Una telespettatrice particolare: una counselor alla corte di Maria

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Una telespettatrice particolare: una counselor alla corte di Maria
ACCADEMIA PER LA RIPROGRAMMAZIONE
CORSO IN COUNSELING DELLA RIPROGRAMMAZIONE EMS
DIRETTORE DOTT. MARIO PAPADIA
TESI DI DIPLOMA
IN
C O U N S E L I N G D E L L A R I P R O G R A M M A Z I O N E E S I S T E N Z I AL E
Una telespettatrice particolare:
una counselor alla corte di Maria
di
Pasqua Legrottaglie
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................... pag.
1
CAPITOLO 1
LA TELEVISIONE E IL “MONDO” DI MARIA DE FILIPPI
1.1 Dalla paleotelevisione alla tv 2.0 ...................................................
»
3
1.2 Due generi del nuovo contesto televisivo: il talk show
e il reality show ...............................................................................
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8
1.3 La televisione di Maria De Filippi....................................................
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12
2.1 La struttura spazio-temporale del programma...............................
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17
2.2 I protagonisti...................................................................................
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20
2.3 Le dinamiche ...................................................................................
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23
3.1 Il counseling professionale secondo il modello
della Riprogrammazione Esistenziale.................................................
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29
3.2 L’analisi di “Amici di Maria De Filippi” in termini di counseling.........
»
37
3.3 Il counseling popolare ....................................................................
»
47
CONCLUSIONI ..................................................................................
»
51
BIBLIOGRAFIA .................................................................................
»
54
CAPITOLO 2
“AMICI DI MARIA DE FILIPPI”
CAPITOLO 3
UNA NUOVA VISIONE DEL COUNSELING
Alla mia famiglia.
Con immenso amore.
INTRODUZIONE
Perché scrivere una tesi su “Amici di Maria De Filippi”? Per sfida,
innanzitutto con me stessa, perché ho sempre condiviso le tesi popperiane di
“Cattiva maestra televisione”1 e, aprioristicamente, mi sono definita un’
“antiMaria”, e anche perché amo andare a fondo nelle cose che mi
incuriosiscono.
Nel momento in cui mi è stata proposta questa tematica ho avvertito un
brivido e, probabilmente, avrò fatto qualche smorfia, dato che il Professor
Papadia mi ha apostrofata dicendo “Ah già, tu sei un’intellettuale!”. Ebbene
sì, sono una persona che non tollera la tv trash, quella diseducativa, fatta di
battibecchi, linguaggio volgare e mercificazione del corpo, ma sto terminando
un percorso di formazione in Counseling per la Riprogrammazione e questa
prova sarà lo strumento del mio nuovo programma2.
Ho investito tempo ed energie nella mia laurea da educatrice professionale e
nel percorso dei miei studi pedagogici e credo fermamente nella formazione
delle persone, per cui mi sono chiesta come tutto questo potesse collimare con
la televisione della De Filippi e, quest’ultima, con il counseling.
Quando ho cominciato la mia indagine, il programma si avviava verso la fase
conclusiva, ma grazie al sito web ufficiale, a facebook, twitter, ai vari forum e
1
La critica che Karl Popper rivolge alla televisione si incentra soprattutto sulla violenza presente nelle
diverse trasmissioni, che induce i più giovani e i più deboli ad adottare comportamenti antisociali. La
televisione, infatti, fa parte dell’ambiente che viviamo quotidianamente e, proprio per questo, è in grado
di influenzarci. “Di questo si dovranno rendere conto, volenti o nolenti, tutti coloro che sono coinvolti dal
fare televisione: agiscono come educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai
bambini e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver parte nella educazione degli
uni e degli altri”. K. Popper, Cattiva maestra televisione, Marsilio Editore, 2002, Venezia.
2
Secondo il modello della Riprogrammazione: serie di istruzioni che stabiliscono l’ordine e i modi in cui
devono accadere una serie di eventi per ottenere un determinato risultato. M. Papadia, La
riprogrammazione esistenziale. Psicoterapia, counseling, medicina naturale, Armando Editore, 2001,
Roma.
-1-
ai canali youtube ho potuto ricostruire la programmazione di Amici 12
(l’ultima edizione) e rivedere qualche spezzone delle scorse edizioni, al fine
di avere una panoramica della storia e dell’evoluzione del programma stesso.
Dopo aver cominciato ad osservare è stato naturale spaziare all’interno
dell’intero “mondo De Filippi”, perché le produzioni della conduttrice/autrice
sono rami di un unico albero: “Amici”, che nasce negli anni ’90. Il talk show
spopolò tra i giovani per la novità che portava nel contesto della
neotelevisione italiana, finalmente una trasmissione che parlasse ai ragazzi e
alle ragazze, di loro e tra loro.
Nell’elaborato proporrò una visione generale di “Amici”, “Uomini e donne” e
“C’è posta per te” e dedicherò il secondo capitolo ad un’analisi più dettagliata
di “Amici di Maria De Filippi”, delle dinamiche interne e del ruolo della
conduttrice.
In chiusura presenterò la professione del counselor e prospetterò
l’osservazione del format televisivo dal punto di vista del counseling, i punti
di forza e i limiti, che si combinano e creano un nuovo approccio: il
counseling popolare.
La conclusione sarà il cambio di punto di vista per me e per il lettore, perché
abbandonando i preconcetti e ascoltando attivamente, senza filtri, la realtà che
ci circonda, si scoprono possibilità alternative che consentono la propria
crescita personale e la pratica di modi innovativi con cui affrontare ogni
giorno l’esistenza.
-2-
CAPITOLO 1
LA TELEVISIONE E IL MONDO DI MARIA DE FILIPPI
1.1 DALLA PALEOTELEVISIONE ALLA TV 2.0
Nel 1931, in Italia, cominciano i primi esperimenti televisivi, che, a
causa del succedersi di vari avvenimenti, come la seconda guerra
mondiale, vengono interrotti, concentrando l’attenzione sui mezzi di
comunicazione già esistenti (ad es. la radio). Al termine del conflitto
mondiale la Rai (Radio Audizioni Italia) decise di riprendere le
sperimentazioni nel tentativo di metterle finalmente in pratica,
acquistando tutte le costose attrezzature tecniche, basilari per la
trasmissione e la diffusione dei programmi televisivi. Tra il 1952 e il
1953 la Rai diede il via alle prove generali della programmazione, con
un palinsesto quotidiano di trasmissioni televisive, che potevano essere
viste solo in poche case nell’area vicino a Roma.
La televisione nasce ufficialmente il 3 gennaio 1954 con un palinsesto
fruibile sull’intero territorio nazionale.
Vi è una netta distinzione tra paleotelevisione e neotelevisione (termini
coniati da Umberto Eco, in un articolo nella rubrica la “Bustina di
Minerva”, inserita su L’Espresso nel 19831).
1
Umberto Eco afferma: “Il modello classico televisivo ha subito dei profondi cambiamenti a causa
della moltiplicazione dei canali, della privatizzazione, dell’avvento di nuove diavolerie elettroniche”.
-3-
La paleotelevisione, dal 1954 fino alla metà degli anni '70, era la
televisione di Stato, che mirava a svolgere la funzione di servizio
pubblico, sociale e di divulgazione culturale, instaurando un rapporto
paternalistico e pedagogico con il telespettatore. La sua struttura, quindi,
era: informazione, intrattenimento e cultura.
Nella sua programmazione essa vide una continuità con la radio fascista,
come per quest’ultima, infatti, anche per la televisione le due parole
fondamentali erano educazione ed intrattenimento (lo slogan del periodo
era “educare divertendo”). L’intrattenimento divenne il genere televisivo
più seguito dal popolo italiano (il Festival di Sanremo e gli eventi
sportivi determinarono l’aumento delle vendite di televisori) e in esso si
registrò la presenza di molte restrizioni, poiché, anche in questo genere,
vi erano fini educativi, per questo motivo non si poteva utilizzare un
linguaggio trasgressivo, non si potevano fare allusioni alla sfera sessuale,
i costumi e le scenografie dovevano essere molto casti, le donne non
dovevano far vedere le proprie gambe, ecc. Nel corso degli anni questi
limiti cominciarono a venir meno, ma la trasgressione era comunque
molto limitata rispetto a ciò che si vede oggi in televisione.
L’intento educativo era molto presente anche nell’informazione, infatti,
anche in questo genere non si poteva usare un linguaggio scurrile, i
costumi erano sempre molto casti, non si potevano fare riferimenti a fatti
molto scabrosi e soprattutto riferimenti di carattere più o meno espliciti
alla sfera sessuale2.
2
Un esempio di tutto ciò è il modo in cui lo speaker annunciò l’approvazione della legge Merlin: nel
testo, da lui letto, non compaiono mai i termini “prostituzione” e “case chiuse”.
-4-
Coloro che facevano televisione non dimenticarono mai l’importanza
dell’educazione e, quindi, il ruolo pedagogico sul quale avevano voluto
costruire il mezzo di comunicazione.
Fino al 1975 esistevano solo Rai uno e Rai due e le trasmissioni
andavano in onda, esclusivamente, in determinate fasce orarie: dalle
12:00 all’ora di pranzo e dalle 17:00 a mezzanotte. Il progetto di
“mamma RAI” era chiaro, guidare l’Italia verso la ricostruzione,
proponendo dei modelli comunicativi improntati a una logica pedagogica
e moralistica. Nella pratica questo si traduceva in una netta separazione
dei generi televisivi per fasce orarie e pubblico, pensando a sigle che
scandivano l’alternarsi dei programmi.
La televisione di allora stabiliva con i telespettatori una relazione che era
la diretta divulgazione della cultura cattolica (in quel periodo al governo
del paese). Il nuovo mezzo era amato dal popolo, ma temuto dallo Stato,
preoccupato che la deriva consumistica, già in atto nella tv americana,
travalicasse i confini nazionali.
La paleotelevisione morì negli anni Settanta, nel momento in cui
iniziarono a fiorire le televisioni commerciali (la prima ad affacciarsi sul
mercato fu la Fininvest di Silvio Berlusconi) che puntavano al guadagno
più che al servizio, alla quantità e non necessariamente alla qualità e,
soprattutto, rifiutavano l’approccio pubblicitario stile “Carosello”, che dava
maggiore importanza al siparietto, che non al prodotto stesso. Fu allora
che anche la Rai dovette, suo malgrado, adeguarsi.
La neotelevisione ha essenzialmente i caratteri della serialità e della
trasgressività, si abbandona l’impronta pedagogica per creare una
differente relazione con il pubblico, con uno stile più colloquiale si crea
-5-
un nuovo rapporto di complicità e convivialità con lo spettatore, essa
diventa un’amica che accompagna durante il corso della giornata, si
concentra su nuove strategie per conquistare sempre più audience ed è
dotata di una forte carica emotiva, per cui non vuole educare, bensì
intrattenere.
Nella nostra società, con la posizione del sé individuale al centro di ogni
interesse e la crisi delle istituzioni educative (la famiglia e la scuola), la
televisione conquista un nuovo ruolo neopedagogico, con cui lo
spettatore può confrontarsi in solitudine ed eventualmente trarre spunto
per affrontare situazioni analoghe nella propria quotidianità.
Il palinsesto “a singhiozzo”, tipico del passato, è sostituito con una
programmazione “a flusso”, le pause concesse al telespettatore, tra uno
show d’intrattenimento e una soap opera, si fanno sempre più brevi,
infatti, è proprio la nuova natura della pubblicità, con i suoi break, a
scandire e interrompere il trascorrere della giornata televisiva, che ormai
prosegue 24 ore su 24.
La natura commerciale della neotelevisione influenza tout court le scelte
di programmazione, le trasmissioni sono pensate per un pubblico di
consumatori che, affascinati dalle immagini, dalle musiche e dalla
bellezza degli interpreti, scelgono i prodotti da comprare grazie ai
“consigli per gli acquisti”. Si assiste ad una proliferazione dell’offerta
televisiva, il telecomando diventa indispensabile e si moltiplicano anche
i termini entrati nel gergo comune: zapping, auditel, live, televoto,
audience, nomination, televendita, fiction, ecc.
La neotelevisione si rivolge ad un target generalista e lo fa impastando
discorsi diversi, compresi quelli che la riguardano, finendo per parlare di
-6-
se stessa. Si è passati così dal macro-genere al meta-genere: programmi
ibridi che, tra il serio e il faceto, intrattengono il pubblico, ospitando
anche personaggi televisivi di altre trasmissioni (uno per tutti “Buona
Domenica”).
Oggi la tv generalista è sfidata da quella tematica o a pagamento, che è
completamente diversa, perché organizzata secondo consumi di nicchia
(sport, cinema, informazione, ecc.), e dalla neonata tv in streaming o 2.0,
che si avvale della rete internet per la trasmissione dei programmi e che,
spesso, è disponibile gratuitamente sia da casa con il computer, che
attraverso smartphone e tablet ovunque si voglia.
Le nuove tecnologie rendono lo spettacolo sempre più a portata di mano,
attraverso il web è possibile continuare a fruire dei propri programmi
preferiti anche quando terminano e lo spettatore appassionato può
interagire con altri fans nelle community dedicate, sui siti ufficiali e sui
forum, fino a creare da sé uno spazio per rendere omaggio ai propri
beniamini, attraverso siti web e blog.
Zygmunt Bauman definisce la nostra epoca modernità liquida3, in effetti,
tutto quello che è fluido, non mantiene una forma costante ed è incline a
cambiarla, la televisione ha fatto esattamente questo, adeguandosi ai
tempi e ai costumi di una società che, freneticamente, si evolve.
3
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, 2002, Roma-Bari.
-7-
1.2 DUE GENERI DEL NUOVO CONTESTO TELEVISIVO: IL TALK
SHOW E IL REALITY SHOW
Il talk show, importato in Italia dalla televisione americana, è una forma
d’intrattenimento parlato, fondato sull’interazione verbale tra conduttore
e pubblico. In esso è riprodotta la logica della conversazione borghese e
il ruolo del presentatore è essenziale, dialoga sia con l'ospite, che con il
pubblico, facendolo sentire fondamentale e parte integrante dello
spettacolo.
Si passa quindi dalla “tv di testo” alla “tv di parola”. Il testo è un sistema
chiuso, che non è interrotto e che va in onda con atto di distanza (la
paleotelevisione era di testo e proponeva programmi senza interazione),
mentre nella neotelevisione (di parola) è la televisione stessa che si fa
testo, non produce più per il pubblico, ma con il pubblico. Oggetto
fondamentale, ed esempio, per rappresentare il primo contatto con
l'esterno fu il telefono, utilizzato in programmi come “Pronto Raffaella”.
Il primo talk show, nel palinsesto italiano, si ebbe nel 1977, era condotto
da Maurizio Costanzo e trasmesso sulla Rai alle 22:45, si chiamava
“Bontà loro” ed è stato il capostipite di una serie di altri programmi del
genere.
Il pubblico diventa una componente di assoluta rilevanza e il ruolo del
conduttore si trasforma da performer professorale ad artefice di legame
(e quindi fidelizzazione) tra lo spettatore, sia in studio sia a casa, e le
dinamiche presentate dagli ospiti, nei programmi delle varie emittenti.
Il ruolo del pubblico in studio assume una nuova centralità, che Anna
-8-
Grazia Manzato4 descrive con queste parole: “Il pubblico in studio è in
primo luogo un elemento del discorso, parte del disposto spettacolare,
ingrediente dell’allestimento del programma, partecipe della dimensione
televisiva, in quanto incarna concretamente il simulacro di spettatore
progettato dal programma: gli atteggiamenti, le reazioni, le risposte di
chi è presente in studio, concorrono a formare le istruzioni per l’uso del
programma”. Le trasmissioni di Maria De Filippi, che approfondirò in
seguito, nascono negli anni ’90 con la caratteristica della centralità del
pubblico live.
In questo genere televisivo, ispirato al modello greco dell’agorà
pubblica, tutti hanno diritto di parola ed opinione, assumendosi la
responsabilità di quello che si esprime.
La parola è la centralità del concetto di talk show e il veicolo con cui
trasmettere idee, ma anche emozioni, sentimenti e dinamiche della
propria sfera intima e privata.
Il mezzo televisivo diviene l’interlocutore intimo del pubblico, che in
questi programmi si mostra, rendendo pubblici i problemi privati. Il
telespettatore vive questa intimità su tre livelli: percettivo (lo spettatore
viene chiamato a guardare il mostrato), cognitivo (lo spettatore viene a
sapere quello che gli si vuole comunicare) e patemico (la posizione
emotiva che lo spettatore è chiamato ad assumere)5.
L’intimità del talk show si ritrova anche nel reality show, prodotto
statunitense che approda in Italia nel 2000 ed è riconosciuto
4
A.G. Manzato, Lo spettatore televisivo, in F. Colombo, R. Eugeni (a cura di), Il prodotto culturale.
Teorie, tecniche di analisi, case histories, Carocci, 2001, Roma, pp. 286-287.
5
N. Barretta, M. E. Santon, La signora della tv. Fenomenologia di Maria De Filippi, Edizioni
Unicopli, 2013, Milano.
-9-
ufficialmente attraverso la prima edizione del “Grande Fratello”.
Si tratta di un genere televisivo che permette l’osservazione dei
comportamenti e delle emozioni di gente comune (come appunto il
“Grande fratello”) o di vip (ad es. “L’isola dei famosi”) in contesti e
situazioni reali. Secondo la definizione di Aroldi e Villa la reality Tv
comprende “produzioni ispirate ad una forte aderenza con la realtà
quotidiana, colta sia nei suoi aspetti più drammatici, sia in quelli più
banali, grazie ad un coinvolgimento sempre più stretto del pubblico e
delle persone comuni (la cosiddetta gente)”6.
Bisogna considerare, però, che di realtà ci sia ben poco, perché molto
spesso si esibiscono convivenze forzate tra persone che non si
conoscono, anche in ambienti particolarmente scomodi, in cui si altera la
percezione del tempo, creando un notevole distacco dalla quotidianità e,
a proposito di questo, Michele Sorice afferma che il reality show “non è
la ricognizione indagatoria sulla realtà, bensì la televisizzazione della
realtà; con il reality si frantumano tutte le cornici e la tv non è più il
medium che parla della realtà, ma di se stesso, o meglio della realtà
come è stata rappresentata dallo stesso discorso televisivo”7. In
quest’ambito sono rappresentate situazioni reali, con tutte le dinamiche
connesse, in ambienti creati ad hoc; è definito show, perché si tratta di
una spettacolarizzazione della realtà, che è presentata senza filtri
linguistici; motivo per cui è distinto dalla real tv, che trasmette, invece,
situazioni vere in ambienti reali.
6
P. Aroldi, M.Villa, Reality Television. Dalla tv della realtà alla tv delle emozioni. Rivista Ikon,
Franco Angeli, 1997.
7
M. Sorice, Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana,
Editori Riuniti, 2002, Roma.
- 10 -
Il reality è un’espansione del talk, che, invece, risulta più discreto; il
fatto non è più solo raccontato, ma anche visto, stimolando il
coinvolgimento dello spettatore; con le puntate in prime time (puntata
intera della prima serata) e le strisce del day time (frammenti della durata
di trenta o sessanta minuti trasmessi quotidianamente nella fascia
pomeridiana) il programma è onnipresente nella vita di chi lo segue
televisivamente.
Dal prodotto generico reality show si sono sviluppate diverse varianti.
Alcuni dei programmi di questo genere sono definiti anche reality game,
perché hanno una parte di competizione che, attraverso prove e sfide
settimanali, sfocia nel raggiungimento della vittoria finale di uno dei
concorrenti, con relativo premio. I programmi in cui i concorrenti sono
dei personaggi famosi si definiscono celebrity show e, in questi,
l’approccio voyeuristico del pubblico fa si che si ridimensioni la figura
del vip, riconoscendolo pari a se stesso, con limiti e fragilità che, nelle
altre trasmissioni, sono nascoste da lustrini e paillettes.
Col tempo si è affacciato sul panorama degli spettacoli televisivi il talent
show, distinto in due tipologie: quello in cui si ricerca il talento nei
candidati che si propongono ad una giuria composta da volti noti della tv
(ad esempio “Italia’s got talent”, condotto da Gerry Scotti, Maria De
Filippi e Rudy Zerbi) e quello in cui è presentato un percorso di
formazione e apprendimento di abilità spettacolari (in “Amici di Maria
De Filippi” sono il canto e la danza in tutti i loro aspetti, in “X factor” è
il canto, l’interpretazione e il portamento sul palco) e in cui i concorrenti
sono seguiti da professionisti incaricati di educarli nelle proprie
discipline.
- 11 -
La struttura dei reality permette al pubblico di affezionarsi ai diversi
concorrenti, che segue sia nei momenti di gioia, che in quelli di
difficoltà, durante il duro training per la realizzazione del proprio
obiettivo. La distinzione tra i due generi concerne la fruizione di questi
contesti da parte di un pubblico che, nel reality, s’identifica perché si
riconosce nelle dinamiche vissute dai partecipanti, mentre nel talent si
riconosce con la voglia di realizzare i propri sogni.
1.3 LA TELEVISIONE DI MARIA DE FILIPPI
Maria De Filippi esordisce in televisione nell’autunno del 1992,
succedendo a Lella Costa nella conduzione del talk show “Amici”. Il suo
ruolo nei primi mesi di programmazione era di autrice del programma, in
seguito ne divenne la conduttrice e tale è rimasta, per tutta la durata dello
stesso, fino al 1997.
La sua presenza in tv è diventata costante nel corso degli anni, fino ad
essere riconosciuta semplicemente come “Maria”, e in alcuni casi,
addirittura definita “la Maria nazionale”8.
“Amici” si configura come novità assoluta del palinsesto televisivo
italiano perché introduce, nella quotidianità degli spettatori, un elemento
innovativo: il disagio giovanile raccontato dagli adolescenti e discusso
tra loro. I protagonisti, di età compresa tra i 14 e i 24 anni, portano in
8
Un esempio della sua predominanza televisiva è stato durante il Festival di Sanremo 2013: quando fu
annunciata la cantante Maria Nazionale, il pubblico si stupì di non veder entrare in scena la De Filippi.
(fonti varie dal web)
- 12 -
televisione problematiche relative all’ambito familiare, personale o
amicale e ne discutono con i ragazzi del pubblico, sotto la supervisione
obiettiva della conduttrice, che Aldo Grasso descrive così: “La
conduttrice, il cui atteggiamento contenuto rappresenta il virtuale
contrappunto allo straripamento emotivo e psicologico delle confessioni
dei ragazzi, anima e regola la discussione senza indulgere in falsi
sentimentalismi”9. Si tratta di un vero e proprio talk show, incentrato
sulla parola.
Il programma è trasmesso nel primo pomeriggio e la scena è costruita in
modo da somigliare ad un salotto: al centro sono poste due panchine
poste una di fronte all’altra, per i protagonisti della storia, e intorno si
distribuiscono i giovani con i quali avverrà il dibattito. E’ concessa
l’opportunità a genitori e adulti coinvolti di intervenire sia in studio, sia
telefonicamente.
A proposito della dimensione familiare, la stessa De Filippi descrive
“Amici” come “Un luogo di sfogo del disagio familiare giovanile, una
specie di “telefono azzurro” dell’adolescenza. Parlavano di tutto, ma i
veri protagonisti erano le relazioni difficili all’interno di un panorama
familiare movimentato, fatto di padri distratti e gelosi, di madri
impegnate, di fidanzate del padre e di fidanzati della madre, di figli
ignorati e soffocati, torturati da divieti o abbandonati a loro stessi.
Abbiamo compreso, con il tempo, che il tarlo di tante famiglie è
l’incapacità di comunicare, di dirsi le cose in faccia, di chiarire i propri
rapporti, di arrivare ad un confronto”10.
9
A. Grasso, Enciclopedia della televisione, Garzanti, 2008, Milano.
10
M. De Filippi, Amici di sera. Gli adolescenti e la famiglia, Oscar Mondadori, 1998, Milano.
- 13 -
Le dinamiche familiari della gente comune sono a portata di tutti e si
smascherano i limiti che conducono alla crisi dell’istituzione famiglia. Il
successo della trasmissione è dovuto alla possibilità di riconoscersi nelle
storie presentate e di non sentirsi più i soli a vivere ed affrontare tali
problematiche. Il mezzo televisivo, fondato sulla comunicazione, diviene
lo strumento del paradosso: una denuncia dell’incomunicabilità
relazionale umana nella società contemporanea.
Nel 1996 si inaugura su Canale 5 un nuovo prodotto creato dalla De
Filippi: “Uomini e donne”, che si propone come il naturale
proseguimento di “Amici”. La differenza tra i due talk è nel target degli
utenti, ora ci si vuole rivolgere ad un pubblico adulto e trattare anche i
problemi di coppia o quelli relativi al lavoro, che immancabilmente si
ripercuotono sul clima familiare.
La struttura è simile al talk precedente e si stabilizza ulteriormente il
ruolo del pubblico parlante, per un confronto amicale che consenta di
dare origine a spunti di riflessione. Il fine di queste trasmissioni non è
fornire una soluzione al problema, ma parlarne affinché i protagonisti
stessi possano decidere il da farsi.
Con l’edizione del 2001/2002 si ha una svolta dell’aspetto del format:
resta centrale il tema della coppia, ma si affronta attraverso il
corteggiamento. Alcuni uomini e alcune donne, definiti “tronisti”,
cercano nuove conoscenze, ed eventualmente il partner, attraverso il
dialogo
con
dei
pretendenti
scelti
dalla
redazione,
chiamati
“corteggiatori”. Questi ultimi nel corso delle puntate sono eliminati dai
tronisti fino a ridurre la rosa dei candidati a due persone. La scelta finale
spetta a chi è corteggiato, ma l’ultima parola è del corteggiatore, che
- 14 -
decide se iniziare o no una storia.
Nel 2000 la nostra autrice presenta un nuovo programma, che ottiene fin
da subito un gran successo di ascolti e che ancora oggi resta immutato:
“C’è posta per te”. La mission della trasmissione è l’incontro e il
confronto tra persone, che per svariati motivi, nel corso degli anni, hanno
interrotto i rapporti. Le tematiche sono diverse, litigi che hanno
allontanato i parenti, persone anziane che vorrebbero rincontrare
familiari lontani o vecchi amici, gente che vorrebbe ritrovare una vecchia
fiamma o ragazzi che vorrebbero conoscere i loro beniamini.
Uno dei protagonisti della storia scrive alla redazione, la quale fa
recapitare da un “postino”, a casa dell’altro, la lettera di convocazione.
Sarà il destinatario a decidere se partecipare alla trasmissione. Nel
momento in cui si arriva in studio viene aperta una grande busta con uno
schermo, che permette di vedere chi è il mittente della richiesta e il
ricevente decide se permettergli di parlare. Dopo aver ascoltato il
messaggio si apre un dibattito in cui la De Filippi è mediatrice; non si
cerca necessariamente la conclusione felice, ma si propongono tutti i
suggerimenti possibili per giungere ad una conclusione che sia il più
favorevole possibile per entrambe le parti. Dice la stessa conduttrice
“Maurizio (Costanzo, ndr) mi ha insegnato di avere rispetto per chi ho di
fronte. Il rispetto per il pubblico, cercare di non tradirlo, di dire la
verità anche a costo di sembrare non quella che loro vogliono. Il
telespettatore è cambiato, prima subiva la tv, ora la usa. Quando si
rivolgono a C’è posta per te, lo fanno per risolvere situazioni che non
avrebbero mai risolto. Decidono di fare una cosa in modo molto forte ed
emblematico, chiedere scusa davanti a milioni di spettatori. Le storie di
- 15 -
“C’è posta” le scelgo personalmente. Mi raccontano le loro cose, è
faticoso per loro e per me, che ho rispetto verso le loro storie.”11
Il programma si connota come generalista, perché i protagonisti sono
persone comuni, abbraccia uno spettro di pubblico più ampio possibile e
rientra nel genere televisivo del people show.
L’ultimo grande successo della De Filippi è “Amici di Maria”, che
analizzerò nel prossimo capitolo.
La genesi del successo di Maria, quindi, si ha con “Amici”, che in
seguito ha diviso in una trilogia dal carattere unitario: “Uomini e donne”,
“C’è posta per te” e “Amici di Maria”. L’unicum è rappresentato da un
percorso narrativo dell’identità, sia in relazione con la propria
soggettività, sia in relazione alla comunità. Ognuno di questi programmi
incarna un’origine antropologica, che possiamo identificare con la
formazione personale (autoaffermazione) in “Amici di Maria”, con la
competizione per il raggiungimento della conquista del partner
(solidarietà extraparentale e riproduzione) in “Uomini e donne” e con la
riconciliazione per vivere una comunità unita (solidarietà parentale ed
extraparentale) in “C’è posta per te”.
11
Intervista condotta da F. Fazio in Che tempo che fa, marzo 2013, Rai 3.
- 16 -
CAPITOLO 2
“AMICI DI MARIA DE FILIPPI ”
“Amici” nasce nel 2001 ed è trasmesso su Italia 1 col nome “Saranno
famosi”1. Dalla successiva edizione ad oggi il format è stato trasferito su
Canale 5 con la denominazione, che porta attualmente, “Amici di Maria
De Filippi”, più semplicemente detta “Amici”. È una vera e propria
accademia, in cui i ragazzi sono formati per entrare a far parte del mondo
dello spettacolo.
La nascita del programma viene dal desiderio della De Filippi di creare
una nuova proposta televisiva in cui ci fosse l’unione della scuola con lo
spettacolo.
2.1 LA STRUTTURA SPAZIO - TEMPORALE DEL PROGRAMMA
I due elementi principali su cui si fonda il format e in cui si sviluppano le
varie dinamiche, che hanno contribuito al successo della trasmissione,
sono il tempo e lo spazio.
1
Il titolo è stato cambiato per problemi di diritto d’autore nei confronti dell’omonima serie televisiva
americana.
- 17 -
Il tempo si suddivide in tre categorie:
a)
il tempo circolare: “Amici” è un programma senza fine, la
conclusione di una stagione televisiva è seguita dai casting per la nuova
formazione della classe; nonostante si tratti di una scuola, in realtà non
rispecchia il tempo scolastico della nostra realtà, perché al termine del
percorso si proclama un vincitore e la classe non esiste più, si ricomincia
la ricerca di nuovi talenti per l’anno successivo. Rispecchia, invece, la
vita “normale” di ogni persona, in cui non c’è mai una sospensione, ma
ogni fine è seguita da un nuovo inizio;
b)
il tempo progressivo: trattandosi di un talent in stile reality la
striscia quotidiana, il day time, permette allo spettatore di seguire i
ragazzi durante tutto il periodo educativo fino all’esibizione delle varie
prove e del serale. La puntata del sabato è il culmine della preparazione
settimanale, il momento delle interrogazioni e delle sfide, ma, a
differenza degli altri programmi del genere, in questo tempo
l’eliminazione da sfida non comporta la rottura del tempo formativo,
perché si continua a lavorare per la formazione della classe e degli
allievi.
c)
il tempo decisivo: il serale è il momento cruciale, in cui si decide
chi sarà il vincitore. In questa fase della trasmissione ha più importanza
la performance artistica, la bravura degli allievi e quanto siano migliorati
nel
corso
della
stagione.
L’effetto
suspance
è
determinato
dall’imprevedibilità del momento, perché si è giunti al punto in cui la
permanenza nel talent è decisa anche dal gradimento del pubblico, che,
essendo impreparato tecnicamente, non garantisce il voto alla
- 18 -
preparazione, quanto al modo d’essere e alla personalità. Siamo nel
tempo della dimostrazione, del confronto e dell’affermazione.
Lo spazio è il luogo fisico in cui si vive il periodo di formazione e di
confronto:
a)
il living space (lo spazio della preparazione): sono gli ambienti in
cui i ragazzi vivono quotidianamente il loro percorso formativo e
personale, ci sono le aule per le lezioni e le sale prova in cui gli allievi si
preparano alle sfide sotto la guida degli insegnanti, professionisti del
settore. Gli spazi neutri servono al confronto tra i ragazzi, permettono la
nascita di amicizie e scontri, s’impara a conoscere se stessi e gli altri.
Questo spazio è quello del tempo progressivo, della striscia quotidiana
del programma;
b)
il palcoscenico (lo spazio dell’esibizione): è l’anima del
programma, il posto in cui ci si mette in gioco. Assume diverse funzioni,
seguendo le fasi:
1)
arena: nella fase iniziale è lo spazio neutro in cui gli aspiranti
concorrenti mostrano il loro talento alla giuria dei professori per
conquistare un posto nella scuola. È la dimensione del “passaggio” per
arrivare a qualcos’altro e dell’“isolamento”, perché ognuno dei
partecipanti si mostra per sé, senza alcun legame di appartenenza;
2)
classe: lo spazio neutro si riempie con i banchi degli allievi da un
lato e il tavolo dei professori dall’altro, al centro c’è il luogo
dell’esibizione. In questa fase emergono le tre peculiarità dello show:
l’aspetto formativo, il senso di appartenenza nelle diverse categorie e
- 19 -
l’opposizione con l’altro versante, cioè la dimensione polemica con gli
insegnanti;
3)
agone: siamo nella fase del serale, è terminata la preparazione, la
diatriba dialettica tra allievi e insegnanti e tra gli allievi stessi. Lo spazio
si svuota per accogliere la sfida e la dimostrazione dei talenti e delle loro
nuove competenze. Gli alunni sono diventati giovani artisti chiamati ad
esibire la loro preparazione in uno spazio competitivo che è luogo del
confronto.
2.2 I PROTAGONISTI
I protagonisti sono tutti gli attori della trasmissione:
a)
gli amici: sono i ragazzi che si avviano alla realizzazione del loro
sogno, i talenti che devono formarsi e che hanno voglia di migliorarsi.
Ognuno di loro incarna in sé l’alunno, il compagno, l’amico, il
confidente, il concorrente e l’artista, sono persone giovani e la maggior
parte si trova per la prima volta di fronte alle telecamere, vivono il
faticoso percorso della formazione e la tensione delle prove, lottano
contro le proprie paure e si scontrano con i colleghi, per raggiungere la
vittoria, e con i professori che, a volte, peccano di simpatie esplicite e
richieste che pretendono qualità fisiche e canoni non sempre presenti nei
ragazzi. La maggior parte di loro sono adolescenti, che vivono le crisi
tipiche della loro età e che devono confrontarsi con il mondo dello
spettacolo, ancora sconosciuto, ma che già li vive come protagonisti.
- 20 -
Queste figure hanno tre parti fondamentali: quella relazionale e
sentimentale, tipica del reality show, quella della dimostrazione delle
proprie capacità, tipica degli show d’abilità, e quella della componente
formativa nel rapporto con gli insegnanti, che li educano nella loro
crescita umana e professionale;
b)
gli insegnanti: sono la novità della televisione italiana, una
presenza importante e, per certi versi, contrastante nella scuola di
“Amici”. Sono allo stesso tempo docenti e giudici, chiamati a verificare
e valutare il proprio operato sugli allievi. Possiamo definirli i
coprotagonisti della trasmissione, che con la loro componente
professionale e umana, spesso si scontrano con gli allievi, in alcuni casi
perdono di vista la neutralità del loro ruolo attaccando i ragazzi e
creando il rapporto dialettico su cui ruota tutto il programma;
c)
la conduttrice: Maria De Filippi ha uno stile informale e molto
semplice, si rivolge agli allievi, ai docenti e al pubblico in modo
amichevole, con una postura rilassata. Assume il ruolo di mediatrice
nelle relazioni tra corpo docente e classe, smorzando i toni quando
diventano irriverenti e, spesso, chiede chiarimenti agli insegnanti2,
perché entra in empatia con il pubblico e cerca di creare una logica che
sia il più fruibile possibile per tutti. Per i ragazzi è un’amica, disponibile,
ma autorevole, li sostiene e li ammonisce quando sono nel torto,
aiutandoli a riflettere e a comprendere i loro atteggiamenti. È super
partes, mantiene l’equilibrio del programma, cerca di garantire giustizia
e parità. È anche la classica conduttrice di talk show, che gestisce i turni
2
Durante la puntata del 19/03/2008 Maria De Filippi chiede al Maestro Jurman di spiegare il
significato del termine “suono schiacciato”, da lui più volte usato per correggere i ragazzi.
- 21 -
dei protagonisti e i ritmi dello show. Il suo ruolo si può definire un punto
di riferimento chiarificatore per lo spettatore;
d)
gli opinionisti: sono delle figure di mezzo, i mediatori della
trasmissione, che esprimono idee più obiettive, rispetto a quelle del
corpo docente, sulle dinamiche interne al programma ed hanno una
visione generale più razionale rispetto a quella emotivamente più
coinvolta del pubblico;
e)
il pubblico: si divide in due tipologie, quello in studio, rumoroso,
visibile e partecipativo, che permette ai ragazzi di raccontare se stessi
attraverso le reazioni a opinioni anche scortesi, e quello a casa, nascosto,
assente e silenzioso, ma che determina il successo di ascolto della
trasmissione. Sono speculari e rappresentano la platea virtuale degli
spettatori;
f)
il giudice lontano: è il pubblico attivo a casa, che segue la
trasmissione nei suoi tempi e determina l’andamento delle eliminazioni
attraverso il televoto. Il legame tra concorrente e pubblico diventa diretto
e il giudizio diviene quantitativo. La validità della formazione si basa sul
principio dei numeri, che si trasfigura in qualità. Il riconoscimento è nel
pubblico e nel suo voto. Nell’ultima edizione di “Amici” il televoto è
stato relegato, come forma di giudizio, solo nelle serate della semifinale
e della finale, per la proclamazione del vincitore.
- 22 -
2.3 LE DINAMICHE
a)
l’ingresso: è il momento del vuoto e della tensione, nessuno si
conosce e, la sensazione, è di trovarsi in un cantiere, perché, in effetti, si
sta costruendo il programma e il pubblico partecipa attivamente già in
questo pre-inizio, è presente in studio e comincia a conoscere i nuovi
allievi. I candidati si esibiscono, contando solo sulle proprie capacità e
sul proprio talento, cercando di comunicare tutto quel che possono per
convincere la giuria dei docenti del loro valore, per frequentare la scuola.
Si costituisce il gruppo classe lungo un asse di aggregazione
(appartenere allo stesso progetto), di opposizione (il contrasto con gli
insegnanti) e di contorno/compensazione (il pubblico)3;
b)
la sfida: la classe che si forma in seguito alle selezioni è solo un
primo nucleo, che si compone definitivamente nel corso delle sfide. Gli
allievi sono costantemente sottoposti a tensioni fisiche ed emotive,
perché, di volta in volta, devono dimostrare di essere migliorati e di
essere i più bravi agli insegnanti che li valutano, alla giuria e agli occhi
del pubblico a casa, che, attraverso il televoto, stila una classifica di
gradimento. Gli ultimi in classifica sono “sfidabili” da ragazzi esterni,
che vogliono tentare l’ingresso nella scuola; in questa fase l’errore ha la
sua peculiarità, perché diventa il fattore di eliminazione, ed è speculare
alla realtà quotidiana, in cui, soprattutto in campo professionale, non ci
sono sconti per le defaillance;
3
S. Patriarca, Il mistero di Maria. La filosofia, la De Filippi e la televisione, Mimesis Edizioni, 2012,
Milano-Udine.
- 23 -
c)
la classe: al termine delle sfide si compone la classe definitiva,
che comincia il percorso formativo fino a decretarne il vincitore. Nel
gruppo si sviluppa il senso di appartenenza e cominciano a delinearsi
relazioni di simpatie e antipatie, che animeranno il corso del programma.
Lo spirito competitivo è un incentivo al miglioramento continuo delle
competenze e delle doti personali, senza le quali il talento non emerge;
d)
la classifica: si tratta di un vero e proprio strumento per la
decisione dell’andamento della trasmissione, è il pubblico a casa che la
redige,
attraverso
il
proprio
gradimento.
I
concorrenti
sono
immediatamente a conoscenza dei risultati e creano strategie ed alleanze
per ottenere maggiore visibilità e riscontro dal pubblico. La novità
introdotta da “Amici” è il potere decisionale nelle mani del grande
assente/presente, che si somma al giudizio degli insegnanti;
e)
l’esame: è il tempo del confronto con i docenti, che insegnano e
poi valutano l’apprendimento (proprio come a scuola) attraverso
l’esibizione artistica degli allievi. Durante il corso dell’anno si
affrontano diverse interrogazioni e diversi esami, ma con pesi differenti,
perché si va dalla semplice esibizione per avere un voto, all’esame per
l’accesso alla fase serale. Il giudizio è espresso pubblicamente, quindi i
ragazzi vivono un intenso momento di attesa, mentre affrontano l’alterità
del corpo docente, che li forma anche dal punto di vista umano, per
affrontare la realtà estranea e professionale, con cui si confronteranno
nell’immediato futuro. In questo frangente capita che si creino scontri
dialettici tra le due categorie, l’autorità del docente è messa in crisi dal
vissuto emotivo dell’allievo, che si sente autorizzato a controbattere per
affermare la propria competenza e preparazione. Oltretutto la valutazione
- 24 -
professionale è confrontata con la classifica di gradimento del pubblico,
perdendo ulteriormente il suo valore;
f)
il serale: siamo nel “tempo decisivo”, non si tratta più solo di
migliorare, ma bisogna dimostrarlo. L’ammissione al serale comporta
una visibilità maggiore, perché il pubblico è più numeroso e per gli
allievi è una forma di riconoscimento del proprio talento e della propria
bravura. Essere ammessi vuol dire essere competenti e, a differenza di
chi non passa alle selezioni iniziali, che può sempre ritentare l’anno
successivo, essere bocciati in questa fase vuol dire aver fallito.
Quest’aspetto è fondamentale nella formazione, perché pone i giovani
talenti di fronte alla possibilità della non riuscita, che, per quanto possa
essere umiliante e angosciante, è pur sempre un fattore di crescita
personale;
g)
la squadra: da qualche anno è stata impostata la divisione della
classe in due squadre (bianca e blu) che si affrontano per la vittoria della
puntata e per garantire la permanenza di tutti i propri membri fino alle
fasi finali. La squadra perdente dovrà eliminare uno dei compagni
(nell’edizione 12 la nomination per l’eliminazione spettava ai
componenti della squadra avversaria e al proprio caposquadra). Il
significato di questa dinamica è fondare nei ragazzi il senso di
appartenenza e lo sviluppo di una dialettica positiva del concetto di
singolarità-collettività: la squadra è la trasfigurazione del gruppo per il
raggiungimento di un obiettivo, in cui si procede insieme, ma anche per
se stessi;
- 25 -
h)
la vittoria: il vincitore è uno, al centro della scena. Tutti hanno
partecipato alla sua proclamazione ed è stato scelto dagli insegnanti,
dagli opinionisti e soprattutto dal pubblico a casa attraverso il televoto
(cui spetta la decisione finale). Un giovane talento ora è un vero artista,
riconosciuto dalla stampa, dai media e dai telespettatori. Un adolescente
con un sogno nel cassetto, che realizza il proprio obiettivo con fatica e
che, alla fine del percorso, ottiene un contratto lavorativo.
La scaletta che ho presentato è la descrizione generica del programma,
nel corso delle varie edizioni ci sono stati continui cambiamenti che
hanno reso lo spettacolo sempre più avvincente e fruibile da parte del
pubblico.
Nella dodicesima edizione la classe è formata solo da titolari e non ci
sono sfide esterne per l’ingresso nel corso dell’anno formativo, è
introdotta la maglia grigia, che sostituisce l'esame di sbarramento,
consegnata nel momento in cui un docente percepisce delle carenze in un
allievo, ed ha diverse possibilità: “Rimani”, “Sei in sfida”, “Sei in sfida
immediata”, “Sei eliminato” (se il professore sceglie quest'ultima dovrà
avere il consenso degli altri due professori di categoria, altrimenti
l'alunno rimane nella scuola) e sono introdotti due nuovi generi nelle
categorie di canto e danza: il rap e la break dance. I risultati, per
l’accesso alle fasi conclusive, degli allievi sono presentati attraverso
l’uso di un “semaforo” controllato dai professori: nel caso sia verde,
l'allievo accede direttamente al serale, nel caso sia arancione, l'allievo
prosegue la sua corsa al serale e nel caso il semaforo sia rosso l'alunno
deve abbandonare la scuola. Gli alunni che passano alla fase del serale
- 26 -
sono divisi in due squadre, Blu e Bianca, capitanate da due direttori
artistici o capisquadra (Emma Marrone - ex talento di Amici - e Miguel
Bosé – noto cantautore e presentatore internazionale di esperienza
decennale) che sceglieranno, di volta in volta, chi si esibirà e su quali
prove. Per ognuna delle squadre sono assegnati i professori: Rudy Zerbi,
Luciano Cannito e Garrison Rochelle con Miguel Bosé per la Squadra
Blu e Alessandra Celentano, Grazia Di Michele e Mara Maionchi con
Emma Marrone per la Squadra Bianca.
Il vincitore è unico, ma è premiato anche l'ultimo allievo rimasto in gara
dell'altra categoria. La maggiore novità di questa edizione è il giudizio
delle prove da parte di una giuria di qualità, composta da due attori
(Sabrina Ferilli e Luca Argentero), un dj di fama internazionale (Gabry
Ponte) e una guest star diversa per ogni puntata (Harrison Ford, Al
Pacino, Robert De Niro), anziché dal consolidato e onnipresente
televoto, perché “Era diventato come fumare una sigaretta - spiega
Maria De Filippi - ogni volta dovevo dire tutte le cose negative, che
poteva comportare, prima di lanciarlo”.
“Dopo dodici anni sono cambiata e con me deve cambiare il
programma. I sedici giovani talenti che fanno parte delle due
squadre, blu e bianca, avevano otto anni quando cominciò questa
avventura e mi sono sentita in dovere di inventare qualcosa di
nuovo. Mai avrei pensato di snocciolare i dati di Publitalia,
anziché quelli dell’Auditel. In un momento in cui si tagliano così
tanto gli investimenti pubblicitari È motivo di orgoglio già esserci
e, soprattutto, partire con gli spazi pubblicitari venduti. Molto più
dell’auditel, oggi conta quanto un programma è vendibile e non si
- 27 -
deve dimenticare internet, che permette di essere ancor più
appetibili. Al mondo di “Amici” e al suo sito che sta segnando
numeri in continua ascesa, da qualche mese ho avvicinato la novità
di www.wittytv.com e, anche lì, c’è spazio per un’infinità di
contenuti interessanti per la pubblicità…È così che sta andando il
nostro modo di pensare e di lavorare e se ieri le tele promozioni mi
davano quasi fastidio, oggi dico che senza di esse questo
programma non esisterebbe”4. (Maria De Filippi)
Queste innovazioni sono state introdotte a causa della crisi economica
che ha colpito anche il mondo della televisione, una riduzione dei costi
rilevante, ma che la conduttrice del talent rileva sia stata fatta anche per
garantire l’indipendenza del programma dalle case discografiche.
““Amici” è rimasto l’unico talent non legato a nessuna casa
discografica. “X Factor” e “Italia’s Got Talent” sono legati a Sony e
“The Voice” a Universal”, spiega la conduttrice, che considera come “la
negazione del talent, anche perché le case discografiche investono solo
su un ragazzo alla volta. Io preferisco invitarle tutte a scegliere tra i
nostri ragazzi”. Una scelta che finora ha dato riscontri positivi, poiché il
70% di loro, ad oggi, ha trovato uno sbocco reale nel mondo dello
spettacolo5.
4
L. Dondoni, Stasera la dodicesima stagione del talent show di Maria De Filippi, in Gli speciali de
La Stampa, www.lastampa.it, 6 Aprile 2013.
5
F. Cerutti, Amici 12 riparte in versione low budget, senza scaletta ma ancora indipendente, in Gli
speciali de La Stampa, www.lastampa.it, 6 Aprile 2013.
- 28 -
CAPITOLO 3
UNA NUOVA VISIONE DEL COUNSELING
3.1
IL COUNSELING PROFESSIONALE SECONDO IL MODELLO
DELLA RIPROGRAMMAZIONE
Il counseling è una professione che si afferma intorno al 1885 negli Stati
Uniti come tentativo di orientamento scolastico, per valutare le idoneità
degli studenti, definendone le potenzialità. Negli anni ’50, dopo i due
grandi conflitti mondiali, si avverte il bisogno di sostenere e reintegrare
nella vita civile, in modo rapido e con una spesa pubblica irrisoria, un
gran numero di reduci di guerra, così ci si avvicina anche al tema della
morte creando delle task force (gruppi di lavoro con professionisti della
relazione d’aiuto); in questi anni Carl Rogers propone un nuovo
approccio
delle
professioni
d’aiuto
nei
confronti
dell’utenza,
concentrando il percorso di consulenza sul cliente.
Negli anni ’70 il counseling approda in Europa: in Inghilterra i counselor
e gli psicologi/terapeuti sono considerati sullo stesso piano. In Germania
la figura professionale si specializza in tre tipologie: socio-assistenziale,
psico-sociale e psico-pedagogica. In Italia si sviluppa intorno agli anni
’80/’90, convogliandosi soprattutto sulla condizione lavorativa della
popolazione.
Il termine counseling indica un'attività professionale, che tende a
- 29 -
orientare,
sostenere
e
sviluppare
le
potenzialità
del
cliente,
promuovendone la crescita e l'autonomia attraverso una relazione di
elevata qualità, che stimoli l'affiorare delle risorse interiori e incoraggi le
capacità di scelta. Si occupa di problemi contingenti (prendere decisioni,
migliorare le relazioni interpersonali, ecc.) e contestualmente circoscritti
(famiglia, lavoro, scuola, ecc.), fino ad aprirsi a contesti allargati, quali i
gruppi sociali.
È una risposta professionale ad una società pressata dallo stress, che si
propone come un processo centrato e limitato in breve tempo.
L’attività professionale si struttura sulla relazione tra persone e il
principale strumento di lavoro è la comunicazione, per la maggior parte
verbale, attraverso cui si cerca di decretare un rapporto di fiducia con il
cliente, per comprenderne innanzitutto il problema, per consentirgli di
osservare la vicenda anche da altri e nuovi punti di vista, per studiarne
insieme le possibili evoluzioni, per spronarlo al cambiamento e guidarlo
nel percorso di attivazione delle sue risorse verso nuove soluzioni, basate
su convinzioni e valori autentici dell’essere umano. La comunicazione si
basa su tre aspetti principali: il soggetto con cui si comunica, il contenuto
e il ruolo dei partecipanti.
La base di questa professione è il riconoscimento della capacità di ogni
persona di essere padrona della propria libertà di cambiare e la
consapevolezza di non essere inevitabilmente schiavi di fattori esterni.
Ogni individuo è considerato unico e speciale e come tale gli viene
dedicata la massima attenzione, per coglierne la sua peculiarità e aiutarlo
a esprimerla pienamente.
Le capacità di ascolto ed empatia sono tra le qualità fondamentali del
- 30 -
counselor, che non è certo un semplice consigliere, ma un sostegno,
come dimostra l’etimologia del termine (dal latino consulo-ĕre,
traducibile in "consolare", "confortare", "venire in aiuto", si compone di
cum e solĕre, "alzarsi insieme", sia propriamente come atto, che
nell'accezione di "aiuto a sollevarsi". È corrispondente un altro verbo
latino: consulto-āre, iterativo di consultum, participio passato di consulo,
col significato di "consigliarsi", "deliberare", "riflettere"). Essere
counselor “richiede una profonda empatia, la comprensione del
carattere e delle tensioni interne della personalità, la capacità di
accettare e rispettare gli altri senza falsi moralismi, l’umiltà di non
imporre le proprie scelte di vita”1.
Il rapporto tra professionista e cliente, all’interno della consulenza, è
paritario e la prestazione desiderata è contrattata insieme all'inizio del
percorso, che non prevede una cura, perché alla base non vi è una
malattia, ma una richiesta di orientamento, di sostegno e di guida.
Decidere di fare consulenza con un counselor è una scelta personale e
comporta la disponibilità a lavorare su se stessi prima ancora che sulla
situazione esterna, un percorso che difficilmente può essere imposto, ci
si avvicina a questa realtà professionale non per avere delle risposte,
delle interpretazioni o delle diagnosi, ma per imparare a stare meglio con
se stessi e, quindi, con la realtà circostante e con le situazioni nelle quali
bisogna vivere e operare.
Il lavoro di crescita personale è il primo passo, anche quando i problemi
da affrontare sono estremamente pratici e sembrano dipendere
1
R. May, L’arte del counseling. Il consiglio, la guida, la supervisione, Astrolabio - Ubaldini Editore,
1991, Roma.
- 31 -
esclusivamente da avvenimenti esterni: un licenziamento, la perdita di
una persona cara, un incidente d'auto, ecc.
Il counselor è un facilitatore con capacità di gestire situazioni conflittuali
e deve agire prima di tutto sull'atteggiamento, cercando di trovare un
punto di vista della vicenda, che lasci spazio ad una possibile crescita,
che non chiuda ogni possibilità di dialogo con la realtà e che possa, così,
trasformarsi in un'opportunità di ampliamento di orizzonti, anche
interiori.
Il suo compito è, infatti, quello che dovrebbe essere il compito della
famiglia e della scuola: aiutare le persone a diventare consapevoli degli
strumenti a propria disposizione, in quanto essere umano e in quanto
individuo, per imparare ad operare consapevolmente e costruttivamente
nella propria esistenza.
Per diventare un professionista riconosciuto occorre frequentare un corso
di formazione triennale, in cui sono studiate la teoria e la pratica del
modello e in cui si segue un percorso personale, e si termina con un
tirocinio e un esame finale, con elaborazione di una tesina, per
conseguire il diploma, che darà accesso al registro delle professioni
regolamentate senza albo.
Negli anni si sono distinti diversi modelli di counseling, ognuno con il
proprio approccio e il proprio ambito. I più riconosciuti sono:
-
psicodinamico
-
transazionale
-
cognitivo – comportamentale
-
umanistico – esistenziale
-
sistemico
- 32 -
-
bioenergetico
-
pnl
-
filosofico
-
riprogrammazione esistenziale
Secondo la Riprogrammazione Esistenziale del Professor Papadia “il
counseling è un servizio d’appoggio alla persona, per la soluzione di
problemi contingenti, determinati dalle sue strategie esistenziali, dalla
sua filosofia di valori, dai suoi obiettivi specifici in quella determinata
situazione, dalle risorse bioenergetiche e di salute, emotive e ideative a
sua disposizione”.
Il modello è genetico/informativo, evoluzionistico darwiniano, e
considera la persona governata dal codice genetico e dalle istruzioni
insite nel dna, considerato l’algoritmo dell’evoluzione, che garantisce
adattamento e sopravvivenza grazie alle unità informative da cui è
costituito: i geni.
L’aspetto evoluzionistico ci consente di guardare i disagi come dati
appartenenti alla selezione naturale e, quindi, allontanarli dalle
interpretazioni “patocratiche”, molto comuni nella nostra società,
considerandoli opportunità di crescita dal punto di vista bioenergetico,
mentale e spirituale.
L’evoluzione dell’uomo è avvenuta per interesse personale, da non
considerarsi come egoismo, poiché questo fattore non esclude il
beneficio per gli altri individui. Gli elementi agenti sono stati la
selezione naturale, la casualità della variazione genetica, l’adattamento
all’ambiente circostante e ai propri simili, mediante gli scopi biologici,
- 33 -
tra cui, quello fondamentale, è la sopravvivenza (conservazione della
salute psicofisica), perseguita con l’utilizzo di due strategie: strategia di
coalizione che prevede la riproduzione (garanzia della trasmissione dei
propri geni), la solidarietà parentale (vicinanza con i membri del proprio
gruppo) ed extraparentale (scambio d’informazioni e favori con membri
di gruppi esterni al proprio) e strategia di competizione attraverso
l’autoaffermazione e la conquista del territorio (questi ultimi due sono
specifici del singolo).
L’individuo è un ologramma del proprio dna, una proiezione spazio
temporale delle tre programmazioni (bioenergetica, mentale e spirituale)
che creano un campo vitale e si coordinano nella formazione individuale
e collettiva del soggetto.
La programmazione bioenergetica è la strategia degli istinti e delle
emozioni, la ritroviamo nel codice genetico, si manifesta attraverso il
linguaggio analogico, l’empatia, il transfert che invia e consente la
sopravvivenza e l’autoaffermazione, creando un campo bioenergetico, in
cui l’individuo entra in risonanza e si lega a soggetti simili a sé.
La programmazione mentale riguarda il pensiero umano organizzato, è
una struttura complessa il cui funzionamento è geneticamente acquisito e
consente di ordinare le esperienze interne ed esterne. Il campo mentale si
manifesta attraverso segni, idee, argomenti, valori, ecc. e si esprime con
il linguaggio digitale.
La programmazione spirituale è un ulteriore sviluppo della mente, che
consapevole dei propri limiti spazio-temporali afferma l’incomprensibile
come trascendenza. Il campo spirituale si esprime tramite riti ed
enunciati.
- 34 -
La tridimensionalità dell’essere umano è la risultante di due
programmazioni:
individuale
e
collettiva.
La
prima
dipende
dall’interazione tra caratteristiche genetiche, situazioni precedenti ed
esercizio della libertà e si sviluppa nell’intero arco della vita attraverso
dieci tappe: concepimento, vita uterina, nascita, fase primaria,
socializzazione infantile, sessualizzazione, innamoramento, maturità,
decondizionamento
e
sconfinamento.
La
seconda
è
strutturata
dall’insieme di simboli, linguaggi, valori, comportamenti tipici di una
collettività e, in questa, rientrano anche le programmazioni familiari.
Il setting secondo il modello della Riprogrammazione è strutturato in
cinque fasi: indagine, definizione dell’obiettivo, deprogrammazione,
riprogrammazione e recupero/valorizzazione delle risorse.
Riprogrammarsi significa introdurre un cambiamento ottimale in un
programma esistenziale.
L’inizio di un percorso di consulenza avviene con l’indagine, il
counselor tiene bene a mente l’assunto2 “ciò che mi accade è ciò che io
sono” e procede, nella prima parte, con un ascolto attivo ed empatico.
Come già detto l’empatia è basilare in una relazione d’aiuto, perché
permette alle parti che vi partecipano di entrare in sintonia, l’ascolto
attivo è un atteggiamento ricettivo di tutti sensi del counselor, con cui
indaga nella narrazione del cliente, senza interromperlo e senza
pregiudizi, sentendosi parte della sua storia. Quando termina la
narrazione del cliente si procede con l’indagine, attraverso la
formulazione di domande mirate a definire il vero problema, che a volte
non è quello che viene portato in consulenza dal cliente.
2
Per assunto si intende un’affermazione difficilmente dimostrabile, mentre l’assioma è un enunciato il
cui contenuto è condiviso dagli interlocutori.
- 35 -
Occorre, quindi, stabilire se esso sia nell’obiettivo, nella strategia o nelle
risorse. Dopo aver definito il problema contingente, l’indagine prosegue
alla scoperta del programma3 operante, cioè capire quali siano gli
atteggiamenti, la filosofia di vita, i valori, ecc. che il cliente mette in atto,
in quella determinata situazione, e al suo inserimento nella mappa
esistenziale della persona, per valutare l’incidenza del problema nella
sua quotidianità.
Si procede con la chiarificazione dell’obiettivo della consulenza secondo
l’assunto “il cambiamento trascende il mio contingente” e la stipulazione
del contratto.
“Non c’è evoluzione senza cambiamento strategico” è l’assioma su cui si
fonda la deprogrammazione, attraverso cui il professionista destruttura il
programma del cliente, servendosi di tecniche quali la disaggregazione
(emozionale), la disconnessione (confutazione delle credenze) e
creazione di non senso.
Nel momento in cui il cliente entra in crisi e diventa consapevole del
proprio fallimento comincia la riprogrammazione. “Il cambiamento è
influente quando è significativo”: il counselor introduce il nuovo
programma, lavorando con quote d’amore e inserimento di nuove
istruzioni nella mappa esistenziale e nella memoria. La tecnica ideale in
questa fase è la maieutica, con la quale si tirano fuori dal cliente le idee e
le potenzialità per la risoluzione del problema. Giunti alla messa in
pratica della competenza si recuperano o si creano le risorse necessarie,
perché “non c’è cambiamento senza energia”.
3
Il sostantivo è ripreso dall’informatica, che, attraverso un’analogia, chiarisce efficacemente il senso
dell’uso della parola per la descrizione della personalità dell’essere umano. Nel modello della
Riprogrammazione il termine “programma” indica una serie di istruzioni, interne all’individuo, di
origine genetica ed ambientale (programmazioni).
- 36 -
3.2
L’ANALISI DI “AMICI DI MARIA DE FILIPPI” IN TERMINI DI
COUNSELING
a) I protagonisti
Sarebbe un azzardo, ma forse non proprio improbabile, guardare il
format come un setting di consulenza (dato che il percorso formativo
potrebbe essere considerato un’analogia del percorso di consulenza,
purtroppo mancherebbero momenti necessari, che sono tipici del
counseling), ma, per giungere ad una conclusione chiara e forte nel suo
fondamento, analizzerò la trasmissione nelle dinamiche e nei ruoli dei
protagonisti.
Amici è strutturato come una vera e propria Accademia di spettacolo,
con importanti professionisti in veste di docenti e molte ore di lezione. I
ragazzi che vi partecipano sono per la maggior parte adolescenti, con
tanta passione e un sogno da realizzare.
Osservando con gli occhi di un counselor l’attenzione si focalizza
immediatamente sul desiderio di raggiungere un obiettivo. Nella nostra
società, molto spesso, si guarda ai reality come una forma di scorciatoia
per raggiungere il successo, “Amici” è impostato diversamente, infatti,
per raggiungere l’ambita meta occorre impegno e sacrificio, non basta
farsi notare in tv per essere riconosciuti come artisti, ma bisogna
trasformare il potenziale, e quindi talento e passione, in competenze tali
da permettere, ai protagonisti, l’ingresso nel mondo dello spettacolo da
veri professionisti.
- 37 -
Il raggiungimento di un obiettivo è strettamente correlato ad una buona
strategia operativa, scandita da piccoli obiettivi intermedi. Le
interrogazioni e gli esami, dopo aver seguito ore di lezione individuale e
collettiva, sono gli step cui si sottopongono gli allievi e in cui devono
dimostrare di aver raggiunto un nuovo livello di competenza.
I ragazzi arrivano nel talent con le loro programmazioni individuali,
frutto della genetica e delle programmazioni familiari, quindi,
provenendo da background diversi, è naturale che si generino situazioni
conflittuali, sia con l’autorità del corpo docente, che nel gruppo dei pari.
Nel momento in cui si compone la classe, si forma, naturalmente, un
nuovo sistema4, che deve convivere nello stesso ambiente per un tempo
stabilito, dando origine ad una nuova programmazione strategica
collettiva (gli allievi si relazionano tra loro strutturando strategie
innovative, valorizzando o creando risorse utili per il raggiungimento
dell’obiettivo finale e stabilendo un campo bioenergetico, mentale e
spirituale).
Nel corso delle lezioni si accumulano tensioni che poi sfociano in modo
plateale durante le esibizioni e, gli scontri più rilevanti, sono tra allievi
ed insegnanti. Qualsiasi percorso formativo vive una “rivalità” tra queste
due elementi, tipica del periodo adolescenziale, perché l’insegnante
incarna l’autorità dell’adulto, che è confrontata con il modello
genitoriale da cui spesso, l’adolescente, è ostacolato nell’espressione
della propria libertà. Si distinguono due tipi di docenti, gli autorevoli e
gli autoritari. I primi conquistano la classe con la loro empatia e con la
garanzia del sostegno costante e sono seguiti e ammirati. I secondi
4
Un sistema è un insieme di elementi talmente in interazione tra loro che una qualsiasi modificazione
di uno di essi comporta una modifica di tutti gli altri.
- 38 -
creano un clima di tensione con gli allievi e sono oggetti di critiche e
boicottaggi. Nella storia della scuola di “Amici” un esempio di docente
autoritario è Alessandra Celentano (insegnante di danza), mentre uno
autorevole è Grazia Di Michele (insegnante di canto), quest’ultima,
anche quando riprende gli allievi per correggerli, magari usando toni
duri, inserisce quote d’amore che alleggeriscono il rimprovero, tanto da
essere accettato con serenità. In un confronto tra Greta e la docente Di
Michele, dopo una prova di canto, quest’ultima le dice “Sono sicura che
tu stai lavorando su quello che ti ho detto, ma credo tu ancora non sia
arrivata”, si nota l’incisività della dichiarazione, “ammorbidita” dalla
fiducia e dalla quota d’amore dell’insegnante nei confronti della ragazza.
In seguito ad un’altra esibizione dell’allieva, la stessa insegnante le dà un
responso negativo. Greta resta in silenzio, esterrefatta. Sono secondi
lunghissimi che la Di Michele interrompe, spiegando: "Tu non meriti di
essere un terno al lotto, perché devi riuscire a dare sempre lo stesso
valore a quello che fai, con la stessa energia e la stessa credibilità, non
soltanto quando senti di farlo". L’ultimo esempio riportato è un
momento di deprogrammazione attraverso la disaggregazione, la docente
scioglie il legame tra il vissuto emotivo di Greta, durante il canto, e la
performance artistica.
Trattandosi di un talent show, connubio di talk e reality, la
comunicazione è la base su cui ruotano tutti gli sviluppi della
trasmissione e quando si presentano docenti autoritari, che instaurano
rapporti conflittuali con gli allievi, probabilmente il problema
dell’idiosincrasia è nella modalità con cui essa si realizza. I principali
problemi
legati
alla
comunicazione
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sono:
doppio
messaggio,
interpretazione impropria e comunicazione paradossale. Il doppio
messaggio è l’incoerenza tra contenuto del messaggio e comportamento
che lo accompagna (es. un allievo sostiene di aver studiato, ma arriva
impreparato all’interrogazione). L’interpretazione impropria è, appunto,
l’interpretazione di un comportamento secondo una tendenziosità
dell’osservatore (es. se un allievo è pigro, l’insegnante darà per scontato
che l’impegno sarà scarso). La comunicazione paradossale si divide in
ingiunzione (in cui la comunicazione è contraddittoria in sé, es.
“Rilassati!”) e predizione (intendere il presente come un’anticipazione in
conflitto con il futuro, es. “tanto lo so che mi boccerà!”).
Mi sembra doveroso osservare la collisione da un punto di vista
alternativo. È possibile considerare lo scontro tra docenti e alunni come
riprogrammazione, perché, dato che l’accademia li forma anche sul
fronte della personalità, lo scontro “simulato” diventa una predizione
degli avvenimenti che, molto probabilmente, potranno capitare
all’esterno della scuola, quando i ragazzi dovranno affrontare da soli i
professionisti dello spettacolo. L’insegnante autoritario, a questo punto, è
chi inserisce nuove informazioni nella mappa esistenziale degli studenti,
per prepararli al confronto con il mondo vero, quello in cui non ci
saranno adulti pronti a difenderli, perché quegli adulti saranno loro
stessi.
In questa edizione i professori, durante il serale, siedono in seconda fila,
per cedere il centro della scena agli allievi, affidando i tempi e le scelte
delle performance ai capisquadra Emma Marrone (ex allieva della
scuola, oggi affermata cantante) e Miguel Bosé (cantautore di fama
internazionale), che svolgono la funzione di coach, preparano i ragazzi
- 40 -
per le varie prove e li motivano costantemente nel corso del periodo
formativo: dopo una sfida tra Verdiana e Moreno, il ragazzo, uscito
sconfitto, si mostra dispiaciuto ed Emma lo rincuora dicendogli "Ti sei
sentito responsabile e mi è dispiaciuto vederti giù. Ma quando capiterà
di nuovo ricordate che, al di là della giuria che ci sta giudicando, noi
stiamo cantando per il pubblico e la gente a casa".
In una striscia pomeridiana, il giorno dopo un serale impegnativo, Emma
premia la sua squadra "Mi avete sbalordito, bravi! A parte un po' di cose
da sistemare, ma è normale perché siamo all'inizio. Vi siete accorti di
quanto è dura. Siamo andati a perdere, ma per me erano importanti le
esibizioni".
Nel corso di una pausa pubblicitaria, sullo sfondo, Edwyn, dopo aver
perso una sfida con Costanzo, ha avuto paura di uscire e la rabbia per la
sconfitta ha avuto il sopravvento. Il suo Direttore Artistico Bosé, l'ha
affrontato a muso duro: "Questo atteggiamento e questa faccia non
voglio vederli mai più nella mia squadra. Non sto scherzando, non
voglio facce così. Sei bravo, hai del potenziale; devi fare di più. L'hai
fatta benissimo. Ma così è la vita!". Messaggio recapitato, che
l'interessato commenta quasi commosso: "…dietro c'era tanta passione e
tanta volontà; è stato molto affettuoso e paterno (riferendosi al suo
caposquadra)".
Ho definito il counselor un facilitatore, ma è anche (e soprattutto) un
mediatore tra il cliente e il suo disagio, quindi, a parer mio, in questa
situazione il ruolo spetterebbe a Maria De Filippi, perché, come detto in
precedenza, è la mediatrice tra tutti i protagonisti della trasmissione e
con il pubblico a casa.
- 41 -
Maria De Filippi è laureata in legge con il massimo dei voti, un percorso
che ha poco a che fare con l’ambito delle relazioni umane, perché molto
tecnico, eppure questa donna ha saputo reinventarsi in una veste
completamente nuova. Sicuramente il merito è anche di suo marito,
Maurizio Costanzo, pioniere dei talk show, che ha saputo suggerirle tutte
le tecniche necessarie affinché potesse diventare l’icona empatica che è
oggi.
La prima caratteristica che si nota, in questa “anomala” conduttrice, è la
sua presenza defilata, la maggior parte del tempo è seduta al lato dello
spazio scenico. Osserva e interviene dall’esterno. Sono rari i momenti in
cui si sposta al centro della scena: in apertura di trasmissione, prima di
un’esibizione (mentre accoglie l’allievo e lo presenta) e subito dopo
(quando accanto a lui o lei ascolta il giudizio degli insegnanti e della
giuria), ponendosi come sostegno, e in compresenza agli ospiti della
puntata. Il portamento è elegante e umile al contempo, le spalle sono
leggermente chine e in apertura accenna un inchino al pubblico, ai
membri della giuria e del corpo docente. La voce è monotòno, quasi
ipnotica, parla lentamente e scandisce ogni parola, questo per permettere
a tutti di comprenderla, sia in studio sia a casa.
Le caratteristiche citate le hanno consentito di diventare l’“amica” di
tutto il suo pubblico, trasmette una sensazione di tranquillità, che fa
sentire a proprio agio chiunque si relazioni con lei, ma mantiene un
distacco autorevole, che le consente di proporsi empaticamente come
guida e come educatrice nello stesso momento.
Nel corso della stagione televisiva Maria media non solo all’interno delle
dinamiche proprie del programma, ma si fa portavoce dei messaggi che i
- 42 -
familiari dei ragazzi inviano alla redazione, leggendo lettere che
contengono parole di vicinanza, di sostegno, spesso richieste di perdono
(nel caso in cui in passato i genitori non hanno creduto ai sogni dei figli)
e di complimenti verso i sacrifici che i loro ragazzi fanno per coronare il
grande sogno. Queste missive colpiscono i giovani allievi nella loro parte
emotiva.
Il rapporto della conduttrice con gli allievi è di sostegno, con frasi
incoraggianti "Domani sera inizierà la vostra avventura rendete onore al
vostro talento; questo è il vostro studio, questo è il vostro palcoscenico,
in bocca al lupo” in occasione della vigilia della prima puntata del
serale, oppure in apertura della “prima”, in cui inizialmente fa un
richiamo alle parole di speranza del Papa e poi, rivolgendosi a quei
giovani che sono dentro lo studio, che sperano di «fare del talento la loro
professione», e a quelli fuori che hanno difficoltà a crearsi un futuro:
“Abbiamo, parlo della mia generazione, tolto la speranza. Dobbiamo
provare a ricostruirla”. Un’assunzione di responsabilità, in cui lei si
pone come rappresentate di una generazione adulta che ha commesso
degli errori, che scontano le nuove.
La De Filippi lascia il segno, mantiene sempre un atteggiamento
obiettivo e distante dalle situazioni poco gradevoli, che possono
verificarsi, ad esempio quando difende la sua trasmissione in
un’intervista con Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, sostenendo che “In
Italia, quando c’è un genere nuovo, dilaga. Al di là di tutto, dei talent si
è detto molto male all’inizio. Non vogliamo mai vedere positivo, sempre
negativo. Parlare male dei talent è una moda, c’è una specie di
snobismo radical-chic ma queste persone non sono mai andate a vedere
- 43 -
la macchina talent. I nostri ragazzi studiano canto e ballo tutti i
sacrosanti giorni per cinque ore. Quest’aspetto non viene mai messo in
evidenza.”
Ogni persona che ha potuto conoscerla e frequentarla ha ottimi ricordi e
parole molto dolci nei suoi confronti, un esempio è Costanzo che, una
volta uscito dallo show, dice “Per me è stata come una mamma, e il fatto
di sapere di poter contare su di lei in qualsiasi momento mi ha dato
coraggio. Di lei conserverò per sempre un ricordo eccezionale, anche
perché mi ha permesso di portare ad “Amici” la mia passione per la
breakdance. Questa esperienza che mi ha permesso di crescere
moltissimo e di lavorare a stretto contatto con straordinari
professionisti”. Anche nel mondo dei social network è pronta al
confronto e risponde con puntualità a chiunque le ponga quesiti sulla sua
attività professionale. Maria c’è sempre e ovunque, regina del sabato in
prime time, dei pomeriggi feriali, dei social network.
b) La musica
Osservati i ruoli e le dinamiche della trasmissione, è necessario
soffermarsi sulla sua componente principale: la musica. Tutto il
programma si fonda su di essa, attraverso il canto, la danza, i jingle, gli
intermezzi, ecc., ma come inserirla in relazione al counseling? Io la
definirei una tecnica, perché si conferma come un linguaggio e
un'esperienza universale, accessibile a tutti.
Darwin definì la musica "uno dei doni più misteriosi di cui l'uomo sia
dotato" e tentò di dare una spiegazione: la musica, o meglio il canto,
- 44 -
avrebbe a che vedere con la verbalizzazione e sarebbe stata utilizzata, in
principio, per comunicare emozioni; è una delle forme espressive,
affermatesi nel corso dell'evoluzione, favorenti la socializzazione5.
Un recente studio americano ha fatto notare che gli esperti della musica e
i musicisti la ascoltano con un approccio analitico, in modo diverso,
invece, i semplici appassionati, che la sentono emotivamente. Gli
studiosi suggeriscono un contributo biologico alla percezione del suono e
all'ascoltare musica. Forniscono una prova molecolare sulla funzione
della musica nella comunicazione sociale e nell'evoluzione della specie
umana, essa è da sempre parte integrante della storia dell’uomo: segna i
momenti più importanti della vita, racconta i vissuti, caratterizza le
culture, i popoli e le epoche storiche. Il fascino subìto dall’ascolto di una
melodia è indiscutibile e, certamente, il suo potere non risiede solo nella
semplice suggestione; per questo motivo i neuroscienziati hanno iniziato
ad interrogarsi sull’origine della sensazione di benessere procurata
dall’ascolto di un’armonia di note. Il piacere originato dall’esperienza
musicale trova la sua spiegazione all’interno dei processi fisiologici, che
disciplinano l’attività cerebrale, ossia nella produzione di dopamina, un
neurotrasmettitore responsabile della sensazione di piacere, associata al
sistema di ricompensa cerebrale. Secondo il professor Flaminio
Cattabeni6 ascoltare la nostra canzone preferita fa bene al cervello: “Si
impara in fretta e si riascolta all’infinito perché va dritta al cervello,
‘accendendo’ le aree del piacere. Si sa infatti che un brano musicale
capace di darci dei brividi attiva gli stessi circuiti sollecitati da tutti i
5
D. Pietrafitta, Musica ed evoluzione, in www.dubito.it, 26 Gennaio 2013.
6
Farmacologo del Centro di eccellenza delle malattie neurodegenerative (Cend) dell’Università degli
Studi di Milano.
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comportamenti che provocano piacere. Per questo tendiamo a
riascoltarlo più volte, mentre un motivo che non ci piace attiva zone
cerebrali diverse e quindi non avremo la necessità di sentirlo di nuovo”.
Ascoltare una specifica canzone, a volte, può essere come tornare nel
passato e risvegliare diverse emozioni e diversi ricordi. È una cosa
decisamente comune, a chi non è mai capitato?
La musica, guidandoci verso la riconciliazione con i nostri ritmi vitali,
specifici di ognuno di noi, allena l’emotività e ci rende più creativi, può
favorire una metamorfosi, una rinascita, un cambiamento nel modo di
comprendere noi stessi e l’altro, nel modo di rapportarsi alla vita.
La funzione della musica risiede nel suo potere comunicativo, nella sua
capacità di schiudere canali di comunicazione non verbali. In essa si
decreta una relazione tra la nostra capacità di percepirci e quanto, di noi
stessi, ancora ignoriamo; ecco perché il mondo sonoro possiede un
risvolto curativo, una relazione che si origina sicuramente dai suoni, ma
che trascende poi gli stessi.
È in grado di evocare e stimolare nell’individuo una serie di reazioni il
cui fine è di avvicinarci a qualcosa di assoluto, di appagarci, sia pure per
un istante, dal nostro straordinario senso d’incompletezza. La grande
forza della musica è di mettere in relazione finito e infinito (la stessa
dicotomia che alcuni definiscono corpo-anima, altri natura-cultura),
facendoli danzare attorno ad un tempo storico e mentale qual è la vita.
La musica offre un’occasione di svago e di rilassamento. Aiuta la
- 46 -
persona ad esprimersi e a comunicare attraverso i suoni, oltre che alle
parole, può renderci più aperti, più elastici, più empatici (la capacità di
mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede l’altro,
comprendere i suoi bisogni come se fossero i propri, senza però
dimenticare che in realtà non lo sono).
Oltre l’aspetto emotivo, la musica stimola il problem solving, attraverso
il miglioramento dell’elasticità mentale. Dalle valutazioni finali, di
alcuni studi scientifici americani, è emerso che la musica non fa crescere
l’intelligenza ma, appunto, la capacità di risolvere i problemi.
Essa può migliorare la qualità della nostra vita in quanto, essendo una
forma di espressione, ha una funzione educativa, perché arricchisce
l’animo delle persone. È una delle molte forme di comunicazione che
possono essere adoperate, raggiunge dentro e può sostenere nella
comprensione dello stato d’animo di chi si ha di fronte, cosa vuole
comunicare, e anche di se stessi.
La musica arriva fin dove le parole possono non arrivare, non ha confini.
È un modo illimitato di esprimersi.
3.3 IL COUNSELING POPOLARE
È assolutamente impensabile improvvisarsi counselor, perché, come
detto in precedenza, si tratta di una professione che richiede un percorso
formativo di durata triennale, di un tirocinio che duri almeno cento ore e,
assolutamente prioritario, un percorso personale che consenta al futuro
- 47 -
professionista di conoscere se stesso per aiutare gli altri in maniera
empatica ed obiettiva. Allora perché parlare di counseling popolare?
Dal lavoro svolto finora è emerso che, attraverso uno sguardo critico e
privo di pregiudizi, si può scoprire il counseling anche nelle situazioni
ritenute più improbabili.
Il contesto formativo esige, a parer mio, esperienza di counseling e
l’“Accademia di Amici” ne ha fornito un valido esempio, perché ogni
personalità, che si affaccia ad un percorso di apprendimento, porta con sé
la programmazione originaria e deve imparare a relazionarsi con le altre
personalità con cui si condivide il percorso. In questo scenario occorre
una figura mediatrice, capace di mantenere il giusto equilibrio nel
gruppo e di gestire i ruoli dei diversi partecipanti, fino a coordinare i
contenuti dei corsi per il raggiungimento degli obiettivi preposti.
Osservare un programma televisivo e scoprire che, dietro l’aspetto di
superficialità, c’è un mondo di relazioni, costruito secondo un ordine
preciso di elementi, è la prova che davvero possiamo incontrare il
counseling ovunque.
L’elemento di novità è allargare la visione del concetto di counseling a
tutte le situazioni e le dinamiche presenti in società, che si tratti di
istituzioni scolastiche, familiari, religiose, oppure relazioni di coppia,
amicali, di lavoro, in tutta la nostra quotidianità ne ritroviamo gli
elementi, che vanno dall’ascolto attivo nei confronti di un interlocutore
al suggerimento di strategia in un rapporto lavorativo.
Si immagini una comitiva di persone a cena, ci sarà tanto vociare,
qualche risata più sonora delle altre, probabilmente qualcuno seduto al
tavolo accanto sbufferà infastidito, ma osservando le interazioni tra i
- 48 -
membri emergerà un conduttore della discussione, la persona che
intavola il discorso e richiama all’ordine chi si sovrappone alla
comunicazione dell’altro, che riconduce al tema del discorso e alla fine
tira le somme, terminando con una frase effetto. Almeno una volta nella
vita sarà capitato a tutti di vedere questa scena o viverla direttamente. La
persona, che tiene le redini del gruppo, è un facilitatore “popolare”,
coordina un gruppo dinamico, così come accade, in modo professionale,
in un setting collettivo.
Facendo una passeggiata nel parco sarà di sicuro capitato di incontrare
una coppia di amiche, sedute su una panchina, immerse in una
chiacchierata. Probabilmente una delle due sta esponendo un cruccio e la
sua interlocutrice ascolta attentamente quanto le è detto, poi si relaziona
con lei e le espone un nuovo punto di vista o una soluzione alternativa.
All’ombra di una quercia si sta palesando un esempio di setting
individuale, in cui è esposto un disagio e, uno dei due comunicanti,
ascolta attivamente quanto narrato, attraverso empatia e assenza di
pregiudizio.
Un team di ingegneri deve realizzare un’opera, si riuniscono e preparano
un progetto, che entro tempi precisi, sarà posto in essere. Stabiliscono
una strategia di lavoro, formata da diverse tappe, che tende all’obiettivo,
valutando costi e benefici e preventivando possibili ostacoli.
Un adolescente torna da scuola e, buttando lo zaino in un angolo, corre a
rinchiudersi in camera. Suo padre cerca un dialogo, lo ascolta sentendo
lo stesso disagio del ragazzo, gli parla con semplicità e gli offre il
proprio sostegno. In ogni momento suo figlio sa di poter contare su di
- 49 -
lui, ha piena fiducia nell’aiuto che potrà offrirgli.
Viviamo in una società che corre ed è sempre sotto stress, sentiamo il
bisogno di avere una guida che ci supporti, di avere un confronto aperto
con gli altri, di sentirci compresi. Cerchiamo un Altro che non ci faccia
sentire gli unici a vivere un disagio, così ci aggrappiamo a tutto quello
che compensa il nostro senso di solitudine: gruppi di preghiera,
televisione, partner, famiglia, istituzioni e qualsiasi cosa consideriamo
utile a risollevare il senso d’angoscia. In tutto questo, privo di una
metodologia scientifica, troviamo un po’ di counseling.
Nel momento in cui parlo di “counseling popolare” intendo un approccio
spontaneo tra persone che, inconsapevolmente, attuano e comprendono
tecniche e strategie per la risoluzione dei problemi. In Italia, come
professione, il counseling è ancora poco conosciuto. Si comincia a
parlarne tra gli operatori nel settore delle relazioni d’aiuto, ma c’è molto
da lavorare per renderlo noto alla gente comune, che potrà usufruirne
ogni momento in tutti i contesti della propria esistenza.
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CONCLUSIONI
L’obiettivo che mi ero proposta all’inizio di questo lavoro era dimostrare
che il counseling è vita e che possiamo ritrovarlo in tutte le circostanze
cui ci avviciniamo.
L’elemento innovativo, e che inizialmente mi lasciava perplessa, è stato
prendere in considerazione una trasmissione televisiva, che sembra
lontana anni luce dal discorso finora esaminato, e metterla in
correlazione all’esperienza del counseling, eppure gli sviluppi sono stati
stupefacenti.
Io stessa sono rimasta sbalordita quando mi sono resa conto del
potenziale di “Amici” nei confronti di un pubblico sempre più assopito e
passivo. I telespettatori imparano qualcosa in ogni puntata, in ogni day
time e nel complesso del format. Avere un sogno è una peculiarità
dell’essere umano, ci diversifichiamo solo nella forza che impieghiamo
per realizzarlo. In una società troppo indaffarata perché sieda ad
organizzare un piano di riuscita, molto spesso si preferiscono le
scorciatoie; peccato che queste non ci consentano di assaporare
pienamente il traguardo, dato che in realtà non è tutto merito proprio.
“Amici” ci insegna che ogni obiettivo è intriso di sudore e fatica, che c’è
bisogno di impegno e costanza, che si devono affrontare momenti di
riuscita e di fallimento, che occorre uscire dal guscio, confrontarsi col
mondo, scendere a compromessi quando necessario e prendersi i meriti
quando si è certi di guadagnarseli.
A questo punto è necessario che questa considerazione diventi comune a
tutti e far sì che i telespettatori ne diventino consapevoli, bisogna
- 51 -
educarli a vivere la televisione attivamente, a comprendere il proprio
ruolo e i meccanismi che si attivano durante le fasi di identificazione e
sostegno. Un pubblico consapevole è un pubblico che cresce e diventa
una società migliore.
Ammetto che, lavorando su questa tesi, mi sono affezionata alla figura di
Maria De Filippi e mi sento un po’ infantile ripensando all’atteggiamento
pregiudizievole che avevo, nei suoi confronti, qualche mese fa, ma
sicuramente oggi sono cresciuta, perché ho imparato ancora meglio cosa
vuol dire guardare da una nuova prospettiva. Ho vissuto sulla mia pelle
un’esperienza di deprogrammazione e riprogrammazione con lo
strumento della scrittura.
Come counselor professionisti dovremmo impegnarci, affinché la nostra
figura diventi un punto di riferimento per la popolazione, così come
abbiamo un medico curante, dovremmo avere il nostro counselor di
fiducia.
Tutto è un percorso, la vita è un percorso. E il counseling è come l’acqua
che disseta dopo una lunga passeggiata.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo”
Walt Disney
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RINGRAZIAMENTI
Alla mia famiglia, che in questi tre anni mi ha sostenuta in tutto con
sacrifici e pazienza.
Al Prof. Papadia, per avermi aiutata a restituire un senso alla mia vita.
A Maria Luce, per avermi dimostrato che l’esistenza si affronta con i
sorrisi.
Ai miei colleghi, per i confronti e gli spunti che mi hanno aiutata a
diventare una persona migliore.
A Raffaele, per le nottate intere davanti a tazze di caffè, ascoltandomi
pazientemente.
A Piergiuseppe, per tutto. Non ci sono parole per descrivere l’immensità
che sento nel cuore.
A chi è passato nella mia esistenza ed è andato via, a chi è rimasto, a chi
è lontano, ma vicino con l’anima, a chi crede in me.
GRAZIE!
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www.facebook.it/amici.di.maria.de.filippi
www.lastampa.it
www.mariadefilippi.mediaset.it
www.repubblica.it
www.riprogrammazione.it
www.twitter.it
www.youtube.it
Materiale didattico interno all’Accademia per La Riprogrammazione.
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