sei bombe nella
metropolitana di Londra sono un «attacco al cuore
dell'Europa»!
L'Inghilterra "cuore dell'Europa"? La geografia lo
nega, dato che la Gran Bretagna è un'isola situata a
nord-ovest della penisola europea. Essa ha con
l'Europa il medesimo rapporto che il Giappone ha con
l'Asia: ufficialmente ne fa parte, ma da una parte e
dall'altra si vedono gli abitanti al di là del braccio di
mare come "diversi". Gli Inglesi hanno sempre avuto
questa profonda convinzione d'essere differenti, e per
certi versi superiori, agli abitanti del continente: in
passato, addirittura, fantasticarono d'essere discendenti
d'una qualche tribù israelita smarrita; quando i
nordamericani vollero fregiarsi dello stesso titolo,
gl'Inglesi l'abbandonarono snobisticamente, ma non
rinunciarono mai al proprio sentirsi "diversi" e "unici".
L'Inghilterra è, geograficamente parlando, a mala pena
parte dell'Europa, figuriamoci se ne può rappresentare
il "cuore".
Lo potrebbe allora essere in senso politico? No
affatto. Londra è sempre stata più vicina a Washington
che a Bruxelles, ha sempre osteggiato qualsiasi
progetto d'integrazione europea che andasse al di là
della sfera economica, ha sfruttato il diritto di veto
conferitole dall'assurdo requisito dell'unanimità per
paralizzare politicamente l'Unione Europea. L'Inghilterra
non è il "cuore", ma la spina nel fianco dell'Europa!
Gli attentati alla metropolitana di Londra non
sono stati un "attacco" al nostro continente, bensì
misteriosi atti terroristici circoscritti alla sola isola
britannica e che, come al solito, hanno colpito gente
comune e innocente. L'isterico stracciarsi le vesti per le
cinquanta sfortunate e innocenti vittime britanniche, è
affatto ipocrita se poi s'ignora con freddezza le oltre
100.000 vittime dell'invasione angloamericana dell'Iraq.
Nemmeno i nazisti si sarebbero mai sognati di dire: «Un
tedesco vale 2000 arabi»: Hitler era molto più modesto,
e molto meno razzista, dei nostri occidentalisti!
I politici, giornalisti e intellettuali filo-americani
hanno riportato in Europa spettri di cui speravamo
d'esserci liberati per sempre: da quanti decenni non si
sentiva più affermare che Europa e Nordamerica
sarebbero «il mondo civilizzato», sottintendendo così
che il resto del globo sarebbe mercé dei «barbari»?!
Ebbene, signori, siamo tornati all'età del colonialismo:
una battaglia in nome del relativismo culturale,
dell'autodeterminazione dei popoli, e del multipolarismo
geopolitico è oggi più necessaria che mai.
Daniele Scalea,
8 luglio 2005
*Redattore di "Eurasia, rivista di studi geopolitici"
Kirghizistan: è solo l’inizio
di Aleksej Makarkin
MOSCA, 14 luglio 2005 (Direttore Generale del
Centro di Tecnologie Politiche - Aleksej Makarkin per
RIA Novosti) - Non è difficile prevedere il risultato delle
elezioni presidenziali in Kirghizistan. Una volta che i
due favoriti, Kurmanbek Bakev e Feliks Kulov, unirono
le proprie forze, la vittoria del primo era garantita. Ma le
elezioni non sono scevre da intrighi. Risulta
chiaramente dalle posizioni degli osservatori provenienti
da differenti strutture internazionali.
Una tradizione recente nei paesi della CSI vuole
che la valutazione positiva di un'elezione da parte degli
osservatori della CSI, sia controbilanciata da
un'opinione negativa dei loro colleghi inviati
dall'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione
in Europa (OSCE), o viceversa. Così, gli osservatori
della CSI furono soddisfatti quando Viktor Janukovič fu
annunciato vincitore del ballottaggio nelle elezioni
ucraine, mentre la controparte dell'OSCE mostrò un
atteggiamento decisamente critico delle procedure di
voto.
Al contrario, il terzo turno delle medesime
elezioni, che vide il trionfo della rivoluzione arancione,
ricevette un'ottima valutazione dagli osservatori
dell'OSCE e una molto negativa dai loro colleghi della
CSI.
Gli Europei sono stati molto soddisfatti delle
recenti elezioni parlamentari in Moldova, mentre gli
osservatori della CSI sono stati tutti cacciati.
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
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Allo stesso modo, gli Europei pensavano che le
elezioni bielorusse fossero una farsa, mentre la
valutazione degli osservatori della CSI fu davvero
eccellente.
Ma le elezioni in Kirghizistan hanno prodotto un
inatteso consenso. Il capo della missione osservatrice
della CSI, Vladimir Rušailo, ha affermato che le elezioni
sono state condotte, nel complesso, in un'atmosfera di
calma e senza flagranti violazioni. «Si rilevano alcuni
elementi contraddittori nei documenti di voto, alcuni dei
quali non sono chiaramente compilati», ha detto. Gli
osservatori dell'OSCE sono più critici, e ritengono che
in più vi siano incrementi non plausibili nei dati
sull'affluenza. Ma nel complesso essi valutano
positivamente le elezioni. Il capo della missione
osservatrice a breve termine dell'OSCE, Kimmo
Kelonen, reputa che le elezioni presidenziali in
Kirghizistan siano state condotte in maniera positiva e
soddisfino le norme democratiche.
E' chiaro che le elezioni nei paesi della CSI sono
teatro d'una feroce lotta geopolitica tra la Russia e
l'Occidente, in cui molte priorità sono già state fissate.
E' ovvio che Chisinau si orienti verso l'Occidente,
mentre Minsk inclina a oriente, che Viktor Juščenko
voglia il suo paese nella NATO e nell'UE, mentre i suoi
oppositori contano sul supporto della Russia.
Ma la situazione in Kirghizistan è molto più
controversa. La locale rivoluzione di velluto è stata un
avvicendamento tribale, e i vincitori non sono
inequivocabilmente prorussi o filoccidentali. D'altro
canto, le organizzazioni non governative occidentali
hanno sostenuto le forze d'opposizione in Kirghizistan,
ma ciò non ostante qualsiasi governo a Biškek è
costretto a tenere in considerazione il fattore russo,
tradizionalmente rilevante.
Le nuove autorità kirghise paleseranno il proprio
orientamento politico allorché s'esprimeranno riguardo
la base militare statunitense, installata sul loro territorio
durante le operazioni afghane delle forze armate USA e
alleate
nel
2001.
Al
recente
convegno
dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai,
agli Americani è stato rivolto il cortese ma fermo invito a
fissare una data per il ritiro delle loro truppe dall'Asia
Centrale. Il nuovo presidente Bakev ha detto
immediatamente dopo le elezioni che quando la
situazione in Afghanistan risulterà stabilizzata,
«potremo cominciare a discutere se gli USA abbiano la
necessità di mantenere la loro presenza militare (nel
paese)». Ha dunque aggiunto: «Il tempo mostrerà
quando e come ciò accadrà». In altre parole, si è preso
qualche spazio di manovra.
I nuovi dirigenti del Kirghizistan non vogliono
rovinare le relazioni né con la Russia, o gli altri associati
nella OCS, né con gli USA. Per tale ragione, non è
probabile che compiano alcun brusco passo nel futuro
prossimo.
Ma presto o tardi essi dovranno definire le loro
preferenze geopolitiche. Inoltre, dovranno farlo in una
situazione dove non saranno più uniti, e il
compromesso Bakev-Kulov dovrà sopravvivere a molte
prove (la prima per la nomina dei nuovi ministri e degli
altri alti ufficiali).
Non è da escludere che i diversi gruppi della
classe dirigente kirghisa possano appellarsi ai centri in
competizione per l'influenza mondiale, rendendo perciò
la situazione ancora più complicata.
A ogni modo attualmente sia la Russia che
l'Occidente stanno ammiccando ai vincitori le
consultazioni tramite i rispettivi osservatori. Ciò significa
che la lotta (perlopiù clandestina e solo di tanto in tanto
visibile) per l'influenza su Biškek e sulle élites politicoeconomiche del Kirghizistan proseguirà.
(traduzione di Daniele Scalea)
Khodorkovskij story
di Maurizio Blondet
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Mentre i giudici russi si apprestano a
condannare l’oligarca Mikhail Khodorkovskij, l’ex
padrone della petrolifera Yukos, per frode ed evasione
fiscale, i poteri forti americani si preparano a mordere ai
calcagni Putin, colpevole di aver messo nei guai quel
loro amico ebreo. Il senatore John McCain ha già
avvertito: quello contro l’amato Khodorkovskij non è un
processo normale, ma “un colpo di Stato strisciante
contro le forze della democrazia e del capitalismo, che
scuote le fondamenta delle relazioni Russia-Usa”. Detto
da un responsabile di un’America che ha visto la Enron
e l’11 settembre (colpo di Stato di tipo nuovo), non c’è
male. Ma forse è il caso di percorrere la storia di questo
puro martire del liberismo.
Nato nel 1963, mentre frequentava l’università a
Mosca (laurea in chimica) Khodorkovskij entrò nella
Lega dei Giovani Comunisti, l’organizzazione giovanile
del PCUS, assumendo l’incarico di vicesegretario del
distretto Frunze: l’inizio di una bella carriera nel Partito.
Il quale lo nominò capo del locale Centro tecnologico
industriale. Ma erano ormai i tempi della perestrojka, e
Khodorkovskij cominciò a fare i primi soldi da
“comunista privatizzato”, rivendendo computer. Sia vero
o no, i soldi così guadagnati gli consentirono di fornire
“servizi finanziari” ai primi imprenditori russi, alias ex
funzionari del KGB e mafiosi, che stavano incamerando
i beni e le imprese dell’URSS a prezzi stracciati. I
servizi di Khodorkovskij consistevano in questo:
cambiava i rubli (che perdevano valore a ritmo
accelerato) in dollari, che poi avviava all’estero in conti
offshore.
Ovviamente queste belle operazioni potevano
essere condotte solo grazie agli appoggi “religiosi” che
il giovane comunista aveva all’estero: i Rotschild di
Londra, a quanto si dice. Fatto è che Khodorkovskij
guadagnò tanto, ma tanto, da poter aprire una sua
propria banca, la Menatep: la preferita dai “nuovi
imprenditori”, ex spie e mafiosi russi. Così, quando
l’ormai alcolizzato El’cin lanciò (su suggerimento di
economisti liberisti, quali Jeffrey Sachs, ebreo della
Chicago School) un piano di privatizzazione forzata “prestiti contro azioni” - il piccolo comunista era pronto:
a forza di aste truccate, fornendo “prestiti” che il regime
non avrebbe mai restituito, si appropriò di “azioni” dei
patrimoni pubblici russi, soprattutto minerari, a prezzi
stracciati. Ovviamente, anche queste operazioni
richiesero speciali appoggi dall’estero. Mikhail infatti
aprì società di comodo in paradisi fiscali che, oltre al
segreto, garantivano l’immunità fiscale ed ogni sorta di
protezione legale contro eventuali soci di minoranza
che, per avventura, volessero scoprire dove finiva il
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
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denaro. I paradisi fiscali nel mondo sono una settantina,
ma Khodorkovskij ne preferì tre o quattro, tutti sotto
controllo britannico (dei Rotschild): Gibilterra, l’isola di
Man e Panama, nonché la Svizzera. Un esempio. Nel
1994 Khodorkovskij e “amici” comprarono il 20% della
proprietà della Apatit, un’impresa mineraria di Stato
russa che valeva 1,4 miliardi di dollari, per soli 225 mila
dollari, più la promessa di investire nell’azienda altri 283
milioni.
Quando la Apatit fu messa all’asta, oh miracolo,
solo quattro società estere si qualificarono per
partecipare: erano quattro società create da
Khodorkovskij nei già noti paradisi fiscali. E quando una
delle “società investitrici” vinse l’asta a prezzo di favore,
si rifiutò di investire quei 283 milioni nella Apatit, benché
si fosse impegnata a farlo; un’ingiunzione del tribunale
russo – o mettere quei milioni di dollari, o restituire le
azioni – restò lettera morta. La società di comodo
sfuggì ad ulteriori guai giudiziari “cedendo” le azioni
della Apatit ad una banca. Quale? La Menatep del
giovane comunista; la quale si affrettò a spargere il
pacchetto della proprietà in varie altre società offshore,
fuori dalla giurisdizione russa. Intanto, i manager da lui
nominati svendevano a prezzi stracciati i prodotti della
Apatit alle società di comodo, le quali li rivendevano sui
mercati mondiali a prezzi alti. In tal modo, la ditta
pagava tasse e dividendi come se fosse in perdita: nulla
o quasi. Secondo la procura russa, in tal modo
Khodorkovskij ha frodato alla Apatit - che stava
dissanguando - e ai soci di minoranza- qualcosa come
200 milioni di dollari, evadendo anche milioni (di dollari)
in imposte. Nel 1995, il trucco fu ripetuto con
un’impresa molto più strategica: la Avisma, produttrice
di titanio, messa in vendita al miglior offerente. Vinse
l’asta una società offshore che, guarda caso,
apparteneva alla Banca Menatep.
Ovviamente, la società-fantasma pagò un
prezzo ridicolo, un’infima frazione del reale valore della
Avisma. E anche qui, altre società ad hoc comprarono
la preziosa produzione della ditta sotto i valori di
mercato del titanio per poi rivenderli al più alto prezzo
mondiale. Altra ruberia fiscale e dei soci di minoranza, e
altro cespite russo dissanguato e svuotato (1).
Stesso procedimento per l’acquisto della
petrolifera
Yukos,
“privatizzata”
tramite
asta.
Khodorkovskij – o meglio le sue solite società estere di
comodo – pagò 309 milioni di dollari per il 78 % della
ditta.
Immediatamente dopo la Yukos, quotata nella
Borsa russa, rivelò il suo vero valore: 6 miliardi di
dollari. Un affaruccio niente male, per i Rotschild & C.
Fu come comprare un vero Rolex di platino per un
ventesimo del suo valore. Al vertice della struttura
proprietaria della Yukos c’era un “Gruppo Menatep”, la
cui sede è una casella postale a Gibilterra;
Khodorkovskij in persona controllava il 28% del Gruppo
Menatep; e questo controllava la Yukos Universal
Limited, proprietaria del 61% della vera Yukos. Come al
solito, la Yukos vendeva sottocosto il suo petrolio e
derivati a società-fantasma (del giovane comunista) di
Gibilterra, le quali poi lo rivendevano ai giusti prezzi sul
mercato mondiale, evadendo tasse e negando profitti ai
malcapitati azionisti di minoranza. Secondo un calcolo
prudente, la ruberia ammonta a 1,7 miliardi di dollari.
Più tardi il Group Menatep aprì un lussuoso
ufficio a Londra. Il suo “managing director” era un losco
avvocato della City, Stephen Curtis, che stava già
fornendo i suoi servizi a Boris Berezovski, altro oligarca,
mafioso (e finanziatore di criminali ceceni) ed ebreo,
riparato in Israele da quando è perseguito dalla giustizia
russa. Risulta da intercettazioni che Curtis, in un
incontro nel ’99 con alti fiduciari di Khodorkovskij nel
lussuoso ufficio londinese, spiegò lo schema della
frode-fuga di capitali; il greggio Yukos veniva venduto
attraverso varie “società commerciali” come la Behles in
Svizzera, la South Petroleum in Liberia, e la Baltic
Petroleum in Irlanda. Società con proprio management
separato, ma stranamente vicine. Per esempio la
Behles svizzera condivideva con Menatep e Apatit la
stessa sede, 46 rue du Rhone a Ginevra. Nel 2004
Stephen Curtis cominciò a sentire il terreno scottare
sotto i piedi. Contattò il National Criminal Intelligence
Service (NCIS), l’organo che sorveglia il crimine
organizzato in Inghilterra: evidentemente voleva fornire
informazioni utili a smascherare i delinquenti che gli
davano il lavoro. Nel marzo 2004, mentre si recava in
elicottero ad un appuntamento con un agente dell’MI6,
il suo velivolo privato – un Agusta 109E nuovo di zecca
– cadde, e lo uccise. Nel frattempo le autorità russe
avevano arrestato Khodorkovskij per frode ed evasione;
in seguito a ciò, le azioni Yukos crollarono,
prosciugando gli ingenui investitori americani che ci
avevano creduto, di 5,7 miliardi di dollari. Ma i profitti
occulti della ditta – il grosso del bottino – restano chiusi
in conti bancari segreti formalmente riconducibili alle
solite società fantasma. Nel 2004, su richiesta di
Mosca, le autorità elvetiche hanno congelato 5 miliardi
di dollari di conti appartenuti alla Behles. Ma il grosso
resta inaccessibile. Secondo l’accusa pubblica
moscovita, la Yukos nasconde ancora nelle sue reti
offshore 25 miliardi di dollari dovuti in tasse e frodi. Il
fatto è che la Yukos è stata, come la Enron, l’impresa
più amata da Wall Street, da Blomberg e dal resto della
stampa finanziaria USA fino a ieri. La costellazione
Menatep-Yukos godeva dei servigi delle quattro più
grosse compagnie di audit americane, Ernst & Young,
Deloitte & Touche, KPMG e Pricewaterhouse Cooper:
sono queste ad aver dato una mano alla colossale
evasione fiscale e saccheggio dei beni russi.
Debolmente, solo la Ernst & Young nel luglio 2002
obiettò sulla contabilità del gruppo Menatep. Ciò che
non impedì alle colossali banche americane, Morgan
Stanley e Credit Suisse First Boston (per tacere
dell’elvetica UBS) di fare miliardi vendendo al pubblico
le azioni taroccate di Khodorkovskij. La APCO
Worldwide, sussidiaria della massima agenzia
pubblicitaria del pianeta, la Grey Advertising, si occupa
delle pubbliche relazioni del Menatep e dell’“immagine”
di Khodorkovskij.
Su consiglio della APCO, l’oligarca ha creato a
Londra nel 2001 una “Open Russia Foundation”, una
fondazione senza scopo di lucro modellata sulla Open
Society di George Soros (lo speculatore ebreo che
promuove la “democrazia” all’Est) – con lo scopo di
“promuovere la democrazia in Russia”, ossia più
chiaramente di abbattere Putin. Henry Kissinger è
entrato, dietro profumato pagamento, nel consiglio della
Fondazione. La fondazione sta spendendo parecchio
per farsi amici potenti: ha pagato anche un inutile libro
fotografico di Lord Snowdon, il fotografo ufficiale della
famiglia reale britannica; e ha donato 100 mila dollari a
un National Book Festival americano, che è presieduto
da Laura Bush, moglie del presidente. Dal marzo 2005
la APCO sta pagando pagine in difesa di Khodorkovskij
sul sito web del New York Times: pagine che non
sembrano pubblicità ma articoli di fondo. Frattanto, per
farsi nuovi amici potenti, Khodorkovskij ha messo
parecchio denaro nel gruppo Carlyle (di Bush padre),
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
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un fondo d’investimento chiuso – che investe
soprattutto nel settore militare-industriale - di cui ha
fatto parte anche la famiglia Bin Laden. Così, non
stupisce che l’intera grande stampa USA e i più grossi
pezzi
dell’Amministrazione,
Condoleezza
Rice
compresa, gridino come aquile per il martirio di
Khodorkovskij, e per gli insulti al “libero mercato”
perpetrati da Putin. Ma contrariamente a quel che la
stampa USA grida, Khodorkovskij non è il solo
“perseguitato”. Con Putin, il governo russo ha
perseguito per evasione e delitti finanziari altri
“oligarchi” dell’era El’cin: Berezovski (Aeroflot),
Abramovitch (Sibneft), Gushinski (banca Most), Mickail
Chernoy (Trans World Metals). Quasi tutti, anziché
affrontare il processo, sono fuggiti: in Israele per lo più,
Abramovitch a Londra, Gusinski in Spagna (Gibilterra).
Note
1) Lucy Komisar, “Yukos kingpin on trial”, Corpwatch,
10 maggio 2005.
Falsa guerra contro il terrore e
vera guerra globale
di Yves Bataille
Si è parlato dei Balcani utilizzati come base
terroristica islamista. È la tesi dell’israeloamericano
Bodansky e di tutti quelli che hanno la fissazione
dell’”islamismo”. Certuni vorrebbero coinvolgere la
Serbia in questa lotta contro il terrorismo e farci
dimenticare che gli Anglosassoni sono dovunque
all’origine del revival “islamista” nel Vicino Oriente, in
Afghanistan, nel Caucaso e nei Balcani. Così, dopo
aver fatto esperienza della manipolazione di “islamismi”
nello smantellamento della Jugoslavia, i Serbi
dovrebbero partecipare alla guerra statunitense contro
un terrorismo “islamista” appoggiato qui e combattuto là
a seconda degli interessi di Washington. Si vede che in
questo momento in Iraq gli Americani sono i primi
promotori dell’”islamismo”, installando radicali sciiti al
potere e alimentando indirettamente le tendenze
“islamiste” nella resistenza. Zoran Zivkovic, primo
ministro della Serbia dopo l’esecuzione di Zoran
Djindjic, aveva promesso durante una visita a
Washington nel 2003, mille soldati per la crociata
statunitense in Iraq e in Afghanistan attraverso un
innominabile ricatto : «O Kandahar o L’Aia»…
Oggi è innegabile che esista un terrorismo
islamista, ma esso non è incentrato sui Balcani e non
ha bisogno di basi in Bosnia o nel Kossovo per
commettere attentati in Europa. Innanzi tutto si
ricorderà che sono i paesi che hanno inviato contingenti
militari in Iraq ad essere stati i più presi di mira.
Poi, i flussi migratori mal controllati hanno fatto
delle grandi città dell’Europa occidentale e delle loro
periferie, dei santuari molto più sicuri per eventuali
terroristi, più che non le campagne balcaniche. I Balcani
come base del terrorismo islamista anti - occidentale
sono un mito. La verità è che i separatisti bosniaci e i
loro congeneri albanesi hanno puntato sui due tavoli:
alleanza occidentale ed alleanza islamica. Ciò non ha
disturbato gli Americani, perché dalla prima guerra
afgana essi hanno fatto questo doppio gioco,
manipolando tutti. Per essere sostenuti da tutte le leghe
virtuose occidentali, i separatisti antiserbi si sono
presentati come difensori della democrazia e dei diritti
dell’uomo, l’ideologia in vigore in Occidente, ma,
dall’altra parte, in direzione del mondo islamico, essi
hanno condotto un discorso meno democratico,
pretendendo di essere (come certi Ceceni) dei
musulmani perseguitati ed ottenendo il sostegno degli
islamisti più radicali (wahhabiti). Va notato, e ciò dà
tutto il senso dell’attuale situazione, che l’Iraq e la Siria
baathisti, già bombardati o nel mirino di Washington,
sono stati i soli paesi arabomusulmani (con la Libia) a
non unirsi alla muta anti-serba. A Belgrado nel 1999
durante le manifestazioni contro la NATO, le bandiere
serbe ed irachene sventolavano insieme e c’erano
anche rappresentanti palestinesi.
Nella loro guerra contro la Serbia, i separatisti
bosniaci ed albanesi hanno ricevuto l’appoggio
finanziario, materiale e militare di certi paesi musulmani
e di gruppi islamisti radicali in combutta con gli Stati
Uniti. In Bosnia, al momento dell’embargo che si
presumeva riguardasse tutte le parti in conflitto, la CIA
e la società privata MPRI organizzavano fra Tuzla e
Srebrenica il lancio paracadutato di armi iraniane.
L’aviazione NATO portava il suo contributo. Si
consentiva a migliaia di « afghani » di partecipare alla
guerra sotto un’altra bandiera, come quella che doveva
salvare dalle difficoltà il fratello musulmano - attivato
per conto dello Zio Sam – Alija Izetbegovic ed i suoi
islamisti, trasformati per la necessità della causa in
vittime del nazionalcomunismo serbo. Un terrorismo
presentato come una difesa di minoranze oppresse,
mentre ci si serviva di questi « gihadisti » per
distruggere un paese ed installarvi delle marionette e
delle basi. Tutto ciò s’inseriva nei piani regionali di
Washington che, dopo la caduta delle torri di
Manhattan, esigeva ormai dai suoi vassalli che essi si
unissero alla «crociata antiterroristica». Ma è difficile
immaginare che soldati serbi possano partecipare alla
guerra americana accanto a terroristi bosniaci od
albanesi radunati nella «lotta contro il terrore» in Iraq o
altrove – e perché no, domani nel Caucaso (1). Quando
gli emissari di Bush fanno balenare il partenariato per la
pace e l’accesso alla NATO, è di questo che si tratta:
tutti nella fanteria coloniale di Washington per la guerra
globale, detta guerra «contro il terrore» o contro il
terrorismo.
Alcuni fanno osservare che, dopo gli accordi di
Kumanovo, l'équipe governativa USA è cambiata e che
il terrorismo balcanico sostenuto da Washington era
opera di un’amministrazione democratica. Essi pensano
di potersi attirare la benevolenza USA mostrandosi
servili. Al di là del discredito morale di un tale
atteggiamento, queste persone, che meritano
l’appellativo di collaboratori, si fanno delle illusioni e
disconoscono la realtà. Democratici e repubblicani non
possono essere differenziati quando si tratta degli
interessi superiori del complesso militar-industriale,
degli imperativi della geopolitica del petrolio e del gas e
del sostegno religioso a Israele.
La squadra di Bush è reputata più brutale e
meno diplomatica di quella di Clinton, ma tra la «guerra
umanitaria» o la «diplomazia coercitiva» dei democratici
e la «crociata» o «guerra contro il terrore» dei
repubblicani e degli altri neo-cons, la differenza è
questione di rivestimenti verbali, mentre l’obiettivo
rimane lo stesso: il dominio mondiale in tutti i campi,
inseparabile da un messianismo che si confonde con la
creazione stessa degli Stati Uniti.
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
18
Per i Serbi chi sono i terroristi? I terroristi sono
coloro che hanno attaccato e bombardato, i terroristi
sono coloro che, ancor oggi, premono per la rapina del
Kossovo e per la secessione del Montenegro. I terroristi
sono coloro che fomentano disordini in Raska
(Sandjak).
Quando una centrale USA legata al
Dipartimento di Stato come l’International Crisis Group
(ICG), con il pretesto di « prevenire conflitti », fa
pressione per la separazione di province e regioni del
ramo serbo e nega l’evidenza che gli Albanesi vogliono
la Grande Albania, dov’è, dal punto di vista serbo, la
lotta contro il terrorismo? Si è lasciato che si installasse
impunemente a Belgrado James Lyon, rappresentante
di questa centrale americana di sostegno al terrorismo
e ciò costituisce una falla nella lotta contro il terrorismo
reale, non contro quello fantasma... Non si ripeterà mai
abbastanza che cos’è quella «ONG» che ha sede a
Bruxelles e Washington, il cui fondatore Morton
Abramowitz, allora direttore del Servizio Informazioni
del Dipartimento di Stato, a metà degli anni 1980
consegnava dei Stinger all’islamista e trafficante di
droga Gulbbudin Hekmatyar, il superiore gerarchico di
Osama Bin Laden. Che l’ex ambasciatore in Turchia e
responsabile della Fondazione Carnegie per la Pace,
Abramowitz, è lo stesso che forniva consulenze alla
delegazione separatista albanese nel 1998 a
Rambouillet a titolo di «avvocato»; infine, che questa
ONG a dominanza anglosassone e presieduta dall’ex
ministro degli esteri australiano Gareth Evans, dove per
la quale ha transitato Louise Arbour, l’ex «procuratore»
del TPIY, conta tra i suoi uomini colui che comandava i
bombardamenti della NATO contro la Serbia nel 1999, il
generale Wesley Clark, oltre a Zbigniew Brzezinki, e
George Soros, che non occorre presentare, e a
personaggi come Kenneth Adelman, Bronislaw
Geremek, Simone Veil, Christine Ockrent (la moglie di
Kouchner) la cui particolarità è di nuotare nel medesimo
brodo di cultura atlantista e cosmopolita. Sono tutte
persone che ieri consideravano «combattenti della
libertà» i guerriglieri afghani antirussi e considerano
“combattenti della libertà” i separatisti albanesi antiserbi.
La lotta antiterroristica degli Americani nei
Balcani, parliamone. Un mese dopo l’11 settembre e la
decisione di dare la caccia alla Spectre, il fratello del
braccio destro di Ben Laden Ayman al-Zawahiri,
Zaiman, accampato vicino al villaggio di Ropotovo con
una sessantina di guerriglieri operativi, si muoveva
tranquillamente nella zona d’occupazione americana
del Kossovo adiacente alla Macedonia e tracciata dal
futuro oleodotto della AMBO (2). Quando l’esercito
macedone consigliato dalla Società Militare Privata
MPRI (3), una SMP con sede in Georgia, accerchiava il
gruppo di terroristi albanesi ad Aracinovo, vicino a
Skopje, nel 2001, si accorgeva che anche questo
gruppo era “consigliato” dalla stessa società MPRI, il
che mette in evidenza la doppiezza ed il cinismo di
Washington. La NATO interveniva allora per liberare i
terroristi e gli istruttori USA alla frontiera serbomacedone, mettendoli al sicuro con armi e bagagli. Lo
scandalo veniva soffocato dalla stampa occidentale e i
dirigenti macedoni invitati a tacere. Avere un piede in
ogni campo, muovervi delle pedine: ecco la politica di
Washington, che d’altronde utilizza sempre di più
mercenari o «contrattisti» per fare il lavoro sporco e
supplire alla carenza di effettivi delle sue truppe
regolari, composte per il 40% di latinoamericani, per il
20% di negri e per il resto di bianchi vessati dal
sistema. Al-Qaeda, una nuova versione della Spectre.
Come spiegato dallo specialista francese in materia
Pierre-Henri Bunel (così abitualmente lo si descrive), il
gruppo "Al- Qaeda non esiste". Secondo questa stessa
fonte, che ha ben studiato l’argomento, Al- Qaeda
prima dell’11 settembre non comprendeva in tutto che
300 individui sparsi tra l'Afghanistan e la penisola
arabica. È il chiasso, tutto questo can can fatto dopo gli
attentati di New York e di Washington, ad aver diffuso il
mito di una Al-Qaeda onnipresente nel mondo. E’ stata
la pubblicità di massa fatta dagli Americani a questa
nuova versione della Spectre (4) ad avvantaggiare dei
gruppi islamisti sparsi, che non avevano alcun legame
operativo con il gruppo di Ben Laden. Il mito del nemico
pubblico numero uno, impersonato sullo schermo
dall’attore Ben Laden, ha fatto un’enorme pubblicità al
nuovo islamismo radicale. Lo si è constatato in Iraq e in
Turchia con la sollecitazione di gruppi islamisti
assimilati ad Al-Qaeda, dopo avere visto un’altra
assimilazione menzognera, oltre alla scoperta di Armi di
Distruzione di Massa (WMD) per giustificare la guerra:
l'assimilazione tra Al-Qaeda e Saddam Hussein. Sulla
stampa statunitense, legata organicamente al mondo
degli affari e dell’industria, si è potuto raccontare
qualsiasi cosa senza che nessuno intervenisse, almeno
inizialmente, a contraddire queste stupidaggini. Un tale
trattamento mediatico è corrente in quella che Richard
Holbrooke, l’emissario speciale di Clinton per i Balcani,
l’uomo che si toglieva le scarpe entrando nelle case
albanesi, ha definito la «stampa libera e democratica»,
quella che difende gli «standards mondiali», in altre
parole, il mondo immaginario e virtuale di Washington.
La definizione di terrorismo data dallo specialista
francese della «guerra dell’informazione» FrançoisBernard Huyghe (5), un «metodo di lotta degli attori non
istituzionali e clandestini che commettono attentati a fini
politici», ha il pregio della chiarezza, ma
quest’affermazione, come precisato, è limitata ad una
sola categoria di attori, mentre altri attori possono
essere implicati in azioni violente e clandestine, come
ad esempio, degli Stati. In questi ultimi anni si è visto
sulla superficie del pianeta che il terrorismo di Stato non
era un’invenzione di pacifisti sempliciotti, ma che era la
pratica corrente di entità quali Israele e gli Stati Uniti. In
effetti, se è legittimo e perfettamente riconosciuto dalla
Carta dell’ONU difendere il proprio territorio contro delle
azioni terroristiche – cosa che è stata vietata ai Serbi –
che cos’è l’andare in territorio altrui a condurre
operazioni di guerra contro dei « regimi » o ad eliminare
fisicamente gli oppositori, se non puro terrorismo?
Israele e gli Stati Uniti lo hanno fatto in paesi vicini
come in paesi assai lontani da loro, con la copertura o
la partecipazione di “alleati” che hanno negato ai Serbi
il diritto di difendersi in casa propria. Questo è accaduto
al tempo dei bombardamenti NATO contro la Serbia,
bombardamenti pure illegittimi ed illegali, come quelli
dell’Iraq, che hanno provocato nel 1999 la morte di
diverse migliaia di innocenti come la piccola Milica
Rakic. E di che cosa è stata dunque vittima Milica
Rakic, la bambina di tre anni uccisa nella sua culla a
Batajnica dalla NATO e divenuta il simbolo di tutto un
popolo, se non di quel terrore e di quel terrorismo che
coloro che l’hanno fabbricato e alimentato nei Balcani e
altrove, Americani ed Europei, pretendono di voler
combattere? La conclusione la trae il giornalista Pepe
Escobar : «E’ terrore quando lo diciamo noi» (Atimes,
22 aprile 2005)
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
19
* Colloquio Balcani : l’anello debole nella guerra contro
il terrorismo, Belgrado 4 maggio 2005.
(traduzione a cura di Belgicus)
______________
Note
(1) I diversi rappresentanti della «comunità
internazionale» si rifanno ad esperienze in questo
campo dove è più facile trovare mercenari che soldati.
In Bosnia, dove è stato deciso un «esercito comune», le
nuove reclute serbe di questo «esercito» hanno fatto
scandalo, fischiando, nell’aprile 2005, l’inno nazionale
bosniaco, che non è tale da molto tempo… ;
selezionato attraverso un concorso che è stato vinto da
un
israeliano
durante
il
mandato
dell’alto
rappresentante dell’ONU Carlos Westendorp.
(2)
AMBO,
Albanian-Macedonian-Bulgarian
Oil
Corporation.
(3) MPRI, Military Professional Resources Inc.
(4) Organizzazione terroristica romanzesca combattuta
da James Bond.
(5) Autore, in particolare, di L’information c’est la
guerre, l’Ennemi à l’ère numérique et Quatrième guerre
mondiale, faire mourir et faire croire. Sito Internet di
François-Bernard Huyghe: http://www.huyghe.fr/
Tratto da www.eurasia-rivista.org
NOTIZIE DAL MOVIMENTO INTERNAZIONALE EURASIATISTA
“Gloria alla Grande Ucraina, componente d’Eurasia”
di Luca Bionda
La seguente rubrica nasce con lo scopo di informare i lettori di
quanto accade nella patria del Neo-Eurasiatismo. Si intende in
primo luogo illustrare e dare notizia delle numerose attività e
manifestazioni svoltesi soprattutto nello spazio postsovietico
con il patrocinio o la partecipazione delle diverse sezioni del
Movimento Internazionale Eurasiatista (Meždunarodnoe
Evrazijskoe Dviženie, - M.E.D.). Alle manifestazioni del
M.E.D. si affiancano quelle dell’Unione della Gioventù
Eurasiatista (Evrazijskij Sojuz Molodëži, - E.S.M.), molto
attiva e dinamica su numerosi fronti (presentazioni di E.S.M.
nelle sedi universitarie, dimostrazioni, ecc.).
Questo primo numero presenta alcune immagini, tratte dal sito
del ESM (http://www.rossia3.ru), del picchetto svoltosi a Kiev a
partire dal 4 Agosto. La manifestazione si inserisce nel solco
della lotta ai regimi filo-atlantisti (anti-russi) creati con le
“rivoluzioni colorate” (da Giugno i giovani di ESM hanno
compiuto diverse manifestazioni, in particolare in Russia davanti alle ambasciate di Georgia, Polonia, Ucraina e
Moldova).
Per i giovani di ESM è stata anche l’occasione per smentire
la solita disinformazione ad opera dei Media atlantisti a
proposito del “noto” odio tra Ucraini e Russi (il titolo del
nostro capitolo, preso “a prestito” dal sito russo di E.S.M., è
alquanto “rivelatore” di questo sentimento…).
Alla manifestazione di Kiev hanno infatti preso parte i
giovani di ESM (dalla Russia), ESMu (la neonata sezione
ucraina di ESM con sedi principali a Kiev e Khar’kov)
assieme a diversi membri del movimento ucraino Bratstvo
(“Fratellanza”, il cui vessillo è rappresentato da una icona in
campo rosso), i quali hanno montato un vero e proprio
campo (Евразийский город солнца, la “città eurasiatista
del sole”) nel centro del potere politico ucraino; tra le tende
da campeggio sventolavano il vessillo nazionale ucraino e
quello del ESM, la “stella dell’espansione assoluta” gialla in
campo nero.
Come il ESM, anche “Bratstvo” riportava puntualmente la
notizia dal suo sito Internet “http://www.bratstvo.info”
(accessibile in due lingue, ucraino o russo): “JUŠČENKO DIMETTITI! Il 4 agosto l’Unione della Gioventù Eurasiatista,
con l’appoggio di Bratstvo ha iniziato a Kiev una serie di azioni di protesta, ragione fondamentale la richiesta delle
dimissioni di Juščenko…”. La prima azione era prevista presso la sede del consiglio dei ministri e si accompagnava al
tentativo dei presenti di fare l’ingresso nel palazzo, ma senza successo e riportando anche contusioni”.
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Delle manifestazioni ha dato particolare risalto l’agenzia di stampa RIA Novosti (http://www.rian.ru), presso la quale si è
svolta la conferenza stampa che ha visto la presenza accanto ad alcuni manifestanti di due alte cariche di MED, Valerij
Korovin (Ufficio Stampa) e Pavel Zarifullin (Segretariato).
Il 10 Agosto è stata invece la volta dell’ambasciata ucraina in
Russia, attraverso la manifestazione di E.S.M. “uno schiaffo
estetico al regime Juščenko: il picchetto all’ambasciata
ucraina”, con la presenza tra gli altri del responsabile
dell’Ufficio Stampa del MED Valerij Korovin (foto a lato).
I manifestanti hanno mostrato una bandiera americana con i
colori nazionali ucraini e striscioni indirizzati particolarmente
a Juščenko (“U$CHENKO”, “Juščenko tra i presidenti
americani”…).
Per altri dettagli sull’iniziativa:
! http://www.rossia3.ru
! http://eurasia.org.ua
! http://www.bratstvo.info
IN MEMORIAM
Dragos Kalajic
dal sito ”www.eurasia-rivista.org” – La Redazione di Eurasia
Venerdì 22 luglio è morto a Belgrado, all'età di 62 anni, Dragos Kalajic. Diplomato
presso l'Accademia di Belle Arti di Roma in storia dell'arte, fin dagli anni Sessanta
Dragos Kalajic aveva attivamente partecipato alla vita culturale e politica jugoslava.
Tra il 1992 e il 1995 era stato corrispondente di guerra in Croazia e in BosniaErzegovina. La sua intensa attività di saggista e di analista politico gli valse numerosi
riconoscimenti, tra i quali, nel 1994, il premio annuale dell'Associazione degli Scrittori
Russi, che lo nominò proprio membro onorario. In Russia, Dragos Kalajic fece parte
della redazione di "Elementy", la rivista fondata e diretta da Aleksandr Dugin.
Senatore della Repubblica Serba (in Bosnia-Erzegovina), nel 1997 aveva fondato,
assieme ad alti ufficiali dell'esercito jugoslavo, l'Istituto di Studi Geopolitici.
In Italia, nel periodo che lo vide impegnato a difendere davanti all'opinione pubblica le
ragioni della Serbia aggredita e devastata dai barbari d'Oltreoceano e dai loro
collaborazionisti "europei", Dragos Kalajic rilasciò una lunga intervista a Tiberio
Graziani, che fu pubblicata nel "quaderno del Veltro" intitolato Serbia, trincea
d'Europa (1999). Per le Edizioni all'insegna del Veltro scrisse anche un saggio su uno
scrittore ungherese molto amato dai Serbi: Béla Hamvas (in: B. Hamvas, Guerra e
poesia, Parma 2003).
La redazione di "Eurasia", alla quale Dragos Kalajic ha collaborato scrivendo per il n. 2/2005 il saggio intitolato Razzismo
antieuropeo: i pregiudizi russofobici, nel presentare alla famiglia le proprie condoglianze, si dichiara orgogliosa di avere
avuto tra i suoi componenti un uomo della sua levatura morale e intellettuale.
dal sito “www.evrazia.org” – Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie
DRAGOS KALAJIC - ETERNA MEMORIA AD UN EROE! Il 22 luglio a Belgrado dopo una lunga e grave malattia all’età
di 62 anni si è spento il nostro amico fraterno, uomo di ideali a noi comuni, grande eurasiatista, scrittore e artista serbo
Dragos Kalajic. […] Conobbe di persona Alain de Benoist, pubblicò sul russo “Elementy”. In tutti questi anni mantenne
stretti contatti con Aleksandr Dugin, legato da una cordiale ed amichevole conoscenza, e da affinità di ideali.
Su invito di Kalajic Dugin visitò la Serbia, la Srpska Krajina e la Republika Srpska nell’anno 1992, insieme percorsero il
fronte di guerra di un paese lacerato e devoto.
Si incontrò con Radovan Karadžic, il Generale Milan Panic, Vojslav Šešelj ed altri eroi della Serbia, che i “globalisti”
hanno annoverato prontamente come “nemici del genere umano”.
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Metropolit Andrian
di Luca Bionda
Il 10 Agosto l’agenzia di stampa russa Itar-Tass ha riportato la notizia della morte per infarto, a soli 55 anni, del
Metropolita Andrian, membro dell’Alto Consiglio del Movimento Internazionale Eurasiatista e capo della Chiesa
Ortodossa Russa, la più importante tra le 14 chiese autocefale ortodosse.
La Chiesa Ortodossa Russa gode infatti di una autonomia
amministrativa dalla Chiesa madre, pur rimanendovi
ovviamente legata nel dogma, nella liturgia e nel culto; essa
rappresenta in Russia una comunità numerosa, fedele alle
forme religiose tradizionali parzialmente scomparse nella
Chiesa madre in seguito alle riforme liturgiche operate dal
Patriarca Nikon nella seconda metà del XVII Secolo.
Andrian Četvergov (nella foto, a destra, assieme ad
Aleksandr Dugin) assunse la guida della Chiesa Ortodossa
Russa nel 2004; consapevole dell’importante ruolo della
Chiesa nel processo di elevazione spirituale del popolo e
nella difesa delle tradizioni, Andrian fu fautore del rinnovato
dialogo della sua comunità con il Patriarcato di Mosca.
Nell’Ottobre dello scorso anno si svolse infatti il Sinodo delIa
Chiesa Ortodossa Russa, in cui la prospettiva del
riavvicinamento al Patriarcato di Mosca fu sostenuta in
particolare dal Metropolit Kirill; in tale occasione Andrian
indicò la via da percorrere per la comunità tradizionalista,
sostenendo l’opportunità da parte del Patriarcato di Mosca
di ripensare alle innovazioni del Patriarca Nikon e
riconoscere la liturgia dei cosiddetti Vecchi Credenti (Starovery), come vengono appunto indicati gli ortodossi
“tradizionalisti”.
Andrian vide anche nel dialogo con la Chiesa madre l’occasione per combattere il settarismo e l’estremismo religioso
dilagante, attraverso una auspicabile intesa con le autorità statali della Russia.
Il Patriarca Aleksej II si è detto vicino al dolore dei fedeli appartenenti alla comunità “separata”, la quale conoscerà entro
40 giorni la nuova guida della Chiesa Ortodossa Russa.
Il Movimento Internazionale Eurasiatista perde quindi uno tra i suoi alti consiglieri più seguiti all’interno delle comunità
religiose, uomo di notevole sostegno al dialogo interconfessionale.
LIBRI E RIVISTE - RECENSIONI
Aleksandr Dugin, Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia , Nuove Idee, 2004
recensione di Rodolfo Monacelli
Per chi ben vuole intendere cosa sia l’Eurasiatismo è uscito nel 2004 un interessante libro di Aleksandr Dugin:
Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia pubblicato dalla Casa Editrice Nuove Idee.
Il libro - attraverso numerosi saggi del filosofo russo: "Pietre miliari dell'Eurasismo"; "Manifesto del Movimento
Eurasista"; "La visione eurasista. Princìpi di base della piattaforma dottrinale eurasista"; "La sfida della Russia e la
ricerca dell'identità"; "I princìpi fondamentali della politica eurasista"; "Il Nazional Bolscevismo"(da non confondere con
l’attuale Nazionalbolscevismo di Limonov oramai attestato su posizioni dichiaratamente filoamericane); "L'Eurasia si farà
e si sta già facendo"; "Finanziarismo"; "Aspetti geopolitici del sistema finanziario mondiale"; "Il paradigma della fine" spiega in maniera esemplare l’attuale riemergere dell’Eurasiatismo, o meglio del Neo-Eurasiatismo.
Una corrente d’idee che prende spunto dal pensiero di alcuni esponenti del dissenso sovietico (Igor’ Šafarevič e,
soprattutto, Aleksandr Solžénicin) e dal nascente nazionalismo russo.
Il Neo-eurasiatismo è, però, anche molto altro: un filone di pensiero che, secondo le parole dello stesso Dugin,
rappresenta «una dottrina dalle radici antiche che si fonda, in primo luogo, su un mito politico. Il mito dell’Eurasia come
continente geopolitico posto tra Oriente ed Occidente, senza appartenere compiutamente né all’uno né all’altro, ma
formando una sintesi creativa dei caratteri (migliori) di entrambi. Eurasiatismo significa, quindi, superamento delle
angustie del vecchio e del nuovo nazionalismo russo e dello stesso panslavismo […] come la grande sintesi tra i popoli
europei slavo-germanici da un lato e le genti turco-mongole dall’altro. Sintesi etnica ma anche, e soprattutto, culturale
che ha generato nei secoli le specificità dei Grandi Russi e della loro cultura».
Un filone di pensiero che, dunque, sempre secondo le parole di Dugin, è: «una filosofia, un progetto geopolitico,
una teoria economica, un movimento spirituale, un nucleo per consolidare un largo spettro di forze politiche. L'eurasismo
è libero da qualsiasi forma di dogmatismo, da ogni cieca sottomissione ad autorità o ideologie del passato. L'eurasismo
è la piattaforma ideale degli abitanti del mondo nuovo, per i quali le dispute, le guerre, i conflitti e i miti del passato non
hanno alcun interesse storico. L'eurasismo come principio è la nuova filosofia per le nuove generazioni del nuovo
millennio. L'eurasismo trae la sua ispirazione da diverse dottrine filosofiche, politiche e spirituali, che fin ad oggi
Settembre 2005 - Anno I, Numero 1
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sembravano inconciliabili ed incompatibili» avendo come obiettivo il superamento del progetto mondiale unipolare.
Un’opposizione, però, non solo “negativa”, ma anche costruttiva il cui scopo è, infatti, quello di essere coscienti dei
processi storici, «di prendervi parte e di condurli nella direzione che corrisponde agli ideali» dell'Eurasiatismo.
Un filone di pensiero che non è, però, solo un sogno o una splendida utopia, tanto che – come ben fa notare
Andrea Marcigliano nell’ottima introduzione – oggi sembra riuscire a esercitare un’importante influenza sulla politica
russa e sugli stessi ambienti del Cremlino pur non essendo Putin certo un eurasiatista, ma un uomo la cui ascesa alla
Presidenza della Federazione Russa potrà portare la Russia fuori dalla crisi dell’Era El'cin ridandole un ruolo ed un
prestigio internazionale e, conseguentemente, ridare una speranza all’intera Europa.
E, difatti, «ogni osservatore attento non mancherà di rilevare come nella complessa – e sovente contraddittoria –
politica internazionale del Cremlino siano oggi ravvisabili i segni di influenze e suggestioni della teoria eurasista».
Aleksandr Dugin, Continente Russia, Edizioni all'Insegna del Veltro, Parma 1991
recensione di Daniele Scalea
Continente Russia è la prima opera di Aleksandr Dugin pubblicata in Italia, nell'ormai lontano novembre 1991. È
importante sottolineare la data di pubblicazione, essendo questa d'alcuni anni precedente la nascita della concezione
neoeurasiatista e della corrispondente formulazione geopolitica; non a caso, il termine "Eurasia" appare solo
occasionalmente entro il centinaio di pagine dell'opera, e mai su esso è posta alcuna enfasi. Continente Russia è un
libro prevalentemente filosofico, dove anche le tematiche geopolitiche, pur presenti, sono trattate da un punto di vista
non tecnico, ma metafisico e atemporale. I cinque saggi in esso contenuti risalgono al 1990, e furono destinati alla
pubblicazione su periodici moscoviti o alla diffusione in samizdat. In tale periodo, Dugin aveva da poco creato il "Centro
Storico Filosofico" EON e l'omonima casa editrice, poi ribattezzata "Arktogaia": lo scopo era quello di fornire le
necessarie conoscenze culturali e spirituali alla élite postsovietica, per concorrere alla rinascita della Russia dopo il
drammatico sfracello dell'Unione Sovietica, repentinamente collassata su se stessa. Naturalmente, di lì a poco Dugin e il
suo circolo avrebbero subìto una brutale disillusione, accorgendosi di come la classe dirigente russa fosse più
interessata al volgare affarismo che alle sorti del popolo; ma come sappiamo, tale stato di cose non fermò l'opera del
pensatore russo, altrove sommariamente descritta.
Il primo saggio di Continente Russia è quello che dà il titolo all'intera opera. Il campo in cui si muove la trattazione
è quello della "geografia sacra", intesa come lo studio dei simboli e degli archetipi geografici presenti nella mente e
nell'esperienza umana. Dugin riconosce un tale valore simbolico alla Russia, un «Continente Interiore» secondo
l'espressione di Sergej Esenin, del quale l'Autore vuole scovare la struttura archetipica, che considera «un paradigma
formatore e strutturatore del cosmo spazio-temporale circostante e non il suo semplice riflesso». Tale specificità
paradigmatica Dugin la ritrova nel linguaggio simbolico dei miti antichi indoeuropei, nei quali il territorio russo occupa una
posizione centralissima, che si ricava logicamente dalle corrispondenze astronomiche e astrologiche illustrate
dall'Autore. In tal modo, Dugin spiega il mistero del "patriottismo russo": come riflesso d'un destino cosmico, che perciò
stesso non può essere chiamato "nazionalismo". Tale forza interiore della Russia esercita il proprio influsso sul mondo
intero, esprimendosi come lotta dialettica tra due princìpi eguali ma di segno contrario, il "bianco" (sacro) e il "rosso"
(antisacro).
"Continente Russia" trova dichiaratamente il proprio seguito nel saggio successivo, "L'inconscio dell'Eurasia", il
quale si propone di delineare le prospettive dello studio della "questione russa" dal punto di vista geopolitico, «uscendo
dalle frontiere della Russia, vista sia come Stato storico sia come Stato mitico». Dugin riprende le teorie dei
rappresentanti della scuola eurasiatista («senza dubbio i pensatori russi più importanti di questo secolo e quelli che
elaborarono i più importanti concetti circa il destino della Russia»), in particolare per quanto concerne l'importanza e la
valutazione positiva dell'influsso turco-mongolo sulla Russia, che gli è debitrice del «turanismo, psico-ideologia imperiale
nomade». Di tutti i saggi presenti nel volume, questo è senz'altro il più eurasiatista. La prospettiva scivola poi dall'Eurasia
al suo acerrimo nemico, l'America, nella dissertazione intitolata: "‘Terra Verde’: l'America", che cerca d'individuare la
missione dell'ultima superpotenza mondiale, alla luce della geografia sacra. L'analisi si dirime ancora ripescando nella
comparazione linguistica, nella psicologia umana e nel mito antico, e giunge anche a fornire un'affascinante ipotesi sul
potere persuasivo e attrattivo degli USA: ipotesi che lasciamo di scoprire al lettore.
Ne "l'Impero sovietico e i nazionalismi nel periodo della perestrojka", Dugin illustra quelle che considera ambiguità
e paradossi dell'esperienza comunista (e i suoi giudizi complessivi, pur comprensibili e spesso anche condivisibili,
individuano ancora una certa lontananza dalla stagione della formulazione dell'ideologia nazionalbolscevica). Come
sappiamo, per Dugin il termine "impero" ha una valenza positiva, in quanto - come già molti altri pensatori tradizionalisti denota la libera unione di popoli, stirpi e nazioni sotto la bandiera d'un ideale superiore, e dunque va assolutamente
separato dalla nozione di "imperialismo", fenomeno meramente economico, sempre violento e arbitrario, e perlopiù
caratteristico dell'epoca borghese. Chiaramente, l'URSS rispondeva positivamente ai suddetti criteri imperiali, ma Dugin
nota come mancasse un reale "fattore superiore", di carattere non materiale e dunque immutabile, cui rimettersi;
volendo, potremmo anche individuare in questa mancanza d'un saldo punto d'appoggio la repentina fine dell'Unione
Sovietica. Ecco allora che l'URSS conservava - secondo l'Autore - i caratteri esteriori e organizzativi dell'impero, ma non
la sua essenza. Sono proprio tali caratteri esteriori (la centralizzazione del potere supremo e l'unità geopolitica dello
spazio postsovietico) che si sarebbero dovuti mantenere in quegli anni di transizione, rifiutando però la conformazione al
mondo capitalista e ritrovando una base spirituale salda e sicura per il nuovo Impero, che avrebbe funto da polo di
resistenza al mondialismo (l'imperialismo messianico statunitense più la globalizzazione del capitalismo). Come
sappiamo, di ciò fu realizzato molto poco.
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Giungiamo infine all'ultimo saggio dell'opera, "Le radici metafisiche delle ideologie politiche". Dugin parte dal
condivisibile assunto che attualmente non esiste alcuna chiara classificazione delle correnti politiche e ideologiche, e
pertanto propone egli stesso una suddivisione valida, a suo parere, per tutte le epoche e tutte le culture, e che si rifà,
appunto, alle radici metafisiche (anche inconsce) cui tali correnti si rifanno. Un primo tipo d'ideologia è quella "polareparadisiaca", che concepisce il cosmo come dominato da un Soggetto divino che si trova al suo centro. La realtà è
riflesso del Soggetto, e dunque "paradisiaca": se tale assunto non è verificato, ciò dipende da un'anomalia che i seguaci
di tale ideologia tentano di risolvere. Secondo Dugin, appartengono a questa tipologia il ghibellinismo, il fascismo e il
nazionalsocialismo. La seconda ideologia, detta del "Creatore-creazione", posiziona il Soggetto in posizione periferica
rispetto al cosmo, esule dal paradiso dopo aver commesso il peccato originale. Quest'ideologia è conservatrice, in
quanto non crede di poter raggiungere Dio, ma neppure vuol perdere la possibilità d'intuirne i segni dell'esistenza tramite
il creato: secondo Dugin, vi appartengono le grandi chiese monoteiste. L'ultima tipologia è quella del "materialismo
mistico" o del "panteismo assoluto": il Soggetto è solo un infinitesima particella del cosmo, il quale a sua volta non
rappresenta altro che se stesso; spesso i seguaci di questa visione sono evoluzionisti e progressisti e, chiaramente, si
possono ritrovare nel positivismo e nel marxismo.
COMUNICATI “COORDINAMENTO PROGETTO EURASIA”
Gli attentati di Londra
Il Coordinamento Progetto Eurasia esprime la sua più profonda solidarietà ai parenti delle vittime degli attentati di
Londra del 7 luglio scorso.
Queste vili azioni hanno evidentemente lo scopo di dare fiato ai fautori del cd. "scontro di civiltà" e scavare un
fossato sempre più profondo tra l'Europa, il mondo musulmano e i popoli del Vicino Oriente. La spirale perversa "guerra terrorismo" degli ultimi anni è probabilmente il frutto di un disegno pianificato dagli strateghi mondialisti, il cui obiettivo è
trascinare l'intera Europa nel pantano iracheno e nella prossima aggressione già programmata a Siria ed Iran.
Nel condannare fermamente ogni tipo di violenza, il Coordinamento Progetto Eurasia sottolinea la necessità vitale
per tutti i popoli europei di prendere le distanze non solo dagli attentati dinamitardi che hanno recentemente provocato
lutti a Madrid e Londra ma anche dai bombardamenti terroristici, dalle torture e dalle persecuzioni che i guerrafondai
anglo-americani hanno praticato in particolare dalla caduta del Muro di Berlino in poi verso tutte le nazioni ree di non
voler sottostare al Nuovo Ordine Mondiale atlantista.
I bambini, le donne e gli uomini iracheni, serbi, sudanesi, afghani, palestinesi, libanesi, meritano rispetto e
giustizia esattamente quanto le vittime innocenti statunitensi, spagnole e inglesi.
Il governo italiano prenda coscienza che la strada della guerra è foriera solo di nuovi lutti e ritiri immediatamente
tutte le sue truppe di occupazione dalla ex - Jugoslavia, dall’Afghanistan, dall'Iraq, mostrando così di volere essere
esempio per un futuro di cooperazione e pace tra i popoli.
Per il C.P.E., Dott. Stefano Vernole
NOTIZIE - APPUNTAMENTI
Roma, 1-2 Ottobre
resistenza irachena
2005:
Conferenza
Internazionale
a
sostegno
della
Fonte: Iraq Libero
Come già annunciato, la Conferenza internazionale a sostegno della resistenza irachena si terrà a Roma sabato
1 e domenica 2 ottobre 2005. Di seguito pubblichiamo l'appello internazionale sottoscritto già da circa 60 organizzazioni
di una trentina di paesi e le prime adesioni dall'Italia.
APPELLO PER LA CONFERENZA INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DELLA RESISTENZA IRACHENA
Sosteniamo la Resistenza irachena! Verso il quinto anniversario dell’Intifada: costruiamo un sostegno
internazionale per la Resistenza irachena!
Noi sottoscritti convochiamo una conferenza internazionale a sostegno della Resistenza irachena da svolgersi nei
giorni 1-2 ottobre 2005, in coincidenza con l’anniversario dell’Intifada. La conferenza si svolgerà in Italia, dove
l’opposizione popolare alla guerra e all’occupazione hanno dominato la scena, mentre il governo continua a essere uno
dei più importanti alleati degli USA, fornendo circa 3.000 soldati occupanti.
La guerra e l’occupazione dell’Iraq hanno incontrato una massiccia opposizione. Ma tutti coloro che si sono
opposti alla guerra e all’occupazione dell’Iraq adesso devono andare avanti, sostenendo in maniera chiara la resistenza
irachena che lotta per liberare la propria patria. Non è possibile da una parte essere contro l’occupazione, e dall’altra non
sostenere l’impressionante resistenza che in Iraq cerca di scacciare gli occupanti.
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Facciamo un appello per il completo riconoscimento della resistenza popolare e armata dell’Iraq. La resistenza
irachena è inclusiva di ogni corrente, a prescindere dalla sua posizione politica o religiosa, che resiste all’occupazione
sotto il semplice slogan della liberazione della patria irachena.
La resistenza del popolo iracheno contro l’occupazione imperialista include ogni forma di resistenza, comprese
proteste, scioperi, disobbedienza civile, azioni dirette non violente e lotta armata. Inoltre, la resistenza del popolo
iracheno contro l’occupazione è parte inseparabile del movimento popolare sul piano internazionale di resistenza e lotta
conto gli imperialismi, il sionismo e ogni forma di reazione.
Né le “elezioni” sponsorizzate dagli USA né lo slogan della “democrazia” sono in grado di mascherare la realtà.
Dietro le marionette irachene, si trova il regime degli USA, rappresentato dalla gigantesca ambasciata americana nella
“Zona verde” di Baghdad. Mentre prosegue il “processo elettorale”, si deruba l’Iraq delle sue risorse petrolifere. Si
saccheggiano i suoi tesori culturali. Nel frattempo, un numero crescente di iracheni soffre della mancanza di cibo, di
acqua e di corrente. Ogni opposizione politica viene soffocata brutalmente.
Fino alle “elezioni”, le carceri sono state piene, con cinquanta arresti al giorno. L’Iraq è diventato il nuovo simbolo
tanto della sofferenza quanto della resistenza della nazione araba. La resistenza irachena è all’avanguardia nel
movimento contro l’egemonia americana nel Medio Oriente e nel mondo. La resistenza ha dato nuova speranza
all’Intifada palestinese, entrata nel quinto anno della sua lotta contro la brutale occupazione sionista. Ha dato nuove
speranze ai milioni che ancora vivono nei campi profughi in Libano, Siria e Giordania. E ha ispirato le masse arabe che
lottano per abbattere i regimi fedeli agli USA nel Medio Oriente.
Noi ci dobbiamo raccogliere attorno alla resistenza irachena, perché è il polo principale in grado di fermare
l’assalto dell’imperialismo nel Medio Oriente. La lotta per la liberazione dell’Iraq non è solo una lotta per gli iracheni, ma
per tutto il mondo. Le masse in Iraq stanno lottando contro lo stesso “Progetto di un nuovo secolo americano”. Grazie
alla resistenza irachena, Bush e i guerrafondai americani non hanno potuto procedere all’attacco contro la Siria, la
Corea, l’Iran e il Venezuela.
Le potenze imperialiste guidate dagli USA hanno cercato di inserire un cuneo tra il popolo iracheno e
mediorientale da una parte, e il movimento contro la guerra e la globalizzazione in Occidente dall’altra, usando la retorica
dello “scontro di civiltà” e della “guerra al terrorismo”. Hanno cercato di demonizzare la lotta del popolo iracheno,
chiamandola “terrorismo”. In realtà, è la guerra d’aggressione e di occupazione a essere illegale e criminale. La
resistenza armata del popolo iracheno contro quella guerra illegale e criminale è giusta e legittima.
La conferenza internazionale che noi proponiamo ha lo scopo di riunire rappresentanti della resistenza irachena e
dei popoli del Medio Oriente in lotta assieme alle forze del movimento contro la guerra e la globalizzazione. Speriamo
così di rafforzare l’unità tra i popoli che lottano per l’autodeterminazione nazionale e i lavoratori dell’Occidente che
soffrono sotto il giogo dei propri governi, impegnati in avventure di guerra e saccheggio all’estero.
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Sostegno e riconoscimento della Resistenza irachena!
Rilascio di tutti i prigionieri politici, ritiro di tutte le truppe straniere, riparazioni per le sanzioni e il
saccheggio!
Lottiamo contro l’egemonia statunitense e israeliana in tutto il Medio Oriente, e a favore della vittoria
della Resistenza irachena e dell’Intifada palestinese!
Facciamo entrare la voce della resistenza nel movimento contro la guerra e la globalizzazione!
Adesioni al 30 aprile 2005 (in inglese)
Iraq: Iraqi Patriotic Alliance IPA, Patriotic Democratic Communist Current, People's Struggle Movement (Al Kifah), Iraqi
Flame (Wahaj el-Iraq).
Pro Iraqi and Arab solidarity associations: Danish Committee for a Free Iraq, Comité français de la Conférence
internationale de solidarité avec la résistance du peuple irakien, Free Iraq Committee Austria, Free Iraq Committee
Germany, Free Iraq Committee Hungary, Free Iraq Committee Italy, Free Iraq Committee Norway, Greek Initiative for
Solidarity to Iraqi Resistance, Iraq Committee Lund (Sweden), Iraq Committee Malmö (Sweden), Solidarity Committee
for the Arab Cause Spain (CSCA), Spanish Campaign against Occupation and for the Sovereignty of Iraq (SCOSI),
Mohammed Belfilalya (President of the Young Arab Progressives, Belgium), Ginette Hess Skandrani (President of the
solidarity network with Palestinian People "La Pierre et L'Olivier", France).
International organisations: Anti-imperialist Camp, International League of People’s Struggle (ILPS), International
Leninist Current (ILS), Organisation of Solidarity of the People of Asia, Africa and Latin America (OSPAAAL).
Arab World, Middle East: Al-Moharer, Dr. Hisham Bustani, Anti-Normalisation Committee (Jordan), Movement Loyalty
to Men and Earth (Lebanon), Ozgur Der (Turkey), Toufan (Iran), Unified Socialist Left (GSU) – Maroc, Chokri Latif,
Popular Committee for the Support to the Palestinian People and the Struggle against the Normalisation with the Zionist
Enemy (Tunisia), Anti-imperialist Youth Committee against Globalisation (Tunisia).
Europe: Action Circle March 24 Thuringia Germany, AGIF – Europa, Arab Palestine Club Vienna Austria (APC),
Communist Party of Greece Marxist-Leninist (KKEml), Franz Fischer (Anti-imperialist Group, Switzerland), Friends of the
Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP) in Europe, German Communist Party (DKP) Thuringia, Human
Rights and Dignity (HDR) – Germany, Initiativ e.V. Duisburg – Germany, International Committee to Defend Slobodan
Milosevic (Irish Section), Left Front Hungary, Militant Movement of Students Greece, National Peace Council Bulgaria,
Offensiv Germany, Patriotic Socialist People's Front – Poland, Red Table East Thuringia Germany, Revolutionary
Communist League (RKL) Thuringia Germany, Russian Anti-Globalists, Union of Working People Greece.
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Asia: Afghanistan Socialist Association (ASA), All Indian People's Resistance Forum (AIPRF), Chandraprakash Jha
(General Secretary, Peoples Media, India), Communist Mazdoor Kisan Party Pakistan (CMKP), Kamal Mitra Chenoy
(Vice President, All India Peace & Solidarity Organisation (AIPSO)), Left Radicals of Afghanistan (LRA), Lokayat (Pune,
India), Muslim Youth of India (MY INDIA), People's Democratic Party Indonesia (PRD).
America: Freedom Socialist Party (USA)
Africa: Action for Unity and Socialisme (Tchad)
Un primo elenco di adesioni dall'Italia: COMITATI IRAQ LIBERO Italia, LABORATORIO MARXISTA - Zona apuoversiliese, AGINFORM, UTOPIA ROSSA, SOCCORSO POPOLARE Padova, CAMPO ANTIMPERIALISTA Italia,
ISTITUTO PEDAGOGICO DELLA RESISTENZA, PROLETARI COMUNISTI, L.U.P.O. (Lotta di Unità Proletaria) –
Osimo, CIRCOLO ISKRA – Viareggio, ASSOCIAZIONE ITALO-ARABA ASSADAKAH – Roma, CARC, UMBRIA
CONTRO LA GUERRA, LEGITTIMA DIFESA, COLLETTIVO IQBAL MASIQ – Lecce, CSPAL (Comitato di Solidarietà
con i Popoli dell’America Latina), CONSURTA COMUNISTA SARDA, ASSOCIAZIONE PRIMO MAGGIO – Vicenza,
RIVISTA “ERETICA”, UMBRIA ROSSA, PRIMOMAGGIO (Foglio di collegamento tra lavoratori precari e disoccupati
della zona apuo-versiliese), ANTIMPERIALISTI MARCHE.
PER ADESIONI E INFORMAZIONI: [email protected]
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